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Il capitone Josette Baverez Blanco

Il capitone

di Josette Baverez Blanco

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Photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com

Anguilla e capitone (stesso pesce ma generi diversi) non sono certamente molto comuni in commercio. L’Italia, però, rimane il principale produttore europeo grazie alla pesca e, soprattutto, all’allevamento, realizzato con metodi intensivi ed estensivi in vasche di acqua dolce. Ritroviamo traccia di questo tipo di allevamento in PLINIO, a conferma che le sue radici sono antichissime, dall’antica Grecia alla civiltà romana. Sono molto noti gli allevamenti di Comacchio e della laguna veneta, ma si tratta di una pratica diffusa anche in Lombardia, Toscana e Sardegna.

Come mai così poche anguille dal pescivendolo? Ad eccezione del periodo natalizio, non è un pesce molto richiesto dagli Italiani. Dove va a fi nire allora la produzione? In Giappone, che consuma il 90% della produzione mondiale per preparare soprattutto il classico Kabayaki, piatto realizzato mediante marinatura in salsa di soia dell’anguilla e successiva sua cottura al vapore o alla griglia.

L’ho sempre considerato un pesce come un altro, un po’ troppo grasso per i miei gusti, molto saporito, duttile per varie preparazioni, che mi è capito di mangiare in vari Paesi in qualsiasi periodo dell’anno. Ho scoperto solo a Milano la tradizione del mangiare il capitone la Vigilia di Natale, con tutte le diffi coltà per recuperarlo in tempo dai pescivendoli che spesso rimangono senza tanta è la richiesta in quei giorni. Il capitone è infatti un ingrediente che non può mancare sulle tavole delle feste nel nostro Paese, dal Nord al Sud — e la smorfi a napoletana gli ha persino dedicato il numero 32 —, in quanto è considerato un pesce che allontana la negatività e la cattiva sorte.

Per cominciare, contrariamente al genere dell’appellativo, occorre precisare che l’anguilla è il maschio e il capitone è la femmina, dalla testa più grossa (da caput, che signifi ca “testa” in lingua latina). Conosciuta comunemente come anguilla europea, è un pesce teleosteo della famiglia Anguillidae (dal latino anguis, serpente).

Il capitone può raggiungere una lunghezza di 1,50 m e pesare fi no a 6 kg, mentre l’anguilla rimane solitamente sui 60 cm, per circa 200 grammi di peso.

Anguilla marinata. È un piatto tipico delle Valli di Comacchio, zona famosa nel mondo per questa specialità. Secondo la tradizione locale l’anguilla dovrebbe essere pulita con cenere di legna per essere sgrassata (photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com).

È una specie migratrice catadroma ovvero vive in acque dolci ma si riproduce nel Mar dei Sargassi, in mezzo all’Oceano Atlantico, tra le Antille e le Azzorre, a 1.000 metri di profondità, dopodiché muore. I piccoli dell’anguilla, i leptocefali, spinti dalla Corrente del Golfo, impiegano circa 3 anni per raggiungere l’Europa dove si trasformano gradualmente. A volte risalgono i fi umi e possiamo quindi avere anguille di acqua salata, salmastra o dolce.

Pesce di fondo teleosteo, dal corpo cilindrico con scheletro osseo, ama stare anche in pozzi e caverne e non teme gli sbalzi di temperatura. Il suo colore cambia in base all’habitat. Può vivere 50 anni nello stesso luogo e stare 48 ore fuori acqua! Oggi purtroppo è considerata una specie in via estinzione a causa della pesca intensiva.

Simili al serpente, che rappresenta il Male nel Cristianesimo, l’anguilla, e di conseguenza il capitone, sono oggetto di superstizioni. Satana ha preso questa forma per tentare Eva a mangiare il pomo proibito che ha condannato l’umanità a lasciare il paradiso. Essendo Gesù il redentore dei nostri peccati, mangiare il “serpente” proprio a Natale diventa un atto simbolico. Quindi, al di là dell’utilità pratica di mettere in tavola questo pesce grasso che, in passato, era molto economico, permettendo di radunare parenti ed amici con poca spesa nell’allegria della festa, mangiare capitone o anguilla in questa occasione è considerato di buon auspicio.

Dagli antichi culti pagani rivolti alla fertilità, il serpente è passato nella tradizione giudaico-cristiana in tante leggende popolari con la sua ambivalenza: il serpente è “sapere” ed è al contempo “malvagità”.

Oltre ad Eva, un’altra donna è stata tentata: la Vergine Maria, la quale ripara l’errore della “prima donna” schiacciando la testa del serpente sotto i suoi piedi e sottoponendolo alla sua autorità. La tradizione vuole che tuttora sia la donna a dover uccidere il pesce e a cucinarlo per esorcizzare il trionfo del Bene sul Male, allontanando malefi ci e malasorte.

La fi gura del serpente è presente in molti passi dell’Antico Testamento. Nel Libro dell’Esodo, ad esempio, MOSÈ trasforma il bastone magico di ARONNE in serpente mentre, dopo la fuga dall’Egitto, per ispirazione divina, fa erigere un serpente di bronzo in cima ad un palo, ottenendo la guarigione per quanti rivolgono lo sguardo verso di esso: “Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente restava in vita”, probabile origine del serpente come simbolo dei farmacisti.

Per molti popoli, il serpente è un animale associato al soprannaturale e, come accennavo, non sempre con accezione negativa. A Pompei, nel larario domestico, edicola sacra che ospitava le divinità protettrici della famiglia, i Lari, il serpente rappresentava il Genio del luogo.

Lo ritroviamo come entità benefi ca anche nell’Eneide quando ENEA, mentre è intento a sacrifi care al padre Anchise, resta folgorato dall’apparizione di un serpente che compie 7 cerchi intorno al sepolcro e poi si allontana, lasciandolo “incerto se pensare che sia un genio del luogo o un messaggero del Padre” (Aen. 5, 95-96).

L’allevamento dell’anguilla ha radici antiche. I Greci le pescavano e poi le stabulavano con costante ricambio d’acqua. In Oriente erano considerate animali sacri, mentre in Boezia le più grosse venivano sacrifi cate alle divinità. I Romani le allevavano e Plinio notava come fosse l’unico pesce che, quando muore, non viene a galla

Il Kabayaki, piatto tipico della cucina giapponese preparato con anguilla marinata in salsa tipo Teriyaki e successivamente grigliata o cotta al vapore (photo © Nishihama – stock.adobe.com).

Il serpente è anche un simbolo esoterico diffuso. L’Ouroboros, presente in tanti popoli e in varie epoche, è un drago serpente che si morde la coda formando così un cerchio e “ricreandosi” di continuo. Rappresenta l’eterno ritorno, la natura ciclica di tutte le cose. Può anche essere associato al simbolo di armonia di Yin e Yang, che illustra la natura dualistica di tutte le cose e come gli opposti si completino. Il suo cambiar pelle è simbolo di rinnovamento, rinascita, e quindi di vita eterna, mentre il suo veleno può avere il potere di guarire o donare una coscienza espansa, elisir di lunga vita o immortalità.

Nella leggenda, il capitone è associato al serpente da PUBLIO VIRGILIO MARONE, poeta latino, alchimista e profondo conoscitore della natura. Considerato e venerato come Liberatore della città di Napoli in preda a malefi ci e pestilenze, Virgilio (qui noto come VIRGILIO MAGO) avrebbe addormentato per sempre, con misteriose parole magiche, un terribile serpente che sgusciava tra i vicoli della città, facendo vittime con le sue spire mortali.

Da temibile a prelibato, com’è arrivato nella cucina degli Italiani il capitone? Sembra sia stato FEDERICO II DI SVEVIA, ghiotto dei capitoni della laguna di Lesina. I libri di storia narrano che l’imperatore arrivò il 28 febbraio 1240 a scrivere alla Curia di Foggia per richiedere il pesce fresco di Lesina da far preparare alla askipeciam (scapece) dal suo cuoco personale di nome Berardo. Il procedimento della scapece è usato ancora oggi nella terra di Puglia per il pranzo di Natale e prevede di friggere il pesce, per poi marinarlo con l’aceto. Nella tradizione napoletana il consumo del capitone segue addirittura un rituale ben defi nito, immortalato da EDUARDO DE FILIPPO nella sua opera “Natale in casa Cupiello”.

Il capitone viene venduto vivo ed è mantenuto tale fi no al momento della cottura; lo si trova però anche in tante altre forme, congelato, marinato, essiccato, salato e affumicato. Seguendo la credenza popolare e mangiandolo durante tutto l’anno, chissà se non si potrebbe tingere di buon augurio la nostra quotidianità?

Josette Baverez Blanco

Il Veneto orientale scommette su anguilla, moscardino e aringa

Il Bisàt, l’anguilla del Livenza, il Moscardino di Caorle e la Renga, l’aringa, di Concordia Sagittaria, più il Linguàl di Pramaggiore, il cotechino impreziosito con la lingua salmistrata del maiale, unica concessione alla “carne” nel senso tradizionale o, meglio, suino, del termine: il Veneto orientale scommette sulle Denominazioni Comunali (DE.CO.), certifi cazioni del settore agroalimentare che hanno la funzione di legare un prodotto o le sue fasi realizzative ad un particolare territorio comunale, per salvaguardare le proprie produzioni tipiche, prodotti che sono giacimenti di sapori e cultura locale. A Torre di Mosto (VE), in occasione della serata conclusiva della rassegna “Livenza, fi ume di sapori 2021”, dedicata all’anguilla di fi ume, alla sua pesca tradizionale e alla sua valorizzazione in cucina, si è svolta una tavola rotonda, coordinata dal presidente UNPLI Venezia FABRIZIO TONON, per presentare ai sindaci dei comuni interessati presenti le opportunità offerte dalle De.Co. per la salvaguardia del territorio e della sua identità attraverso le sue specialità più note e amate. «Ad oggi le De.Co. sono state adottate da oltre 600 comuni italiani per tutelare la produzione tipica del mondo agricolo ma anche i piatti della tradizione locale e alcuni prodotti artigianali di eccellenza» ha detto GIANLUIGI CAVALIERE, consigliere UNPLI Veneto. Nonostante le diffi coltà legate al periodo, l’ormai più che decennale kermesse legata alla valorizzazione dell’anguilla liventina ha registrato risultati importanti. Oltre 550 le presenze complessive negli 8 appuntamenti culinari dedicati al bisàt. La metà delle serate è andata sold-out, compresa la cena di gala conclusiva a Villa O’Hara. A fare gli onori di casa il promotore della rassegna, LUCA ORTONCELLI, e il primo cittadino di Torre di Mosto,

MAURIZIO MAZZAROTTO. Immancabile FELICE GAZZELLI, il Gran Maestro della Confraternita del Bisàt. «Questa rassegna è la festa della comunità del bisàt e di tutti i prodotti tipici del Livenza — ha detto Luca Ortoncelli — un percorso ultradecennale con cui stiamo cercando di “salvare il salvabile”. Pensiamo in primis ad anguilla e linguàl, ma stiamo sviluppando una rosa di altri prodotti che stanno scomparendo».

Il Bisàt d’argento ai Ristoratori della Livenza

Durante la serata sono stati consegnati i Bisàt d’Argento. Il premio culinario quest’anno è stato assegnato a tutto il gruppo de I ristoratori della Livenza, premiati per lo sforzo profuso nel “resistere” durante il lockdown e successive restrizioni per contenere la pandemia. La targa è stata ricevuta a nome di tutti i colleghi dallo chef LUCA FARAON, che ha preparato il menù della serata, coadiuvato in cucina e in sala dagli allievi del Cfp Lepido Rocco di Pramaggiore. Particolarmente sentito il premio della sezione cultura, da quest’anno sarà intitolato al compianto giornalista MAURIZIO MARCON, che con i suoi articoli ha dato un contributo fondamentale alla riscoperta del bisàt. Per la prima edizione il premio culturale Maurizio Marcon è stato assegnato al fotografo RENZO VEDOVO. Il premio per la sezione sport è andato ai due giovani pescatori torresani MATTIA CONSOLE e LUCA VINCOLETTO, che nei mesi scorsi si sono laureati campionati italiani under 18 (fonti: nuovavenezia.gelocal.it e Veneto Orientale Informazione).

Salmone selvaggio dell’Alaska, perfetto per un Natale “en rose”

Sdoganato da quella che un tempo era considerata una scelta di nicchia, oggi il salmone è diventato un must nei menù delle feste. Antipasti, primi piatti, secondi in cui questo straordinario “gigante” del mare diventa una portata scenografi ca, sono la prova della sua versatilità. Carne tenera e soda, sapore e profumo di mare, freschezza, sono peculiarità intrinseche nel salmone selvaggio dell’Alaska, con un plus valore importante: la sostenibilità. L’Alaska è infatti da sempre impegnata in questa direzione ed è l’unico Paese ad avere, per Costituzione, l’obbligo di attenersi a una rigida legislatura per quanto riguarda la pesca, una vera e propria garanzia a favore non solo dei pescatori ma anche per la sopravvivenza del pescato. Il salmone selvaggio dell’Alaska cresce in acque incontaminate e si nutre esclusivamente di ciò che trova nel suo habitat, plancton e piccoli crostacei, un’alimentazione che lo rende portatore di nutrienti straordinari per il nostro organismo: vitamine, proteine dai livelli elevati di aminoacidi essenziali, selenio e Omega-3. Nei mesi in cui non avviene la pesca (tra maggio e ottobre), il salmone selvaggio dell’Alaska è commercializzato surgelato in una modalità che nulla toglie al sapore e alle sue qualità nutrizionali, ma anche nella versione affumicata il “selvaggio dell’Alaska” saprà affascinare i palati più esigenti. E per chi vuole cimentarsi in qualcosa di speciale per questo fi ne anno, sul sito www.alaskaseafood.it, oltre a tutte le informazioni sul salmone selvaggio, si trovano tantissime ricette, dalle più semplici alle più sfi ziose, suggerite dagli chef più famosi del mondo!

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