Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXI N. 6 Novembre-Dicembre 2019
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* in riferimento ai valori medi nutrizionali della Mortadella (fonte dati: CREA – Alimenti e Nutrizione)
AUGURI D’AUTORE
Giovanni Ballarini • Josette Baverez Blanco Elena Benedetti Raffaele Bertolini • Gian Omar Bison Gaia Borghi Stefania Chironi • Sara Cordara Federica Cornia Sebastiano Corona • Marco Credi Giorgia Fieni Laura Franchini • Manuela Giovannetti Guido Guidi Veronica Fumarola • Riccardo Lagorio Nunzia Manicardi Gianluca Pacella • Giovanni Papalato Massimiliano Rella Elena Simonini • Gemma Zubiani
Buone Feste da tutti noi
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Premiata Salumeria Italiana, 6/19
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N. 6
€ 6,70 Anno XXXI Novembre-Dicembre 2019
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Lorenzo Fiorentin – Chiara Zaccaroni
Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata Prof. Sergio Ventura EURO ANNUARIO CARNE 2019
Fotografia Luigi Credi
Euro Annuario Carne La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2019 Copia cartacea: € 95,00
Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone
Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985
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Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
Ufficio stampa e Media Partner
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N. 6
€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
In questo numero:
Agenda
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Immagini
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Tendenze
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Attualità
La scure di Washington sulla nostra economia
Sebastiano Corona
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Il food in rete
Social food
Elena Benedetti
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Aziende
San Dan Prosciutti, una storia tutta da raccontare Dentesano, artisti del cotto, anche crosta di pane
Massimiliano Rella
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Ravanetti, 100% prosciutto crudo di Parma
Gaia Borghi
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A pagina 62.
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Marketing
La seduzione consumistica della bellezza degli alimenti
La qualità
Delicato e fragrante, è il Prosciutto di Carpegna Dop
Mercati
Il bio: passato, presente, futuro
Sebastiano Corona
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Locali di gusto
La Beccheria, come te nessuno mai
Elena Benedetti
52
Nutrizione
Il prosciutto Crudo di Cuneo Dop nella Dieta Mediterranea
Sara Cordara
60
Tradizioni
Pranzi e cene di Natale, in Italia ce n’è per tutti i gusti
Elena Benedetti
62
Curiosità
Buono e caro
Sapori dal mondo
Turismo enogastronomico
42 46
68
I tartufi di Buzet
Gian Omar Bison
70
Zafferano, lusso necessario
Riccardo Lagorio
74
Würstel gourmet
Riccardo Lagorio
76
Turismo del vino in Italia a gonfie vele
82
Un paradiso di Fattoria
84
Il gusto di camminare
Le montagne incantate. Ciaspolate nella neve e mercatini di Natale in Tirolo
Speciale Anuga
Anuga, l’edizione dei record
Fiere
HostMilano 2019, dove l’ospitalità incontra il business
Formaggio
Giovanni Ballarini
Elena Simonini
86 90 98
Aspettando #Marca2020
102
Cibus 2020, la qualità sostenibile
104
Il futuro luminoso dei rivenditori di formaggio
106
Il pecorino Massese di S.a.l.c.i.s.
Veronica Fumarola
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S T O P € 6,70
A pagina 70.
In copertina: il Cotechino Modena Igp è il re indiscusso delle tavole in festa di fine anno (photo © Massimiliano Rella).
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Vino
Le Marche vanno… in bianco
Riccardo Lagorio
Venezia, città d’acqua e di vino
Gaia Borghi
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Viva le bollicine francesi
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Il podio, l’oro da stappare a Natale
Riccardo Lagorio
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I vini di Premiata Salumeria Italiana
Degustazione: Natale 2019
Laura Franchini
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Dolci
La liaison dei Loison
Gian Omar Bison
134
Il croccante del Frignano
Federica Cornia
140
La Smegiassa rodigina al sugo di musetto
Nunzia Manicardi 142
Tecnologie
Quali sono i benefici della digitalizzazione per l’industria della carne?
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Libri
Norcino Masalén
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A pagina 122. A pagina 134.
A pagina 46.
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AGENDA
Castelnuovo Rangone (MO) Domenica 1 dicembre tutti in piazza a Castelnuovo Rangone (MO) per la grande festa del Superzampone, riconosciuta dal Guinness dei primati per lo zampone più grande del mondo. Il Superzampone numero 31 verrà cotto in piazza e tagliato alle ore 12:00 in punto. Le porzioni dell’insaccato, accompagnate da fagioloni, pane e Lambrusco, saranno offerte gratuitamente ai partecipanti. La festa ideata dall’Ordine dei Maestri Salumieri Modenesi prevede musica, animazione e un mercato di prodotti tipici del territorio in piazza e lungo le vie del centro cittadino. www.comune.castelnuovo-rangone.mo.it zampone.com
Modena Ritorna dal 6 all’8 dicembre a Modena la 9a Festa dello Zampone e del Cotechino Modena Igp. Come le edizioni precedenti, i giovani cuochi partecipanti al concorso nazionale di cucina “Lo Zampone e il Cotechino Modena Igp degli chef di domani”, provenienti dalle classi quarte e quinte degli Istituti professionali statali per i servizi dell’enogastronomia e l’ospitalità e dalle classi terze delle Scuole e gli Istituti alberghieri di formazione professionale, interpreteranno nei modi più fantasiosi due dei prodotti tipici che hanno contribuito a diffondere la modenesità nel mondo. La giuria sarà composta dallo chef MASSIMO BOTTURA, dal presidente del Consorzio Zampone e Cotechino Modena Igp PAOLO FERRARI e da altri rappresentanti del mondo istituzionale, economico ed enogastronomico della città (in foto, hamburger di zampone; photo © www.modenaigp.it). www.modenaigp.it
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Bologna Gli scenari di mercato sono interessati da trend che stimolano nuove opportunità di business e richiedono occasioni ad hoc di approfondimento per gli operatori dei settori coinvolti. Fra quelli emergenti oggi ci sono certamente la crescente attenzione verso i prodotti a declinazione bio e i prodotti free from per persone con intolleranze alimentari; il tema della tracciabilità e della blockchain; la crescente offerta, in chiave salutistica, della ristorazione collettiva; la maggior presenza sugli scaffali delle catene distributive degli snack salutistici e dei prodotti immediatamente fruibili, i cosiddetti “piatti pronti”. Tutti aspetti che BolognaFiere metterà in evidenza in un nuovo salone, a supporto della ormai consolidata mostra MarcabyBolognaFiere, in programma a Bologna il 15 e 16 gennaio 2020: Sana up. Per l’occasione FEDERBIO servizi presenterà la strategia di intervento di FederBio e AssoBio e le esperienze avviate nel campo dell’agricoltura digitale e blockchain per le diverse filiere del biologico. L’iniziativa si terrà nel padiglione 28, uno degli ultimi realizzati nell’ambito del piano di sviluppo/restyling del quartiere fieristico bolognese. www.marca.bolognafiere.it sanaup.sana.it
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IMMAGINI
Come aperitivo o in alternativa al dolce un bel tagliere di formaggi è e resta protagonista delle tavole di fine anno. Magari abbinato ad un buon calice di vino, a mostarde e miele. Da pagina 106 fatevi ispirare da tutti i servizi sui formaggi raccontati in questo numero (photo Š dolphy_tv – stock.adobe.com).
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Aceto Balsamico del Duca di Adriano Grosoli dal
1891
Buone Feste
www.acetobalsamicodelduca.com
TENDENZE
Il panettone è italiano!
Una campagna per difendere, rivendicare e tutelare l’italianità del panettone: è stata presentata a metà novembre alla sala stampa della Camera dei Deputati la campagna “Il Panettone è italiano”, nata nell’ambito del convegno “Il Panettone nel mondo, oltre la ricorrenza” promosso dai Maestri del Lievito Madre all’interno del Panettone World Championship svoltosi a HostMilano 2019. La campagna nasce dalla volontà di valorizzare il più celebre lievitato made in Italy e pone l’attenzione sulla necessità della sua tutela da imitazioni low cost e contraffazioni, oltre che sulla salvaguardia delle oltre 43.000 imprese specializzate nella pasticceria in Italia, con i suoi 155.000 addetti, e dei grandi marchi industriali. Ogni anno, in occasione del Natale e delle feste di fine anno, in Italia si vendono oltre 54 milioni di confezioni di panettoni e pandori, comunicano i produttori aderenti all’AIDEPI, l’Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane. Già nel 2005, inoltre, è stato emanato un decreto relativo alle fasi di preparazione, la ricetta e gli ingredienti, a partire dal burro. La norma, ricorda Assolatte-Associazione Italiana Lattiero Casearia, stabilisce infatti che il burro debba rappresentare almeno il 16% degli ingredienti del panettone e almeno il 20% di quelli del pandoro (fonte: EFA World Food Press Agency; photo © al62 – stock.adobe.com).
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Senza Conservanti Senza Glutine Con Con Sale Sale Marino Marino
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Tutti pazzi per le Marche… e il salame di Fabriano!
Lonely Planet incorona le Marche. La guida turistica più conosciuta dai viaggiatori nel mondo ha recentemente stilato la classifica “Best in Travel 2020 – Top Ten Regions” e la splendida regione italiana, luogo di suggestiva bellezza, mare cristallino e terra natale di moltissimi artisti, si è posizionata al secondo posto a livello internazionale! Prima di lei, solo la Via della Seta, in Asia centrale. «Le Marche sono finalmente pronte a mettersi sotto i riflettori: questa è una grande opportunità per ricevere ancora più turisti, per la nostra economia e il lavoro» ha commentato soddisfatto il presidente della regione LUCA CERISCIOLI. Maestose rovine romane e architetture gotiche, massicci castelli medievali e sublimi palazzi rinascimentali che custodiscono collezioni d’arte tra le più ricche d’Italia, il tutto racchiuso tra alte montagne boscose e la placida costa dell’Adriatico e condito da golosi festival gastronomici. E a proposito di gastronomia locale, non si può non citare il pregiato Salame di Fabriano: prodotto da 25 piccole aziende, riunite nel Consorzio controllato al 100% dal comune omonimo in provincia di Ancona, e già citato in una lettera firmata da GIUSEPPE GARIBALDI, è oggi presidio Slow Food. La sua lavorazione è esclusivamente invernale: si macella e si insacca da ottobre a marzo; dopo non si fanno più salami, il caldo li rovinerebbe. La stagionatura minima è di 60 giorni. Proprio la specialità marchigiana, all’inizio dell’autunno, è stata protagonista di un importante progetto sostenuto dall’amministrazione comunale: una volta al mese sarà infatti servito nelle mense delle scuole materne ed elementari cittadine, accanto ad altri prodotti a filiera corta o cortissima (photo © www.turismoitalianews.it).
