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Acquacoltura Acquacoltura 2030, gli ostacoli allo sviluppo Roberto Villa
Acquacoltura 2030, gli ostacoli allo sviluppo
Prospettive di crescita superiori al 40%, ma alcune tematiche ambientali ed etiche potrebbero frenarla
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di Roberto Villa
Il mercato dei prodotti ittici è in continua ascesa: una ricerca condotta da un primario centro di analisi economiche prospetta per il periodo tra il 2020 e il 2026 un balzo del 18,5% del fatturato globale, da 113 a 134 miliardi di dollari USA. Secondo l’OECD-FAO Agricultural Outlook 2021-20301 la produzione mondiale è destinata a crescere ad un ritmo medio dell’1,2% annuo nel decennio in corso, un tasso più contenuto rispetto al 2,1% medio del decennio precedente, per un volume al 2030 stimato in 201 milioni di tonnellate (+23 milioni di tonnellate rispetto al 2020) con la maggior quota della crescita futura che avverrà in Asia. La maggior parte sarà consumata come cibo, per un consumo pro capite annuo stimato in 21,2 kg (contro 20,5 kg a inizio decennio), solo il 10% sarà destinato alla produzione di farine ed oli di pesce, quasi i tre quarti (72%) saranno consumati in Asia.
In questo quadro l’acquacoltura sta diventando la forma di produzione prevalente: gli studi della FAO prevedono che essa superi nel 2030 il volume del pesce catturato in mare, con un quantitativo stimato di 103 milioni di tonnellate (circa il 52% del totale), mentre ora conta per il 47% delle forniture complessive di prodotti ittici; limitandosi al consumo umano l’acquacoltura conterà per il 57% del totale ed il sorpasso è previsto già nel 2026.
Mangime per allevamento ittico (photo © GOLFX).
La crescita nei volumi sarà superiore a quella del pescato con un incremento pari al 2% medio annuo, tuttavia, con un tasso dimezzato rispetto al decennio precedente quando la crescita si era attestata ad un +4% annuo; uno studio da parte della società di investimenti sostenibili Encourage Capital2 e della società senza fi ni di lucro The Nature Conservancy3 prevede comunque che gli investimenti da oggi alla fi ne del decennio si collochino tra i 150 ed i 300 miliardi di dollari USA, con DNB, Nordea Bank e Rabobank tra i principali investitori. L’Asia sarà il maggiore produttore di specie da allevamento con l’85-90% del totale, con la Cina a farla da padrone grazie al 63% che gli esperti le assegnano come quota nel 2026.
Tra gli ostacoli alla crescita dell’allevamento delle specie ittiche vi sono da un lato cause di natura economica e sociale: la crisi determinata dalla pandemia Covid-19 con le conseguenti perdite di reddito da parte di vaste fasce della popolazione in molte nazioni, la riduzione del tasso di crescita della popolazione, la concorrenza di altre fonti proteiche animali meno costose (pollame, suino, uova), lo sviluppo e la proposta sul mercato di fonti proteiche vegetali; dall’altro lato alcune tematiche di natura ambientale ed etica, che ne minacciano l’attrattività nei Paesi sviluppati.
Focalizzandoci su quest’ultimo aspetto la fondazione Changing Markets4 ha redatto insieme ad altri enti il rapporto Investing in troubled waters5 nel quale si mettono in luce alcune criticità in grado di “condizionare negativamente e danneggiare la reputazione (dell’acquacoltura, NdR), poiché i consumatori cominciano a comprendere la reale quantità di pesci che muoiono negli allevamenti e come negli stessi vengano utilizzati come alimento miliardi di pesci provenienti dalla pesca, impoverendo così l’offerta di proteine animali nei Paesi dell’Africa e dell’America Latina e compromettendo al contempo gli ecosistemi degli oceani”
secondo ALICE DELEMARE TANGPUORI, responsabile della fondazione per la campagna Fishing the feed.
