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Prodotti tipici La salsiccia di castrato ovino della Valcamonica Roberto Villa
Vellutata di patate con rafano, uova di quaglia e prosciutto croccante. La radice del rafano può essere grattugiata fresca oppure impiegata nella preparazione della salsa piccante cren. Regina della cucina triestina, in entrambi i casi presta molto bene ad accompagnare bolliti, carni arrosto o affettati (photo © cegli – stock.adobe.com).
Questo spiega perché ogni cucina ha il suo gusto amaro o piccante. Per il gusto amaro, nelle antiche culture dell’Africa vi è il caffè, in quella dell’Asia il tè e in quella dell’America la cioccolata. Per le spezie piccanti del passato in Asia vi è il pepe, in Asia e Africa la senape, in America il peperoncino, in Europa il rafano.
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Piacere della paura di cibo
Le conoscenze antropologiche spiegano come la nostra specie abbia iniziato a mangiare cibi dal sapore non gradevole, ma non ci dice come mai ci piacciono cibi che sono, in sostanza, dolorosi (spezie) o sgradevoli (amari) da mangiare. PAUL ROZIN1, che ha effettuato una serie di studi sul campo per capire cosa vi sia dietro il gusto apparentemente paradossale per il cibo piccante, conclude che nella ricerca e apprezzamento del piccante il dolore è parte essenziale del fenomeno ed entra nella misura nella quale le persone si spingono fi no ad un limite, ma senza superarlo. Questa “ricerca del limite” è spiegata dal fatto che nel cervello umano le aree del piacere e del dolore sono molto vicine e una volta entrate in funzione ne attivano altre, ha sede la coscienza superiore. Dunque, l’amore per il cibo piccante è la conseguenza di un’interazione tra le aree cerebrali che controllano il dolore, il piacere e la coscienza, ma, soprattutto, una conseguenza del rapporto tra questi tre elementi. In questa interazione, la sensazione di dolore e pericolo, confusa col piacere, si accompagna alla consapevolezza che in realtà il palato non sta andando a fuoco e che il tutto è sotto controllo, anzi è un segno di controllo. A tutto questo si aggiunge il fatto che la sensazione dolorosa sparisce rapidamente, dando origine al piacere di una guarigione, di una liberazione, di un sollievo. Una condizione che ricorda tra l’altro il piacere che si ha dopo una fatica.
Piacere delle mostarde piccanti
Anche per i cibi piccanti esistono dei limiti, diversi per ogni persona e a loro volta infl uenzati dalle abitudini alimentari, e il piacere che provocano giustifi ca la loro presenza e persistenza anche a livello culturale. Il controllo dei limiti dei cibi piccanti in ogni cultura è ottenuto attraverso tradizioni, spesso trasferite nelle ricette delle diverse preparazioni piccanti, loro associazioni con altri cibi e rituali d’uso, nei quali sono regolati dolore e piacere, paura e felicità.
Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
Nota
1. Il disgusto è un’emozione primaria, fa parte cioè di quelle risposte emotive innate (come gioia, rabbia, paura, tristezza) che hanno un ruolo importante ai fi ni dell’adattamento e della sopravvivenza. Il disgusto è stato analizzato nelle ricerche dello psicologo PAUL ROZIN che è considerato il “padre del disgusto” grazie alle sue approfondite ricerche riguardanti questa emozione [ROZIN P. (1992), Why we eat, why we eat it, and why we worry so much about it, Federation of Behavioural, Psychological and Cognitive Sciences, Science and Public Policy Seminars, Washington, D.C.: Federation of Behavioural, Psychological and Cognitive Sciences; (1997) Bulletin: The American Academy of Arts and Sciences, L (5), 26-48].
43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.
LA SALSICCIA DI CASTRATO OVINO DELLA VALCAMONICA
Dalle antiche popolazioni camune ai giorni nostri, un Prodotto Agroalimentare Tradizionale lombardo che ha attraversato i millenni
di Roberto Villa
La Valle Camonica è luogo abitato da decine di migliaia di anni, come testimoniano le note pitture rupestri di Capo di Ponte, sin dal 1955 tutelate grazie all’istituzione del Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri, primo parco archeologico italiano, per la tutela e la valorizzazione di uno dei più importanti complessi di rocce con incisioni preistoriche e protostoriche riconosciuto dall’UNESCO nel 1979 patrimonio mondiale dell’umanità come primo sito italiano iscritto. L’arte rupestre si sviluppò in Valle Camonica tra la fi ne del Paleolitico Superiore (tra 13.000 e 10.000 anni fa) e l’età del Ferro (I millennio a.C.), epoca di particolare fi oritura del fenomeno, che perdurò tuttavia anche dopo la conquista romana a partire dall’anno 16 a.C. e nei secoli successivi fi no al Medioevo. L’allevamento delle pecore è sempre stato particolarmente presente nella valle bresciana incuneata tra Trentino e Valtellina, come testimoniato da alcune delle pitture rupestri; oggi è tutelata come razza autoctona in via di estinzione la pecora di Corteno, caratterizzata da adulti di taglia media — le femmine presentano un’altezza media al garrese di 73 cm e un peso medio di 60 kg, mentre i maschi hanno un’altezza media di 77 cm ed un peso medio di 70 kg — con vello bianco, assenza di corna, capo con profi lo fronto-nasale moderatamente montonino ed orecchie
In alto: la salsiccia di Breno della Macelleria Pedersoli (photo © www.facebook.com/Macelleria-Pedersoli). A sinistra: i resti del castello di Breno in Valcamonica (photo © Daniele – stock.adobe.com).
pendenti. La gastronomia locale è ricca ancora oggi di ricette a base di carne di pecora: il cuz, uno spezzatino di pecora tradizionalmente preparato dai pastori dopo la transumanza; le salamelle con carne magra di pecora e grasso suino; il violino, coscia intera stagionata di pecora o di agnello; la slinzega, costituita da alcuni muscoli singoli della coscia (fesa, sottofesa, noce) o dalla spalla, salata e stagionata fi no ad assumere una consistenza ideale.
Descrizione del prodotto, ricetta e occasioni di consumo
È un insaccato fresco a base di carne di castrato ovino, completamente sgrassata allo scopo di togliere il sapore troppo deciso e macinata a grana fi nissima, conciata con sale, pepe, spezie, aglio, brodo di ossa e di carne ovina, conservanti. Alcune versioni più economiche prevedono in parte l’uso di carne suina o bovina, che però snatura la ricetta originale. Si insacca in budello naturale (fi lza grossa) con un diametro tra i sei e gli otto centimetri, legato a mano formando pezzi di lunghezza tra i venti e trenta centimetri con un solo nodo in testa e in coda. La carne proviene principalmente da pecore di razza gigante Bergamasca, diffusa in tutta la Valle Camonica come nell’intero arco alpino grazie alle sue caratteristiche di robustezza e rapidità di crescita.
Oltre ad essere inclusa nell’Elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali,