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Il pesce in tavola Fermo che ti mangio! In cucina con lo stoccafi sso Giorgia Fieni

Fermo che ti mangio! In cucina con lo stoccafi sso

di Giorgia Fieni

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Una locuzione famosa recita più o meno così: “immobile come uno stoccafi sso”. E non mente affatto, in quanto è riferita ad un merluzzo che, dopo essere stato essiccato all’aria, appeso per la coda da febbraio a giugno, risulta di una consistenza estremamente rigida. Il nome infatti deriva dalla parola olandese stock visch, che signifi ca pesce seccato sui bastoni. Si dice che questa tecnica sia stata messa a punto prima dai pirati, capaci in tal modo di nutrire la ciurma senza dover cucinare, e poi in epoca medievale, quando il mangiare di magro e il conservare gli alimenti era una necessità più che una scelta. Attualmente tutto il procedimento è regolamentato: lo stoccafi sso che supera il controllo qualità viene legato con fi lo zincato, compresso e conservato in sacchi di iuta. Una volta acquistato, per toglierlo dalla sua immobilità, va battuto con un mazzolo di legno, per sfi brarlo e facilitare l’assorbimento dell’acqua, e lasciato in ammollo (cambiando spesso l’acqua) almeno tre giorni, in modo che possa quintuplicare il proprio volume.

Per questioni di praticità viene comunque venduto già pronto per essere cucinato (regola generale: la parte più vicina alla testa, piuttosto consistente, mediante lunghe cotture, quella lontana in tempi rapidi). Ricette classiche della tradizione italiana sono la buridda, lo stoccafi sso alla genovese o all’abruzzese, il baccalà alla vicentina o alla triestina o alla cappuccina o mantecato (ebbene sì, per queste preparazioni il merluzzo vuole l’aria, non il sale come da appellativo), lo stoccafi sso al funghetto campano, il pisciscottu a trappitara calabro (con pomodoro, peperoncino, patate, vino rosso, capperi, olive nere cotte al forno), il brandacujùn o brand de cujun (pesce e patate: la versione italiana della brandade francese che però prevede il baccalà) e il piscistoccu agghiotta siciliano (con uvetta e pinoli). Un prodotto tanto antico ha

bisogno però di un adattamento più moderno per poter entrare ancora nelle nostre cucine (e magari anche di essere previamente stemperato con latte profumato con scorza di limone, noce moscata, prezzemolo). Non più quindi solo zuppa (con pomodoro, peperoncino e fette di pane abbrustolito per accompagnare) ma via libera al cartoccio o sulla griglia. In forno è perfetto in gratin con le bietole (o in sformato con le patate), mentre in padella è particolarmente originale con funghi e un trito tostato di pinoli, nocciole e noci.

Dirottandolo verso i primi piatti, possiamo mettere lo stoccafi sso sia nel sugo per gli gnocchi di barbabietole sia come ripieno dei ravioli ai piselli o dei paccheri con ricotta di bufala (che ne stempera il gusto forte). Per un pasto veloce, lo aggiungiamo all’insalatona con fave, patate, pomodoro o al sandwich con pomodoro verde e burrata o lo gustiamo tal quale, semplicemente marinato al limone e completato con pomodori, peperone verde e olive nere dolci.

Gli chef sono particolarmente affezionati a questo alimento, tant’è Crocchetta di stoccafi sso con crema di capperi dello chef Gennaro Esposito, ristorante La Torre del Saracino, Vico Equense, Napoli (photo © www. torredelsaracino.it).

che esiste il titolo “Ambasciatore dello Stoccafi sso”, insignito a personaggi quali PAOLO BARRALE, FELICE

LO BASSO e ANTHONY GENOVESE. Ma anche gli altri esperti non se lo lasciano scappare: GENNARO ESPOSITO cucina le linguine con stoccafi sso e tartufi di mare, CARLO CRACCO con pomodori canditi e SIMONE PADOAN lo trasforma in quenelles (bollite per 2 ore a 90 °C in acqua, aglio, basilico e formate con l’aiuto di olio di vinacciolo) che adagia sulla pizza, con cialde di mais.

Si dice invece che MASSIMILIANO ALAJMO ne abbia trasformati due in lampadari per il suo locale… più immobili di così!

Giorgia Fieni

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