Il rapporto evidenzia che gli investitori istituzionali nel settore non fanno pressione sulle aziende in merito a tematiche come il benessere animale, del quale la mortalità è uno degli indicatori, e all’impiego di alimenti alternativi a quelli di origine ittica derivanti da attività di pesca. Il 65% (cioè 15 su 23) degli investitori professionali intervistati dalla fondazione tramite questionari ha dichiarato di non seguire nell’allocazione delle risorse fi nanziarie criteri che assicurino l’assenza di pratiche di pesca illegale e fuori dalle regole o altri comportamenti non conformi.
La società norvegese del salmone Grieg Seafood ha emesso un titolo obbligazionario con lo scopo di ricercare nuove fonti alimentari alternative alle farine e agli oli di pesce; anche le conterranee Mowi e SalMar hanno fatto altrettanto con l’obiettivo di sviluppare pratiche ambientalmente compatibili, tuttavia la fondazione non ritiene questi passi suffi cientemente coraggiosi ed effi caci nel garantire il raggiungimento dei pertinenti obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite(6), in particolare l’obiettivo 2 “Sconfi ggere la fame: porre fi ne alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile” per quanto attiene la garanzia
dell’approvvigionamento alimentare (food security) e l’obiettivo 14 “La vita sott’acqua: conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile”.
Relativamente all’obiettivo 2 un precedente rapporto emesso nel 2021 dalla fondazione in collaborazione con Greenpeace Africa ha sottolineato che le farine e gli oli di pesce derivanti dalla pesca sulle coste dell’Africa occidentale di oltre 500.000 tonnellate di specie ittiche avrebbero potuto sfamare 33 milioni di persone nel continente più affl itto da cronica carenza di alimenti.
Considerando che il prezzo delle farine e degli oli di pesce segue un andamento di costante aumento — così sarà anche da qui al 2030 fatte salve temporanee diminuzioni dovute a specifi che contingenze — e che l’alimentazione costituisce la principale voce di costo negli allevamenti (tra il 50% ed il 70% con buona approssimazione), un cambio di rotta andrebbe a vantaggio di tutti: aziende, popolazioni nei Paesi meno sviluppati, salute degli ecosistemi marini ed oceanici.
La mortalità è un fattore sul quale le aziende impegnate nell’acquacoltura devono lavorare, poiché si attesta mediamente tra il 15 ed il 20% negli allevamenti sia di salmoni nordeuropei e nordamericani sia di orate e branzini nel mar Mediterraneo: si tratta anche di un importante elemento di costo, poiché stime della società di ricerche britannica Just Economics indicano in 15,5 miliardi di dollari negli ultimi sette anni il costo della mortalità nei quattro maggiori Paesi produttori di salmone (Norvegia, Scozia, Cile, Canada), una delle principali specie allevate.
Il rapporto conclude che gli investitori hanno il potere, ammesso che ne abbiano la volontà, di indirizzare le aziende produttrici verso un modello di produzione più sostenibile ed etico in linea con gli obiettivi delle Nazioni Unite, a vantaggio anche delle aziende che potrebbero benefi ciare così di un’immagine più limpida ed attrattiva verso i consumatori sempre più ecologicamente e socialmente sensibili del terzo millennio.
Roberto Villa
Note
1. www.fao.org/3/cb5332en/Fish. pdf 2. encouragecapital.com 3. www.nature.org 4. changingmarkets.org 5. Un riassunto si trova alla pagina changingmarkets.org/ wp-content/uploads/2021/07/
EXEC-SUMMARY-Investingin-Troubled-Waters_FINAL.pdf 6. I 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs: unric. org/it/agenda-2030) sono stati adottati dalle Nazioni Unite nel 2015 come indirizzi operativi universali fi nalizzati ad eliminare la povertà, proteggere il pianeta e garantire che nel 2030 tutti gli esseri umani possano vivere in pace e prosperità.
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In Aller Aqua abbiamo abbracciato la sostenibilità, come un’opportunità per minimizzare l’impatto che l’acquacoltura ha sull’ambiente, ottimizzando al Siamo orgogliosi di far parte di un futuro sostenibile e supportiamo gli OBIETTIVI DI UNO SVILUPPO Abbiamo scelto quattro obiettivi su cui concentrarci: