Premiata Salumeria Italiana 1-2020

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXII N. 1 Gennaio-Febbraio 2020

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N. 1

€ 6,70 Anno XXXII Gennaio-Febbraio 2020

Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Lorenzo Fiorentin – Chiara Zaccaroni

Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata Prof. Sergio Ventura

Fotografia Luigi Credi

Euro Annuario Carne

Abbonamenti Fioretta Fiorentin EURO ANNUARIO CARNE 2020

Amministrazione Andrea Tomassone

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2020 Copia cartacea: € 95,00

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

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Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Ufficio stampa e Media Partner

p Stampa

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N. 1

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

In questo numero:

Agenda

10

Immagini

12

Tendenze

14

Salumi & Co.

16

Fotografati e mangiati

18

Lettere alla Redazione

20

Calendario fiere

Fiere, eventi, convegni 2020

Legislazione

Sugar e plastic tax: il conto di fine anno per le imprese

22 Sebastiano Corona

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A pagina 108.

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Attualità

Alimenti e burocrazia

Sebastiano Corona

Carni suine trasformate, OK sull’indicazione di provenienza Il food in rete

34

Social food

Aziende

30

Elena Benedetti

36

L’evoluzione dell’e-commerce in italia con il click & collect

38

Salumificio Scarlino, tutta la produzione ritorna in Italia per essere sempre più protagonista nel mercato dei würstel

42

A Bivongi i salumi fanno un… bagno d’olio

Riccardo Lagorio

Giusti, Aceto Balsamico dal 1605

44 48

Mercati

Gli europei alla conquista della Cina

Sebastiano Corona

50

La Qualità

Approvato il nuovo piano dei controlli della Dop Prosciutto di Parma

Prodotti tipici

C’è un po’ d’Italia nel Salam de Sibiu Igp

Riccardo Lagorio

62

Fagagna: cicogne e pestàt

Gaia Borghi

66

58

Testa in cassetta di Gavi, il cuore in ogni fetta

68

Botteghe 4.0

The Epicurean Trader

Elena Benedetti

72

Locali di gusto

Il nuovo Mercato coperto di Ravenna

Il gusto di camminare

Con le arance nello zaino

Elena Simonini

78

Sapori dal mondo

La Svezia nel piatto: polpette, pudding, stufati… e marmellata di lingon

Nunzia Manicardi

80

Rassegne

Superzampone 2019, il piacere e la forza dello stare insieme

84

Fiere

Mercato in crescita per i prodotti a Marchio del Distributore

88

Alimentaria 2020: Barcellona chiama Italia

92

Nasce Flavor

96

75

Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N Anno XXXII N. 1 Gennaio-Febbraio 2020

S T O P € 6,70

A pagina 75.

In copertina: Amatriciana rivisitata con pancetta, Pecorino romano, pomodori, pepe nero, olio evo e spaghettoni (photo © Massimiliano Rella).

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Formaggio

I formaggini: ora come allora

Giorgia Fieni

Skyr, quasi un miracolo

Nunzia Manicardi 100

Il vino come regola monastica: visita all’Abbazia benedettina di Praglia

Gian Omar Bison

Cantina Banfi, qualitĂ ed efficienza su misura dei Signori del Brunello

Massimiliano Rella 108

I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: vino e pancetta (o guanciale)

Laura Franchini

112

Olio

Frantoio di Valnogaredo: quando storia e impronta green vanno a braccetto

Gian Omar Bison

116

Tecnologie

La ricetta fa la differenza!

Vino

98

104

120

Sono 180 grammi, lascio? Meat Hook

Giovanni Papalato 122

Storia e cultura

Il ritorno della tazza

Giovanni Ballarini 124

Libri

Pani d’Italia

128

A pagina 48.

A pagina 62.

A pagina 116.

www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 8

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PRIMA EDIZIONE - BOLOGNAFIERE

15-16 MAGGIO 2020

INNOVAZIONE PER L’INDUSTRIA DELLE CARNI

PERCHÈ MEATY

E’ un’iniziativa, ideata da Ecod, per creare sinergie vincenti tra le industrie che producono l’eccellenza italiana nel settore carni e i loro fornitori di tecnologie ed ingredientistica, in \U X\HY[PLYL ÄLYPZ[PJV TVKLYUV L YHaPVUHSL JVTL X\LSSV KP Bologna.

TECNOLOGIA PER PRODURRE NELLA TRADIZIONE

GIORNATE DEDICATE AI PROFESSIONISTI DEL SETTORE

Per info: Tel. +39 0331518056 - comunicazione@ecod.it - marketing@ecod.it Segreteria organizzativa Ecod Srl Via Don Riva, 38 - 20028 S. Vittore Olona (MI) - Italy Tel. +39 0331 518056 - marketing@ecod.it

Promosso da


AGENDA

POLESINE PARMENSE (PR) A Polesine Parmense (PR) — così come in molti luoghi che conservano e diffondono la tradizione dell’arte culinaria dei territori sulle rive del Po — quella del maiale è una vera e propria cultura. Per comprenderla a fondo è necessaria un’immersione totale nei rituali che compongono la lavorazione e la preparazione, secondo procedimenti antichi che godono delle innovazioni ma mantengono il loro carattere sacrale. Solo vivendo davvero a contatto con chi ogni giorno alleva e conosce i suini è possibile apprendere, prima ancora delle tecniche, il senso e il significato di un’attività radicata e inscindibilmente legata al territorio. L’Hosteria del Maiale dell’Antica Corte Pallavicina — nelle cui storiche cantine, le più antiche del mondo attive, viene stagionato il Culatello di Zibello, a cui è dedicato anche un museo — è uno dei punti nevralgici di questa storia. E per sei giorni, dal 18 al 23 febbraio, il laboratorio enogastronomico dei fratelli LUCIANO e MASSIMO SPIGAROLI diventa il teatro di Pig Full Immersion, un viaggio nel mondo della salumeria nel luogo in cui la razza Nera parmigiana viene allevata con i cereali coltivati sul posto, tra bovini di razza Bianca, anatre e faraone, vigneti di uva Fortana, pioppi, frutta e verdure di stagione. Con l’obiettivo di favorire una visione olistica e integrata per una maggiore consapevolezza di gestione del prodotto, il corso si rivolge a professionisti e curiosi e intende approfondire alcuni aspetti relativi alla lavorazione del maiale senza trascurare l’importanza della conoscenza di molte altre variabili, tra cui la storia dell’agricoltura, con un focus particolare sulla zootecnica suina, le diverse razze suine e il comportamento delle loro carni una volta macellate, la produzione dei salumi, la loro conservazione e le tecniche di servizio. Le attività della settimana — che costituiscono il programma di un corso volto all’ottenimento di uno specifico diploma — prevedono la visita completa all’azienda agricola dell’Antica Corte Pallavicina, la lavorazione delle carni di maiale (sezionamento e salatura), la preparazione di salami, cotechini, ciccioli, cicciolata e mariole, la legatura dei culatelli, delle coppe, dei preti, delle spalle, dei lombi, dei fiocchetti e delle pancette e un corso di cucina dal tema. Il costo del corso è di 2.200 euro a persona comprensivo di pernottamento e colazione per cinque notti, cene, visite, pranzi e pranzi leggeri (photo © Antica Corte Pallavicina). www.anticacortepallavicinarelais.it

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MILANO La 16a edizione di Identità Golose si terrà dal 7 al 9 marzo presso il MiCo – Milano Congressi. Scrive PAOLO MARCHI, creatore e curatore del congresso, che quest’anno il filo conduttore sarà un tema particolarmente importante: “Il senso di responsabilità”. “Oggi più che mai è il momento delle scelte. Chi popola a ogni livello il mondo della ristorazione ha modo di accedere a così tante fonti d’informazione che suona anacronistico e colpevole pensare di non essere interconnessi con tutti ai quattro angoli del pianeta. Ci si può informare senza fatica alcuna, a patto però di volerlo per davvero e non per finta, continuando a rimandare scelte importanti e inevitabili. Tutti dobbiamo avere ben presente il valore più importante di tutti, che viene prima di qualsiasi legge, norma o regolamento: il senso di responsabilità. Tali i problemi che investono la Terra e chi l’abita, da non potersi più rinchiudere nel proprio microcosmo, un ristorante o una redazione, una cantina o una pasticceria, subendo passivamente quanto accade tutt’attorno. Abbiamo una coscienza, usiamola per fare subito ciò che possiamo e dobbiamo prima ancora che leggi o regolamenti ce ne impongano l’obbligo”. www.identitagolose.it FIRENZE Taste, il salone dedicato alle eccellenze del gusto e del food lifestyle, si svolgerà dal 7 al 9 marzo negli spazi della Stazione Leopolda di Firenze. Salotto italiano del mangiar bene all’interno del quale ogni anno si danno appuntamento i migliori operatori internazionali dell’alta gastronomia, Taste è e resta uno degli eventi più interessanti sul mercato italiano per cogliere tendenze e novità nel mondo della salumeria e del food di qualità. Ricordiamo anche FuoriDiTaste, il programma off di Pitti Taste che si svolge in parallelo al salone con cene, degustazioni, installazioni, talk e tanti nuovi modi conviviali di interpretare il gusto. Un ricco calendario — circa 100 gli appuntamenti della passata edizione — che raccoglie una selezione sempre più speciale di iniziative (photo © facebook.com/tastefirenze). www.pittimmagine.com/corporate/ fairs/taste.html

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IMMAGINI

Poke, ramen, zuppe, insalate, sono tutti piatti serviti in ciotole e tazze, che si consumano abitualmente tenendoli stretti tra le mani. “Il pianeta della cucina e della gastronomia cambia con la mondializzazione dei costumi e degli stili alimentari e anche nel mondo occidentale, dove predomina il senso della vista e il cibo trionfa sul piatto piano o poco incavato, assistiamo al ritorno della tazza o ciotola che arriva dalla cultura gastronomica asiatica, soprattutto cinese, la quale attribuisce un’importanza fondamentale ai valori tattili, con la ciotola che va stretta fra le mani e trasmette il calore degli alimenti”. Il prof. Giovanni Ballarini, nel suo articolo “Il ritorno della tazza” a pagina 124, fa luce su questa tendenza che in realtà ha radici antichissime (photo © Viktor Kochetkov).

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Strada Comunale del Cristo, 12/14 41014 Solignano di Castelvetro - MO - Italy Tel. +39 059 532007 - Fax +39 059 532038 www.bpprosciutti.it - www.suincom.it


TENDENZE

LE OFFERTE PIÙ AMBITE DAGLI ITALIANI? Smartphone, televisori e formaggi

Un popolo di santi, poeti, navigatori e di… mangiatori di formaggio. ShopFully, la società italiana attiva nel segmento del mobile-to-store e proprietaria del marchio DoveConviene, ha analizzato quali sono stati durante l’anno appena trascorso i prodotti in offerta che hanno maggiormente attirato l’attenzione di oltre 25 milioni di Italiani. E se in testa alla classifica, senza troppe sorprese, troviamo saldamente gli smartphone, seguiti da televisori e TV al plasma e computer portatili e notebook, prime in assoluto nella categoria food — e settime nella classifica complessiva —, emergono le offerte legate ai prodotti caseari. Gli Italiani sembrano infatti amare particolarmente i formaggi, tanto da aspettare le promozioni su questi prodotti quasi con lo stesso interesse che riservano ai grandi elettrodomestici. Sorprende registrare come, ad esempio, l’attenzione riservata alle offerte verso i formaggi sia nettamente superiore a quella dedicata ai tablet, all’ottava posizione in questo ranking di fine anno (fonte: ufficio stampa ShopFully – Community Group; photo © Africa Studio – stock.adobe.com).

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SALUMI & CO.

Giocare con le

illustrazioni

Lui è un artista tedesco che vive a Monaco di Baviera. I suoi disegni sono caratterizzati da un tratto acceso e molto vivace. Un’idea per decorare la propria bottega e dare un tocco originale al proprio locale, magari giocando col tema dell’illustrazione (instagram.com/yeyeweller).

Maiale IN PORCELLANA Bella la collezione di piatti in porcellana Fine China dei britannici Chase and Wonder. Il nostro preferito è naturalmente Pig, che rende onore alla materia prima per eccellenza delle produzioni salumiere. Da utilizzare a tavola e, perché no, da esporre in bottega, magari insieme a qualche altro piatto (photo © Chase and Wonder; www.chaseandwonder.com).

Una shopper che

PARLA DI NOI La sostenibilità è uno dei grandi driver che sempre più inciderà nelle scelte dei consumatori. Per dare un segnale alla propria clientela si può investire nell’omaggio di una bag riciclabile di cotone, magari in maglia di rete. Sta in poco posto e può essere di colori diversi. Sul web sono numerosi gli store che offrono prodotti di questo tipo, con ampia scelta tra quantità e gamma colori (photo © gate.shop).

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Per chi la mortadella la vuole rigo rigorosamente o col pistacchio, è nata una nuova Favola. Impasto delicato e profum profumato m come sempre, ma con qualcosa in più: il gusto dei migliori pistacc pistacchi c della Sicilia. Sempre più inimitabile fuori, grazie alla legatura a mano in colore verde, e ancor più inconfondibile dentro.

www.mortadellafavola.it www w


FOTOGRAFATI E MANGIATI

SPIANATA calabrese Produttore: sconosciuto. Regione: Calabria. Ingredienti: carne di suino, sale, peperoncino. Senza: glutine. Descrizione: la spianata calabrese all’assaggio non presenta una piccantezza esagerata e in bocca risulta ben equilibrata. Per la sua realizzazione la carne di maiale magra è finemente macinata, dopodiché si unisce il lardo tagliato a dadi. Segue la concia con sale e peperoncino, l’insacco in budello naturale e la pressatura che conferisce la forma schiacciata da cui prende il nome il salume. In abbinamento a: rosato Grayasusi Etichetta Argento dell’Azienda Agricola Ceraudo di Strongoli (KR).

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Produttore: Villani Salumi. Regione: Emilia-Romagna. Ingredienti: carne suina, sale, tartufo, spezie (pepe bianco in grani, macis, chiodi di garofano e cannella) Senza: glutine e derivati del latte. Descrizione: è una pancetta italiana senza cotenna, all’assaggio delicata e dal gusto raffinato. “Dopo il condimento con sale e spezie (...), viene lasciata a riposo. Quindi viene farcita con tartufo estivo tritato, poi cucita a mano lungo i due lembi e insaccata. Segue la pressatura tra le due stecche e la stagionatura per almeno 3 mesi”. www.villanisalumi.it

In abbinamento a: crostini caldi, crescentine, gnocco ingrassato.

TARTUFÒ PANCETTA al tartufo

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LETTERE ALLA REDAZIONE Prodotti di origine animale per la vendita diretta in macelleria o ad esercizi a livello locale Salve, siamo una macelleria con annesso laboratorio autorizzato per la produzione di salumi. Vendiamo i salumi da noi prodotti sia all’interno della nostra macelleria (la maggior parte), sia in altri market e macellerie sempre nell’ambito della nostra provincia. Volevamo sapere se possiamo produrre anche la salumeria cotta, come ad esempio gelatina, ciccioli, trippa, ecc… Distinti saluti. E-mail firmata La risposta al quesito I prodotti di origine animale elencati dal lettore sono riconducibili, secondo il Regolamento (CE) n. 853/2004, alle categorie: • prodotti a base di carne (sezione VI), come le carni cotte, la trippa cotta, i prodotti di salumeria cotti (soppressate, prosciutto cotto, mortadella, ecc…); • ciccioli (sezione XII); • gelatina (sezione XIV).

Le carni trasformate e i prodotti da esse derivati possono essere prodotti nell’esercizio di macelleria secondo il concetto ormai esteso di “bottega della carne”. Per la loro produzione occorrono adeguati spazi ed attrezzature atte alla preparazione, al trattamento termico, alla conservazione e all’esposizione, ma anche all’abbattimento della temperatura se si tratta di prodotti che devono poi essere refrigerati per essere conservati, trasportati e venduti a temperatura controllata. In alternativa, i prodotti cotti, se destinati ad essere consumati caldi, possono essere mantenuti, con l’ausilio di contenitori e vetrine riscaldati, ad una temperatura di almeno 65 °C, per impedire la moltiplicazione dei microrganismi eventualmente sopravvissuti alla cottura (ad esempio, batteri sporigeni) o di quelli reinsediatisi nell’alimento a seguito di ricontaminazione. I prodotti di origine animale preparati nel laboratorio strutturalmente connesso alla macelleria possono essere venduti direttamente al consumatore finale nell’esercizio stesso nel rispetto

Ciccioli frolli. Specialità tipica dell’Emilia-Romagna, i ciccioli frolli sono ottenuti dalla fusione dei grassi del maiale e dalla filtratura dello strutto (photo © Isabella – stock.adobe.com).

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dei soli requisiti previsti dall’allegato II al Regolamento n. 852/2004. L’esercizio è soggetto a notifica ai sensi dell’art. 6 dello stesso Regolamento (ora: SCIA sanitaria). I prodotti possono anche essere ceduti dal produttore ad altri esercizi al dettaglio e di somministrazione, senza necessità di ottenere il riconoscimento ai sensi del Reg. (CE) n. 853/2004, purché tale attività sia “marginale, localizzata e ristretta”: vale a dire, purché la cessione a queste tipologie di stabilimenti non sia prevalente (rispetto a quella di vendita al consumatore finale) in termini di volumi e si svolga nel territorio della Provincia e delle Province contermini (si vedano le Linee guida applicative del Regolamento n. 853/2004/CE, di cui all’Accordo della Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, n. 253/CSR del 17/12/2009). Per la verifica della sussistenza dei requisiti e dell’effettiva fattibilità nei locali disponibili, può essere utile confrontarsi preventivamente con il servizio di Igiene degli Alimenti di origine animale della Azienda Sanitaria locale, se necessario richiedendo un parere preventivo. Nel caso di cessione ad altri esercizi di vendita e somministrazione occorre che l’impresa produttrice sia dotata di adeguati veicoli/attrezzature per effettuare il trasporto rispettando i requisiti di igiene e temperatura. È necessario altresì garantire la rintracciabilità mediante corretta documentazione commerciale e la fornitura, durante la transazione, delle informazioni destinate al consumatore (etichettatura), sia nel caso di prodotto preimballato che nel caso di prodotto venduto sfuso, secondo quanto previsto dalla normativa vigente. Tutta l’attività deve essere gestita con l’applicazione di adeguate procedure basate sul sistema HACCP, nonché di corrette prassi igieniche e di lavorazione (GHP e GMP). Tutto il personale coinvolto, anche se già in regola con gli obblighi formativi previsti secondo le modalità stabilite dalla Regione competente, deve essere sottoposto ad aggiornamento / addestramento in riferimento alle nuove produzioni introdotte. Dott. Marco Cappelli Tecnico della Prevenzione ASL 5, La Spezia

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Teresa Bellanova: «nel mix tradizione e innovazione c’è uno dei tratti distintivi del nostro agroalimentare»

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«Le aziende visitate stamane confermano ancora una volta di più, se ce ne fosse il bisogno, la qualità dell’impresa dell’agroalimentare in questo territorio, vera e propria punta di diamante del Sistema Italia anche per la capacità di tradurre una gloriosa tradizione alimentare in un’eccellenza internazionale, con imprese che si confermano player globali». Così la ministra delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali TERESA BELLANOVA a conclusione del tour che ad inizio gennaio, nel Parmense, ha fatto tappa in alcune aziende: Stalla sociale San Martino, Prosciuttificio Galloni, Salumificio Ermes, Azienda agricola Palazzo Castellaro. «È evidente — ha aggiunto la ministra — l’urgenza che queste e le altre imprese del nostro sistema agroalimentare esprimono: politiche di sistema che le sostengano nelle loro coraggiose strategie di posizionamento internazionale e nell’innovazione, soprattutto di processo. Esigenze cui rispondiamo già in questa Legge di bilancio con le misure, tra le altre, a sostegno delle filiere, dell’export, degli investimenti in innovazione, e con Agricoltura 4.0. Ovviamente, e per quanto riguarda l’agricoltura in modo specifico, è determinante la qualità dell’azione regionale. Con la messa a punto di strategie e azioni che, come in questo caso, hanno sostenuto e sostengono innovazione, formazione, qualità, competitività. Il che ci conferma nel ruolo essenziale che le regioni dovranno avere anche nella nuova PAC» (fonte: MIPAAF; photo © www.facebook.com/teresabellanovaufficiale).

Una sinfonia di prelibatezze

BERNARDINI GASTONE SRL - CENAIA CRESPINA (PISA) - TEL. 050 644100 WWW.BERNARDINIGASTONE.IT


CALENDARIO FIERE

Fiere, eventi, convegni

2020

ITALIA PACKAGING SPEAKS GREEN Bologna, FICO Eataly World 20-21 febbraio Organizzazione: UCIMA (Unione Costruttori Italiani Macchine Automatiche per il Confezionamento e l’Imballaggio) Fondazione FICO Eataly World Tel. 059 512146 info@ucima.it packagingspeaksgreen.com/it REFRIGERA FORUM MEDITERRANEO Caserta, Golden Tulip Plaza 5 marzo Organizzazione: A151 Srl Tel. 02 66306866 events@refrigera.show refrigera.show IDENTITÀ GOLOSE Milano, MiCo – Milano Congressi 7-9 marzo Organizzazione: Magenta Bureau Tel. 02 48011841 info@magentabureau.it www.identitagolose.it TASTE E FUORI DI TASTE Salone dedicato alle eccellenze del gusto e del food lifestyle Firenze, Stazione Leopolda 7-9 marzo Organizzazione: Pitti Immagine Tel. 055 36931 info@pittimmagine.com pittimmagine.com/corporate/fairs/ taste.html

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B/OPEN – Bio foods & natural self-care trade show Verona, Veronafiere 1-3 aprile Organizzazione: Veronafiere Tel. 045 8298258 info@b-opentrade.com www.b-opentrade.com SALUMI DA RE Polesine Zibello (PR), Antica Corte Pallavicina 4-6 aprile Organizzazione: Gambero Rosso gambero@gamberorosso.it segreteria@salumidare.it www.salumidare.it FORMAGGIO IN VILLA Rassegna nazionale dei migliori formaggi italiani SALONE DELL’ALTA SALUMERIA Cittadella (PD) 4-6 aprile Organizzazione: Guru Comunicazione segreteria@gurucomunicazione.it www.formaggioinvilla.it VINITALY – Salone internazionale dei vini e distillati Verona, Veronafiere 19-22 aprile Organizzazione: Veronafiere Tel. 045 829811 www.vinitaly.com SOL & AGRIFOOD Salone Internazionale dell’Agroalimentare di Qualità

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Verona, Veronafiere 19-22 aprile Organizzazione: Veronafiere Tel. 045 8298111 www.solagrifood.com

CIBUS – Salone Internazionale dell’Alimentazione Parma 11-14 maggio Organizzazione: Fiere di Parma Spa Tel. 0521 9961 cibus@fiereparma.it www.cibus.it

Tel. 0331 518056 info@imeat.it www.imeat.it SANA – Salone internazionale del Biologico e del Naturale Bologna, Bologna Fiere 11-14 settembre Organizzazione: BolognaFiere Spa Tel. 051 282351 sana@bolognafiere.it www.sana.it FLAVOR – The premium Ho.re.ca. trade event Firenze, Fortezza da Basso 4-6 ottobre Organizzazione: Pitti Immagine Fiere di Parma exhibitor@flavorfirenze.com www.flavorfirenze.com

MEATY – Innovazione per l’industria delle carni Bologna, Bologna Fiere 15-16 maggio Organizzazione: Ecod Srl Tel. 0331 518056 www.ecod.it

TERRA MADRE SALONE DEL GUSTO Torino, Lingotto Fiere 8-12 ottobre Organizzazione: Slow Food info.eventi@slowfood.it salonedelgusto.com www.slowfood.it

iMEAT FARM – Convegno esposizione dedicato alle carni d’eccellenza, dall’allevamento alla vendita, alla ristorazione giugno (sede e date da definire) Organizzazione: Ecod Srl

GOLOSARIA Milano, MiCo – Milano Congressi 31 ottobre-2 novembre Organizzazione: Comunica Srl Tel. 0131 261670 info@comunicaedizioni.it www.golosaria.it

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ESTERO WINTER FANCY FOOD SHOW San Francisco (USA) 19-21 gennaio Organizzazione: Specialty Food Association Tel. +1 646 8780301 membership@specialtyfood.com www.specialtyfood.com GULFOOD Dubai (EAU) 16-20 febbraio Organizzazione: Dubai World Trade Center Tel. +971 4 3321000 info@dwtc.com www.gulfood.com ANUGAFOOD CHINA Shenzhen (Cina) 15-17 aprile Organizzazione: Koelnmesse Srl www.koelnmesse.it www.anufoodchina.com SIAL MONTRÉAL Montréal (Canada) 15-17 aprile Organizzazione: Expo Canada-France www.sial-network.com www.sialcanada.com ALIMENTARIA – INTERCARN HOSTELCO Barcellona (Spagna)

20-23 aprile Organizzazione: Alimentaria Exhibitions www.alimentaria.com www.hostelco.com INTERPACK Processing & Packaging Düsseldorf (Germania) 7-13 maggio Organizzazione: Messe Düsseldorf www.interpack.com SIAL CHINA Shanghai (Cina) 13-15 maggio Organizzazione: Comexposium Paris Tel. + 33 1 7677 1333 exhibit.sialchina@sial-network.com www.sialchina.com PLMA INTERNATIONAL Amsterdam (Olanda) 26-27 maggio Organizzazione: Private Label Manufacturers Association Tel. +31 20 5753032 www.plmainternational.com THAIFEX ANUGA CHINA Bangkok (Tailandia) 26-30 maggio Organizzazione:

Koelnmesse Srl Tel. 02 8696131 www.koelnmesse.it www.thaifex-anuga.com SUMMER FANCY FOOD SHOW New York (USA) 28-30 giugno Organizzazione: Specialty Food Association Tel. +1 646 8780301 www.specialtyfood.com SIAL INDIA Nuova Delhi (India) 17-19 settembre Organizzazione: Promosalons Inter Ads Exhibitions www.sial-network.com FOODTECH BARCELONA Barcellona (Spagna) 6-9 ottobre Organizzazione: Alimentaria Exhibitions www.alimentariafoodtech.com SIAL PARIS – Salone Internazionale dell’Alimentazione Parigi (Francia) 18-22 ottobre Organizzazione: Comexposium exhibit@sialparis.com www.sialparis.com

Le date e i luoghi delle fiere sono soggetti sempre a variazioni. Si consiglia chi è interessato a partecipare a una fiera ad accertarsi, presso gli organizzatori, del luogo e della data. Si declina pertanto ogni responsabilità per eventuali inesattezze.

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20° SALONE INTERNAZIONALE DELL’ALIMENTAZIONE

parma

11/14MAGGIO2020

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LEGISLAZIONE

SUGAR E PLASTIC TAX: il conto di fine anno per le imprese RIBATTEZZATO IL “PRIMO ATTO NORMATIVO DEL GREEN NEW DEAL” DAL MINISTRO DELL’AMBIENTE SERGIO COSTA, IL COSIDDETTO DECRETO CLIMA, VIENE CONVERTITO IN LEGGE. MA CHI NE SOPPORTA GLI ONERI? di Sebastiano Corona

È

un provvedimento complesso quello discusso a fine 2019, che contiene una lunga serie di misure che rispondono agli obblighi previsti dalla Direttiva comunitaria sulla qualità dell’aria e il contrasto

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al cambiamento climatico. L’obiettivo è quello di limitare comportamenti ad alto impatto ambientale, migliorare la qualità della vita e incentivare proposte verdi. L’elenco delle azioni previste è lungo e solo in parte relativo al comparto

agroalimentare: incentivi per chi rottama auto e scooter inquinanti, finanziamenti alla pubblica amministrazione per progetti green, il buono mobilità — cioè un beneficio per chi rottama auto o motocicli — abbonamenti al trasporto

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pubblico locale, in determinate regioni, solo per citarne alcune. Sono numerosi anche i provvedimenti a favore dei comuni, come il rinnovo delle dotazioni degli autoveicoli, con acquisto o noleggio di mezzi ad energia elettrica o ibrida o alimentati ad idrogeno, e gli elettrodotti della rete di trasmissione nazionale. Per questo complesso piano di investimenti il Governo mette a disposizione un fondo con una dotazione di 4,24 miliardi di euro e un fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, istituito presso la Cassa Depositi e Prestiti. Tra gli interventi piĂš significativi, vi è il varo di un Programma Strategico Nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualitĂ dell’aria e l’istituzione, presso il Ministero dell’Ambiente, del Tavolo interministeriale permanente sull’emergenza climatica. Viene potenziata l’operativitĂ di misure agevolative giĂ esistenti per la realizzazione di progetti economicamente sostenibili, in linea con la decarbonizzazione dell’economia, l’economia circolare, l’adattamento e la mitigazione dei rischi sul territorio derivanti dal cambiamento climatico e, in generale, programmi di investimento o progetti a carattere innovativo e a elevata sostenibilitĂ ambientale, che tengano conto degli impatti sociali.

Azioni per lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, ma anche il bonus facciate: tutto questo e molto altro è contenuto nel Decreto Clima. E ancora: in campo edile è prorogato il credito d’imposta per l’efficienza energetica con le detrazioni per le spese di ristrutturazione edilizia, che comprendono l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici; ci sono la conferma del bonus verde per sistemare giardini e terrazzi, le royalties idrocarburi, lo sconto in fattura per la ristrutturazione energetica dei condomini e il cosiddetto Smart city, programma per la qualitĂ dell’abitare, progetti di messa a dimora di alberi, di reimpianto e di silvicoltura e per la creazione di foreste urbane e periurbane, nelle cittĂ metropolitane. Ăˆ rifinanziato anche il Fondo per la qualitĂ dell’aria e nasce, nel contempo, il programma sperimentale Caschi verdi per l’ambiente, con l’obiettivo di realizzare iniziative di collaborazione internazionale volte alla tutela e salvaguardia ambientale delle aree nazionali protette e delle altre aree riconosciute in ambito internazionale, per il particolare pregio naturalistico. Il decreto comprende azioni di supporto all’imprenditoria giovanile e femminile, la rigenerazione urbana, il turismo sostenibile e una disciplina incentivante per gli esercenti impianti di produzione di energia elettrica esi-

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Ad oggi, diversi Paesi UE hanno giĂ introdotto forme di tassazione sulla plastica, piĂš nello specifico su singoli tipi di plastica e su determinati usi (come gli imballaggi). Tra questi il Belgio, la Danimarca, l’Estonia, la Finlandia, la Lettonia, i Paesi Bassi e la Slovenia (photo Š www.dinamopress.it).

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La legge di bilancio 2020 prevede una tassa sulle bevande zuccherate. stenti alimentati a biogas, realizzati da imprenditori agricoli. Ma ciò che più interessa le imprese sono certamente alcune iniziative specifiche ad esse dirette, che avranno anche conseguenze sul piano economico e pratico. I contributi ai negozi, per esempio, prevedono che gli esercenti che dedicano spazi specifici alla vendita di alimentari e detergenti sfusi possano beneficiare di un sostegno finanziario fino a 5.000 euro per le spese sostenute per l’allestimento del cosiddetto green corner. I contenitori proposti dai commercianti non possono essere monouso ma solo riutilizzabili e idonei al contatto con gli alimenti. Il decreto ammette la possibilità, per gli acquirenti, di utilizzare propri contenitori, purché siano riutilizzabili, puliti e idonei al contatto con gli alimenti. Spetta all’esercente valutare che abbiano i suddetti requisiti e nel caso, rifiutarsi di utilizzarli. Il punto vendita non è infatti sollevato dalle proprie responsabilità sul piano dell’igiene dei prodotti da lui venduti, con tutte le conseguenze che ne possono derivare. Insomma, uno di quei provvedimenti pensati con le migliori intenzioni che rischia di ge-

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nerare alle imprese problemi seri nella sua applicazione. La norma che maggiormente ha destato l’interesse dell’opinione pubblica — e non solo — è però la cosiddetta Plastic tax, l’ennesimo balzello per un ammontare di 45 centesimi al chilogrammo sull’impiego di manufatti in plastica monouso destinati a contenere o proteggere il cibo nella fase di manipolazione o nella consegna. Sono esclusi dalla norma i prodotti compostabili, di plastiche riciclate e i dispositivi biomedicali. L’emendamento che introduce le disposizioni prevede inoltre un credito di imposta alle imprese operanti nel settore delle materie plastiche per l’adeguamento tecnologico finalizzato alla produzione di manufatti compostabili. Insomma, il Governo non ha tenuto conto delle numerose rimostranze di chi, in merito alla questione, chiedeva che fossero considerate le caratteristiche di riciclabilità dei manufatti, escludendo o limitando fortemente la tassa in tutti i casi di mancata possibilità di sostituzione. D’altronde, la misura punitiva viene introdotta in assenza di un progetto

alternativo concreto e di un programma di riallocazione delle risorse negli stessi settori coinvolti. Non è nemmeno prevista una campagna forte di educazione, sensibilizzazione e informazione e non esiste una reale prospettiva che, al di là dell’imposta, ci possa essere un miglioramento in termini di uso e riciclo della plastica stessa. La direzione presa non sembra tuttavia modificabile, anzi. La versione licenziata è già mitigata rispetto a quella iniziale che prevedeva addirittura un’imposta per 1 euro al chilogrammo. Anche in Europa la tendenza è la stessa: l’ipotesi paventata dalla Commissione europea dell’introduzione di una tassa sulla plastica non riciclata sta raccogliendo ampio consenso tra gli Stati Membri, tanto più che, da una prima stima, essa genererebbe introiti per 6,6 miliardi. Risorse preziose, anche alla luce delle minori entrate che deriveranno d’ora in poi dalla Brexit. Bisogna inoltre ricordare che su determinate tipologie di plastica e imballaggi l’Italia non è la prima ad aver introdotto delle imposte. La Plastic tax non è in assoluto una novità nostrana, anche se così la si vuole far passare, nel bene e nel male, ma è pur vero che i termini della sua applicazione e le caratteristiche della misura nei diversi Stati sono differenti e questo rende ogni caso diverso e a sé stante. Ma la cosiddetta tassa sulla plastica — il nome è improprio visto che stiamo in realtà parlando di un’imposta — si somma in Italia ad una lista di balzelli già di per sé odiosi ed eccessivi. Non bastasse, in certi prodotti, come le bevande analcoliche e i succhi di frutta contenenti edulcoranti aggiunti, la legge di Bilancio 2020 ha introdotto la Sugar tax, un’ulteriore tributo sul consumo, generando risultati che le imprese del settore non esitano a definire nefasti. Scatterà infatti da ottobre prossimo anche quest’ultima imposta, che graverà per 10 centesimi di euro al litro. Una mannaia per il settore. Diverse imprese, all’indomani dell’introduzione dei due obblighi, minacciano licenziamenti e delocalizzazioni, tanto più che due provvedimenti di questa portata, introdotti contemporaneamente, appaiono eccessivi e volutamente discriminatori. L’Italia affronta in modo discutibile un problemi

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relativo, se si considera che nel Belpaese il consumo pro capite delle bibite è il più basso in Europa. Non si rileva dunque emergenza alcuna. Da CONFINDUSTRIA arriva un giudizio netto e impietoso: “la Plastic tax non comporta benefici ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti e rappresenta unicamente un modo per acquisire risorse, pari a circa 1,1 miliardi di euro nel 2020, 1,8 nel 2021 e 1,5 nel 2022”. La Plastic tax, secondo la Confederazione degli industriali, danneggerebbe infatti pesantemente un intero settore produttivo, con effetti negativi anche per la chimica e per i comparti utilizzatori di imballaggi, come alimentare e bevande appunto. In più, darebbe vita ad una doppia imposizione, considerato che le imprese pagano già anche il contributo ambientale CONAI per la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica, determinando un aumento medio pari al 10% del prezzo di prodotti di larghissimo consumo. Il risultato sarà un indebolimento della domanda interna, visto che inciderà sulla spesa delle famiglie per 109 euro circa all’anno, affermano da via dell’Astronomia. E alla grande industria fa eco la cooperazione dove, il presidente dell’Alleanza delle Cooperative MAURO LUSETTI, definisce Sugar e Plastic tax due interventi non inquadrati in una logica sistemica e, come tali, suscettibili di produrre effetti negativi, scaricando nuovi costi sulle imprese. La seconda delle due, in particolare, secondo Lusetti, “costituisce un onere particolarmente pesante per l’industria del confezionamento, con un potenziale raddoppio del costo del prodotto al netto dell’IVA, minando la competitività delle imprese sui mercati internazionali”. Insomma, in nome dell’ambiente si parte col piede sbagliato. Sebastiano Corona Nota A pagina 26 photo © quifinanza.it; ad ottobre Plastics Europe (l’associazione europea dei produttori di materie plastiche) ha pubblicato il rapporto “Plastics. The Facts 2019”, con alcuni dati sulla produzione europea di plastica e i suoi consumi. Nel 2018, nei 28 Stati Membri dell’UE (cui si aggiungono Norvegia e Svizzera) sono state prodotte 61,8 milioni di tonnellate di plastica.

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ATTUALITĂ€

ALIMENTI E BUROCRAZIA Decine, centinaia di adempimenti sono la quotidianitĂ nella vita delle aziende, con differenze da Nord a Sud e da comune a comune: lo strano caso del consumo di cibo fuori casa di Sebastiano Corona

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è un mostro che aleggia sulle imprese italiane, che, oltre a generare enormi perdite di tempo, rappresenta un costo altissimo. È infatti calcolato in 31 miliardi l’esborso per oneri amministrativi che il tessuto produttivo nazionale deve sopportare e che va a sommarsi ad una pressione fiscale già elevatissima. Secondo CONFINDUSTRIA, il costo della burocrazia è stimato variare, in un anno, dai 108.000 euro per una piccola impresa ai 710.000 euro per un’azienda di medie dimensioni. Non bastasse, gli aggravi sono in aumento, perché nel 2019 gli adempimenti introdotti sono stati più di quelli eliminati e tutto questo costerà alle PMI, 36 milioni in più. Nessuna volontà di sburocratizzare dunque. Nessuna intenzione di alleggerire procedure e fastidi che migliorerebbero di molto la vita degli imprenditori, portando l’Italia in una posizione più vicina ai grandi Paesi industrializzati. Non a caso in una recente indagine richiesta dalla Commissione Europea sulla qualità della Pubblica Amministrazione, emerge che su 28 Paesi monitorati, l’Italia si colloca al 230 posto. Un risultato che ci pone ai margini della graduatoria con Ungheria, Croazia, Grecia, Romania e Bulgaria, le uniche che registrano performance peggiori alla nostra. Secondo l’Osservatorio sulla Semplificazione di ASSOLOMBARDA CONFINDUSTRIA MILANO e MONZA BRIANZA, il peso della burocrazia sul fatturato incide per il 4% nelle piccole imprese e per il 2,1% nelle medie. Il paradosso è dunque, tra gli altri, il fatto che per un’azienda di modeste dimensioni, che per sua natura ha anche meno disponibilità e mezzi, l’aggravio è maggiore e per questo ancor più iniquo e odioso. Anche in termini di tempo, gli adempimenti amministrativi si traducono nell’impegno di un addetto dedicato tra i 45 e i 190 giorni all’anno. Il problema non è tanto o solo quello di un eccessivo carico burocratico di per sé, quanto delle complicazioni che ne derivano: confusione tra norme, discrezionalità nella loro applicazione, disomogeneità dei procedimenti, lunghezza dei tempi di gestione delle procedure e difficoltà di comunicazione tra imprese e PA. Tra le procedure obbli-

C’ In basso: il 58% degli operatori finanziari internazionali ritiene che la prima causa del mancato investimento in Italia sia il carico normativo e burocratico. Un suo alleggerimento, da solo e a costi zero, contribuirebbe ad attrarre capitali esteri sul territorio. E un incremento dell’1% dell’efficienza della PA porterebbe a un aumento del PIL pro capite dello 0,9 (photo © stokkete – stock.adobe.com).

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gatorie, sembrano essere quelle relative all’ambiente a portare via più tempo e risorse. È infatti complesso reperire le informazioni di indirizzo sulle procedure, compilare richieste, progetti ed elaborati tecnici. Altre 200 ore circa si perdono a causa della disomogeneità e mancata razionalizzazione dei controlli. L’esame e il rilascio delle autorizzazioni richiede da 1 a 5 anni, fino ad arrivare a casi estremi che, per paradossi e assurdità, fanno talvolta notizia nelle cronache. Secondo CGIA MESTRE, sono sino a 60 le verifiche su impianti, scarichi, rifiuti e antincendio. In materia fiscale, invece, gli oneri fortunatamente scendono a 30, mentre per il lavoro si arriva a 21 e nel comparto amministrativo a 11. Al di là dei tempi previsti per legge, un’analisi reale può essere condotta solo interrogando le imprese sull’effettiva esperienza. Non è infatti tanto o solo dover compilare moduli, ingaggiare professionisti — di cui tra l’altro non si può mai fare a meno — e produrre documenti. Il problema è quanto accade strada facendo tra intoppi, integrazioni, modifiche e controlli. Il peso complessivo della burocrazia va valutato sommando oneri amministrativi iniziali a costi aggiuntivi e di mantenimento. A questi vanno sommate le consulenze e i cosiddetti costi ombra o quelli derivanti dalla mancata o ritardata messa in opera di un impianto. La burocrazia non è solo insopportabile di per sé: è soprattutto ciò che limita fortemente la competitività e l’attrattività del sistema Italia. Non è un caso se il 58% degli operatori finanziari internazionali ritiene che la prima causa del mancato investimento in Italia sia il carico normativo e burocratico (AIBE, 2014). Un suo alleggerimento, da solo e a costi zero, contribuirebbe ad attrarre capitali esteri sul territorio. Secondo un’analisi di CONFINDUSTRIA, un incremento dell’1% dell’efficienza della pubblica amministrazione porterebbe ad un aumento del PIL pro capite dello 0,9%. Anche per l’EUROBAROMETRO UE la complessità delle procedure amministrative è ritenuta un problema dall’84% degli imprenditori in Italia, contro il 60% della media UE, il 51% della Germania, il 46% della Spagna, il 19% del Regno Unito. E siccome gli adempimenti non sono

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Oggi ci sono molte nuove attività dove è possibile mangiare senza troppe cerimonie e in modo veloce, degustando quanto prodotto sul posto. Ma la nostra pubblica amministrazione non va di pari passo con le nuove modalità di fare impresa nel settore della somministrazione del cibo (photo © Igor Dutina). uguali ovunque, si riscontrano differenze territoriali anche significative. I problemi maggiori si rilevano al Sud. Secondo CONFARTIGIANATO, il Mezzogiorno presenta un valore dell’indice della burocrazia superiore del 48,2% a quello del Centro-Nord. A dirla tutta ci sono differenze, talvolta significative, persino da comune a comune, specie in certi settori. Multiformat: i nuovi trend del cibo si scontrano con normative e burocrazia Appare di assoluto interesse un recente studio di CNA condotto dall’Osservatorio Comune che vai, burocrazia che trovi e che porta il nome di Cibo ad ostacoli. Negli ultimi anni la vendita di prodotti alimentari non ha vissuto una ripresa completa nei canali della Distribuzione Moderna. Di contro, complici anche i nuovi ritmi della vita moderna, è però cresciuto, e in maniera significativa, il consumo di pasti fuori casa. Una nuova abitudine che si sta prepotentemente introducendo nella vita degli Italiani e che non sempre significa mangiare in un ristorante, almeno così come lo si intende nel senso classico del termine. Ci sono infatti molte nuove attività dove è possibile mangiare senza troppe cerimonie e in modo veloce, degustando quanto prodotto sul posto. Gli esempi sono innumerevoli: si pensi all’evoluzione che hanno subito le panet-

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terie negli ultimi anni. Oggi il multiformat rappresenta per quelle tipologie il 5%. Una percentuale già importante, ma destinata ad aumentare notevolmente, in quantità e qualità. Si tratta di una nuova modalità di fare impresa: un luogo in cui vengono realizzati e venduti pane e prodotti da forno, snack, pasti veloci e bevande calde e fredde. In certi casi anche la pasta fresca. È aperto da prestissimo per la vendita di pane e per le colazioni, prosegue all’ora di pranzo con un’offerta che comprende anche l’asporto, continua nel pomeriggio con la caffetteria, sino all’aperitivo serale e ad una nuova proposta di pizza. E ha la peculiarità che quanto viene consumato è stato interamente realizzato sul posto, quasi sempre con una produzione artigianale. Quello citato è un ottimo esempio, ma ce ne sono molti altri: si pensi alle pescherie dove è possibile consumare fritture o altri piatti a base di pesce. Oppure, le macellerie che ad una certa ora si trasformano in piccole taverne, dove degustare una bistecca appena scelta dal banco e magari cucinata a vista. E ancora: i laboratori di pasta fresca dove la sfoglia è tirata a mano davanti al cliente e si può ordinare subito un piatto di ravioli. Che dire poi delle gelaterie, delle gastronomie e delle molte altre attività artigianali dove il cliente ha piacere di consumare un boccone?

Sarebbe facile e naturale rispondere alle richieste di un mercato in evoluzione. Ma non lo è per la nostra pubblica amministrazione. I nuovi trend del cibo si scontrano infatti clamorosamente, con ostacoli normativi e burocratici, talvolta insormontabili. 120.000 imprese, 400.000 addetti, tra cui 71.000 pizzerie, rosticcerie, friggitorie, birrerie, 13.000 tra gelaterie e pasticcerie, 33.000 laboratori adibiti alla produzione di prodotti da forno e farinacei: moltissimi di questi vorrebbero somministrare i propri pasti e bevande nei locali produttivi, ma devono fare i conti con le regole, i limiti e le restrizioni del nostro ordinamento, con l’assurda aggravante che le disposizioni e i controlli possono essere profondamente differenti da regione a regione, da comune a comune. Perché le condizioni imposte a commercianti e artigiani sono differenti anche a parità di prodotto offerto. È un mondo difficile (vita intensa, felicità a momenti e futuro incerto) L’artigianato infatti, pur potendo contare su una legge quadro che lo tutela e ne riconosce le specificità, prevede come scopo prevalente la produzione di beni o la prestazione di servizi, ma esclude l’attività di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, salvo il caso che sia strumentale e accessoria. La loro

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mancata definizione rappresenta però un’enorme criticità e rende necessario un ulteriore titolo abilitativo per essere esercitata. È quello dell’esercizio di vicinato. Morale, mentre per le imprese agricole il legislatore si è espresso in maniera specifica, prevedendo ed incoraggiando la sua multifunzionalità, per l’artigianato questa strada è ancora tutta da percorrere. Per quegli artigiani che non possono o non intendono acquisire requisiti e condizioni per la somministrazione di alimenti e bevande si chiude un mercato. Per tutti gli altri che iniziano il percorso per diventare anche esercizio di vicinato, ci sono fino a 20 adempimenti da assolvere. Tra questi, è necessario aver frequentato un corso per il riconoscimento dell’idoneità alla somministrazione di alimenti e bevande che in province come Pistoia o Grosseto dura 80 ore, mentre in altre come Roma ne porta via 140, in una forbice all’interno della quale ci sono tutti gli altri territori d’Italia, ognuno con le sue regole e le sue prassi, inspiegabilmente così differenti tra loro da un luogo all’altro. Da un comune all’altro possono variare sensibilmente anche le modalità di vendita delle bevande strumentali al consumo sul posto. Ci sono comuni come Pesaro e Pescara dove una pizza al taglio può essere consumata nella pizzeria con una birra alla spina. Ci sono poi comuni come Biella, Civitavecchia, Ragusa, per citarne tre a caso, dove è

L’IMPOSSIBILITÀ PER L’ARTIGIANO CHE PRODUCE ALIMENTI DI SOMMINISTRARLI NEI SUOI LOCALI DI PRODUZIONE, INVECE DI GENERARE UNA NORMA CHE TENGA CONTO DI CIÒ CHE IL MERCATO CHIEDE, HA DATO VITA AD UN VADEMECUM DEL MANGIARE SCOMODO

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ammesso solo il distributore automatico di bevande. E altre invece come Bologna, Pavia, Grosseto, dove sono tollerate entrambe le modalità. Un mondo difficile e complesso, dunque, ma anche ingiustificatamente disomogeneo e diverso da zona a zona, nelle regole e nei diritti. Il detto “fatto e mangiato” non vale per il nostro Paese che ha fatto del buon cibo, del cibo locale e della vicinanza al territorio, la sua forza anche all’estero e in termini di promozione turistica. La mancata possibilità per l’artigiano che produce alimenti di somministrarli nei suoi locali di produzione, anziché portare ad una norma che tenga conto delle nuove e pressanti richieste del mercato, ha scatenato interpretazioni varie, generando una sorta di vademecum del mangiare scomodo riservato agli sfortunati clienti. Precisa la CNA: nei locali degli artigiani, gli arredi, i tavoli e le sedie non possono essere abbinati. Sono bandite le tovaglie di stoffa, i menù cartacei, le posate in metallo, i bicchieri in vetro, i piatti in ceramica. Quindi mangiare, per esempio, del pollo arrosto in una gastronomia/rosticceria, significa degustarla con forchette e tovaglioli monouso, in piedi o su scomodi sgabelli, la cui altezza non coincide con quella del piano d’appoggio. In più, il commensale deve andare personalmente al banco a ritirare il piatto, servirsi dal frigo per le bevande e smaltire tutto nel sacco dei rifiuti dopo aver finito. Non sono ammessi impianti alla spina e macchina professionale per il caffè e in ogni caso l’attività deve svolgersi su spazi di vendita limitati. In questa giungla normativa, dove anche le interpretazioni dei vari soggetti preposti si sprecano, sono ben 21 le autorità ispettive che possono eseguire i controlli. E nel frattempo, si sono espresse sia il Consiglio di Stato sia l’Antitrust. Quest’ultima, nel censurare alcune risoluzioni del MISE, ha rilevato che già il cd. Decreto Bersani aveva inteso coordinare con i principi di concorrenza tutte le attività di consumo sul posto “individuando la discriminante tra l’attività di somministrazione e quella di vendita da parte degli esercizi di vicinato, unicamente nella presenza o meno del servizio assistito”. Il Consiglio di Stato, invece, ha affermato che la disposizione degli arredi con abbinamento

tra tavoli e sedie, nonché la presenza di tavoli preparati con tovaglie, stoviglie e quant’altro occorra per il consumo sul posto dei prodotti acquistati nel locale, sono fattori del tutto irrilevanti e non forniscono elementi utili a connotare e distinguere l’attività di somministrazione tout court, da quella di consumo sul posto. Ma il Ministero dello Sviluppo economico, che in questi anni ha prodotto sul tema in oggetto ben 33 circolari, impone una linea fortemente restrittiva, riducendo i prodotti di gastronomia che gli artigiani possono proporre al consumo nei propri locali di vendita a panini, tramezzini, toast, sandwich e poco altro ancora. Così, per fare un esempio che probabilmente è più emblematico di altri, l’artigiano che produce gelato lo può vendere per il consumo sul posto ma senza creare le condizioni perché il cono venga degustato in tranquillità, magari seduti a tavolino. Quel cliente, secondo questo quadro normativo, dovrebbe ritirare il cono al banco e consumarlo per strada. Il bar che invece vende il gelato preparato da un altro artigiano o da un’industria può servirlo al tavolo ai propri clienti, che lo potranno assaporare in tutta tranquillità. Una consuetudine normativa fuori dal tempo e dalla logica, dove le regioni, che sarebbero potute intervenire, salvo l’eccezione della Lombardia, non hanno invece fatto altro che replicare schemi normativi e amministrativi di carattere nazionale. Aggiungendo così poco o nulla. In questo assurdo scenario, dove la burocrazia sembra mostrarsi in tutte le sue peggiori forme, CNA Agroalimentare lancia una proposta: abilitare le imprese artigiane al consumo sul posto dei propri prodotti e di quelli accessori introducendo il concetto di prevalenza dell’attività artigiana su quella commerciale, in base al maggior tempo impiegato nella produzione degli alimenti rispetto alla fase di vendita e al maggior ricavo derivante dalla vendita di prodotti di produzione propria rispetto a quella dei beni accessori. L’augurio è quello che il legislatore raccolga la richiesta e ne faccia tesoro. Non fosse per sburocratizzare, almeno sia per dare un nuovo slancio ad un’economia che ha ancora molto da esprimere, se solo le verrà data l’occasione. Sebastiano Corona

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CARNI SUINE TRASFORMATE, OK SULL’INDICAZIONE DI PROVENIENZA

L’etichettatura dei salumi è l’ultimo capitolo di una lunga battaglia condotta in nome della trasparenza (photo © www.sempionenews.it).

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o scorso fine dicembre è stata raggiunta l’intesa in Conferenza Stato Regioni sul decreto che introduce l’indicazione della provenienza per le carni suine trasformate, ovvero l’obbligo da parte di trasformatori e produttori di indicare l’origine dei suini. Il provvedimento prevede che i produttori indichino in maniera leggibile sulle etichette le informazioni relative a: “Paese di nascita” (nome del Paese di nascita degli animali); “Paese di allevamento” (nome del paese di allevamento degli animali); “Paese di macellazione” (nome del paese in cui sono stati macellati gli

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animali). Quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati nello stesso paese, l’indicazione dell’origine può apparire nella forma “Origine” (nome del Paese). La dicitura “100% italiano” è utilizzabile solo quando ricorrano le condizioni del presente comma e la carne provenga da suini nati, allevati, macellati e trasformati in Italia. Quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati in uno o più Stati Membri dell’Unione Europea o extra europea, l’indicazione dell’origine può apparire nella forma “Origine: UE”, “Origine: extra UE”, “Origine: UE e extra UE”. «Il via libera all’obbligo dell’etichettatura

d’origine su tutti i salumi è atteso dal 93% degli Italiani che ritengono importante conoscere l’origine degli alimenti e dire finalmente basta all’inganno di prosciutti e salami fatti con carne straniera ma spacciati per made in Italy» ha dichiarato il presidente Coldiretti Ettore Prandini, nell’esprimere soddisfazione per l’intesa raggiunta in Conferenza Stato Regioni sul decreto, fortemente voluto dall’associazione, che introduce l’indicazione della provenienza per le carni suine trasformate. Il settore della produzione di salumi e carne di maiale — ricorda COLDIRETTI — in Italia, dalla stalla alla distribuzione,

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vale 20 miliardi. «Occorre ora accelerare e compiere tutti i passi necessari per la definitiva entrata in vigore di un provvedimento che farà finalmente chiarezza rispetto ad una situazione che vede oggi tre prosciutti su quattro venduti in Italia fatti con cosce di maiali provenienti dall’estero, all’insaputa dei consumatori e facendo concorrenza sleale agli allevatori nazionali» ha aggiunto Prandini, sottolineando che «l’Italia, che è leader europeo nella trasparenza e nella qualità, ha il dovere di fare da apripista nelle politiche alimentari comunitarie». Le tappe di una battaglia per la trasparenza «L’etichettatura dei salumi è l’ultimo capitolo della storica battaglia per la trasparenza condotta da COLDIRETTI che, con la raccolta di milioni di firme, ha portato l’Italia all’avanguardia in Europa» prosegue Prandini. «L’obbligo di indicare in etichetta l’origine per pelati, polpe, concentrato e degli altri derivati del pomodoro era arrivato grazie alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 47

del 26 febbraio 2018, del decreto interministeriale per l’origine obbligatoria sui prodotti come conserve e salse, oltre al concentrato e ai sughi, che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro. Il 13 febbraio 2018 è entrato in vigore l’obbligo di indicare in etichetta l’origine del grano per la pasta e del riso, ma prima c’erano stati già diversi traguardi raggiunti: il 19 aprile 2017 è scattato l’obbligo di indicare il Paese di mungitura per latte e derivati dopo che il 7 giugno 2005 era entrato già in vigore per il latte fresco e il 17 ottobre 2005 l’obbligo di etichetta per il pollo made in Italy mentre, a partire dal 1o gennaio 2008, vigeva l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro». A livello comunitario — conclude Coldiretti — il percorso di trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza nel 2002, mentre dal 2003 è d’obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova e, a partire dal primo agosto 2004, l’obbligo

di indicare in etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto, mentre la Commissione europea ha recentemente specificato che l’indicazione dell’origine è obbligatoria anche su funghi e tartufi spontanei. Il raggiungimento dell’intesa è stato definito dal ministro dell’Agricoltura TERESA BELLANOVA un «passo importante verso la trasparenza. Ringrazio le Regioni e gli enti locali per l’intesa sul decreto, costruito insieme ai Ministeri dello Sviluppo economico e della Salute, che introduce l’obbligo di indicare l’origine delle carni suine trasformate. Questo provvedimento, atteso da molto tempo, conferma l’Italia all’avanguardia nella materia dell’etichettatura. Ora discuteremo con Bruxelles per l’autorizzazione dello schema nazionale e insisteremo con la Commissione UE per avere una legge europea per l’origine obbligatoria in tutti gli alimenti. È un diritto dei cittadini e dobbiamo garantirla». Fonti: EFA News – European Food Agency Coldiretti MIPAAFT


IL FOOD IN RETE

SOCIAL di Elena

2. I vini di Veronelli, nuova app 1. Cibo: quanto ne sai veramente? Quante volte nella corsia di un supermercato o in bottega abbiamo avuto l’esigenza di chiedere qualche consiglio su come interpretare un’etichetta, costruire un menù bilanciato, conservare e preparare i cibi in modo sano e sicuro? Da oggi c’è un servizio dedicato — e gratuito — utile per tutti i consumatori che vogliono informarsi meglio sull’acquisto degli alimenti, su come nutrirsi meglio, in sicurezza e in modo sostenibile, riducendo gli sprechi. CONFCONSUMATORI ha attivato lo sportello nazionale del progetto all’indirizzo www.piusaipiusei.org, finanziato dal Ministero dello Sviluppo economico (photo © piusaipiusei.org).

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La Guida Oro I Vini di Veronelli ha rinnovato la sua versione digitale: le 1.200 pagine dell’edizione 2020 sono, infatti, a portata di touch grazie ad una nuova applicazione, Guida Oro, disponibile su App Store e Google Play, che unisce un’interfaccia grafica intuitiva ad un software avanzato e affidabile. Particolare cura è stata posta nell’offrire al lettore delle funzioni di ricerca in grado di valorizzare al meglio il gran numero d’informazioni su aziende e vini, da sempre un tratto distintivo della Guida Veronelli. L’app consente di selezionare, tra le oltre 16.000 etichette recensite, i vini che meglio rispondono alle proprie preferenze: in questo ampio ritratto delle produzioni vitivinicole nazionali è possibile, infatti, definire le caratteristiche produttive (regione, annata, tipologia...), indicare le modalità di affinamento e la fascia di prezzo e, naturalmente, il livello qualitativo desiderato (photo © Banu Sevim).

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FOOD Benedetti

4. Authentico, no all’Italian Sounding

3. Salumi che passione È una bella pagina di Instagram quella di instagram.com/ salumichepassione che posta foto di salumi d’Italia. Amministrata da @nicolamarangia, è un vero e proprio atto d’amore verso una produzione, quella salumiera, che da Nord a Sud del Belpaese racconta il territorio attraverso salami, prosciutti e insaccati (photo © instagram.com/salumichepassione).

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www.authentico-ita.org è un progetto che ha richiesto oltre due anni di studio per conoscere e documentare i vari tentativi di imitazione dei prodotti enogastronomici italiani in giro per il mondo, ma, soprattutto, per comprendere le complesse dinamiche del mondo della produzione wine & food e della distribuzione moderna. Come funziona? Riconoscere se il prodotto è autentico made in Italy è semplice grazie alla funzione scansione del codice a barre presente sulla confezione. Puoi fare anche una foto al volo e, successivamente, effettuare la verifica in tutta comodità (photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com).

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L’EVOLUZIONE DELL’E-COMMERCE IN ITALIA CON IL CLICK & COLLECT Acquistare su web e ritirare il pacco dove si vuole all’ora che si vuole si può fare anche in Italia ed è la prossima frontiera della vendita on-line. Che può salvare anche i piccoli esercizi off-line

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n principio furono i TNT LOCKER, armadietti automatici dove ritirare i propri acquisti effettuati on-line: era il 2014 e l’Italia sperimentava il primo assaggio della prossima evoluzione dell’e-commerce, ovvero il click & collect, la possibilità di comprare sul web e far recapitare la merce in un deposito fisico diverso dal proprio domicilio, sempre più deserto. AMAZON sarebbe arrivata solo due anni dopo.

La promo del servizio di ritiro presso la macelleria australiana Wursthaus Kitchen (photo © wursthauskitchen.com.au).

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Come nasce il click & collect in Europa? E quanto vale? Si tratta di un servizio sempre più richiesto. È ad esempio in cima ai desiderata degli acquirenti on-line nordici e francesi, come cita NORDPOST. E anche in Italia la possibilità di scegliere dove farsi recapitare il proprio pacco diventa sempre più un fattore discriminante: influenza la scelta del 61% degli acquirenti, tanto che, se non c’è un’alternativa al recapito, è possibile che l’acquisto non venga portato a termine. Ma non è sempre stato così nello Stivale. Se nei Paesi nordici, così come in Francia, l’esigenza di avere un luogo flessibile dove farsi consegnare la merce ha radici nel commercio “da catalogo” (via telefono, via posta o via e-mail), in Italia questa dinamica non ha mai avuto molto successo. Nel frattempo, però, le portinerie private nei condomini si sono ridotte in maniera rilevante e le aziende ini-

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Coombe Farm Organic, macelleria in Somerset, Inghilterra, è strutturata per consegne a domicilio e in negozio, oltre che per acquisti on-line (photo © coombefarmorganic.co.uk). ziano a vietare la ricezione di pacchi soprattutto in periodi caldi come il Natale per problemi di sicurezza, di manleva ed organizzativi. Il risultato è che l’80% dei clienti dell’e-commerce non sa dove farsi consegnare la merce che acquista on-line. Nonostante ciò, il mondo del click & collect è un’opportunità ancora non

colta in Italia, dove solo il 34% dei negozi on-line offre questo servizio e per la maggior parte si tratta di catene fisiche che consentono di ritirare la merce presso una loro sede. Solo il 9% offre la consegna in punti pick & pay e appena il 2% si affida anche ai locker — come rileva uno studio del comparatore di prezzi IDEALO.

In Europa, al contrario, il pick & pay è estremamente diffuso, in particolare in Germania, dove più del 75% degli operatori offre questo servizio. Eppure il giro d’affari è considerevole, secondo i numeri di STATISTA: il fatturato del click & collect vale 11 miliardi in Francia (il mercato nazionale maggiore nel continente) e nel resto d’Europa quasi

Le scatole di Meatery Nel tentativo di offrire ai propri clienti il miglior servizio possibile, la macelleria Meatery di Valdaora, Bolzano, è strutturata con il servizio “Meat in the box”, ovvero la possibilità di effettuare l’ordine on-line o telefonicamente e di ritirare H24 i prodotti in cassette refrigerate poste all’esterno del locale. Questo sistema consente ai clienti di conservare la loro spesa in luogo fresco e di ritirarla comodamente fuori orario d’apertura. Il pagamento può essere effettuato anche al ritiro dei prodotti, attraverso carta di credito o bancomat. Tra gli altri servizi che Thomas Mair ha recentemente attivato presso Meatery segnaliamo anche la “eco box” che viene venduta all’interno della macelleria, ideale per il frigo, il congelatore, il microonde e perfetta per una conservazione della carne acquistata. Sul coperchio dell’eco box c’è un indicatore della data di acquisto della merce, il contenitore è trasparente e permette di vedere al volo il contenuto e, non meno importante, tutto il materiale di incarto non è utilizzato. Una bella soluzione per ridurre i rifiuti mantenendo la sicurezza del prodotto (fonti: Supernova Hub e AD Italmondo; photo © meatery.eu).

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Sono in aumento le macellerie che si dotano di cassettiere refrigerate poste all’esterno del negozio dove il cliente può ritirare il proprio ordine H24 (photo © Klaus Peterlin). raddoppierà dagli attuali 26,7 miliardi a 45,1 miliardi nel 2023. Il modello delle reti di punti di ritiro: la nuova frontiera in Italia Questa opportunità è stata notata e colta nel 2016 da una start up, IORITIRO, pioniera in Italia di un modello che sembra prendere piede e diffondersi in maniera capillare: quello delle reti di punti di ritiro, che sta andando a costituire quell’anello mancante della logistica sul territorio nazionale. Nata in seno al nostro incubatore SUPERNOVA HUB, parte del Gruppo ITALMONDO (tra i leader italiani della logistica e spedizioni), l’idea di IoRitiro è semplice: offrire un servizio che trasformi bar e negozi delle città nelle portinerie di ogni acquirente on-line, che potrà gestire in comodità

il ritiro o la consegna di pacchi e buste. Oggi la rete supera i 2.000 punti in Italia: si tratta di attività commerciali di ogni settore merceologico che come side business fanno da ufficio postale. Con una serie di vantaggi per tutti i soggetti coinvolti nel business: per il cliente, che può ritirare il pacco nel momento in cui preferisce, senza essere vincolato a orari di ufficio, ma secondo gli orari dei singoli negozi che aderiscono (per esempio un’edicola può aprire alle 6:00 e un bar può restare aperto fino a mezzanotte). Per il negoziante, che si dota di uno strumento alternativo di guadagno che nel contempo gli consente di ampliare i contatti con nuovi potenziali clienti. Per i corrieri, che ottimizzano i flussi di lavoro, aggregando diverse consegne in un unico punto e senza dover ritentare consegne fallite

IoRitiro è pioniera in Italia di un modello che prende piede e si sta diffondendo in maniera capillare: quello delle reti di punti di ritiro, che sta andando a costituire quell’anello mancante della logistica sul territorio nazionale. Oggi la rete supera i 2.000 punti nel Paese: sono attività commerciali di ogni settore merceologico che come side business fanno da ufficio postale

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al domicilio del cliente finale. Non a caso, la soluzione raccoglie sempre maggior interesse da parte di corrieri anche di grandi dimensioni (IoRitiro ha integrato gli access point UPS su tutto il territorio europeo). Uno strumento in grado di fermare la retail apocalypse L’effetto collaterale di questa innovazione è nel guadagno potenziale per il punto vendita aderente: a oggi è molto variabile, ma l’average può arrivare fino a circa 1.000 euro al mese e a tendere potrebbe diventare un pillar dell’attività o, addirittura, sostituire il core business. Per le tante attività tradizionali del retail che perdono quota — ironicamente, perché non possono stare al passo con l’e-commerce — questa espansione è un’opportunità che va colta al volo. La retail apocalypse che negli Stati Uniti ha già causato fallimenti epocali non può lasciare indifferenti: una delle soluzioni per gli esercizi commerciali italiani, anche i più piccoli, potrebbe proprio essere quella di cavalcare le opportunità create dall’e-commerce, invece di soccombere ad esso, convertendo il business per trasformarsi in quasi-uffici postali, con un investimento pari a zero. Ed è un salto da compiere nel breve termine: nell’arco di cinque anni questa evoluzione sarà perfettamente visibile anche in Italia.

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Il percorso di sostenibilità di Gualerzi Spa con Centrica Business Solutions Nel cuore della Food Valley, a Langhirano (PR), Gualerzi Spa ha recentemente avviato un impianto di cogenerazione targato Centrica Business Solutions. Fondata nel 1924 dalla famiglia Gualerzi e giunta oggi alla sua quarta generazione, Gualerzi Spa è un’azienda dalle caratteristiche locali forti, date dalla tipicità dei prodotti della cultura gastronomica parmense e da un forte legame con il territorio. Un profilo che spiega perfettamente la scelta di avviare un percorso sostenibile, come illustra Romeo Gualerzi, presidente dell’azienda. «La sostenibilità consiste nell’applicare un approccio sociale alla conduzione di un’azienda, un approccio che riesca a migliorare i risultati nel rispetto della tradizione e della storicità. Facciamo prodotti legati al territorio e alla tradizione, ma questo non vuol dire che non bisogna seguire anche delle evoluzioni di avanguardia per quello che concerne i risparmi energetici. Per questo ci siamo dotati di impianti innovativi che riescono a salvaguardare la tradizione dei nostri prodotti, ma a basso impatto di energia. Questo diventa ancora più urgente per una realtà come la nostra, che si sta caratterizzando sempre di più nei mercati internazionali». Centrica Business Solutions ha realizzato per Gualerzi un impianto di cogenerazione da 425 kW, che consente di generare circa il 60% della potenza elettrica necessaria allo stabilimento. L’energia così prodotta alimenta la produzione di 5.000 Prosciutti di Parma DOP e di oltre 30.000 kg di salumi alla settimana nell’innovativo stabilimento produttivo, completo anche di un nuovo reparto di affettamento di 3.500 m2, dotato di tre camere bianche e 5 linee di affettamento che comportano l’utilizzo di tecnologie innovative nella generazione del freddo. L’impianto, inoltre, ha consentito di ridurre quasi a zero l’utilizzo della caldaia per la generazione di calore termico. Salumifici e prosciuttifici, infatti, sono tipicamente caratterizzati da un ciclo di lavorazione di 365 giorni all’anno, 24 ore al giorno, con conseguenti consumi energetici continuativi, e da cicli termici controllati caldo-freddo per la produzione e per l’affinamento sia dei prosciutti che dei salumi; processi in cui la quantità e la qualità del calore sono fondamentali per preservare la qualità del prodotto. In questo caso, abbinando il cogeneratore con un impianto frigorifero ad assorbimento, l’azienda riesce a utilizzare oltre l’85% del calore sviluppato dal cogeneratore, ponendo lo stabilimento in condizioni ottimali per potere raggiungere l’alto rendimento e per rientrare nei parametri previsti dalla normativa vigente. «Sostenibilità è ormai una parola d’ordine: i consumatori hanno comportamenti di acquisto sempre più selettivi e scelgono fornitori che hanno un minore impatto ambientale, mentre i governi e le autorità di regolamentazione promuovono azioni per ridurre le emissioni di carbonio. Unire i fattori economici con quelli ambientali sta diventando indispensabile per avere successo nel business» ha commentato CHRISTIAN STELLA, managing director di Centrica Business Solutions Italia. «Si tratta di una strategia che riesce a consolidare simultaneamente i profitti di un’azienda e la sua brand reputation ed è per questo il prosciuttificio Gualerzi rappresenta una delle nostre migliori best practice. Le organizzazioni che danno priorità alla sostenibilità aziendale, allineando il proprio piano energetico nel contesto di una più ampia strategia di business, hanno eccellenti prospettive di crescita, costi inferiori e una migliore reputazione del marchio». L’impianto opererà 365 giorni all’anno, 24 ore, per i prossimi 7 anni, autoproducendo oltre 23 kWh elettrici in modalità garantita. Questa operatività consente la riduzione aggregata di circa 1.240 ton/anno di CO2 in atmosfera, pari a circa 5.640 alberi “salvati”. Con l’innovativo sistema di remote control EPOWER®, inoltre, l’impianto è controllato da remoto con registrazione e storicizzazione dei dati, flessibilità di programmazione e implementazione e gestione delle segnalazioni in tempo reale. I sensori wireless Panoramic Power registrano tutti i consumi energetici, dal livello di sito fino a quello del singolo dispositivo. I dati raccolti vengono inviati alla piattaforma cloud PowerRadar, un’unica interfaccia potente a cui il cliente può accedere per monitorare, misurare e comprendere il consumo energetico e individuare eventuali inefficienze. L’impianto, infine, beneficia del contratto Full Service All Risk di Centrica Business Solutions, con service team diretto e assistenza 24/24 (video su: vimeo.com/374196501). >> Link: arcagualerzi.it – www.centricabusinesssolutions.it

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AZIENDE

Salumificio Scarlino, TUTTA LA PRODUZIONE RITORNA IN ITALIA PER ESSERE SEMPRE PIÙ PROTAGONISTA NEL MERCATO DEI WÜRSTEL Mentre si avvicinano i festeggiamenti per i 50 anni di vita del salumificio, l’azienda salentina ha deciso di migliorarsi ancora, aumentando l’attenzione agli allergeni nella propria produzione. Novità 2020, i würstel di pollo alta qualità

C

on un ingente investimento teso ad un sostanziale rinnovamento dell’impianto e della tecnologia disponibile, il SALUMIFICIO SCARLINO rilancia la produzione presso l’impianto di Taurisano (LE) e, con un potenziale a volume di circa 70 tonnellate al giorno, ribadisce il proprio ruolo da protagonista all’interno del mercato del würstel in Italia e in Europa. «All’inizio dello scorso anno — ci conferma l’Amministratore

Unico ATTILIO SCARLINO — ci è apparso subito evidente che l’impianto polacco non fosse in grado di stare al passo con la crescita che stavamo registrando. Per questo motivo, d’accordo con la mia famiglia, ho ritenuto, in virtù della storia della nostra azienda (tra qualche mese il Salumificio Scarlino raggiungerà i 50 anni di vita, NdR) e per il ruolo socialmente rilevante che poteva avere per il nostro territorio una scelta del genere, investire per ammodernare l’impianto

leccese e farvi ritornare tutta la nostra produzione. Con questa strategia abbiamo raggiunto, sia sotto il profilo dell’efficacia che sotto quello dell’efficienza produttiva, un miglioramento delle nostre performance che ci hanno reso ancora più competitivi sul mercato». Ora, a poco più di sei mesi dal riavvio della produzione, Attilio Scarlino conferma la bontà della scelta operata. «Anche perché — sottolinea — ci ha permesso di riappropriarci a pieno titolo

La sede del Salumificio Scarlino.

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Attilio Scarlino, Amministratore Unico del salumificio omonimo. del concetto del made in Italy che, sebbene non appaia perfettamente calzante ad un prodotto come il würstel, in realtà gli attribuisce un valore ed un appeal che hanno sempre un peso specifico rilevante». Per festeggiare questo ritorno in Italia, l’azienda salentina ha deciso di migliorare ulteriormente la qualità di tutta la propria produzione, aumentando l’attenzione verso il mondo delle allergie. E, infatti, a partire da questo mese, ogni würstel Scarlino, oltre ad essere realizzato senza glutine come avviene già da anni, è anche prodotto senza lattosio e con un processo di affumicatura naturale con legno di faggio. Ma non finisce qui, perché — accanto alle ormai famose linee tradizionali di würstel Boys, Classici e Wuao —, Scarlino apre il 2020 con l’assoluta novità del würstel di pollo alta qualità, prodotto rigorosamente con tagli pregiati di carne, non separata meccanicamente, per conferire al Servelade ed al Wiener di pollo Scarlino una qualità percepibile al primo assaggio.

Salumificio Scarlino Srl S.P. 360 per Casarano 30 73056 Taurisano (LE) Telefono: 0833 62711 Web: www.scarlino.it

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A Bivongi i salumi fanno un… BAGNO D’OLIO

Nel borgo calabrese “della longevità”, l’allevamento del maiale è un’arte. Nel salumificio di Margherita Furina si trovano anche tante curiosità: dalla soppressata che racchiude in sé gli aromi dell’ulivo al guanciale che sa di Mediterraneo di Riccardo Lagorio

La manualità femminile è fondamentale nella preparazione degli insaccati di questo salumificio in provincia di Reggio Calabria.

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a brezza continua scende dai 700 metri del monte Consolino: è una manna per la produzione e la stagionatura dei salumi. Ma talvolta succede anche che le folate trascinino giù lungo la cascata del Marmarico e i calanchi il profumo del mirto e dei cipressi insieme a quello dei ceri che rischiarano i monasteri e gli eremi, San Giovanni Theristis, Santa Maria della Stella. Bivongi è un Sud che si specchia nel passato, Borgo della Longevità, con il 4% della popolazione ultranovantenne, lento, modello di quelle mete che oggi attirano chi vuole lasciarsi alle spalle la frenesia e scoprire paesaggi inesplorati dal turismo di massa. L’allevamento del maiale è un’arte da queste parti e già negli anni Settanta si pensò di dare al rito una configurazione artigianale, capace di produrre reddito, almeno a livello familiare. «Risale al 1975 l’impegno della mia famiglia nella creazione di un allevamento di suini a ciclo chiuso», racconta ERNESTO RIGGIO, allevatore e produttore di salumi. «Negli anni seguenti, per migliorare la produzione, si sono realizzati notevoli investimenti nel campo agricolo e in special modo nel comparto della produzione e stoccaggio di cereali. Così facendo si ha un controllo completo a partire dalla fecondazione delle scrofe, fino ad arrivare al peso di macellazione di circa 155 kg, che è quello ottimale per la produzione di salumi» spiega. Nasce con queste premesse il Laboratorio artigianale Margherita Furina agli inizia del Duemila, come completamento della filiera suinicola e testimone della tradizione di Bivongi nel settore della salumeria. I suini macellati vengono sezionati in mezzene e passano in sala lavorazione quando è necessario, nettandoli di pelle e grasso. La carne per i salumi macinati viene tagliata a mano, in modo da estrarre con precisione nervetti e altri parti non idonee ad essere inserite nell’impasto. Tra gli squisiti prodotti, soppressata e salsiccia i punti di forza di questo salumificio. «Per realizzare la soppressata utilizziamo esclusivamente la carne della coscia», racconta DANIELE RIGGIO, che segue la produzione di famiglia. «Si scelgono solo le parti più magre, privandole dei nervi, e si taglia a coltello, a pezzetti, con ritmi particolari come solo

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Ugo Riggio, uno dei responsabili del salumificio, nell’area dedicata alla stagionatura dei capocolli. Dopo il lavaggio col vino locale e l’asciugatura per 24 ore, il capocollo “subisce” un ultimo e lungo passaggio nell’olio extravergine d’oliva. le massaie sanno fare. Queste azioni le eseguono solo le donne del paese, alle quali ci affidiamo per il lavoro. La parte grassa, il 20% circa, viene tagliata a piccoli cubetti per essere meglio amalgamata nell’impasto». Alla carne si aggiungono sale, pepe e Bivongi rosso DOC, il corpulento vino prodotto sulle colline a pochi chilometri dal mare. Una volta insaccata a mano, la soppressata inizia la fase di stagiona-

tura. Da novembre a marzo avviene in un luogo fresco mentre durante il resto dell’anno si provvede a stagionare in stanze idonee all’interno del salumificio; una stagionatura naturale che dura cinquanta giorni, dieci in più di quella in cella. Alla stagionatura può seguire anche una fase di affinamento. «La soppressata viene lavata con il Bivongi rosso DOC e lasciata asciugare per 24

L’allevamento del maiale è un’arte da queste parti e già negli anni Settanta si pensò di dare al rito una configurazione artigianale, capace di produrre reddito almeno a livello familiare. «Risale al 1975 l’impegno della mia famiglia nella creazione di un allevamento di suini a ciclo chiuso», racconta Ernesto Riggio, allevatore e produttore di salumi

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Soppressata e salsiccia sono i punti di forza di questo salumificio di Bivongi. «Per la soppressata utilizziamo solo carne della coscia», racconta Daniele Riggio. «Si scelgono le parti più magre, privandole dei nervi, e si taglia a coltello, a pezzetti, con ritmi propri solamente delle massaie. Queste azioni infatti le sanno fare solo le donne del paese, alle quali ci affidiamo per il lavoro». Così avviene anche per la tipica salsiccia a catenella

Daniele Riggio, che segue la produzione di famiglia, con le salsicce dalla caratteristica forma a catenella. La loro stagionatura naturale si protrae per 35 giorni. Segue il lavaggio col Bivongi Rosso Doc e l’asciugatura per 24 ore prima del confezionamento. ore prima di fare il suo ultimo e lungo passaggio che durerà da tre ai quattro mesi nell’olio extravergine d’oliva. Si ottiene una seconda fermentazione e una nuova maturazione». Una sorta di rito purificatorio, come era costume fare da parte degli antichi Greci: un unguento per mantenere giovane e tonica la pelle. Trascorso il periodo idoneo, dagli orci uscirà una soppressata dal gusto dolce e intenso, ammandorlata, morbida e tonica, che racchiude in sé gli aromi dell’ulivo e della carne. La soppressata si fa colare, si imbusta e si chiude sottovuoto sino a due ore prima del consumo. L’intensa stagionatura, la bassa percentuale di grasso e l’utilizzo di prodotti naturali stanno alla base anche della preparazione della salsiccia, che si ottiene con le carni della spalla. La versione dolce prevede l’unione di pepe nero in grani, quella piccante di

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peperoncino. Come per la soppressata, sono le donne ad occuparsi del taglio della carne e del grasso, tagliato a cubetti. Il confezionamento ha la caratteristica nella forma a catenella e la sua stagionatura naturale si protrae per 35 giorni. Dopo la stagionatura, la salsiccia viene lavata con il Bivongi Rosso DOC e lasciata asciugare per 24 ore prima di essere imbustata e messa sottovuoto. Per quanto riguarda il capocollo, «al disosso segue la rifilatura. In seguito, viene riposto in salamoia per una settimana, poi si lava con aceto di vino, si aromatizza con sale, peperoncino e spezie e viene arrotolato nel diaframma parietale del suino» spiega UGO RIGGIO, un altro responsabile del salumificio. La stagionatura naturale dura almeno 70 giorni e, come da tradizione, a questo punto anche il capocollo viene lavato col vino locale e lasciato asciugare per 24 ore prima di fare il

suo ultimo e lungo passaggio nell’olio extravergine d’oliva. Una volta estratto dall’olio e fatto scolare, viene imbustato e messo sottovuoto. Tra gli altri salumi la ‘nduja, in cui si inseriscono il 30% di pancettone e sfridi della lavorazione di soppressata e salsiccia, e il guanciale. Rifilata la guancia del maiale, viene messa in salamoia per sette giorni in una concia di spezie e peperoncino. La stagionatura naturale dura 70 giorni. «È ottimo per preparare i sughi della tradizione». A tutto vantaggio di coloro che, ancora pochi, desiderano sperimentare mete nuove e originali di turismo. Riccardo Lagorio Salumi Artigianali di Margherita Furina Via Giacomo Matteotti 31 89040 Bivongi (RC) Telefono: 339 5874113 Web: www.salumificiocalabria.com

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GIUSTI, ACETO BALSAMICO DAL 1605 Aceto Balsamico di Modena non è solo un semplice condimento, ma un prezioso ingrediente in grado di rivoluzionare un piatto esaltando il gusto degli altri ingredienti che lo compongono. È sinonimo di qualità, di cultura e di tradizione. È parte della storia di un territorio dall’immenso patrimonio enogastronomico: l’Emilia. Qui, nel 1605, ha inizio la lunga e affascinante storia del “Gran Deposito Aceto Balsamico di Giuseppe Giusti”, oggi la più antica casa produttrice di Aceto Balsamico di Modena. Sono passati più di quattro secoli da quando gli antenati della famiglia Giusti avviavano le prime batterie di botti negli attici della loro casa di via Farini. Da allora, ognuna delle 17 generazioni si tramanda la sapienza, la sensibilità e la passione necessarie a produrre un aceto balsamico di grande qualità.

L’

Nel 1863 GIUSEPPE GIUSTI fissò per iscritto quelle che ancora oggi sono considerate le regole d’oro per ottenere un ‘’perfetto aceto balsamico’’: scelta delle uve, qualità delle botti e, fondamentale, il tempo. Durante la Belle Époque, il valore degli aceti balsamici Giusti si affermò anche oltre i confini nazionali, con la partecipazione alle Esposizioni Universali dell’epoca: sono di allora le 14 medaglie d’oro che, insieme allo stemma di “Fornitore della Real Casa Savoia”, concesso dal re Vittorio Emanuele III nel 1929, ancora oggi caratterizzano l’iconica etichetta Giusti. Museo Giusti Nel borgo agricolo ottocentesco completamente ristrutturato di Lesignana (MO) sorge il Museo Giusti: un’esposizione che racconta attraverso 10 sale tematiche la storia dell’aceto balsamico, di Modena e della famiglia e del brand Giusti. Un patrimonio di oggetti e documenti conservati per generazioni: gli antichi orci usati per la conservazione, gli strumenti utilizzati dai mastri acetieri, le prime bottiglie e le pubblicità di inizio ‘900. Tra i cimeli più preziosi ci sono le botti risalenti al 1600, come la botte “A3” con cui Giuseppe Giusti vinse, all’Esposizione Italiana del 1861, la medaglia d’oro per un balsamico di 90 anni. Antiche Acetaie Adiacente al Museo Giusti, trova spazio anche l’Antica Acetaia: un luogo in cui sono custodite oltre 600 botti storiche, risalenti al 1700 e 1800, ancora in attività, appartenenti alla famiglia Giusti da generazioni. L’invecchiamento in botti è senza dubbio la fase più importante del processo di produzione dell’aceto balsamico. Infatti, più è antica la botte, migliore sarà il prodotto che si otterrà,

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In basso: l’iconica Collezione Storica Giusti (a pagina 48), cinque aceti balsamici di Modena Igp di diverse ricette e invecchiamenti, e la Bottega di Piazza Grande (alle pagine 48 e 49), la prima boutique dedicata all’Aceto Balsamico Giusti nel centro storico di Modena.

poiché questa rilascerà sempre meglio le essenze, gli aromi e i profumi dei legni da cui è composta. Bottega di Piazza Grande In un’atmosfera senza tempo che richiama il Museo, il racconto della storia dell’Acetaia Giusti prosegue nella Bottega di Piazza Grande: primo punto vendita diretto recentemente inaugurato nel centro storico di Modena. Una piccola boutique in cui trovare in degustazione le collezioni di aceti balsamici Giusti, circondate da botti secolari e dagli antichi oggetti dell’arte acetiera appartenenti alla famiglia Giusti. Collezioni Numerosi sono i prodotti a marchio Giusti: dagli Aceti Balsamici di Modena IGP alle preziose Riserve, dagli Aceti Balsamici Tradizionali di Modena alla linea interamente biologica Azienda Agricola Giusti, fino alle Riserve dagli Premiata Salumeria Italiana, 1/20

invecchiamenti più lunghi. La Collezione Storica è la più iconica e rappresentativa dell’Acetaia Giusti, composta da cinque aceti balsamici di Modena IGP di diverse ricette e invecchiamenti, classificati col numero di medaglie conseguite nelle Esposizioni Universali di fine ‘800. Nasce infatti dalla prima storica etichetta, disegnata nel ‘900, per celebrare i riconoscimenti ottenuti nelle Grandi Esposizioni fino a quel tempo. Le ultime novità di casa Giusti riguardano il mondo della mixology. È nato il Vermouth Giusti, una riserva di vermouth rosso di Torino che matura in antiche barriques di aceto balsamico dell’acetaia. Aromatizzato con 19 botaniche e addolcito con la saba, il Vermouth Giusti presenta profonde note legnose e sentori di maggiorana, timo e noce moscata. >> Link: www.giusti.it


MERCATI

GLI EUROPEI ALLA CONQUISTA DELLA CINA Un mercato particolarmente appetibile per le nostre imprese, ma anche un Paese profondamente diverso da quelli occidentali e con grandi insidie da molti punti di vista di Sebastiano Corona

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Bruxelles parla di accordo “storico” e così saluta la sigla che UE e Cina hanno messo in calce ad un elenco di 100 prodotti per parte da “proteggere da imitazioni e usurpazioni”. Un elenco che, nel giro di quattro anni, salirà a quota 175.

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un accordo storico quello stipulato nei mesi scorsi tra Bruxelles e Pechino, che vede, da una parte, la difesa di alcune indicazioni geografiche del Vecchio Continente, e, dall’altra, altrettante produzioni cinesi sotto l’ala protettrice dell’UE. In realtà, il negoziato per il mutuo riconoscimento di cento DOP e IGP iniziato nel 2017 e destinato a diventare pienamente operativo nel 2020, si lega ad un altro programma similare che nel 2012 aveva posto le condizioni per lo scambio e la tutela di una decina di prodotti. L’accordo prevede anche un’estensione della lista per proteggere altre 175 specialità dopo quattro anni dalla sua entrata in vigore ma per ora sono 26, poco più di un quarto del totale, le denominazioni italiane, tra DOP e IGP, che verranno protette nel mercato cinese. Un elenco importante, al pari di quello concesso alla Francia, con lo

scopo di ottenere una tutela dal falso made in Europe. Tra i cento prodotti cinesi c’è invece il riso Panjin, diverse varietà pregiate di tè, le bacche di goji Chaidamu e molto altro. Tra i prodotti italiani 14 sono i vini. Tra questi, il Barbaresco, il Bardolino superiore, il Barolo, il Brachetto d’Acqui, il Brunello di Montalcino, il Chianti, il Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, il Dolcetto d’Alba, il Franciacorta, il Montepulciano d’Abruzzo, il Soave, il Toscano Doc e il Vino nobile di Montepulciano. Ci sono anche la Grappa e l’Aceto Balsamico di Modena, mentre sono 7 i formaggi, a partire da Asiago, Gorgonzola, Grana Padano, Mozzarella di Bufala campana, Parmigiano Reggiano, per finire con il Pecorino Romano. Sono inoltre protette 3 tipologie di salumi, quali: il Prosciutto di Parma, quello di San Daniele e la Bresaola della Valtellina.

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Mong Kok, zona commerciale e residenziale tra le più congestionate di Hong Kong. In Cina i produttori possono contare su strumenti similari ai nostri, come i brevetti e la registrazione di marchi, ma con la differenza che in un mercato così vasto, da molti punti di vista spietato e fortemente dinamico, è difficile avere un controllo capillare e soddisfacente. Si tratta di un contesto in cui le formalità sono oltremisura e spesso prive di un contenuto; dove la burocrazia è davvero mostruosa e una reale protezione può diventare un miraggio se non si conoscono a fondo le consuetudini del luogo (photo © f11photo – stock.adobe.com).



Grazie a questo accordo saranno protette 3 tipologie di salumi italiani, quali il Prosciutto di Parma, quello di San Daniele e la Bresaola della Valtellina (photo © www.facebook.com/BresaoladellaValtellinaIGP). Tra i prodotti francesi tutelati in Cina: 19 vini, tra cui il Bordeaux, il Beaujolais e lo Champagne. Due formaggi: il Comté e il Roquefort. In lista anche tre superalcolici francesi: il Cognac, il Calvados e l’Armagnac. La Spagna non compare con gli insaccati, ma è presente nella lista con due tipi di olio che sono il Sierra Mágina e il Priego de Córdoba, a cui si uniscono lo Sherry e il Brandy Jerez. Si segnalano, inoltre, altre produzioni sparse, riferite a Paesi diversi, tra cui: alcune birre tedesche di Monaco e bavaresi, l’ungherese Tokaji, l’Irish cream, l’Irish e lo Scotch Whisky, la Vodka polacca e, infine, l’Ouzo e la Feta greci. La denominazione di origine protetta consentirà al consumatore cinese di essere sicuro di acquistare prodotti

europei originali; la stessa cosa varrà per i 100 prodotti cinesi che troveranno in Europa un mercato di sbocco. Ristoratori e commercianti cinesi — e non solo loro — potranno contare su prodotti del proprio Paese, la cui qualità sarà garantita al consumatore dalla denominazione, sempre al fine di evitare la vendita di contraffazioni a prezzi irrisori. D’altra parte, i prodotti falsi immessi sul mercato cinese sottraggono fette enormi di mercato, soprattutto alla filiera agroalimentare europea, in particolare a quella italiana e francese. L’accordo è un segnale concreto del fatto che la direzione presa dall’Europa di collaborare con partner commerciali di tutto il mondo è quella di rafforzare le relazioni commerciali, al fine di apportare benefici al settore agroalimentare e ai consumatori.

Le Indicazioni Geografiche, pur essendo fortemente tutelate in Europa, sono armi spuntate nel contesto internazionale. La loro effettiva efficacia, infatti, si scontra con la legislazione dei Paesi esteri, il loro disconoscimento e i tentativi di tutela delle produzioni interne. Una problematica molto complessa

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La stessa Commissione europea, a sostegno dell’operazione che è in corso di realizzazione col Dragone, ha comunicato che l’export europeo agroalimentare in Cina, tra settembre 2018 e agosto 2019, ha raggiunto i 12,8 miliardi di euro e rappresenta la seconda destinazione delle esportazioni agroalimentari nonché la seconda destinazione delle esportazioni di prodotti protetti come Indicazioni Geografiche (per il 9% del valore) e che riguarda tanto i vini e le bevande alcoliche quanto i prodotti agroalimentari. Quel mercato non ha però ancora espresso tutte le sue potenzialità, avendo una classe media in aumento e fortemente interessata alle nostre specialità autentiche, espressione di qualità. Pertanto, è necessario continuare a lavorare con costanza su quel fronte. Le Indicazioni Geografiche, pur essendo fortemente tutelate in Europa, sono armi spuntate nel contesto internazionale. La loro effettiva efficacia nei mercati diversi dal Vecchio Continente si scontra con la legislazione dei Paesi esteri, il loro completo disconoscimento e i tentativi di tutela delle produzioni interne. Si tratta di una problematica tanto importante quanto complessa. Ad oggi, la negoziazione tra Stati resta la migliore soluzione, forse l’unica concreta che in più contribuisce, direttamente o indirettamente a diffondere, a livello globale, l’idea che le Indicazioni Geografiche siano un diritto per il consumatore e non solo per il produttore. Il limite degli accordi bilaterali e, in particolare, di quello in discussione, è certamente il numero di prodotti inseriti, che è indubbiamente modesto. Ma resta pur sempre un inizio e una prospettiva importante per il suo ampliamento in futuro. Sia altresì di consolazione il fatto che, in assenza di questo accordo intercontinentale, i nostri prodotti — ad eccezione di quelli che trovano una tutela, seppur labile, per mano privata — in un mercato come quello del Dragone, sono davvero fortemente esposti a contraffazioni e non solo. La Cina infatti non è un mondo a sé solo in termini culturali, legislativi e di prassi commerciali. I produttori possono contare su strumenti similari ai nostri, come i brevetti e la registrazione di marchi, ma con la differenza che in

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un mercato così vasto, da molti punti di vista spietato e fortemente dinamico, è difficile avere un controllo capillare e soddisfacente. Si tratta di un contesto in cui le formalità sono oltremisura e spesso prive di un contenuto; dove la burocrazia è davvero mostruosa e una reale protezione può diventare un miraggio se non si conoscono a fondo le consuetudini del luogo. La tendenza degli operatori locali è quella di registrare quanti più nomi possibili, spesso creando ad arte denominazioni che hanno assonanze fonetiche o semantiche con altre più famose, coprendo in qualche modo nomi noti. Il paradosso è che, chi non registra il proprio marchio in Cina, si può trovare dopo qualche tempo di permanenza nel mercato cinese a dovere risarcire chi invece ne rivendica la paternità per averlo registrato ad arte anche solo poco tempo prima. Affrontare il mercato cinese, prima di essersi adeguatamente tutelati, pur in presenza di un nome noto ovunque, rischia di diventare un grande favore ad un impostore qualsiasi. Questo approccio, definito firstto-file, indica il principio secondo cui la protezione legale in Cina non può essere ottenuta se un marchio similare è già stato registrato. È, perciò, essenziale depositare i marchi ben prima di affrontare il mercato, tenendo ben presente il messaggio che si intende trasmettere al consumatore. Anche tradurre asetticamente i nomi, parola per parola, può avere conseguenze inimmaginabili, pertanto è bene affidarsi a professionisti del luogo, che conoscono approfonditamente prassi e legislazione nazionale. È permessa la registrazione di marchi tridimensionali che possono pertanto riguardare la forma del prodotto, il loro contenitore o il relativo packaging. Quest’ultimo, al pari del marchio, va registrato per design (con brevetto) e copyright, per evitare una concorrenza sleale da cui si potrebbe uscire con grave pregiudizio. Sono invece prive di tutela le Indicazioni Geografiche che in Europa godono di protezione massima. In Cina non significano molto, né giuridicamente, né commercialmente, quindi vanno nuovamente registrate. Tanto più che

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Il Roquefort è uno dei due formaggi francesi tutelati (photo © New Africa – stock. adobe.com). sono considerate al pari di un qualunque marchio privato. Il segreto industriale che tutela le ricette, trattandosi di un Paese che sui formalismi basa buona parte dei suoi meccanismi di funzionamento, non garantisce alcuna protezione e non ha di fatto un grande valore, tanto più che ai dipendenti non è richiesto obbligo di riservatezza e, pertanto, possono comunicare con terzi qualunque cosa riguardi l’azienda, senza risponderne in maniera adeguata. Il principio vale sia per il personale dipendente sia per tutti coloro che entrano in contatto con l’azienda per motivi professionali. Ogni relazione commerciale dovrebbe, per tutela, essere specificamente siglato come un Non-Disclosure Agreement, soprattutto prima della trasmissione di una qualunque informazione commerciale o tecnica. La raccomandazione è di essere prudenti nella scelta di collaboratori, agenti e professionisti, anche di coloro a cui è richiesta la gestione del processo di registrazione dei marchi. Che i prodotti italiani siano in questa parte del mondo particolarmente ambiti, è evidente per l’interesse dei Cinesi ad acquistare marchi datati, ancorché completamente sviliti e ormai privi di qualunque valenza commerciale. La loro “anzianità” è comunque un elemento che infonde fiducia nel consumatore, contribuisce ad attribuirgli di per sé una buona reputazione e diventa quindi un elemento di prestigio, fortemente spendibile sul mercato. Non dimentichiamo infatti che la Cina è stata negli ultimi decenni scenario di importanti scandali

alimentari che hanno causato anche decine di morti, pertanto l’attenzione verso la sicurezza e la qualità è sempre maggiore. Per amore della verità, si deve tuttavia ammettere che, se sino a poco tempo fa, non c’era molta attenzione dal punto di vista giurisprudenziale alla questione dei marchi e dei prodotti alimentari in particolare. Negli ultimi anni, invece, sono sorte delle Corti speciali nelle città più grandi, dove si riscontra più equità, maggiore oggettività e specializzazione, oltre che uno sbilanciamento meno forte della tutela pubblica su quella privata, che spesso in passato si traduceva in una difesa dei connazionali ai danni degli stranieri. Una maggiore fiducia si sta lentamente diffondendo. Ne è prova anche il fatto che sia crescente il numero di brevetti cinesi rilasciati a soggetti esteri. I relativi costi, che pure non sono insormontabili per un’azienda di medie dimensioni, possono apparentemente sembrare importanti, ma sono un buon investimento se si considera la vastità di un tale mercato e i rischi che si corrono a non garantirsi una tutela. Il mercato cinese è infatti interessantissimo, ma anche pieno di insidie. Lo è per gli aspetti relativi alle proprietà intellettuali, ma anche perché il settore alimentare è altamente regolamentato. È inoltre un Paese dal punto di vista culturale, profondamente diverso. In Cina certe cose non si perdonano, che siano commesse per inadeguatezza, ignoranza o leggerezza. Meno che mai se ad opera di stranieri. Sebastiano Corona

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LA QUALITÀ

APPROVATO IL NUOVO PIANO DEI CONTROLLI DELLA DOP PROSCIUTTO DI PARMA CSQA nuovo ente certificatore dal 1o gennaio 2020

L’

Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari del MIPAAF (ICQRF) ha approvato lo scorso 16 dicembre, con Decreto Ministeriale, il nuovo Piano dei Controlli che sarà

applicato alla filiera del Prosciutto di Parma. I contenuti del piano sono entrati in vigore il 1o gennaio 2020 e CSQA Certificazioni ha iniziato ufficialmente a svolgere il proprio incarico di controllo e certificazione sotto la vigilanza del MIPAAF. «È un risultato molto atteso

dai nostri produttori, poiché ci permette di rafforzare ulteriormente il Sistema di tutela del Prosciutto di Parma, di garantire una maggiore trasparenza al consumatore e offrire un prodotto più buono e più sicuro» ha dichiarato VITTORIO CAPANNA, presidente del Consor-

Il nuovo piano dei controlli rafforza il sistema di tutela del Prosciutto di Parma Dop.

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zio di tutela del Prosciutto di Parma. «Il nuovo piano ha infatti il duplice obiettivo di intensificare i controlli lungo tutta la filiera produttiva, con particolare attenzione agli allevamenti e ai macelli, e di migliorare la tracciabilità rendendola più puntuale e oggettiva, a partire dalla genetica e dall’alimentazione dei suini fino al prodotto finito. A CSQA ora il compito di occuparsi del sistema di certificazione e controlli della nostra DOP e di traghettare il Prosciutto di Parma verso un futuro sostenibile per tutta la filiera». Tra le novità più rilevanti del nuovo piano dei controlli è da segnalare l’introduzione di moderni strumenti di monitoraggio e l’utilizzo di un nuovo sistema informatico che raccoglie, aggrega e organizza i dati registrati da allevamenti, macelli, prosciuttifici e laboratori di affettamento per l’identificazione e la tracciabilità dalla materia prima al prodotto finito. Ma non solo. Sono previste sostanziali implementazioni anche nella gestione e rendicontazione dell’alimentazione, nelle modalità di trasporto, nel rafforzamento delle verifiche del peso dei suini e dell’identificazione degli allevamenti di provenienza, nelle procedure di controllo nei prosciuttifici sia dal punto di vista fisico sia organolettico. A tutto questo va ad aggiungersi il nuovo Decreto Ministeriale sui tipi genetici che definisce una specifica procedura per l’individuazione dei tipi genetici rispondenti ai criteri di produzione del suino pesante coerentemente con quanto già incluso nelle proposte di modifica del Disciplinare produttivo del Prosciutto di Parma recentemente approvate dall’assemblea del Consorzio. Le nuove procedure prevedono la creazione di una lista positiva di tipi genetici ammessi al circuito tutelato e una banca dati di materiale genetico. Per ogni verro ammesso al circuito sarà quindi disponibile un campione di materiale biologico ovvero la sequenza di DNA per l’effettuazione dei controlli di paternità: un vero e proprio strumento di tracciabilità nella fase di allevamento. Prosegue quindi a pieno regime il piano strategico di rilancio del comparto annunciato dal Consorzio del Prosciutto di Parma e dai suoi produttori alcuni

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mesi fa e che ha già visto importanti novità. «In questi mesi abbiamo lavorato tenacemente per mantenere le promesse date e oggi siamo pronti a scrivere un nuovo capitolo della nostra storia che punta inevitabilmente a migliorare la qualità del Prosciutto di Parma» commenta STEFANO FANTI, direttore del Consorzio. «Il Consiglio di Amministrazione del Consorzio ha scelto come nuovo organismo di controllo e certificazione CSQA Certificazioni, società leader fondata sulla cultura della certificazione di prodotto, che ha messo a punto il nuovo piano di controllo appena approvato dal Ministero, a cui va il nostro sentito ringraziamento per la collaborazione nella definizione di questo determinante strumento di controllo. È tutt’ora in corso invece l’iter di approvazione del nuovo Disciplinare da parte delle autorità con cui puntiamo a rafforzare la caratterizzazione del prodotto e la sua distintività rispetto ai concorrenti». Il nuovo Disciplinare include sostanziali modifiche che riguardano tutti gli anelli della produzione, dagli allevamenti ai prosciuttifici, dalle caratteristiche della materia prima fino al prodotto finito: • genetica e alimentazione dei suini; • metodo di lavorazione; • riduzione del tenore del sale; • peso e stagionatura del prosciutto; • prolungamento del periodo di stagionatura minima; • parametri analitici di valutazione della qualità; • modalità di vendita, prodotto preaffettato ecc… «CSQA ha messo in questi mesi a disposizione le migliori professionalità a supporto del Consorzio di tutela del Prosciutto di Parma DOP per elaborare un piano di controllo in linea con le aspettative delle autorità e della filiera» ha concluso PIETRO BONATO, AD e direttore generale di CSQA Certificazioni. «Inizia così un nuovo percorso per mettere in pratica, attraverso la nostra esperienza consolidata, un sistema di verifiche puntuale a garanzia degli operatori e dei consumatori: un grande impegno che conferma la leadership che il nostro ente ha assunto nel settore della certificazione regolamentata nell’agroalimentare».


Festeggia il suo 50o anniversario il Consorzio del Prosciutto di Modena Il Consorzio del Prosciutto di Modena ha compiuto 50 anni. Una storia iniziata tanto tempo fa: era infatti il 6 ottobre 1969 quando diciassette aziende si riunirono per formare il Consorzio e, come recita lo statuto, “difendere, tutelare e promuovere il commercio del prosciutto tipico di Modena”. Tanta strada è stata fatta, tante le sfide affrontate e vinte, tantissimi gli obiettivi raggiunti. Occorreva quindi festeggiare a dovere, coinvolgendo tutti gli attori della filiera e ringraziando chi, in tutti questi anni, ha dato valore al tempo, alla passione e alla tradizione di un grande prodotto. Così, lo scorso 29 novembre, all’interno dell’affascinante Sala dei Contrari della Rocca di Vignola (MO), rappresentanti istituzionali ed esperti del settore si sono alternati per far luce sulle attività svolte dal Consorzio, sul panorama odierno del mercato e sulle sfide del futuro legate alla valorizzazione e alla promozione di un magnifico prodotto simbolo del miglior made in Italy alimentare. Un Consorzio unito e un prodotto espressione dell’unicità di un territorio Il Consorzio del Prosciutto di Modena raggruppa 10 aziende (delle 11 aziende produttrici) ed è presieduto da Giorgia Vitali, consigliere delegato dell’omonimo salumificio (in foto). «Spegnere 50 candeline ci dice che siamo un Consorzio unito, che ha come priorità la promozione del nostro prodotto in Italia e all’estero, oltre naturalmente alla sua tutela» ha detto la presidente Vitali. «In questa giornata celebrativa ci è sembrato giusto ed importante coinvolgere tutti i soggetti che in varia misura hanno contribuito al successo della nostra Dop, ad iniziare dalle istituzioni, la cui presenza al nostro fianco è fondamentale, in quanto noi rappresentiamo un prodotto che è espressione dell’unicità di un territorio». E proprio unicità, insieme a passione, perseveranza e tenacia, sono parole indissolubilmente legate al Prosciutto di Modena DOP e ai suoi produttori. Un salume le cui caratteristiche qualitative sono basate sul rispetto di un rigido disciplinare che lo distingue da qualsiasi altro, vantando una stagionatura minima di 14 mesi, la più lunga tra tutti i prosciutti Dop italiani. Il prosciutto di Modena, grazie anche alle garanzie di salubrità e genuinità come sono quelle richieste ad un prodotto tipico e tutelato, è sempre più apprezzato e i dati di mercato lo confermano. Nel 2018, infatti, c’è stato un notevole incremento della produzione, pari al 16,3%, rispetto all’anno precedente, mentre nel primo semestre 2019 sono state 36.707 le cosce avviate alla produzione, facendo così registrare un +1% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La giornata celebrativa non poteva che concludersi con la premiazione dei soci, che ogni giorno si impegnano per conservare e tramandare il “saper fare” legato a questo prodotto, e con l’aperitivo dove protagonista è stato appunto il prosciutto insieme ad altri prodotti tipici della provincia modenese.

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Consorzio Salame Felino Igp: Umberto Boschi eletto presidente A fine dicembre il Consiglio di Amministrazione del Consorzio di tutela del Salame Felino Igp ha eletto all’unanimità come presidente il dott. Umberto Boschi (in foto), che subentra a Carletto Ferrari. Ad affiancarlo, nel ruolo di vicepresidente, sarà Fabrizio Aschieri. Con un’esperienza pluridecennale nel settore della salumeria, Umberto Boschi è già presidente e CEO della Cav. Umberto Boschi, l’azienda di famiglia fondata nel 1922 dal nonno Umberto: espressione della terza generazione, ha assunto la gestione dal padre Renzo. Passione per il proprio lavoro, rispetto delle tradizioni, cura del più piccolo particolare: sono i tre concetti che meglio riassumono la filosofia lavorativa di Umberto Boschi. Un’impronta che il neopresidente intende dare anche al Consorzio. «Il faro dell’azione del Consorzio deve essere la qualità, a cominciare dalla selezione delle materie prime» ha dichiarato Umberto Boschi. «La congiuntura è complessa, a causa del forte rincaro della carne suina che si è registrato negli ultimi mesi: la strada da percorrere rimane quella dell’eccellenza, che il mercato è disposto a premiare, in termini di prezzo. Per quanto riguarda la promozione, con focus sull’Italia, il Consorzio vuole essere sempre più dinamico: dobbiamo essere bravi a comunicare i tratti distintivi del prodotto, a cominciare dalla semplicità della ricetta del Salame Felino Igp. Per questo, in continuità con il percorso avviato dal presidente che mi ha preceduto, parteciperemo a fiere ed eventi promozionali su tutto il territorio nazionale. Per quanto riguarda i mercati esteri, vogliamo adottare una strategia espansiva e incrementare la quota export, che attualmente incide per il 20% circa del fatturato del comparto. Un traguardo, questo, che non può essere scisso dal potenziamento dei controlli e dalla lotta alla contraffazione, in particolare ai salumi Italian sounding». >> Link: www.salamefelino.com


PRODOTTI TIPICI

Indicazioni Geografiche Protette dalla Romania

C’È UN PO’ D’ITALIA NEL SALAM DE SIBIU IGP di Riccardo Lagorio

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Tante storie, una sola Favola.

Delicata. Digeribile. Naturale. Da più di 20 anni i salumieri e gli chef che vogliono conquistare i loro clienti con un prodotto di assoluta eccellenza sanno di poter contare sulla nostra “Favola”: la buona mortadella artigianale che tutti riconoscono prima dalla cotenna naturale legata a mano e poi dal gusto incredibilmente delicato. Ogni Favola è unica col suo timbro a fuoco: inimitabile fuori e inconfondibile dentro.

www.mortadellafavola.it


C

on l’arrivo del 2011 la Romania ha staccato il primo tagliando dei prodotti a tutela europea con la Confettura di prugne di Topoloveni. Nel 2016 è stata la volta del Salame di Sibiu.

La storia: c’era una volta il salame Dozzi C’è un po’ d’Italia in questo prodotto romeno che ha ottenuto la garanzia dell’IGP. La storia ha inizio a Frisanco, nel Pordenonese. FILIPPO DOZZI e i due fratelli, GIUSEPPE e DAVIDE, nascono in questo borgo della Val Colvera, sotto la cima del Monte Raut, un’area colpita da esodi e carestie a fine Ottocento. I migranti di allora: liguri, veneti, friulani. Le mete: Argentina, Francia, Brasile. I tre giovanissimi fratelli Dozzi, abili scalpellini, trascorrevano l’inverno a Budapest, chiamati da un oscuro conterraneo, tale BARBA NANE, che aveva messo su una piccola produzione di salame e che aveva conosciuto il loro nonno, DANIELE DOZZI, garibaldino che l’Impero AustroUngarico tratteneva nelle patrie galere della capitale. Dopo qualche inverno i tre si resero conto delle opportunità che questo lavoro poteva dare loro. La figlia di Barba Nane sarebbe andata in sposa a Giuseppe, classe 1857, che, con ogni probabilità, consoliderà il successo del cosiddetto salame ungherese, Davide (nato nel 1869) fonderà a Vienna un salumificio insieme al socio d’affari ARMIN HERTZ, mentre Filippo (del 1859) preferì una strada diversa e insolita, verso la Muntenia, una regione montana della Romania ai piedi dei Carpazi. Forse fu la somiglianza col paesaggio friulano a condurlo nelle cave di pietra di Piatra Arsă. Pare che ben presto si rendesse conto che in un borgo vicino, Sinaia, le condizioni meteorologiche gli avrebbero consentito di coltivare la passione di sempre: la produzione di salame. Con i risparmi accumulati acquistò una posta per cambio di cavalli e nella cantina iniziò a produrre salsicce, fondando la Întreprinderea Individuala Filippo Dozzi. Correva il 1910. Agli inizi i suoi insaccati vengono ricordati come Salame degli Italiani o Salame Dozzi, ma in poco tempo la sua novità riscuote successo come prodotto di lusso, sotto il nome di Salam de iarna (Salame

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Estremamente versatile, il salame di Sibiu può essere consumato fresco, in un semplice pane e salame, ma anche trasformato in croccante o in cialda. d’inverno, termine che ancora oggi contraddistingue il salume nei dintorni di Sinaia) e prende anche la via verso l’Impero Austro-Ungarico, attraverso la dogana di Sibiu. In quest’ultima città, allora territorio austroungarico con il nome di Hermannstadt, i salami Dozzi sostano per i controlli doganali e viene imposto loro il sigillo. Diventano, per i sudditi degli Asburgo-Lorena, i Salami di Sibiu. In pochi anni il Dozzi mette da parte una piccola fortuna e le cronache raccontano che i suoi figli trascorressero coi figli del re le ore del gioco nella tenuta estiva di Sinaia. Inoltre, le pagine riportate nel bel volumetto “Verso le lontane terre dell’Impero Austro-Ungarico” di FRANCA TEJA, andato in stampa nel settembre 2018, lo descrivono come imprenditore magnanimo. Dopo anni il segreto del salame di Sibiu creato da Filippo Dozzi viene consegnato nelle mani del figlio Antonio

Giuseppe che continua fino alla nazionalizzazione dell’impresa, avvenuta nel 1948, quando le si cambia nome in Întreprinderea pentru Industrializarea Cărnii. In quell’anno erano a libro paga 50 dipendenti e la produzione era di 120 tonnellate di salame (prodotto solo nei mesi invernali). Superato il periodo dell’economia centralizzata, la società diventa di nuovo completamente privata nel 1998 con il nome di Salsi SA. Salame di Sibiu Igp, produzione e caratteristiche Per la preparazione del Salam de Sibiu IGP la materia prima è la carne di suini che hanno raggiunto almeno i 100 kg di peso. Dalla carne vengono rimossi i frammenti ossei, il grasso molle, il tessuto connettivo, i legamenti, i tendini, i vasi sanguigni maggiori e le parti sanguinolente. La carne rappresenta almeno il 70% dell’impasto; il lardo e il grasso sodo al massimo il 30%. Scelte le parti

IL SALAM DE SIBIU IGP È UN INSACCATO DALLA LUNGA STORIA. LA SUA RICETTA FU CREATA DA UN ITALIANO, FILIPPO DOZZI, STABILITOSI IN VALACCHIA INTORNO AL 1910

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migliori per la preparazione del salame, si triturano a cutter fino ad ottenere la dimensione di 2 ovvero 4 mm. Secondo il Disciplinare di produzione, la miscela può contenere un massimo del 5% di sale e spezie come pepe, ginepro e aglio oltre ad antiossidanti approvati secondo le disposizioni di legge e agenti di maturazione e colture di avviamento della fermentazione. Facoltativamente, è possibile utilizzare agenti polimerizzanti alcolici come vino bianco, vino rosso, vino rosato, cognac o vino spumante, utilizzati per edizioni limitate ed esplicitamente espressi nell’etichettatura in una dose massima del 3%. Non sono ammessi esaltatori di gusto, acidificanti coloranti, integratori proteici e qualsiasi altra aggiunta che possa sostituire la carne. Con la pasta ottenuta viene riempita la membrana di collagene che abbia diametro compreso tra 60 e 90 mm oppure in budello naturale di cavallo, utilizzato per edizioni limitate. L’asciugatura del salame avviene per 24 ore a una temperatura minima di +10 °C con circolazione d’aria moderata, cui segue l’affumicatura a freddo con legna di faggio o quercia o una miscela delle stesse per almeno tre giorni e per un massimo di dieci. Dopo l’asciugatura, che dura almeno 60 giorni, avviene l’operazione forse più caratterizzante, la polverizzazione di spore di muffa, il Penicillium nalgiovense. Trascorso ancora un mese, quando i salami sono completamente ricoperti di muffa bianca, vellutata e sottile, si effettua la spazzolatura manuale. La muffa nobile gioca un ruolo importante nella neutralizzazione del pH, contribuendo a combattere la contaminazione di muffe indesiderate. Il Salame di Sibiu IGP è confezionato individualmente in fogli di cellophane permeabili e microperforati o sottovuoto, previa rimozione della pelle qualora il prodotto sia affettato. La produzione può avvenire nella provincia di Bacău, in quella di Brașov, nel circondario di Bucarest, nella provincia di Covasna, in quella di Călărași, di Ilfov, di Prahova e quella di Sibiu. Dal cielo, Filippo Dozzi benedice. Riccardo Lagorio >> Link: salamuldesibiu.ro

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Norcineria friulana: dal maiale non si ricava solo il prosciutto

FAGAGNA: CICOGNE E PESTÀT di Gaia Borghi

Il pestàt dell’azienda agricola Casale Cjanor conosciuto e gustato nell’area dedicata ai salumi a Bra in occasione di Cheese 2019.

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pochi chilometri di distanza da San Daniele, patria del celebre prosciutto crudo DOP, e considerata un vero e proprio paradiso avifaunistico grazie alla presenza della rinomata Oasi dei Quadris, dove nidificano le cicogne bianche e gli ibis eremita, dal caratteristico becco che ricorda una maschera veneziana, Fagagna, in provincia di Udine, fa parte del circuito dei “Borghi più belli d’Italia”. Terra di osterie e del Picolit, nobile e prezioso vino friulano, sulla sua tavola più tipica troviamo spesso la polenta con il formaggio, magari proprio quello storico di Fagagna, prodotto con latte crudo vaccino e particolarmente adatto alle lunghe stagionature, e piatti a base d’oca, salumi compresi. Il maiale la fa comunque da padrone da queste parti: accanto al prosciutto e ad altri derivati suini, come sopressa, lardo bianco, salame…, in inverno non ci si può far mancare il muset con la brovada, il tipico cotechino locale accompagnato da un contorno a base di rape macerate e poi fatte fermentate nelle vinacce. Gusti decisi, senza vie di mezzo, non propriamente per palati delicati, abituati alle sfumature. Così come è decisa all’assaggio un’altra specialità che nasce nella verde vallata che circonda questo piccolo comune e che figura dal 2006 nell’elenco dei presidi Slow Food: il pestàt. Un po’ conserva e un po’ condimento, il pestàt è stagionale, lo si produce cioè da novembre a marzo circa, il periodo riservato tradizionalmente alla macellazione del maiale. Come si legge sul sito della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus, infatti, “a Fagagna il commercio dei maiali, i purcìt nel dialetto locale, risale ai tempi di Napoleone, mentre i norcini, i purcitâr, venivano avviati sin da adolescenti a imparare questo mestiere. Un mestiere che sulle colline friulane ha permesso di conservare tradizioni alimentari altrimenti destinate a scomparire, come appunto il pestàt. Il presidio nasce quindi per preservare e far conoscere questo prodotto simbolo della capacità di utilizzare in modo ottimale ogni parte dell’animale e anche per ricostruire una filiera di allevamento locale che sta rischiando di scomparire dato che, negli ultimi anni, sempre più spesso la norcine-

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Fagagna sorge su un colle a nord-ovest di Udine, in una posizione da cui si aprono meravigliosi scorci sulle colline circostanti e sulla pianura. Il nome del borgo deriva dal latino “fagus”, l’albero del faggio, perché un tempo l’intera zona era coperta da rigogliosi boschi, faggeti soprattutto. Da Fagus si è arrivati a Faganeu e infine a Fagagna, denominazione che reca in sé un riferimento alla bellezza della natura circostante. In paese, il museo di Cjase Cocél, ospitato in un grande e antico casolare rurale tutto in sasso, è uno spaccato della vita contadina friulana di inizio Novecento e racconta anche la bellissima tradizione dei merletti. Nel mese di gennaio ospita la Festa del norcino, giornata dedicata alla valorizzazione dei prodotti tipici della norcineria friulana e dei suoi artefici. Ogni prima domenica di settembre, dal 1861, nella piazza centrale si svolge invece la “Corse dai Mus”, la corsa degli asini (photo © borghipiubelliditalia.it).

ria friulana impiega suini provenienti da altre regioni oppure dall’estero” (fonte: www.fondazioneslowfood.com). Il condimento di “una volta” Più precisamente il pestàt è un insaccato di lardo suino a cui si aggiungono, dopo la macinatura, un trito di verdure (carota, sedano, cipolla, porro e aglio), erbe aromatiche (prezzemolo, rosmarino, salvia) e spezie (pepe, cannella). L’impasto è poi insaccato in budello naturale e messo a maturare in cantina: via via che prosegue l’asciugatura e si riduce l’acqua al suo interno, avviene una concentrazione dei sapori che rende il prodotto ottimale da gustare dopo un centinaio di giorni circa dall’inizio della produzione, ma il suo utilizzo può avvenire anche già solo dopo qualche settimana. Oggi i produttori che lo realizzano artigianalmente sono soltanto due, entrambi naturalmente di Fagagna — l’azienda agricola Casale Cjanor (telefono: 0432 801810, www.casalecjanor.com) e la Macelleria

di Mario Lizzi (telefono: 0432 800376) — ed entrambi rigorosi nella scelta della provenienza dei maiali da piccoli allevamenti regionali che riservano agli animali un’alimentazione composta da ingredienti naturali e priva di OGM. «Il pestàt è il condimento che veniva usato in casa dalle nostre nonne e mamme nel soffritto, come base per insaporire le patate in tegame o la polenta, l’arrosto, il coniglio al forno e gli umidi a base di carne, il minestrone e la minestra di fagioli» mi raccontano a Bra allo stand del presidio del Pestàt di Fagagna visitato durante la manifestazione Cheese 2019. «È il nostro insaporitore tradizionale, capace di riportarti alla memoria immediatamente, al primo assaggio, i gusti di un tempo». A Casale Cjanor, ad esempio, propongono il pestàt classico, nella forma di salamini di diverse misure e in ancor più comodi vasetti di vetro, e il pestàt salsarossa, sempre in barattolo, con aggiunta di salsa di pomodoro. Magico per condire la pasta e sulle bruschette. Gaia Borghi

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Un tipico salume di risulta della tradizione piemontese

Testa in cassetta di Gavi, IL CUORE IN OGNI FETTA

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metà strada tra il Piemonte e la Liguria, Gavi, in provincia di Alessandria, nell’area sudorientale della regione sabauda, è un piccolo comune noto ai più soprattutto per l’omonimo vino, il Gavi appunto, un bianco prodotto da uve Cortese apprezzato fin dall’antichi-

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tà. A proteggerlo, insieme ad un’altra specialità del territorio, il Raviolo di Gavi, sfoglia sottile e squisito ripieno di borragine, scarola, uova, formaggio e carni miste di manzo e maiale, c’è persino una confraternita, l’Ordine Obertengo dei Cavalieri del Raviolo e del Gavi. Ma Gavi è anche la patria

di un tipico salume “di risulta”, lo stratagemma studiato dai contadini per conservare e rendere appetitose le parti del maiale che avanzavano dalla produzione di prosciutti, coppe e salami: la Testa in cassetta. Ricetta antica ed elaborata, la versione dei macellai di Gavi si differenzia per l’uso

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A sinistra: la testa in cassetta della Macelleria Bertelli Agostino nello stand di degustazione e vendita ad una delle manifestazioni organizzate da Slow Food. In basso: uva di varietà Cortese destinata alla produzione di Gavi Docg (photo © Livio Ferrari – stock.adobe.com).

Il grande bianco piemontese Il Gavi o Cortese di Gavi Docg è un vino bianco prodotto interamente con uve Cortese coltivate negli 11 comuni che costituiscono la sua Denominazione — Bosio, Capriata d’Orba, Carrosio, Francavilla Bisio, Gavi, Novi Ligure, Parodi Ligure, Pasturana, San Cristoforo, Serravalle Scrivia, Tassarolo —, situati nella fascia meridionale della provincia di Alessandria. Il territorio del Gavi è prevalentemente collinare, con altopiani ricchi di terre rosse date dalle marne argillose. È l’incontro tra il vento marino che soffia dal Mar Ligure e la neve dell’Appennino a rendere speciale quest’angolo di Piemonte. I venti provenienti dalla costa ligure caratterizzano infatti il microclima, regalando al vino profumi di agrumi con pompelmo, ananas e fiori bianchi, che al gusto si accompagnano ad un’importante struttura sapida e minerale, che si completa nei suoi tipici sentori di mandorla amara. La vocazione vinicola in questa zona trova riscontri in un documento risalente al 3 giugno del 972, conservato nell’Archivio di Stato di Genova, in cui si parla di una cessione in affitto a due cittadini da parte del vescovo di Genova di vigne e di castagneti nella località nota come “Mariana”, e in altre lettere del 1659 e 1688, attestanti la presenza dei vigneti in un territorio nel quale il vino ha sempre avuto un ruolo centrale. Una prima descrizione dell’uva Cortese la si trova nell’ampelografia del 1798 dei vitigni coltivati in Piemonte, elaborata dal Conte Nuvolone, vicedirettore della Società Agraria di Torino, descritta con “grappoli alquanto lunghetti, acini piuttosto grossi, quando è matura diviene gialla ed è buona da mangiare, fa buon vino, è abbondante e si conserva”. Considerato l’omologo bianco del Barolo, il Gavi può essere prodotto nelle tipologie: Tranquillo, Frizzante, Spumante, Riserva, Riserva Spumante Metodo Classico. Nato per le corti, il grande bianco piemontese non ha mai tradito la sua vocazione alla qualità e all’eleganza; al contrario, queste sono state affinate in epoca moderna attraverso tecniche all’avanguardia, fino ad ottenere un vino rinomato ed apprezzato nei cinque continenti (fonte: www.consorziogavi.com).

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devono sottostare a una lunga cottura in acqua salata, prima di essere disossati e ridotti in pezzi piccoli con battitura a coltello. La testina, o maschetta, bollita insieme agli altri tagli, è passata più volte con la mezzaluna fino a diventare semiliquida, anche grazie all’aggiunta di acqua di cottura. A questo “passato” è aggiunta la carne a dadini e una concia a base di sale, pepe, cannella, coriandolo, chiodi di garofano, noce moscata, peperoncino, pinoli e un tocco di rum. L’impasto, ancora ben caldo, si insacca delicatamente quindi nel budello cieco di manzo, detto anche tascone. La testa, così preparata, è posta poi per un giorno in ambiente molto freddo; alcuni la lasciano per una notte all’aria aperta gravata da un peso per compattarla e darle la caratteristica forma schiacciata. A questo punto la testa in cassetta è pronta.

La testa in cassetta è particolarmente delicata al palato. Si può consumare sia come antipasto, fredda e tagliata molto sottile, sia come secondo, tagliata spessa, leggermente riscaldata, su un letto di cipolle al forno. di tagli bovini nobili e meno nobili che ingentiliscono la ricetta. Viene prodotta tradizionalmente nei mesi invernali, utilizzando alcune parti del bovino,

la lingua, il muscolo della spalla e il cuore, considerato indispensabile per ravvivare il colore della fetta, assieme al collo o alla testa del suino. I vari tagli

Presidio L’utilizzo di vari tagli bovini rende la testa in cassetta di Gavi particolarmente delicata e magra e determina la caratteristica policromia della fetta. Al naso i tenui sentori carnei sono arricchiti dalla speziatura. Si può consumare sia come antipasto, fredda e tagliata molto sottile, sia come secondo, tagliata spessa, leggermente riscaldata, su un letto di cipolle al forno. Un tempo, al posto del tascone, l’impasto era posto in una cassetta di legno dolce, da cui il nome, rivestita dalla retina di maiale. Il presidio parte dall’unico produttore che ancora utilizza la ricetta dei suoi nonni: senza neanche un grammo di nitrati o nitriti. Il Disciplinare di produzione prevede inoltre l’utilizzo di carni rigorosamente piemontesi.

Il presidio Slow Food della testa in cassetta di Gavi Produttore Agostino Bertelli via Mameli 23 15066 Gavi (AL) Telefono: 0143 642627 340 6012867

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Responsabile Slow Food del Presidio Giovanni Norese Telefono: 0143 79332 335 5734472 E-mail: gnorese@idp.it

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Guida L’Espresso, 5 spilli alla Bresaola della Valtellina Igp Paganoni Il team di Guida Salumi d’Italia de l’Espresso ha premiato la Bresaola della Valtellina Igp del salumificio Paganoni tra i migliori salumi d’Italia 2020. Una super selezione quella fatta dagli esperti, che ha portato alla luce 11 eccellenze che in degustazione hanno ottenuto un punteggio di almeno 95 centesimi nella storia delle tre edizioni del 2013, 2017 e 2019. Il riconoscimento è stato assegnato lunedì 2 dicembre scorso all’interno dei locali del ristorante tristellato Da Vittorio, immerso nel verde della Cantalupa di Brusaporto (BG), dove, per l’occasione, i fratelli Cerea hanno interpretato le 11 eccellenze in piatti preparati ad hoc. «È un riconoscimento importante, che premia le scelte coraggiose fatte dalla nostra azienda» ha dichiarato in merito alla vittoria Nicola Paganoni (in foto), responsabile commerciale di Paganoni. «Riceverlo in questa meravigliosa cornice ci rende orgogliosi e ci spinge a riflettere sul ruolo della salumeria italiana, che ci auguriamo possa conquistare il posto di rilievo che merita nel panorama dell’alta gastronomia. Proseguendo su questa strada, con la collaborazione degli altri produttori di eccellenza, della stampa specializzata e di chef che facciano da ambasciatori nel mondo, sono sicuro che ci riusciremo». Lo stabilimento della Paganoni si trova a Chiuro, a 10 km di distanza da Sondrio, tra vigneti e meleti, nel cuore della media Valtellina, sulle sponde del fiume Adda. Paganoni è da tempo tra i nomi più conosciuti e rappresentativi dei produttori di bresaola della Valtellina, il tipico salume valtellinese diventano nel corso degli anni il simbolo indiscusso del salumificio lombardo. >> Link: www.paganoni.com

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BOTTEGHE 4.0

THE EPICUREAN TRADER Dalla caffetteria al banco formaggi, passando per fiori, libri, vini, liquori, cioccolata e detersivi. I piccoli produttori artigianali statunitensi a portata di mano in un grocery che punta tutto sull’ampio assortimento e su una selezione, quasi esasperata, dei prodotti per la loro qualità. Facendo buon gioco del richiamo all’italianità di Elena Benedetti

È

un format interessante quello di The Epicurean Trader a San Francisco, California. Siamo ad Hayes Valley, nel quartiere

forse più “europeo” della città, con piccoli negozi, caffetterie e ristoranti che si rifanno alla cultura gastronomica mediterranea, locali con musica dal vivo

L’offerta del negozio di San Francisco è organizzata per sezioni, su belle scaffalature di legno.

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e Octavia square, una piazza centrale che ospita mostre di artisti locali (spesso di ritorno o in partenza per il Burning Man, evento hipster di fine estate nel deserto del Nevada) e parecchio passaggio e passeggio. Qui ha aperto questo locale che è un mix perfetto tra bottega di cose buone tra formaggi e vini e quel di tutto un po’ che facilita la vita alla clientela. C’è infatti una caffetteria proprio all’ingresso con in bella vista una macchina per il caffè La Marzocco, un paio di tavolini all’esterno del locale e un angolo all’interno con fiori freschi per un cadeau improvvisato. Il locale si sviluppa all’interno con le pareti stracolme di scaffalature di legno grezzo, mentre i pavimenti sono in resina. I colori sono tendenti allo scuro e la luce è ben calibrata e studiata per valorizzare i prodotti. L’offerta è organizzata per sezioni, da oli e aceti, caffè, vini e liquori, paste e sughi, pane fresco (fornito dalla locale e conosciutissima Tartine Bakery), formaggi, cioccolate, biscotti, libri di cucina e accessori vari e, non ultimo, una parete dedicata ai prodotti della pulizia della casa e della persona, ovviamente ecologici e a basso impatto ambientale. Per lo meno nel corso della visita sul fronte salumi ho notato un’offerta pressoché inesistente, salvo tre confezioni sottovuoto di salumi (prosciutto e due

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The Epicurean Trader è un locale nel quale l’esperienza d’acquisto è sicuramente interessante per l’ampia varietà di prodotti (c’è davvero di tutto), per la selezione e, soprattutto, per la presentazione curatissima. salami). Tutte le marche sono americane, aceti balsamici compresi e non è difficile notare un marcato Italian sounding sulle confezioni dei prodotti, soprattutto tra paste, sughi e oli che rimandano quasi spudoratamente all’Italia. Ciò detto, l’idea che sta alla base di The Epicurean Trader è dichiarata dai proprietari. «Selezioniamo prodotti artigianali americani sulla base della loro qualità, sapore e ingredienti naturali, oltre che cura nel packaging. Il nostro obiettivo è essere ambasciatori del marchio di questi piccoli produttori, amplificando le loro storie e portando spesso per la prima volta i loro

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prodotti a San Francisco». Il format è tanto interessante quanto sicuramente impegnativo per una gestione che, all’interno di un unico locale, riunisce caffetteria, somministrazione e vendita al dettaglio. Dati i prezzi, il target di clientela ha capacità di spesa elevata ma siamo a San Francisco, una delle città con il reddito pro capite più alto degli Stati Uniti, sede delle maggiori tech e web company mondiali. La vendita on-line di prodotti e l’home delivery garantito da tre circuiti completano l’offerta. Elena Benedetti

The Epicurean Trader 465 Hayes Street 94102 San Francisco (CA) – USA Web: theepicureantrader.com instagram.com/theepicureantrader Orari: Dom.-Mer.: 7:30-21:00 Gio.-Sab.: 7:30-22:00 Altre sedi a San Francisco: Cow Hollow, 1909A Union Street Bernal Heights, 401 Cortland Ave

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Identity design works

WORKSHOP Venerdi 22 Maggio 2020 - Ore 10

“Good design is good business” Il ruolo strategico dell’immagine di marca nel settore salumi Il punto di vista del consumatore e del trade

BRAND DESIGN INNOVATION CENTER Villa Il Mondo - Viale delle Esposizioni 106 - Parma Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti Iscrizioni: workshop@thebrandcompany.it


LOCALI DI GUSTO

IL NUOVO MERCATO COPERTO DI RAVENNA UN TUFFO NEL PASSATO CON LO SGUARDO DRITTO AL FUTURO

A

quasi cent’anni dalla sua prima inaugurazione del 1922, ad inizio dicembre ha riaperto le porte il Mercato coperto di Ravenna, frutto della partnership fra MOLINO SPADONI e COOP ALLEANZA 3.0, tornando ad essere un importante polo per la cultura del cibo, punto di incontro e di convivialità.

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Interni & Design Lo spazio è tornato così a rivivere nel pieno rispetto della sua identità storica e artistica dopo un accurato lavoro di recupero e restauro. Il progetto, a cura dell’architetto PAOLO LUCCHETTA, ha assicurato il recupero degli esterni e la riqualificazione funzionale degli interni. Il tutto è stato sapientemente valorizzato

da COSTA GROUP, azienda specializzata nella progettazione e arredamento del Food Entertainment, con arredi ereditati dal passato e riadeguati alle necessità di vendita contemporanee, oltre che dall’inserimento di elementi moderni e dall’utilizzo di tecnologie innovative. Il risultato, dopo anni di ricerche e di grande lavoro, è un ambiente unico nel

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suo genere. «Mai nessuno aveva avuto il coraggio di cercare nel passato il proprio futuro» ha commentato FRANCO COSTA, presidente di Costa Group. Qui, infatti, arredi e decori provenienti da antiche botteghe di tutto il mondo incontrano il calore degli interni locali, creando un’atmosfera magica che rievoca un passato autentico, inossidabile, fatto di fatiche e di storie vere. All’ingresso, ad esempio, è stata riposizionata l’antica coppia di delfini in pietra, o pistrici, simbolo di fortuna e ricchezza, che da sempre rappresenta il Mercato e la Casa Matha, l’antica corporazione medioevale dei pescatori. È anche grazie a questi preziosi elementi che al Mercato di Ravenna oggi va in scena la storia e la cultura italiana, quella fatta dagli artigiani e dai commercianti che da generazioni si dedicano al proprio lavoro con passione e amore.

Per gli arredi e l’allestimento sono stati scelti pezzi unici di antiquariato e modernariato che fanno rivivere il fascino delle epoche attraversate dal Mercato.

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Food Articolato su due piani, il Mercato Coperto ospita al piano terra una molteplicità di ambienti per garantire un’offerta gastronomica fatta di gusto, qualità, tradizione e scoperta. All’ingresso ci sono i banchi dove acquistare o degustare sul posto le migliori eccellenze del territorio e un piccolo supermercato. Tra gli spazi: bar, pralineria e gelateria, laboratori artigianali con preparazioni a vista, pane, piadine, pizze, un banco salumi che pone in primo piano la Mora romagnola, razza suina autoctona. La valorizzazione del territorio si comple-

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ta con il banco dei formaggi, dove si possono degustare prodotti freschi e stagionati di eccellenza, lavorati in modo tradizionale nel caseificio di Brisighella delle Officine Gastronomiche Spadoni. Non mancano poi la pescheria, che offre principalmente pescato dell’Adriatico, crudo o cucinato al momento, ed il banco macelleria che è anche griglieria. Al piano superiore, accessibile tramite una scala mobile, si trova un’area cocktail-bar e piccola ristorazione, con tavoli e sedute. Infine, uno spazio dedicato alla convivialità e allo stare insieme, alla cultura e alla musica, con un palco destinato a spettacoli, concerti, presentazioni ed eventi. Ravenna Mercato coperto Piazza Andrea Costa 6 48121 Ravenna Telefono: 0544 215483 Orari: Lun.-Sab.: 8:00-20:30 Dom.: 9:00-13:30 e 16:30-20:30

Il Mercato Coperto punta ad essere un vero centro di attrazione economica e sociale di livello europeo per i cittadini e i turisti di Ravenna, riqualificato con una particolare attenzione alla accessibilità ed alla sostenibilità.

Al ritmo di 25 locali al mese, e oltre 6.000 realizzazioni in tutto il mondo con i più importanti brand, Costa Group si afferma come leader internazionale nella progettazione e arredamento di locali nel settore food & beverage. L’azienda, nata in provincia di La Spezia nei primi anni ‘80 e tuttora gestita dai fratelli Franco e Sandro Costa, si sviluppa in 13.000 m2 immersi nel verde. Qui, prendono forma idee e progetti che diventano esempi del fare italiano nel mondo. Una delle caratteristiche fondamentali è la totale progettazione e realizzazione del locale in sede: dallo studio del format alla simulazione presso la fabbrica, il montaggio e l’assistenza successiva. >> Link: www.costagroup.net

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IL GUSTO DI CAMMINARE Carnevale sull’Anfiteatro Morenico di Ivrea

CON LE ARANCE NELLO ZAINO di Elena Simonini

P

er mettere piede con carica e determinazione dentro all’anno da poco cominciato, non esiste modo migliore che infilarli nelle scarpe da trekking, i piedi, e poi partire all’avventura, incamminandosi per qualche bel sentiero. Iniziare così, allontanandosi un poco dalle consuete prospettive e dalle quotidiane visioni delle cose, può infatti rappresentare una perfetta occasione per focalizzare tutti i nuovi progetti, e semmai anche i buoni propositi, da realizzare nel corso dei mesi futuri. L’inizio d’anno, tuttavia, non va poi mai preso troppo sul serio, ché occorre anche saper ironizzare sulle

Sentiero nel Parco Nazionale del Gran Paradiso (photo © pavlobaliukh – stock.adobe.com).

proprie aspettative e casomai anche esorcizzare le paure. E, a tal proposito, arriva appunto il periodo di Carnevale, col suo spirito grottesco, stravagante e anticonformista, a ricordarci che le cose vanno spesso colorate o anche proprio capovolte e ribaltate affinché si possano capire e affrontare meglio. E allora, è precisamente nei giorni di Carnevale che stavolta suggerisco di partire, come in una sorta di rito simbolico e scaramantico, per camminare e immergervi completamente, sempre sulla sola forza delle vostre gambe, in una zona davvero stupefacente e favolosa del Piemonte, sita lungo la Sierra Morenica, nei dintorni di Ivrea, città in

cui si tiene lo storico Carnevale con la tradizionale, e unica nel suo genere, battaglia delle arance. L’Anfiteatro Morenico di Ivrea, così denominato per la caratteristica forma ellittica, è una interessantissima e particolare struttura geomorfologica, una delle meglio conservate al mondo, formatasi dal Ghiacciaio Balteo, il quale occupava la Valle della Dora Baltea, al suo sbocco nella pianura canavesana. Questo ghiacciaio, attraverso la sua lenta ma inesorabile opera di modellazione, ha così restituito una conformazione del territorio che permette ancora oggi di leggere, proprio come in un meraviglioso libro


a cielo aperto, gli effetti del succedersi dei periodi glaciali ed interglaciali da 1,65 milioni a 130.000 anni fa. L’Alta Via dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea è uno strepitoso itinerario anulare, caratterizzato da dislivelli non troppo impegnativi e quindi facilmente percorribile da tutti, che è possibile esplorare a piedi in cinque o più tappe. Il percorso, magicamente incorniciato dalle imponenti montagne della Valle D’Aosta e del Gran Paradiso, si staglia tra colline moreniche, laghi incastonati nel verde, boschi, vigneti, antichi borghi, fiumi e rarissimi affioramenti rocciosi, i quali rendono questo paesaggio qualcosa di davvero unico in tutto il pianeta. Passeggiare sul Cammino Morenico, ve ne renderete presto conto, si rivelerà una esperienza assolutamente indimenticabile, e sarà proprio come viaggiare nel tempo, sospesi attraverso i milioni di anni di storia di questa grandiosa ed incredibile zona. L’Anfiteatro Morenico di Ivrea, peraltro, costituendo nientemeno che un tratto della antichissima e lunghissima Via Francigena (per la parte piemontese ovviamente, detta appunto Morenico-Canavesana), risuona ancora, lo avvertirete distintamente da dentro al silenzio dei boschi, dell’incessabile calpestio di tutti i pellegrini che

fin dal Medioevo, partendo da tutta l’Europa centro-settentrionale, si sono diretti a Roma. La dimensione magica e surreale di questo straordinario itinerario morenico in Piemonte, come anticipavo all’inizio e come constaterete di persona, non si concluderà certamente con la fine del cammino, se, seguendo il mio consiglio, avrete occasione di giungere ad Ivrea durante il Carnevale. Partecipare o anche solo assistere al Carnevale tradizionale di Ivrea, difatti, costituisce indubbiamente un’altra esperienza indimenticabile, e davvero ineguagliabile. Esso vanta autentiche origini medioevali, si distingue per un corteo storico, per parate di cavalli e, soprattutto, per la famosa “battaglia delle arance” durante la quale i rioni della città si sfidano tra di loro fino all’ultimo agrume. L’evento rappresenta la rievocazione una rivolta popolare del 1200 contro lo ius primae noctis imposto dal marchese di Monferrato. Durante questo incredibile evento, che si svolge lungo le principali vie e piazze delle città, 9 squadre di oltre 6.000 aranceri a piedi, sprovvisti di qualsiasi protezione e rappresentanti il popolo, combattono coraggiosamente contro le armate del feudatario, composte da circa 5.000 aranceri sui carri, i

quali invece si proteggono indossando tipiche maschere di cuoio. Si tratta di una manifestazione storica tre le più particolari, caratteristiche e scenografiche che si arricchisce, come sempre succede nel nostro Belpaese, anche di alcune specifiche tradizioni gastronomiche. Come le grandi fagiolate con i faseuj grass (circa 7.000 kg di fagioli cotti per sei ore all’interno di pentoloni di rame con oltre 2.000 kg di cotenne cotechini, zamponi, ossa di maiale, lardo e cipolle), o la polenta e il merluzzo che si mangiano il Mercoledì delle ceneri, alla fine del Carnevale, dopo che 50 volontari, per i nove giorni precedenti, si sono ininterrottamente alternati in turni di otto ore di lavoro. Insomma, se proprio in questo periodo di Carnevale deciderete di incamminarvi sul meraviglioso e stupefacente itinerario che regala l’Anfiteatro Morenico, non potrete assolutamente dimenticare, prima della partenza, di infilare simbolicamente qualche arancia nello zaino, per arrivare così preparati ad assistere alla incredibile battaglia delle arance e a questa festa che rappresenta un inestimabile valore tradizionale e culturale di tutto il panorama nazionale. Elena Simonini


SAPORI DAL MONDO Piatti caldi dal freddo Nord

LA SVEZIA NEL PIATTO: polpette, pudding, stufati… e marmellata di lingon In genere si tratta di piatti unici che, accompagnati da patate bollite, cetriolini sottaceto e salse a base di panna, sanno nutrire i corpi e riscaldare i cuori anche nelle giornate più gelide. Ma, più che per il cibo in sé e per sé, i morigerati Svedesi amano riunirsi intorno alla tavola per condividere l’intimità della famiglia di Nunzia Manicardi

S

i dice Svezia e si pensa al pesce… E invece no! Svezia vuol dire anche carne. Indubbiamente presso tutti i paesi del Nord Europa il pesce è un alimento fondamentale, però la carne non è da meno, tutt’altro. Durante il nostro viaggio in Svezia abbiamo avuto modo di gustarne parecchia, a partire da quelle di renna e di alce, che oggi però ci sembrano diventate più una curiosità o un residuo gastronomici rispetto agli alimenti di base che erano un tempo. Ottima, per esempio, anche se ancora

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a rischio di estinzione e quindi sottoposta a uno specifico programma di protezione genetica, è la carne della vacca di razza Svedese delle montagne, un bovino di dimensioni relativamente piccole e generalmente senza corna, dai grandi zoccoli che gli consentono di vivere nelle fitte foreste scandinave. Quello che però ci ha colpito non è stata la carne per la sua qualità, per quanto alta, ma il modo in cui essa viene abitualmente presentata, cioè non a pezzi interi o a fette, ma macinata oppure finemente porzionata o comunque

impastata con altri ingredienti, dando origine a piatti tipici molto gustosi. Andremo dunque alla scoperta di polpette, pudding e stufati che, anche quando sono lontani dalla bella bandiera giallo-azzurra crociata, conservano per chiunque sapore e interesse. Un posto d’onore occupano le palt o, meglio, le pitepalt. Sono canederli alla svedese tipici di Pitea, graziosa cittadina collocata al culmine del golfo di Botnia da cui prendono il nome, ma sono diffuse in varie altre zone del Paese. Appartengono all’immenso

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gruppo dei canederli che, con le sue infinite varianti, si estende dal Nord Italia al Tirolo, dall’Austria alla Boemia, dall’Ungheria alla Germania, dalla Polonia alle Repubbliche Baltiche e, come stiamo vedendo, a tutta la Scandinavia. Le pitepalt sono fondamentalmente composte di patate e orzo già bolliti insieme a cipolla, sale e carne tritata (di manzo, ma può essere anche di maiale). Consistono a loro volta in una variante locale del kroppkakor, anch’essi con ripieno di carne ma senza orzo. Tutte queste polpette, così come quelle che

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A sinistra: paesaggio svedese (photo © by-studio – stock.adobe.com). In alto: lingon, frutto da cui si ottiene una confettura che accompagna numerosi piatti svedesi (photo © Forenius – stock.adobe.com). In basso: kroppkakor (photo © Alleko).

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KĂśttbullar, polpette di carne. Cotte nel burro o nel brodo, possono essere considerate il vero piatto nazionale svedese (photo Š feirlight – stock.adobe.com).

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vedremo di seguito, si accompagnano con marmellata di lingon, il rosso frutto di bosco che assomiglia al mirtillo e che cresce soltanto a queste latitudini. Se non la trovate, potete sostituirla con marmellata di mirtillo o di ribes. Certamente per noi italiani si tratta di abbinamenti davvero inconsueti, però consigliamo di avvicinarsi senza pregiudizi perché a noi sono molto piaciuti e, in ogni caso, è sempre bene allargare i propri orizzonti. Se le pitepalt rimandano al loro luogo geografico d’origine, diverso è il caso delle köttbullar, che possono essere considerate il vero piatto nazionale svedese. Sono, per intenderci, le polpettine che l’Ikea propone ovunque in ogni proprio punto vendita facendole diventare il suo elemento distintivo. Il nome significa letteralmente, tanto per cambiare, “polpette di carne”. Dopo averle leggermente infarinate vengono fritte di solito nel burro, di cui la Svezia è ottimo produttore, ma possono anche essere cotte in brodo (o soltanto acqua) dentro un tegame a fuoco basso. Si servono con il brodo ristretto della metà e/o con una specie di besciamella e si accompagnano con marmellata di lingon, patate bollite e cetriolini sottaceto. Questi complementi servono a smorzare il grasso della carne, formando un connubio imprescindibile e fortemente identitario. Infatti le köttbullar, insieme con il gravlax, che è il salmone marinato in sale, zucchero e aneto, sono il piatto tipico svedese più conosciuto al mondo. Sono composte solitamente di tre tipi di carne (vitello, manzo e maiale) macinati finemente e impastati con mollica di pane inumidita nel latte. Per rassodare il tutto si aggiungono poi una o più patate già lessate, un uovo per amalgamare e cipolla soffritta, prezzemolo, noce moscata e pepe per insaporire. L’impasto così ottenuto viene diviso in piccole porzioni sino a far loro assumere il tipico aspetto di polpettine di circa 2,5 cm di diametro. Per la besciamella occorrono burro, farina, latte, panna fresca e sale q.b. Le köttbullar sono, ovviamente, protagoniste dello smörgåsbord, il pasto a buffet tipico dei paesi scandinavi che presenta inoltre vari antipasti e piatti caldi e freddi, sia di carne che di pesce (gravlax, trinche marinate, patè di fegato, salsicce…), insalate e formaggi.

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Pytt i panna con carne, patate, barbabietola, cipolle e uovo fritto (photo © larik_malasha – stock.adobe.com). Molto particolari sono anche i pudding di carne, che consistono in una massa solida ma morbida che assume la forma di un polpettone nostrano, dal quale però differisce perché il composto è molto liscio, tenero e omogeneo. Si ottiene dalla miscelazione di vari ingredienti (in questo caso carne e poi farina di grano o di altri cereali ed eventuali altri sapori aggiunti a piacere), anche se di solito si preferisce conservare la semplicità degli ingredienti di base. Può essere cotto al forno o bollito e si consuma come pietanza principale. Il polpettone più simile a quello nostrano prende il nome di kjottpudding. Un altro tipo di pasticcio tipico, più vicino al gusto italiano, è il pytt i panna con carne di manzo o di maiale servito con patate, barbabietola, cipolle e uovo fritto in accompagnamento. Tra i piatti in umido c’è il lapskaus, lo spezzatino il cui nome potrebbe derivare dal loscouse, che veniva cucinato dai marinai di Liverpool. È composto con carne di manzo e patate in forma di zuppa. A volte vengono utilizzate le carni di maiale e/o il prosciutto. Altri ingredienti sono le verdure (carote, cipolle, porri, sedano e rape), le spezie (pepe, zenzero) e altre erbe aromatiche. Questo piatto unico, molto sostanzioso e molto diffuso in tutto il Nord Europa, presenta innumerevoli varianti tra le quali quella con la barbabietola che

conferisce un caratteristico colore rosso. Viene venduto anche inscatolato. Se volete andare in Svezia e là mangiare dal vivo questi e altri piatti tipici, vi consigliamo di stare attenti agli orari. L’orario di chiusura dei ristoranti è infatti intorno alle 18:00-18:30 e questo vale pure nei mesi estivi. Oggi, per andare incontro alle esigenze turistiche, se ne possono trovare di aperti anche più tardi, ma mai oltre le 21:00-22:00. La cena, infatti, abitualmente si consuma intorno alle 18:00 (o anche alle 17:00), il pranzo alle 11:00-11:30… L’ideale sarebbe essere ospiti di amici svedesi. Potreste allora partecipare alla cena svedese, a base di pasticcio di carne o di pesce con insalata e gratin di patate. Potreste anche avere la fortuna di condividere quella tradizione che si chiama fika, che consiste nel mangiare qualche dolcetto (senza mai strafare!) in compagnia, tra familiari, amici o colleghi, oppure di prender parte al fredagsmys, altra bellissima tradizione svedese. Fred significa “venerdì” e mys è una parola intraducibile che rimanda all’idea di calore di casa, intimità, persone care, divano, coperta e libro… cioè quello che ogni famiglia svedese il venerdì pomeriggio sogna di fare, a conclusione della settimana di lavoro o di studio e come inizio del lungo weekend di libertà. Nunzia Manicardi

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RASSEGNE

SUPER ZAMPONE 2019,

IL PIACERE E LA FORZA DELLO STARE INSIEME Pubblico festante, tanti ospiti e una tradizione che non smette di raccogliere consensi: si ripete ancora una volta il successo della festa di Castelnuovo Rangone (MO) dedicata allo zampone da record piĂš famoso del mondo, giunta alla sua 31a edizione

Andrea Roncato e Metis Di Meo, graditi ospiti al Superzampone 2019.

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«I

l Superzampone è uno straordinario momento di aggregazione, ma non solo: è la festa delle nostre tradizioni, di una storia che vuole diventare futuro e che accetta le sfide di un mercato globale». Con queste parole LUISA FALCHI VECCHI, presidente dell’Ordine dei Maestri Salumieri Modenesi, ha dato il via alla 31a edizione del Superzampone, l’evento organizzato dal comune

modenese di Castelnuovo Rangone e dall’Ordine dei Maestri Salumieri Modenesi per celebrare una delle specialità più note ed amate della norcineria locale. L’enorme insaccato, che ha raggiunto il peso di 845 kg, è stato distribuito gratuitamente in oltre 3.000 porzioni, accompagnato dagli immancabili fagioloni e da un bicchiere di Lambrusco. E anche quest’anno sono stati tanti gli ospiti giunti in paese

per l’occasione, come l’attore ANDREA RONCATO e la conduttrice RAI METIS DI MEO, lo chef DANIELE REPONI, con i suoi panini gourmet a sostegno di ASEOP, le giocatrici del Montale Volley, DANNY DANEELS, consigliere in diplomazia economica dell’Ambasciata del Belgio di Roma, e MAURIZIO FINI, Gran Maestro della Consorteria dell’Aceto Balsamico di Spilamberto. Come di consueto, nella sala consigliare del comune il sindaco

1) Il taglio ufficiale della prima fetta del Superzampone da parte del sindaco del comune di Castelnuovo Rangone Massimo Paradisi e della presidente dell’Ordine dei Maestri Salumieri Modenesi Luisa Falchi Vecchi. 2) Le persone riunite nella piazza centrale di Castelnuovo in attesa di assaggiare il Superzampone 2019. Tra le novità di quest’anno, il Superzampone Street Food e le visite all’acetaia comunale recentemente inaugurata. 3/4/5/6) Alcuni rappresentanti dell’Ordine dei Maestri Salumieri Modenesi e Danny Daneels, dell’Ambasciata del Belgio di Roma.

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MASSIMO PARADISI ha dato il benvenuto ai presenti, sottolineando il significato di questo appuntamento. «Il Superzampone non è solo una festa di popolo, ma anche un’occasione di riflessione sulle sfide che stanno affrontando le eccellenze del nostro territorio. Questa giornata vuole celebrare il nostro saper fare e le nostre tradizioni, perché diventino tradizioni future e non si perdano col tempo».

In rappresentanza della Regione Emilia-Romagna era presente PALMA COSTI, assessore alle Attività produttive. «In un momento come questo, in cui è sempre più difficile fare impresa, è importante andare avanti insieme, istituzioni e mondo imprenditoriale devono fare squadra e continuare a confrontarsi per far nascere proposte e trovare soluzioni ai problemi. La Regione Emilia-Romagna continuerà ad esserci

per sostenere le imprese e le tradizioni del territorio». Non è mancato il ricordo da parte del figlio STEFANO di SANTE BORTOLAMASI, il “Re dello Zampone” che ha ideato la manifestazione, scomparso nel 2012. «Trentun anni fa mio padre ha pensato a questo evento per celebrare lo zampone, diventato oggi simbolo della voglia di fare festa insieme, di qualcosa che unisce».

Lo chef Massimo Bottura decreta il vincitore del concorso “Lezioni di Gusto Europeo”, organizzato dal Consorzio Zampone e Cotechino Modena Igp Durante la finale del concorso “Lezioni di Gusto Europeo”, che si è disputata nel corso della IX edizione della festa dello Zampone e del Cotechino Modena IGP, organizzata dal Consorzio di tutela, gli studenti delle scuole alberghiere — 9 italiane e una tedesca — hanno preparato live le loro ricette a base di Zampone e Cotechino Modena Igp per sottoporle al giudizio dello chef Massimo Bottura. Bottura, a capo della giuria composta dall’assessore del comune di Modena, Ludovica Carla Ferrari, e da Paolo Ferrari, presidente del Consorzio Zampone e Cotechino Modena Igp, ha decretato i vincitori. Al primo posto, la scuola alberghiera Serramazzoni di Modena con la ricetta Insolita spongata allo Zampone Modena Igp (in foto, durante la premiazione; photo © www.TeffanHawk.com). Al secondo posto si è piazzato l’istituto Caterina De’ Medici di Gardone Riviera (BS), con la ricetta Frittata di tagliatelle con Zampone Modena Igp, e al terzo posto l’istituto F. Martini di Montecatini Terme (PT), con il Cotechino Porchettato. «In questa edizione ci ha stupito l’elevata qualità dei piatti: la manifestazione negli anni è cresciuta tantissimo» ha commentato Bottura. «Adesso bisogna portare qui a Modena le scuole alberghiere di tutto il mondo per farne un evento sempre più globale». Il presidente del Consorzio Paolo Ferrari, molto soddisfatto, ha affermato: «Sono molto orgoglioso che, per la prima volta, a salire sul podio ci sia proprio una scuola di Modena». Appuntamento quindi all’edizione 2020, la decima, un anniversario da festeggiare degnamente. >> Link: www.modenaigp.it

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ph: Franceschini Vincenzo

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

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FIERE

MERCATO IN CRESCITA PER I PRODOTTI A MARCHIO DEL DISTRIBUTORE Grande successo di affluenza e contenuti per l’edizione 2020 di MarcabyBolognaFiere

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iunta alla sua 16a edizione, Marca by BolognaFiere, svoltasi gli scorsi 15 e 16 gennaio, è l’unica manifestazione italiana interamente dedicata

alla marca commerciale, nella quale oltre 750 aziende espongono i prodotti dell’eccellenza italiana a Marca del Distributore (MDD). I numeri ci dicono che la Marca del Distributore cresce ad

un ritmo superiore rispetto a quello del mercato (+4,6%), la sua quota sale al 19,9% (+0,6 punti) e si può prevedere una chiusura del 2019 con ricavi intorno agli 11 miliardi di euro. «Sedici anni fa,

Quella che si è svolta il 15 e 16 gennaio è stata un’edizione di MarcabyBolognaFiere decisamente rinnovata. Un rinnovamento che gli operatori hanno avuto modo di apprezzare a cominciare dal lay-out, pensato per una fruizione dell’evento ancora più funzionale al business, e nei contenuti (in alto, foto di repertorio di una passata edizione di MarcabyBolognaFiere; photo © MarcabyBolognaFiere).

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1) Nello stand di Bresaole Pini, Roberto Pini, al centro, con i collaboratori Paolo De Bernardi ed Edoardo Mattaboni. 2) Lo spazio dei formaggi piemontesi di Beppino Occelli. 3) Vincenzo Rota, AD del Salumificio San Vincenzo di Spezzano Piccolo (CS), con alcuni collaboratori. 4) L’area espositiva di Terre Ducali Prosciuttificio San Michele con sede a Lesignano de’ Bagni (PR). 5) Era presente a Marca 2020 anche Casa Montorsi di Vignola (MO) con l’ampia gamma di salumi e affettati. 6) Molto apprezzati da buyer e operatori anche i prosciutti crudi San Dan, di San Daniele del Friuli (UD). 7) Lo stand di Felsineo, azienda bolognese leader nella produzione e nella commercializzazione della mortadella e Mortadella Bologna Igp. 8) Andrè Muehlberger con Guido Girardelli di CSB-System, azienda leader nelle tecnologie software per l’industria alimentare.

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1) Il Gruppo Clai, attivo nel settore dei salumi e in quello delle carni fresche bovine e suine, presente a Marca anche con il suo prosciuttificio Zuarina di Langhirano (PR). 2) Lorenzo Levoni al centro dello spazio del Gruppo Alcar Uno, leader nella lavorazione delle carni suine, insieme ai collaboratori. 3) Marcelllo Palmieri del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO), presente a Marca con le mortadelle, tra cui la famosa Favola, stinchi, cosce, zamponi e cotechini. quando abbiamo lanciato MarcabyBolognaFiere — ha detto a caldo GIANPIERO CALZOLARI, presidente BolognaFiere — abbiamo intrapreso un percorso che ha anticipato i trend di mercato. La crescita costante dell’evento e la sempre più spiccata attenzione dei buyer esteri sono la miglior testimonianza della dinamicità del settore della MDD che ha

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ancora ampie opportunità di sviluppo. La quota in volume dei prodotti a Marca del Distributore si attesta, in Italia, al 20%, contro una media europea superiore al 30%. Parallelamente questi prodotti di innovazione — ha aggiunto Calzolari — rispondono alle esigenze dei consumatori con proposte declinate a trend emergenti quali il biologico, la

sempre più spiccata attenzione alla sostenibilità dei packaging, la tracciabilità e le intolleranze alimentari. I numeri sono la miglior dimostrazione di questi trend: i prodotti a declinazione bio rappresentano, oggi, quasi un quarto della superficie espositiva di MarcabyBolognaFiere e quelli free from, dedicati alle intolleranze, si attestano

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Tra le novità di Italia Alimentari un prodotto in co-marketing con Urbani Tartufi Ibis Salumi (Gruppo Cremonini) ha presentato a Marca le novità di prodotto riguardanti la salumeria tradizionale (con i prodotti a marchio Ibis Culatta di Busseto, Mortadella Bologna Igp, Gran Ducato e Bresaola della Valtellina Igp, tutte eccellenze premiate dalla Guida Salumi d’Italia de L’Espresso), il libero servizio e gli snack. Grazie all’acquisizione di uno stabilimento di produzione in Calabria, l’azienda ha presentato anche una linea di eccellenze calabresi a marchio Montagna. Tra i prodotti la ‘nduja, la soppressata dolce e piccante, la salsiccia dolce e piccante e il capocollo, oltre ad una linea di salumi di suino Nero di Calabria, una pregiata razza autoctona allevata allo stato brado in questi territori. Per quanto riguarda il libero servizio, che a Marca è sempre oggetto di grande attenzione da parte dei buyer della GDO, sono state presentate le linee di affettati a marchio Ibis e Corte Buona, e la più recente linea di affettati Piccoli e Buoni, una linea di 4 referenze che si inserisce nel segmento Merende: salumi affettati in vaschette dal piccolo formato (50 e 60 grammi), provenienti da filiere di allevamenti senza antibiotici dalla nascita, realizzati con conservanti di origine vegetale. La gamma comprende il Prosciutto Crudo, il Mini Cotto, il Salame Milano e la Mortadella. Nel mondo degli snack, l’azienda ha portato due nuovi prodotti che vanno ad ampliare l’offerta dei sandwich gourmet a marchio Ibis: un sandwich di pane integrale con ‘nduja, scamorza affumicata e funghi da 160 g e uno di pane integrale con prosciutto cotto, formaggio e tartufo, sempre da 160 g. Per quest’ultima referenza ricordiamo l’attività di co-marketing con Urbani Tartufi il cui brand compare anche sull’etichetta. Nel corso delle due giornate di fiera è stata presentata anche la nuova linea vending composta da tre mini-panini e tre mini-focaccine da 100 grammi dai gusti prosciutto cotto e formaggio, prosciutto crudo e formaggio e salame Milano e formaggio. I sei prodotti sono adatti ad un consumo veloce e il pratico formato li rende ideali per l’inserimento all’interno dei distributori automatici. >> Link: www.italiaalimentari.it

a un quinto. A ognuno di questi ambiti dedicheremo focus di approfondimento per conoscere le novità e le soluzioni più innovative dei protagonisti del mercato». Quella che si è svolta il 15 e 16 gennaio 2020 a Bologna Fiere è stata un’edizione decisamente rinnovata; rinnovamento che gli operatori hanno avuto modo di apprezzare a cominciare dal lay-out, pensato per una fruizione dell’evento ancora più funzionale al business, fino ai contenuti. Per la prima volta, infatti, il non-food ha avuto un’area completamente dedicata, il padiglione 36. Erano presenti oltre 100 aziende di questo settore, con una cinquantina di categorie merceologiche e centinaia di referenze. Il nuovo lay-out ha rafforzato il posizionamento della manifestazione su scala internazionale consentendo agli operatori italiani ed esteri di ottimizzare i tempi di visita alla fiera. Fra le nuove iniziative del salone c’è stato l’esordio di Marca Fresh, spazio ideato per rendere protagonista il comparto dei freschissimi nel mondo della MDD. Ha poi offerto nuove opportunità di business agli operatori professionali

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in visita anche il nuovo salone satellite in cui le più attuali tendenze di mercato — bio, free from e tracciabilità (ambito in cui la trasformazione digitale imprime un’evoluzione velocissima) — sono state analizzate in focus di approfondimento. Riconfermati nel 2020 gli ambiti riservati ai temi del packaging, della logistica e della digital industry, concentrati nell’area MarcaTech, che oggi permettono di generare più efficienza nella gestione del modern trade. Attenzione sempre maggiore verso i mercati esteri: anche quest’anno l’organizzazione del salone aveva infatti predisposto l’International Buyer Program, un piano di promozione internazionale per invitare in manifestazione i category manager e i buyer delle più significative catene retail estere. Insomma, MarcabyBolognaFiere si conferma piattaforma espositiva di grande visibilità per le aziende espositrici in un segmento, quello della MDD, che fidelizza i consumatori e cresce in assortimento, linee e referenze e che rappresenta la vera novità del mercato, rispetto ai prodotti di marca industriale, con ampi spazi di crescita. Fra gli espo-

sitori quest’anno ci sono state anche 20 grandi insegne della Distribuzione Moderna Organizzata che costituiscono il comitato tecnico-scientifico della manifestazione, coinvolto nella definizione dello sviluppo strategico dell’evento. MarcabyBolognaFiere 2020 ha ribadito, infine, l’offerta di momenti di formazione e informazione attraverso un ricco calendario di convegni, dibattiti, seminari e focus di analisi delle principali tendenze espresse dal modern trade nel settore MDD. Tra questi ricordiamo il convegno inaugurale organizzato da ADM in collaborazione con The European House – Ambrosetti focalizzato a “Il contributo della Marca Del Distributore alla sfida dello sviluppo sostenibile e del Paese” e la presentazione del “XVI Rapporto MarcabyBolognaFiere sull’evoluzione dei prodotti a marca del distributore in Italia” che si è completato con l’analisi di alcune “Case histories sul tema della sostenibilità”. Edizione 2021 MarcabyBolognaFiere 13 e 14 gennaio marca.bolognafiere.it

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ALIMENTARIA 2020:

Barcellona chiama Italia Dal 20 al 23 aprile l’industria agroalimentare mondiale e, soprattutto, quella delle carni e dei salumi, verrà catalizzata a Barcellona. Il sottosalone Intercarn giocherà il ruolo più strategico di una fiera che guarda sempre più all’internazionalizzazione

L’

Italia sarà ancora una volta uno dei Paesi più strategici nel settore internazionale di Alimentaria 2020, che punta a confermare l’elevato numero di visitatori ed espositori della precedente edizione. Carne e salumi, formaggi, pasta, dolci e prodotti gourmet e biologici saranno i settori più presenti alla fiera internazionale dell’alimentazione,

bevande e foodservice e il Belpaese parteciperà con i suoi espositori e visitatori che dal 20 al 23 aprile 2020 a Barcellona andranno a popolare i tanti padiglioni come Restaurama, Intercarn o Interlact. L’Italia è infatti il secondo partner commerciale per l’industria alimentare spagnola, stando ai dati della Federación Española de Industrias de Alimentación y Bebidas

(FIAB). Nel corso del 2018, il 12% delle esportazioni spagnole ha avuto come destinazione l’Italia, raggiungendo un valore di 3,6 milioni di euro. I prodotti spagnoli più richiesti sono stati l’olio d’oliva, l’ittico, in particolare crostacei e molluschi lavorati, e le carni, per un valore rispettivamente di 895, 631 e 505 milioni di euro. Secondo i dati del Ministerio de Industria, Comercio

J. Antonio Valls, direttore di Alimentaria e direttore generale di Alimentaria Exhibitions, a Barcellona durante la presentazione alla stampa mondiale dello scorso dicembre (photo © Alimentaria).

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Il suino iberico bianco alla conquista dei cinque continenti Negli ultimi anni il settore suinicolo spagnolo si è trasformato in uno dei maggiori player mondiali: si esportano oltre 2 milioni di tonnellate, per un valore di 5.000 milioni di euro e, come nel modello di produzione, il focus è incentrato su qualità, sicurezza alimentare e attenzione al benessere e all’ambiente. Il comparto suinicolo spagnolo lavora anche attraverso un rigoroso sistema di tracciabilità per seguire l’intero processo di un prodotto dalla fattoria alla tavola, con controlli di qualità e sicurezza. I diversi passaggi attraverso la catena alimentare — dall’allevamento al punto vendita del prodotto finito — sono monitorati per assicurare la sicurezza alimentare del prodotto stesso e offrire al cittadino una carne di maiale di riconosciuta qualità e sapore che è sinonimo di sicurezza e fiducia. Il lavoro svolto attraverso questo processo è monitorato dall’Interprofessione spagnola per le carni suine Interporc con azioni coordinate in 10 Paesi che hanno fatto sì che oggi le carni di maiale iberico siano conosciute e apprezzate nei 5 continenti. Lo scorso anno Interporc ha operato in Cina, Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Messico, Austria, Singapore, India, Regno Unito, Portogallo, Myanmar, Costa d’Avorio e Cina, dove è appena partito un progetto triennale denominato “Eccellenza dall’allevamento alla tavola” che si articolerà attraverso 12 metropoli cinesi attraverso seminari, promozioni nel retail e Ho.re.ca., partecipazione a fiere e missioni commerciali, oltre a pubblicità digitale e relazioni pubbliche (a lato, uno scatto presso l’azienda suinicola Salgot; photo © Alimentaria). >> Link: www.interporc.com www.interporcspain.org

y Turismo de España, l’Italia è anche il quarto maggior importatore di prodotti alimentari e bevande in valore, con un volume di 1,5 milioni di euro nel 2017 (+5,1% rispetto all’anno precedente), che rappresenta il 4,3% del valore totale delle importazioni in Spagna. Insomma, massimo interesse da parte del nostro Paese verso Alimentaria, una manifestazione che chiamerà a raccolta a Barcellona l’industria internazionale dell’agrifood, con la presentazione dei macro-trend di settore e le novità di un comparto in continua evoluzione per preferenze di consumo e modalità di acquisto. Alimentaria International Press Conference e i macro-trend Alimentaria, col suo direttore generale J. ANTONIO VALLS e tutto lo staff, lo scorso dicembre ha invitato a Barcellona una quarantina di giornalisti giunti da tutto il mondo — tra cui noi di EUROCARNI — per l’Alimentaria International Press

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Conference presso CosmoCaixa. A fare gli onori di casa c’era il presidente del comitato organizzativo di Alimentaria JOSEP LLUÍS BONET, che ha ricordato alla stampa mondiale che l’industria alimentare spagnola è il primo comparto economico del Paese e che l’internazionalizzazione della fiera è da sempre il principale obiettivo. J. Antonio Valls, nel citare l’elemento rappresentativo di Alimentaria, ovvero l’uovo — simbolo per eccellenza della vita e del nutrimento — ha ricordato che per l’edizione 2020 esso riflette tutte le specificità dell’industria agroalimentare. Sono infatti 10 i macro-trend identificati dagli organizzatori che verranno presentati nel corso della manifestazione: 1. tema della nutrizione e salutistico («La Dieta Mediterranea è parte integrante di Alimentaria»); 2. intolleranze e allergie; 3. prodotti convenience e praticità nell’acquisto e consumo di alimenti («la mancanza di tempo nella

preparazione dei pasti porta il consumatore a scegliere prodotti con maggior servizio»); 4. prodotti gourmet, ricercati per origine, qualità e appagamento nel consumo; 5. il concetto ideologico legato al cibo («ovvero un cibo onesto, per esempio a km 0, che si può combinare ai prodotti convenience e gourmet); 6. il tema della trasformazione del mondo di retail e GDO; 7. i nuovi modelli di distribuzione del foodservice; 8. i servizi di delivery e il fenomeno delle cosiddette dark kitchens, ovvero i ristoranti virtuali che producono cibi e pasti per servizi take away; 9. il processo di trasformazione digitale B2B e B2C e le strategie per raggiungere nuovi consumatori; 10. il tema della responsabilità sociale aziendale alla luce dei macrotemi ambientali, oggi tra le priorità dei piani di comunicazione di piccole e grandi aziende.

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Alimentaria 2020 si svolgerà dal 20 al 23 aprile presso il quartiere fieristico Gran Via della Fira de Barcelona (photo © Alimentaria). Alimentaria Trends, un nuovo salone Alimentaria 2020 includerà bella una novità: il salone Alimentaria Trends, che avrà una superficie di oltre 4.500 m2. Qui saranno presentate le nuove tendenze nella produzione e nel consumo di alimenti, come i prodotti di gastronomia (Fine Foods), alimenti biologici (Organic Foods), alimenti

senza allergeni (Free From), alimenti Halal (Halal Foods) e alimenti funzionali (Functional Foods). Ad affiancare il nuovo salone, quelli già esistenti dedicati ai settori chiave del mercato alimentare ovvero industria della carne e dei salumi (Intercarn), industria lattiero-casearia (Interlact), conserviera (Expoconser), dolci (Snacks, Biscuits & Confectionery), Dieta Mediterranea, prodotti freschi, oli

Intercarn, il sottosalone di Alimentaria riservato alle carni e ai salumi, ospiterà 600 espositori su una superficie espositiva di oltre 17.000 m2. Novità 2020 sarà Alimentaria Trends, dedicato alle nuove tendenze

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di oliva e oli vegetali (Mediterranean Foods), e foodservice (Restaurama). Grocery Foods riunirà invece le principali aziende di beni di consumo. Gli International Pavilions riuniranno l’intera offerta internazionale, mentre Lands of Spain farà lo stesso con la produzione delle diverse regioni spagnole. Il settore vitivinicolo nel 2020 inaugurerà una nuova fase con un apposito progetto: Intervin si trasformerà infatti nella Barcelona Wine Week, un vero e proprio tour enologico spagnolo che permetterà di mettere nella giusta luce la geografia dei vini locali, valorizzandone l’appeal internazionale. La Barcelona Wine Week si svolgerà dal 3 al 5 febbraio 2020 presso la Fira de Barcelona. Alimentaria e Hostelco,

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il Salone internazionale delle attrezzature per la ristorazione, l’ospitalità e la collettività, uniscono ancora una volta le forze e offriranno sia alla distribuzione che al canale HO.RE.CA. la più completa e trasversale offerta per l’industria alimentare, gastronomica e delle attrezzature per la ristorazione. A questo proposito, verranno organizzate congiuntamente attività di grande valore aggiunto come The Experience Live Gastronomy, uno spazio in cui si svolgeranno workshop, classi gastronomiche e showcooking. Italia star anche a Alimentaria 2018 La Camera di Commercio e Industria italiana per la Spagna e l’Istituto na-

zionale per il Commercio Estero (ICE), insieme a più di 120 aziende italiane, hanno avuto il compito di rappresentare la gastronomia del Belpaese ad Alimentaria 2018. Le aziende occupavano uno spazio espositivo di oltre 1.800 m2, cresciuto costantemente nelle ultime tre edizioni, facendo sì che l’Italia fosse il Paese con la più grande area espositiva e il maggior numero di istituzioni e aziende partecipanti. L’Italia si è classificata anche al primo posto tra i Paesi col maggior numero di visitatori, seguita da Francia e Portogallo. Alimentaria 2018 è stata visitata da importanti distributori italiani (Uniontrade, Penny Market, ICP, Cedi Gross, Distal, Gruppo Balletta e Con-

teco Food), nonché da importatori con un fatturato di oltre 2 milioni di euro. Infine, attraverso il programma Hosted Buyers, Alimentaria aveva invitato in fiera alcune delle principali catene di supermercati italiani (Coop Centro Italia, Iper Montebello e Magazzini Gabrielli), oltre ad aziende del settore della distribuzione (MGM, Buzzi, Marr e Optimum Buying). Alimentaria 2020 #Alimentaria2020 20-23 aprile Recinto Gran Via – Barcellona (E) Web: www.alimentaria.com www.facebook.com/AlimentariaBCN www.instagram.com/alimentariabcn

Alimentaria tra i top tre più importanti saloni fieristici dedicati alle carni nel mondo A poco più di due mesi dal suo svolgimento (23-26 aprile), Intercarn, il salone tematico dedicato alle carni e ai prodotti di salumeria, conferma di essere uno spazio protagonista all’interno di Alimentaria 2020, sia per numero di aziende espositrici che per i visitatori che hanno da tempo in agenda la trasferta in fiera. Sarà circa di 17.000 m2 la superficie netta messa a disposizione per 600 aziende espositrici. Intercarn è una piattaforma di business con forte vocazione all’internazionalizzazione e rappresenta una ghiotta occasione per esporre le carni migliori, i processi e i prodotti salumieri. «Il tutto anche in ottica di novità di mercato e analisi delle tendenze di settore», come ha dichiarato l’AD per l’Europa meridionale di Grupo Campofrío. «Nell’ambito di un evento fieristico multisettoriale come Alimentaria, Intercarn è l’unico salone in Europa con l’intera gamma di prodotti esposti e, al contempo, la capacità di creare sinergie con gli altri spazi espositivi, primo fra tutti Restaurama, dedicata agli operatori della ristorazione», ha detto J. Antonio Valls. «La crescita sensibile del numero di espositori e dell’area espositiva riflettono il ruolo che il settore occupa all’interno dell’economia spagnola», ha detto il presidente di Intercarn, aggiungendo che «l’industria della carne deve mantenere il suo impegno per l’innovazione al fine di rispondere alle nuove esigenze di un consumatore che, allo stesso tempo, sta adottando anche nuove abitudini di consumo». La crescita internazionale e il consolidamento di Intercarn 2020 stanno comportando un incremento significativo della partecipazione di società estere. A tal proposito Germania e Romania hanno confermato la loro presenza insieme a Gruppi dell’America Latina e degli Stati Uniti. Inoltre, il programma di fidelizzazione e l’invito di buyer esteri favorirà incontri mirati di business organizzati direttamente dalla fiera. Ricordiamo, infatti, che lo strumento di matchmaking di Alimentaria è disponibile per tutti gli espositori, agevolandoli nella gestione di agenda e appuntamenti. Intercarn ospiterà i nomi più importanti dell’industria delle carni spagnola, con Grupo Norteños, Grupo Jorge, Noel Alimentaria, El Pozo, Campofrío, Grupo Costa, Embutidos Monells, Costa Brava Foods, Grup Baucells, Grupo Sada, Joaquim Albertí/La Selva, Corporación Alimentaria Guissona, Companyia General Càrnia, Grupo Vall Companys, Splendid Foods, Cárnicas Tello, Jamones Aljomar e Grupo Coren, oltre ad un numero significativo di altre aziende che hanno già confermato la loro partecipazione all’evento. È stata confermata anche l’adesione della FECIC – Federazione delle imprese per l’industria della carne spagnola, dell’ANAFRIC –Associazione delle imprese della carne e dell’Interporc – Interprofessione spagnola di suini bianchi (photo © Alimentaria).

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Nasce Flavor Il nuovo evento dedicato al settore Ho.re.ca. contemporaneo organizzato da Pitti Immagine e Fiere di Parma si svolgerà in ottobre a Firenze

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LAVOR è un nuovissimo format espositivo per operatori del settore che presenta lo stato dell’arte nel mondo premium HO.RE.CA. Il salone internazionale è organizzato da Pitti Immagine e Fiere di Parma e si svolgerà a Firenze ogni due anni — la prima edizione sarà dal 4 al 6 ottobre 2020 — negli spazi della Fortezza da Basso. L’evento offrirà un aggiornamento indispensabile sui nuovi trend globali e una selezione accurata di brand e aziende che — dal food al lifestyle, dai servizi alle nuove tecnologie — puntano a soddisfare un segmento di mercato strategico per il business. FLAVOR porta la firma di due player internazionali del settore fieristico — Pitti Immagine e Fiere di Parma appunto — che hanno deciso di unire e integrare le rispettive esperienze e professionalità. Pitti Immagine, società fiorentina leader nell’organizzazione di saloni dedicati al fashion e al lifestyle (Pitti Uomo, Pitti Bimbo, Pitti Filati, Fragranze), con una particolare attenzione al mondo delle eccellenze food (Taste), e Fiere di Parma, uno dei principali poli fieristici italiani, che tra le sue manifestazioni di punta annovera Cibus, il Salone internazionale dell’alimentazione. FLAVOR avrà un format inedito e creativo per una selezionata platea di interlocutori professionali che d’ora in poi potrà riconoscersi nello stile e nelle proposte del salone: operatori specializzati nella produzione e distribuzione del canale HO.RE.CA., chef, uffici procurement delle grandi catene alberghiere, della ristorazione e del settore crocieristico, ma anche catering,

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department store, spazi di coworking, food delivery, dark kitchen (cucine “chiuse” ovvero in cui non si recano i clienti ma dove vengono prodotti i piatti che poi vengono consegnati con le consegne a domicilio, NdR) e altro ancora. Una selezione accurata degli espositori renderà protagoniste le aziende che sulla scena internazionale si contraddistinguono per la qualità del prodotto e per l’ideazione di etichette e linee specificatamente dedicate all’HO.RE.CA. di alta gamma e quindi presenti nelle cucine più quotate in Italia e all’estero. Saranno tre le aree tematiche dedicate, ognuna ad un momento di consumo della giornata: Break & Breakfast, Lunch & Dinner e Appetizer & After. «FLAVOR è un progetto originale ma figlio di esperienze ben strutturate — ha dichiarato RAFFAELLO NAPOLEONE, AD di Pitti Immagine — per il quale abbiamo integrato le competenze di Pitti Immagine e di Fiere di Parma grazie ad una felice intuizione di Firenze Fiera che per prima ha capito le potenzialità di questo evento a Firenze. È un salone dedicato alle migliori imprese italiane e internazionali che lavorano per il sistema HO.RE.CA. di fascia premium. Al centro del progetto stanno il prodotto, con le sue qualità originali e potenzialità ancor prima che con le diverse merceologie, e un formato espositivo tutto nuovo, persino sperimentale, con cui raccontare come stia cambiando il vivere il cibo, la tavola e l’accoglienza. FLAVOR è una nuova sfida, in cui mettiamo le conoscenze e la sensibilità che abbiamo accumulato nel tempo nella moda e nel lifestyle, ma anche

nel food di nicchia, al servizio di un mercato esigente, che pensa e si muove globalmente e velocemente». «Siamo molto soddisfatti di questa nuova collaborazione con Pitti Immagine — ha sottolineato alla presentazione alla stampa ANTONIO CELLIE, AD di Fiere di Parma — con la quale Fiere di Parma continua la sua strategia di alleanze verticali con organizzatori fieristici d’eccellenza (come Verona Fiere per Bellavita o Fiere di Colonia per CibusTec) e che operano in settore chiave per il made in Italy. L’esigenza di un evento dedicato esclusivamente al canale HO.RE.CA. premium & contemporary,che unisca creatività e business, esposizione e lifestyle, nasce da un’esigenza espressa direttamente dalle aziende del food & beverage che offrono al canale fuori casa prodotti dedicati e d’eccellenza, ma che non trovavano sul panorama nazionale un appuntamento fieristico di riferimento». >> Link: www.flavorfirenze.com

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I formaggini: ora come allora di Giorgia Fieni

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ono i classici alimenti per l’infanzia. Dopo il latte, gli omogeneizzati, le pappine di verdure e le mele grattugiate o le banane schiacciate, arrivano i formaggini nella minestrina in brodo, perché sono facili da mangiare senza denti e contengono vitamina D, importante per la crescita delle ossa. Le case italiane abitate solo da adulti che li tengono in dispensa sono invece molto rare (come sono rare quelle che ospitano biscotti tipo Plasmon): crescendo, infatti, si preferiscono gustare formaggi con una storia e una tradizione, non quadretti, o spicchi, di latticini “da bambini”. Ma quando appaiono, ecco la sorpresa e il ricordo della mamma col cucchiaio in mano che provava ad imboccarci, della nonna che ci preparava il panino (la mia ci metteva una giardiniera fatta in casa favolosa e accompagnava il tutto con un buon tè caldo) e di quanto ci faceva sembrare grandi gustarli direttamente dalla carta leccando la stagnola (e poi nascondendola di nuovo nella scatola per non far capire quanti ne avevamo mangiati). Lo facevamo assolutamente incuranti del fatto che, come si diceva, fossero preparati con scarti di altri formaggi mescolati assieme con del latte o che ci fossero dentro i “polifosfati”. A noi non importava: usavamo i nomi degli additivi come termine di spavento per i nostri compagni di giochi, facevamo spallucce e continuavamo a mangiare formaggini uno dietro l’altro. Quello di cui ci importava davvero, diciamola tutta, erano le figurine Disney di plastica da attaccare al frigo col sapone (a marca Mio) o gli adesivi di Susanna, che avevano creato un mercato di scambio degno dei migliori ricettatori. Gli adulti, però, la pensavano diversamente ed hanno iniziato ad opporsi ai polifosfati e da loro la protesta è passata alla industrie multinazionali, che li hanno tolti ed hanno deciso di controllarne meglio la produzione, la quale, ricordo, consiste solo in latte e batteri che lo trasformano in formaggio molle. Ultimamente sono arrivati sul mercato anche quelli ottenuti dal grana e la versione senza lattosio. Una volta scoperta la composizione, possiamo decidere se ricominciare a

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I formaggini, con la loro cremosità, sono adatti in moltissimi contesti in cucina: semplicemente spalmati su una fetta di pane o aggiunti ad un piatto caldo per arricchirne il sapore, fanno tornare un po’ tutti bambini (photo © Inalpi, www.inalpi.it). comprarli (vi ricordo che sono molto ricchi in sale, quindi attenzione alle quantità) e come ricettarli. A istinto direi sulle tartine, con salumi o pesce. Ma anche come uno dei quattro formaggi della pasta o della pizza, per ammorbidire il risotto o quale aggiunta golosa alla besciamella nei maccheroni e nelle lasagne, al forno o addirittura fritti. Nel libro “Orange is the new black”, PIPER KERMAN li ha usati come crema per la cheesecake “del carcerato” (a base crackers e margarina) mescolandoli con budino alla vaniglia, panna per macchiare il caffè e succo di limone: non dev’essere male… Anche se, avendo a disposizione un frigorifero, potete evitare l’ultima parte: Riempite di ghiaccio il secchio per le pulizie della vostra compagna di cella e metteteci la torta a raffreddare fino al momento di servirla. Per una ricetta più chic, invece, potete accompagnarli con pane artigianale (o fatto in casa), miele, mostarde e confetture. Avendo a disposizione un microonde, si può provare una mugcake al formaggino e piselli o salmone. O metterlo, con prosciutto cotto e funghi, all’interno di una cotoletta di vitello e cuocere il tutto al cartoccio. In una crema al bicchiere con panna, fragole e rum. In un minibudino con pe-

sto. Arricchito con le noci e avvolto nella lattuga. Nelle torte salate, nella piadina e nel tramezzino. Nelle polpette, con verdure o carni o salume. Ma, per tornare bambini davvero, mentre gustiamo queste specialità dobbiamo recitare la barzelletta del “fantasma formaggino”, che, ve la ricordo, fa così: Un Inglese, un Francese e un Italiano si sfidano a rimanere una notte intera in un castello infestato da un fantasma. La prima notte tocca all’inglese, che, al solo sentire l’urlo “Uuuuuhhhh… sono il fantasma formaggino!”, scappa terrorizzato. Il Francese lo prende in giro per la sua reazione e giura che resisterà per tutta la notte. Ma, quando sente un urlo ancora più forte dirgli “Uuuuuhhhh….sono il fantasma formaggino!”, scappa pure lui a gambe levate. La terza notte, mentre l’Italiano dorme tranquillo, si sente un urlo davvero spaventosissimo… “Uuuuuhhh sono il fantasma formaggino!” e lui, aprendo solo un occhio, “Vieni qui che ti spalmo sul panino!”. Per chi volesse poi sapere come finisce la storiella, vi consiglio “La vendetta del fantasma formaggino”, canzone divertentissima di Elio e le Storie Tese del 1992. E buon appetito! Giorgia Fieni Nota A pagina 98, photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com

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Prezioso alleato della salute e della linea

SKYR, QUASI UN MIRACOLO Arriva dalla più antica tradizione dei Vichinghi d’Islanda il formaggio morbidissimo, simile allo yogurt, con tante proteine, pochissime calorie, senza sale e zero grassi. Il suo successo è crescente, ma andrebbe pubblicizzato ancora di più e meglio di Nunzia Manicardi

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n Islanda viene prodotto da tempo immemorabile, eppure è soltanto da pochissimi anni che in Italia lo si commercializza e attraverso soltanto due grandi catene di distribuzione alimentare. La prima, a partire dal 2016, è stata la tedesca LIDL, col proprio marchio Milbona e la dicitura precisa “fermenti di skyr”. Nel 2017 è stata seguita dalla francese CARREFOUR, con la proposta di uno dei leader islandesi, la latteria MS DAIRIES, e la sua ricetta originale Isey Skyr. Anche all’estero, tuttavia, non è che lo skyr si trovi con grande facilità nonostante si stia parlando non dell’ennesimo yogurt bensì di un formaggio eccezionale, il quale presenta talmente tanti pregi che… se già non esistesse bisognereb-

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be inventarlo! Lo skyr potrebbe infatti sembrare uno yogurt molto denso, simile a quello greco. In realtà è un latticino, un vero e proprio formaggio che, però, a differenza di quest’ultimo, non ha né colesterolo né grassi di altro genere, né tanto meno sale. I valori nutrizionali medi per 100 grammi di prodotto lo dimostrano senz’ombra di dubbio (Tabella 1). Fa solo bene! La popolarità dello skyr, di fronte a tali valori, com’era logico aspettarsi, sta aumentando, benché la pubblicità al riguardo sia ancora a nostro avviso non sufficiente, nonostante i tanti articoli di stampa già apparsi e il notevole consenso ottenuto presso dietisti e nutrizionisti. Esso è il fiore all’occhiello di quella schiera in continua crescita di prodotti, preferibilmente di origine tradizionale, che sono poveri di carboidrati e ricchi di proteine, con l’ulteriore vantaggio — nel caso specifico — di non avere praticamente grassi né sale e di non affaticare ma, anzi, di agevolare moltissimo il metabolismo intestinale grazie alla presenza di fermenti lattici vivi che garantiscono il corretto funzionamento della flora batterica intestinale e mantengono alte le difese immunitarie. Può infine essere consumato all’istante, senza alcuna preparazione culinaria, dato che è eccellente così com’è e non ha bisogno di nient’altro, nonostante l’offerta anche di vasetti con l’aggiunta di frutta o aromi che non ci sentiamo di consigliare per non abbassare l’altissimo valore del prodotto al naturale aumentando gli zuccheri (infatti, se possibile, cercheremmo di togliere ogni traccia di zucchero per renderlo davvero perfetto). Anche nel confronto col quark, altro formaggio di provenienza nordica (Germania) dalle caratteristiche similari ma con alcune caratteristiche meno pregiate, e con lo yogurt greco,

lo skyr risulta vincente. Pur avendo molte caratteristiche in comune con quest’ultimo ha infatti un contenuto di proteine molto maggiore e presenta meno grassi e meno zuccheri. È poi un’autentica miniera di vitamine, soprattutto la D (utile per fortificare le ossa e favorire l’assorbimento del calcio) e quelle del gruppo B, compresa la B12 (preziosa per il buon funzionamento dell’intero organismo). Non ultima la cremosità, che lo rende particolarmente gradevole in qualsiasi momento della giornata e stagione dell’anno, anche come dessert per un momento di pausa (preferibilmente non eccedendo nella quantità). In sintesi: lo skyr nutre, toglie la fame, non ingrassa e non danneggia! Fa solo bene, tanto che può giustamente essere definito superfood. Per questi motivi è particolarmente indicato per gli sportivi, i bambini, i convalescenti e i malati, gli anziani e per chiunque voglia godere i vantaggi di un’alimentazione sana, gustosa e che sia fonte di energia e benessere anche psicologico oltre che fisico. I segreti di una preparazione vichinga Ma com’è possibile ottenere un formaggio che appare dunque quasi come un miracolo? Questo latticino viene preparato utilizzando latte vaccino scremato ottenuto dalla coagulazione delle caseine per mezzo dell'acidificazione con lattobatteri. Per produrne del nuovo è consuetudine in ambito familiare, come nel caso dello yogurt, utilizzare i resti di uno skyr già prodotto. A livello industriale il procedimento è un po’ più laborioso: il latte vaccino viene riscaldato, fino a raggiungere una temperatura di circa 85 °C per poco più di 5 minuti allo scopo di far affiorare in superficie la caseina e i grassi. Al latte vengono poi aggiunti il caglio di vitello e un po’ dello skyr della

Il superfood dei Vichinghi è un antichissimo formaggio fresco ottenuto da latte vaccino acido ma in passato si usava anche il latte ovino. La ricetta tradizionale è complessa. In compenso, le sue qualità nutrizionali sono eccezionali: possiede infatti un alto contenuto proteico e non contiene grassi

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Tab. 1 –Valori nutrizionali Skyr (per 100 g) Energia

65 kcal

Grassi

0,2 g

di cui Grassi saturi

0,1 g

Carboidrati

4,1 g

di cui Zuccheri

3,1 g

Proteine

11,8 g

Sodio

0,1 mg

produzione precedente per attivare la fermentazione. Il formaggio viene quindi lasciato raffreddare per farlo coagulare e infine filtrato per separare il siero dalla cagliata. Sono i segreti di una lavorazione che i Vichinghi, gli antichissimi abitanti del Nord Europa, hanno conservato per centinaia e, non è azzardato dire, migliaia di anni, così come hanno fatto i loro vicini popoli gaelici, diffondendoli — pur con qualche differenza — tra le altre popolazioni scandinave ma non fuori da quel perimetro. Gli altri popoli, poi, ne hanno perduto l’abitudine mentre in Islanda essa si è conservata, tant’è vero che oggi lo skyr viene definito prodotto islandese. Le sue tracce, risalenti a più di mille anni fa, sono state trovate nella letteratura medievale islandese; e, sempre in Islanda, resti dello skyr sono emersi nel corso di in alcuni scavi archeologici. A colazione, merenda ma anche a pranzo e per cena Lo skyr è anche un prezioso alleato in cucina, dove può essere utilizzato in molti modi anche per completare piatti e ricette. Naturalmente il primo utilizzo è per la colazione del mattino, al posto del latte o dello yogurt e con aggiunta di cereali e frutta fresca o secca oppure, perché no, di un bel cucchiaio di cacao amaro. Sempre al posto di latte o yogurt può essere impiegato per preparare frullati di frutta, che risulteranno allora più cremosi e densi. Diventa protagonista pure nella cheesecake senza cottura, ma può contribuire ad arricchire, con risultati eccellenti e in sostituzione della panna acida o dello yogurt greco, anche preparazioni salate come zuppe, vellutate e salse. Nunzia Manicardi

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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)


VINO

IL VINO COME REGOLA MONASTICA: visita all’Abbazia benedettina di Praglia di Gian Omar Bison

a venerazione del vino ai limiti dell’idolatria. La cerimoniosità quasi mistica delle degustazioni, la sacralità nel racconto, nella rappresentazione di un vino. Un alimento che diventa oggetto di devozione e di liturgia. Uno status symbol. Quante volte abbiamo sentito e letto critiche mirate a stigmatizzare gli eccessi che gravitano attorno al vino convenzionale? Molte. E quante altre volte abbiamo ascoltato i profeti ortodossi della new age enologica in-

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dugiare sul vino naturale, biodinamico, addirittura olistico? Altrettante. In mezzo, ci stanno le diverse nicchie di mercato da aggredire, le differenti strategie di marketing da affinare, lo storytelling corretto da costruire. Ma sempre di oggetto di devozione si tratta. In media stat virtus? Forse. Una terza via? Verrebbe da dire l’astemia come forma di ascetismo 2.0. Eppure ci sono luoghi in cui la viticoltura, più che il vino che ne è conseguenza, diventano strumento, non

oggetto, di culto. Di regola monastica. Vale per padre Epifanios e i suoi vini del Monte Athos. Vale anche per i monaci benedettini dell’Abbazia di Praglia a Teolo (PD), sui Colli Euganei, la più grande comunità d’Italia retta da ottobre di quest’anno da padre STEFANO VISINTIN. Tra i labores prescritti, la vitivinicoltura ha sicuramente una storia a sé. Ma qui si punta al pareggio di bilancio, nessuna speculazione. E al mantenimento dei cinque posti di lavoro applicati nell’azienda agricola abbaziale.

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In basso: chiostro dell’Abbazia di Praglia a Teolo, Padova (photo © Fermann). A destra: in alto, la facciata dell’Abbazia (photo © Fermann). In basso, i vigneti abbaziali sui Colli euganei (photo © Luca Lorenzelli – stock.adobe.com).

Non si specula neanche sul vino e sulla vite: non si forza, non si tradisce. Si accompagna, dalle radici al calice. La liturgia delle lune come la liturgia delle ore. Tanto per dire, solo per scegliere il liqueur d’expédition per rabboccare le bottiglie di metodo classico cuvée (Chardonnay, Garganega, Raboso del Piave) dopo dégorgement, è stato indetto un “conclave” con dieci monaci, i quali, alla cieca, con tanto di extra omnes (l’agronomo — cantiniere — camerlengo compreso), hanno scelto,

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tra più campioni, quello meritevole di impreziosire con le sue caratteristiche organolettiche lo spumante abbaziale. Solo due persone conoscono la ricetta. Passato e presente nel vino Il primo documento che lega la viticoltura all’Abbazia, fondata nel 1080, risale al 1130, ma è sul Trattato dell’Agricoltura di PIETRO DE’ CRESCENZI del 1304 che troviamo esplicita menzione della Schiava e della Garganega come vitigni del territorio.

Nel 1500 i monaci gestivano duemila ettari tra conduzione diretta e mezzadria (tra questi i Domini di Bagnoli). E va sottolineato come, ad ogni contratto di mezzadria, imponessero un impianto di viti e di ulivi. Nel 1810, con la soppressione degli ordini religiosi imposta da Napoleone, si persero conoscenze e tradizioni e, nel 1867, con l’annessione del Veneto all’Italia, tutta la comunità venne nuovamente sciolta e allontanata, trovando rifugio a Daila (Istria), allora territorio

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Uve della vendemmia dell’Abbazia di Praglia (photo © lamio – stock.adobe.com). austriaco. Nel 1900, però, fu imposto ai monaci, esuli in Istria, di acquistare l’Abbazia e, nel 1904, due frati tornarono a Praglia, seguiti anni dopo dagli altri cacciati con l’avvento di Tito dalla ex Iugoslavia. Arrivando ai giorni nostri, negli anni ‘80 del secolo scorso l’Abbazia vinificava mille ettolitri circa, facendo una viticoltura chiusa ed obsoleta governata dall’unico monaco autorizzato ad entrare in cantina. Con la sua morte, nel 1985, la cantina venne chiusa. Nel 2000 la ripartenza, tornando a condurre i terreni dati in affitto e, dal 2005, con la ristrutturazione delle cantine, avanti fino alla prima vinificazione del 2011. L’obiettivo non è e non sarà mai il guadagno ma il consolidamento di entrate da destinare alla carità oltre che al sostentamento della comunità monastica che, per inciso, consuma i ritagli di famiglia: bianco e rosso indistinti, non esattamente première sélection. Così come, pur in assenza di certificazione, il lavoro in vigna e in cantina è più che biologico, stante l’attenzione all’uso dei trattamenti antiparassitari (usano l’estratto di pompelmo) e degli additivi su vigne che hanno un’età media di 12 anni circa.

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Si punta ad un vino senza difetti, gradevole, con un minimo di appeal commerciale, usando più la fisica in cantina, come la gravità e gli sbalzi termici, che la chimica enologica. Questo implica costi e perdite, ma la coscienza, puntualizzano, chiede questo. Una superficie vitata di 12 ettari circa (45.000 bottiglie), con tutti i più comuni vitigni autoctoni ed internazionali, tra i quali un piccolo vigneto a Pinot noir sul cucuzzolo del Monte della Madonna, la superficie vitata più in alto dei Colli Euganei (520 metri slm), dove c’è un piccolo monastero (tre a turno i monaci stanziali) che fa riferimento all’Abbazia di Praglia. Oltre a questo, interessante è il progetto di recupero e rilancio, mentalità diffusa e condivisa con buona parte dei viticoltori euganei, di alcuni vitigni autoctoni come Corbina, Corbinona, Cavrara. Durante la vendemmia i monaci partecipano sempre rispettando gli impegni liturgici e le altre attività. Dal recupero di un vecchio locale cisterna, dove veniva convogliata e raccolta l’acqua piovana potabile, sono stati ricavati i locali destinati all’affinamento. Temperatura e umidità sono costanti per la gran parte dell’anno (17° C), ma, nel caso aumentino troppo, si interviene climatizzando.

Nell’Abbazia di Praglia si trova tutto quanto siano le produzioni tipiche monastiche che affondano le radici della conoscenza e della pratica produttiva in secoli di studi e attività di laboratorio: miele, tisane e infusi, cosmetici e rimedi naturali sono alcuni dei prodotti venduti nel negozio abbaziale. Oltre a ciò, svetta l’attività di restauro del libro e di conservazione e pubblico utilizzo di una biblioteca nutrita e interessante. Sala congressi e foresteria per quanti volessero soggiornare e vivere in veri e propri ritiri spirituali con la comunità monastica completano le attività sviluppate nell’Abbazia. Per quanto riguarda i vini, premesso che tutte le uve sono raccolte a mano, partiamo dal Metodo Classico. Due le versioni: una cuvée con parti uguali di Chardonnay, Garganega, Pinot noir che diventa il Domus Abbas (Extra Brut e Brut Nature 36 mesi sui lieviti) e, dal 2014, un Raboso Piave in purezza, Emeritus, sboccato dopo i 30 mesi ma ancora in fase sperimentale, con la convinzione di poter allungare l’affinamento sui lieviti fino ai 60. Entrambi gradevoli, l’impronta del Raboso si sente e, soprattutto nella versione 100%, svettano i sentori minerali, quasi sulfurei, di carbone e affumicatura. Il remuage? Completamente manuale. Decanus, rosso riserva Colli Euganei Doc, uvaggio di Cabernet sauvignon e Merlot (80%), si affina in botti di rovere per 24 mesi. Al naso svettano i frutti a bacca rossa e un’interessante nota balsamica e gessosa. In bocca si conferma un vino equilibrato, di corpo e buona persistenza aromatica. Solemnis (fermentazione in acciaio), Colli Euganei fior d’arancio DOCG, Moscato giallo secco, colore giallo paglierino carico, abbastanza complesso nel ventaglio aromatico che spazia, al naso, dai frutti, anche agrumi, ai fiori e, soprattutto, erbe aromatiche, in particolare salvia. Asciutto e fresco al palato. Claustrum: vino passito dal colore luminoso, ambrato. Frutta esotica, anche candita; emergono sentori iodati, balsamici e di parziale tostatura. Dolce e fresco, è il compagno migliore per un momento intimo da abbinare alla biscotteria. Vinifica in legno, matura in barrique per 18 mesi. Le uve appassiscono parzialmente in fruttaio. Gian Omar Bison

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Valorizzare la biodiversità: il progetto della cantina La Lupinella Situata tra le colline del Chianti, tra Vinci e Montespertoli, la cantina La Lupinella nasce da un progetto vitivinicolo, ideato già nel ‘90, che punta a valorizzare la grande biodiversità di questo territorio in provincia di Firenze, punteggiato di vigne, oliveti, seminativi e boschi. Acquistata da Vittoriano Bitossi, erede della quasi centenaria manifattura delle Maioliche Artistiche, La Lupinella, con le uve dei suoi 13 ettari vitati, produce tre vini bio di qualità, con la consulenza del noto enologo Luca D’Attoma, per un totale di 17.000 bottiglie. E sono rispettivamente: il Lupinella Rossa Chianti Docg, il Lupinella Rosa Igt Toscana, il Lupinella Bianco Toscano Trebbiano Igt. A monte del progetto c’è comunque una grande attenzione alla gestione del vigneto e della cantina: letame e sovescio per la fertilità della terra, inerbimento per il controllo delle piante infestanti, zonazione per valorizzare il potenziale delle diverse vigne, fino alle microfermentazioni, tenendo separate le uve dei singoli vigneti e per l’affinamento di ciascun quantitativo. Un obiettivo raggiunto anche con l’uso di materiali e strumenti diversi di vinificazione: anfore di terracotta, vasche in cemento, tonneaux e botti grandi di legno francese. >> Link: lalupinella.com


CANTINA BANFI, QUALITÀ ED EFFICIENZA SU MISURA DEI SIGNORI DEL BRUNELLO di Massimiliano Rella

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n vigna e in cantina sistemi d’allevamento e di vinificazione personalizzati per ricercare una qualità e un’efficienza fatte su misura del proprio stile e degli obiettivi d’impresa. Tutto questo grazie a un curriculum di ricerca interna-esterna, sviluppata in collaborazione con università e centri di sperimentazione. Proprio questo è uno degli aspetti che contraddistingue l’attività e la storia della Cantina Banfi, leader commerciale del Brunello di Montalcino. Ma partiamo dall’inizio e precisamente nel ‘78, quando John e Harry Mariani, nuova generazione di una famiglia italoamericana d’importatori di vino degli USA — la Banfi Vintners, fondata nel 1919 da Giovanni Mariani — decisero d’investire a Montalcino, sulle colline senesi. I Mariani cercavano in Toscana un Brunello di Montalcino da importare negli Stati Uniti. Ma c’era un problema di fondo: allora gli Americani non bevevano molto vino, motivo per cui per avvicinarli alla bevanda già importavano Lambrusco, in collaborazione con Cantine Riunite; circa 12 milioni di casse l’anno.

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Il Brunello era un vino importante in Italia ma poco conosciuto negli USA, sicuramente di difficile beva e abbinamento per le abitudini alimentari americane. I Mariani intuirono però la potenzialità inespressa del territorio in un periodo in cui, ormai archiviata la mezzadria, i grandi proprietari volevano liberarsi della terra. E il paese di Montalcino, diversamente da oggi, non godeva certo di una ricca economia. Acquistarono così diversi lotti di terreno fino a concludere gli acquisti nel 1983, con Poggio alle Mura e il relativo Castello, raggiungendo una superficie complessiva di 2.830 ettari, una vasta tenuta in unico corpo con ben 29 profili pedoclimatici. Di tanta superficie, 850 ettari oggi sono a vigneto: 172 per il Brunello, 10 per il Moscadello, 30 per il Rosso di Montalcino, ecc… Inizialmente

le prime bottiglie a marchio Banfi furono prodotte in altre aziende, invecchiando i vini nel podere Casanova, compreso nella tenuta Banfi, dove cominciarono a vinificare direttamente solo nel 1981. Nel 1984, però, fu inaugurata la nuova cantina. Oltre alla produzione e al marketing, scienza in cui gli Americani sono maestri, l’azienda si distinse presto anche per l’attenzione alla ricerca. Già all’inizio degli anni ‘80 aveva avviato un progetto sul Sangiovese in collaborazione con l’Università di Milano e il PROFESSOR ATTILIO SCIENZA. Fu creata allora una raccolta di cloni, circa 600, e in alcune vigne realizzata la selezione clonale. Su 180 cloni ne furono registrati 15, ma la cantina decise di utilizzarne 3 e con questi dal ‘92 cominciò ad impiantare le viti del Brunello.

Concepita per preservare la ricchezza e l’integrità delle uve, Cantina Banfi si avvale oggi delle più avanzate tecnologie, frutto di rivoluzionarie sperimentazioni

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Cantina Banfi: tini di legno e acciaio sistema Horizon. 109


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Alcuni cloni rispondono bene all’utilizzo in aree calde, dove c’è l’esigenza di mantenere i mosti acidi; altri sono buoni accumulatori di zuccheri, più validi nelle annate di maturazione meno favorevole. Altri ancora sono ideali per la longevità e la complessità dei vini da invecchiamento. L’etichetta di Brunello di Montalcino DOCG Poggio alle Mura è frutto di queste attività di selezione clonale che oggi interessa comunque tutti i vini a base sangiovese. Tra le varie ricerche di Banfi — ad esempio la zonazione ad inizio anni ‘80 — una delle più innovative ha riguardato la sperimentazione di un nuovo sistema d’impianto, l’Alberello Banfi, i cui risultati scientifici sono stati divulgati in tempi recenti. L’Alberello Banfi è oggi coltivato in alcune vigne per l’intera superficie del singolo vigneto e in altre in combinazione al Cordone speronato, il metodo da sempre adottato a Montalcino. Questo è un sistema che valorizza i terreni marginali, riduce l’uso d’acqua, concimi e agrochimici e si dimostra più efficiente per ore di lavoro/ettaro, poiché la vite non è soggetta al diradamento di germogli e raramente di grappoli; tra l’altro, sempre ben esposti, in condizioni che favoriscono la maturazione e la sanità delle uve. Questo tipo d’alberello può essere usato in sinergia col cordone speronato, anche nello stesso filare, permettendo di sopperire alla variabilità del terreno. Sono state infine riscontrate una minore incidenza di malattie del legno, una buona costanza produttiva nelle annate meno favorevoli e altri aspetti positivi. Attraverso la ricerca interna è stato creato infine il sistema di vinificazione (brevettato) Horizon, in collaborazione con Gamba per i legni e Di Zio per l’acciaio. I tini combinano acciaio e legno, ovvero controllo della temperatura e micro-ossigenazione: la base e il cappello sono d’acciaio, la parte centrale troncoconica è in rovere francese. Attualmente ne impiegano 24 da 177 hl. E veniamo così alla produzione della cantina Banfi e all’accoglienza enoturistica. Sono quattro le versioni di Brunello di Montalcino DOCG: una classica per 500.000 bottiglie; una Riserva cru Poggio all’Oro (massimo 20.000 bottiglie e non tutti gli anni); una selezione Poggio alle Mura, frutto

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In alto: il Museo del Vetro e della Bottiglia nel Castello di Poggio alle Mura. In basso: l’enoteca del Castello. delle ricerche in campo; una Riserva Poggio alle Mura, da una selezione su varie vigne. Si producono inoltre il Rosso di Montalcino, 700.000 bottiglie nella versione classica più la selezione Rosso di Montalcino Poggio alle Mura, quattro Supertuscan (tre rossi con Sangiovese), il Chianti DOCG e alcuni bianchi in purezza da uve Chardonnay, Sauvignon blanc e Vermentino, e una produzione di aceti balsamici. In totale 10 milioni di bottiglie, assorbite dal mercato italiano con il 38% delle quote, seguito dagli Usa al 36-37%. Banfi è un’azienda di 350 dipendenti, con 120 agenti plurimandatari in Italia più una capillare rete commerciale estera su 94 Paesi. La cantina fu concepita da subito anche per sviluppare l’accoglienza. E i numeri hanno reso onore ai progetti, visto che passano in azienda 60.000 visitatori l’anno, un

numero ricostruito attraverso le degustazioni in enoteca, gli scontrini, ecc… Il Castello, naturalmente, rappresenta il polo dell’ospitalità con l’enoteca e due ristoranti: La Sala dei Grappoli, chef Domenico FRANCONE, allievo di HEINZ BECK, aperto solo a cena da marzo a novembre, e la Taverna Banfi, di cucina tradizionale toscana. Infine, c’è un piccolo hotel di 14 camere lusso (da 800 a 2.000 euro a notte) e anche un Museo del Vetro e della Bottiglia con la più grande collezione privata di vetri romani. Massimiliano Rella >> Link: www.castellobanfi.it Nota A pagina 110, le cantine di affinamento e le vigne della Cantina Banfi (photo © Massimiliano Rella).

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

DEGUSTAZIONE: vino e pancetta (o guanciale) di Laura Franchini

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on ci vuole certo un genio per capire che la pancetta si ricava dal ventre, la pancia del maiale. Ci vuole invece sapienza e qualità della materia prima per proporre un prodotto che sia all’altezza della tradizione e del gusto. Molte le varianti e le denominazioni, la pancetta tradizionale viene preparata partendo dalla rifilatura e successivo sezionamento del ventre dei suini; seguono speziatura e salatura, a seconda della ricetta e del tipo di prodotto che si vuole ottenere. L’insaccato, infatti, potrà essere arrotolato, coppato, affumicato e arricchito di spezie

ed erbe aromatiche, cosparso di vino e/o aceto, a seconda delle tantissime tipologie presenti sul mercato. Viene poi stagionata per un periodo che varia da uno a tre mesi circa, a seconda della pezzatura. Con o senza cotenna, steccata, stesa, insaccata in budelli naturali o artificiali, la pancetta, così come il guanciale, prodotto con le guance suine, il bacon e le pancette affumicate si prestano a molteplici ricette, alcune di grande fama e tradizione. Ottima da sola, su di una fetta di pane croccante, vuole vini brillanti e in grado di sostenere grassezza e intensità di sapore. Ecco alcune proposte.

Salumi e vino: qual è l’abbinamento vincente? Dipende sempre dal tipo di salume che stiamo degustando e dal suo grado di sapidità. Le bollicine, ad esempio, sono perfette con i salumi molto grassi e dolci, in quanto detergono delicatamente la bocca

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La pancetta è uno dei salumi italiani costituiti da un solo pezzo anatomico intero del maiale, cioè quel taglio di carne che avvolge la pancia dell’animale includendo parte dei muscoli del torace e dell’addome, insieme al tessuto adiposo della parte del corpo che va dalla regione retrosternale a quella inguinale, compresa la parte laterale delle mammelle, che confina con il lardo, altro tipo di salume in commercio (photo © gudrun – stock.adobe.com).


Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Monovitigno Fattoria Moretto Nel cuore della denominazione, in quel di Castelvetro di Modena, splendido borgo circondato dai vigneti, troviamo questa cantina, seguita dai fratelli FABIO e FAUSTO ALTARIVA. Un calice frizzante e gioviale, altamente aderente alle aspettative di tradizione e tipologia. Prodotto con uve Lambrusco Grasparossa in purezza, è caratterizzato da un bel color rosso sgargiante con riflessi violacei tipici e giovani, mentre al naso sprigiona copiose note fruttate del vitigno, con ricordi vegetali di rami spezzati e pepe verde in lontananza. Il palato è altrettanto convincente, armonico, rotonda e piena sia la sorsata che la schiuma. Un vino adattissimo alla cucina del territorio, che si sposerà magnificamente con una tigella calda farcita con trito di pancetta, aglio, rosmarino e Parmigiano Reggiano.

Fattoria Moretto Via Tiberia 13/b Castelvetro (MO) Telefono: 059 790183 E-mail: info@fattoriamoretto.it Web: www.fattoriamoretto.it

Lambrusco di Sorbara DOC del Fondatore Cleto Chiarli CHIARLI si pone, nel tempo e nella qualità, come cantina di riferimento della tradizione modenese. Non tragga in inganno questo profondo radicamento nel territorio, non lo si confonda con mancanza di lungimiranza. È proprio questo, la moderna visione unita ad un forte attaccamento alla tipicità e alla storia della cantina, che caratterizzano le referenze Chiarli. E quando le realtà vinicole riescono a coniugare storia e modernità, è l’eccellenza il risultato. E questo calice ne è perfetta espressione. Vino rifermentato in bottiglia, nel solco di una tradizione di vini frizzanti che più modenese non si può, è splendido esempio di armonia, di palato e di naso. Sono sentori vinosi e fruttati tipici, dal lampone alla fragolina di bosco, uniti a mazzi di rose rosse fiorite, con ricordi balsamici e vegetali, fieno e ruta. Perfetto con la gastronomia modenese, con salumi e con pancette profumate.

Cleto Chiarli Via Manin 15 41100 Modena Telefono: 059 3163311 E-mail: italia@chiarli.it Web: www.chiarli.it

Barbera d’Asti DOC Frizzante Luna di Maggio Cascina Gilli Siamo nel basso Monferrato con questa cantina, caratterizzata da una splendida villa padronale che domina i vigneti e la proprietà. Gestita dal 1983 da GIANNI VERGNANO, propone vini di grande franchezza, caratterizzati da equilibrio ed eleganza. Non fa eccezione questa Barbera frizzante, fresca, come tradizione vuole che sia, brillante e dalla netta bevibilità. Note intense fruttate si sprigionano nella degustazione olfattiva, tipiche di lamponi e more, con leggeri ricordi speziati di pepe verde e nero. Al palato la sorsata è avvincente, fresca, giovane e diretta. La tipicissima nota fresca, data dall’acidità del vitigno, si integra con armonia alla schiuma decisa ma non sgarbata. Un calice grandemente sgrassante, che andrà ad integrarsi perfettamente a tutti i salumi. Ottimo con ali di pollo avvolte da pancetta croccante.

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Cascina Gilli Via Nevissano 36 14022 Castelnuovo Don Bosco (AT) Telefono: 011 9876984 E-mail: info@cascinagilli.it Web: www.cascinagilli.it

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Morellino di Scansano DOCG Mago di O3 Mantellassi

Fattoria Mantellassi Località Banditaccia 58051 Magliano in Toscana (GR) Telefono: 0564 592037 E-mail: info@fattoriamantellassi.it Web: fattoriamantellassi.it

Trasferitasi nella zona di Scansano dal Pistoiese intorno al 1860, i MANTELLASSI iniziano nel 1960 ad impiantare i primi vigneti sui colli della proprietà. Una visione lontana e forte, che porta la famiglia a contribuire in modo decisivo alla nascita della denominazione “Morellino di Scansano”, e rimanendo, tuttora, un vero e proprio faro di riferimento della stessa e del territorio. Questo calice, prodotto senza aggiunta di solfiti, si avvale della tecnologia Purovino, che sostituisce l’utilizzo di anidride solforosa con l’ozono, il quale, grazie ad un processo di iperossigenazione, blocca l’ossidazione del vino garantendo un’ottima conservazione delle proprietà organolettiche. Ci troviamo quindi davanti ad un calice brillante, nell’aspetto e nel gusto. Sono decisi e netti i sentori fruttati tipici, marasca e ricordi di prugne, con contorni di spezie. Sorsata equilibrata, calice adattissimo all’abbinamento con il guanciale.

Umbria Rosso Doc L’U Lungarotti

Lungarotti Viale G. Lungarotti 2 06089 Torgiano (PG) Telefono: 075 988661 E-mail: lungarotti@lungarotti.it Web: lungarotti.it

È GIORGIO LUNGAROTTI, negli anni ‘60, a dare vita a questa realtà, ben presto divenuto portabandiera della viticultura umbra nel mondo. Imprenditore coraggioso, accanto all’opera di recupero e valorizzazione dei vitigni autoctoni, procede alla selezione e all’adattamento di nuove varietà seguendo le più moderne tecniche enologiche. Questo calice è prodotto con uve Sangiovese e Merlot ed una piccola percentuale di altre uve a bacca rossa. Fermenta in acciaio e affina per 8-10 mesi in barrique, dopodiché passa altri 8-10 in bottiglia. Il vino ottenuto è di un rosso brillante e carico, con note olfattive lunghe, complesse e intense. Sono profumi fruttati di marasche mature e visciole, bacca di cacao e foglia di tabacco, spezie e vaniglia. La sorsata è piena e altrettanto decisa, con equilibrio tra le parti. Adatto all’abbinamento con formaggi strutturati e piatti di carne, fagiano in umido con cubetti di pancetta.

Cerasuolo d’Abruzzo Superiore DOC Fossimatto Fontefico

Az. Agr. Fontefico dei F.lli Altieri Via Difenza 38 66054 Vasto (CH) Telefono: 328 4113619 E-mail: info@fontefico.it Web: www.fontefico.it

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Affacciata sul mare Adriatico, nella campagna vastese, in provincia di Chieti, la cantina FONTEFICO è gestita con passione dai fratelli NICOLA ed EMANUELE ALTIERI, che ereditano dal padre Alessandro. Una splendida realtà, con annesso agriturismo, piscina e ristorante. Il vino proposto, che tanto successo ha riscosso tra i consumatori e la critica specializzata, è un Cerasuolo d’Abruzzo, prodotto con uve Montepulciano d’Abruzzo dal vigneto di proprietà Vigna del Pozzo. Un rosato che poco ricorda la leggerezza di alcune proposte rosate, come amano ricordare gli stessi titolari. “A chi ci chiede perché non ci omologhiamo alla moda di un rosato più scarico e senza carattere rispondiamo: fossi matto!”. Il calice è intenso e di carattere, con lunghe note fruttate di ribes e frutta scura, lamponi e more, ricordi di anice e macchia mediterranea. Da provare con bombette di carne alla griglia, avvolte nella pancetta.

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OLIO

Frantoio di Valnogaredo: QUANDO STORIA E IMPRONTA GREEN VANNO A BRACCETTO “Oleificio de Oreste Barbiero”, così era chiamato negli anni ‘60 l’attuale Frantoio di Valnogaredo, un unicum nel versante orientale dei Colli euganei. Risalente al ‘600, il frantoio lavorava da due a tre mesi l’anno, raccogliendo le olive portate dai contadini dei paesi circostanti. A portare avanti l’attività ora ci sono il figlio di Oreste, Paolo, e la moglie Pierangela. Particolare l’attenzione all’ambiente e al biologico, in crescita di Gian Omar Bison

Raccolta delle olive (photo © www.facebook.com/frantoiovalnogaredo).

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L

a FAMIGLIA BARBIERO lavora le olive da quattro generazioni. «Mio padre Oreste — sottolinea PAOLO BARBIERO — ha iniziato nel Dopoguerra assieme al nonno di mia moglie PIERANGELA che si chiamava CARISIO MUTTA. Entrambi lavoravano nella villa dei conti Rota di Valnogaredo, frazione di Cinto Euganeo (PD), che erano di fatto i padroni di tutto il paese e che avevano acquisito dopo vari passaggi di proprietà dalla famiglia dogale Contarini della Repubblica di Venezia, la quale aveva di fatto fondato sia la comunità che il primo frantoio locale. Ci tengo a sottolinearlo perché quello di Valnogaredo è un frantoio storico dei Colli euganei, attivo fin dal ‘700. Le vecchie macine e attrezzature sono ancora conservate in villa, oggi di proprietà della famiglia Piva, antiquari di Milano che l’hanno acquistata negli anni Sessanta del secolo scorso». Ecco, il 1960 è una data importante perché proprio in quell’anno Oreste acquistò dai Rota la casa, ex stalle nobili, una parte di uliveti e rilevo l’attività

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del frantoio che oggi si avvale di due linee, una tradizionale con le macine in pietra e i due torchi per la spremitura a freddo e una più moderna a estrazione a freddo. «Negli anni a venire — continua Paolo Barbiero — sono stati acquistati cinque ettari di terreno che, aggiunti ad altrettanti in affitto, sempre in zona, sono la superficie dove coltiviamo le nostre olive. Lavoriamo le nostre olive in piccola parte ma, soprattutto, trasformiamo in olio le olive di oltre 300 aziende agricole. Ci conferiscono le olive per il loro olio o ce le vendono e le trasformiamo in olio a marchio nostro che vale il 50% del lavorato». Giunti alla quarta generazione, spetterà al figlio FILIPPO portare avanti l’attività. In azienda funzionano sia le storiche macine che potrebbero ancora lavorare che le macchine nuove. «Da poco abbiamo attivato una sede qui vicino dove allocare il nuovo frantoio e godremo di maggiore agibilità con i mezzi e comodità nel lavoro. La sede attuale rimarrà come punto vendita e, nel tempo, come piccolo museo dell’olivicoltura dei Colli euganei». La produzione degli anni Sessanta, considerato che i Barbiero disponevano dell’unico frantoio in zona a parte uno piccolissimo ad Arquà Petrarca (PD), si aggirava sui 1.800 quintali di olive e circa 150 quintali di olio. «Adesso il nostro frantoio lavora sui 9.000 quintali all’anno, a seconda delle annate, considerando che dal 2003 sono sorti in vicinanza altri tre frantoi.

In alto: alcune produzioni del Frantoio Valnogaredo. In basso: la molitura delle olive (photo © www.facebook.com/frantoiovalnogaredo).

Oli selezionati Olio extravergine di oliva Dop Veneto Euganei e Berici “Olio dei Dogi” Spremuto a freddo, non filtrato, è disponibile nei formati da 0,5 l e 0,75 l. Si ottiene da olive di qualità: Rasara minimo 50%, Marzemina, Leccino e Frantoio. Olive molite il giorno stesso della raccolta. All’olfatto l’olio presenta un fruttato di oliva delicato verde, fresco, tipico dell’inizio lavorazione con note dolci e sensazioni di verdura di campo e mandorla. Per meglio apprezzare quanto descritto, si consiglia un uso a crudo su insalate, primi piatti, carni e pesce. Olio extravergine di oliva biologico L’Olio extravergine di oliva biologico, disponibile in formato da 0,5 l e 0,75 l), è prodotto nel pieno rispetto dell’ambiente seguendo il Regolamento CE. Ottenuto da olive di qualità Leccino, Frantoio, Rasara, Grignano. Le olive vengono frante entro le 24 ore successive alla raccolta. Vanno controllate tutte le attività di raccolta e stoccaggio delle olive, la lavorazione, la conservazione ed il confezionamento. Colore verde smeraldo con riflessi dorati, fruttato lieve che ricorda il frutto sano, intenso, con retrogusto leggermente amaro e piccante, ideale per l’uso a crudo, da abbinare ad antipasti di pesce, zuppe e carni bianche.

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La famiglia Barbiero (photo © www.facebook.com/frantoiovalnogaredo). Nei Colli euganei complessivamente arriviamo a produrre 20.000 quintali annui di olive e ci sono prospettive di ulteriore crescita, considerato che si continuano a mettere a dimora nuovi uliveti soprattutto nelle piccole proprietà non remunerative che erano adibite a vigneto. Il vigneto è molto specifico come lavorazione mentre l’ulivo chiede meno impegno e molti meno costi di attrezzature. Comunque non c’è competizione tra viticoltori ed olivicoltori, perché l’ulivo è adatto a certi tipi di terreni dove magari la vite farebbe difficoltà. La competizione potrebbe nascere nei piccoli appezzamenti ma, come detto, non sono remunerativi per le vigne». In azienda dal 1993, Paolo Barbiero si occupava in precedenza di elettronica ed automazione. «Non rinnego il mio passato ma mi sento realizzato nel mio attuale lavoro. È un’attività dove si vive la stagionalità, il timore per il caldo, per la nevicata, il gelo. Si vive in simbiosi con i cambiamenti climatici. E, soprattutto, c’è un bel rapporto a livello umano con le persone che vivono questa realtà e che arricchiscono il mio quotidiano». Come potrebbero impattare i cambiamenti climatici attesi sulla coltura dell’olivo? «In maniera seria. Di solito nell’ulivo ad un’annata più scarsa segue sempre un’annata più felice. Il timore è che coi cambiamenti climatici si vada

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a rompere questa regolarità produttiva. Quest’anno, ad esempio, abbiamo avuto un inverno da gennaio ad aprile con molta siccità, che è peggiore di quella estiva perché crea nelle piante uno stress idrico inaspettato. Se abbiamo un fine inverno e una primavera asciutta, e un aprile caldo e poi maggio freddo con abbondante piovosità, c’è confusione nella pianta e subentrano problemi di gemmazione dalla foglia al frutto. E questi fenomeni si prospettano sempre più frequenti e impegnativi. Si dovrà pensare a selezionare delle cultivar più resistenti alle conseguenze di questi cambiamenti climatici. Da noi problemi come la Xylella non ci sono stati per fortuna. Ma sembra che questo batterio abbia origini tropicali e sia arrivato in Italia trovando in Puglia un clima adeguato. Per questi motivi bisogna puntare su una selezione di cultivar adatte, tenendo ben presente che l’ulivo come pianta va in piena produzione dopo vent’anni. Partire oggi sapendo che i risultati si vedranno tra vent’anni non è facile. Ci vuole prudenza e visione di lungo periodo, facendo attenzione a non peggiorare l’esistente perché poi a tornare sui propri passi ci si impiegano decenni». Il Frantoio Valnogaredo è un’azienda green nonostante sia un’attività svolta con macchine che consumano energia elettrica in abbondanza. «Innanzitutto

da tempo siamo dotati di impianto fotovoltaico da 15 Kw che produce il 50% dell’energia elettrica che consumiamo» sottolinea Paolo. «Inoltre, tutti i nostri reflui, in sostanza le acque di vegetazione, le conferiamo ad un biodigestore a Lozzo Atestino (PD) al quale siamo associati e nel quale si produce calore per la scuola vicina e biometano per energia elettrica che viene poi immessa in rete. Col tempo conferiremo direttamente il metano alla rete Eni per la sua distribuzione». Altro sottoprodotto è la sansa, il residuo della polpa e del nocciolo, che viene conferita ai sansifici che estraggono olio che con metodi meccanici non si può estrarre. «Resta il nocciolino, che è un ottimo combustibile, ed il polverino solido, che viene ceduto ai mangimifici ed usato in zootecnia come fonte di polifenoli». Per finire, ci sono i resti delle potature che vengono normalmente trinciati e lasciati sul terreno. «Tuttavia, considerate le malattie come la rogna ed il cancro rameale, abbiamo capito che non è bene lasciare la ramaglia a contatto con le piante. Una volta era considerato un ammendante naturale perché si restituiva sostanza organica ai terreni ma oggi si rischia di disperdere a tutto campo queste patologie e quindi i sarmenti si tende ad allontanarli. Stiamo cercando di trovare accordi con le aziende che trattano le biomasse in maniera tale da ricavarne energia». Certificati biologici da una decina di anni, da venti sono parte della DOP Veneto Berici e Euganei. «Da poco abbiamo anche avviato con altre aziende il Biodistretto dei Colli euganei che è un soggetto importante per orientare le aziende a coltivare in maniera biologica, più sostenibile e meno impattante con l’ambiente oltre che per avere un prodotto più sano possibile. Il biodistretto sta procedendo bene. E la produzione biologica da noi sta aumentando a ritmo di 10% all’anno». Gian Omar Bison Frantoio di Valnogaredo Sas di Barbiero Filippo & C. Via Mantovane 8/A 35030 Cinto Euganeo (PD) Telefono: 0429 647224 E-mail: info@frantoiovalnogaredo.com Web: www.frantoiovalnogaredo.com

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


TECNOLOGIE L’ERP CSB-System agisce su qualità dei prodotti e costi di produzione

LA RICETTA FA LA DIFFERENZA!

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i acquista volentieri ciò che ha un buon sapore. Ma i gusti sono diversi e le possibilità di composizione di una ricetta sono in teoria infinite. Questa diversità si lascia gestire e ottimizzare solo con software specifici. «Perché solo chi ha il controllo della composizione dei suoi prodotti al 100% può soddisfare i severi requisiti del commercio e le aspettative sensoriali dei clienti, nonché reagire rapidamente a nuove condizioni sul

Una delle fasi di produzione.

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mercato delle materie prime e condurre una gestione del rischio sia operativa sia strategica» afferma il dott. PETER SCHIMITZEK, fondatore del gruppo CSB-System. Ultimo ma non meno importante, le ricette sono una leva per ridurre i costi in un settore già afflitto da margini deboli. Tutto questo può funzionare, però, solo grazie ad una forza centrale, un software, che gestisce e ottimizza le ricette e mette a disposizione le informazioni giuste lungo tutta la filiera.

Il lotto perfetto: una questione di gestione delle ricette In passato, le ricette erano una raccolta più o meno semplice di ingredienti e fasi di lavoro, sulla carta o anche solo nelle menti dei singoli dipendenti. Oggi non è più possibile produrre alimenti a base di carne senza numeri oggettivi, standard affidabili e risultati continuamente riproducibili. Le ricette sono diventate il punto di accesso della tecnologia di ogni produttore di alimenti e assumono importanti funzioni di controllo. È qui che tutti i pezzi si uniscono: dallo sviluppo del prodotto ai costi di approvvigionamento delle materie prime, dalla disposizione alla produzione. Fattori variabili come la qualità delle materie prime, la conservazione e le proporzioni di un impasto devono essere presi in considerazione in quanto tali o come eventuali sottoprodotti che possono essere ulteriormente trasformati in altri prodotti. Uno sguardo alla pratica rivela quanto siano alte le richieste verso i processi e la tecnologia informatica: riviste di settore affermano che aziende di trasformazione carne di medie dimensioni hanno circa 450 varianti di ricette in catalogo. Basti pensare allo stesso prodotto ma di dimensioni diverse, ai materiali da imballaggio che possono riportare un’etichetta a marchio proprio, a marchio commerciale oppure a marchio di un discount, o, ancora, si possono avere imballaggi esterni di un pallet con confezioni variabili personalizzati in base alle esigenze del cliente. Prestare attenzione a così tanti parametri può causare facilmente confusione, anche se persino il più piccolo di questi può avere un impatto enorme sul margine di contribuzione.

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Gestire il tutto in modo efficiente, quindi, funziona solo se il software in uso è stato sviluppato appositamente per la produzione alimentare. Solo i sistemi specifici del settore come la Gestione ricette di CSB sono in grado di gestire in modo ottimale le ricette e quindi pianificare la produzione, calcolare il costo di un prodotto, ottimizzare i rapporti di miscelazione, identificare allergeni, ingredienti e valori nutrizionali come pure garantire la tracciabilità. Qualità riproducibile tramite preparazione lotti standardizzata Un’altra parola chiave in questo contesto è qualità riproducibile. Se la stessa qualità deve essere prodotta quotidianamente, è importante che il software consenta la ricerca automatica e l’accesso rapido a ciascuna ricetta. Naturalmente, le distinte base e le descrizioni tecnologiche di preparazione e le istruzioni di lavoro devono essere disponibili elettronicamente anche nell’area di produzione, ad esempio su un PC industriale o su dispositivi mobili come tablet. Collegamenti a bilance o silos assicurano che i dipendenti seguano una procedura predefinita, una best practice in altre parole, per ottenere così una qualità del prodotto standardizzata e costantemente elevata per ogni lotto. Procedendo in questo modo, in parallelo, in maniera quasi automatica, viene istituita una gestione del rischio ben funzionante. Poiché i dipendenti altro non possono fare che produrre esattamente secondo le distinte base e i requisiti legali presenti nella procedura standardizzata, il rischio di scarti si riduce così come quello di costosi richiami. Ancora di più: una gestione ricette ed un sistema

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Tracciabilità con smartphone. informativo lotti basato su IT consentono anche una documentazione trasparente, perché alla fine, le ricette forniscono un quadro completo dei processi in produzione. Flussi di materiale, dati rilevanti per la qualità o cambiamenti nelle procedure: tutto viene registrato in modo accurato e automatico. Risparmiare grazie all’ottimizzazione della ricetta E se il prodotto fosse sempre delizioso, ma purtroppo troppo costoso? In questo caso allora molti consumatori ricorrerebbero ad un’opzione più economica. I prodotti intercambiabili, cosiddetti commodities, si vendono solitamente quasi solamente in base al prezzo, nonostante in molti casi, la differenza tra un topseller e un slow-seller sia solo di pochi centesimi. Ciò è dovuto principalmente alla pressione dei prezzi costantemente in crescita delle materie prime; e questo in un settore in cui i costi delle materie prime sono particolarmente alti e rappresentano spesso oltre il 60% dei ricavi delle vendite. Pertanto, la strada verso un margine più elevato passa necessariamente per l’ottimizzazione delle ricette. Tenendo conto delle restrizioni chimiche e tecnologiche ed una qualità

costantemente elevata precedentemente definita, l’ottimizzazione delle ricette del CSB-System calcola la composizione più economica dei prodotti. «I nostri clienti — spiega il dott. Schimitzek — ci riportano che, ottimizzando l’uso delle materie prime, è possibile ridurre i costi per le stesse, aumentando così i margini di contribuzione per ciascun prodotto. A seconda della situazione iniziale, già in una prima fase di ottimizzazione è possibile risparmiare oltre il 5% delle materie prime utilizzate. In media, ulteriori risparmi si assestano dall’1 al 4%».

Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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SONO 180 GRAMMI, LASCIO?

Three Imaginary Boys, The Cure

MEAT HOOK di Giovanni Papalato

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el maggio del 1979 arrivò nei negozi di dischi inglesi e poi nel resto d’Europa un album a nome THE CURE intitolato Three Imaginary Boys, la cui copertina raffigurava tre elettrodomestici su sfondo rosa (una lampada, un frigorifero e un

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aspirapolvere) e sul cui retro non erano scritti i titoli delle canzoni ma erano presenti 12 immagini, compreso un gancio da macello. Fu questo il debutto di una band che venderà milioni di dischi e, paradossalmente, risulterà una delle più iconografiche della storia musicale degli

ultimi quarant’anni. L’idea dietro questa grafica ermetica era del produttore CHRIS PARRY su disegno di BILL SMITH (già autore della copertina del discusso ed erroneamente interpretato singolo Killing an Arab per esprimere figurativamente la non immagine del gruppo). ROBERT SMITH, leader e autore, dichiarò sempre di non aver mai amato l’artwork ideato per il disco, a differenza dei due membri del gruppo che si limitarono ad acconsentire. In seguito il batterista TOLHURST stabilì anche quale di loro rappresentasse gli oggetti in copertina: «Io sono l’aspirapolvere, Robert è la lampada e Michael è il frigorifero». Verrà poi stampata una versione alternativa del disco per il mercato statunitense, cover e tracklist differenti, col nome di Boys Don’t Cry. È un album di debutto acerbo, pieno di influenze stilistiche che lo rendono eterogeneo. I limiti di questa condizione sono galvanizzati da un approccio disinibito e da intuizioni nella scrittura di Smith che lasciano intravedere prospettive importanti. È importante sottolineare come l’autore abbia evidenziato la sua totale estraneità alla compilazione della tracklist, sia in merito alla scelta dei brani composti, sia all’ordine degli stessi. Dal secondo album in poi si sarebbe occupato personalmente e totalmente di ciò, forte di una personale produzione e non affidandosi a terzi. Accanto a strutture piuttosto fragili, ma dense di un entusiasmo sincero e spontaneo, rimangono brani che hanno trovato posto nelle vite di almeno due generazioni e non intendono fermarsi. Alla fine degli anni Settanta, il punk ha resettato e dato vita ad un’eterogeneità e ad una libertà stilistica senza precedenti. Quello che viene chiamato Post-Punk annovera sperimentazioni elettroniche,

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avventure pop, mescolamenti elettrici, rinnovamenti e strade sconosciute. Three Imaginary Boys fa indiscutibilmente parte di tutto questo. Il disco si apre con uno dei brani più identificativi della band, quella 10.15 Saturday Night che circa trent’anni dopo verrà campionata da MASSIVE ATTACK in Man Next Door all’interno di un album importante e di rara bellezza come Mezzanine. È una sorta di manifesto stilistico di questi Cure esordienti, perché si svolge in un’atmosfera marcatamente naïf in cui si integra perfettamente un’indiscutibile irriverenza pop. La commistione di questi due elementi si esprime concretamente in una struttura ritmica minimale e incisiva della batteria che si lega ad un’interpretazione distaccata e vaga di Smith e ad una chitarra che prima si insinua leggera per poi urlare acida e irriverente prima di chiudere quietandosi. Il basso che morbido si prende cura di Accuracy, si muove accanto alla dinoccolata interpretazione vocale, creando una melodia che sa di noia e sfacciataggine, assolutamente in linea con l’età dei musicisti. Il frammentato e ritmico racconto di Grinding Halt è un perfetto gioiello New Wave, ancor più incisivo grazie alla produzione a bassa fedeltà. È invece con la successiva Another Day che ci si discosta da quanto finora ascoltato per entrare in un narcotico e onirico viaggio. Quasi liquido, dissonante, ci possiamo vedere col senno di poi un incipit di quello che The Cure approfondiranno nella produzione successiva. Ci destiamo subito dopo con l’irriverenza punk di Object, che ha le stigmate e la semplicità di quel movimento ma che è anche una chiara espressione del potenziale pop di Smith, mentre il brano si gira e contorce senza perdere il centro. È un basso jazzato che accompagna il breve e notturno racconto di Subway Song, che si aggiunge alla varietà di cui parlavamo al principio. Sarebbe limitativo considerarlo un riempitivo, anche perché chiude perfettamente il primo lato dell’album. Il soundcheck in cui viene eseguita Foxy Lady è l’unico brano nella quarantennale discografia di The Cure che non viene cantata da Smith. È infatti il bassista MICHAEL DEMPSEY che, tra lo

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sfrontato e canzonatorio, da voce ad una versione nervosa e divertita del classico di HENDRIX. La presenza di questo brano è anche la scatenante delle polemiche relativa a scelta e ordine dei brani, infatti non comparirà nella successiva versione dell’album assieme ad altre canzoni che saranno sostituite. È una perfetta canzone in linea con l’attitudine del disco invece quella Meat Hook letteralmente rappresentata sul retro copertina con un gancio da macellaio da cui pende una bistecca di manzo e gioca in maniera sempre in bilico tra il distaccato e quell’ingenuità tipica della post adolescenza che caratterizza l’intero album. Decisamente dadaista So What, in cui un testo intimista è mischiato ad una pubblicità sul retro di una confezione di zucchero e le cui coordinate sonore tornano in ambito punk in maniera estremamente congeniale. Si arriva poi ad uno degli episodi migliori del disco con Fire In Cairo che splende di pulite melodie pop e una chitarra sfrontata che interrompe e porta la composizione lontano da una bellissima ma ordinaria condizione. Impossibile non pensare a Buzzcocks con la successiva It’s not you, sincopata e scanzonata. Il brano omonimo Three Imaginary Boys chiude il disco, ponte ideale che porta a ciò che The Cure diventeranno di

lì a breve, in cui spleen e alienazione uniti a romanticismo e sogno saranno l’immaginario dentro il quale si muoveranno. In realtà il disco si chiude con una brevissima traccia nascosta, non indicata nel centrino del LP, è raffigurata con un’immagine nel retro copertina: si tratta di The Weedy Burton, un divertissement strumentale in cui Smith rende omaggio ai tutorial per suonare la chitarra di Bert Weedon, storico chitarrista ritenuto grande influenza dai migliori musicisti del secondo Dopoguerra. La natura irriverente e divertente dell’uomo di fatto dietro al nome The Cure avrà modo di emergere nel corso degli anni successivi, nonostante sia per molti superficialmente relegato ad un’estetica puramente dark. Three Imaginary Boys difficilmente compare tra i dischi preferiti della maggior parte dei fan di The Cure e vive di critiche estreme, sia positive che negative, fin dalla sua pubblicazione. Personalmente ritengo sia, con tutti i suoi limiti, un disco di grande ingenuità e sincerità che da sole non bastano a fare un grande disco ma che, unite al talento e alla personalità di chi lo ha scritto, come in questo caso, lo rendono fondamentale. Giovanni Papalato Nota Photo © Lucio Pellacani.

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STORIA E CULTURA

IL RITORNO DELLA TAZZA di Giovanni Ballarini

Una storia antica a tazza o ciotola che ricalca la forma delle mani è una delle più antiche forme create dall’uomo. Compare nell’antica filosofia greca quando DIOGENE DI SINOPE (400-325 a.C. circa), detto il Cinico o il Socrate pazzo e noto per

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la sua austerità, arriva a vivere in una piccola botte aperta che appartiene al tempio di Cibele distruggendo anche la sua unica proprietà terrena, una ciotola di legno, dopo aver visto un ragazzo bere dall’incavo delle mani. L’uomo crea la tazza o ciotola per cucinare e contenere i cibi che mangia dando vita ad

oggetti rustici o di alta arte orafa come le tazze d’oro del principe di Vaphio o Vafio (II millennio a.C.) conservate al Museo Archeologico Nazionale di Atene, che sono tra gli oggetti funerari più raffinati dell’intera collezione e forse i lavori più perfetti dell’arte miceneaminoica a noi pervenuti.

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Tazze d’argento si trovano nel servizio da tavola del tesoro pompeiano di Boscoreale, oggi custodite al Musée du Louvre di Parigi, e tazze di porcellana originarie dell’Estremo Oriente (Cina) iniziano a essere prodotte in Europa intorno al XV secolo. Umili tazze o ciotole di terracotta o di legno fanno parte della tavola di qualunque cucina povera in ogni parte della terra e certamente in una ciotola di terracotta il biblico ESAÙ mangia la zuppa di lenticchie con la quale baratta la sua primogenitura. La tazza è un recipiente a bocca circolare a volte dotata di un manico ad ansa, più raramente due. Ancora oggi la tazza senza manici è usata soprattutto per zuppe, minestre, insalate e altri alimenti, mentre le tazze con uno o due manici sono usate principalmente per servire alimenti liquidi come i brodi o consommé o bevande calde come caffè, caffellatte, cappuccino, tè, cioccolata. I materiali più usati sono la porcellana e la ceramica, ma esistono anche tazze in vetro, metallo, plastica. La storia della tazza è stata celebrata a Torino, a Palazzo Madama, nei primi mesi del 2015 con un percorso (Il mondo in una tazza. Storie di porcellana) che esplorava le ricche collezioni di arte decorativa conservate in museo. Sul finire del Quattrocento nelle carte faentine c’è il ricordo di un’offerta al Magnifico Lorenzo di tacce (tazze) di maiolica, decorate con gentilezza. Quest’uso di donare simili vasi continua nel Cinquecento quando CIPRIANO PICCOLPASSO distingue i tazzoni o confettiere dalle tazze e dalle tazzine o ciotolette a seconda delle più o meno grandi dimensioni del diametro dei vasi, quantunque non risulti del tutto chiara la differenza fra le forme delle tazze e quelle della scodella. La tazza fa parte delle credenze o serie di stoviglie per il servizio della mensa e le forme coperchiate servono più propriamente a contenere dolciumi, da cui il nome di confettiere. Negli ultimi secoli l’evoluzione della tecnica ceramica e l’introduzione delle nuove materie prime, la porcellana e poi la terraglia, rendono più comune questa sorta di vaso divenuto indispensabile per gli usi della casa. Tazza e società Secondo l’uso in tavola molte sono le

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Tazza d’argento del tesoro di Boscoreale, I sec. d.C. (photo © pinterest.at). varietà della tazza, piccolo recipiente basso, rotondo, a bocca più larga del fondo, con o senza coperchio, con o senza manico, a basso piede. Le prime ciotole o tazze di legno o terracotta modellata a mano risalgono alla preistoria, diventando subito indispensabili e insostituibili per raccogliere e conservare cereali ed in genere tutti i prodotti alimentari compresi i liquidi. Ancor prima dell’uso del tornio, tali manufatti dimostrano un avanzato controllo del calore rendendo possibile una serie di rivoluzioni culinarie come bollire l’acqua, stufare e cuocere gli alimenti. Per questo motivo, divengono il mezzo tuttora usato quotidianamente per trasformare e consumare i cibi, agevolando e sviluppando le azioni e le abitudini del mangiare e del bere. Si può dire che, grazie alla tazza, si amplia il ventaglio degli alimenti da sfruttare e consumare e, diversificando gusti, scelte, ricette, la dieta varia e a sua volta modifica la qualità della vita dell’uomo, rendendola migliore e più lunga, consentendo un processo di trasmissione di esperienze e conoscenze fra generazioni in una società ancora analfabeta. Da un punto di vista antropologico, sono il simbolo più efficace del sorgere di una struttura sociale nuova per l’umanità, legata alla stanzialità, all’agricoltura e alla divisione di compiti fra sessi. Secondo MARIA GRAZIA MORGANTI (E in principio fu la ciotola, 2012, Maiolica Italiana, www.maiolicaitaliana.com), la tazza rappresenta un ideale anello di congiunzione fra la civiltà del crudo

a quella del cotto, adattabile com’è ad ogni uso e circostanza, nella sua disadorna, flessibile funzionalità. Sempre secondo la Morganti, la ciotola si identificherebbe anche col mondo magico della religione primordiale, divenendo uno dei segni del passaggio dalla civiltà matrilineare delle origini a quella greca patriarcale quando vi è l’aggiunta dei manici. Cucina e gastronomia della tazza Per un lunghissimo periodo di tempo, la tazza o ciotola di legno o di terraglia si identifica con una società bassa, umile se non povera, e si lega ad una cucina dei miseri: zuppe d’erbe, legumi bolliti, brodini matti e pancotti, mentre le paste ripiene, la cacciagione, gli intingoli elaborati e la sontuosa pasticceria dei banchetti che durano giorni interi esigono piatti di forma distesa sui quali, in tutto il loro splendore, possono mostrarsi i trionfi gastronomici dell’arte culinaria. Anche il galateo ha la sua importanza. La ciotola è fatta per essere portata alla bocca o per essere svuotata con un cucchiaio; una minuscola ciotola col manico rinvia ad immagini plebee di visi che affondano nel cibo, mentre il galateo che si diffonde nel Rinascimento delle corti italiane impone l’utilizzo della forchetta che permette di portare il boccone alle labbra mantenendo una postura eretta in dignitoso distacco dal cibo. Da qui in avanti nell’alta cucina sopravvivono e arrivano fino a noi

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tazze e tazzine dotate di manici usate con distacco per le nuove bevande settecentesche e ottocentesche del te, delle tisane, del caffè. Anche a livello di cucina popolare la tazza, che non permette di vedere il cibo in tutta la sua struttura e complessità, è sostituita dal piatto fondo o fondina usato per le paste in brodo e per le zuppe, mentre la tazza è via via sempre meno usata se non per il latte, il brodo e anche, nelle osterie di più basso livello, per il vino in sostituzione dei più costosi bicchieri di vetro. Il ritorno della tazza Il pianeta della cucina e della gastronomia cambia con la mondializzazione dei costumi e degli stili alimentari e anche nel mondo occidentale, dove predomina il senso della vista e il cibo trionfa sul piatto piano o poco incavato, assistiamo al ritorno della tazza o ciotola che arriva dalla cultura gastronomica asiatica, soprattutto cinese, la quale attribuisce un’importanza fondamentale ai valori tattili, con la ciotola che va stretta fra le mani e trasmette il calore degli alimenti. La ciotola o tazza delle cucine asiatiche è il contenitore per eccellenza usato in ogni circostanza, coi cibi solidi e con le bevande, col riso e col sakè, passando per ogni possibile varietà di tè o di zuppe, dando origine ad una estrema varietà di tecniche di produzione, forme e decorazioni. Come le ciotole coreane Ido, create partendo da una striscia avvolta a spirale, o le ciotole raku, scavate da un blocco di creta o modellate rialzando i bordi di una sorta di piadina di argilla, senza dimenticare le ciotole o coppe dal colore del cielo della corte Song, quelle sancai a tre colori della dinastia Tang o dai pallidi color avorio Ding, fino alle tazze pesanti in gres nero dai lucenti rivestimenti screziati il cui uso rituale era riservato alle offerte dei monaci cinesi. Un’estrema varietà di tazze, ognuna con la sua precisa destinazione gastronomica, che oggi l’Occidente inizia ad applicare alla sua cucina e gastronomia. Diversi sono i cibi orientali presentati in ciotola o tazza che oggi gli Italiani iniziano a conoscere. Il poke è uno dei piatti principali della cucina delle Hawaii (letteralmente, “tagliare a pezzi ”in hawaiano, a volte scritto poké) a base

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I primi contenitori in legno e terracotta diventarono subito indispensabili e insostituibili per raccogliere e conservare cereali ed in genere tutti i prodotti alimentari, compresi i liquidi (photo © tashka2000 – stock.adobe.com). di pesce crudo, servito come antipasto o come portata principale. Il ramen è un tipico piatto giapponese ma di origine cinese a base di tagliatelle di tipo cinese di frumento (noodles) servite in brodo di carne e o pesce spesso insaporito con salsa di soia o miso e con guarnizioni come maiale, alghe marine secche, kamaboko, negi e a volte mais. Sì, perché ogni località del Giappone ha la propria variante di ramen, dal Tonkotsu (brodo con ossa di maiale bollite molto a lungo) di Fukuoka, isola di Kyushu (su cui si allevavano molti maiali), al Miso ramen della prefettura di Hokkaido, a base di miso (soia fermentata) e brodo di maiale e/o di pollo. Nelle preparazioni di piatti in ciotola o tazza asiatici, accanto agli aspetti accennati riguardanti la forma del contenitore e la sua vicinanza che sembra divenire quasi affettiva, non manca una certa attenzione visiva e non bisogna dimenticare che i pesci ornamentali cinesi erano mantenuti in vasi di ceramica e dovevano essere apprezzati vedendoli dall’alto e non lateralmente come negli odierni acquari. Per questo le ciotole o tazze asiatiche sono larghe e poco fonde e permettono di apprezzare la preparazione anche visivamente. La diffusione delle cucine asiatiche nel nostro Paese sembra abbia iniziato a stimolare un certo interesse anche per le presentazioni gastronomiche in

tazza, servite anche in occasione dei sempre più frequenti aperitivi-apericena e dei buffet, con la riscoperta dei brodi e delle zuppe, dalla Soupe à l’oignon tipica della cucina francese all’italiana Zuppa alla pavese. Secondo la tradizione, quest’ultima — una ricetta della Lombardia fatta con ingredienti semplici come pane casereccio, uova, brodo e Parmigiano Reggiano —, prende origine da un episodio che vede protagonista FRANCESCO I DI FRANCIA, il quale, durante la battaglia di Pavia, venne fatto prigioniero e subito dopo condotto presso un cascinale, la Cascina Repentita. La leggenda narra che proprio qui una contadina, presa alla sprovvista, non trovò di meglio che servire all’illustre ospite una grande tazza con una zuppa composta da ciò che al momento aveva disponibile. Francesco I di Francia, tornato in patria dopo un anno di prigionia, introdusse a corte la zuppa, destinata ad ottenere fama secolare. Prof. Em. Giovanni Ballarini Prof. Em. Dell’Università degli Studi di Parma Nota A pagina 124, il ramen affonda le proprie radici in Cina. In Giappone ha iniziato a diffondersi dopo la Seconda Guerra Mondiale. A partire dagli anni Ottanta, è diventato una vera e propria icona del Paese Sol Levante (photo © Monthira – stock.adobe.com).

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LIBRI

Pani d’Italia

“U

na fotografa alla ricerca dei pani d’Italia”, così si definisce in quest’opera F RANCA LOVINO, individuando al tempo stesso il titolo più calzante per questo suo ultimo lavoro fotografico dedicato al pane. Pane che, attraverso immagini e testi suggestivi, viene ripensato e rievocato a partire dagli elementi essenziali che lo costituiscono, il grano — anzi, i grani — e l’acqua, e accompagnato via via attraverso le più celebri forme, versioni e nomenclature lungo tutta la Penisola. Un viaggio fotografico che prende le mosse dal pane di segale della Valtellina e giunge fino al pane di Lentini, toccando le più famose specialità della panificazione italiana con altrettante tappe in città e regioni di grande tradizione. Pani morbidi, croccanti, chiari, scuri, integrali, di castagne, di segale… Pani che trionfano in tutta la loro naturale bellezza e che, al tempo stesso, traggono la loro maggiore forza evocativa dalle ambientazioni rigorose, dietro le quali si legge la grande vocazione scenografica di Lovino. Che pare,

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anzi, sfidare la “naturalezza” del tema, esaltando la semplicità del pane in still life di sofisticata eleganza o, viceversa, facendola rivivere attraverso i gesti sublimi di antiche tradizioni e di coloro che ancora le incarnano. Un viaggio che non è un inventario e non ha alcuna vocazione tassonomica ma, viceversa, si affida unicamente a suggestioni estetiche e sentimentali, che culminano non a caso in una ricca e sorprendente appendice di ricette che Lovino propone “dopo averle preparate, fotografate, studiate e gustate”. Può forse lasciare interdetti la presenza di un “ricettario” in un libro di foto artistiche, ma a ben vedere questa chiosa è perfettamente coerente con l’approccio anticonvenzionale di Lovino, che deliberatamente si concede alla contaminazione e al sovvertimento dei consueti confini di genere e di stile. Nota Lo scorso luglio, a Macao, il libro ha ricevuto l’importante riconoscimento “The best in the world 2019” come terzo miglior libro fotografico al mondo. In alto, una foto tratta dal libro.

FRANCA LOVINO Una fotografa alla ricerca dei pani d’Italia Modena, Artestampa Edizioni 136 pp. – € 28,00

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