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Sapori mediterranei Mangiare con fi losofi a la cucina dei cinque elementi Massimiliano Rella

OCA IN ONTO, ESPRESSIONE DELLA PIÙ AUTENTICA CULTURA CONTADINA

Un animale oggetto di un rinnovato interesse, per merito di pochi artigiani che tentano di valorizzare le specifi cità gastronomiche delle sue carni, nel segno della migliore tradizione

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di Chiara Papotti

La storia dell’oca è testimonianza di trionfo e miseria. Nell’Antico Egitto era adorata come sacro messaggero di forze soprannaturali mentre a Roma, durante l’assedio da parte dei Galli, divenne simbolo di eroismo perché con le sue grida sventò l’assalto al Campidoglio.

Col passare dei secoli l’immagine dell’oca è cambiata radicalmente, la dimensione materiale è prevalsa su quella spirituale e l’animale diventato l’emblema della tradizione contadina per la sua eccezionale convenienza di sistema d’allevamento. Erbivoro per eccellenza, si procura il cibo in autonomia pascolando nei prati e cresce con una rapidità eccezionale: aumenta 45 volte il suo peso alla nascita in soli due mesi di vita (se questo accadesse ad un neonato signifi cherebbe raggiungere circa 150 kg nei primi 60 giorni).

Sono pochi gli animali generosi come le oche: le piume sono ideali per le imbottiture, il grasso è utilizzato per infi niti usi, le uova legano gli impasti dolci, il fegato è il massimo della raffi natezza gastronomica, mentre la carne è protagonista di ricette tipiche e base di salumi ricercati. Ciò che, tuttavia, merita la nostra attenzione è una preparazione ormai introvabile: “l’oca in onto”, riconosciuta come Presidio Slow Food da quasi vent’anni.

Tra le Province di Treviso, Vicenza e Padova si concentra l’area di produzione; i produttori sono cosa rara ed occupano un posto di nicchia nella fi liera

delle carni. L’oca è preparata per lo più ad uso familiare, qualche osteria la propone tra i piatti della tradizione; oggi solo due agriturismi allevano gli animali all’aperto e producono trasformati di oca, tra i quali anche quella in onto, con l’obiettivo di promuovere il recupero di questa interessante conserva.

Difficile trovarla in commercio, quella disponibile è ottenuta da carni di Bianca romagnola, perché le oche tradizionali venete sono pressoché scomparse. L’oca, infatti, non è di certo cibo di tutti i giorni. Anche nelle zone dove è tradizione allevarla, si cucina in poche occasioni.

Più diffuso è, invece, il consumo dei salumi d’oca, che costituiscono una peculiarità gastronomica per chi visita le località di produzione e una tradizionale abitudine per chi le vive. L’oca in pignatto, così è anche chiamato il Presidio nella sua zona di origine, è ottenuta dalle parti grasse dell’animale tagliate a pezzi. Le carni vengono lasciate riposare sotto sale per alcuni giorni, oppure vengono cotte con erbe aromatiche, aromi e vino rosso, quindi riposte in orci di terracotta o vetro.

Nella versione a crudo si alternano pezzi di carne a grasso d’oca fuso con foglie di alloro fresco, in quella cotta si completa l’ultimo strato con del grasso fuso e si procede a chiudere i contenitori ermeticamente. L’oca in onto è così pronta all’uso: si estrae dall’orcio la quantità desiderata e la si cuoce in una casseruola per servirla come sugo o secondo piatto.

Il consumo di carne d’oca si è diffuso prevalentemente sulle tavole dei poveri e la sua collocazione sociale ha pesato sul destino alimentare di questo animale sino ai giorni nostri: come cibo di sussistenza dei contadini, l’oca non ha potuto contare su una memoria scritta di ricette e, col passare degli anni e col mutare delle abitudini alimentari, ha fatto perdere le sue tracce nel panorama della cultura alimentare.

Le regioni settentrionali d’Italia sono da sempre quelle che si sono distinte nell’allevamento delle oche e ancora oggi detengono il primato. Pare che la sua diffusione abbia trovato origine dalla necessità delle antiche comunità ebraiche, insediatesi sul territorio, di trovare un’alternativa ai salumi di maiale, proibiti dalla loro religione.

In particolare, nelle campagne venete, si allevavano oche bigie o Pezzate grigie e bianche, soppiantate nel tempo dalle grandi romagnole bianche.

Le preparazioni ottenute dalla lavorazione delle oche sono, in genere, altamente energetici, caratteristica che, oggi, consiglia moderazione nel consumo.

Oltre all’alto contenuto di grassi, le carni offrono proteine pregiate, vita mina A e ferro, presente quest’ultimo in quantità decisamente superiori rispetto alle carni di pollo e di tacchino. Un alimento gustoso, nutriente e sano, a patto di non eccedere con il consumo. Andare alla scoperta dei sapori d’oca signifi ca entrare in un mondo che affonda le radici nel passato della più autentica tradizione contadina.

L’oca si abbina a diversi ingredienti: l’uso di accompagnarla a mele e altra frutta dal gusto acidulo è giustifi cato dalla necessità di equilibrare le note dolci del grasso.

L’oca in onto, in particolare, è servita con salsa di cren, accompagnata ad un buon vino rosso veneto, alle patate o alla peperonata, in ogni caso con la polenta.

A sinistra: le oche allevate a latte e miele dell’azienda agricola Littamé Michele e Luca di Sant’Urbano, Padova. In alto: oca in onto (photo © www.michelelittame.it).

Quella dell’oca in onto era una produzione invernale realizzata dalle donne di famiglia che occupavano i tempi morti della pausa stagionale per preparare conserve di cibo sostanziose da consumare in estate

Chiara Papotti

Viaggio in Calcidica, dallo chef Giorgos Palisidis

MANGIARE CON FILOSOFIA LA CUCINA DEI CINQUE ELEMENTI

di Massimiliano Rella

Picnic aristotelico con la cucina dei cinque elementi preparata dallo chef Giorgos Palisidis, su una collina del villaggio di Nikiti.

Mangiare con fi losofi a la cucina dei cinque elementi, consacrazione del cibo “intelligente”, cibo etico, sostenibile, meditato, quindi di qualità. Dalla terra del grande fi losofo nato a Stagira nel 384-83 a.C. arriva il Menu aristotelico, compendio di un’originale ricerca a ritroso condotta da GIORGOS PALISIDIS, chef e professore di “geogastronomia”, sulle materie prime e la cucina della Calcidica, penisola greca della Macedonia centrale facilmente memorabile per la sua forma a “tre dita”, corrispondenti poi ai territori di Cassandra, Sithonia e monte Athos.

Bagnata dal Mar Egeo, la Calcidica è una splendida terra quasi vergine a un’ora e mezzo d’auto da Salonicco. È qui che sorgono i monasteri proibiti alle donne, sul “dito” del monte Athos. Sithonia, invece, è il “dito” centrale: un territorio lungo che penetra in mare, lambito da acque cristalline e contornato da spiagge di sabbia fi ne e dorata e insenature rocciose.

Qui a Sithonia, in cima al villaggio di Nikiti, tra le piante di ulivi che si estendono a perdita d’occhio, abbiamo conosciuto Giorgos e sperimentato il suo menu aristotelico, preparato e cotto in diretta per noi e ispirato ai tempi e ai gusti del fi losofo Aristotele.

Allora non esistevano tutti i prodotti oggi conosciuti della Dieta Mediterranea. Non c’erano ad esempio i pomodori, i fagioli, le patate, le melanzane e tanti altri ingredienti introdotti nel corso della storia, dopo conquiste e scoperte di territori, popoli e culture.

Palisidis, però, attinge ora come allora ad un ampio paniere di materie prime di qualità, coltivate in una regione poco antropizzata, sicuramente turistica ma defi lata, dove si coltivano vigne, si allevano capre, si produce un fantastico miele, si raccolgono decine di erbe spontanee e frutti succosi e si spreme anche un ottimo extravergine d’oliva, come quello da cultivar autoctona Hondroelia del premiato produttore DIMITRI TSIKOURIS, dell’azienda Thallon (www.thallon.gr).

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