Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXI N. 5 Settembre-Ottobre 2019
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* in riferimento ai valori medi nutrizionali della Mortadella (fonte dati: CREA – Alimenti e Nutrizione)
N. 5
€ 6,70 Anno XXXI Settembre-Ottobre 2019
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Lorenzo Fiorentin – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi
Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata Prof. Sergio Ventura EURO ANNUARIO CARNE 2019
Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone
22-25 ottobre 2019 Pad. 04 – Stand D15
Euro Annuario Carne La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2019 Copia cartacea: € 95,00
Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985
Premiata Salumeria Italiana, 5/19
Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
Ufficio stampa e Media Partner
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ph: Franceschini Vincenzo
Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.
FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it
N. 5
€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
In questo numero:
Immagini
10
Agenda
12
Tendenze
18
Salumi & Co.
20
Fotografati e mangiati
22
Aspettando Natale
24
Attualità
Blockchain: il cibo senza più segreti
Sebastiano Corona
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Il food in rete
Social food
Elena Benedetti
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A pagina 98.
Premiata Salumeria Italiana, 5/19
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Aziende
Il banco salumeria “sempre aperto” Salumificio Franceschini: mortadella al tartufo & Co. Zuarina, dal 1860 generazioni di cose buone Voce del verbo Stagionare
Elena Benedetti Gaia Borghi Elena Benedetti
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Consorzi
Festeggia 50 anni il Consorzio del Prosciutto di Modena
46
Prodotti tipici
La rivincita del rosa Prato, che fa rima con cantucci e mortadella La Signora di Conca Casale
Riccardo Lagorio
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Trend
Cibo da asporto, il grande business
Sebastiano Corona
62
Consumi
L’Italia dei mille salumi
Giovanni Ballarini
68
Indagini
Le infinite vie dell’abusivismo
Sebastiano Corona
72
Salumi in tavola
Una carezza giramondo
Giorgia Fieni
78
Eventi
Chef… al Massimo 2019, si va dove i sogni prendono forma
80
Rassegne
Cheese 2019, naturale non è più soltanto un’idea Festival del Prosciutto di Parma: il futuro è una sfida che non fa paura
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Week-end
La Romagna toscana: storie, saperi e sapori di un territorio unico La Mangia e Vai della Valle Camonica Salame Cremona Igp, così buono da fargli la festa
Massimiliano Rella 92 Josette Baverez Blanco 96 Riccardo Lagorio 98
Sapori mediterranei
L’isola del sale e del formaggio
Massimiliano Rella
102
Il gusto di camminare
Come d’autunno le foglie sui monti Nebrodi
Elena Simonini
106
Turismo enogastronomico
Su e giù per la Valtellina
Massimiliano Rella
110
Fiere
CibusTec 2019: a Parma in mostra la tecnologia alimentare L’Italia, le carni e i salumi protagonisti di Alimentaria
Elena Benedetti
114 116
Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N Anno XXXI N. 5 Settembre-Ottobre 2019
S T O P € 6,70
A pagina 78.
In copertina: salame rosa Bonfatti del Salumificio Negrini di Renazzo, Ferrara (photo © Massimiliano Rella).
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Formaggio
Il caciocavallo a due teste di Ciminà Mozzarella, l’oro bianco della Puglia
Riccardo Lagorio 120 Veronica Fumarola 122
I vini di Premiata Salumeria Italiana
Degustazione: vino e tartufo
Laura Franchini
Bevande
Bràulio, amaro d’erbe di montagna Roteglia 1848: un amor di distilleria
Massimiliano Rella 130 Federica Cornia 132
Pasta
Visvita, la ricchezza dei grani antichi nel piatto
Gian Omar Bison
Tecnologie
CSB BASIC ERP: la soluzione chiavi in mano per il settore Alimenti & Bevande
140
Storia e cultura
Crudo di Cuneo Dop: due soli storici ingredienti e tanto savoir-faire
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Sono 180 grammi, lascio? Turn On The Bright Lights, Interpol Libri
Biografood: i libri delle Cesarine raccontano il cibo… Camminare la terra dei formaggi Sensory Games: comunicazione del gusto
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Giovanni Papalato 148 150 151 151
A pagina 106. A pagina 42.
A pagina 30.
www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 8
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IMMAGINI
Raggiungibile in auto da Zara grazie ad un bellissimo ponte panoramico, Pago, nel cuore della Dalmazia, è conosciuta come l’isola del sale e del formaggio, il Paški Sir, tra i prodotti caseari più apprezzati e conosciuti in Croazia. Ce ne parla Massimiliano Rella a pagina 102 (photo © Massimiliano Rella).
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Solo le cose buone nascono per essere condivise. In un piccolo angolo della Toscana, luogo di simbiosi perfetta fra uomo e natura, in mezzo alle colline pisane, nascono le idee ed i progetti del Caseificio Busti che continua a rinnovarsi a partire dall’anno della sua fondazione nel 1955. Nell’attuale e moderno sito produttivo di Acciaiolo vengono ideate le nuove ricette, frutto di un lavoro lungo e paziente, alla ricerca del perfetto equilibrio tra gusto, profumi e segreti di lavorazione, il tutto mantenendo invariati i tradizionali metodi di lavorazione artigianali, vero punto di forza dell’Azienda.
www.caseificiobusti.it
BUSTI FORMAGGI S.R.L. VIA M ARCONI, 13 A/B - 56043 - LOC. ACCIAIOLO - FAUGLIA (PI) TEL. +39 050 650565 - FAX +39 050 659057- COMMERCIALE@CASEIFICIOBUSTI.IT
AGENDA
Colonia (Germania) L’evento fieristico internazionale dell’anno per il mondo food è dal 5 al 9 ottobre a Colonia con Anuga e i suoi 10 sotto-saloni specializzati tra carne, pesce, gourmet e delicatessen, surgelati, freschi, formaggi e latticini, pane e bakery, biologico, drink e bevande. Anuga Meat occuperà i padiglioni 5.2, 6 e 9 e ospiterà circa mille espositori tra aziende produttrici di carni e insaccati di bovino, suino, ovino, avicolo e selvaggina. Tra i trend del settore “carne” anticipiamo l’attenzione verso il benessere animale, le carni bio e la tracciabilità. Tra le novità di quest’anno ricordiamo il salone specializzato Anuga Culinary Concepts, che ospiterà progetti gastronomici come i concorsi “Il cuoco dell’anno” e “Il pasticcere dell’anno”, e Anuga Hot Beverages café, tè & Co., tra i principali trend-setter della distribuzione e dell’out-of-home (photo © Koelnmesse GmbH, Thomas Klerx). www.anuga.com
Modena Sapori del territorio e musica, per un omaggio alle eccellenze modenesi nel fine settimana che celebra l’84o anniversario dalla nascita di LUCIANO PAVAROTTI: dall’11 al 13 ottobre nella città della Ghirlandina si svolgerà la quarta edizione di Gusti.a.Mo19, che avrà come tema conduttore proprio la forte impronta della città nel mondo della lirica, da Pavarotti alle due soprano RAINA KABAIVANSKA e MIRELLA FRENI. Ad aderire al progetto, che anche quest’anno prevede degustazioni e visite guidate nei luoghi di produzione, ci sono tutti i principali Consorzi rappresentativi dei prodotti tipici del territorio, tra cui il Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, il Consorzio del Parmigiano Reggiano DOP, il Consorzio del Prosciutto di Modena DOP, il Consorzio Tutela del Lambrusco di Modena DOP, il Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi DOP, il Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena IGP, il Consorzio Zampone e Cotechino Modena IGP, il Consorzio Ciliegia di Vignola IGP e il Consorzio Produttori Amarene Brusche di Modena (in foto, un panino col cotechino del mitico Bar Schiavoni, che si trova all’interno del Mercato Albinelli di Modena; photo © instagram.com/melaniedunea). www.gustiamodena.it
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Bergamo È in calendario nel capoluogo orobico dal 17 al 20 ottobre la 4a edizione di Forme, la manifestazione dedicata all’arte casearia italiana d’eccellenza che torna con degustazioni, mostre-mercato, laboratori e incontri con appuntamenti dedicati agli addetti ai lavori e a chi vuole unire l’amore per il formaggio ad un’esperienza fatta di turismo, gastronomia e cultura. Sarà un viaggio nel mondo caseario, dove si potranno conoscere migliaia di formaggi provenienti da tutto il mondo, partecipare a convegni, scoprire abbinamenti inediti e curiosi. L’obiettivo? Diffondere la cultura del mondo caseario a 360°, dai prodotto ai territori da cui provengono, alla loro storia, alle tradizioni, alle tecniche, all’alimentazione, all’ambiente. Quest’anno Forme si aprirà al mondo e ospiterà i World Cheese Awards, le Olimpiadi dei formaggi che arriveranno per la prima volta in Italia. Organizzati da THE GUILD OF FINE FOOD, i World Cheese Awards da 31 anni premiano i migliori produttori del pianeta, dai piccoli artigiani ai grandi brand. 3.472 formaggi provenienti da 41 Paesi, oltre 2.500 aziende produttrici, una giuria internazionale di 235 esperti e 6.000 visitatori, tra specialisti, opinion leader e appassionati da tutto il mondo sono le credenziali dell’ultima edizione tenutasi a Bergen, in Norvegia, dove l’Italia ha collezionato 175 Awards, di cui 13 Super Gold, 42 Gold, 60 Silver e 60 Bronze (fonte: EFA News – European Food Agency). www.progettoforme.eu
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Milano La 41a edizione di Hostmilano a fieramilano sarà dal 18 al 22 ottobre. Il numero delle aziende che hanno scelto Hostmilano per promuovere ed esporre i propri prodotti e servizi sfiora quota 2.000 (+8% rispetto al 2017), 1.127 delle quali italiane (+7%) e 785 internazionali (+10%). Queste ultime rappresentano 54 Paesi. Tra le newentry ci sono nazioni come Albania, Argentina, Colombia, Iran, Lettonia, Libano. La fiera si conferma una sorta di hub “senza confini”, dove tutto il mondo dell’ospitalità e della ristorazione professionale non potrà mancare. www.host.fieramilano.it
Parma L’appuntamento con l’innovazione e la tecnologia alimentare — dagli ingredienti alle tecnologie di trasformazione, dal confezionamento alla logistica — è a Parma dal 22 al 25 ottobre con CibusTec, dal 2016 braccio operativo di KPE, Koeln Parma Exhibitions, e tra le più importanti piattaforme globali dedicate alle tecnologie del food & beverage. Nel complesso si contano 1.300 espositori (nel 2016 erano 1.000), le tecnologie per tutte le filiere dell’agroalimentare (Frutta e Vegetali, Latte e derivati, Carne e Prodotti ittici, Piatti pronti) e l’ingresso di un nuovo comparto: i Prodotti da forno e derivati dai cereali, Snack e Prodotti dolciari. La sezione dedicata alle proteine animali crescerà del 20% forte di un distretto, quello di Parma, che vanta 500 aziende alimentari di settore e best practice esportate in tutto il mondo. Anche nel comparto del packaging si segna con questa edizione un cambio di passo: dal confezionamento primario all’imballaggio, dal finelinea alla logistica, con una crescita dell’area del 40% rispetto alla precedente edizione. Infine, sul fronte internazionalizzazione, per aiutare l’export delle aziende italiane CibusTec organizzerà il più grande Top Buyer Program di tutte le fiere FoodTec che porterà a Parma più di 3.000 operatori internazionali provenienti da 70 Paesi e due iniziative speciali relative ad India e Africa. www.cibustec.com
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Bassa Parmense Gli appassionati del maiale, già convocati il 26 e 27 ottobre ad Albinea (RE) per Ciccioli Balsamici, non possono rimanere indifferenti al richiamo di November Porc, che per tutto il mese di novembre festeggerà il suino nella Bassa Parmense con un evento itinerante tra eccellenze culinarie come il culatello, il prosciutto crudo, la spalla cotta di San Secondo, il salame, la coppa e lo strolghino. I professionisti del salume possono tentare l’en plein, partecipando a tutte le tappe di una manifestazione che parte con la quattro giorni di Sissa Trecasali (1-3 novembre), per poi spostarsi a Polesine Parmense (8-10), deviare a Zibello (15-17) e chiudere in bellezza a Roccabianca (22-24; in foto, il Culatello di Zibello DOP dell’Antica Corte Pallavicina, photo © Antica Corte Pallavicina). www.novemberporc.it
Verona Il 27 ottobre sarà il Centro Congressi di Veronafiere ad ospitare la quinta edizione di Italian Cheese Awards, il premio organizzato da GURU COMUNICAZIONE dedicato ai migliori formaggi nazionali prodotti con 100% latte italiano. La giuria della finale sarà convocata poche ore prima della premiazione per degustare i formaggi “nominati”, 3 per le 10 categorie (più 3 formaggi che hanno ottenuto un punteggio ex equo). La redazione di Guru Comunicazione assegnerà 6 premi speciali. Dopo la premiazione seguirà la degustazione di tutti i 33 prodotti formaggi finalisti abbinati a 33 vini top italiani. La cerimonia-evento, che si terrà a partire dalle 17:00, verrà trasmessa in diretta streaming. La partecipazione alla serata è gratuita su prenotazione (fonte: EFA News; photo © Valentyn Volkov). www.gurudelgusto.it
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Alba, Cuneo A partire dal 5 ottobre fino al 24 novembre ritorna l’imperdibile appuntamento con la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba. «Il cibo è una delle più straordinarie espressioni della cultura materiale — ha dichiarato la presidente dell’ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba LILIANA ALLENA — ed è indubbiamente una delle motivazioni di viaggio per chi raggiunge le colline di Langhe, Roero e Monferrato. La nostra più preziosa risorsa, il Tartufo Bianco d’Alba, è il perfetto legame tra la tavola tradizionale e la cucina stellata, un elemento immancabile ed eccezionale valore aggiunto sui piatti del territorio. Siamo seguiti da un pubblico attento ed entusiasta che arriva da tutto il mondo e considera la nostra fiera una destinazione imprescindibile per l’autunno. Ci auguriamo che l’appuntamento albese possa essere un’occasione per mostrare anche al pubblico cittadino le sue bellezze architettoniche, la sua cultura e la sua storia in una veste particolare, come avverrà con le Cene Insolite». www.fieradeltartufo.org
Si è spento Giorgio Mongiorgi, una vita dedicata al settore della lavorazione delle carni Si è spento la notte del 2 giugno a Savigno, dove era nato il 18 aprile del 1944, Giorgio Mongiorgi, noto imprenditore del settore della lavorazione delle carni, fondatore della Euroscambi Spa di Vignola (MO), società di import-export specializzata nella commercializzazione di tagli di carne suina, e del Prosciuttificio Antica Pieve di Guiglia (MO). Giorgio Mongiorgi figura anche tra i fondatori dell’Ordine dei Maestri Salumieri, un’associazione che ben rappresenta la cultura “del maiale” di cui è profondamente impregnato il territorio modenese fin nell’antichità ed in particolare il “distretto delle carni”, che ha il suo centro in Castelnuovo Rangone (MO). Dotato di un istinto innato negli affari, la sua attività era iniziata dalla piccola macelleria del suo paese per poi estendersi progressivamente al settore nazionale ed europeo del commercio e lavorazione della carne, prosciutti in primis. Nello stabilimento modello che ha costruito a Guiglia, e che conta oggi una ventina di collaboratori, ogni settimana vengono lavorati circa 9.000 prosciutti. Fra essi quelli a marchio Dolce Maggiore, nella cui formula produttiva è previsto l’utilizzo del sale dolce di Cervia. Circondato dall’affetto della moglie Mirella Bartolini, i figli Matteo, Nicola e Sara e i nipoti, per quasi due anni ha combattuto la malattia che priva la sua famiglia e le sue aziende del loro fondatore. Il funerale è stato celebrato negli spazi dello stabilimento di Guiglia, sotto lo sguardo dell’immagine venerata nel santuario della Madonna di Medjugorje della quale Giorgio sosteneva i progetti a favore dell’infanzia. La Redazione di Eurocarni e di Premiata Salumeria Italiana si unisce al dolore della famiglia Mongiorgi per questa terribile perdita.
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Dall’allevamento alla tavola controlliamo per voi tutta la filiera, per garantirvi una mortadella veramente artigianale. www.fattoriazivieri.it | www.macelleriazivieri.it | macelleriazivieri info@fattoriazivieri.it | info@macelleriazivieri.it | +39 051 6771533 Via G. Dozza 36, 40069 Zola Predosa BOLOGNA
TENDENZE IV Forum mondiale UNESCO: si comincia sempre dal vicino di casa
Parma pensa, Parma fa. Col suo “sistema”, il cosiddetto “Parma Model”, la Città Creativa per la Gastronomia UNESCO ha fatto scuola riunendo, il 12 e 13 settembre scorsi, 150 tra stakeholder ed esperti mondiali al IV Forum mondiale UNESCO “Cultura e cibo: strategie innovative per lo sviluppo sostenibile”. «Al mondo 2 miliardi di persone non hanno accesso regolare a quantità di cibo sufficienti. 1/3 del cibo prodotto va sprecato. Sono tendenze che minacciano la biodiversità. In questo senso le esperienze locali possono portare verso modelli alimentari più sostenibili» ha dichiarato ERNESTO OTTONE, vicedirettore generale UNESCO per il settore Cultura. «Da parte dell’UNESCO c’è il sostegno massimo alla questione. Il food è parte integrante dell’Agenda 2030 per l’inclusione sociale, il dialogo e lo sviluppo sostenibile». Esito e punto nevralgico della due giorni è stata la “Dichiarazione Parma”, un documento sottoscritto da tutti i partecipanti al Forum che detta le linee di comportamento per il futuro dell’alimentazione: sostenibilità, riciclo ed educazione. Obiettivi raggiungibili attraverso l’applicazione di buone pratiche, tra le quali integrare al meglio cultura e politiche di sviluppo sostenibile; promuovere una cooperazione trasversale nei settori della cultura, dell’istruzione e della scienza; rafforzare il nesso tra cultura, cibo ed educazione e i modelli in evoluzione della sicurezza alimentare; sostenere metodi culturalmente appropriati di produzione e consumo alimentare che rispettino le comunità, il loro patrimonio culturale e l’ambiente; individuare nuovi modelli di business e forme di creatività che rafforzino i processi di apprendimento, innovazione e sviluppo locali nel settore nutrizionale; adattare gli strumenti di sviluppo urbano ai contesti locali. Durante il Forum, è intervenuto anche lo chef MASSIMO BOTTURA (in foto), il quale ha descritto il progetto “Food for Soul” che prevede di aprire in tutto il mondo, come già avvenuto a EXPO 2015, dei Refettori, mense ricavate da spazi dimenticati in cui i migliori chef del mondo cucinano prodotti invenduti, non utilizzati o prossimi alla scadenza per chi è in condizioni di vulnerabilità. «Il cibo è un atto d’amore» ha dichiarato Bottura. «Contro lo spreco bisogna rispettare il cibo a ogni suo stadio e muoversi globalmente, ognuno nel proprio piccolo. Si comincia dal vicino di casa».
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NON SOLO A CAPODANNO:
BUONI TUTTO L’ANNO Zampone Modena IGP e Cotechino Modena IGP Due prodotti della grande tradizione salumiera italiana, quella più autentica, genuina e di indiscussa qualità, perché garantiti dal Disciplinare di produzione e dalla certificazione IGP. Inconfondibili per il loro gusto, sono semplici da preparare e inaspettatamente versatili: ogni occasione è il momento ideale per assaporarli, secondo tradizione o seguendo la tua fantasia.
Si abbinano perfettamente con molti ingredienti e si adattano a qualsiasi portata: un primo sfizioso o un secondo sorprendente, consumati caldi o freddi. E da oggi sono ancora più sani: grassi ridotti del 60% rispetto al passato, privi di glutammato aggiunto e di derivati del latte, solo con aromi naturali. Non solo a Capodanno quindi: lo Zampone Modena e il Cotechino Modena sono buoni tutto l’anno!
Consorzio Zampone e Cotechino Modena IGP
#sempreunafesta
SALUMI & CO.
La vetrofania?
Roba da antichi!
Se vuoi dare un’immagine moderna al tuo locale trova un bravo grafico o illustratore e, pennarello alla mano, fagli decorare la vetrina esterna. Esprimi chi sei, i tuoi punti di forza e la tua storia attraverso immagini e tratti che renderanno la tua bottega di tendenza e attuale (photo © dodoartsandcrafts.wordpress.com).
Borraccia termica MAI PIÙ SENZA Più che una tendenza è un’evoluzione dei nostri comportamenti. È la consapevolezza che la riduzione dell’utilizzo di materiali plastici nella quotidianità lascia il segno. La borraccia termica ci segue al lavoro, a scuola, in palestra. Perché non veicolare il nostro brand e tutto ciò che ci sta intorno su questo nuovo oggetto? ENNIO SITTA, artista e imprenditore di Modena, nel suo laboratorio creativo Bensone personalizza a mano le 24 Bottles rendendole uniche. Da seguire su instagram.com/bensone_official (photo © instagram.com/bensone_official).
Vesti i tuoi
PANINI
Cura nel dettaglio, scelta del packaging, dei suoi materiali e colori sono elementi utili per promuovere i propri prodotti, anche quando sono (all’apparenza) solo dei semplici panini farciti di salumi e altre golosità. Non lasciare nulla al caso, nemmeno la carta per rivestirli o il cordino per legarli. Basta poco per impreziosirli e non farsi più dimenticare (photo © Asya Nurullina www.patat.me). 20
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FOTOGRAFATI E MANGIATI
SALAME al tartufo Produttore: Salumificio Franceschini.
www.salumificiofranceschini.it
Regione: Emilia-Romagna. Area: Colli bolognesi. Ingredienti: carne di suino, sale, tartufo nero 3%, spezie e aromi. Senza: glutine. Descrizione: il Salumificio Franceschini di Castello di Serravalle (BO) produce salumi artigianali seguendo le tecniche della tradizione salumiera bolognese e la stagionalità delle materie prime. Tra le sue proposte c’è questo salame al tartufo, realizzato con carni suine selezionate e tartufo nero estivo di Savigno. Il profumo è intenso e molto piacevole già al taglio. All’assaggio il salume è ben bilanciato e il tartufo resta gradevole e non troppo intenso. Perfetto per impreziosire un aperitivo o una merenda. In abbinamento: pane artigianale croccante e un calice di bollicine.
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Produttore: Pochettino Salumeria & Gastronomia. Regione: Piemonte. Area: Langhe. Ingredienti: carne di suino, noce moscata, pepe, sale, vino Barolo. Senza: lattosio e glutine, additivi e conservanti. Descrizione: la Salumeria & Gastronomia Pochettino, situata nel centro storico di Bra (CN), produce da tre generazioni insaccati tipici regionali, come i salami cotti e il cotechino. Questo salame crudo al Barolo, una delle specialità della salumeria di Langa, viene realizzato con le carni suine del Salumificio Chiapella di Carrù (CN), a garanzia dell’altissima qualità della materia prima. All’impasto carneo vengono aggiunti pepe, sale, noce moscata, poi il tutto si lascia in un infuso di chiodi di garofano, cannella e vino rosso Barbera; infine, si aggiunge puro vino Barolo (25-30%). L’insacco è in budello naturale. Un salame profumato, dal gusto delicato e, nello stesso tempo, molto caratteristico. Una fetta tira l’altra. In abbinamento: grissini piemontesi artigianali e un ottimo rosso piemontese anche nel calice. salumeriapochettino@hotmail.com
SALAME CRUDO al Barolo
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ASPETTANDO NATALE
Green è meglio
L
a tematica della sostenibilità ambientale non è purtroppo solo un trend topic passeggero nella comunicazione. È un tema che sta risvegliando animi e coscienze e che deve essere la nostra priorità, anche all’interno dell’ambiente di lavoro. Tra pochissimo saremo puntualmente travolti dai preparativi del fine anno, periodo frenetico e denso di lavoro. Facciamoci trovare preparati e in linea con le aspettative dei nostri clienti!
Packaging biodegradabile Salumi e bottiglie, mortadelle e pasta, aceti e sottoli, incartati e trasformati in pacchi e pacchetti possono veicolare un messaggio importante se realizzati con materiali biodegradabili o di recupero. Saranno ancor più apprezzati e assaporati con più gusto.
L’albero di Natale che piace all’ambiente La forma è indiscutibilmente quella dell’abete. Ma, lasciando stare gli alberi al proprio posto, nei boschi e nelle foreste, creiamo addobbi che richiamano il Natale utilizzando materiali o oggetti di recupero. Un esempio su tutti è quello dei tappi in sughero che evocano bottiglie stappate e brindisi in compagnia.
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Illuminiamoci a basso consumo Le luci sono belle tutto l’anno ma a Natale sono un vero must. Non dimentichiamo però che, se rimangono accese per parecchie ore, o magari anche 24H, i consumi saranno molto elevati. Optiamo quindi per luci a led o per lampadine a basso consumo.
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Tradizione di grande Nobiltà
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Un grande aceto che viene dalle tradizioni della nobiltà modenese
L’aceto balsamico ha avuto origine dall’antichissima usanza dei Romani di cuocere il mosto dell’uva, grazie alle caratteristiche delle uve del territorio modenese. Oltre alla produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, ottimo per l’uso quotidiano, nelle acetaie delle famiglie più ricche e nobili si è nei secoli sviluppato un processo lentissimo e laborioso che produce un aceto senza eguali, raro e prezioso. Arrivato ai nostri giorni è chiamato “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (Denominazione di Origine Protetta); in passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato in famiglia, di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali e, nell’occasione, era considerato un regalo degno di “Re e Principi”.
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è garanzia di
originalità e qualità per l’ aceto della antica tradizione delle nobili famiglie modenesi.
con incarico di “Tutela” dal Ministero Politiche Agricole e Forestali per DM 16/10/2009, Gazz.Uff. 4/11/09
Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP La tradizione produttiva è certamente antichissima, ma... che l’aceto invecchi è un dire tutto modenese. In realtà chi invecchia è il padrone, mentre l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP matura nelle botticelle e sublima a pura essenza attraverso un lunghissimo processo produttivo. Si tratta di un processo “in continuo” che segue la famiglia e unisce le generazioni, e che solo dopo almeno 12 anni di attività, inizia a dare una piccola
aliquota annuale di prodotto finito. Si dovranno poi attendere almeno 25 anni per ottenere la qualità ”Extra Vecchio”. Solo dopo aver superato l’esame degli assaggiatori esperti, il prodotto viene imbottigliato presso il centro di imbottigliamento autorizzato, naturalmente nella famosa bottiglietta da 100 ml detta “di Giugiaro”, il famoso designer che la realizzò nel 1987 perchè fosse il simbolo di questo aceto unico nel mondo.
Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Viale Virgilio 55, 41123 Modena tel. 059 208604 fax 059 208606 consorzio.tradizionale@mo.camcom.it www.balsamico.tradizionale.it
ATTUALITĂ€
Blockchain: il cibo senza piĂš segreti La tecnologia corre in aiuto del comparto agroalimentare affinchĂŠ ogni informazione relativa al prodotto sia fruibile in tempo reale dal consumatore. Dopo un periodo di sperimentazione, ecco affacciarsi nel mercato le varie app di Sebastiano Corona
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Sul suo sito, la torinese Reply, specializzata nella progettazione e nell’implementazione di soluzioni basate sui nuovi canali di comunicazione digitali, offre una definizione illuminante di “blockchain”: si tratta di un «registro transnazionale sicuro, condiviso da tutte le parti che operano all’interno di una data rete distribuita di computer. Registra e archivia tutte le transazioni che avvengono all’interno della rete, eliminando in definitiva la necessità di terze parti “fidate”».
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È
uno di quei termini ricorrenti e talvolta abusati, a cui ultimamente ci siamo abituati, essendo riferito a diversi settori. Nata in ambito finanziario, quella che in italiano, con una brutta traduzione, si potrebbe definire la “catena dei blocchi”, è la tecnologia che sta alla base del bitcoin e che in ambito alimentare viene utilizzata per tracciare in modo automatico e da ogni punto di vista tutta la filiera. Si tratta di un modello rivoluzionario perché riguarda la trasmissione di moltissime informazioni sul prodotto, in tempo reale e con costi modesti. In sostanza la blockchain aumenta la sicurezza, la velocità e la riservatezza delle informazioni e garantisce un risparmio importante nei costi di tracciabilità e in quelli di comunicazione al consumatore. Sempre di più chi acquista vuole sapere in che modo il cibo è stato trattato e trasformato, che ingredienti lo compongono, quale sia la loro provenienza, se contiene OGM, conservanti o altre sostanze e molto altro ancora. Ma non basta: parte del mercato è interessata anche agli aspetti etici, del lavoro e dei rapporti commerciali e professionali che stanno alla base di quella specifica produzione. La blockchain prevede che tutto questo diventi di pubblico accesso e in tempi rapidissimi. Chi siede al tavolo di un ristorante può quindi conoscere in qualche secondo, e grazie ad un SMS dal suo cellulare, tutto ciò che c’è da sapere del piatto che gli è stato appena servito. Sicurezza e trasparenza al 100% dunque. Un mondo senza più segreti, destinato a trasformare in maniera radicale il settore del food e tutto ciò che ci ruota attorno, dal campo alla tavola, passando per la distribuzione e la trasformazione. Un mondo senza più segreti, ma anche un ambiente in cui “fiducia” diventa la parola d’ordine, perché la si costruisce grazie ad una trasmissione di informazioni che non è solo sulla qualità del cibo, ma anche sugli aspetti della legalità del contesto in cui viene realizzato, il rispetto dei diritti dei lavoratori, l’assenza di fenomeni criminali alla base, l’osservanza delle norme e delle regole nei rapporti tra operatori.
Il sistema si basa su una piattaforma digital ledger accessibile a tutti, che garantisce attendibilità delle informazioni e celerità nell’accesso e che non necessita di appoggiarsi a “documenti cartacei” o a terze parti fisiche che certificano i vari passaggi. Un sistema insomma che, pur rappresentando un enorme valore aggiunto, è anche sostenibile economicamente. Parola d’ordine: ricostruire la fiducia del consumatore Il mercato è sempre più interessato a conoscere ogni aspetto del prodotto. Non a caso si sono nel tempo sviluppati una serie di strumenti che vanno soprattutto a tutela del consumatore, come le denominazioni d’origine, le certificazioni di processo e di prodotto o quelle relative ad una certa tipologia di coltivazione e allevamento. La fiducia del consumatore — molte volte minata da scandali alimentari più o meno gravi, alcuni dei quali non legati unicamente all’igiene o alla sicurezza del prodotto, ma anche ad eventi criminosi nell’ambito della filiera — necessita di essere ricostruita. Va ricreato un clima di fiducia attorno al cibo e al comparto, perché, al di là degli aspetti relativi alla provenienza e alle caratteristiche dell’alimento e della materia prima, ci sono elementi di cui il consumatore vuole essere a conoscenza e che si fanno tanto più pregnanti quando si tratta di un consumatore digitale che si muove in un mercato vasto come quello attuale. Questo dispositivo diventerà sempre più richiesto e se oggi rappresenta unicamente un valore aggiunto al prodotto, che permette all’azienda di presentarsi meglio, tra qualche tempo diverrà certamente un must. Un alleato del produttore Il produttore ha dunque una serie di ottimi motivi per impiegare uno strumento che, oltre a rappresentare un ottimo biglietto da visita per il cliente, è un eccellente alleato nei processi di e-commerce e in contesti di internazionalizzazione e di digitalizzazione. Si tratta di un sistema che permette di evitare il cartaceo — e tutti i fastidi che questo comporta — vede un ampio impiego di automatismi che a loro volta riducono o cancellano del tutto le intermediazioni. Ne derivano
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La blockchain ha, tra i tanti vantaggi, quello di garantire grande riservatezza nel trattamento dei dati (photo © tataks – stock. adobe.com). dunque dei costi ridotti e un processo, nel complesso, molto meno soggetto all’errore umano. La blockchain è inoltre una garanzia in sede di verifica da parte di organismi preposti al controllo, poiché dà garanzie ampie di immediata tracciabilità e trasparenza nella filiera alimentare, a maggior ragione nell’ipotesi di un richiamo o di un ritiro. Il sistema ha il vantaggio di garantire grande riservatezza nel trattamento dei dati. L’immissione e la gestione delle informazioni possono essere disciplinate per mezzo di smart contract, che consentono l’accesso controllato solo tramite operazioni ben codificate, quali la creazione di un documento di certificazione, l’integrazione di informazioni ad un determinato lotto, la notifica di ricezione di un bene o la modifica dell’ownership di un servizio, solo per fare alcuni esempi. In più, si può impiegare la cosiddetta blockchain permissioned, che prevede un accesso riservato solo ad attori selezionati, con l’impiego di registri autorizzati e una governance che impone regole di ingresso. In ogni caso la visibilità e l’utilizzo dei dati avviene nel perimetro del GDPR per ciò che riguarda la privacy.
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Un alleato del made in Italy Nella convinzione che questo sistema sia una grande occasione per i produttori e non solo per i consumatori, anche la CNA AGROALIMENTARE, unione che associa quasi 26.000 imprese di trasformazione in Italia, ha avviato, con Sixtema e Infocert, una sperimentazione di blockchain permissioned. L’applicativo, inizialmente testato con successo in un’impresa che produce conserve vegetali biologiche e che esporta in tutto il mondo, è ora a disposizione delle migliaia di aziende artigiane e industriali che fanno capo alla nota confederazione. La filiera è stata tracciata dalla produzione primaria delle materie prime fino alla fornitura dei prodotti negli scaffali dei distributori. Il produttore ha individuato le informazioni che intendeva far arrivare al consumatore attraverso un semplice lettore di QR code e utilizzando anche soluzioni di geolocalizzazione, garantendo così validità legale ai documenti forniti. La app consente in questo modo al consumatore di risalire, col solo utilizzo del suo telefonino, alla filiera produttiva completa. Questo strumento permette di valorizzare l’azienda e il prodotto, offrendo un’immagine nuova e di grande
trasparenza all’impresa, valorizzando la qualità dei prodotti e dandole la visibilità che necessita perché diventi davvero un valore aggiunto da spendere nel mercato. Una soluzione ancor più preziosa per tutto il made in Italy che con questa tecnologia può avere una maggiore tutela contro frodi e contraffazioni. Un alleato del consumatore Un altro esempio è il Food Trust Blockchain Network, un programma targato IBM frutto di una ragguardevole sperimentazione in cui sono stati tracciati e monitorati milioni di prodotti. Il network è ora pronto ad operare con giganti mondiali della distribuzione organizzata come TOPCO ASSOCIATES LLC o WALMART. CARREFOUR utilizza la blockchain in Italia già da mesi. Dopo averla inaugurata col Pollo Filiera Qualità Carrefour Italia, sta ora estendendo il sistema ad un migliaio di altri prodotti. Leggendo con lo smartphone il QR Code applicato sull’etichetta, il consumatore ha la possibilità di verificare in tempo reale le informazioni sull’intera filiera, dall’origine al punto vendita. Sa quindi davvero tutto della carne che mette nel carrello. Sebastiano Corona
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Da ASS.I.CA. allarme per i prezzi delle materie prime: è a rischio la filiera dei salumi «La situazione del settore suinicolo è molto preoccupante: senza adeguamenti dei prezzi finali è a rischio la nostra filiera». A rilasciare questa dichiarazione è stato Nicola Levoni, presidente di ASS.I.CA., Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi, aderente a Confindustria. Questo grido di allarme arriva dopo un lungo periodo in cui si è assistito ad un forte rincaro della carne suina dovuta principalmente al forte aumento della domanda in Cina a seguito della rapida diffusione della peste suina africana (PSA), malattia che colpisce esclusivamente i suini e non ha alcuna implicazione per l’uomo ma la cui diffusione può essere fermata unicamente con l’abbattimento dei capi infetti. Per capire la proporzione del danno, basti pensare che in Cina sono presenti 440 milioni di maiali e che questa epidemia ne ha decimato oltre il 20%. Un danno quindi ingente e non paragonabile a nessuna altra situazione verificatasi precedentemente. In un mercato come quello europeo, caratterizzato da consumi deboli (le prime stime della Commissione parlano di un –1,4% nel 2019) e da una produzione di carne suina stabile è difficile immaginare dinamiche dei prezzi più favorevoli almeno fino al 2020, quando la produzione di carni suine dovrebbe tornare a crescere, compensando almeno in parte la maggiore domanda estera. In un quadro come quello che si va delineando, caratterizzato da prezzi della materia prima persistentemente elevati e da consumi interni deboli è indubbio che a soffrire saranno soprattutto Paesi caratterizzati da una più spiccata vocazione per la trasformazione. È questo il caso dell’Italia. «Per l’industria di trasformazione il costo della materia prima rappresenta in genere circa il 50% e in alcuni casi il 75% del costo totale di produzione» spiega Levoni. «Incrementi come quelli che si stanno registrando, +40% da marzo a oggi, rischiano, se non riconosciuti, di mandare in tilt il sistema. L’industria manifatturiera appare in questo momento compressa fra i prezzi alti della materia prima e le richieste di contenimento dei prezzi di vendita per sostenere i consumi. Queste condizioni mettono seriamente a rischio non solo l’eccellenza qualitativa delle nostre produzioni di salumeria, ma la continuità stessa delle produzioni e la stabilità produttiva dei salumifici e in ultima istanza dell’intera filiera di produzione. Le dinamiche in corso suggeriscono la necessità di procedere urgentemente ad un confronto con tutte le componenti della filiera — dall’allevatore al consumatore — affinché venga preservata la qualità di un patrimonio ricco di cultura, tradizioni e storia come quello rappresentato dalla grande varietà dei salumi italiani» ha concluso Levoni. >> Link: www.assica.it
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IL FOOD IN RETE
Social di Elena
1. The Shopkeepers, per un’ispirazione 2. Artigiani su Instagram A volte basta un dettaglio per rinfrescare il look di una bottega o di un locale. The Shopkeepers, col loro libro e i canali social, primo fra tutti quello su www.instagram.com/the_shopkeepers, sono un’ottima fonte di ispirazione. Nella foto un negozio di Berlino che utilizza illustrazioni su cartoncini che informano e arredano meravigliosamente (photo © instagram.com/ the_shopkeepers).
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Il Salumificio Franceschini di Castello di Serravalle, sui colli bolognesi, dal 1964 porta avanti una storia di famiglia attraverso una produzione salumiera di grande qualità, raccontata con cura anche con i social. Instagram è un bell’esempio: su www.instagram.com/salumificio_franceschini si aprono le porte del laboratorio e si raccontano materie prime, gestualità e nodi fatti a mano. Bravissimi! (photo © instagram.com/ salumificio_franceschini).
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food Benedetti
3. Costagroup, tutto è possibile Hai un’idea in testa per il tuo negozio? Non ce l’hai e cerchi creativi artigiani che sappiano trasformarla in realtà? Costagroup di Riccò del Golfo, a pochi chilometri da La Spezia, fa questo di mestiere e lo fa molto bene, anche su www. instagram.com/costagroupofficial! Come il locale di ROBERTO COSTA e MARIELLA RADICI, Mangiafuoco, inaugurato da pochi mesi a Genova. Uno spettacolo! (photo © instagram.com/ costagroupofficial).
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4. La porchetta reatina dei Giorgini Carne rosa, bilanciamento perfetto delle spezie, cotenna croccante e un’esperienza che i GIORGINI si tramandano da generazioni. La Porchetteria Giorgini di Selci, in provincia di Rieti, fa porchette e le fa a regola d’arte. Da seguire assolutamente su www.instagram.com/porchetteriagiorgini (photo © instagram.com/mauro_and_co).
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AZIENDE Con i distributori automatici e i dispenser di DF Italia si può
Il banco salumeria “sempre aperto” di Elena Benedetti anto è stato scritto e commentato su quella visione di società liquida dei nostri tempi, nella quale anche le modalità di acquisto mutano rapidamente dettate da nuovi stili di vita e dall’utilizzo sempre più crescente di strumenti digitali. Senza scomodare troppo il filosofo polacco BAUMAN, si può affermare che oggi il consumatore può iniziare a
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Le vending machine di DF Italia distribuiscono un’ampia gamma di prodotti alimentari, tra cui carne, salumi, vino, olio, acqua, pesce, bibite, snack, latte, yogurt, formaggi, frutta, verdura, dessert e surgelati. L’offerta di distributori comprende la gestione di prodotti freschi a temperatura 12/15 °C, refrigerati a 0/4 °C e surgelati a –18/-24 °C
Un distributore all’esterno di un punto vendita della catena di macellerie tedesca Wir Grillen (photo © KWiucha – info@ kwiucha.de).
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Specifiche dei distributori DF Italia • • • • • • • •
Alto isolamento termico Doppio sistema di erogazione Grande capienza di prodotti Ampio sportello di prelievo Possibilità di erogazione codificata Multisistema di pagamento GSM/e-mail e telemetria Ascensore salva-prodotto
In alto: a sinistra, distributore automatico della Macelleria Fontana all’esterno della bottega delle carni a Marostica (VI). A destra: una selezione di salumi, formaggi e yogurt disponibili alla clientela 24/7. In basso: la bocca di prelievo è decisamente ampia. scegliere come, dove e quando acquistare i prodotti di cui necessita, senza più vincoli. Questo dato di fatto è confermato anche da CONFIDA, l’associazione italiana della distribuzione automatica, secondo cui “il settore del vending mostra segni di vitalità ed esprime una
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qualità crescente, così come la produzione di macchine per la distribuzione automatica è sempre più un esempio di made in Italy che funziona”. Interessante quindi anche il fatto che in questo segmento del mercato ci sia proprio l’Italia, leader in Europa per quantità di macchine installate.
Questo tema riguarda anche il mercato delle carni. In numerosi paesi europei, prima fra tutti la Germania, all’interno o all’esterno delle macellerie sono presenti distributori automatici che non conoscono orari di chiusura e che offrono un servizio 24H, perfetto per chi fatica a stare dentro ai vincoli
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9 cose da sapere e da fare con un distributore automatico, tra normative e ASL Abbiamo chiesto a Marco Cappelli, tecnico della prevenzione della ASL 5 Liguria, un parere su quelli che sono gli adempimenti in materia di sicurezza degli alimenti. Ecco qui di seguito 9 punti a cui attenersi: 1. notifica del distributore automatico all’autorità competente (ASL) secondo le disposizioni nazionali e regionali (SCIA sanitaria); 2. igiene del sezionamento, della preparazione e del confezionamento (per evitare contaminazioni); 3. utilizzo di involucri conformi alla normativa sui MOCA; 4. se si tratta di sezionamento, preparazione e confezionamento effettuati dal dettagliante per la sola vendita diretta, in distributore posto all’interno dell’esercizio di vendita o, se all’esterno, comunque connesso all’esercizio, non occorre il riconoscimento (bollo CE) ma è sufficiente la registrazione mediante notifica all’ASL; 5. rispetto della catena del freddo in tutte le fasi, compresi il trasporto verso il distributore e l’esposizione nel distributore; 6. definizione della shelf-life (durata commerciale, scadenza) e suo rispetto; 7. etichettatura ai sensi del Regolamento 1169/2011, che rimanda per i distributori automatici alla normativa nazionale che in Italia è costituita dal DLgs 15 dicembre 2017, n. 231, che all’art. 18 recita: “nel caso di distribuzione di alimenti non preimballati messi in vendita tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati, devono essere riportate sui distributori e per ciascun prodotto le indicazioni di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettere a), b) e c), del regolamento nonché il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede dell’impresa responsabile della gestione dell’impianto”; trattandosi nel nostro caso di alimenti preimballati dallo stesso rivenditore al dettaglio per la vendita diretta, sono assimilati, ai fini dell’etichettatura, agli alimenti non preimballati, e quindi le indicazioni obbligatorie sono quelle sopra indicate, vale a dire la denominazione del prodotto, l’elenco degli ingredienti e quello degli allergeni presenti; 8. etichettatura aggiuntiva “di origine”, ove prevista ai sensi delle norme specifiche per tipologia di carni (es. bovina, avicola, ecc…); 9. gestione mediante predisposizione e applicazione di procedure di autocontrollo basate sul sistema HACCP o mediante eventuali procedure semplificate secondo le normative regionali.
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dell’apertura del punto vendita. In questo senso, le vending machine sono per i consumatori un servizio imprescindibile durante i loro spostamenti quotidiani. Lo sa bene DIEGO FERRONATO di DF ITALIA, azienda di Sandrigo (VI) produttrice di distributori automatici di prodotti freschi. «Siamo nati nel 2004 come azienda produttrice di vending machine per il latte sfuso» mi racconta Diego. «Abbiamo quindi iniziato la vendita e, a quel punto, non solo i piccoli produttori hanno cominciato a rivolgersi a noi, ma anche le latterie più grandi». Come siete arrivati ai distributori di prodotti a base di carne? «Dal 2008 abbiamo iniziato a farci conoscere all’estero e oggi la nostra presenza è capillare in tutta Europa: Germania, Francia, Spagna, Romania, Ungheria e altri paesi. Fuori Europa, ad esempio, siamo in Russia, Colombia, Africa, Pakistan e Nuova Zelanda. Questo ci ha portato a viaggiare molto e a visitare realtà che sembrano distanti dalla nostra. Il mondo delle carni e dell’ittico sono due grandi scommesse, due sfide su cui puntiamo molto, proprio perché alla base del nostro lavoro c’è l’idea di dare un servizio importante al dettagliante, ma soprattutto alla sua clientela, che può contare sull’accesso ai prodotti senza vincoli di orario». Quali sono gli elementi che fanno la differenza nel vostro lavoro? «Sicuramente la qualità e l’affidabilità, che sono poi i punti chiave che ci hanno distinto rispetto ai nostri concorrenti e che fanno sì che il nostro lavoro e la nostra ricerca continuino ad essere premiati. Occupandoci direttamente dell’intero ciclo, dalla progettazione alla realizzazione delle macchine, abbiamo risolto tutte le problematiche legate alla temperatura, che va calibrata e tarata perfettamente. Utilizziamo motori molto potenti e spessi isolamenti che garantiscono una tenuta stabile del freddo». Nel rivolgervi al mercato delle carni offrite un prodotto standard o potete calibrarlo sulla base delle esigenze del cliente? «La personalizzazione è il nostro punto di forza. Ogni distributore automatico può essere personalizzato per
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rispondere alle esigenze del cliente, per tipologia di prodotti, dimensioni, tipo di erogazione. La bocca di prelievo è molto grande: ci passa anche un pollo! È presente un ascensore a tutta larghezza che fa sì che il prodotto selezionato non cada, perfetto anche per le uova». Come si effettua il pagamento? «La scelta è ampia tra monete e banconote (con erogazione del resto), carta di credito e chiavetta elettronica ricaricabile». Con un distributore automatico quali sono in vantaggi del titolare di negozio? «Posizionando il distributore presso il punto vendita si fornisce un servizio veloce al cliente che non può magari attendere il proprio turno e che in autonomia può acquistare i prodotti di cui necessita. Posizionando il distributore all’esterno, il negozio resta aperto 24H garantendo la qualità dei prodotti — perfettamente bilanciati dalle corrette temperature — ad un numero maggiore di persone e svincolando queste ultime da orari di apertura e chiusura». Vendere anche quando la tua attività ha le saracinesche abbassate è o non è il sogno di tutti? «Il mondo del vending è in sviluppo e DF Italia con la sua gamma di distributori automatici e dispenser per prodotti freschi, refrigerati e surgelati può essere la soluzione migliore per distribuire prodotti di qualità, anche le carni migliori». Elena Benedetti
DF Italia Srl Via E. Fermi 5 36066 Sandrigo (VI) Telefono: 334 2204999 Web: www.dfitalia.com
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Saremo presenti dal 18 al 22 ottobre 2019 PAD 1 – STAND G03
Salumificio Franceschini: mortadella al tartufo & Co. Avendo la storica sede a due passi da Savigno, una delle “capitali” italiane del tartufo, era logico che il prezioso fungo ipogeo andasse ad impreziosire alcuni insaccati del salumificio bolognese. A partire proprio dalla mortadella Opera, ultima nata dell’azienda insieme al delicato salame rosa, proposto però nella sola versione tradizionale. Irresistibili, invece, strolghino e salamino al tartufo, da tagliare a fette insieme agli amici più cari e finire in un battibaleno di Gaia Borghi
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o sono un purista del prodotto: un buon salume deve essere così, al naturale, senza particolari aromatizzazioni o aggiunte di altri ingredienti. Ma, si 36
sa, alle regole si affiancano sempre delle eccezioni». SIMONE FRANCESCHINI — terza generazione oggi alla guida del salumificio di famiglia, sito a Castello di Serravalle, in provincia di Bologna,
insieme al padre Giulio e ai cugini —, sa bene che, a pochi minuti dalla sede della sua azienda, la cittadina di Savigno è da anni tappa obbligata per gli appassionati di tartufo, tanto da essere Premiata Salumeria Italiana, 5/19
Cottura prolungata e qualità della carne suina 100% italiana. Solo due tagli anatomici del maiale, selezionati con cura e lavorati dal fresco; no a trippini e polifosfati. La mortadella artigianale Opera del Salumificio Franceschini ha un’ottima consistenza, è molto digeribile e ha un sapore leggero e delicato. La versione al tartufo arricchisce la già ottima proposta tradizionale con il suo profumo inconfondibile. Da gustare sempre a fette molto sottili, accompagnandola con pane croccante e poco saporito così da lasciare il tartufo in primo piano. Premiata Salumeria Italiana, 5/19
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Il tartufo nero estivo di Savigno rende ancor più irresistibili strolghino, salamino e mortadella Opera Franceschini stata insignita del titolo di “Capitale regionale del Tartufo Bianco Pregiato dei Colli Bolognesi” e, come tale, da dedicargli un festival internazionale — Tartófla Savigno —, in programma nei primi tre fine settimana del mese di novembre (1-2-3; 9-10; 16-17 novembre, www.tartufosavigno.com). Con queste premesse, l’eccezione era quasi scontata insomma… «Abbiamo iniziato la produzione del primo salame con tartufo circa 5/6 anni fa, mettendo a punto la ricetta insieme ai fratelli LUIGI ed ANGELO DATTILO di APPENNINO FOOD (azienda di Savigno specializzata nella commercializzazione di funghi e tartufi, NdR)» mi dice Simone. «Assaggio dopo assaggio, ci siamo resi conto che la pezzatura ideale di questo salame doveva essere piccola, 300 grammi circa, da iniziare e finire in una sola volta per intenderci, vista anche l’estrema aromaticità del prodotto, che tende a perdersi un po’ una volta tagliata la prima fetta. Inoltre, quando si parla di tartufo credo non sia mai bene esagerare: ti deve restare sempre un po’ la voglia secondo me, così da apprezzarlo pienamente la volta successiva». Dal salame allo strolghino, un salame sottile, non particolarmente stagionato e dalle dimensioni ridotte tipico della Bassa Parmense e del Piacentino, il passo è stato breve, anzi brevissimo. «Lo strolghino viene prodotto con le rifilature del prosciutto crudo e possiede le caratteristiche ideali per essere proposto nella versione al tartufo: è il classico salamino morbido da aperitivo, del peso di 2 etti» continua Simone. «Una piccola delizia a cui abbinare un buon pane, con la giusta croccantezza e un sapore non particolarmente invadente, così da esaltare la raffinatezza del tartufo che deve restare il protagonista della degustazione». Per la produzione di salame e strolghino il tartufo è quello nero estivo
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di Savigno che viene lavato, tagliato a lamelle e pastorizzato, quindi lo si aggiunge all’impasto insieme ad una parte di aroma naturale, per donare ulteriore intensità a livello di profumo. Opera, l’ultima nata, oggi è anche con il tartufo La mortadella Opera è l’ultima nata in casa Franceschini: la produzione è iniziata circa un anno fa e oggi si è stabilizzata intorno ai 1200 kg la settimana. La mortadella è commercializzata nelle pezzature di 14 kg, 7,5 kg, 6 kg, 3 kg, 1,2 kg e 0,6 kg. Delicata, digeribile, incredibilmente leggera e al contempo gustosa, Opera viene realizzata a mano seguendo la ricetta classica della tradizione artigianale bolognese con le carni suine di animali nati e allevati in Italia e una cottura lenta e prolungata. Solo due tagli anatomici del maiale, selezionati con cura e lavorati dal fresco; no a trippini e polifosfati. «La mortadella a Bologna è un salume amatissimo, il più amato oserei dire. Infatti, era tanto tempo che la nostra clientela ci chiedeva di aggiungerlo alla nostra gamma di prodotti e anche io per primo ci tenevo molto a farlo, proprio perché è il salume simbolo della mia città» sottolinea Simone. «Il risultato che abbiamo ottenuto, dopo un lungo lavoro di messa a punto soprattutto a livello di proporzione degli ingredienti e delle spezie, dal nostro punto di vista era in linea con la qualità delle altre nostre proposte e quindi si poteva procedere con la sua uscita sul mercato. Siamo molto contenti, è un prodotto che ci sta dando grandi soddisfazioni. Ci sono stati finora solo riscontri positivi da parte di chi l’ha assaggiata, tanto che abbiamo deciso di mettere in produzione anche un altro classico salume bolognese, il salame rosa». Opera al tartufo verrà prodotta in due pezzature, 1,2 kg e 6 kg, seguendo lo stesso procedimento di salame e strolghino, ovvero inserendo le lamelle di tartufo nero estivo e l’aroma nell’impasto e procedendo quindi all’insacco in vescica naturale. La prima partita di mortadelle al tartufo sarà pronta per fare bella mostra di sé in occasione della prossima fiera internazionale di Savigno. Una ragione in più, se mai ce ne fosse stato bisogno, per non mancare. Gaia Borghi
Salame rosa Franceschini, antico salume rosa bolognese.
Salumificio Franceschini Via Valle Del Samoggia 6927 40050 Castello di Serravalle (BO) Telefono: 051 6708010 Web: www.salumificiofranceschini.it www.mortadellaopera.com
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Tartuf’ó, la linea di salumi al tartufo firmati Villani Tartuf’ó è la linea di prodotti della salumeria italiana firmata da Villani Salumi nobilitati dall’aggiunta di tartufo estivo in scaglie: prosciutto crudo, prosciutto cotto, salame, pancetta, mortadella e mortadellina. Un connubio raffinato, per una degustazione preziosa. • Prosciutto crudo al tartufo (peso: 8 kg; stagionatura: 15 mesi minimo). Prodotto con sola carne italiana, dopo la stagionatura si effettua una lavorazione molto accurata di disosso sfilato e una pulitura approfondita, eliminando sugna, eventuali parti scure del magro e il grasso giallo. Poi si aggiunge un ripieno di tartufo estivo e, successivamente, viene messo in stampo. Sapore delicato ma distintivo; i pezzi interi di tartufo sono ben visibili al taglio. Senza glutine e derivati del latte. • Prosciutto cotto al tartufo (peso: 3,8 kg; forma: pera a metà). Si tratta di un prosciutto cotto scelto, preparato con carni di suino medio-pesante il cui peso in osso è di circa 12 kg. Il disosso è molto accurato, simile alla culatta, cioè viene tolta la falsa pera, gambo e parte della cotenna, quindi resta il solo cuore del prosciutto. Segue la lavorazione simile ai cotti tradizionali, con salamoia dolce, arricchita col tartufo d’estate, presente anche al centro della coscia. Il sapore è delicato, ma ben caratterizzato, grazie all’aggiunta di pezzi interi di tartufo, visibili al taglio, che ne rendono unico il profumo. Senza glutine, derivati del latte e polifosfati aggiunti. • Salame al tartufo (peso: 1 kg; lunghezza: 40 cm; calibro: 7,5 cm; macinatura: medio-grossa). Ai tagli selezionati di carne suina si aggiungono pezzi di pregiato tartufo estivo e aromi naturali, per un sapore unico ed equilibrato. Budello naturale. Si consiglia taglio a mano, leggermente obliquo, a fette di 2/3 mm. Senza glutine e derivati del latte. • Pancetta al tartufo (peso: 3,5 kg; diametro: 12/12,5 cm; lunghezza: 48 cm). Da pancetta italiana senza cotenna, selezionata per peso. Dopo il condimento con sale e spezie, come pepe bianco in grani, macis, chiodi di garofano e cannella, viene lasciata a riposo; viene quindi farcita con tartufo estivo tritato, poi cucita a mano lungo i due lembi e insaccata. Segue la pressatura tra le due stecche e la stagionatura per almeno 3 mesi. Il sapore è dolce e raffinato (in foto). • Mortadella al tartufo (peso: da 5 kg e mezzo; diametro: 19 cm; mortadellina, peso: 0,6 kg; diametro: 9 cm). Prodotta nello stabilimento Villani di Bologna utilizzando solo le migliori materie prime: spalla fresca di suino scotennata e sgrassata, gole per i lardelli e scaglie di pregiato tartufo d’estate. Il gusto appetitoso della mortadella di qualità si unisce al profumo del tartufo, per un mix che soddisfa i palati più fini. Senza glutine, derivati del latte e polifosfati aggiunti. Solo aromi naturali.
Nel 2018 Villani Salumi ha compiuto 132 anni, un traguardo storico che ne fa la realtà salumiera più antica dell’Emilia-Romagna e tra le più longeve d’Italia. Villani è un’azienda famigliare, con la passione degli artigiani e le garanzie di un’impresa moderna. Oggi la Villani è tra i protagonisti di riferimento del comparto salumiero a livello nazionale con cinque siti produttivi: a Castelnuovo Rangone (MO), dove si producono salami, prosciutti cotti e specialità emiliane; a Bentivoglio (BO) la mortadella; a Castelfranco Emilia (MO) coppe e pancette; a San Daniele del Friuli (UD) e a Pastorello di Langhirano (PR) i prosciutti crudi di San Daniele e di Parma. Presso la sede storica dell’azienda è possibile visitare il MuSa, Museo della Salumeria (www.museodellasalumeria.it), primo museo del salume in Italia inaugurato nel 2013. Il MuSa si propone come uno spazio di comunicazione, formazione e divulgazione dell’arte salumiera. Nelle sue sale il visitatore è guidato in un percorso multi-sensoriale e multimediale alla scoperta della storia, della tecnica e della passione di uomini e donne che hanno dato vita a un patrimonio gastronomico apprezzato in tutto il mondo. Link: www.villanisalumi.it – Facebook.com/VillaniSalumi
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Per chi la mortadella la vuole rigo rigorosamente o col pistacchio, è nata una nuova Favola. Impasto delicato e profum profumato m come sempre, ma con qualcosa in più: il gusto dei migliori pistacc pistacchi c della Sicilia. Sempre più inimitabile fuori, grazie alla legatura a mano in colore verde, e ancor più inconfondibile dentro.
www.mortadellafavola.it www w
Rispetto della tradizione, della qualità e dell’artigianalità italiana
Zuarina, dal 1860 generazioni di cose buone
Prosciutti in stagionatura (photo © Alessandro Carra 2013, www.fotocarra.it).
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UARINA, storico salumificio di Langhirano, conta una secolare esperienza nell’antico saper fare il prosciutto di Parma. Rinomato per la sua caratteristica dolcezza, il prosciutto Zuarina è conosciuto ed apprezzato nelle location più prestigiose di tutto il mondo. Fondato nel 1860, Zuarina si propone sul mercato nazionale e internazionale con diverse specificità distintive, come: • l’accurata selezione di carni esclusivamente 100% italiane provenienti da una filiera integrata di proprietà; • l’attenzione a tutte le fasi del processo, dalla salagione (un pizzico) al riposo “a freddo”, particolarmente lungo; • la predisposizione alle lente stagionature che avvengono nella cantina interrata, luogo ideale per favorire la formazione dei profumi e dei colori che contraddistinguono la qualità del prosciutto Zuarina. Nonostante le difficoltà del settore, per il prosciuttificio il 2018 e i primi mesi del 2019 sono stati positivi, confermando il trend di crescita degli ultimi anni grazie alla sua riconosciuta qualità, agli investimenti su attività di co-marketing con i clienti e alle attività di comunicazione, che ruotano attorno al claim “Generazioni di cose buone”. Dal 2012 Zuarina è entrata a far parte del GRUPPO CLAI, che ne ha progressivamente acquisito la proprietà impostando un programma di ammodernamento impianti e sviluppo di competenze professionali. L’obiettivo del Gruppo è infatti concretizzare una proposta qualitativa sul mercato italiano ed internazionale con i due brand, CLAI e Zuarina, che hanno connotati storici e specializzazioni differenti, ma entrambi esprimono una forte propensione alla qualità.
La Zuarina Spa Via Cascinapiano 4/A 43013 Langhirano (PR) Telefono: 0521 861096 Web: zuarina.com
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In alto: etichettatura dei prosciutti Zuarina (photo © Alessandro Carra 2013, www.fotocarra.it). In basso: prosciutto Parma Dop 24 mesi con osso Zuarina.
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Armadi per l’asciugatura e la stagionatura dei salumi, la stagionatura dei formaggi e la maturazione delle carni
Voce del verbo Stagionare di Elena Benedetti a lavorazione delle carni è un processo tanto affascinante quanto complesso, perché le variabili in gioco sono parecchie. Servono manualità nei gesti, esperienza, che è spesso affare di famiglia e di tradizioni locali. Ci sono le materie prime, tra carni, budelli e spezie da selezionare con cura e, non ultima, la tecnologia, grande alleata dei norcini italiani. La stagionatura delle carni richiede un bilanciamento perfetto della temperatura e dell’umidità e attraverso quest’ultima le tanto amate muffe la-
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vorano per conferire odori e sapori. L’equilibrio è precario, servono abilità e professionalità. Lo sanno bene PAOLO e FRANCESCO MINOZZI, che nello stabilimento di Camposanto, in provincia di Modena, affiancano norcini e salumieri con la loro tecnologia, attraverso il marchio Stagionare che racchiude in sé tutta l’esperienza di oltre trent’anni di lavoro. Abbiamo incontrato Paolo lo scorso agosto, in una giornata assolata che se per il resto del mondo era tempo di vacanze e gite al mare, per lui e Francesco era lavoro e consegne da
fare. «Siamo in crescita e questi risultati ci appagano dal tanto lavoro fatto per costruire una rete di clientela in tutta Italia e, soprattutto, per il riconoscimento di un prodotto che agevola il lavoro degli operatori» mi dice Paolo. L’azienda è specializzata nella realizzazione di armadi per l’asciugatura e stagionatura dei salumi, stagionatura dei formaggi e maturazione delle carni. Alla base dell’attività c’è la volontà di fornire un prodotto facile e intuitivo nell’utilizzo, dotato di centraline touch che si possono controllare e regolare comodamente da remoto, e
Paolo e Francesco Minozzi all’edizione 2019 di iMEAT a Modena hanno presentato la loro gamma di armadi di asciugatura e stagionatura. La consegna del prodotto avviene mediamente entro le 2 settimane dall’ordine e comprende anche l’assistenza sulla messa a punto di prodotto con l’ausilio di consulenti esterni. Stagionare opera in Italia attraverso una consolidata rete di distributori presenti da Nord a Sud che garantiscono anche un’assistenza tecnica rapida e puntuale.
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l’impiego di materiali in acciaio inox, rigorosamente made in Italy, ritenuti idonei e affidabili (come ad esempio lo spessore di isolamento di 7,5 mm dell’armadio inox). Ma forse il vero punto di forza di Stagionare sta nel servizio al cliente e «nella capacità di adeguare gli impianti a seconda delle esigenze del cliente», sottolinea Paolo Minozzi. «Il nostro è un lavoro praticamente sartoriale, nel quale la messa a punto del prodotto più adatto per un certo tipo di cliente e di prodotto da realizzare, va fatta su misura, insieme a lui, affiancandolo in ogni passaggio e fornendo la corretta consulenza» continua Minozzi. Per quanto concerne la vendita di armadi di stagionatura di insaccati, l’azienda emiliana mette a disposizione della propria clientela l’esperienza di personale esterno specializzato nella realizzazione di salumi, che affianca il cliente in ogni passaggio aiutandolo ad ottenere il prodotto e il livello di qualità desiderati. Quali sono le più grandi difficoltà in questo processo? «È
un insieme di cose e il punto negativo è che il norcino se ne accorge solo alla fine della lavorazione. Non è spesso facile capire dove sta l’errore, in quale fase del lavoro. Diciamo che la scelta della materia prima e del budello incidono per il 40% mentre il resto, la lavorazione delle carni, la preparazione dell’insaccato e la stagionatura fanno il resto» risponde Paolo. Oggi grazie alla tecnologia la tradizione convive con la modernità e da quest’ultima può trarre una serie di vantaggi in termini di maggiore facilità nella lavorazione e, soprattutto, meno rischi nella realizzazione di un buon prodotto finale.
mentazione degli strumenti touch. Dal monoscocca si passa poi ad armadi componibili in lamiera plastificata e a mini celle con caldo e freddo ventilato. La gamma dell’offerta è quindi piuttosto ampia, coprendo le esigenze di piccole pezzature, dai 50 kg di prodotto, fino ad allestimenti industriali. Il business di Stagionare è in piena evoluzione e spazia anche nel mondo della maturazione delle carni, con le lunghe frollature tanto di moda anche tra i ristoratori, e all’essiccatura dell’ittico. Tutto ciò continuando a seguire la clientela e le sue esigenze e garantendo un ottimo servizio di assistenza personalizzata anche dopo la vendita. Elena Benedetti
Personalizzazioni e servizio di assistenza post vendita Il prodotto di punta di Stagionare è l’armadio inox monoscocca con caldo e freddo a bassa ventilazione. Facile da utilizzare, consente l’impostazione dei tempi di lavoro e di pausa. Le personalizzazioni sono tante, dalle porte in vetri alle ruote, fino all’imple-
Idealclima Snc Via Per San Felice 73/C 41031 Camposanto (MO) Telefono: 0535 671123 E-mail: info@stagionare.it Web: www.stagionare.it
CONSORZI
Festeggia 50 anni il Consorzio del Prosciutto di Modena
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Una vecchia immagine promozionale del Consorzio del Prosciutto di Modena.
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bbene sì: sono cinquanta le candeline che il Consorzio del Prosciutto di Modena spegnerà nel mese di ottobre. Cinquant’anni di passione, di storia e di costante ricerca di una qualità unica, che hanno permesso al Prosciutto di Modena di imporsi come un’eccellenza italiana riconosciuta in tutto il mondo, fiera portatrice della nostra cultura gastronomica. Era infatti il 6 ottobre del 1969 quando, su impulso dell’allora Presidente della Camera di Commercio di Modena DOTT. CLAUDIO LEONELLI, diciassette aziende si riunirono per costituire il Consorzio volontario tra produttori di prosciutto tipico di Modena. Da buoni imprenditori col fiuto per la qualità, avevano già compreso la necessità di “difendere, tutelare e promuovere il commercio del prosciutto tipico di Modena, di promuovere ogni utile iniziativa intesa a salvaguardare la tipicità e le caratteristiche peculiari di tale prodotto, di propagandarne il consumo, agevolandone il commercio interno ed estero”, così recita testualmente l’atto costituivo. Circa due anni dopo le aziende aderenti al Consorzio, diventate nel frattempo 26, si erano già volontariamente assoggettate a un regolamento per la produzione del Prosciutto Tipico di Modena, che veniva marchiato a fuoco a stagionatura ultimata. Un marchio che poteva essere apposto solo a quei prosciutti che rispondevano a dei requisiti essenziali, alcuni dei quali sono ancora quelli che servono per ottenere la DOP: primo tra tutti il legame tra la zona di produzione e l’ambiente geografico in cui avviene la produzione, poi le materie prime, che devono avere determinate caratteristiche e provenire da una espressa e delimitata zona geografica del territorio
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italiano; infine, devono essere rispettati i procedimenti produttivi di cui al disciplinare di produzione, verificati in fase di controllo da parte dell’organismo abilitato. La Denominazione di Origine Protetta (DOP) rappresenta in tutto e per tutto una garanzia per il consumatore in termini di provenienza e di procedimenti di lavorazione. La comunicazione di un prodotto di grande valore Come si evince dall’immagine tratta da un inserto de IL RESTO DEL CARLINO dell’8 dicembre 1971, anche l’attività di promozione prese avvio da subito facendo leva sulle caratteristiche che lo rendono un prodotto unico e dal grande valore nutrizionale e gastronomico. Per quasi vent’anni dalla costituzione del Consorzio, i produttori del prosciutto tipico di Modena hanno richiesto alle istituzioni il giusto riconoscimento di questo prodotto, tanto che il giornalista modenese SANDRO BELLEI li definì in un suo articolo del giugno 1988 “I moschettieri del prosciutto”.
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In alto: la sugnatura del prosciutto. In basso: evoluzione dei marchi. L’intensa attività profusa dai produttori e dalle istituzioni fece sì che il 12 gennaio del 1990 venne promulgata la Legge n. 11/1990 che tutelava la
denominazione d’origine del Prosciutto di Modena, delimitando la zona di produzione e le caratteristiche del prodotto.
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Consorzio del Prosciutto di Modena: un po’ di storia a chiare lettere
1) L’immagine tratta da un inserto de IL RESTO DEL CARLINO dell’8 dicembre 1971 da cui si evince che anche l’attività di promozione del prosciutto di Modena prese avvio da subito facendo leva sulle caratteristiche che lo rendono un prodotto unico e dal grande valore nutrizionale e gastronomico. 2) Il giornalista modenese Sandro Bellei definisce in un suo articolo del giugno 1988 i produttori associati al Consorzio del Prosciutto di Modena “I moschettieri del prosciutto”. 3) Il 12 gennaio del 1990 viene promulgata la Legge n. 11/1990 che tutela la denominazione d’origine del Prosciutto di Modena, delimitando la zona di produzione e le caratteristiche del prodotto.
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Prosciutto crudo al taglio. sulla coscia fresca del macellatore per dare riscontro delle corrette tecniche di macellazione, il sigillo sulla coscia fresca del prosciuttificio al momento dell’entrata nello stabilimento, riportante la data di inizio della stagionatura ed attestante la selezione effettuata; infine, il marchio a fuoco al termine della stagionatura che contraddistingue il Prosciutto di Modena DOP.
In alto: salagione. In basso: cella di riposo. Il cammino istituzionale de Prosciutto di Modena non si è fermato qui: dopo un intenso lavoro di ricerca storica e scientifica, coordinata dagli organi direttivi che ha portato a redigere il Disciplinare di produzione depositato presso l’Unione Europea, ha poi ottenuto con il Reg. CEE 1107/96 la Denominazione di Origine Protetta DOP. Tale riconoscimento ha rappresentato per i produttori non un traguardo, bensì un punto di partenza per impegnarsi ancora di più nella salvaguardia e nella tutela del prodotto anche attraverso un’intensa attività di vigilanza e nella
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continua ricerca di miglioramento dei requisiti qualitativi e organolettici. Per tali ragioni, nel 2010, è stato modificato il Disciplinare di produzione in senso restrittivo, portando la durata della stagionatura minima da 12 a 14 mesi e vietando l’utilizzo di conservanti, fatta eccezione per il sale. Sono molti i timbri di cui il Prosciutto di Modena DOP può dirsi portatore, segni distintivi che evidenziano una qualità unica e un’eccellenza di cui andare orgogliosi: il tatuaggio sulla coscia del suinetto fatto dall’allevatore per garantirne la provenienza e l’età, il timbro
I moschettieri del prosciutto Se si guarda alla storia del Consorzio è di tutta evidenza che il comune denominatore di questi 50 anni è sempre stato quello di migliorare le caratteristiche del Prosciutto di Modena DOP e di aumentarne la diffusione e la conoscenza sia in Italia che all’estero. Un ringraziamento va ai presidenti che si sono succeduti alla guida del Consorzio: EGIDIO PASINI (19691978), UGO ANCESCHI (1978-1997), RAFFAELLA BALDONI (1997-2000), BENITO VITALI (2000-2006), DAVIDE NINI (20062018) e GIORGIA VITALI, attualmente in carica. Ognuno di loro, per le proprie capacità e sensibilità e a seconda del momento storico nel quale si sono trovati ad operare, ha lavorato con la passione e la tenacia che contraddistingue da sempre gli imprenditori del territorio. • Il momento celebrativo dell’anniversario si terrà a Vignola (MO) il giorno 29 novembre a partire dalle ore 15:30 (il programma si può consultare sul sito del Consorzio). >> Link: www.consorzioprosciuttomodena.it
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PRODOTTI TIPICI Il salame rosa di Bologna a marchio Bonfatti di Negrini Salumi è da copertina
La rivincita del rosa
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ino alla prima metà del Novecento questi salumi erano molto popolari nelle salumerie e gastronomie del Bolognese. Il nostro principale obiettivo è quindi quello di recuperarli e rilanciarne il consumo, così come è avvenuto per la mortadella classica, e spingere i pochi produttori che ancora mantengono la ricetta tradizionale e riprendere la produzione e incrementarla». Così dicevano tre anni fa circa, nella primavera del 2016, i rappresentanti dell‘associazione Slow
Food chiamati a testimoniare la nascita di un presidio salumiero “tutto rosa”, dedicato a tre insaccati cotto tipici della città delle due Torri: mortadella classica, salame rosa e mortadella lyon, ovvero “I Salumi rosa tradizionali bolognesi”. Per la produzione dei tre salumi del presidio il Salumificio Negrini di Renazzo, Ferrara (www.gianninegrini.com), utilizza esclusivamente carne di suini del tipo pesante italiano, animali che vengono alimentati senza l’utilizzo di OGM. Nella preparazione degli insaccati, inoltre, è stato ridotto ai minimi termini
l’impiego di conservanti, fatta eccezione per una piccola quantità di nitriti, più precisamente 2 grammi mescolati a sale per 100 kg di carne. Una città in rosa La storia della mortadella e in generale della tradizione dei salumi cotti a Bologna affonda le radici nei secoli passati, simbolo di un’arte norcina che ha dato vita a delle vere e proprie eccellenze, alcune conosciutissime, tanto da identificare un’intera città nei menu dei ristoranti sparsi qua e là per il mondo, e altre ormai purtroppo molto rare, come lyon e salame rosa*. Mortadella classica Le sue origini risalgono sicuramente al Medioevo, ma la ricetta della mortadella vanta un testimone illustre, CRISTOFORO DI MESSISBUGO, il quale, nel 1557, nel suo Libro novo racconta in modo accurato tutte le fasi di lavorazione della mortadella e ne elenca gli ingredienti. Dal tempo di Messisbugo la produzione, ovviamente, è molto cambiata e questo salume storico si è, poco per volta, trasformato in un prodotto di largo consumo. La sua qualità varia molto a seconda della carne, dei tempi di cottura, degli additivi utilizzati, dell’involucro in cui è insaccato l’impasto. Esternamente la mortadella classica del presidio non presenta differenze particolari dalle altre: è al taglio che evidenzia caratteristiche abbastanza differenti da quelle normalmente in commercio. Infatti, si nota una colorazione leggermente tendente al marrone chiaro e non quella rossa o rosata a cui siamo abituati. Il profumo, non sostenuto da additivi o aromi, è sicuramente meno “prepotente” di quello delle altre mortadelle, ma è più complesso. Al gusto, poi, si ritrovano sensazioni di dolcezza, di delicatezza e di consistenza del tutto particolari: l’insieme organolettico tende dunque alla suadenza più che alla sapidità.
Salame rosa Bonfatti del Salumificio Negrini di Renazzo (FE).
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Lyon, mortadella in budello gentile Il lyon è un prodotto tipico della tradizione felsinea, presente in città già a partire dal Seicento. Noto come mortadella fina, il nome “lyon” nasce dall’abitudine dei Francesi di stanza a Bologna durante l’occupazione napoleonica di insaccare l’impasto della mortadella in budello gentile naturale e non solo nella vescica, dando così al prodotto la forma di un salame. Le carni utilizzate per questo salume sono spalla, gola in cubetti, magro di gola, ritagli di prosciutto e trippino, tagliate a coltello come per la preparazione di un normale salame. La consistenza del prodotto è simile alla mortadella mentre il sapore è più persistente. Le spezie principali utilizzate nell’impasto sono aglio e pepe. Insaccato nel budello gentile naturale di suino, raggiunge il peso di 1,5 kg e viene legato a mano con lo spago. La cottura avviene in stufe tradizionali ad aria calda, con una temperatura dell’aria che sale gradualmente fino ad 85 °C per ottenere una temperatura al cuore di circa 75 °C. Confezione sottovuoto. Il salame rosa Sul finire dell’800, fino alla prima metà del 900, sembra che i consumi della mortadella e del salame rosa a Bologna si equivalessero. La materia prima è la stessa: spalla, sottospalla e prosciutto, e le spezie, principalmente aglio e pepe. La differenza sta nella lavorazione: mentre la mortadella viene macinata finemente per renderla omogenea, ad eccezione dei lardelli, il salame rosa viene tagliato più grossolanamente in punta di coltello e ciò fa sì che l’impasto cotto abbia un effetto “marmorizzato”. L’insacco avviene in vesciche di bovino naturali per un peso finale di 6/8 kg oppure in vesciche di suino naturali da circa 1,5 kg. Legati a mano con spago naturale, i salami rosa sono appesi sui telai. La cottura è la stessa del lyon. Il salame rosa va tagliato non troppo sottile; in bocca resta consistente, con note aromatiche speziate e sapidità accentuata. È confezionato anch’esso sottovuoto.
Aceto Balsamico di Modena ACETAIA
Visite guidate e Degustazioni tutti i giorni dalle 9 alle 19
L’Acetaia Leonardi rappresenta la massima espressione della cultura legata all’Aceto Balsamico di Modena. Una tradizione secolare che ha le sue radici nel cuore della provincia modenese dove genuinità e passione per la tradizione rappresentano ancora valori, cardini dell’economia del territorio. Vi invitiamo a visitare la nostra Acetaia e il Museo, dove, da più di 130 anni, i migliori Balsamici invecchiano in una riserva di botti unica al mondo.
7-8-9 Novembre
Open Day Aspettando il Natale Presentazione regalistica 2019 e grande degustazione prodotti
Nota * La fonte per la descrizione degli insaccati è il sito della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus che coordina e promuove i presidi, www. fondazioneslowfood.com).
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Un salume antico che si fregia dell’Igp dal 2016
Prato, che fa rima con cantucci e mortadella di Riccardo Lagorio
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rato fa rima con cantucci, il pane affettato, biscottato leggermente aniciato. Prato fa rima con biscotto, quello che nel resto d’Italia è noto come cantuccio. Ma Prato fa anche rima con mortadella, un prodotto dotato dell‘IGP da febbraio 2016. L’origine di questo particolare salume, ottenuto con speciali tagli di carni suine, sale, aglio con l’aggiunta di alchermes, è piuttosto antica. A partire
dalla caratteristica mescolanza di spezie utilizzate: cannella, coriandolo, noce moscata, chiodi di garofano. Di questa specialità alimentare è stata trovata traccia in alcuni documenti che risalgono al 1733, quando, in occasione della beatificazione di suor CATERINA DE’ RICCI, le monache dei monasteri domenicani di Prato allestirono per gli ospiti un pranzo dove questa mortadella figurava come specialità
locale. La reputazione della mortadella di Prato non raggiunse quella del salume simile elaborato inizialmente a Bologna, essendo i Pratesi intenti alla più redditizia attività di raccolta di fibre. Solo nel nome parenti, s’intende. «A Prato la scelta delle carni avviene come se si producesse un salame. Carni magre di spalla e rifilatura dei prosciutti, cura nel togliere grasso e nervetti, ma soprattutto l’origine del dado di grasso,
La mortadella di Prato. Provatela con i fichi, con i carciofini sottolio e, naturalmente, con la “bozza” pratese, un pane locale senza sale, dal sapore vagamente acidulo e dalla forma squadrata, perfetto per accompagnare salumi ricchi di gusto e sapore (photo © salumificio-conti.com).
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Orlando, Elena e Carlo Conti. che proviene dal capocollo e dalle guance, in modo che non si sfaldi durante la cottura, sono le differenze principali» spiega CARLO CONTI, presidente del l’associazione di tutela e a capo del salumificio e macelleria di famiglia insieme al fratello ORLANDO e alla figlia ELENA. Pare che non fosse così in tempi remoti, quando «si aggiungevano anche le parti meno nobili del suino e per dare colore all’insaccato si aggiungeva l’alchermes». Le carni scelte vengono messe a raffreddare e poi macinate, speziate e insaccate. Niente carne congelata. «Le mortadelle si ripongono in stanze di stufatura per due giorni e sono cotte a vapore per circa 14 ore fino a raggiungere 70 °C al cuore. Atri produttori preferiscono bollire. Infine, viene abbattuta a una temperatura di
–2 °C, avendo cura che non ghiacci» continua. Il peso finale si aggira intorno ai 7 kg. Solitamente le mortadelle vengono divise a metà e messe sottovuoto per la spedizione. Il modo migliore per assaggiare la Mortadella di Prato IGP? «Non v’è dubbio: con la bozza pratese, il pane sciocco della città. Qualche locale pubblico la propone sulla pizza o ne trae mousse per i crostoni» racconta Elena Conti. Ma il Salumificio dei fratelli Conti è una tappa indispensabile per conoscere la geografia della salumeria pratese. È infatti dal 1965 che qui si scrive la storia dell’insaccato cittadino, quando diciassettenne, Orlando Conti aprì la sua bottega al piano terra della casa di famiglia. Un classico esempio di casabottega nel mondo dell’artigianato.
«A Prato, per la mortadella, la scelta delle carni avviene come se si producesse un salame: carni magre di spalla e rifilatura dei prosciutti, cura nel togliere grasso e nervetti, ma, soprattutto, l’origine del dado di grasso, che proviene dal capocollo e dalle guance» spiega Carlo Conti, a capo del salumificio e macelleria di famiglia insieme al fratello Orlando e alla figlia Elena
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Al momento di partire per il servizio militare, Carlo rimpiazzò il fratello così che la bottega non si dovette chiudere. E iniziò la saga dei Conti. Orlando ricorda «quanto fosse difficile fare dei buoni salumi a quei tempi per la qualità delle carni, per le temperature e le umidità che non sempre si potevano gestire. Basta poco per far saltare l’ingranaggio e allora non esistevano i mezzi tecnologici di oggi». Anno dopo anno la macelleria di via San Giusto si ingrandisce. Questa rimane il cuore pulsante del salumificio, che però si trasferisce in prima periferia. Il prosciutto, altra punta di diamante del salumificio, ha la coscia allungata sino all’arista, «un taglio artigianale che pochi ormai fanno ed è sconosciuto presso i macelli. Il taglio lo eseguiamo direttamente noi» spiega. Un prodotto che, dicono i tre Conti, va a ruba: «I 4.000 pezzi all’anno non sono sufficienti a soddisfare la domanda, ma al momento non riusciamo ad approvvigionarci con altre cosce». Una valida alternativa è la polpa di spalla. «Si tratta della parte anatomica che in Spagna passa sotto il nome di paleta. La disossiamo, la saliamo e integriamo con gli stessi aromi del prosciutto: sale e pepe». La breve stagionatura di 6 mesi dà un prodotto dolce e delicato. I clienti locali amano molto anche la porchetta. «In questo caso arriva in mezzene e noi le sezioniamo, disossiamo e condiamo con aglio, sale e finocchio selvatico» spiega Carlo. Nel forno elettrico ci rimane 7 ore, inizialmente a 120 °C, e poi sale, fino a raggiungere i 70 °C all’interno e formare la crosticina tanto apprezzata dai consumatori. I würstel si preparano con carni che provengono da spalla e pancetta. «I clienti della macelleria ce li chiedevano e stiamo notando un notevole riscontro. Per certi versi persino inaspettato». I gusti cambiano: alla riscossa della mortadella di Prato IGP, tanto locale, si contrappone la bontà di un insaccato che nel 1965 poteva risultare quanto meno… esotico. Riccardo Lagorio Macelleria e Salumeria F.lli Conti Via Vesuvio 12 59100 Prato (PO) Telefono: 0574 630192 Web: salumificio-conti.com
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Un salame tradizionale della montagna molisana
La Signora di Conca Casale omaggio per ricambiare una cortesia o un favore. I tagli usati sono essenzialmente lombo, spalla per la parte magra, più lardo della pancetta e del dorso per la parte grassa. Da ogni maiale si poteva ricavare una sola Signora, quindi, inevitabilmente, il valore intrinseco del salume aumentava. Oggi si utilizzano anche parti della coscia e il controfiletto.
Il produttore Bruno Bucci (photo © www.facebook.com/aziendaagricola.bucci).
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a Signora è un insaccato di carne suina tradizionale di Conca Casale, piccolo comune tra i monti che conta circa 200 abitanti, sopra Venafro (IS), in Molise. La tradizione della sua preparazione è stata custodita da un gruppo di anziane signore, che perpetuano una tradizione norcina vecchia di secoli.
Un salume da Signori! Come tutti i salumi tradizionali, la Signora era prodotta solo nei giorni più rigidi dell’inverno, per essere consumata poi nella stagione estiva. La Signora non è assolutamente un salume povero, anzi: raramente consumata dai produttori, tradizionalmente era destinata ai “signori”(il medico, il notaio…) come
Le fasi produttive La lavorazione inizia con lo sminuzzamento a punta di coltello delle carni, una parte a grana fine e una parte a grana doppia per migliorarne l’amalgama; si procede poi alla concia con pepe nero in grani, coriandolo, peperoncino rosso in polvere e finocchietto selvatico raccolto dalle signore del paese. L’impasto è quindi lasciato maturare per alcune ore prima di procedere con l’insaccatura. Intanto il budello cieco del maiale, la cosiddetta zia, viene accuratamente lavato, con un procedimento del tutto particolare che prevede l’utilizzo di farina grezza di mais, succo di arancia e limone, aceto e vino. L’insaccatura è effettuata a mano con l’ausilio di una specie di imbuto. Ed è questa la fase in cui la perizia dell’artigiano assume un ruolo basilare: per una corretta stagionatura, infatti, è necessario che l’impasto sia distribuito in modo più che uniforme, avendo cura di riempire bene tutte le pieghe del budello.
Il Presidio Slow Food della Signora di Conca Casale Produttore Bruno Bucci via Principe Umberto 10 Conca Casale (IS) Telefono: 0865 903083 / 338 7263075 E-mail: agricolabucci@gmail.com
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Responsabile Slow Food del Presidio Francesco Martino Telefono: 0865 900377 338 1048796 E-mail: f.martino57@alice.it
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La “zia”, ovvero il budello cieco del maiale che conterrà la Signora di Conca Casale (photo © www.slowfood.it). A questo punto il salume viene legato con uno spago e posto ad affumicare per alcuni giorni in locali idonei. La stagionatura poi, data la grande pezzatura, si protrae per almeno sei mesi, in relazione alle dimensioni del budello, e quindi la Signora può avere un peso da 800 grammi fino anche a 5 chilogrammi. La forma del prodotto finito ricorda un alveare. In bocca si avverte tutto il sapore e la consistenza di un salame crudo a grana grossa con, in evidenza, il finocchietto selvatico e una nota d’agrumi, dovuta al lavaggio del budello. Si consuma dopo averla tagliata a fette spesse. Presidio La produzione delle signore, fino a poco tempo fa, era esclusivamente famigliare, ma un produttore ha deciso di produrre nuovamente per il mercato questo salume antico e affascinante che
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da secoli è lavorato solo nelle famiglie di questa piccola comunità molisana. La produzione è molto limitata e questo ha consentito il mantenimento di una filiera produttiva rigorosamente locale. I suini sono allevati semibradi e sono alimentati con scarti di cucina, vegetali e sfarinati; niente mangimi, OGM o integratori. I locali di stagionatura sono rigorosamente naturali. Quello che a tutti gli effetti è forse il salume di Presidio più rustico e più vicino alla produzione originaria, prodotto oggi con la stessa manualità e con le stesse strutture di secoli addietro — tant’è che la produzione è piuttosto ridotta (non più di 400 signore ogni anno) — ha ricevuto nuovo slancio grazie al sostegno del Consorzio Tutela Budello Naturale, che si propone di valorizzare e diffondere l’impiego del budello naturale nella produzione norcina italiana.
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Cibo da asporto, il grande business Comodità, praticità, ritmi frenetici: sono questi i migliori alleati del take away, che si impone prepotentemente, a dispetto di tutto di Sebastiano Corona
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a ripresa stenta a manifestarsi ma alcuni segnali, seppure incoerenti tra loro, denotano, da parte degli Italiani, un cambio di approccio alla spesa. Se la Distribuzione Moderna Organizzata, infatti, ancora avverte difficoltà enormi, come se non ci fossimo del tutto buttati
alle spalle la recente peggiore crisi finanziaria, il consumatore medio, pur con un occhio al portafoglio, inizia a concedersi qualche piccolo lusso. Oltre a quello del carrello che cambia in qualità — generando una sorta di bipolarismo tra prodotto di prezzo, fortemente richiesto, e prodotto di pregio,
ugualmente ricercato — si mostra un interesse sempre maggiore per il consumo di pasti fuori casa e per l’asporto. Insomma, il budget per l’alimentare è sempre risicato, ma tende a diversificarsi nella destinazione. Complice la riduzione del tempo a disposizione per cucinare, il lavoro femminile sempre più
Una ricerca dell’Osservatorio eCommerce B2C del Politecnico di Milano e Netcomm ci dice che solo in Italia il food delivery, nel 2019, conta 566 milioni di euro di fatturato e un tasso di crescita pari al 56%. Sono cifre impressionanti anche quelle su scala mondiale, considerato che il peso globale di questo mercato è stimato tra gli 85 e gli 88 miliardi di euro, l’1% del mercato alimentare complessivo (photo © daviles – stock.adobe.com).
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Tra le maggiori richieste di food delivery nel nostro Paese troviamo, oltre all’immancabile pizza, hamburger, cucina giapponese e cinese ed etnica in generale (photo © Joshua Resnick – stock.adobe.com). impegnativo e una gestione degli spazi in ambiente domestico che talvolta rendono difficoltoso cucinare determinate tipologie di prodotti, chiudere la serata con il take away appare comodo, veloce e non eccessivamente dispendioso da non poterselo permettere di tanto in tanto. A sostenerlo è un recente studio di JUST EAT, una delle app leader in Italia nel food delivery, che, analizzando 20 città nelle quali opera, ha rilevato che, rispetto al 2017, nel 2018 è cresciuto notevolmente sia l’utilizzo del servizio da parte dei cittadini, sia il numero dei ristoranti che effettuano l’asporto. Sono 30 milioni i connazionali che ordinano cibi per via tradizionale, al telefono o sul posto, di persona, ma ciò che desta interesse non è solo la
progressiva crescita dell’utilizzo del digitale per acquisire e pagare il servizio (sinora, infatti, solo l’11% usa le app apposite), ma il potenziale di crescita del take away in generale. Le piattaforme che sempre più stanno prendendo piede in Italia, forse con un leggero ritardo rispetto al resto d’Europa, sono di fatto delle sovrastrutture che fanno da intermediari tra il ristorante e i clienti e, utilizzando i noti rider, ritirano il prodotto e lo consegnano a destinazione. Il metodo impiegato è quello di una app che offre una scelta ampia di ristoranti o gastronomie, effettua il pagamento e consente di monitorare i tempi di consegna, che avvengono normalmente con puntualità svizzera. Tra le maggiori richieste nel Belpaese,
Sono 30 milioni i connazionali che ordinano cibi per via tradizionale, al telefono o sul posto, ma ciò che desta interesse non è solo la progressiva crescita dell’utilizzo del digitale per acquisire e pagare il servizi, ma il potenziale di crescita del take away in generale
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oltre all’immancabile pizza, spiccano gli hamburger, la cucina giapponese e cinese, i panini e le piadine, la cucina tradizionale italiana, indiana, messicana ed etnica in generale. Più di qualunque altra specialità sono la gastronomia e la rosticceria a segnare incrementi senza uguali, la prima con un +446% e la seconda con +429%. Tra i piatti più richiesti: arancini, mozzarella in carrozza, lasagne, panzerotti, pasta al forno, cotolette e altre ricette regionali. Nella cucina esotica, spiccano i noodles, il poke, i cibi healthy, ma subito dopo si classifica il gelato. E tutti mostrano straordinari incrementi a tre cifre percentuali. Da una disamina geografica appare evidente che la richiesta di prodotti tipici nazionali o locali sia più forte nel Sud e nelle Isole, mentre la cucina etnica è più quotata man mano che si va verso il Nord. D’altronde le occasioni non mancano. Non c’è solo la casa come contesto deputato per consumare cibo da asporto; ci sono anche altre occasioni conviviali e non ultimo il posto di lavoro. Gli Italiani, infatti, sempre più raramente possono permettersi di tornare a casa per la pausa pranzo.
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Just Eat è un servizio di spedizione pasti, agendo come intermediario tra il ristoratore e i clienti. È quotato alla Borsa di Londra e fa parte dell’indice FTSE 250 (photo © www.ristorantiweb.com). Sono più gli uomini delle donne a richiedere il servizio: i primi propensi alla sperimentazione di tipologie di cucina diverse, le seconde più fidelizzate ai propri locali preferiti e discretamente interessate, tra gli altri, al sushi. E sono i Millennials, con una percentuale del 60%, a rappresentare la fascia più consistente di clienti. Una recente ricerca in Gran Bretagna rivela che una persona su 100, nel Regno Unito, tra gli under 35, consuma almeno un pasto da asporto ogni giorno: non a caso si parla di take away generation, riferendosi in particolare ai giovani nati tra gli anni ‘80 e il 2000. A seguire vengono adulti e famiglie. Lo studio in questione mostra anche che, sul fronte delle professioni, sono gli impiegati (39%) i più interessati al food delivery, seguiti da studenti (33%) e liberi professionisti (14%), che mediamente spendono di più per ogni ordine. Comodità, velocità, prezzi accessibili — tanto più che non mancano promozioni e offerte — sono enormi punti di forza del food delivery. Il fatto che non siano necessari obbligatoriamente passaggi di denaro in contanti, che l’offerta sia mediamente discreta in qualità e varietà, che i tempi di consegna siano celeri, certi e monitorabili,
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sono enormi vantaggi per chi acquista. Non a caso, come conferma una ricerca dell’Osservatorio eCommerce B2C del Politecnico di Milano e NETCOMM, solo in Italia il food delivery, nel 2019, conta 566 milioni di euro di fatturato e un tasso di crescita pari al 56%. Sono cifre impressionanti anche quelle su scala mondiale, considerato che il peso globale di questo mercato è stimato tra gli 85 e gli 88 miliardi di euro, l’1% del mercato alimentare complessivo. Il meglio deve ancora venire La progressione del settore, già sin qui molto rapida, è destinata al raddoppio entro il 2024, secondo le stime di IMARC. Un settore, dunque, che sta conoscendo una stagione a dir poco propizia, con enormi, ulteriori potenzialità. Sono in aumento i clienti, le richieste e i comuni interessati (oggi 900). I ristoranti che si affiliano sono cresciuti, solo nell’ultimo anno di più del 40%. In ambito provinciale il primato del settore, in termini di presenza diffusa, va a Roma. Seguono Torino, Napoli e Milano. Ma anche nelle realtà provinciali più piccole si può contare sempre più su un tessuto produttivo specializzato nell’asporto. Non è un caso se nelle grandi città si possa agevolmente osservare, la sera,
che i fattorini in attesa al banco del ristorante o della gastronomia siano tanti, talvolta quanto i clienti in procinto di accomodarsi al tavolo. Ma se da noi le piattaforme del digital delivery hanno fatto prepotentemente ingresso solo negli ultimi anni, in molti Paesi sono da tempo il modo più veloce e sicuro per ottenere a casa, in tempi strettissimi, tutto ciò che si vuole consumare. E siccome l’appetito vien mangiando, abbiamo assistito di recente a fusioni importanti tra colossi del cibo d’asporto nel mondo. Nel momento in cui scriviamo, Takeaway.com punta ad acquisire il concorrente JUST EAT dando vita, nel caso, ad una delle più grandi e strutturate imprese del settore, nel mondo. Le stime danno infatti, alla combinazione dei due, un valore intorno ad 8,2 miliardi di sterline per un volume d’affari annuale pari a 7,3 miliardi di sterline e un totale di 360 milioni di ordini all’anno. Takeaway.com è presente in 10 Paesi europei, oltre che in Israele e Vietnam ed è convenzionata con oltre 43.000 ristoranti. JUST EAT copre invece molti altri territori; per questo ci sarebbe una sorta di compensazione geografica. Un connubio, dunque, che avrà conseguenze importanti su diversi livelli, ma che non è il primo né si potrà certamente considerare l’ultimo, visti gli appetiti che questo mercato in grandissima espansione genera. Non faremmo però un gran servizio se nascondessimo che, in Italia come all’estero, questo successo è anche costruito sulle spalle di tanti che vi operano in assenza di sufficiente tutela e diritti. Non a caso le proteste dei riders si sprecano, e non solo in Italia. Ci sarà probabilmente un’evoluzione nei rapporti tra soggetti che operano, a vario livello, per le piattaforme del food delivery, ma assisteremo, probabilmente da qui a qualche anno, ad altre evoluzioni tra players. La cosa più probabile è che i colossi del digital delivery, che ora si limitano a fare da intermediari tra ristoranti e clienti, diano vita a insegne proprie di produzione, mettendo ai margini i vecchi partner o “costringendoli” ad adeguarsi ad un nuovo modo di operare. Insomma, anche in questo mondo è e sarà l’aggregazione a farla da padrone. Sebastiano Corona
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CONSUMI
L’Italia dei mille salumi di Giovanni Ballarini
Un salume per ogni giornata di cammino l viandante che si trova a percorrere l’Italia in lungo e in largo dovrebbe sapere che, per ogni giornata di cammino, facilmente troverà un cibo anche solo leggermente diverso da quello assaggiato il giorno precedente e, soprattutto, una carne conservata o salume con differenze a volte piccole, altre volte rilevanti. Cibi ambiti dai passeggeri, ma anche dalle soldatesche in cerca di alimenti da rapinare: per questo si favoleggia di un Annibale che depredava i prosciutti prodotti in quei territori di cultura prima celtica e poi etrusca, dove i Romani avrebbero fondata la città di Parma.
I
La diversità dei cibi e dei sistemi e/o modalità di conservazione è determinata dal luogo, dal clima e microclima, dalle varietà di culture spontanee e agricole, dalle razze locali degli animali. Ogni valle o zona boschiva ha le sue varietà di cereali e leguminose, di maiali selvatici e domestici, che si nutrono dei prodotti locali, con conseguenti differenze nelle loro carni. In modo analogo, diverse sono le abitudini di lavorazione e di conservazione delle carni, soprattutto quelle suine, regolate da riti millenari e che determinano una miriade di nomi per i salumi. Ma, su tutto, fin dall’antichità in Italia dominano fondamentali radici culturali, che persistono nel tempo.
Radici della salumeria italiana Per la salumeria italiana bisogna distinguere l’immagine che questa ha all’estero da quella che ha all’interno del Paese. All’estero, essa è ben identificata da una serie di salumi di vasta produzione, come i prosciutti e la mortadella, comprendendo anche alcuni prodotti tipici di nicchia, come il culatello. In Italia, invece, dove si sono intrecciati elementi di culture differenti, la produzione salumiera è frammentata in una gran varietà di prodotti a carattere territoriale e per questo si parla più che altro di una salumeria regionale. In Trentino Alto Adige, di cultura germanica e mitteleuropea, troviamo i salumi affumicati, mentre in tutti i
I salumi italiani stanno entrando sempre più diffusamente in cucina. Questo è la conseguenza della loro qualità, di un favorevole rapporto qualità/prezzo, ma soprattutto della possibilità di sfruttare le loro caratteristiche gastronomiche, in particolare di prosciutto cotto e mortadella (photo © Vincenzo De Bernardo – stock.adobe.com).
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territori alpini non mancano i salumi realizzati con carni di ruminanti domestici e selvatici. Nell’area celtica della Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna vi sono salumi crudi e cotti, con limitato contenuto di sale. Nei territori di antica presenza etrusca e romana della Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise i salumi sono prevalentemente crudi. Nell’area greca dell’Italia meridionale della Campania, Basilicata (Lucania), Calabria, Puglia, Sicilia nei salumi si fa uso di spezie esotiche e nostrane. Nell’area fenicia-punica della Sardegna prevalgono salumi di piccola pezzatura. Con l’unità del Regno d’Italia, dalle molte radici mantenute anche dalle divisioni degli stati preunitari, l’artigianato salumiero prima e l’industria salumiera poi hanno costruito un grosso e solido fascio di prodotti che oggi identificano la nostra salumeria. Mille salumi italiani Una non recentissima indagine indica un ammontare di 666 salumi italiani tradizionali, ma se si considerano quelli che via via si sono aggiunti, anche per merito dell’artigianato e della piccola e media industria, si può stimare un patrimonio di mille prodotti. 666 o 1.000? Due numeri elevati e al tempo stesso magici. 666 è il numero della bestia, del maiale nero che è all’origine dei salumi italiani. 1.000 è il numero di una pienezza abbondante. Altrettanto numerosi sono i salumi italiani DOP e IGP, rispettivamente 21 e 22, per un totale di 43, il piÚ alto numero tra i paesi europei. Italiani ghiotti di salumi In Italia il consumo annuo pro capite di salumi è di circa 20 kg, tra i piÚ alti al mondo, all’interno di un comparto che vale otto miliardi di euro e con circa un miliardo e mezzo di export. Questi alimenti, grazie a moderne tecniche di produzione e conservazione, si sono infatti adattati ai nuovi stili alimentari, essendo oggi piÚ magri, con basse quantità di colesterolo, minori quantità di sale e di additivi, a volte totalmente assenti. Inoltre, i salumi italiani hanno significativamente migliorato il rapporto qualità /prezzo e il consumatore, adeguatamente informato sulle loro caratteristiche, gli ha dato credito e li ha preferiti ad altre carni. La tendenza odierna è quella di consumare salumi
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piÚ giovani, meno stagionati. Cifre alla mano, in Italia si consumano 30 milioni di prosciutti crudi e 45 milioni di cotti. Nella classifica dei piÚ amati, con una preferenza per il prosciutto cotto e la mortadella, salgono il Salame Cacciatore e lo Strolghino, tipico delle province di Parma e Piacenza, gustosi e con una stagionatura breve. Il dato del consumo globale di salumi merita però un paio di precisazioni, anche per smentire alcune inevitabili obiezioni. Molti possono ritenere infatti che la cifra non corrisponda alla realtà e che non si vede come ogni italiano, ogni giorno, possa mangiare circa 45 grammi di salume. Da una parte, però, si tende a dimenticare o, almeno, a sottovalutare, la grande quantità di pasti rapidi o di spuntini e merende che gli Italiani consumano soprattutto fuori casa e nei quali a dominare sono i classici panini, i toast e tante altre preparazioni dove i salumi sono presenti. Dall’altra parte, anche per i salumi, si deve precisare che vi sono dei consumi occulti che sfuggono alla normale percezione: moltissime preparazioni culinarie contengono salumi, prosciutto crudo e soprattutto prosciutto cotto, dalla paste ripiene ai piatti di verdure e di carne. Ed è facile constatare come un ripieno, se contiene un salume con una sua caratteristica di sapore, come la mortadella o un prodotto affumicato, abbia un valore gastronomico certamente migliore rispetto ad un ripieno contenente una carne di minor costo ma di scarso sapore. L’utilizzo dei salumi in cucina non è certo una novità ma oggi assistiamo ad un continuo ampliamento di questa tendenza. Cotechino o zampone, ad esempio, non sono presentati soltanto bolliti, ma sono anche oggetto di elaborazioni culinarie. In modo analogo, il salame da pentola entra nell’alta gastronomia di alcune regioni come componente molto apprezzato del brodo di terza: un prodotto di nicchia, si dirà , pronto però ad essere amplificato. Salumi da cucina, anzi per le diverse cucine (rapide e lente, tradizionali ed innovative, locali od esotiche), sono quindi già una realtà , ma sono soprattutto un’importante linea di sviluppo futuro. Prof. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
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Cresce l’export del Prosciutto di San Daniele nel primo semestre 2019 Primo semestre del 2019 positivo per il Prosciutto di San Daniele che, sul fronte export verso Paesi UE ed extraUE, ha registrato un complessivo +2% di prodotto esportato, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un trend di crescita interessante, che conferma sempre più l’apprezzamento di una eccellenza dell’agroalimentare del made in Italy quale la Dop Prosciutto di San Daniele nei mercati internazionali, con incrementi particolarmente rilevanti. L’export nei Paesi UE ed extraUE Per quanto riguarda le esportazioni verso i Paesi dell’Unione Europea, si registra una leggera flessione del 3% rispetto al periodo gennaio-giugno 2018. Nel primo semestre si rilevano risultati decisamente positivi in alcuni mercati come Grecia (+192%), Belgio (+39%) e Lussemburgo (+3%) che controbilanciano alcuni rallentamenti in altri Paesi UE come Francia (–8%), Germania (–8%) e Regno Unito (–10%). Nella prima metà del 2019, l’export nel mercato extraUE è cresciuto del 10% rispetto allo stesso periodo del 2018, trainato da ottime performance registrate in Canada (+239%), Giappone (+29%), Australia (+28%), Cina (+14%) e Stati Uniti (+4%). Questo trend è da ricondursi all’entrata in vigore di importanti accordi bilaterali di libero scambio, come JEFTA e CETA, tra l’Unione Europea e alcuni Paesi Terzi, con l’obiettivo di rafforzare le partnership commerciali ed economiche, agevolando gli scambi attraverso l’abolizione e la riduzione dei dazi e garantendo norme che tutelano e forniscono vantaggi e opportunità a tutti i soggetti coinvolti. Di conseguenza, sul totale delle esportazioni le quote dei mercati extraUE fanno registrare risultati positivi e promettenti pari il 46% del totale esportato (rispetto al 43% dello stesso semestre del 2018), a fronte di una leggera flessione dell’export nei Paesi dell’Unione che passa al 54% (rispetto al 57% dei primi sei mesi del 2018), confermando l’andamento della riduzione del margine tra le due aree geografiche. L’export per tipologie di prodotto Il prosciutto intero con osso, tra le categorie di prodotto, registra un aumento del 7%, mentre il preaffettato in vaschetta registra un calo del 14%, rispetto al primo semestre 2018. La tipologia maggiormente richiesta, pari all’82%, è rappresentata dal prodotto sia disossato che nella sua interezza con lo zampino, uno dei segni distintivi del Prosciutto di San Daniele Dop. «L’entrata in vigore di accordi
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bilaterali di libero scambio tra UE e Paesi Terzi rappresenta sicuramente un vantaggio positivo per il settore dell’agroalimentare italiano. Lo dimostrano i risultati ottenuti dalla Dop Prosciutto di San Daniele in Canada e Giappone» afferma Mario Emilio Cichetti, direttore generale del Consorzio del Prosciutto di San Daniele. «Grazie a tali accordi, il Prosciutto di San Daniele ha la possibilità di essere presente in diversi mercati in modo tutelato. Si confermano dunque risultati positivi nelle esportazioni, in particolar modo nel mercato extra europeo». Consorzio del Prosciutto di San Daniele Costituito nel 1961, il Consorzio del Prosciutto di San Daniele detiene il Disciplinare di Produzione, vigila sulla sua corretta applicazione, protegge, tutela e promuove il marchio Prosciutto di San Daniele. Il prosciutto di San Daniele è un prodotto a denominazione di origine protetta, un alimento naturale fatto solo con carne di suini italiani e sale marino, assolutamente privo di additivi o conservanti, che viene prodotto dalle 31 aziende aderenti al Consorzio, localizzate solo ed esclusivamente a San Daniele del Friuli (UD). Il particolare ambiente geografico, che include fattori climatici e umani, determina le caratteristiche naturali, uniche e irripetibili del Prosciutto di San Daniele. >> Link: www.prosciuttosandaniele.it www.instagram.com/sandanieledop www.facebook.com/sandanieledop twitter.com/SanDanieleDOP www.youtube.com/user/SanDanieleDOP
A FICO va in scena uno sfilatino con prosciutto S. Daniele da Guinness Cento metri di sfilatino farcito con il Prosciutto di San Daniele Dop: è lo “sfilatino da Guinness” (in foto), risultato della nuova “impresa” che si è tenuta sabato 14 settembre a FICO Eataly World di Bologna con la collaborazione del Consorzio del Prosciutto di San Daniele. Questo sfilatino da record è stato realizzato impiegando 40 chili di farina, 25 litri di acqua, 500 grammi di sale, 2 chili di lievito madre, ed è stato farcito con 4.200 fette di Prosciutto di San Daniele (oltre 50 kg). Centinaia di spettatori hanno dapprima ammirato la realizzazione del lunghissimo sfilatino croccante, preparato da maestri panificatori del Forno di Calzolari al lavoro dalle sette del mattino su un impasto con una lievitazione di 8 ore. Lo sfilatino è stato quindi imbottito con invitanti fette di Prosciutto di San Daniele affettato al momento. Lo sfilatino da record è stato lavorato e steso su 25 tavoli disposti sulla pista ciclabile interna al parco, cotto con uno speciale forno Zanolli e farcito con Prosciutto di San Daniele tagliato da tre affettatrici. Nessuno spreco al termine dell’evento, visto che i metri di sfilatino non degustati dai visitatori sono stati devoluti alla Open Group Cooperativa Sociale di Bologna.
INDAGINI
Le infinite vie dell’abusivismo Alle soglie del 2020, assistiamo all’assurdo antagonismo tra le imprese regolari e il sommerso, dove le prime sono inspiegabilmente messe in discussione nel loro operato e costrette a difendersi da bufale, false credenze e comunicazione distorta di Sebastiano Corona
S
arà pure un momento florido per l’agroalimentare italiano, ma forse, proprio in ragione del successo che sta vivendo in termini di numeri e di immagine, il comparto si scontra con una serie di problematiche che si fanno ogni giorno più pregnanti. Se, infatti, da una parte la normativa igienico-sanitaria è incalzante e riguarda ormai ogni aspetto della vita di un alimento, dall’altra prolificano le attività parallele dove ogni cosa è
concessa, talvolta con buona pace delle istituzioni. Le fake news girano indisturbate per anni sul web, senza che ci sia un’efficace possibilità di smentita. L’opinione pubblica — spesso completamente ignara dell’improbabilità che certe cose avvengano in contesti vigilati come il nostro — si fa un’idea distorta dell’industria alimentare e del suo operato. C’è poi un tam tam che ci martella da anni e che piano piano è entrato nell’immaginario comune: il fatto
che il prodotto sia tanto più sano quanto è più vicina la zona geografica in cui è stato realizzato. Al consumatore piace l’idea che ciò che ha nel piatto sia stato prodotto o trasformato in un luogo poco distante da dove si trova e si è, nel tempo, convinto che solo in ragione di questa vicinanza quel cibo sia straordinariamente meglio di tutto il resto. Un concetto, questo, che ha certamente una valenza sul fronte economico, ma che è anche privo di
Le fake news hanno un impatto devastante per le imprese a livello micro e macroeconomico e l’agroalimentare è uno dei settori più colpiti da questa tipologia di finte notizie.
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Salsicce fatte in casa: è in crescita il fenomeno di chi prepara cibi senza seguire la benché minima regola igienico-sanitaria, per poi venderli al pubblico abusivamente, grazie anche alle potenzialità di promozione dei social network. elementi oggettivi che lo supportino sul piano della qualità. In tempi di manuali HACCP, di sistemi di tracciabilità e rintracciabilità, di bolli sanitari e di molto altro ancora, ecco che spopola “il fatto in casa”, il “così lo faceva la nonna”, con un prolificare di pane venduto per strada, torte di compleanno fatte dall’amica dell’amica, vasetti di ricci riempiti cucchiaino dopo cucchiaino, in una bancarella al bordo della car-
reggiata. Non c’è quindi da stupirsi se in un mondo in cui qualcuno inizia a sospettare che la terra sia piatta e non tonda, che i vaccini siano nocivi, che lo stregone sia meglio del medico e molto altro ancora, che anche il cibo realizzato in un garage sia considerato qualitativamente superiore e igienicamente più sicuro di quello prodotto nel rispetto delle innumerevoli regole a cui i produttori — quelli veri — devono
“Il fatto in casa è meglio del prodotto realizzato in azienda”: questo concetto, apparentemente innocuo, è molto pericoloso. Quel “fatto in casa”, infatti, non significa solo “realizzato da chi lo consuma, nella propria abitazione”, ma lascia anche passare il concetto che, piuttosto che fare acquisti al supermercato, sia meglio rivolgersi a chi produce in barba a qualunque norma, tra le pareti domestiche o in ambienti improvvisati
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oggi attenersi. È ancora più grave che un certo messaggio venga comunicato tramite i canali ufficiali. A questo proposito si è vista costretta ad intervenire pubblicamente anche FEDERALIMENTARE, costola di CONFINDUSTRIA, che associa a sé le maggiori imprese del comparto della trasformazione in Italia e che, per voce del suo presidente IVANO VACONDIO, comunica: «Siamo quelli che spendono di più nella pubblicità, ma siamo le prime vittime delle fake news: sembra un paradosso, ma è così». Nel 2018 l’industria alimentare è stato il comparto che ha investito maggiormente in pubblicità; a sostenerlo è la NIELSEN, che rileva un impegno per circa 725 milioni di euro su un totale di quasi 5: il 14,6% circa del totale. Eppure, secondo Vacondio, i programmi televisivi della RAI richiamano spesso delle fake news sul tema del cibo, danneggiando pesantemente l’immagine del comparto. F EDERALIMENTARE ha argomentato quanto sostenuto, presentando al direttore dell’emittente, MARCELLO FOA, un ampio dossier che richiama programmi televisivi e passaggi che a più riprese, negli ultimi tempi, hanno privilegiato un approccio bucolico, di ritorno al passato, di prodotti alimentari a km 0, preparati in casa, contrapponendoli a quello industriale, reo di essere frutto di un processo che semplifica e riduce i tempi di preparazione, compromettendo un’alimentazione sana ed equilibrata. Nei servizi richiamati — giudicati talvolta parziali, talvolta faziosi — è mancato, sempre o spesso, secondo FEDERALIMENTARE, il giusto contraddittorio con esperti del settore o rappresentanti dell’industria o delle istituzioni. «È così che anche su canali di comunicazione ufficiale — ha ribadito Vacondio — talvolta si lascia che giunga al consumatore un messaggio equivoco, parziale o che insinua dubbi sul prodotto trasformato da grandi imprese, minando il rapporto di fiducia tra azienda e consumatore, generando danni incalcolabili». Non bastasse, certa stampa ufficiale usa frequentemente un tono allarmistico, anche laddove non esiste alcuna emergenza, paventando enormi pericoli quando, per ragioni diverse, andrebbe invece usato un approccio
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Le preparazioni casalinghe non sono sempre migliori di quelle industriali. Le conserve, ad esempio, sono preparazioni alimentari confezionate in contenitori a chiusura ermetica sottoposte a trattamenti termici tali da permettere la stabilizzazione e la conservazione per lunghi periodi a temperatura ambiente. Solo seguendo scrupolosamente gli accorgimenti per la produzione di conserve sicure, infatti, si scongiura il rischio della contaminazione da botulino che, per scorrette pratiche convenzionali, continua a colpire la popolazione dei consumatori. fortemente prudenziale. «C’è di mezzo la reputazione dei più grandi brand italiani, di quelli che ancora investono in Italia e non solo nella pubblicità. Ci sono filiere che possono e talvolta vengono danneggiate anche con una sola trasmissione che ingenera paure e causa crolli irrimediabili delle vendite. Chi si occupa del servizio pubblico radiotelevisivo, per questo, ha una grande responsabilità e deve essere sempre attento ai messaggi che lancia», hanno sottolineato da Federalimentare, il cui presidente ha aggiunto: «A parlare di cibo nel servizio pubblico devono essere persone competenti e titolate. È inammissibile che disquisizioni importanti come quelle sull’alimentazione o la salute umana vengano condotte dal personaggio del momento, starlette o uomini e donne di spettacolo. Pur con
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tutto il rispetto per chi svolge il proprio lavoro di opinionista, il tema è troppo delicato perché sia sviscerato in televisione da inesperti». Il messaggio — lo ripetiamo — è quasi sempre lo stesso: il “fatto in casa” è meglio del prodotto realizzato in un’azienda. Questo concetto apparentemente innocuo è invece fortemente pericoloso. Quel “fatto in casa”, infatti, non significa solo “realizzato da chi lo consuma, nella propria abitazione”. Lascia anche passare il concetto che, piuttosto che fare acquisti al supermercato, sia meglio rivolgersi a chi produce in barba a qualunque norma, tra le pareti domestiche o in ambienti improvvisati. Prolificano infatti sempre più attività sommerse e sconosciute alla pubblica amministrazione che vendono tramite il passaparola o grazie a internet.
Non si creda che il fenomeno sia marginale e che non intacchi minimamente il mercato. A farne le spese sono soprattutto le imprese artigiane, quelle sotto i 10 dipendenti, il nocciolo duro del tessuto produttivo nazionale, costretto a scontrarsi con concorrenti fantasma. E a chi sostiene che questo fatto sia comunque ininfluente, la risposta è presto data: innanzitutto è una questione di legalità. Non si comprende infatti perché le aziende regolari, anche le più piccole, composte da uno o due addetti, debbano sottostare a regole rigidissime e rischino sanzioni per il minimo errore, anche involontario, mentre chi lavora nell’ombra possa agevolmente sfuggire a qualunque obbligo. C’è poi un problema di natura igienico-sanitaria, considerato che gli abusivi non dispongono né di laboratori adeguati, né tengono conto della normativa vigente in materia di ambiente, sicurezza e igiene. Ergo, la salute di chi consuma quei cibi potrebbe essere a rischio. E ultimo, ma non ultimo, l’aspetto fiscale e contributivo: chi opera nel sommerso non contribuisce a tenere alte le sorti economiche di questo Paese, tutt’altro. A sottolineare questo ed altri aspetti è anche la CONFARTIGIANATO IMPRESE che in diversi territori ha denunciato il fenomeno, sottolineando che la “tracciabilità non è garantita e sono alti i rischi per la salute che derivano da panificatori e pasticceri improvvisati. È infatti in crescita il fenomeno di chi prepara cibi senza seguire la benché minima regola igienico-sanitaria, per poi venderli al pubblico abusivamente, grazie anche alle potenzialità di promozione dei social network”. I vantaggi dell’acquistare sui social, in strada o grazie a conoscenze comuni, non sarebbero solo i prezzi più convenienti — d’altronde sono privi del carico di imposte, tasse e contributi — ma anche il consumare un cibo così come lo faceva la nonna. Quello che si omette di dire è che certe cose che al tempo i nostri avi potevano fare sono oggi vietate tassativamente dalle disposizioni in materia igienico-sanitaria. E ci sarebbe anche da chiedersi: ma veramente nel sommerso si utilizzano sempre materie prime di qualità
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economiche di quelle svolte in attività regolari — sono diventate un business per tanti. Ma chi tutela i consumatori in materia di sicurezza, di igiene e di adeguatezza dei locali? Perché chi ha un’impresa di ristorazione deve sottostare a mille norme, deve pagare imposte, tasse e contributi, se poi si scontra sulla piazza con soggetti che operano in deroga a qualsiasi regola? A questo proposito siamo in attesa di disposizioni chiare che, seppure non completamente punitive, pongano almeno dei paletti e dei limiti. Sulle attività di produzione, un segnale l’ha dato invece già da tempo l’Unione Europea, introducendo l’Impresa Alimentare Domestica, che consente — a determinate condizioni — di produrre e vendere quantità modeste di pane, pasta, dolci e altri cibi fatti nella cucina di casa. Le IAD non hanno però riscosso sinora grande successo. Forse perché, pur facilitando alcuni aspetti del lavoro, chi produce, in realtà, è un’impresa a tutti gli effetti, con gli oneri che ne derivano.
Le IAD possono proporre e vendere tramite canali classici come mercati, ecommerce e stand in centri commerciali e i clienti possono essere sia privati che bar, ristoranti e negozi. Le uniche limitazioni riguardano il divieto di somministrazione e quello di esposizione in vetrina. Ma i carichi, in termini di adempimenti e burocrazia, sono pur sempre tanti. E per fortuna, aggiungiamo noi. D’altronde, con la salute delle persone non si scherza, considerato che i danni che si possono generare nella cucina di casa non sono inferiori a quelli di una grande industria. Anzi, semmai è proprio il contrario. Le imprese non solo mettono in atto sistemi di autocontrollo interni, ma sono anche soggette a verifiche periodiche da parte degli innumerevoli organismi di controllo deputati che, a vario titolo, ispezionano ogni aspetto dell’azienda, nessuno escluso. Questo bisognerebbe ribadire ad ogni occasione sui mezzi di stampa, perché le imprese sono un valore, da qualunque parte le si osservi. Sebastiano Corona
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elevata? Davvero si è certi che anche quel cibo, che dovrebbe essere fatto come un tempo, non sia realizzato con ingredienti di pessima qualità? Le frontiere del nero, o forse del grigio, non finiscono qui. C’è anche un mondo che si maschera dietro la cosiddetta sharing economy, ossia l’economia della condivisione. Si tratta di pratiche non esplicitamente vietate, ma nemmeno espressamente ammesse, che se non si possono ritenere proprio nel sommerso, certamente sopravvivono sfruttando una lacuna normativa che il nostro legislatore non ha ancora colmato. Un classico esempio è quello degli home restaurant, le cene a pagamento, in casa propria o in location particolari, dove si accolgono perfetti estranei anche attraverso specifiche piattaforme on-line che fanno incrociare domanda e offerta. Si tratta di attività non imprenditoriali, che però sono a tutti gli effetti competitori dei ristoratori. Ma il problema è, oltre che di mercato, ancora una volta di rispetto delle regole. Le cene a pagamento — che tra l’altro non sono normalmente più
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SALUMI IN TAVOLA Il guanciale e le sue ricette
Una carezza giramondo di Giorgia Fieni
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na carezza è un gesto affettuoso che spesso le donne ricevono con piacere, mentre gli uomini a volte rifuggono, spaventati da tanto affetto. Accarezzare una guancia significa poi entrare in contatto con un punto molto vulnerabile perché scoperto. L’unico essere vivente a cui non importa l’aspetto psicologico di tutto ciò è il maiale, che, volente o nolente, cede le sue guance, assieme a tutto il resto, per l’alimentazione umana. Vengono lasciate sotto sale per cinque giorni, lavate, coperte di pepe e peperoncino, legate a triangolo e appese dapprima
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per 1 mese a temperatura costante di 1015 °C e poi per altri 2 mesi all’aria. Ed è da quel momento che uomini e donne si arrendono davanti al colore bianco e rosso vivo ma, soprattutto, davanti al sapore irresistibile del guanciale. Amatriciana, Carbonara, Gricia Se penso al guanciale mi vengono in mente solo titoli di sughi romani. Ma possiamo anche metterlo in una boscaiola con porcini, panna e piselli e in una chitarra con ragù bianco e tartufo. O in un risotto con gorgonzola, friggitelli e capesante o con piselli e tuorlo fresco
o in uno allo zafferano. O nel sugo dei malloreddus, con fave e baccalà. MASSIMO BOTTURA lo aggiunge addirittura al suo particolare brodo di testa di maiale che chiama La dispensa e a cui aggiunge scorza d’arancia, vino, erbe e spezie, per servirlo con ritagli di pasta. Roma, Trentino, Abruzzo, Milano, Sardegna, Modena… MONDO In poche ricette il guanciale ha fatto un giro d’Italia… ma anche del mondo, se pensiamo che può andare in Inghilterra per avvolgere il roast beef, in America per farcire il tacchino e addirittura in
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A sinistra: guanciale (photo © Alessio Orrù). In alto: gricia con carciofi (photo © blog.giallozafferano.it).
Oriente per entrare in una zuppa di noodles, peperoncino e porcini. Ultimamente poi preferisce atterrare sulle tavole degli esperti di settore. RAFFAELE VENDITTI lo mescola alla polpa di suino per creare un hamburger, che serve in un panino ai semi di girasole con crema di avocado al peperone. FRANCESCO APREDA e le sORELLE MACI lo mettono al posto del bacon nel classico Club sandwich. BENEDETTA PARODI lo aggiunge a fesa e fegato di vitello per creare un patè natalizio, che serve con gelatina di melagrana («che dà un colore e un sapore assolutamente unici»).
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GILBERTO ROSSI guarnisce dei bucatini ai pioppini con fette di guanciale abbrustolite in forno. CLAUDIO SADLER farcisce i pansotti con asparagi a mascarpone e li serve con uova a bagnomaria (con grana stagionato 27 mesi e panna) e guanciale tostato. SARA PAPA prepara reginette verdi con crema di peperoni gialli, briciole d’uovo, pimpinella (un’erba spontanea dal sapore che ricorda la noce ed il cetriolo) e guanciale rosolato, MASSIMILIANO POGGi tortelli di parmigiano, verze e guanciale, IVANO RICCHEBONO spiedini di vitello con patate e guanciale, serviti con vellutata di piselli e olive taggiasche, FRANCESCO SPOSITO carciofi affumicati con emulsione al pecorino, guanciale di maiale nero e tartufo nero, PIETRO SCAPINELLI coda di rospo con guanciale, finocchio selvatico e fave. SIMONE RUGIATI cucina la frittata alta e cremosa, piena di porcini trifolati al guanciale e mentuccia (o nepitella) e coperta da carpaccio di porcini. BRUNO BARBIERI serve il piccione al rosmarino e cacao con tomino grigliato, insaporendone il petto anche con guanciale, uvetta e aceto balsamico molto invecchiato; dove lo rende però protagonista è nelle noci di manzo con frullato di pane e guanciale croccante. LELE USAI ne prepara un olio da bruschetta e una croccante cialda. Per finire, una ricetta dove il vero cuoco è la materia prima: pizza con guanciale di Cinta Senese, mortadella,
salsiccia rossa di Castelpoto, fagiolo Gialét. Ma dove il guanciale trova vera soddisfazione è sulle nostre tavole, per arricchire alcune ricette già golose, semplici o complesse. Pasta e fagioli e/o patate. Minestra e zuppa. Torte salate. Fusilli alle zucchine con besciamella al pistacchio. Tagliatelle al cacao con ragù di vitello cotto al brandy, cioccolato amaro, lamponi. Lasagne con verdure affumicate (senza besciamella). Tortelloni ripieni di branzino e conditi con sugo di canocchie al prezzemolo (il guanciale è nella farcia). Polpette di cavallo alle erbe aromatiche. Taglierini, crema di pecorino, fichi al burro. Gnocchi di pane e pecorino (il guanciale è in polvere, come copertura). Polenta grigliata con provola. Straccetti di carne o di pesce. Mi hanno poi incuriosita alcune ricette molto scenografiche. Per esempio le tegole di nocciole con pera e guanciale. Il merluzzo ripieno con ricotta, gamberi, guanciale, scorza di arancia, timo, legato con zucchine, cotto al vapore al limone e servito con crema di zucca al latte di cocco, mandorle tostate, cipollotti al porro, succo di lime. Ma, soprattutto, ANTONELLA CLERICI, che crea un profiterole di bignè farciti con crema di broccoli, guanciale e peperoncino, coperti da una salsa al pecorino e granella di pistacchi. Ecco, qui direi che siamo molto vicini a Roma. Il guanciale è tornato a casa. Giorgia Fieni
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EVENTI Per l’11a edizione l’evento si trasferisce all’agriturismo Le Conchiglie di Sasso Marconi e vi prende ufficiale residenza
Chef… al Massimo 2019, si va dove i sogni prendono forma
«G
razie! Un grazie a tutti gli chef, a tutte le aziende vinicole, a tutti i volontari e a tutti gli amici che, ancora una volta, per l’undicesima volta, hanno reso questa domenica una giornata davvero unica. Un grazie a tutti voi che, col vostro entusiasmo e le vostre emozioni, ci spingete ad andare avanti. E un grazie a Massimo, che riesce ogni anno in questa magia».
Con queste parole espresse da ALDO in rappresentanza di tutta la FAMIGLIA ZIVIERI si chiude l’undicesima edizione di Chef… al Massimo, manifestazione “carnivora” — la carne della MACELLERIA ZIVIERI naturalmente — nata, e fortemente voluta e portata avanti da chi lo amava, in memoria di MASSIMO ZIVIERI, un «artista capace di trasmettere, dall’allevamento alla tavola, una storia di saperi antichi e attuali». Organizzata per otto anni di
seguito nel piccolo paesino bolognese di Monzuno, poi spostata nel 2017 presso l’agriturismo Le Conchiglie a Sasso Marconi e lo scorso anno a FICO-Eataly World, Chef…al Massimo ha fatto ritorno domenica 1 settembre in Appennino, di nuovo e proprio alle Conchiglie, luogo in cui ha preso ufficialmente la residenza definitiva. La tenuta — uno dei primi agriturismi dell’Emilia, cento ettari di prati e boschi
Il discorso inaugurale dell’undicesima edizione di “Chef… al Massimo” tenuto da Aldo Zivieri circondato dai famigliari e dai più stretti collaboratori.
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1) I festeggiamenti e i saluti a fine giornata di Aldo Zivieri con gli chef sul palco. 2) La preparazione delle costine di Mora romagnola affumicate e cotte al barbecue. 3) Gnoccata con salame rosa di Mora romagnola e mortadella tradizionale Fattoria Zivieri. 4) Le t-shirt dell’evento con lo slogan dedicato a Massimo Zivieri, “Quando penso a te, penso al bello della vita”. 5) Lo spettacolo di burattini “Brutta come la fame” a cura della Compagnia Burattini di Riccardo. 6) Remo Pasquini, artigiano del legno e figura di riferimento nell’arredo di design per l’alta ristorazione e per la conservazione del vino con la bottega di famiglia Pasquini Marino di Bovolone (VR).
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1) Il pane del Forno Calzolari di Monghidoro (BO). 2) Il mantou al vapore con osmosi di cipolla, peperone fermentato e panna acida dello chef Igles Corelli. 3) La galantina di pollo con mortadella di filiera Fattoria Zivieri e insalata russa con crumble di pistacchi e olio al prezzemolo. 4) Cartoccio con alici e calamari fritti e guanciale di Mora romagnola. 5) â&#x20AC;&#x153;Doppietta estivaâ&#x20AC;?: doppia polpetta nei pomodori in doppia salsa. 6) Lâ&#x20AC;&#x2122;hamburger di Fassona piemontese al BBQ.
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Il pranzo sotto gli alberi nel grande parco che circonda l’agriturismo Le Conchiglie, un’oasi di tranquillità e pace immersa nella natura a Sasso Marconi (BO). con stalle e accoglienza voluti da ROMANO FOSCHI — è stata, infatti, acquistata a febbraio dalla famiglia Zivieri insieme ad alcuni soci per essere trasformata, o, più semplicemente, riportata ad essere un luogo in cui poter riscoprire i modi e i tempi autentici del mondo agreste. Ed è anche per questo motivo che questa edizione della manifestazione, la numero undici, voleva essere un omaggio alla neonata Fattoria Zivieri, ramo dell’omonima macelleria che si dedica esclusivamente alla produzione di salumi artigianali di filiera, dalla mortadella artigianale al salame rosa, passando per il salame montanaro ed il salame di selvaggina. «Questa edizione di “Chef… al Massimo” — racconta Aldo Zivieri — ha voluto conservare inalterato lo spirito delle precedenti giornate, mantenendo forte il significato simbolico che questo appuntamento ha per la nostra famiglia e per i tanti amici di Massimo, che tutti gli anni ci travolgono con il loro affetto. Allo stesso tempo, però, è stata un po’ un’edizione di svolta. Le Conchiglie, infatti, rappresentano per noi, e per i soci coinvolti nel progetto, una sfida importante, un punto
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di arrivo rispetto alle tematiche che la macelleria Zivieri affronta con serietà e determinazione da più di trent’anni, ma anche un punto di partenza nella riscoperta e condivisione, con un pubblico che speriamo possa essere sempre più numeroso e consapevole, dei valori del mondo agreste da cui dipendono la bontà e genuinità dei prodotti che, ambiziosamente, desideriamo portare sulle tavole di tutti». Menu e premi, in omaggio ai sogni che prendono forma E proprio la mortadella di filiera Fattoria Zivieri è stata la mascotte della giornata, data in omaggio come “ricordo” ai duemila partecipanti all’evento e protagonista di diverse preparazioni dei cuochi e delle brigate di cucina partecipanti a questa bellissima manifestazione: trasformata in una soffice “spuma” ad accompagnare il mantou al vapore con osmosi di cipolla, peperone fermentato e panna acida di IGLES CORELLI; insieme al salame rosa di Mora romagnola sulla gnoccata di ENRICO SPAGNA; nella galantina di pollo accompagnata da insalata russa con crumble di pistacchi e
olio al prezzemolo di ANDREA SERRA… «La mortadella tradizionale di filiera Fattoria Zivieri è il simbolo di una produzione artigianale che pone al centro di questo lavoro il benessere animale e le abilità umane, per riscoprire valori nutrizionali, di carni e salumi, che appartengono solo ai tempi di crescita naturali» sottolinea Aldo Zivieri. Nella mattinata, dopo il discorso inaugurale tenuto dalla famiglia Zivieri affiancata sul palco dalle autorità regionali, provinciali, comunali e dei partner istituzionali EMIL BANCA e CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, è stato consegnato il premio “Massimo Zivieri, per l’innovazione, la passione e la professionalità” ai due giovani imprenditori under 40 associati a Confcommercio Ascom Bologna: FRANCESCO ANTONELLI e LORENZO “LOLLO” BIAGIONI. Ricordiamo poi che attraverso WAMI – WATER WITH A MISSION, partner della giornata, per ogni bottiglia di acqua WAMI consumata sono stati donati 100 litri di acqua potabile nelle zone del mondo più bisognose. Musica nell’aria di FIO ZANOTTI e della sua band, sole e felicità in abbondanza. Arrivederci all’anno prossimo.
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La mortadella artigianale Zivieri è innanzitutto una mortadella di filiera. Primo prodotto della neonata Fattoria Zivieri, ramo dell’omonima macelleria che si occupa esclusivamente della produzione di salumi artigianali, la mortadella Zivieri è la risposta alla richiesta, da parte di una clientela sempre più attenta ed informata, di una mortadella tradizionale e autentica, capace di tutelare la bolognesità di questo salume sia nel gusto che nella manualità produttiva. Composta esclusivamente da suini provenienti dagli allevamenti Zivieri — in prevalenza di razza Mora romagnola — la cui carne è lavorata con una concia molto semplice per consentire al palato di apprezzarne al meglio la bontà della materia prima, viene insaccata e legata a mano prima di essere sottoposta ad una cottura molto lenta e ad alte temperature. Questo forse il vero segreto della sua bontà. La cottura lenta, infatti, intensifica ed esalta il profumo del salume, senza ricorrere ad alcuna aggiunta chimica o aroma artificiale. • La mortadella artigianale di filiera Fattoria Zivieri è disponibile, sia per i privati che per gli addetti del mondo della ristorazione, nelle seguenti pezzature: 500 grammi, 700 grammi, 1 kg, 3 kg, 6 kg, 10 kg e 12 kg. >> Link: www.fattoriazivieri.it www.macelleriazivieri.it
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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
RASSEGNE A Bra la 4 giorni internazionale di Slow Food dedicata ai formaggi a latte crudo
Cheese 2019, naturale non è più soltanto un’idea
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estiti, profumi, arredi, cosmetici… la parola naturale è spesso abusata, la si trova un po’ ovunque oggi. Per l’associazione Slow Food si tratta però di un tema di cruciale importanza che deve delineare il nostro cammino verso il futuro. Cheese 2019 — la più importante manifestazione internazionale dedicata ai formaggi a latte crudo e ai latticini organizzata da Città di Bra e Slow Food, col sostegno della Regione Piemonte, e giunta quest’anno alla sua dodicesima edizione —, parte proprio di qui, mettendo sotto i riflettori quei produttori che quotidianamente, già ora e in molti Paesi del mondo, producono caci naturali, portando avanti
mestieri faticosi e tradizioni millenarie. Per raccontare questo mondo possiamo iniziare ad esempio da un nuovo presidio lanciato proprio in questa edizione della rassegna; presidio che tutela e celebra un formaggio simbolo dei vicini d‘oltralpe: il Camembert fermier naturale. «Portiamo avanti una nuova economia che rappresenta il contrario dell’uniformità, che valorizza le differenze sia a livello di sapori che di tutela delle tradizioni» racconta PATRICK MERCIER, produttore del Camembert. «Con coraggio ci siamo rimessi a fare un formaggio che rispettasse il sistema di produzione originale, complesso e delicatissimo, che però dà un risultato unico: se si assaggia il vero Camembert
non si torna più indietro» assicura. Stiamo parlando di un formaggio che dopo il boom economico degli anni ‘70 ha ceduto a scorciatoie nella produzione che l’hanno trasformato troppo spesso in un prodotto uniforme, tant’è che le vendite sono calate drasticamente negli ultimi anni. «Adesso siamo in quattro a produrlo. La strada è lunga ma siamo sicuri sia quella giusta: i consumatori cominciano a darci ragione e noi continueremo con la nostra battaglia per differenziare finalmente il Camembert fermier dalla versione industriale» conclude Mercier. «In questi anni, cercando di facilitare la produzione grazie ai fermenti selezionati, i formaggi si sono omologati, hanno gusto uniforme e sen-
Naturale è possibile: lo hanno detto a Bra durante i quattro giorno di Cheese i casari e gli affinatori che hanno raccontato cosa vuol dire, assaggio alla mano, allevare gli animali al pascolo, produrre formaggi a latte crudo, non ricorrere a fermenti selezionati (photo © Alessandro Vargiu/Archivio Slow Food).
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za carattere» spiega PIERO SARDO, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità. Perché non tornare allora ad una produzione in cui si fa a meno dei fermenti o in cui sono i produttori stessi a prodursi i fermenti attingendo dalla ricchezza di flora batterica naturalmente presente nei caseifici e nelle stalle? Ecco, questo Slow Food cerca di fare e promuove a Cheese. «Naturale è possibile — prosegue Sardo — per i formaggi ma anche per i salumi, un terreno ancora tutto da scoprire, e per i pani, che per fortuna stanno prendendo sempre più piede». «Quando assaggio un formaggio voglio sentire le caratteristiche uniche provenienti da quel singolo caseificio, da quegli animali, da quel pascolo» sostiene BRONWEN PERCIVAL, direttrice tecnica di Neal’s Yard Dairy. «Finalmente è arrivato a Cheese uno spazio tutto per noi — commenta DANIELA SAGLIETTI, della Robiola di Roccaverano — in cui dare voce a chi trasforma solo il latte dei propri animali e spesso non ha la possibilità e le quantità di prodotto necessarie per partecipare a eventi come questo». Il dibattito sul naturale, evoluzione della battaglia sul latte crudo, ha aperto quindi nuove prospettive per il futuro e ambiti da approfondire. Pascoli ben curati e brucati dagli erbivori hanno la capacità di immagazzinare più CO2 di un bosco ed è ciò di cui c’è necessità in questo momento per fronteggiare la crisi climatica. E poi permettono di conservare il paesaggio, rafforzano la biodiversità della flora e della fauna, rendono le zone montane fruibili e rappresentano una risposta alla crisi della montagna dovuta al suo spopolamento, contribuiscono a generare una proposta turistica in armonia con il territorio, consentono di ricostituire comunità e nuove opportunità di lavoro nelle aree interne.
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Nel Mercato italiano e internazionale spazio a formaggi di ogni tipo, forma, dimensione, stagionatura. In alto: Neal’s Yard Dairy (photo © Alessandro Vargiu/ Archivio Slow Food). In basso: lo staff del Caseificio Busti di Acciaiolo di Fauglia (PI).
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1) Il Morbier Dop. 2) Beppino Occelli ha portato a Cheese la sua produzione classica, a partire dall’Occelli® al Barolo, e nella splendida cornice di Casa Occelli ha dato vita ad alcune interessanti iniziative all’insegna del buon cibo. 3) Cheese 2019 ha ha dato spazio alle produzioni di salumi senza nitriti e nitrati e di pani a lievitazione naturale. Come lo Jamón e gli altri salumi prodotti con le carni della razza suina basca Euskal Txerria di Pello Urdapilleta. 4) Simone Sargentoni e Angela Fiorini, titolari del Caseificio Il Fiorino di Roccalbegna (GR).
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A questo proposito, l’Università di Scienze Gastronomiche ha presentato il primo master internazionale annuale in Raw Milk and Cheese, che da gennaio 2021 ospiterà nell’ateneo di Pollenzo decine di studenti da tutto il mondo per imparare l’arte della caseificazione naturale. «È molto importante per l’avvenire del nostro mestiere e del nostro settore far acquisire competenze ad una generazione a volte incerta sulla propria identità e sul futuro, dando loro la possibilità di realizzarsi in un mestiere» ha commentato HERVÉ MONS, grande affinatore francese ed espositore di Cheese fin dalle prime edizioni. «La vita ha un senso quando abbiamo uno scopo e il lavoro è sovente ciò che ci permette di esistere e di vivere». Con la ricerca Le denominazioni europee tra valori identitari e mercato, Slow Food ha infine sottoposto ad esponenti italiani ed europei un tema delicato e particolarmente urgente: serve riprendere in mano la normativa che regola le denominazioni per rendere il regolamento più rigoroso e garantire un’autentica qualità e identità alle
Una vasta gamma di prodotti dell’Acetaia Leonardi di Magreta di Formigine (MO). produzioni tradizionali. Tema questo affrontato anche dalla neoeletta presidente della Commissione europea VON DER LEYEN e ripreso a Bra nelle parole del vicecapo dell’Unità Indicazioni Geografiche della DG Agri, BRANKA TOME: «Slow Food ha avuto il coraggio di esaminare a fondo tutti i 236 disciplinari dei formaggi europei a denominazione di origine,
mettendone in evidenza le distorsioni. La prima cosa che faremo adesso sarà creare una identity card per ogni prodotto in modo che sia possibile avere informazioni dettagliate per i consumatori». Appuntamento a Cheese 2021! (Ufficio Stampa Slow Food) >> Link: cheese.slowfood.it
IL FIORINO SUL TETTO NEL MONDO Il World Cheese Awards 2018 ha riconfermato Il Fiorino come uno dei migliori caseifici al mondo. Le medaglie conquistate a Bergen sono uno stimolo per migliorare ancora. Ogni vittoria è la vittoria di una squadra, quella de Il Fiorino, di tutte le persone che lavorano con noi e di un territorio, la Maremma, che amiamo e nel quale crediamo profondamente.
RISERVA DEL FONDATORE Premiato anche come: QUINTO MIGLIOR FORMAGGIO AL MONDO PRIMO MIGLIOR FORMAGGIO ITALIANO
PESTO GENOVESE
TOSCANO DOP FRESCO
BARTARELLO A LATTE CRUDO
FIOR DI NATURA SEMI STAGIONATO BIOLOGICO CON CAGLIO VEGETALE
TOSCANO DOP STAGIONATO
GROTTA DEL FIORINI
Festival del Prosciutto di Parma: il futuro è una sfida che non fa paura
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Il prosciutto di Parma è un salume privo di conservanti, povero di grassi e molto ricco di vitamine, sali minerali e proteine digeribili (photo © Laura Stramacchia).
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i è aperta venerdì 6 settembre a Langhirano la XXII edizione del Festival del Prosciutto di Parma, una tre giorni oramai consolidatasi a livello di successo di pubblico per parlare di una delle DOP simbolo dell’eccellenza del made in Italy alimentare nel mondo e far conoscere un magnifico territorio oggi rinomato anche per la sua produzione vinicola e che offre al contempo attrazioni culturali e naturalistiche. A seguito della cerimonia d’inaugurazione ufficiale, spostata all’interno del Teatro Aurora viste le avverse condizioni climatiche, si è svolta l’interessante la tavola rotonda sullo stato di salute della filiera, guidata dalla conduttrice televisiva FRANCESCA ROMANA BARBERINI. Il comparto ha infatti avuto recentemente diverse criticità ma, come ha spiegato VITTORIO CAPANNA, presidente del Consorzio di tutela, le imprese le stanno affrontando puntando su una revisione del Disciplinare produttivo, con un complesso confronto che ha coinvolto tutta la filiera, e un diverso controllo (si veda box a lato). Il prosciutto di Parma è un prodotto tradizionale ma punta sull’innovazione per restare in linea con le richieste del consumatore. Quali sono le sfide per il futuro? «Lavorare sul benessere animale, rinnovare i sistemi produttivi, il packaging e puntare sulla sostenibilità dei materiali» ha detto ancora Capanna. In generale, per l’alimentare e le sue tecnologie la situazione di Parma è positiva, «ma non possiamo mai fermarci» ha poi sottolineato ANNALISA SASSI, presidente dell’Unione parmense degli industriali. L’agroindustria si confronta con i moderni consumatori e il prosciutto «è un prodotto modernissimo» sottolinea la Sassi, e lo si può verificare analizzando i mercati esteri.
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SIMONA CASELLI, assessore all’Agricoltura Caccia e Pesca della Regione Emilia-Romagna, si quindi è soffermata sulla sfida cruciale a livello politico rappresentata dalla nuova Politica Agricola Comune (PAC) dell’UE. Quella attuale sarà prorogata presumibilmente di un paio d’anni, ma è la cosiddetta “guerra dei dazi” portata avanti dal presidente statunitense DONALD TRUMP a fare davvero paura. Il presidente Trump ha infatti minacciato dazi sulle DOP italiane pari al valore del prodotto e il prosciutto di Parma sarebbe tra i più esposti. Ricordiamo solo che l’area dell’Emilia-Romagna detiene, con 44 prodotti, il record europeo di certificazioni alimentari DOP e IGP e la filiera agroalimentare, dai campi alla tavola, garantisce lavoro a 70.000 addetti, producendo reddito, come dimostrano la produzione lorda vendibile vicina ai 5 miliardi di euro e un export che vale 6,5 miliardi di euro, pari al 10% delle esportazioni delle imprese del territorio. >> Link: www.festivaldelprosciuttodiparma.com
La dolcezza del crudo di Parma si sposa perfettamente con la frutta, come nel classico accostamento col melone giallo ma anche con i fichi di Cosenza Dop e con la frutta esotica, come l’ananas tagliata a carpaccio (photo © Laura Stramacchia).
Un nuovo piano strategico per il comparto del Parma DOP Dopo vent’anni di collaborazione con l’Istituto Parma Qualità (IPQ), il Consorzio del Prosciutto di Parma ha voltato pagina, affidando a CSQA-Certificazioni il sistema di certificazione e controlli della Dop Prosciutto di Parma. CSQA è un ente leader del settore, di comprovata esperienza e professionalità, ponendo fine alle criticità emerse recentemente all’interno del sistema di certificazione e sul possibile conflitto di interessi. Le ampie ed indiscusse competenze del nuovo organismo — sia nel comparto Dop/ Igp che nelle certificazioni in ambito volontario — dovranno inoltre stimolare il settore a definire strategie di rafforzamento della denominazione anche attraverso lo sviluppo di iniziative sui temi di maggiore attualità: ambiente, benessere animale, sostenibilità. Nel periodo transitorio (fino al 1o di gennaio), IPQ continuerà a svolgere il suo incarico di controllo e certificazione sotto la vigilanza del Ministero delle Politiche Agricole e del Turismo. Dopo un lungo lavoro di preparazione durato diversi mesi, il Consorzio ha formalmente avviato anche l’iter di modifica del Disciplinare; modifiche che riguarderanno tutti gli anelli della produzione, dalle caratteristiche della materia prima — tra cui genetica, peso e alimentazione dei suini, benessere animale, peso e caratteristiche delle cosce fresche — fino al prodotto finito come metodo di lavorazione, peso e stagionatura del prosciutto, modalità di vendita, prodotto preaffettato, ecc… Ma non solo. Al fine di rafforzare ulteriormente il sistema di prevenzione delle frodi e garantire al consumatore un prodotto più sicuro, il nuovo Disciplinare conterrà anche specifici elementi per la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto lungo tutta la filiera produttiva. Terzietà, controlli più efficaci, distintività del prodotto e maggiori garanzie per i consumatori sono questi i pilastri fondamentali su cui poggia il piano di rilancio del Prosciutto di Parma Dop che guarda al futuro con ottimismo e con azioni concrete per continuare a sostenere l’intera filiera suinicola nazionale e dare lavoro ad oltre 50.000 persone.«È il primo forte segnale di rinnovamento che parte da uno degli ambiti più importanti per una Dop, il sistema dei controlli, nell’ottica di offrire una maggiore trasparenza e la massima garanzia ai consumatori, assicurandogli la qualità che si aspetta dal Prosciutto di Parma» ha dichiarato Vittorio Capanna. «Abbiamo scelto un ente indipendente in grado di assicurare una struttura organizzativa fondata sulla cultura della certificazione di prodotto e su consolidati principi di imparzialità e terzietà».
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WEEK-END
La Romagna toscana: storie, saperi e sapori di un territorio unico di Massimiliano Rella
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alla carne d’asino alla vacca Romagnola fino al mandorlato al cioccolato di Modigliana. Cosa lega questi prodotti così distanti? Sicuramente l’unicità e la territorialità. Siamo nella Romagna toscana, zona montuosa e collinare interna della provincia di ForlìCesena, un territorio unico dal punto di vista ambientale, dove storie, saperi e sapori si intrecciano per regalarci gioielli gastronomici irripetibili.
Spezzatino di asino romagnolo al ristorante dell’agriturismo La Cerreta a Rocca San Casciano (FC).
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Partiamo dai somari Tra le principali curiosità, anche gastronomiche, c’è il recupero dell’asino Romagnolo. Il merito va anche al signor FRANCESCO CALLI, proprietario con la moglie VALERIA e il figlio STEFANO dell’agriturismo LA CERRETA, a Rocca San Casciano (www.aziendagricolacerreta.it). Calli una ventina d’anni fa fondò l’azienda e nel 2003 cominciò ad incrementare l’allevamento di questo somaro autoctono a rischio d’estinzione, dai 3 capi iniziali alla settantina di oggi. Sembra che questa razza derivi dall’asino pugliese. Nel 1941 l’Elenco Generale dei Cavalli e Asini Stalloni del Regio Deposito Stalloni di Reggio Emilia ne contava appena 46 tra quelli iscritti alla monta. La meccanizzazione agricola, lo spopolamento delle zone rurali montane e collinari avevano infatti comportato un progressivo declino di quest’asino, più evidente nel dopoguerra e negli anni ‘70. Però, dal 1996, l’Associazione Provinciale degli Allevatori di Forlì Cesena (www.asinoromagnolo.it) ne ha favorito il recupero. Dal punto di vista gastronomico, la carne d’asino Romagnolo può essere
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Il raviggiolo dellâ&#x20AC;&#x2122;azienda agricola Boschetto di Premilcuore (FC).
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Un tempo Granducato di Toscana, Modigliana è terra di confine e il suo dolce tradizionale, che ha origine nell’800, ben rappresenta le influenze dei territori limitrofi: viene infatti chiamato dai Modiglianesi anche panforte o pampapato. Prodotto in passato solo a novembre e dicembre, oggi lo si gusta tutto l’anno Il Mandorlato al cioccolato di Modigliana prodotto dal laboratorio Modigliantica. utilizzata nella confezione di insaccati, ma, soprattutto, il latte d’asina può avere interessanti sbocchi di mercato poiché, per caratteristiche nutrizionali, è il più vicino al latte materno; inoltre, grazie all’abbondante quantità di lattosio, favorisce la prevenzione dell’osteoporosi negli anziani. Anche per questo, tra gli obiettivi dell’azienda La Cerreta c’è la mungitura, perché appunto il latte di questi animali è privo di controindicazioni per i bambini allergici alle proteine del latte vaccino. Oltre all’asino, l’agriturismo — una realtà bio di 200 ettari, con ristorante e appartamenti — alleva una trentina di capre. Nel locale della famiglia Calli gli ospiti mangiano pasta fatta in casa e piatti a base di carne d’asino, come lo spezzatino. Romagnole e Raviggiolo Di allevamento in allevamento il nostro giro nella Romagna toscana ci porta sulle colline di Premilcuore, dove all’AZIENDA AGRICOLA BOSCHETTO (www.boschetto.bio) dei fratelli LORENZO e STEFANO CUCCHI e della madre MARIA PAOLA si alleva un’ottantina di capi misti da latte per la produzione di formaggio e vacca Romagnola (presidio Slow Food) per la produzione di carne. L’allevamento esisteva già da anni, ma nel 2005 Maria Paola decise di aprire un piccolo caseificio. Oggi quest’azienda biologica
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certificata di 100 ettari fornisce il circuito di NaturaSì con i suoi prodotti e vende ai privati al punto vendita aziendale. Gli animali sono alimentati con foraggi e cereali (orzo, triticale, ecc…) di produzione interna e con una parte di proteine bio acquistate da terzi. L’attività principale consiste nella produzione di formaggio artigianale, cominciata con appena tre vacche; oggi sono una ventina in mungitura. Da Boschetto troviamo ottime caciotte fresche e stagionate, ricotta lavorata con acqua di Fratte Terme, yogurt e, soprattutto, il Raviggiolo, un formaggio fresco presidio Slow Food caratterizzato da un sapore di latte delicato e dolciastro, ottenuto rompendo il minimo indispensabile la cagliata per evitare la formazione d’acidità. Si fa solo con latte crudo appena munto nel periodo tra ottobre e marzo e si consuma entro cinque giorni: circa 200 le forme da 400 grammi, a settimana. Da qualche tempo l’azienda lo produce anche il resto dell’anno con latte pastorizzato — fuori dalle regole del presidio Slow Food — e questo ha una durata superiore al consumo di un paio di giorni in più. L’antico dolce di Modigliana Cambiamo completamente genere, ma senza allontanarci dall’ambito
delle specialità, se parliamo del Mandorlato al cioccolato di Modigliana, antico dolce da forno a base di cacao (55% degli ingredienti), farina, mandorle, zucchero, scorza d’arancia e di cedro e un mix segreto di spezie. MAURIZIO MORTANI, proprietario con la madre CINZIA del laboratorio MODIGLIANTICA (www.modigliantica.com), è l’unico produttore a conoscere la ricetta originale di questo dolce privo di grassi, fatto secondo un procedimento codificato oltre 200 anni fa e acquisito da Mortani nel 2002 quando rilevò un bar in piazza dal vecchio titolare, che a sua volta era l’unico a produrre il mandorlato al cioccolato di Modigliana. A metà tra il Panforte di Siena e il Panpepato di Ferrara, è venduto in confezioni da 250, 400 e 800 grammi e il formato da 1 kg è avvolto in carta; il tutto identificato da un grande marchio blu che riproduce uno stampo antico della cittadina di Modigliana, presentato nel 1906 all’Expo di Milano. La ricetta è stata inserita nel 2015 tra i prodotti Slow Food dell’Arca del Gusto. Il laboratorio Modigliantica produce artigianalmente anche dolci a base di cacao Rocca dei Guidi, alle pere, al caffè e all’amarena. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.
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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)
La Mangia e Vai della Valle Camonica di Josette Baverez Blanco
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unga circa 100 km, la Valle Camonica, una delle più estese delle Alpi centrali, si suddivide in tre macro-settori: la Bassa, ricca di prati e campi, che inizia sulle sponde del Lago di Iseo e giunge fino alla cresta trasversale di Bienno, nota anche come Soglia di Breno; la Media, che si sviluppa fino ai comuni di Sonico-Edolo; l’Alta, che segue la linea Insubrica, iniziando dalla Valle di Corteno, a Edolo, per finire al
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Passo del Tonale a 1883 m. Il fiume Oglio che la percorre allegramente nasce a Ponte di Legno, ai piedi del gruppo dell’Adamello. È in questo meraviglioso scenario che si svolge, ogni estate, da 15 anni, la famosa Mangia e Vai (www.mangiaevai.it), camminata a portata di tutti, anziani e bambini compresi. Il 14 luglio scorso è stata un’ottima occasione per scoprire le bellezze naturalistiche, culturali e gastronomiche di quest’angolo di Lombardia ai confini
col Trentino. Quest’anno, merito della calura anomala di fine giugno, i 2.500 biglietti previsti sono stati rapidamente venduti, ma l’organizzazione della manifestazione in mano a 300 volontari si è rivelata come sempre impeccabile. È stata una giornata ricca e divertente nel regno delle aquile, delle marmotte, dei cervi e dei caprioli che si osservavano con il binocolo. Il percorso è sempre il medesimo, all’interno del Parco dello Stelvio, ricco di bellezze naturali e terra
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di memoria collettiva. Uguale ma sempre diverso di anno in anno, secondo il ben volere della Natura stessa. Alle 8:30 ci siamo trovati tutti a S. Apollonia (1585 m) per il ritiro dei MangiaPass e del gadget ricordo. Questa località si raggiunge in macchina o col bus navetta. La partenza era programmata alle 9:00, per questo percorso a tappe che ci ha permesso di assaggiare i prodotti locali e i piatti della tradizione. Alla prima tappa, in località Silizzi (1595 m), abbiamo fatto colazione con uno spuntino prima di ritornare in direzione di S. Apollonia con un altro sentiero, verso La Fonte. Là ci spettava acqua e degustazione di Fiurit, fiore di ricotta che non si commercializza. Chi voleva poteva dissetarsi alla famosa fonte ferruginosa dalle proprietà curative, visitando nel frattempo la bella chiesetta di San Rocco. Percorrendo una stradina racchiusa tra muretti di pietra, abbiamo raggiunto Case di Gioco (1828 m), dove ci aspettavano pane di segale, affettati vari e vino bianco. Il villaggio di Pezzo (1565 m) è stata la quarta tappa. Là abbiamo assaggiato gli immancabili calsù, ricchi ravioloni con ripieno di carne. Una leggera salita ed eccoci a Ponte dei Martinoli (1618 m), dove il brodo di gallina è stato confortante e nutriente. Non poteva mancare il sorbetto digestivo preso in località Valmalza (1690 m) per permetterci di ripartire all’attacco della successiva tappa gastronomica, quella di Case di Viso (1763 m). E qui… che festa! Spiedo, salamelle, polenta, un piatto di resistenza per affrontare il rientro, ma solo dopo essere andati a zonzo in questo piccolo borgo alpino che sembra uscito da una favola. Sono infatti tutte case di pietra ben conservate risalenti all’inizio del XIX secolo con architetture originali. Non possiamo non rammentare che il luogo fu tragicamente teatro di una
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Coinvolti nell’evento 300 volontari che hanno accolto, accompagnato i turisti e, soprattutto, servito alcune prelibatezze locali, cucinate secondo la tradizione, in particolare: brodo di gallina, calsù, lo spiedo con la polenta e poi i formaggi prodotti in zona, che racchiudono in sé l’essenza dei prati e dei fiori degli alpeggi. rappresaglia nazista dopo l’armistizio dell’8 settembre, con il rastrellamento e l’uccisione di 5 paesani. Finiti gli spari e la guerra, oggi sembra oramai tutto immobile; il tempo sembra essersi fermato e si resta avvolti dal silenzio esaltato dalla sola musica del torrente, che irradia un profondo senso di pace e serenità. Scostandosi un po’ dalla massa di quel giorno, una vera magia… Ma bisognava tornare alla realtà per riprendere il sentiero del rientro che ci ha portato prima a alle baite di Pirli (1718 m) dove ci aspettava un vero e proprio festival dei formaggi stagionati di malga, vino rosso e frutta. Accarezzando il Bosco Sacro, siamo scesi verso Pezzo dove tè e caffè de scandèla, ossia di segale, ci hanno ridato vigore per affrontare l’ultima tappa sempre in discesa, verso Planpezzo (1418 m). La gita gastronomica si è conclusa qui con torte casalinghe, vino
dolce e liquori della Valle Camonica, amari come il centenario Elixir Noreas, il Castellaccio e il Crodarol camuno alle castagne. Ad un’iniziativa del genere non potevano certo mancare intrattenimenti musicali, animazioni per bambini, mostre vendita di artigianato locale ligneo, bancarelle con miele e confetture ai frutti di bosco. Tanto sole e aria fresca per una giornata all’insegna del buon umore e dell’allegria, con un minimo di sforzo fisico, pur avendo percorso 11 km con un dislivello di 200 m in salita e 580 in discesa. Un memorabile 14 luglio con il plus della gradevole scoperta di alcune specialità camune. Da consigliare a chi ama la montagna d’estate, il buon mangiare e il buon bere. Josette Baverez Blanco Nota Photo © Corrado Asticher.
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Salame Cremona Igp, così buono da fargli la festa Da venerdì 25 a domenica 27 ottobre torna nel centro storico della città del violino la Festa del Salame, tipico insaccato a grana grossa, morbido, speziato e profumato e di un bel rosso intenso. Sostiene l’evento il Consorzio di tutela di Riccardo Lagorio
A
detta degli organizzatori, Cremona è l’unica città dove si celebrano quattro feste dedicate ad altrettanti prodotti tipici di rilevanza nazionale: al torrone, alla mostarda, al formaggio e, dal 25 al 27 ottobre, è programmata la III edizione della Festa del Salame
(www.festadelsalamecremona.it). Forte del sostegno del Consorzio di tutela del Salame Cremona IGP, per un fine settimana Cremona diventa così la patria dell’insaccato più amato da grandi e piccini. Il centro storico della città è il luogo dove si danno appuntamento produttori provenienti da tutta Italia
e dall’estero con i visitatori curiosi di conoscere, attraverso assaggi, lezioni guidate e acquisti, tutte le sfaccettature su questo salume. «Iniziativa che conforta l’impegno dell’amministrazione comunale nell’apertura del Campus Santa Monica, centro di Ricerca & Sviluppo internazionale per l’agroalimentare
Salame di Cremona IGP.
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In alto: legatura a mano del Salame di Cremona Igp. In basso: salami appesi nei locali di stagionatura. che verrà inaugurato tra pochi mesi a Cremona», ha sottolineato GIANLUCA GALIMBERTI, sindaco della città. «Vorremmo che questa diventasse una festa della cultura perché il nostro prodotto racconta una storia» ha invece spiegato FABIO TAMBANI, presidente del Consorzio di tutela del Salame Cremona IGP. Cremona, una terra di agricoltura e alto artigianato, una «naturale destinazione turistica come città d’arte e agroalimentare» sottolinea BARBARA MANFREDINI, assessore alla Città vivibile. E a confermare questo aspetto, durante la festa si conferirà il titolo di Ambasciatore del Salame a GIORDANO BRUNO GUERRI, giornalista accademico
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e da anni presidente della Fondazione Vittoriale degli Italiani, la casa di GABRIELE D’ANNUNZIO sul lago di Garda, e verrà ricordato uno dei più grandi giornalisti italiani, GIANNI BRERA, ottimo gourmet. Il Salame Cremona IGP è frutto della lavorazione di carne suina selezionata, ottenuta da suini pesanti, aromatizzata con sale, aglio pestato e insaccata in budello naturale. Il salame risulta così aromatizzato, speziato e profumato al palato e di un colore rosso intenso che sfuma gradatamente nel bianco delle parti adipose. Il prodotto si presenta in forma cilindrica con leggeri tratti irregolari. Le fette risultano compatte ed omogenee.
Il salame è stagionato in base alla pezzatura da un minimo di 5 settimane per la pezzatura più piccola ad oltre 4 mesi per le pezzature grandi, conservando sempre morbidezza e pastosità. Il risultato finale è un prodotto eccellente in linea con la tradizione, ma in grado di soddisfare anche le esigenze della Grande Distribuzione moderna, grazie alla possibilità offerta dal preaffettato, confezionato in vaschette. Il Salame Cremona deriva da materia prima appartenente a suini relativi al circuito del Gran Suino Padano DOP con caratteristiche ben definite (peso, età, alimentazione, tecniche di allevamento). La carne suina da destinare all’impasto è quella ottenuta dalla muscolatura appartenente alla carcassa e dalle frazioni muscolari striate e adipose. A tale impasto verranno aggiunti: sale, spezie, pepe in grani o pezzi grossolani, aglio pestato e spalmato nell’impasto. Possono essere impiegati anche vino bianco o rosso fermo, zucchero e/o destrosio e/o fruttosio e/o lattosio, colture di avviamento alla fermentazione, nitrato di sodio e/o potassio, nitrito di sodio e/o potassio, acido ascorbico e suo sale sodico. Non possono essere impiegate carni separate meccanicamente. L’insacco, che avviene in budello naturale di suino, bovino, equino o di ovino, conclude la preparazione. Il Consorzio Salame Cremona nasce invece nel 1995, su iniziativa di un gruppo di imprenditori che hanno inteso costituire un organismo in grado di identificare, salvaguardare e proporre al mercato un prodotto tipico dell’area lombarda. Il Consorzio ha ottenuto il patrocinio della Camera di Commercio, della Provincia di Cremona e del Comune di Cremona, per ribadire lo stretto legame con il territorio oltre che con l’intera Lombardia e la Valle Padana. A darne ulteriore conferma, all’interno del logo consortile è stato ripreso uno dei simboli della città di Cremona, il Torrazzo. «I consumatori hanno premiato il Salame Cremona IGP con i loro acquisti: dal 2013 al 2018 la produzione è passata infatti da 205.000 a 266.000 chili» conclude soddisfatto Tambani. Riccardo Lagorio Nota Photo © Consorzio del Salame Cremona IGP.
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#MortadellaDay: torna il 24 ottobre la giornata dedicata alla Mortadella Bologna. Per festeggiare, il Consorzio di tutela le regala un’ala del Museo della storia di Bologna Il 24 ottobre 1661 il Cardinal Farnese emanava l’editto che regolava la produzione della Mortadella. Fu il primo provvedimento al mondo a tutela di una specialità gastronomica, precursore dell’attuale più moderno Disciplinare che regola la produzione della Mortadella Bologna, attestandone così la certificazione dell’Unione Europea di Indicazione Geografica Protetta (Igp). Ogni anno il Consorzio Mortadella Bologna celebra questo giorno con il #MortadellaDay, una giornata interamente dedicata alla regina rosa dei salumi. Anche per la sua seconda edizione, l’evento avrà come fulcro la città di Bologna. E al dono più bello ovviamente ci ha pensato il Consorzio di tutela, che quest’anno ha deciso di fare le cose davvero in grande, regalando a uno dei salumi più straordinari d’Italia un’ala del museo bolognese di Palazzo Pepoli dedicato alla storia della città. Uno spazio in cui i visitatori potranno immergersi a 360° nel mondo della Mortadella Bologna, imparandone la storia, la ricetta originale e scoprendo tante piccole curiosità sconosciute ai più. Si tratterà di un’esperienza unica, immersiva, un viaggio nel tempo e nel cuore della storia di questo straordinario prodotto, che ci riporterà alla mente anche i momenti della nostra infanzia, quando l’ora della merenda era accompagnata dal profumo della Mortadella Bologna appena affettata e dalla fragranza del pane caldo. Ma sarà soprattutto un luogo educativo, pensato anche per le nuove generazioni, che potranno così avvicinarsi ad una storia che è davvero lontana nel tempo, ma di cui si conservano ancora moltissime testimonianze, che meritano di essere non solo viste e riconosciute ma anche rivissute. Sarà quindi una novità per la città di Bologna, che finalmente avrà uno spazio in cui il suo salume più prezioso sarà protagonista assoluto. Il Consorzio Mortadella Bologna Il Consorzio Mortadella Bologna si è costituito nel 2001 a seguito del riconoscimento dell’Igp alla Mortadella Bologna — avvenuto nel 1998 — e al conseguente avvio della certificazione da parte dei produttori. Il Consorzio, che ha come scopo la tutela e la valorizzazione di questa produzione tutelata, in collaborazione con il Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo promuove la Mortadella Bologna Igp e svolge attività di difesa del marchio e della Denominazione dalle imitazioni e dalle contraffazioni. Il Consorzio garantisce un’alta qualità di base che ogni produttore migliora secondo la propria esperienza e professionalità. Un’attività costante che ha come unico obiettivo, che è anche la finalità di tutte le aziende, con i loro marchi, di garantire ai consumatori un prodotto dalle caratteristiche uniche per qualità e gusto, un prodotto ad alto valore nutrizionale, con una composizione di proteine nobili, minerali e grassi insaturi perfettamente in linea con le tendenze della moderna scienza nutrizionale.
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Tante storie, una sola Favola.
Delicata. Digeribile. Naturale. Da più di 20 anni i salumieri e gli chef che vogliono conquistare i loro clienti con un prodotto di assoluta eccellenza sanno di poter contare sulla nostra “Favola”: la buona mortadella artigianale che tutti riconoscono prima dalla cotenna naturale legata a mano e poi dal gusto incredibilmente delicato. Ogni Favola è unica col suo timbro a fuoco: inimitabile fuori e inconfondibile dentro.
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SAPORI MEDITERRANEI Alla scoperta di Pago, nel cuore della Dalmazia
Lâ&#x20AC;&#x2122;isola del sale e del formaggio di Massimiliano Rella
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ituata a 40 minuti d’auto da Zara, l’isola di Pago (Pag) non è solo una bella destinazione turistica e una meta estiva nel cuore della Dalmazia. Collegata con la terraferma da un lungo ponte panoramico, è anche conosciuta come l’isola del sale e del Paški Sir, un formaggio di qualità tra i più apprezzati e conosciuti in Croazia. Come tutte le cose buone anche questi due prodotti tipici devono molto al terroir, un concetto che i Francesi utilizzano per i vini, per dire che sono espressione di un preciso territorio, le cui caratteristiche si riverberano sul sapore e l’identità del prodotto, ma che nel nostro caso si addice perfettamente anche al sale e al formaggio di Pago. Che è il nome italiano di un’isola che insieme alla regione della Dalmazia “passò” in mani iugoslave con la fine della seconda guerra mondiale. Ma torniamo al carattere del terroir. Essendo esposta alla bora, la zona settentrionale di Pago non ha vegetazione ma si presenta brulla e rocciosa, regalandoci un paesaggio quasi lunare, modellato dal vento e dalla salsedine e d’inverno coperto da un sottile strato di sale portato dal forte vento che arriva da nord e che, a volte, dà l’impressione di una leggera nevicata. I tre prodotti principali dell’isola sono appunto il sale, il Paški sir e il pizzo, un piccolo capolavoro fatto a mano dalle signore con una pratica tramandata di madre in figlia, che a noi qui non interessa però approfondire. I sapori invece sì.
L’essenza di un’isola in un formaggio Eccoci allora al formaggio, che andiamo a conoscere direttamente nel più vecchio, più grande e uno dei tre caseifici più importanti di Pago di quest’isola di 7.000 persone, PAŠKA SIRANA (www.paskasirana.hr). Appartiene oggi a tre famiglie, che lo rilevarono nel ‘92 quando, con la fine del socialismo, lo Stato lo mise in vendita. L’azienda produce artigianalmente il Paški Sir con il latte di pecore locali allevate in pascoli esposti alla brezza marina, su terreni rocciosi ricchi di salvia selvatica e altre erbe aromatiche. Questo pecorino delizioso è prodotto tra gennaio e luglio in due tipologie: fresco (da 1 a 3 mesi di stagionatura)
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una delle quali è di Paški Sir. Il caseificio Paška Sirana ha un proprio allevamento di pecore con 20 persone addette su un totale di 85 dipendenti, quindi si può considerare uno dei principali datori di lavoro dell’isola. Esporta il 10% del prodotto, principalmente in Europa e USA.
estratto nelle saline di Pago e quello portato dalla bora d’inverno, che si deposita sulla terra come un sottile strato di neve. Senza conoscere il suo sale, quindi, non si conoscerà fino in fondo l’isola di Pago. La “Galleria del Sale” Stalna Izložba Solarstva è il posto che fa per noi: una mostra permanente sul processo di raccolta e produzione ospitata in uno dei nove magazzini del sale a due passi dal centro del paese di Pago. Già nel III secolo a.C. erano citate le saline della popolazione degli Illiri nell’Adriatico. Fino al XV secolo c’erano cinque saline in Croazia. Oggi questa di Pago vale il 70% della produzione nazionale con 35.000 tonnellate l’anno. L’azienda si chiama SOLANA PAG e ha 90 dipendenti (70 solo in amministrazione). Il processo avviene in quattro fasi in quattro diverse vasche, ciascuna con una salinità diversa. L’acqua viene fatta fluire da una vasca all’altra dopo che sul fondo si depositano le impurità contenute nei cristalli di sale: nella prima rimane il carbonato di calcio, nelle altre l’ossido di ferro e il gesso. Il procedimento si conclude nella vasca (25,6% di salinità) di cristallizzazione del sale in fior di sale (in superficie). Massimiliano Rella
Cristalli preziosi I sapori locali sono inevitabilmente condizionati dal sale, quello marino
Nota Alle pagine 102 e 103 le saline dell’isola di Pago (photo © Massimiliano Rella).
In alto: la direttrice marketing Marti Pernar al caseificio Paška Sirana. In basso: il Paški sir è uno dei simboli dell’isola di Pago. e stagionato (9-18 mesi). «Il segreto di questo formaggio è che contiene l’essenza dell’isola di Pago: i pascoli rocciosi, le erbe aromatiche, la salsedine dell’Adriatico portata dalla bora», sottolinea la giovane direttrice marketing MARTI PERNAR. Col latte vaccino acquistato sulla terraferma producono invece altri 10 tipi di formaggio: 2 misti di pecora e mucca, 2 di mucca e 6 aromatici (con salvia, paprika, olive, tartufo, ecc…). La produzione è di 5 tonnellate l’anno,
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IL GUSTO DI CAMMINARE A piedi sulla dorsale nord-orientale dellâ&#x20AC;&#x2122;Appennino siculo
Come dâ&#x20AC;&#x2122;autunno le foglie sui monti Nebrodi di Elena Simonini
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In basso: il lago Biviere nel comune di Cesarò, all’interno del Parco dei Nebrodi. Sullo sfondo si può ammirare l’Etna (photo © Gandolfo Cannatella – stock.adobe.com). A sinistra: particolari del percorso della dorsale dei Nebrodi (photo © Mathia Coco, messina.gazzettadelsud.it).
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autunno, se solo si ha la pacata sensibilità di osservarlo, mentre lentamente e silenziosamente si insinua dentro alla sfrontatezza dell’estate che pian piano va esaurendosi in giornate più corte e miti, l’autunno, dicevo, è una stagione davvero splendida e meravigliosa. In uno stupefacente rituale ciclico, abbassa i toni, rallenta i ritmi, ma contemporaneamente esalta colori e profumi in nuove, inaspettate e calde sfumature, che ogni anno ci sorprendono per la loro commovente intensità.
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Apprezzare l’autunno, tuttavia, non è qualcosa di immediato, come invece può essere entusiasmarsi per la primavera, o inebriarsi dell’estate: la passione per l’autunno è infatti un sentimento più sottile, che va conquistato gradatamente, strenuamente, passo dopo passo, proprio come in un cammino. E non è affatto un caso, io credo, che il rumore cadenzato dei passi sulle foglie secche, il loro inconfondibile fruscio e scricchiolio sotto i nostri piedi, in una scenografia di mille colori dal giallo al rosso purpureo, sia proprio una delle fotografie interiori
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La provola dei Nebrodi e i caci figurati La provola dei Nebrodi è un tradizionale caciocavallo siciliano prodotto artigianalmente dai casari dei monti Nebrodi, che si tramandano la tecnica di caseificazione di padre in figlio. Rientra nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali stilato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ed è un presidio Slow Food. Le dimensioni variano a seconda dell’area di produzione, si va dal chilogrammo nei Nebrodi Nord occidentali (area di Mistretta, Castel di Lucio, Caronia), al chilo e mezzo, quasi due, nei Nebrodi centrali (area di Floresta, Ucrìa, Castell’Umberto) per arrivare ai cinque chili nei Nebrodi orientali (Basicò, Montalbano Elicona). La forma è ovoidale, con la classica testina dei caciocavalli (utilizzata per legare le forme e appenderle). Si produce con latte vaccino crudo coagulato con il caglio di agnello o di capretto e poi filato (gettando acqua calda sulla massa). Prima della filatura la pasta della provola è manipolata a lungo: una tecnica simile a quella usata per impastare il pane, grazie alla quale il formaggio tende a sfogliarsi in bocca. Le forme hanno crosta liscia, lucida, di colore paglierino ambrato. Si produce da marzo a giugno e deve essere stagionata almeno tre mesi: il sapore varia dal dolce al piccantino, col progredire della stagionatura. È un ottimo formaggio da tavola, ma è anche utilizzato come ingrediente in alcuni piatti tipici. Particolari forme artistiche-artigianali sono espresse nei cosiddetti “caci figurati”, buoni da mangiare ma anche belli da vedere: i formaggi riproducono infatti animali come cavalli, galline, cervi o altri. Sono spesso usati spesso come doni speciali in occasioni celebrative (fonte: www. fondazioneslowfood.com; photo © mangiarebuono.it e www.formaggio.it).
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più ricorrenti del nostro immaginario comune dell’autunno. Ecco allora che stavolta ho deciso, all’inizio della mite stagione che conduce ad un più buio inverno, di accompagnarvi dentro ad un meraviglioso cammino in cui si possa godere dell’eccezionale spettacolo che restituiscono le foglie stropicciate dall’autunno, nel loro tripudio di colori, profumi e rumori, e nel loro dolce crepitio sotto le nostre scarpe da trekking. Comunemente detta anche foliage o, più correttamente, fall foliage, la caduta delle foglie è uno dei fenomeni naturali più affascinanti e sorprendenti e, anche se siamo abituati a considerarlo un evento che si verifica soprattutto in zone esotiche e lontane (Giappone, Cina, Stati Uniti, Canada, ecc…), non dobbiamo dimenticare che è uno spettacolo di cui si può invece meravigliosamente godere anche sulle nostre Alpi e sugli Appennini, e persino sulle quote più alte dei rilievi della Sicilia. Ed è proprio sull’Appennino siculo che vi propongo di incamminarvi per questa nuova avventura autunnale; nello specifico vi porterò sulla dorsale dei monti Nebrodi, che si staglia nella Sicilia nord-orientale, in provincia di Messina, all’interno dell’omonimo parco il quale costituisce l’area protetta più grande della regione. Il tragitto sulla dorsale dei Nebrodi si sviluppa in un cammino di circa 70 chilometri, percorribile in tre o più tappe, a seconda del vostro livello di preparazione. Visitare queste zone della Sicilia in autunno, all’inizio o alla fine della vostra breve avventura, sarà inoltre anche un’ottima occasione per godere del clima mite e degli ultimi bagni della stagione, in un mare tiepido e cristallino, non molto distante. Il percorso attraverso i Nebrodi, in ogni modo, vi stupirà e vi incanterà per la straordinaria varietà di paesaggi e panorami, tutti immersi negli intensi colori dei gialli, degli arancioni e dei rossi delle foglie d’autunno di faggi, di cerri, di aceri monumentali e di agrifogli, nella cornice di un sottobosco ricco di muschi, arbusti e vegetazione erbacea, nonché di particolari rocce calcaree. Attraverserete boschi immensi e fittissimi, come le straordinarie faggete di Mangalaviti e quelle dei monti Pizzo Fau e Serra del Re (due delle cime più alte della catena montuosa dei Nebrodi).
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Carni di grande intensità aromatica, adatte alle lunghe stagionature: il suino Nero dei Nebrodi e i suoi salumi Il suino Nero dei Monti Nebrodi, una delle catene montuose che chiude come in un abbraccio la costa settentrionale della Sicilia insieme ai Peloritani e alle Madonie, è una razza molto antica. Circa 2700 anni fa Omero descrisse per la prima volta un allevamento di suini: quando Ulisse ritornò ad Itaca, dopo il lungo vagabondare per il Mediterraneo, uno dei pochissimi che rimastogli fedeli era proprio Eumeo, il porcaro. Già due secoli prima della venuta di Cristo la produzione suinicola siciliana era conosciuta anche a Roma. Il suino Nero siciliano si inquadra in quella che una volta veniva definita la razza “Indigena siciliana”. Per alcuni autori (Tucci, Giuliani) deriverebbe da un ceppo indigeno, per altri (Faelli) alla sua formazione non sarebbero estranei soggetti della “napoletana”. Per Montanaro il Nero siciliano discenderebbe dal “Tipo iberico del Sanson”. Il pata negra spagnolo e il suino Nero dei Nebrodi avrebbero quindi la stessa filogenesi, sarebbero insomma parenti, ma parenti diversi: la “marezzatura” delle carni di suino nero, la presenza cioè di abbondante grasso nobile, gli conferisce sapidità e morbidezza. Di taglia piccola e mantello scuro, i suini Neri dei Nebrodi sono allevati allo stato semibrado e brado in ampie zone adibite a pascolo: solo in concomitanza con i parti si ricorre all’integrazione alimentare. Frugale e resistente, questa razza negli ultimi anni ha visto ridursi considerevolmente il numero dei capi. Gli allevatori hanno aziende molto piccole e, nella maggioranza dei casi, sono anche trasformatori. Tutte le specialità norcine della Sicilia sono concentrate in questa zona nord-orientale dell’isola: il salame fellata, la salsiccia dei Nebrodi, i salami, i capocolli e le pancette. Naturalmente la carne, nei suoi vari tagli, può anche essere consumata fresca (fonti: www. nerodeinebrodi.it; www.fondazioneslowfood.com; photo © www.soloprodottiitaliani.it).
Scoprirete meravigliose e straordinarie realtà botaniche, come il bosco della Tassita, di eccezionale valore naturalistico, il quale si caratterizza per l’unicità degli aspetti botanici, geomorfologici, paesaggistici e storico-culturali. Ammirerete scenari mozzafiato da indimenticabili punti panoramici, come Portella Pomiere, Portella Testa e Monte Pelato. E infine godrete del
fascino e della straordinaria calma che proviene dalla vista dei laghi Maulazzo, Cartolari, Trearie e del favoloso Biviere di Cesarò, uno specchio d’acqua naturale, immobile e sospeso tra due immense faggete, sullo sfondo dell’immenso, spettacolare e imponente vulcano Etna. Questo meraviglioso cammino, se percorso proprio tra metà ottobre e metà
Il percorso attraverso i Nebrodi vi stupirà per la varietà di paesaggi e panorami. Sarete immersi nell’intensità dei gialli, degli arancioni e dei rossi delle foglie, nella cornice di un ricco sottobosco. Altrettanto intensi saranno i profumi e l’odore inconfondibile dell’autunno
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novembre, come vi consiglio di fare, si rivelerà, credetemi, una vera e propria esplosione sensitiva ed anche emotiva. I vostri occhi verranno pervasi e invasi di colori vividissimi, come l’arancione e il rosso delle foglie, il verde del muschio sugli alberi e il blu intenso del cielo, solo talvolta segnato dal bianco di qualche timida nuvola. Altrettanto intensi saranno i profumi, che vi accompagneranno durante il tragitto, del bosco e delle piante che in questa stagione, in Sicilia, sanno ancora un po’ di fresco. E poi l’odore inconfondibile, e al tempo stesso indescrivibile, dell’autunno, con la sua vena lignea, passionale e malinconica, che avvolge questo meraviglioso spettacolo della caducità, come d’autunno le foglie sui monti Nebrodi. Elena Simonini
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TURISMO ENOGASTRONOMICO Bresaola, vini rossi, formaggi dâ&#x20AC;&#x2122;alpeggio, ciambelle di segale e pizzoccheri
Su e giĂš per la Valtellina di Massimiliano Rella
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A sinistra: vendemmia di uve Nebbiolo tra le vigne di Ardenno (SO). A destra: in alto, bresaola della Valtellina con sfogliata calda e porcini alla Trattoria Olmo, a Sondrio. In basso, la storica bottega dei Fratelli Ciapponi. Situata nel centro storico di Morbegno (SO), con l’antica insegna tuttora conservata, è in attività dal 1883.
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a Valtellina, un territorio della Lombardia settentrionale, tanto bello quanto estremo, è uno di quei luoghi che ti sa conquistare in tanti modi e che di sicuro sa prenderti per la gola. Il suo prodotto più conosciuto è la bresaola, di cui ci siamo già occupati parlando del salumificio dei fratelli MASA, a Vetto, in provincia di Sondrio (si veda, RELLA M.,
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Masa Salumi: due fratelli, una tradizione norcina, su PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 4/2019, pag. 42): è uno dei salumi a minor contenuto di grassi, fatto con carne di manzo straniero o italiano, salata e speziata con vari aromi (pepe ed erbe) e lasciata marinare 10-15 giorni a seconda della pezzatura, poi messa a stagionare per un periodo che arriva a 2-3 mesi.
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Grandi rossi Proviamo una fetta di bresaola con un calice di vino rosso da uve Nebbiolo della Valtellina, una terra che oggi conta 750 ettari di vigne, tutte scoscese e su terrazze, ma che negli anni ‘70 arrivavano a 3.000 e a inizio secolo scorso addirittura a 5.000 ettari. Poi andate perse per l’abbandono dell’agricoltura e l’emigrazione. Le menzioni del Valtellina Superiore DOCG corrispondono a zone di diversa dimensione e localizzazione: a ovest troviamo il Maroggia (circa 25 ettari), poi il Sassella (zona più rocciosa), e a est di Sondrio il Grumello e l’Inferno; proseguendo verso Tirano, la zona del Valgella, la più grande. Ovunque si può produrre lo Sforzato con la tecnica dell’appassimento delle uve su graticci. Il Nebbiolo, localmente chiamato Chiavennasca, è il vitigno che nei secoli ha dimostrato di adattarsi al meglio all’ambiente pedoclimatico della fascia pedemontana delle Alpi Retiche. La particolare geografia della Valtellina assicura ventilazione con scarse precipitazioni, luminosità ed esposizione ottimale, escursione e gradiente termico. I suoli, invece, sono di origine morenica e alluvionale. Le denominazioni riconosciute sul territorio sono: la DOCG Valtellina Superiore, la DOCG Sforzato di Valtellina, la DOC Rosso di Valtellina e la IGT Alpi Retiche. A sua volta la DOCG Valtellina Superiore comprende 5 sottozone indicabili in etichetta: Maroggia, l’ultima riconosciuta nel 2002, nel comune di Berbenno; Sassella, la menzione storica tra il comune di Castione Andevenno e il territorio a ovest di Sondrio; Grumello, sul versante a nord-est di Sondrio; Inferno, la più piccola delle sottodenominazioni, a est del Grumello tra Poggiridenti e Trevisio; infine Valgella, la più estesa delle sottozone, nei comuni di Teglio e Chiuro. Ma ovunque si può produrre lo Sforzato con la tecnica dell’appassimento delle uve su graticci per circa tre mesi.
In alto: il negozio dei Fratelli Ciapponi nasconde nel retrobottega un sorprendente susseguirsi di volte, colonne e celle ad alveare che si snodano nelle cantine dove giacciono ben allineate le tonde forme di Bitto, i salumi, i vini pregiati e le grappe profumate. In basso: produzione di Valtellina Casera Dop nel caseificio Stella Orobica con il casaro Luca Murada.
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Il regno dei sapori della Valtellina Forse il miglior tempio del gusto dei sapori valtellinesi è una incredibile bottega storica nel centro di Morbegno, la Bottega Fratelli Ciapponi, aperta dal 1883, alla terza generazione
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Il pasticcere Luigi Cao, titolare del panificio e pasticceria Cao di Ardenno (SO). (www.ciapponi.com). È composta da vari locali e da una decina di cantine dove sono stipati vini, formaggi, farine, pasta, conserve, marmellate, salumeria e tante altre specialità della Valtellina, come la dolce bisciola, i pizzoccheri, la bresaola, il miele; e qualche specialità italiana e vini stranieri. A gestirla i cugini ALBERTO e PAOLO CIAPPONI, che non di rado troviamo nella cantina del Bitto intenti a scrivere a mano la data di nascita di ogni formaggio. Bitto, Casera & Co. Se parliamo di formaggi, non possiamo dimenticare l’azienda agrituristica con microcaseificio e trattoria valtellinese Stella Orobica, proprietà della famiglia MURADA e gestita dai fratelli GIULIANO e LUCA (www.stellaorobica.com). Producono artigianalmente Bitto, Valtellina
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Casera, Stella Orobica (da latte intero crudo, stagionato 6 mesi) e latteria. Ogni giorno lavorano 400 litri di latte dalle loro 30 vacche di razza Pezzata rossa. Un piccolo caseificio con caldaie in rame e stampini in legno. Grazie ad affitti comunali gestiscono 25 ettari di prato per il pascolo in fondovalle, altri 50 ettari tra i 700 e i 1.500 metri slm e 200 ettari di pascoli in alpeggio, sopra i 2.000 metri slm. Gli animali stanno al pascolo 5 mesi l’anno; d’inverno sono alimentati con fieno dell’azienda e mangimi biologici. Grano saraceno e segale che passione Non si lascia la Valtellina senza prima aver assaggiato altre due specialità: i pizzoccheri e la bisciola. I pizzoccheri sono la tipica pasta valtellinese fatta
con un impasto di acqua e farina: tre quarti di farina di grano saraceno, un quarto di farina bianca. Sembra che siano stati creati nel paese di Teglio. Vari documenti attestano che questo grano era coltivato a Teglio già nel 1600. Da qualche anno l’Associazione per la Coltura del grano saraceno, che riunisce i coltivatori locali, lavora sulla valorizzazione del prodotto. Ricerche dell’Università di Pavia hanno dimostrato la diversità genetica delle piante nel territorio di Teglio, dovuta allo sviluppo di un ecotipo locale per adattamento al microclima e all’ambiente. Questa pianta di origini asiatiche in realtà non è un cereale, ma una poligonacea (famiglia del rabarbaro). Sviluppa delle infiorescenze a grappoli e dopo l’impollinazione un 20% si trasforma in piccoli chicchi di forma triconica (a tre facce e “piramidali”) di un colore che varia dal grigio scuro al marrone. «È considerato un secondo raccolto di stagione — ci racconta RICCARDO FINOTTI, il presidente dell’associazione — perché si pianta nello stesso campo della segale e dell’orzo, entro fine luglio. A ottobre è maturo e si raccoglie. Il grano saraceno è utilizzato per farine, polenta, dolci». A proposito di dolci. La bisciola è il classico dolce valtellinese, una sorta di panettone fatto con lievito madre o naturale, più uova, burro, zucchero e uvetta. Non ci sono canditi, ma noci e fichi secchi: tanto impasto quanta frutta secca, in particolare le noci. La pezzatura varia da 450 e 750 grammi. «Per produrlo servono tre impasti, come il panettone, quindi tre giorni di lavoro», ci racconta LUIGI CAO, titolare ad Ardenno, insieme ai fratelli EZIO e MICHELE, del Panificio e pasticceria Cao. Producono artigianalmente anche vari tipi di pane, dalla michetta alla pagnotta, e un’altra specialità locale come la ciambella di segale. Cinque anni fa Cao, che è presidente dell’associazione Panificatori della provincia di Sondrio, ha coinvolto una quindicina di pastifici per realizzare, insieme a Coldiretti, un progetto di recupero della segale autoctona (www.panificiocao.it). Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.
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FIERE Inspiring Innovation in Food Technologies
CibusTec 2019: a Parma in mostra la tecnologia alimentare
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anca davvero pochissimo all’edizione 2019 di CibusTec (22-25 ottobre), la fiera della tecnologia alimentare, vetrina completa delle migliori soluzioni — dagli ingredienti alle tecnologie di trasformazione, dal confezionamento alla logistica — per tutti i settori dell’industria alimentare e delle bevande. Sono attesi 1.300 espositori e le tecnologie per tutte le
filiere dell’agroalimentare (frutta e vegetali, latte e derivati, carne e prodotti ittici, piatti pronti) oltre all’ingresso di un nuovo comparto: i prodotti da forno e derivati dai cereali, snack e prodotti dolciari. Nell’anno dei grandi appuntamenti internazionali, cresce del 20% la sezione “carne”, forte di un distretto, quello di Parma, che vanta 500 aziende alimentari di settore, e best practice esportate in tutto il mondo.
Infine, cambio di passo del comparto del packaging: dal confezionamento primario all’imballaggio, dal fine-linea alla logistica con una crescita dell’area del 40% rispetto alla precedente edizione. Tutti i settori, tutte le tecnologie Ad andare in scena a Fiere di Parma, insomma, non sarà più semplicemente una “manifestazione” dedicata al process-
A CibusTec si potranno incontrare più di 1.000 espositori che presenteranno soluzioni pionieristiche e sistemi di produzione all’avanguardia su 120.000 m2 di area espositiva a 40.000 professionisti del settore alimentare e delle bevande, provenienti da più di 100 Paesi.
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ing, ma una “piattaforma” tecnologica completa e unica sul mercato. Per aiutare l’export delle aziende italiane, CibusTec organizzerà il più grande Top Buyer Program di tutte le fiere FoodTec, che porterà a Parma più di 3.000 operatori internazionali prevenienti da 70 Paesi e due iniziative speciali relative ad India e Africa. Secondo PROMETEIA, oggi l’Italia vanta la leadership indiscussa nelle tecnologie alimentari con 7,3 miliardi di euro di fatturato e una produzione che rappresenta il 32% della produzione della UE28. Seguono sul podio la Germania con 5,9 miliardi di euro (25% del totale produzione UE28) e Francia con 1,8 miliardi (8%). Questo è un settore poco noto al grande pubblico, ma che testimonia il meglio della manifattura made in Italy: leadership di nicchia, produzioni ad alto valore aggiunto e forte propensione all’export.
Sulle questioni di gusto
ci schieriamo in prima linea Il Salumificio Chiapella da oltre cinquant’anni si dedica alla produzione e alla lavorazione di salumi di altissima qualità. Dall’antica tradizione piemontese nascono i nostri prodotti.
Sostenibilità e innovazione A CibusTec le innovazioni proposte strizzeranno l’occhio al futuro, assecondando la necessità di produzioni sempre più sostenibili, per offrire al consumatore prodotti nutrienti e soprattutto caratterizzati da elevati standard di sicurezza. È in tale ottica che sarà ospitato l’IBS – International Biofilm Summit, la più importante conferenza mondiale dedicata alle problematiche da biofilm nell’industria alimentare. Nel mondo, ogni anno, più di un miliardo di tonnellate di cibo è sprecato proprio a causa delle contaminazioni. Va invece nella direzione dell’innovazione tecnologica CibusTec Industry, il progetto che riprodurrà in fiera 4 linee altamente automatizzate e funzionanti dedicate al settore caseario, delle carni, dei piatti pronti e dei prodotti da forno. Linee di produzione a ciclo completo, dalla materia prima al prodotto finito, fino a soluzioni avanzate di stoccaggio. CibusTec 2019 22-25 ottobre Quartiere fieristico di Parma • Orari visitatori: 9.30 – 18.00 • Orari espositori: 8.30 – 18.30 • Acquisto biglietti on-line: biglietteria.fiereparma.it >> Link: www.cibustec.it
SALUMIERI IN LANGA
info@chiapellasalumi.it • www.chiapellasalumi.it Premiata Salumeria Italiana, 5/19
Salumificio Chiapella c.so Vittorio Olcese n. 6 - 12060 Clavesana (CN) - T 0173.732001
L’Italia, le carni e i salumi protagonisti di Alimentaria Alimentaria 2020 punta a confermare l’elevato numero di visitatori ed espositori dell’ultima edizione, mettendo il Belpaese, le proteine animali e i nuovi trend di prodotto e di consumo al centro della manifestazione di Elena Benedetti
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ppuntiamoci qualche numero nell’agenda del prossimo anno: da lunedì 20 a giovedì 23 aprile 2020 a Barcellona, con la presenza di 4.500 espositori su di un’area di 100.000 m2. Questo e molto altro sarà Alimentaria, l’evento biennale che torna ad occupare la Gran Via del quartiere fieristico della capitale catalana. Abbiamo incontrato il suo CEO, J. ANTONIO VALLS, nel corso di una trasferta lampo a Milano per la presentazione della fiera ai media specializzati. Gli scambi commerciali tra Italia e Spagna sono sempre stati numerosi, vuoi per la prossimità geografica, vuoi anche per quella cultura enogastronomica che ci accomuna favorendo investimenti e business. Stando ai dati della Federación Española de Industrias de Alimentación y Bebidas (FIAB), l’Italia è il secondo partner commerciale per l’industria alimentare spagnola. Nel corso del 2018, il 12% delle esportazioni spagnole 116
ha avuto come destinazione proprio l’Italia, raggiungendo un valore di 3,6 milioni di euro. I prodotti spagnoli più richiesti sono stati l’olio d’oliva, il pesce, crostacei e molluschi lavorati e le carni lavorate e conservate, per un valore, rispettivamente, di 895, 631 e 505 milioni di euro. Secondo i dati del Ministerio de Industria, Comercio y Turismo de España, l’Italia è oggi il quarto maggior importatore di prodotti alimentari e bevande in valore, con un volume di 1,5 milioni di euro nel 2017 (+5,1% rispetto all’anno precedente), che rappresenta il 4,3% del valore totale delle importazioni in Spagna. Se non ricordo male, nella scorsa edizione l’Italia è stato il paese più presente ad Alimentaria 2018. «Confermo! La Camera di Commercio e Industria Italiana per la Spagna e l’Istituto nazionale per il Commercio Estero (ICE), insieme a
più di 120 aziende italiane, ebbero il compito di presentare un bel campionamento di patrimonio agroalimentare all’interno della cornice di Alimentaria 2018. L’insieme delle aziende italiane occupò uno spazio espositivo di oltre 1.800 m2, cresciuto costantemente nelle ultime tre edizioni. Queste cifre hanno fatto sì che l’Italia fosse il Paese con la più grande area espositiva e col maggior numero di istituzioni e aziende partecipanti. L’Italia è inoltre al primo posto nella classifica dei Paesi con il maggior numero di visitatori, seguita da Francia e Portogallo. La fiera è stata visitata da importanti brand di distributori italiani come UNIONTRADE, PENNY MARKET, ICP, CEDI GROSS, DISTAL, GRUPO BALLETTA e CONTECO FOOD, nonché da importatori gourmet con un fatturato di oltre 2 milioni di euro. Inoltre, attraverso il programma Hosted Buyers, Alimentaria ha invitato a partecipare alla fiera alcune delle principali catene di supermercati italiani, come COOP CENTRO ITALIA, Premiata Salumeria Italiana, 5/19
IPER MONTEBELLO e MAGAZZINI GABRIELLI, oltre a grandi aziende del settore della distribuzione come MGM, BUZZI, MARR e OPTIMUM BUYING». Quali saranno le novità per l’edizione 2020? «Alimentaria 2020 includerà il salone Alimentaria Trends, che si estenderà su una superficie di oltre 4.500 m2, all’interno della quale saranno presentate le nuove tendenze nella produzione e nel consumo di alimenti, come i prodotti di gastronomia (Fine Foods), alimenti biologici (Organic Foods), alimenti senza allergeni (Free From), alimenti halal (Halal Foods) e gli alimenti funzionali (Functional Foods). Questa fiera andrà ad aggiungersi a quelle già esistenti nei settori strategici dell’agroalimentare, come l’industria della carne (Intercarn), l’industria lattiero-casearia (Interlact), conserviera (Expoconser), dei dolci (Snacks, Biscuits & Confectionery); della Dieta Mediterranea e dei prodotti freschi, oli di oliva e oli vegetali (Mediterranean Foods), e, non ultimo, del food service (Restaurama). Per quanto riguarda gli International Pavilions, riuniranno l’intera offerta internazionale, mentre Lands of Spain
L’uovo dell’edizione 2020 L’immagine “uovo”, classica di Alimentaria 2020, è ispirata al Cloud Gate di Chicago, progettato dall’artista britannico-indiano Anish Kapoor. L’uovo è da sempre un simbolo che rimanda alla vita nuova e alla metafora di rinascita dei corpi e della natura (fonte: taccuinigastrosofici.it). E in questo senso il nuovo logo riflette perfettamente l’etica di Alimentaria: «un corpo vivente che interagisce con tutti i settori e si relaziona con ciò che lo circonda. Uno specchio attivo che proietta e guida l’innovazione, un motore per il cambiamento e una continua fonte di ispirazione», come ci ha spiegato il CEO di Alimentaria, J. Antonio Valls, nel corso dell’intervista.
J. Antonio Valls, CEO di Alimentaria. Premiata Salumeria Italiana, 5/19
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Nel 2018 Alimentaria ha attirato 4.500 espositori, oltre un migliaio dei quali proveniente da 70 paesi, e circa 150.000 visitatori da 156 paesi. Il salone, in programma dal 20 al 23 aprile 2020, mira a dare continuità agli oltre 12.500 incontri di lavoro che hanno avuto luogo ad Alimentaria e Hostelco 2018, tra i 1.400 principali buyer, importatori e distributori in Europa, Asia, America Latina, USA
Nella prossima edizione di Alimentaria, Intercarn, il sotto-salone della fiera dedicato alla carne e ai prodotti a base di carne, crescerà del 15% rispetto al passato, vantando una superficie espositiva di ben 20.000 m2 (photo © instagram.com/alimentariabcn). farà lo stesso con la produzione delle diverse regioni spagnole. Sempre nel 2020, il settore vitivinicolo inaugurerà un nuovo percorso con un progetto dedicato: il sotto salone Intervin di Alimentaria si trasformerà in Barcelona Wine Week. La nuova fiera proporrà un tour unico lungo la mappa dei vini spagnoli, e si svolgerà dal 3 al 5 febbraio 2020 presso la Fira de Barcelona. È invece confermata la sinergia a doppia mandata tra Alimentaria e Hostelco, il salone internazionale delle attrezzature per la ristorazione, l’ospitalità e la collettività, che ancora una volta uniranno le forze per offrire sia alla distribuzione che al canale HO.RE. CA. la più completa e trasversale offerta per l’industria alimentare, gastronomica e delle attrezzature per la ristorazione. Inoltre, organizzeremo congiuntamente una serie di attività di grande valore aggiunto come The Experience Live Gastronomy, uno spazio in cui si avranno workshop, aule gastronomiche e showcooking».
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Come definirebbe in poche parole Alimentaria e perché è così strategica per l’Italia? «Alimentaria è una fiera trasversale, al cui interno i sotto-saloni sono altamente specialistici e verticali, utili per visite mirate sul prodotto. L’Italia e la Spagna sono legate da un rapporto commerciale molto forte e il fatto che per l’edizione del prossimo anno il Belpaese sia il primo in termini di espositori e di visitatori è un dato di fatto. Non dimentichiamo poi che gli operatori commerciali in visita all’Alimentaria usano la fiera come leva commerciale per agganciare opportunità di business con il Sud e Centro America, primi fra tutti Messico, Argentina, Cile e Colombia». Quale sarà il ruolo delle carni e dei prodotti a base di carne in questa edizione? «Decisamente centrale! La collocazione dei vini in un evento separato ci ha consentito di recuperare spazio espositivo e di rafforzare Intercarn, che in questo modo potrà crescere del 15% su una superficie di 20,000 m2. L’obiet-
tivo sarà quello di raggiungere mille espositori e una verticalità, in termini di visitatori, che andrà dall’industria alla trasformazione, vendita al dettaglio, buyer, GDO e ristorazione». Oltre alle carni ampliate, quali saranno le altre novità? «Non c’è alcun dubbio: Alimentaria Trends! Le tendenze alimentari rappresenteranno una nuova area all’interno di Alimentaria 2020 con le ultime novità in materia di alimenti biologici, free from, halal e funzionali. Alimentaria si appresta a consolidare il ruolo di grande piattaforma internazionale con una forte vocazione ad attrarre business, espositori e visitatori». Elena Benedetti Alimentaria 20-23 giugno 2020 Recinto Gran Via – Barcellona (Spagna) #Alimentaria2020 www.alimentaria.com www.facebook.com/AlimentariaBCN www.instagram.com/alimentariabcn
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FORMAGGIO Scoprire l’Aspromonte con un prodotto tipico della Grecìa calabra
Il caciocavallo a due teste di Ciminà di Riccardo Lagorio
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ell’innocente domanda “Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?”, si cela la nostalgia di MIGNON, il personaggio femminile de Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister, racconto
di JOHANN WOLFGANG GOETHE. Ricordo misto a desiderio del Paese originario della ragazzina, che fa parte di un gruppo di danzatori di strada. Qualcuno ci ha scorto una visione stereotipata del paesaggio e dell’architettura classicista
tipicamente nordeuropea nei confronti del Belpaese. Atteggiamento che era in voga nel Settecento e si è trascinata probabilmente sino a qualche tempo fa, ma che forse vale ancora oggi per alcune zone del Meridione.
Ciminà è un piccolo comune della Locride, il cui territorio ricade nel Parco Nazionale dell’Aspromonte. Il caciocavallo si produce in questa zona da tempi immemorabili. Caso unico nel panorama caseario, il caciocavallo a due teste è un formaggio piccolo (mediamente circa 400 grammi di peso, ma può arrivare fino ai tre chili) e allungato.
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Il caciocavallo di Ciminà è uno degli ingredienti indispensabili negli antipasti locali, con melanzane e salumi, talvolta riscaldato alla griglia e un poco filante. Il sapore è dolce e ricorda la frutta secca e le erbe aromatiche. Più maturo, nel gusto accentuato, si consuma a fine pasto, tagliato a fette o a spicchi Nicoletta Balacura e Domenico Siciliano. Domenico, col padre Nicola e il fratello Rocco, è uno dei dieci produttori di questo particolarissimo caciocavallo. Conosci tu il paese dove nasce il caciocavallo a due teste? Ciminà è un comune della provincia di Reggio di Calabria che vive di prodotti tradizionali e pastorizia dove prevalgono i colori dai toni caldi: il rosso della sulla fiorita e il giallo del frumento. Il covone, la vacca e il Monte dei Tre Pizzi, una muraglia di pietra che si innalza dai 300 metri sino ad oltre 1000, che compaiono pure nello stemma, ne sono la più reale rappresentazione. Vi trovarono riparo i cristiani in fuga dalla Tracia all’arrivo degli Ottomani a metà del Quattrocento. Crearono una delle tante comunità molecolari della penisola che, attraversando il Mar Ionio, portarono con ogni probabilità insieme alle masserizie del formaggio. A quelle forme di cacio davano il nome di kaskaval, termine utilizzato oggi per indicare, in un’ampia area balcanica e sulla costa del Mediterraneo orientale, la materia casearia. A Ciminà vi sono 300 elettori e una decina di produttori di caciocavallo. DOMENICO SICILIANO, col padre NICOLA e il fratello ROCCO, alleva 200 vacche. «L’aria, il microclima e il pascolo sono particolarmente adatti per la produzione di caciocavallo. Il latte ha un contenuto di grasso ideale per la produzione e le temperature
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sono perfette per la sua stagionatura». La produzione è spesso affidata a NICOLETTA BALACURA, dipendente d’origine balcanica. «Di mattina, al latte di due munte viene aggiunto caglio di vitello. Dopo un riposo di una ventina di minuti si toglie la cagliata, che nel pomeriggio viene tagliata a liste sottili. Su queste viene versata acqua bollente e lavorata la pasta. Ottenuto il caciocavallo a due teste, piccolo e allungato, si raffredda con acqua fredda e viene messo in salamoia per 3 ore. Dopodiché si appendono i caciocavalli sull’apposita pertica». Il caciocavallo ha un peso medio di 400 grammi. Non sempre quelli dal peso superiore, fino ai 3 kg, possiedono le due testine. «Ovviamente, essendo un prodotto elaborato con latte crudo, il gusto è variabile durante l’anno. In estate, ad esempio, quando le temperature salgono, nei prati si trovano anche cipolle selvatiche e ciò si riflette in maniera negativa sul gusto originario del latte. Tanto che consideriamo migliori i caciocavalli prodotti tra aprile e giugno» svela Siciliano. Il consumo avviene quando il formaggio è fresco e sino ai primi anni Duemila le pezzature maggiori si conservavano anche nel frumento o
nella sugna o ancora in olio di oliva per mantenerne la… freschezza. Privo di occhiature e unghia sotto la buccia, la pasta possiede un profumo intenso di burro; il sapore è dolce e ricorda la frutta secca e le erbe aromatiche; il retrogusto richiama sentori fungini. Nelle forme più stagionate compaiono nuances di spezie e le note del sapore si accentuano. Il caciocavallo di Ciminà è uno degli ingredienti indispensabili negli antipasti locali, con melanzane e salumi, talvolta riscaldato alla griglia e un poco filante. Si consuma a fine pasto se viene servito più maturo, tagliato a fette o a spicchi. A ben guardare, se promosso opportunamente, per le sue caratteristiche organolettiche potrebbe rappresentare elemento di consolidamento economico e sociale del territorio. Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni e i caciocavalli a due teste? O amato mio, con te vorrei andare! Riccardo Lagorio Azienda Agricola La Valle del Tre Pizzi di Domenico Siciliano Contrada Santa Marina 89040 Ciminà (RC) Telefono: 328 8898531
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Mozzarella, l’oro bianco della Puglia di Veronica Fumarola
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aralli, friselle, Primitivo di Manduria, ma anche mozzarelle: queste specialità in Puglia non possono mai mancare. Gli artefici di queste prelibatezze sono casari che quotidianamente producono latticini di ogni tipo, in primis i nodini, mozzarelle lavorate a mano dalla caratteristica forma a nodo. Ne è ricco ogni angolo della Puglia, soprattutto il territorio che circonda Gioia del Colle, la città regina della mozzarella. E proprio a pochi chilometri dalla cittadina in provincia di Bari, esattamente a Martina Franca, c’è il caseificio Raguso (Piazza Mario Pagano 12; telefono: 328342 0612):
un piccolo laboratorio a conduzione familiare nato nel 2011. RINO, il titolare, è un mastro casaro che ha lavorato nei caseifici della zona fin da bambino, prima di avviare un’attività tutta sua. «Ho scelto di fare questo investimento — racconta — per realizzare un sogno e per creare un’attività di famiglia in cui mettere a frutto le conoscenze acquisite in tanti anni di esperienza». Il caseificio non è solo un laboratorio, ma ha anche un banco vendita in cui è possibile acquistare scamorze, ricotte, formaggi freschi e stagionati. E, come in ogni caseificio pugliese che si rispetti, ha un re (il caciocavallo) e una regina (la mozzarella), sicuramente
tra i prodotti simbolo della Puglia. A differenza della mozzarella campana, quella pugliese non è prodotta con latte di bufala, ma vaccino: «Ogni giorno sono io personalmente a ritirare il latte dalle masserie e a portarlo qui in laboratorio» precisa Rino. «Dopodiché ci mettiamo subito al lavoro per produrre le mozzarelle». I vari passaggi della produzione «Per la preparazione servono essenzialmente quattro ingredienti: latte, sale, caglio e siero per l’innesto. Dopo aver portato il latte in laboratorio, lo travasiamo nei nostri tini e iniziamo a lavorarlo
I nodini sono piccole mozzarelle lavorate a mano, dalla caratteristica forma a nodo. Più i nodini sono piccoli, meno sono succosi; sono già salati, ma è il singolo produttore a scegliere se mettere il sale già nell’impasto oppure no.
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con l’acqua bollente. Successivamente si aggiungono il caglio e il siero innesto. Deve passare circa un’ora perché la pasta fili e sia pronta per dar vita alle mozzarelle, che possono avere varie forme: trecce, bocconcini, nodini. Le prime ad essere prodotte sono le trecce o le fior di latte, che hanno una patina di copertura, mentre all’interno la pasta è morbida e succosa. Poi si procede con i nodini. Ne esistono di diverse dimensioni — specifica Rino — si parte da quelli più grandi, 70-80 grammi circa, e si passa ai nodini più piccoli, di 30 e 15 grammi». Ogni nodino è realizzato rigorosamente a mano e per questo sono tutti diversi tra loro. Più sono piccoli, meno sono succosi; sono già salati, ma è il singolo produttore a scegliere se mettere il sale già nell’impasto oppure no. «Noi lo utilizziamo fin dall’inizio perché così le mozzarelle sono già pronte per essere mangiate. Inoltre, garantisce una migliore conservazione del prodotto». A fare la differenza non è solo il lavoro manuale, ma anche la qualità della materia prima. E così anche Rino sfata il mito del latte bianco: «I latticini o i formaggi, per essere davvero saporiti, non devono essere bianchi come la calce o la neve. Un latte buono ha sempre un colore leggermente giallognolo: questo vuol dire che le mucche pascolano, sono in movimento e mangiano erba. Proprio quest’ultima determina il colore finale che avrà ogni singolo latticino». Molte volte, invece, accade proprio il contrario: chi acquista associa il colore bianco a una qualità superiore del prodotto, anche se questa convinzione non rispecchia la realtà dei fatti. «Parlo molto con i miei clienti — confida Rino — ci tengo a far capire che se le mozzarelle non sono bianche come se le aspettano questo non è sinonimo di un prodotto cattivo, anzi… Spiego loro il processo di produzione e perché un latte bianco ha meno proprietà nutrienti». Il latte utilizzato è sottoposto a rigidi controlli ed è proprio il suo sapore così corposo a rendere i nodini buoni e gustosi: quel gusto leggermente salato, la pasta nervosa, che genera una piacevole resistenza durante la masticazione, quel liquido lattiginoso rilasciato ad ogni morso. Come resistere? Veronica Fumarola
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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA
Degustazione: vino e tartufo di Laura Franchini
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ell’amore dei buongustai per il prelibato e prezioso tartufo se ne hanno notizie già nel mondo antico, quando PLINIO IL VECCHIO ne narrava nel Naturalis Historia e GIOVENALE raccontava che nacque da un fulmine scagliato dal dio Giove. Appartengono alla famiglia dei tartufi diverse tipologie, dal pregiatissimo tartufo bianco al più comune tartufo nero, tutti però caratterizzati da un profumo intenso e pungente, che ha lo scopo di attirare gli animali selvatici, i quali, rimuovendo la copertura di terra, ne spargono le spore e contribuiscono al perpetrare della specie.
Amatissimo ovunque, sono soprattutto la Francia e l’Italia i principali paesi consumatori e distributori, con centri rinomati in tutto il mondo, come la città piemontese di Alba. Dato il costo, non esattamente economico, sono nati moltissimi prodotti aromatizzati col tartufo, dal quale assorbono il profumo e le numerose possibilità culinarie. In commercio è facile trovare salse, pasta e riso, oli e liquori aromatizzati al tartufo. La norcineria e i produttori caseari non si sono fatti scappare questo ghiotto abbinamento e nel tempo sono nati formaggi e salumi al tartufo, ghiottonerie frutto di estro e sapienza. A queste specialità dedichiamo la degustazione del mese.
“Non tutti forse lo sanno ma ogni periodo dell’anno ha il proprio tartufo: bianco, il più famoso e profumato, da ottobre a gennaio; nero pregiato, da Natale a Pasqua; ‘marzuolo’, da novembre ad aprile; nero estivo e nero autunnale, come dice il nome, in estate e autunno”
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Tartufo bianco. Servito solitamente a “crudo” con uova o tartare o pasta fresca, si accompagna a vini morbidi e profumati che non ne nascondono l’aroma (photo © Paul E. Green).
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Barbaresco DOCG Riserva Quarantacinque45 Massimo Rattalino Azienda che fonda la sua filosofia sulla valorizzazione del vitigno Nebbiolo e vede la singolare particolarità di chiamare i diversi vini prodotti col numero del vigneto dal quale proviene, secondo gli schedari della cantina. Il calice che proponiamo, il Barbaresco Quarantacinque45, affina 36 mesi in botti di rovere di Slavonia da 20 ettolitri e in seguito riposa altri 12 mesi in tonneaux e 6 in bottiglia. Alla degustazione è intenso e di indimenticabile armonia e finezza, pieno e generoso di fiori e pot-pourri, cassis e ribes, note balsamiche e terrose, grande l’equilibrio del palato, dove la freschezza è assolutamente bilanciata col calore di un importante gradazione. Ottimo con tajarin con tartufo bianco, si presta anche ad accompagnare ricchi e morbidi crostini con lardo al tartufo.
Vini Rattalino Str. Giro del Mondo, 4 12050 Barbaresco (CN) Telefono: 0173 1996827 E-mail: info@massimorattalino.it Web: www.massimorattalino.it
Barolo Docg Brunate Giuseppe Rinaldi È la vigorosa MARTA RINALDI, figlia del compianto GIUSEPPE, l’erede e il faro illuminante di questa cantina di Barolo. Con piglio e capacità segue i vigneti e la produzione, biologica, caratterizzata da un profondo e radicato rispetto della tradizione e del territorio ed offrendo vini austeri, importanti, quasi immortali, certamente nella memoria dei fortunati consumatori. Questo calice, infinito e elegantissimo, esplode in un’olfattiva di grande eleganza, ricca di sentori fioriti e speziati, pepe nero e timo, viole e ciclamini. Sorsata altrettanto coinvolgente, grandissima armonia, palato pieno, ricco, evoluto, che lascia facilmente presagire una lunga vita davanti a sé. Ottimo come calice da meditazione, si presta magnificamente a piatti strutturati e all’abbinamento con il tartufo, in tutte le sue espressioni.
Rinaldi Giuseppe Az. Agr. Via Monforte 3 12060 Barolo (CN) Telefono: 0173 56156 rinaldigiuseppe.com
Valtellina Superiore DOCG Sassorosso Grumello Nino Negri Se siete in Valtellina è obbligatorio fare tappa alla NINO NEGRI, vero e proprio riferimento del territorio, con la sede nello splendido Palazzo Quadrio a Chiuro (SO). In quei terrazzamenti, così difficili da coltivare che si sono meritati il conio del termine “viticoltura eroica”, la cantina coltiva le uve di Nebbiolo, qui nominato Chiavennasca. Questo nobile calice si apre rigoglioso, di un bel color granato con sfumature violacee e porge un’olfattiva imponente e raffinata di frutti di bosco e muschio, fiori freschi e secchi, ricordi di scorza di agrumi. La sorsata è piena, intensa, equilibrata. Un calice adattissimo alla meditazione davanti ai camini, durante i lunghi inverni valtellinesi, così come in abbinamento ad un piatto di pizzoccheri fumanti. Ottimo con i salami al tartufo e col tartufo in genere, estivo o invernale.
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Cantina Nino Negri Via Ghibellini 3 23030 Chiuro (SO) Telefono: 0342 485211 E-mail: Web: www.gruppoitalianovini.it
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Aglianico del Vulture Superiore DOCG Serpara Re Manfredi
Re Manfredi Località Pian di Camera 85029 Venosa (PZ) Telefono: 0972 31263 E-mail: terredeglisvevi@giv.it Web: www.gruppoitalianovini.it
Siamo nel cuore della zona di produzione dell’Aglianico del Vulture, non distante da Venosa (PZ), con questa virtuosa cantina, nata nel 1998. Un’accogliente masseria svetta al centro della proprietà che si estende per oltre 120 ettari di vigneti. Accanto troviamo la moderna cantina, condotta da CHRISTIAN SCRINZI, un moderno impianto di vinificazione ed una prestigiosa barricaia nella quale si affinano i vini. Un vino di estrema nobiltà e armonia, che si apre alla vista di un intenso rosso rubino. All’olfattiva è imponente di frutta e balsamicità, violetta e chicchi di caffè tostato, goudron e liquirizia. Tannico e caldo, denso e corposo, è sostenuto da freschezza di acidità e armonia di parti. Adattissimo a piatti importanti e strutturati, arrosti e brasati, sosterrà con eleganza la lunga ed intensa nota dei tartufi e dei salumi al tartufo.
Brunello di Montalcino 2014 DOCG Fattoi Ofelio & Figli
Fattoi Viticultori in Montalcino Az. Fattoi Ofelio & Figli Podere Capanna – Loc. S. Restituta 53024 Montalcino (SI) Telefono: 0577 848613 E-mail: info@fattoi.it Web: www.fattoi.it
Azienda a conduzione famigliare, con 70 ettari di terreno di proprietà, 9 dei quali sono coltivati a vigneto per la produzione di Brunello di Montalcino e Rosso di Montalcino. Una famiglia che perpetra con caparbietà quelle che sono le tradizioni vinicole del territorio, proponendo sempre vini di grande spessore, con costante eccellenza. Non fa eccezione questo ammirevole calice di grande intensità e carattere, armonico ed elegantissimo, che affina per un minimo di 5 anni di cui almeno 3 in botti di legno di rovere da 40 ettolitri e tonneaux in legno di rovere francese da 3,50 ettolitri, chiudendo con 4 mesi di bottiglia. Ma la vita davanti a sé è appena iniziata e sarà lunghissima. Un vino strutturato e dalla tessitura importante, di grande classe, che accompagnerà magnificamente piatti importanti e ricchi e sarà perfetto con formaggi e salumi al tartufo.
Montepulciano d’Abruzzo DOC Malandrino Cataldi Madonna
Az. Agr. Luigi Cataldi Madonna Località Piano 67025 Ofena (AQ) Telefono:0862 954252 E-mail: cataldimadonna@virgilio.it Web: www.cataldimadonna.com
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Il Forno d’Abruzzo, così viene chiamato il piccolo altopiano a forma di anfiteatro nel cui epicentro si trova Ofena, cittadina che ospita questa splendida realtà vinicola, è molto particolare perché giace sotto il Calderone, l’unico ghiacciaio degli Appennini e il più a sud del nostro emisfero, garantendo così che le brezze che spirano dalla montagna rinfreschino le giornate estive, caratterizzandone la produzione vinicola. Questo intenso e virile calice si apre suadente di frutti rossi e scuri, maturi e persistenti, circondati da viole in fiore e ricordi speziati. Il tannino è setoso, la materia è decisa, circolari le note olfattive, ricordi di goudron e liquirizia. Un palato importante e equilibrato, infinita la sorsata, grande l’armonia. Perfetto con i piatti del territorio, ottimo con carne di pecora, agnello e capretto, è pienamente in grado di sostenere le lunghezze del tartufo, in tutte le sue declinazioni.
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Premio Casato Prime Donne 2019: la politica deve conquistare le donne L’identikit dell’universo femminile nel rapporto con le istituzioni e prima ancora con la politica è stato tracciato da Alessandra Paola Ghisleri, sondaggista fondatrice di Euromedia Research e politologa, al talk show che l’ha vista protagonista in occasione della consegna a lei medesima del Premio Casato Prime Donne 2019 a Montalcino, promosso dall’omonima cantina tutta al femminile di Donatella Cinelli Colombini. «Fra le donne e la politica c’è un rapporto difficile — ha commentato Donatella Cinelli Colombini — lo dimostrano l’affluenza al voto inferiore a quella maschile e la poca propensione alla partecipazione alla vita politica. Eppure la Toscana è stata fra le prime nazioni del mondo a concedere il voto alle donne: votavano fino dal 1849, avevano un voto passivo e quindi non potevano essere elette, avevano molte limitazioni… ma votavano! Col plebiscito del 12 marzo 1860 la Toscana scelse l’annessione al Regno di Sardegna e le donne persero il diritto di voto. Ci furono poi alcuni tentativi, brevi e circoscritti finché nel 1946, ci fu il suffragio universale e persino le prime elette. Da allora le donne hanno fatto pochi passi avanti nel mondo della politica italiana, intesa come gestione della cosa pubblica. Molti meno che in altri Paesi ma forse qualcosa sta cambiando, dall’incontro di oggi escono messaggi positivi: uno che le donne sono una risorsa per il mondo politico, l’altro che esse devono avere il coraggio di mostrare quanto valgono. Appuntamenti come il Premio Casato Prime Donne di quest’anno dimostrano una nuova consapevolezza in uomini e donne». «Le donne costituiscono molto spesso l’ago della bilancia nelle consultazioni elettorali — ha affermato Alessandra Paola Ghisleri — rappresentando la quota maggioritaria degli indecisi, circa il 60%. In un simile contesto a fare la differenza nel loro orientamento saranno i soggetti politici che offriranno loro maggiori garanzie sui temi della famiglia e della parità di genere nel mondo del lavoro. In sostanza, quella parte politica che dimostrerà di “amare” le donne, non solo con le intenzioni ma con fatti concreti, sarà anche quella che con molta probabilità vincerà le elezioni». Per quanto concerne i vincitori degli altri riconoscimenti attribuiti nella 21a edizione del Premio, si tratta di Marco Rossetti e Francesca Topi, per la puntata del programma RAI “GEO” intitolata Val d’Orcia (Premio “Io e Montalcino”), di Eleonora Cozzella per l’articolo Le vie del vino pubblicato nel quotidiano La Repubblica (Sezione “Montalcino la sua storia, la sua arte e il suo vino”, per opere a firma femminile) e di Riccardo Lagorio per l’articolo I giorni della vendemmia, pubblicato nel mensile Dove (Sezione Il Brunello e gli altri vini di Montalcino), quest’ultimo premiato direttamente dal presidente del Consorzio Brunello Fabrizio Bindocci. Infine, Alberto Flammia è il vincitore della sezione fotografica.
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BrĂ ulio, amaro dâ&#x20AC;&#x2122;erbe di montagna di Massimiliano Rella
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Le cantine con le botti degli anni ‘70 nell’azienda Bràulio, situata proprio nel centro di Bormio (SO).
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TARANTOLA PELONI, 42 anni, di Bormio, è l’ultimo rappresentante di una famiglia di produttori di un amaro di qualità, abbastanza conosciuto ma non facile da trovare man mano che si scende l’Italia da Nord a Sud. È l’Amaro Bràulio, un prodotto simbolo della Valtellina, un marchio passato di proprietà alla CAMPARI nel 1996. Quest’amaro valtellinese è fatto ancora secondo la ricetta originale e segreta inventata nel 1875 dal bisnonno farmacista di Edoardo, FRANCESCO PELONI, che chiamò questo elisir digestivo col nome del monte Braulio (2.980 metri slm), poiché alla base del prodotto c’è un mix di erbe che venivano raccolte su quest’alta montagna, opposta al massiccio dello Stelvio, quasi al confine con la Svizzera. Negli anni ‘60 le attività di famiglia si divisero: ad alcuni andò la farmacia mentre il padre di Edoardo, Egidio, rilevò la produzione dei liquori. L’azienda oggi diretta da Edoardo si trova nel centro storico di Bormio, lungo via Roma, nel cuore dell’isola pedonale. Organizzata su 5 piani, l’azienda del Bràulio è organizzata in tre aree: le cantine storiche ottocentesche, la zona di produzione degli anni ‘70 e la zona ampliata del 2017. Fino al 2016, infatti, la produzione d’amaro Bràulio ammontava a 700.000 litri l’anno; già nel 2017, era cresciuta con i nuovi impianti a 1,1 milioni di litri. Nel DOARDO
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La ricetta originale di questo amaro tipico valtellinese risale al 1875 e fu ideata da Francesco Peloni, farmacista e appassionato botanico di Bormio, dedito allo studio delle proprietà benefiche delle erbe locali. È un digestivo da servire freddo o a temperatura ambiente, talvolta come aperitivo con vino bianco 2018 ha raggiunto 1,3 milioni di litri. «L’obiettivo — ci dice il proprietario — è di raggiungere nel 2022 il potenziale di oltre 2 milioni di litri. Perché questo ampliamento? Abbiamo il problema di soddisfare la domanda. Non c’è abbastanza prodotto, quasi tutto è assorbito dal Nord Italia». Sono solo 4 le erbe note utilizzate nell’amaro e cioè: la radice di genziana, l’achillea moscata (erba spontanea che cresce sopra i 2.000 metri), le bacche di ginepro e l’assenzio maggiore. La ricetta prevede un mix segreto con una base di erbe spontanee alpine. Queste vanno in infusione idroalcolica per 30 giorni in serbatoi d’acciaio: alcol puro e acqua delle sorgenti di Bormio. Nella fase successiva, le erbe sono torchiate e vengono estratti l’acqua e alcol assorbiti; tutto il liquido confluisce quindi in serbatoi di miscelazione al piano inferiore, dove sono aggiunti dolcificanti e colorante, cioè zucchero e caramello. Comincia
quindi la fase d’invecchiamento in botti di rovere di Slavonia d’età diversa, da quelle ottocentesche alle botti più recenti di nuova generazione: con un gioco di rincalzi tra le botti l’amaro viene reso omogeneo nel sapore. L’azienda produce due tipi di Amaro Bràulio: il Classico e la Riserva. Il primo rappresenta il 90% della produzione, ha 21 gradi alcol, fa minimo 15 mesi di botte e ha una filtrazione sotto lo zero. Il secondo, 10% della produzione, ha un grado alcol del 24,7%, fa minimo 24 mesi di legno e ha una filtrazione sopra lo zero. L’imbottigliamento avviene a Canale d’Alba (CN) negli stabilimenti della Campari. Massimiliano Rella Nota A pagina 130, bottiglie di amaro Bràulio Classico e Riserva nel negozio Bràulio nel centro di Bormio (SO); photo © Massimiliano Rella.
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Roteglia 1848: un amor di distilleria di Federica Cornia
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Sassuolino Roteglia 1848, uno dei liquori prodotti artigianalmente dalla nuova gestione dello storico opificio su ricette tramandate da generazioni.
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arò spesso qui, mi riposerò, ma conserverò come mia attività la distilleria collegata, che si trova in via Mazzini, e di quella continuerò ad occuparmi. Il mio obiettivo, però, sarebbe trovare un giovane a cui insegnare il mestiere e, un giorno, lasciare anche questa attività a chi può portarla avanti. Ma ci vuole qualcuno desideroso di imparare». Siamo a Sassuolo, in provincia di Modena, paese noto principalmente per la produzione della ceramica e delle piastrelle. A parlare è LORENZO ROTEGLIA, titolare della Drogheria Roteglia, storico negozio di piazza Garibaldi con oltre 170 anni di storia alle spalle. Dopo 58 anni di attività, Lorenzo è pronto a lasciare il lavoro. È il dicembre del 2016. Con l’anno nuovo sarà il figlio ROBERTO a portare avanti la Drogheria, quarta generazione di Roteglia a prendere in mano il negozio più antico del comune. Fondato nel 1848 da una famiglia svizzera, i MUGGIA, arrivati dal Cantone dei Grigioni in fuga dai moti del ‘48, il negozio viene venduto ad EMILIO ROTEGLIA dai fratelli FILIPPO e UMBERTO MARAZZI, prima che uno dei due decidesse di dedicarsi all’industria ceramica, dando vita ad uno dei Gruppi più importanti del comparto. Con mille lire, nel 1927 Emilio Roteglia acquista drogheria e distilleria. Sassolino e nocino, liquori tipici, e un’offerta di infusi alcolici e bagne da dolci: con questi prodotti la distilleria diventa presto famosa, in un’epoca dove ancora si poteva distillare nel centro cittadino e in cui a Sassuolo si contavano diverse distillerie, poco distanti l’una dall’altra. Quando per legge la fase di distillazione viene vietata nei centri cittadini per la sua pericolosità, solo i Roteglia decidono di non trasferirsi e di dedicarsi alla preparazione in infusione
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dei liquori nel laboratorio proprio dietro alla drogheria. Collegate tra loro da un passaggio interno al palazzo, le due anime dei Roteglia vivono in simbiosi passando di padre in figlio: da Emilio a Gilberto, da Gilberto a Lorenzo, da Lorenzo a Roberto. Poi il cruccio di Lorenzo: a chi lasciare l’eredità del laboratorio di infusione? Negli anni riceve diverse interessanti proposte che però declina tutte fermamente: la paura è che i più siano interessati solo al nome, molto noto soprattutto negli anni ‘90 a livello nazionale (erano circa una ventina allora i dipendenti), senza però rispettare l’anima artigianale dell’attività. Poi succede qualcosa di inatteso: l’incontro di Lorenzo con alcuni ragazzi. Nessuno di loro è un esperto del settore, ma tutti sono di Sassuolo, tutti sono innamorati del proprio paese e del proprio territorio, della sua storia e delle sue tradizioni. Nasce così ROTEGLIA 1848, la società che ha rilevato l’antica distilleria di via Mazzini e che oggi ne porta avanti l’attività sotto l’ala protettrice di Lorenzo, che dall’alto della sua esperienza di liquorista ha passato loro le ricette originali e dispensa consigli sull’operare artigiano. Noi abbiamo parlato con FRANCESCA RIVI, anima vocata alla comunicazione, cosa di cui si occupa anche per Roteglia 1848, e ANDREA SILVESTRI, che realizza i liquori dalle ricette scritte a mano da Lorenzo, col quale lo scambio e il dialogo sono continui. «Il nostro è stato un atto d’amore. Non ho un modo diverso per definirlo» dice Francesca. Giovane e vivace, è anche assaggiatrice ONAV, ha un pallino per ciò che è buono e le piace promuoverlo. «Questa bottega è legata alla nostra storia personale e a quella del territorio. Tutti hanno ricordi legati alla propria infanzia, come Federica Baccarini, nostra socia, che dal negozio di sua madre, adiacente la drogheria, tutti i pomeriggi andava a comprare le caramelle sfuse. Inoltre, in pochissimi oggi sanno che lì dietro c’è il nostro piccolo opificio, uno scrigno di sapori e saperi che, una volta scoperto, ci ha rapito il cuore». Dentro e fuori il laboratorio è uno spettacolo: tutto sembra fermo al 1848. Tra scaffalature, pavimenti, arredi, solo una piccola parte è cambiata nel tempo. Un vero patrimonio storico e culturale
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In alto: ricotta e Sassovo. In basso: cocktail “Apemaia”, realizzato con Sassovo e liquore al Caffè. che ha trovato chi, con grande passione, è pronto a scommettere su parte dell’attività. Così i liquori passano di nuovo in drogheria direttamente dal laboratorio in via Mazzini. E non solo, perché, per fare di un brand un’attività produttiva, i ragazzi stanno ricostruendo una rete commerciale in cui il loro prodotto incontra chi condivide la stessa filosofia che anima il loro lavoro, ovvero investire tempo, dedicare cura e attenzione alla selezione delle materie prime e ai processi produttivi. Tutto per ottenere liquori genuini, nel pieno rispetto del consumatore. «Oggi il nostro obiettivo è riportare in auge qualcosa che lentamente è stato un po’ dimenticato, qual-
cosa che pensiamo si possa utilizzare diversamente rispetto all’uso classico nella pasticceria». Per Andrea, che viene da una famiglia legata alla tradizione contadina e alla produzione artigianale, è stato abbastanza facile mettersi all’opera ed entrare in sintonia con Lorenzo Roteglia. Si anima d’orgoglio quando ci parla del suo lavoro qui. «Abbiamo due linee di prodotti: i Liquori per Pasticceria, quali Sassolino, Alchermes, Mandorla, Misto Pasticceria e Aromatizzato al Rum. Il formato delle bottiglie è da 2 litri. Poi c’è la linea dei Liquori da Bere. Il prodotto di punta è il Sassuolino. Sì, hai capito bene, Sassuolino, proprio con la U. La famiglia Roteglia aveva intuito la potenzialità del
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Degustazione di ricotta e cioccolato con fialette ripiene di Alchermes e Nocino Roteglia 1848. Sassolino, che non nasce come liquore da pasticceria, ma come liquore da beva dei cadetti dell’Accademia di Modena. Poi è passato a liquore da pasticceria, usato soprattutto nella torta di riso e nella torta di tagliatelle. Il padre di Lorenzo prese la ricetta del Sassolino, mise alcune botaniche in più e aggiunse una U al nome per differenziarlo dal liquore già noto, che ha una gradazione diversa, più bassa. Il Sassuolino, se paragonato alla Sambuca, è un liquore importante, che si abbina bene al caffè, si può bere con un cubetto di ghiaccio, on the rocks, o liscio. Ha un sacco di potenzialità e chi lo sente lo riconosce. Un altro nostro cavallo di battaglia è il Nocino. Sassolino e nocino sono tipici di questa zona. Lorenzo Roteglia spesso mostrava con orgoglio come alle voci Sassolino e Nocino dell’Enciclopedia TRECCANI fosse scritto che sono liquori originari di Sassuolo. Dopo questi due classici abbiamo inserito altri liquori che si facevano una volta, tipo il Sassovo, un liquore all’uovo con latte fresco e marsala, la Liquirizia, il liquore al Caffè». In cantiere ci sono tre prodotti nuovi: la Grappa Sangiorgio, invecchiata in barrique 12 mesi, altro omaggio al territorio, un gin e l’Al-qirmiz, nome storico dell’Alchermes.
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Andrea tira fuori un libro, un testo vecchio e ingiallito sull’attività del liquorista: «quello che funzionava 150 anni fa funziona tutt’ora, anche perché le ricette sono fatte con le botaniche, che è quello che cerchiamo noi. Pochi aromi, piante e spezie da lasciare in macerazione. E l’Al-qirmiz è l’apoteosi in questo senso perché è un’esplosione di aromi: cannella, macis, fiori di garofano si ritrovano nel liquore rosso, colore che gli viene dato dal rosso della cocciniglia». Come gli altri liquori lo hanno testato abbinato al polpo, nello show-cooking organizzato con lo chef FRANCESCO MISELLI nella piccola corte che si apre tra la drogheria e il laboratorio. In menu anche un Risotto al Sassuolino e Parmigiano Reggiano con Nocino. E non è finita qui. Perché i ragazzi dell’opificio Roteglia 1848 organizzano anche degustazioni dei liquori abbinati a formaggi, per lo più di produzione locale. L’idea è di Francesca, che da sempre è affascinata dal discorso degli abbinamenti tra cibo e vino. Allora perché non tentare con i liquori? Se il nocino si accompagna al Parmigiano Reggiano, il Sassuolino, abbastanza dolce, morbido e rotondo si sposa bene con un formaggio dal gusto forte, sapido e salato. Di solito si parte dalla ricotta di mucca abbinata
a Sassovo, Sassuolino, liquore al Caffè e Alchermes. «È piaciuta veramente tanto — dice Francesca — così come la formula divertente di presentazione della degustazione: i liquori sono contenuti in piccole fialette da premere che permettono a ciascuno di giocare con gli abbinamenti come vuole. Quest’estate, con un formaggio francese a pasta dura come il Comté, abbinato al Nocino, e un erborinato di capra abbinato al Sassuolino, abbiamo ottenuto l’effetto WOW che speravamo». Nella degustazione “Tavolozza dei sapori”, le fialette si accompagnano a ricotta e a cioccolato di tre tipi: al latte, fondente ed extrafondente. Il gioco è sempre quello, abbinare: cioccolato fondente e Liquirizia o Nocino, cioccolato al latte e Sassovo. D’estate, spunta la serata cocktail, dove a ricette note si miscelano i liquori di Roteglia 1848: la liquirizia è protagonista di La Calabrese a Cuba, un cocktail che è la rivisitazione del ben più noto Black mojito; nell’Americano, base Vermut, entra l’Alchermes; con Sassovo e Caffè si prepara l’Apemaia, più adatto alla stagione fredda. Al momento i liquori Roteglia 1848 non si trovano in GDO. «Non ci interessa» precisa Andrea. «Non siamo strutturati per questo mercato e non vogliamo farlo. La nostra clientela è legata al settore HO.RE.CA: bar, ristoranti, enoteche». Per l’estero il discorso è complicato da burocrazia e accise ed è prematuro anche solo pensarci. L’obiettivo per ora è crearsi una fetta di mercato con un prodotto di nicchia. Per questo guardano a fiere come Taste a Firenze. Di fatto è da un anno che sono attivi e sono tante le cose da fare. La voglia c’è, l’entusiasmo anche. Nonostante le mille difficoltà. «Non eravamo consapevoli di tante cose tranne del tanto lavoro» mi dice Andrea con un sorriso. Nell’aria intanto, tra le varie novità, aleggia una collaborazione degna di nota, e di cui vanno orgogliosi, con VALTER TAGLIAZUCCHI, patron della Pasticceria del Giamberlano di Pavullo (MO), a cui il Nocino Roteglia 1848 è piaciuto e che finirà nei suoi panettoni. Federica Cornia
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BOLOGNA
2020
16a edizione
15-16 GENNAIO
an event by
with the patronage of
www.marca.bolognaямБere.it COMITATO TECNICO SCIENTIFICO MARCA 2020
PASTA
Visvita, la ricchezza dei grani antichi nel piatto di Gian Omar Bison
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e sono passati di anni dal celeberrimo Maccarone... m’hai provocato e io te distruggo di ALBERTO SORDI alias NANDO MERICONI nel film Un Americano a Roma (STENO, 1954). Un vero inno alla pasta italiana, alla nostra dieta popolare che aveva nella pastasciutta il piatto della soddisfazione e dell’emancipazione dalla fame, quella vera, esistenziale. Quella che ostentava TOTÒ in Miseria e nobiltà (MARIO MATTIOLI, 1954) mentre si ingozzava di spaghetti afferrati direttamente con le mani. Perché c’è pasta e pasta e oggi, decenni dopo La Grande Abbuffata, J’accuse di MARCO FERRERI (1973) a raccontare gli eccessi smisurati ed ossessivi, compulsivi della gola e del consumismo, si ritorna alle origini. Alla nutrizione attenta e salutistica per quanto possibile. Alla pasta integrale, ad esempio, e alle varietà cerealicole antiche ed autoctone. Una fetta sempre
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più importante di mercato, in crescita, che solletica non più solo i fanatici dell’alimentazione bio e gli esperti del gluten free, ma anche i gourmet rapiti dalla piacevolezza delle farine più saporite e rustiche, dei grani macinati a pietra, delle paste slow che chiedono lentezza di impasto e di essiccazione. VISVITA (www.visvita.it), start up di San Martino di Lupari (PD) di CRISTINA ANDRETTA, cerca questo: soddisfazione organolettica e nutrizionale producendo pasta di alta qualità, pietanza largamente consumata in famiglia. «Abbiamo aperto nel 2017, ma faccio pasta da otto anni. Il tutto è iniziato nella cucina di casa quando il consumo di pasta bianca convenzionale iniziò a darci dei problemi: pancia gonfia, sonnolenza, dermatiti addirittura. Avessimo o meno scoperto di avere delle intolleranze, ho pensato bene con mio marito NICOLA di approfondire l’argomento. E da
appassionata di cucina ho acquistato una piccola macchina professionale da un chilo di pasta all’ora senza pensare di farne un’impresa. Capito che il problema erano le farine, ci siamo approcciati al prodotto biologico e macinato a pietra. Un modo diverso di nutrirsi e stavamo bene». Dopo il primo esordio imprenditoriale Andretta si mette in proprio, acquista e sistema un capannone per avviare un laboratorio artigianale di pasta e nasce Visvita. «Collaboriamo con un molino a pietra della zona di Vicenza. Ma il mio lavoro — puntualizza Cristina — inizia dalla terra, dalla collaborazione con le aziende agricole. Proprio in questo periodo di semine stiamo collaborando con aziende del Padovano (San Giorgio in Bosco e Trebaseleghe) per coltivare varietà di grano che abbiamo selezionato noi. Li abbiamo provati e testati lavorandone piccole quantità. La nostra
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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le piĂš importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre piĂš all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.
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«Vogliamo una pasta vitale, genuina, nutriente», dice Cristina Andretta, titolare col marito Nicola di Visvita, giovane pastificio artigianale padovano. Per la loro pasta solo cereali italiani macinati con mulini a pietra per una farina più ricca di vitamine di tipo A, B, e D, minerali, come ferro, potassio e selenio, elementi indispensabili per una dieta equilibrata
Nella pastificazione di Visvita vengono rispettati tutti gli elementi presenti nel chicco, primo fra tutti il germe del grano. Grazie alle lente lavorazioni e alla essiccazione a bassa temperatura, esso non viene danneggiato.
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preferenza ricade sui cereali antichi perché sono varietà più predisposte alla tipologia di lavoro che facciamo e al prodotto che vogliamo offrire». Si spazia dal grano duro Senatore Cappelli integrale al farro monococco integrale passando per il grano duro Perciasacchi integrale, varietà antica siciliana, della famiglia del Khorasan. «È poi fondamentale la macina a pietra, che ci permette di avere un prodotto vivo, da qui il nostro nome Visvita: partendo dal chicco e rispettandolo abbiamo la vitalità che questo prodotto dona e mantiene. I grani antichi sono più ricchi di principi nutrizionali, vitamine, proteine e di oli essenziali che macinando a pietra riusciamo a preservare data la maggiore presenza del germe del grano e della crusca. Cerchiamo di preservare inalterate le proprietà intrinseche della materia prima». Ma secondo Cristina Andretta è anche una questione di sapore. «Dico sempre che la nostra pasta crea dipendenza e chi la prova difficilmente torna indietro. È un cibo più completo che non necessita di un sugo particolare per acquisire sapore». La produzione appena partita sta crescendo esponenzialmente. «Con gli attuali impianti riusciremo a lavorare 500 quintali l’anno circa di cereali. Ma andiamo con calma, per poter gestire artigianalmente i processi produttivi di sempre. Ad esempio, il nostro prodotto
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per essere essiccato viene “coccolato” per un giorno e mezzo a temperatura ambiente: non vogliamo certo affrettare i tempi o aumentare la temperatura! Il processo resterà sempre lo stesso. Eventualmente, per crescere, aggiungeremo un armadio di essiccazione. E poi io amo essere sempre lì a seguire passo dopo passo il processo di produzione. Nel nostro prodotto ci saranno sempre la penna o il fusillo imperfetti: non è un requisito fondamentale come invece lo è per l’industria». Mese dopo mese, intanto, aumenta l’impegno per costruire una rete commerciale e distributiva adeguata. «Partecipiamo alle fiere di settore, agli eventi della zona e un po’ alla volta vogliamo farci conoscere. Stiamo spaziando in tutto il Nord Italia, evitando la Grande Distribuzione: essendo un’azienda che non ha un passato, il cliente che arriva di corsa al supermercato e acquista frettolosamente non avrebbe tempo di leggere le informazioni sulla confezione e quindi di capire i valori che stanno alla base del nostro lavoro. La scelta diverrebbe svilente.
Ci cercano piccole gastronomie, fruttivendoli, macellerie e piccole botteghe alimentari che hanno corner di produzioni territoriali e di qualità. E sul web è attivo l’e-commerce». In Visvita si pensa anche al sociale e da qui nasce il rapporto con la comunità “Banda Bassotti”, presso la casa circondariale di Verbania. «Si definiscono “un gruppo di lavoro impegnato a costruire ed offrire, a persone che vivono situazioni di marginalità e svantaggio, opportunità e spazi in cui esprimersi, favorendo la scoperta e la valorizzare del loro potenziale”. Io darò loro delle farine e loro mi restituiranno prodotto finito». La comunicazione salutistica? «La facciamo. Si nota da parte del consumatore una sensibilità e una ricerca di prodotti specifici e questa è proprio una delle cose che ci danno i grani antichi, come un picco glicemico molto più basso, essendo al contempo più nutriente ed energizzante. Noi vogliamo aiutare ad accrescere la cultura della nutrizione non solo del mangiare, con corsi ed incontri didattici coi bambini delle scuole dell’infanzia e della primaria,
Nicola e Cristina Andretta. per far capire perché la nostra pasta, nonostante sia un po’ più abbronzata, sia comunque buona». Gian Omar Bison Nota A pagina 136, fusilli di grano duro.
TECNOLOGIE
CSB BASIC ERP: la soluzione chiavi in mano per il settore Alimenti & Bevande I consulenti del gruppo CSB-System sono i partner giusti per accompagnare le aziende del settore verso le trasformazioni organizzative e tecnologiche richieste dal mercato
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e piccole e medie imprese rappresentano la spina dorsale dell’economia e della società italiane. Sono amministrate da imprenditori che, con molta passione e grande ricchezza di idee, creano delle eccellenze. L’imprenditoria media determina, infatti, il maggior numero di posti di lavoro ed è da sempre un motore di crescita e di innovazione.
Queste aziende si differenziano dai grandi gruppi perché si lavora seguendo meno formalità. Tuttavia, i principi fondamentali che governano la gestione d’impresa, quali ad esempio l’ottimizzazione dei costi, l’adeguamento alle normative in tema di rintracciabilità e l’adempimento di tutte le richieste legislative in tema di etichettatura, sicurezza e trasparenza lungo l’intera filiera, sono
in realtà gli stessi sia per le grandi che per le piccole industrie. La necessità di reagire velocemente alle nuove richieste, provenienti sia dal mercato sia dal legislatore, è un dovere per chiunque voglia operare nel settore alimentare. In questo contesto un sistema ERP può essere di grosso aiuto. Per portare vantaggi reali, però, è necessario che sia tagliato perfettamente su misura per
Grazie al CSB BASIC ERP anche le piccole aziende potranno produrre in modo economicamente vantaggioso, tanto quanto multinazionali e gruppi aziendali.
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questo settore e possa coprire già nello standard tutti i processi più importanti. Perché scegliere il CSB BASIC ERP Il CSB BASIC ERP è pensato proprio per le piccole imprese del settore Alimenti & Bevande, che potranno così sfruttare la
competenza del gestionale CSB-System in una soluzione di settore chiavi in mano. In questo modo si avvantaggeranno dei 40 anni di know-how del gruppo CSB-System, acquisito grazie a oltre mille installazioni e modernissime tecnologie software. La possibilità di accedere comodamente a processi
di Best Practice, che includono tutte le richieste del settore e del mercato, consentirà maggiore efficienza e qualità nei processi aziendali. Grazie al CSB BASIC ERP anche le piccole aziende potranno produrre in modo economicamente vantaggioso, tanto quanto multinazionali e gruppi aziendali.
Grafico 1 – CSB BASIC ERP contiene le specifiche di tutti i settori alimentari
Grafico 2 – Interfacce standard per CSB BASIC ERP
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Anche nell’era dell’Industria 4.0 il sistema ERP mantiene il ruolo di colonna portante tecnico-informatica dell’azienda. Il gruppo CSB-System offre soluzioni ERP per aziende di ogni grandezza e tipo. Oltre al CSB BASIC ERP vi sono: • CSB Industry ERP, consigliato alle aziende del settore Alimenti & Bevande alla ricerca di una soluzione completa per l’azienda, che contempli quindi anche controllo Qualità, contabilità generale e industriale, cespiti, archiviazione documentale, rilevazione presenze, business intelligence e molto altro; • CSB Factory ERP, tagliato su misura per l’ottimizzazione dei processi produttivi; è quindi perfetto per la gestione degli stabilimenti produttivi di multinazionali e gruppi aziendali che impiegano già un ERP di gruppo.
Tutti i più importanti processi e specifiche di settore nello standard Ottimizzazione dell’acquisto di materie prime, efficientissimi processi produttivi e di stoccaggio, scambio dati elettronico con clienti e partner commerciali, elevato servizio ai clienti, adempimento di tutte le richieste legislative e garanzia di qualità e trasparenza dei prodotti: con il CSB BASIC ERP è possibile. In un’unica soluzione, attraverso semplici soluzioni modulari (Grafico 1). Integrazione del CSB BASIC ERP facile e sicura Il CSB BASIC ERP interagisce senza soluzione di continuità con l’hardware presente in azienda, con il software di contabilità, con il mercato e con i clienti. Questa soluzione si integra completamente con il minor numero possibile di interfacce standard. Si ottiene così trasparenza e un’ottimizzazione costante dei processi. I punti deboli sono rapidamente riconosciuti, l’efficienza dei processi incrementata e i costi significativamente ridotti (Grafico 2). Il collegamento di flusso di informazioni e materiali nei processi di produzione consente così di sfruttare potenziali di efficienza rimasti inutilizzati e di porre le basi per una crescita futura. Maggiore trasparenza ed efficienza Tutte le aree e tutti i processi aziendali, l’intera logistica e le periferiche vengono integrate in un unico sistema con una base dati unitaria che, evitando sovrapposizioni, punta alla gestione dell’intera azienda e non a singole funzioni isolate. Il CSB BASIC ERP si
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implementa rapidamente e con una spesa minima. Può essere comodamente utilizzato in cloud, riducendo così sprechi e spese per l’infrastruttura IT. Saranno i consulenti CSB ad occuparsi di tutti gli aspetti tecnici, come backup dei dati, manutenzione e update dei sistemi. Non ci saranno più costose programmazioni ad hoc e difficoltosi adeguamenti del vecchio sistema. CSB BASIC ERP conviene CSB BASIC ERP, con la sua costruzione modulare, è estremamente flessibile e cresce insieme all’azienda, secondo modalità e tempi liberamente definiti dalla direzione, fino a passare al CSB INDUSTRY ERP. I consulenti del gruppo CSB-System sono i partner giusti per accompagnare le aziende del settore alimentare verso le trasformazioni organizzative e tecnologiche richieste dal mercato.
Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
STORIA E CULTURA
Crudo di Cuneo Dop: due soli storici ingredienti e tanto savoir-faire Due elementi storicamente legati a doppio filo al territorio del Cuneese, cosce suine e sale marino, cui si aggiungono un micro-ambiente ideale alla stagionatura dei prosciutti e la grande capacità artigianale dei norcini durante tutte le fasi di produzione: così nasce il prosciutto crudo di Cuneo a registrazione da parte dell’Unione Europea di una Denominazione Protetta presuppone che le qualità e le caratteristiche del prodotto oggetto della domanda siano dovute essenzialmente o esclusivamente ad uno specifico ambiente geografico e ai suoi intrinseci fattori naturali e umani, oltre che le fasi
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del processo produttivo avvengano totalmente nella zona geografica delimitata. Il rispetto dei requisiti fissati dalla UE deve essere documentato e dimostrato, anche per la sua storicità, dall’organizzazione che presenta in sede UE la domanda di registrazione. Così è naturalmente anche nel caso del Crudo di Cuneo DOP, la cui area di produzione
dispone, fin dai secoli passati, dei due ingredienti alla base del prosciutto: le cosce suine e il sale marino per poterle asciugare e conservare. Due elementi ai quali si aggiungono poi due fattori molto importanti per ottenere un prodotto di alta qualità: il micro-ambiente idoneo alla stagionatura e il savoir faire dei norcini che ne curano la realizzazione.
Il prosciutto crudo di Cuneo Dop è tra i salumi più naturali che si possano trovare in commercio: per la sua produzione vengono infatti utilizzati due soli ingredienti, le cosce suine e il sale marino (photo © langhe.net).
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L’allevamento dei maiali I suini utilizzati per la produzione del Crudo di Cuneo devono essere nati, allevati e macellati nell’area di produzione definita dal Disciplinare. Il Cuneese è noto per essere da secoli un’area ricca di boschi di querce e di castagni, nel cui sottobosco avveniva l’allevamento dei maiali. Durante il Medioevo si trattava di suini con caratteristiche molto vicine al cinghiale allevati allo stato brado. Successivamente, con la domesticazione dell’animale selvatico e gli incroci con suini di provenienza orientale, i suini acquisirono sempre più le caratteristiche di quelli odierni. Questo territorio, quindi, sia nell’era medioevale che nell’era rinascimentale e in quella moderna, disponeva e dispone di grandi quantità di suini idonei alla trasformazione e conservazione delle loro carni per la produzione di salumi. Le “vie del sale” Per oltre mille anni il sale ha rappresentato per l’uomo uno dei beni più preziosi, tanto da essere definito “l’oro bianco”. Il sale, infatti, oltre ad essere importante per insaporire le pietanze, era fondamentale per conservare i prodotti alimentari e in particolare le carni. L’area del Cuneese ha da tempo immemorabile potuto disporre in abbondanza di sale grazie al fatto di essere al centro delle più importanti “vie del sale”, cioè i percorsi, le mulattiere e le strade sulle quali avveniva il trasporto delle
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Le vie del sale tra Piemonte e Liguria erano terre di passaggio di pastori, pellegrini, mulattieri, commercianti e viaggiatori che dal Ponente ligure e dalla Provenza raggiungevano, tramite i passi alpini, il Piemonte ed il Nord Europa, dando vita a fitte reti di scambi. Luoghi di transito, dunque, presidiati dalle molte torri di avvistamento disseminate sul territorio. Il territorio compreso tra le Alpi ed il Mar Ligure è caratterizzato da un ricco impianto culturale diffuso formato da chiese, monumenti, castelli, centri storici e palazzi d’epoca, “hospitali” cioè luoghi di sosta e di preghiera, nonché sentieri, mulattiere, passaggi.
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Maiali, sale e condizioni climatiche favorevoli per la stagionatura: elementi fondamentali per fare un ottimo prosciutto. Il Cuneese in particolare era attraversato da diverse “vie del sale” che dalla Costa azzurra conducevano al Piemonte
1/2) Buco di Viso o Buco delle Traversette. Si tratta di un tunnel non carrabile che collega l’Italia con la Francia, mettendo in comunicazione i territori comunali di Crissolo e Ristolas. È stato il primo traforo alpino della storia e rappresenta una delle più antiche opere di ingegneria civile realizzate in alta montagna. 3) Muli utilizzati per il trasporto delle merci. 4) Uomini al lavoro nelle saline.
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merci nei secoli passati. Attraversavano questo territorio, infatti, le più importanti vie del sale che dalla Costa azzurra conducevano al Piemonte e quindi alle grandi città di Torino e Milano. Nel Medioevo un’importante via del sale era rappresentata dal percorso che risaliva la regione del Queyras, nelle Hautes-Alpes, attraversava le Alpi al Colle dell’Agnello (2.748 m slm) e scendeva a Chianale in Valle Varaita. Documenti storici testimoniano che, nel 1385, erano impegnati cinquanta uomini e cinquanta muli per il trasporto del ferro proveniente dalle miniere di Bellino destinato alla Francia. Al ritorno del viaggio i muli trasportavano altre merci tra le quali appunto il sale. Una seconda antica via del sale era quella che, partendo da Hyères in Camargue, saliva all’interno della Provenza e raggiungeva il Cuneese attraverso il Col de Larche o Colle della Maddalena, per scendere nella Valle Stura di Demonte e raggiungere infine Cuneo. Una terza via del sale, molto importante nei secoli XV-XVII, era quella che seguiva la direttrice Valle del Guil – Valle Po, attraversando le Alpi al Colle delle Traversette (2.950 m slm). Questa via collegava all’epoca il Delfinato con il Marchesato di Saluzzo, tant’è che per migliorare la sua percorribilità LODOVICO II, marchese di Saluzzo, nel 1480 decise la realizzazione di un traforo, detto “Buco di Viso”, che risulta essere la prima galleria di attraversamento delle Alpi. Il traforo era lungo 110 m e consentiva ai muli di transitare carichi di merce.
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Caratteristiche del prosciutto crudo di Cuneo Dop Ad oggi, il prosciutto crudo di Cuneo Dop viene commercializzato quando raggiunge i 24 mesi di stagionatura (anche se il Disciplinare consentirebbe di commercializzarlo dopo un minimo di 10 mesi) ed evidenzia un peso compreso fra 8,5 e 12 kg a stagionatura ultimata; il colore al taglio deve essere rosso uniforme. La consistenza della parte magra esterna e di quella interna deve essere morbida e uniforme. Il grasso esterno visibile (grasso di copertura) deve essere di colore bianco o bianco tendente al rosa, compatto e non untuoso. L’aroma e il sapore al taglio deve essere fragrante, stagionato e dolce; il grasso interno deve essere di colore bianco e non troppo abbondante. Il grasso, alla puntatura, non deve presentare odore di rancido, né odore di latte, pesce, né altri odori anomali. La composizione chimica del magro in percentuale del muscolo bicipite femorale deve rispettare i seguenti limiti minimi e massimi: • sale, compreso fra 4,5 e 6,9; (l’attuale produzione evidenzia una percentuale di sale tra il 4,5% e il 4,8%), • umidità compresa fra 57 e 63; • proteolisi, compresa fra 22 e 31. La cotenna e le ossa devono essere integre, non devono comparire segni evidenti d’incrostazione, né rammollimenti anomali (assenza di anomalie esteriori). Caratteristiche organolettiche e gustative Il prosciutto Crudo di Cuneo Dop, alla degustazione, deve presentare le seguenti principali caratteristiche: • sapore dolce; • non avere sapore di carne fresca (la produzione attuale di prosciutti Crudo di Cuneo, portata ad oltre 24 mesi di stagionatura, supera di fatto questo difetto); • sapore di stagionato; • non avere sapore di acido, indice di eccessiva proteolisi; • avere una buona componente aromatica (sapore di nocciola).
Nel periodo di maggior traffico, transitavano su questa via oltre 2.500 muli carichi di merce ogni anno. Una quarta via, molto importante per l’area cuneese, era quella che univa Nizza a Cuneo, passando per Saint-Martin-Vésubie e scavalcando le Alpi con diversi percorsi. Il più utilizzato era il Colle di Finestra, a 2474 m slm. Ma esistevano due alternative, quella del Col Ciriegia (2443 m slm) e quella del Passo di Pagarì (2819 m slm), per scendere in Valle Gesso e raggiungere Cuneo. Nel 1453 venne costruita una nuova via che partiva da Nizza, saliva fino al Passo di Pagarì e scendeva ad
Entracque per raggiungere Cuneo. Questa via fu chiamata Pagarina, in quanto voluta e finanziata da PAGARINO DEL POZZO. Nel 1581 la Contea di Tenda entrava a far parte di Casa Savoia e l’intensificarsi del traffico commerciale indusse i governanti a costruire un nuovo percorso che consentiva di raggiungere tramite il Colle di Tenda la città di Cuneo evitando i colli del Brans e del Bruy. Tale nuova mulattiera fu conclusa nel 1643. Più tardi, furono aperte nuove vie per il trasporto del sale e delle merci nell’ottica di individuare percorsi più
Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale – FEASR L’Europa investe nelle zone Rurali. Pagina promozionale realizzata con il contributo dell’Unione Europea e della Regione Piemonte. Programma di sviluppo Rurale 2014-2020 Misura 3.2 – Bando 1/B.2017
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agevoli ed evitare di pagare costose “gabelle” ai potentati locali. Tra queste, quella che segue il percorso dell’attuale Ventimiglia-Cuneo. La mulattiera risaliva la Valle Roja, per congiungersi alla via che giungeva da Nizza, transitava al Colle di Tenda e scendeva a Cuneo. Nel 1780 il DUCA VITTORIO AMEDEO III decise di migliorare la percorribilità della via del Colle di Tenda rendendola carrozzabile. Altra via storica era la Marenca che da Imperia risaliva la Valle Impero per raggiungere Pieve di Teco, poi il Colle di Nava, scendere a Garessio e quindi raggiungere Mondovì. Bibliografia • Autori vari (2005), Relazione storica del Consorzio di Tutela e Promozione del prosciutto crudo di Cuneo. • Le vie del sale. Una storia culturale ed economica millenaria (2013), Documentario prodotto da ALPMED – Le Camere di Commercio dell’Euroregione Alpi Mediterraneo, Artic Video Production Cuneo edizioni.
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SONO 180 GRAMMI, LASCIO? Risvegliarsi dopo l’11 settembre nel Meatpacking District
Turn On The Bright Lights, Interpol di Giovanni Papalato “Shhhh C’mon, c’mon Hey, my best friend’s a butcher, he has sixteen knives He carries them all over the town at least he tries — oh look, it stopped snowing My best friend’s from Poland and, oh, he has a beard But they caught him with his case in a public place, that is what we had feared” Interpol, Turn On The Bright Lights
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ono versi da Roland, un brano da Turn On The Bright Lights, l’esordio di INTERPOL. Racconta di un assassino, un macellaio che porta con sé i suoi coltelli e che, forse girando nell’attuale Meatpacking District, un tempo conosciuto come La macelleria di New York, viene fermato e scoperto. Il motivo? Perché non si può girare con coltelli in posti pubblici nella metropoli statunitense post 11 settembre 2001. È trascorso quasi un anno quando viene pubblicato questo album, che fin dal titolo vuole raccontare, attraverso il personale, il tentativo di reagire di una città e della sua gente. Non ci sono riferimenti politici, né rabbia verso qualcosa o qualcuno, ma solo il desiderio di rilasciare il dolore ed esprimere il ritorno alla normalità, anche se in fondo si sa che è impossibile. Sezione ritmica e chitarre che affilate sottraggono e completano, con la voce di PAUL BANKS che è una medicina che non vuoi mandare giù, ma sai essere necessaria. Come un risveglio, cresce tra le melodia di chitarre che prima 148
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suonano come tastiere poi arrivano ad urlare prima di assopirsi, untitled. Non potrebbe avere titolo migliore per aprire l’album, alla luce di quello che abbiamo detto fino ad ora. Obstacle 1 è una di quelle canzoni che ti entra in testa prima del ritornello e non se ne andrà mai più: ci sono echi di Joy Division, soprattutto nella drammaticità e nel baritono di Banks, ma è tutto il resto che la alza e la trasforma in una sorta di intimo inno. È nella sigla della loro città NYC che, pur essendo solo al terzo brano, tocchiamo uno dei vertici di questo disco: un po’ come dopo una sbronza, reggendosi a fatica in piedi ma comunque camminando, raggiungiamo un posto illuminato dove poter dire che ci siamo, che vogliamo un cambiamento, che ne abbiamo bisogno: “It’s up to me now, turn on the bright lights (got to be some more change in my life) New York cares Got to be some more change in my life New York cares Oh, it’s up to me now, turn on the bright lights (got to be some more change in my life) Got to be some more change in my life” Nemmeno un attimo per elaborare che parte la batteria di PDA, il secondo singolo veloce e solenne in cui troviamo altri riferimenti meno immediati della già citata band di Curtis: Sonic Youth,
Television, Chameleons e certi Wire. Tutto vero, ma i quattro newyorchesi sono capaci di una identità comunque forte e di una scrittura personale. Dopo cinque brani così importanti, Say Hello To Angels arriva a confermare senza stupire, anche se certe chitarre prima marziali e poi in levare lasciano il segno. È invece Hands Away a colpire. Torniamo alle atmosfere rarefatte di untitled ma ancora più minimali, senza perdere in consapevolezza. Tra brusii e synth il brano sterza e non può prescindere dall’urgenza. Un Lato A davvero importante, che già così ha preso spazio e si è insediato in chi ascolta. Girando il 33 giri è come se si volesse sottolineare una continuità con ciò che abbiamo appena lasciato, a partire dal titolo: in Obstacle 2 infatti ritroviamo determinate dinamiche ed è il basso a certi passaggi ritmici a guidarci per rimanerci impresso senza fatica alcuna. Un’inedita esperienza psichedelica, prima in un rimpiattino concentrico tra la sezione ritmica e la chitarra di DANIEL KESSLER che poi ad un certo punto riesce a liberarsi e danza prima di essere trascinata di nuovo giù. Stella Was A Driver And She Was Always Down: in questo come in altri brani, anche la voce di Banks contribuisce a comporre una sorta di tracciato che viene percorso collettivamente,
nel ripetere senza ossessione, ma con costanza, certe frasi, come un mantra. Roland desta dalla fascinazione con un schiaffo new wave e porta via, con in bocca un sapore aspro. Un inedito intro acustico ci porta a The New, che ha luce particolare, guidata dalla dolcezza del basso di Dengler, fino alla disarmonia di Kessler, che devia il corso del brano portandolo in territori opposti e contrari. L’epilogo è affidato a Leif Erikson che come una somma comprende e racchiude diverse espressioni emerse nella sequenza dei brani e racconta, tra bagliori, un mare di oscurità e intricate tessiture strumentali, il viaggio di una nave che si perde al largo nelle acque di New York. Turn On The Bright Lights è un disco importante, emozionale, che racconta di catarsi e risvegli, di smarrimento e disorientamento, di quella New York. È un debutto che emerge, sia in quel periodo ispirato e florido che sono stati i primi Duemila, discograficamente parlando, sia ora, in cui la musica è liquida ed effimera. Un album che vuole raccontare e lo fa con riferimenti al passato inequivocabili, ma con brani che hanno una potenza espressiva rara e indimenticabile. Giovanni Papalato Nota A pagina 148 photo © Lucio Pellacani.
Il Meatpacking District è un quartiere situato nella zona sud-ovest di Manhattan. Confina a nord con Chelsea, a sud e ad est con il Greenwich Village e ad ovest con il fiume Hudson. Conosciuto anche come Gansevoort Market, deve il suo nome agli stabilimenti di lavorazione della carne che, fino a non molti anni fa, affollavano il quartiere. Negli anni ‘60 l’area subì un declino che durò fino agli anni ‘80: era una zona industriale, epicentro del traffico di droga e della prostituzione. Alla fine degli anni ‘90 le cose cambiarono completamente. Una trasformazione che iniziò quando negozi e ristoranti alla moda, locali notturni e club esclusivi si insediarono in quest’area. Nel 2004 il Meatpacking District vinse il titolo di quartiere più trendy della città, pur rimanendo una zona “autentica”, grazie anche alla presenza di alcuni venditori di carne all’ingrosso. Un’attrazione speciale del District è rappresentata dall’High Line Park, un parco costruito su una vecchia linea ferroviaria soprelevata che offre vedute uniche della città dall’alto, circondati da piante e opere d’arte.
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LIBRI
Biografood: i libri delle Cesarine raccontano il cibo tra ricette e memorie di famiglia Disponibili i primi 6 volumi della collana Biografood, per scoprire che cosa si cela dietro i piatti della tradizione e per imparare a cucinarli
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ei più famosi romanzi della letteratura si parla spesso di cibo e all’arte culinaria sono dedicate pagine meravigliose: dalla celeberrima madeleine di PROUST a interi capitoli dell’Ulisse di JOYCE dedicati al palato carnivoro di LEOPOLD BLOOM, passando per la celebrazione della cucina, intesa come ambiente in cui si prepara il cibo e ci si riunisce per consumarlo, firmata da BANANA YOSHIMOTO nel suo Kitchen, per arrivare al patrimonio di ricette piccanti e spiritose condite di ironia, disseminate in Afrodita di ISABEL ALLENDE. Non c’è romanzo senza cibo o senza il racconto della preparazione di un piatto, di una cena al ristorante, di un caffè in un bar: cibo e letteratura sono sempre andati a braccetto grazie a parole da gustare che sanno di viaggi, di famiglia e di amore in tutte le sue forme, perché ogni storia ed ogni emozione sono legate a ricordi di tavole imbandite, di fornelli accesi, di profumi, di sapori e di aneddoti. Non semplici ricette, ma racconti che partono dalla vita, dalla casa, dalla cucina e arrivano al cuore del lettore come le Biografood, i libri de Le Cesarine, cuoche per passione e scrittrici per caso che hanno abbandonato temporaneamente i mestoli per raccontare la loro storia personale, in un percorso di vita costellato di sapori e di profumi mai dimenticati che nascono dall’infanzia e arrivano ai giorni nostri, per rievocare ricordi intimi e gioiosi che permettono di immergersi in usi e costumi tradizionali semplicemente leggendo le tappe della preparazione di un piatto. Un progetto editoriale che debutta con i
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primi 6 volumi — disponibili in formato ebook e cartaceo — a metà tra ricettari e biografie non convenzionali, creati per soddisfare l’appetito dei golosi e dei curiosi, ricchi di piatti semplici e tipici, che appartengono al territorio in cui sono nati, creati e cucinati, tramandati di generazione in generazione per essere tesoro di famiglia e continuare ad essere preparati e condivisi durante le festività ricorrenti come in ogni giorno. Ogni Cesarina, infatti, associa ai momenti salienti della sua vita un ricordo di gusto, legato a un’occasione o ad una persona cara, corredato dalla sua preziosa ricetta ripercorsa in tutti i suoi passaggi e termina con un capitolo speciale, “My walking route”, una mappa della città ricca di indirizzi imperdibili per costruire un percorso alternativo e autentico. Le Biografood sono acquistabili on-line cliccando su biografood.cesarine.it.
Chi sono le Cesarine Sono una rete di signore dislocate su tutto il territorio nazionale e selezionate da Home Food, un’associazione fondata nel 2004 con il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole e con la collaborazione dell’Università di Bologna. Ad oggi sono più di 600 le Cesarine (che un tempo era il nome comune dato alle massaie romagnole) che organizzano nelle loro case, in più di 120 città italiane, piccoli e grandi eventi culinari per deliziare il palato di coloro che sono alla ricerca di tradizioni culinarie spesso dimenticate. Vere e proprie custodi di un patrimonio enogastronomico sommerso, le Cesarine mettono la loro esperienza a disposizione degli ospiti per regalare un’esperienza autentica, all’insegna della qualità e del gusto. >> Link: cesarine.com
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Camminare la terra dei formaggi
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LBERTO MARCOMINI, giornalista e scrittore specializzato nei prodotti caseari, è soprannominato da tutti “Il Signore dei formaggi” per la sua trentennale attività nel ricchissimo ambito di questi derivati del latte (ha ottenuto il riconoscimento di “Chevalier et Maître Fromager” dalla Confrérie des Chevaliers du Taste Fromage de France ed è stato insignito del titolo di “Proud Homme” dalla Guilde Internationale des Fromagers). Ospite di trasmissioni RAI e Mediaset (oggi collabora con la rubrica del TG5 “Gusto”), sull’argomento ripercorre in questo libro 35 anni di professione lungo le vie dei più grandi formaggi italiani. Un racconto autobiografico che è insieme un resoconto di viaggio alla scoperta dei più preziosi formaggi del
nostro Paese. Così Marcomini: «Ogni viaggio intrapreso ha portato a nuove scoperte, che volevo condividere con tutti; ma l’indomani mi aspettava sempre un nuovo viaggio. E così continuavo a prendere appunti nel mio taccuino, e di taccuini ne ho riempiti molti in questo lungo tempo. Finalmente è giunto il momento di unire tutto in un vero libro che ho scandito fra racconti, episodi e storie di viaggio fra le regioni del nostro Paese». ALBERTO MARCOMINI Camminare la terra dei formaggi Diario di bordo di un maître fromager italiano Cinquesensi editore, 1919 Collana “Interferenze” 240 pp. – € 22,00 www.cinquesensi.it
Sensory Games: comunicazione del gusto ensory Games è il primo libro dedicato all’innovazione nella comunicazione frontale di cibi e bevande che offre tecniche e strumenti basati sulle scienze sensoriali per generare velocemente relazioni forti e positive. Con 27 giochi sensoriali codificati attraverso testi concisi e tutte le schede connesse che servono per realizzarli e operare nel mondo della comunicazione di persona mediata da cibi e bevande, il libro, realizzato dal Centro Studi Assaggiatori per i Narratori del gusto, è un utile manuale di supporto a tutti i professionisti della comunicazione e una divertente ludoteca per quanti sono alla ricerca del piacere. Ma non solo: vengono infatti anche spiegati
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i possibili campi di applicazione ovvero hospitality, eventi aziendali, vita al bar, fiere, circoli sportivi e ricreativi, attività con i bambini e altri ancora. Ecco la rivoluzione della comunicazione del gusto che trasforma gli incontri in eventi sensoriali, le presentazioni in gioco sensoriale e lo spettatore in protagonista. ISABELLA DELBARBA – CLAUDIA FERRETTI LUIGI ODELLO – ANNALISA MARIA RENZI MANUELA VIOLONI Sensory Games: il manuale della comunicazione innovativa Centro Studi Assaggiatori editore Collana a cura di LUIGI ODELLO 80 pp. – € 30,00 shop.assaggiatori.com 151
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