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ATTUALITÀ
La scure di Washington sulla nostra economia Italia quinto paese colpito dai dazi a stelle e strisce. Necessari interventi straordinari per un problema dalle dimensioni enormi di Sebastiano Corona
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he gli Stati Uniti, con la gestione Trump, avessero aperto una stagione di protezionismo, era già evidente da qualche tempo, ma che si volesse scatenare una guerra economica con l’Europa si pensava fosse solo un’ipotesi. Invece, i fatti dicono diversamente. La
causa scatenante è la oramai nota lotta nei cieli tra l’americana Boeing e l’europea Airbus. Nei mesi scorsi, infatti, la World Trade Organisation ha autorizzato gli USA ad imporre 7,5 miliardi di dollari di dazi sulle merci europee, in ragione dei danni subiti dalla Boeing per i sussidi erogati
dall’Unione Europea al Consorzio aereo franco, tedesco, spagnolo e olandese. Una decisione, questa, che entrerà a pieno titolo nella storia delle relazioni commerciali tra Paesi, considerato che si tratta del più grosso risarcimento sinora mai accordato dal WTO. Una sentenza importantissima, seppure inferiore alla
«È urgente una risposta fermissima dell’Europa. C’è un rischio da 500 milioni di euro che avrebbe un impatto a caduta su filiere e interi territori del nostro Paese. Non c’è un minuto da perdere». Questo il commento della ministra delle Politiche Agricole Teresa Bellanova alla pubblicazione sul Federal Register del Governo americano della black list definitiva dei prodotti soggetti a dazi avvenuta in ottobre (photo © Mark Ralston).
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richiesta di Washington, che era di 10 miliardi di euro, a titolo di rivalsa per aver sostenuto dal 2003 ad oggi — e per continuare ad avvantaggiare illegittimamente secondo le regole della stessa WTO —, l’azienda che nel frattempo è divenuta la prima produttrice di aerei civili al mondo, superando così, nella prima metà del 2019, la concorrente americana. Una stagione di tensioni a danno di tutti Il paradosso della vicenda è che a pagare le conseguenze di questa guerra tra titani dell’etere non sono solo e soltanto i Paesi europei direttamente interessati, ma anche molti altri del tutto estranei. Non bastasse, si spara nel mucchio, andando ad incidere in settori che nulla hanno a che vedere con l’aeronautica e le produzioni ad essa legate. Si sta consumando il più grande esperimento protezionistico americano dall’introduzione, nel 1929, della legge Smoot-Hawley, che gli economisti e gli storici, con giudizio pressoché unanime, non temono a definire come la misura che ha fatto esacerbare la Grande Depressione. Non è però dello stesso parere DONALD TRUMP, convinto che le lotte economiche siano le più facili da vincere e che il suo Paese avrà, da quest’ultima azione contro l’Europa, dei ritorni importanti. Occorrerebbe invece maggiore prudenza, anche da parte di un colosso come gli Stati Uniti d’America. Siamo infatti, presumibilmente, solo alla prima battaglia di una guerra che non appare di facile soluzione. La diatriba è destinata ad avere, nel breve termine, ulteriori e imprevedibili risvolti. Sebbene si preannunci inferiore a quello degli USA all’inizio del 2020, dovrebbe infatti essere quantificato anche il danno subito e denunciato dagli europei con Airbus. Si prospetta dunque una stagione di tensioni e irrigidimenti che, si è pronti a scommettere, non saranno di beneficio a nessuno. Un rigido inverno per il food made in Italy Che in questo frangente siano Francia, Gran Bretagna e Germania le più colpite è solo una magra consolazione. Vengono prima, infatti, in termini percentuali, per l’incidenza delle sanzioni: Francia
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Il presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano Nicola Bertinelli indossa la t-shirt con l’hashtag #iostocolparmigiano. (27,7%), Gran Bretagna (25,9%) e Germania (19,8%). Solo dopo arrivano la Spagna (11,2%), l’Italia (6,4%) e l’Irlanda (6,4%). Lo sostiene l’ICE NEW YORK su dati delle dogane USA relativi al 2018 e proiettati sul 2019. Il settore aeronautico delle sole Francia e Germania viene colpito per 3,5 miliardi di dollari circa. Gli altri prodotti industriali e agroalimentari pesano invece per 5,9 miliardi. Per l’Italia, che con il consorzio Airbus non ha nessun legame, le ritorsioni sono tanto ingiustificate quanto pesanti: in una lista che, al momento in cui scriviamo, è ancora in via di ulteriore definizione, Washington ha decretato un inverno particolarmente freddo per una serie di produzioni nostrane, sinora particolarmente richieste negli Stati Uniti. Le tariffe d’ingresso che andranno a gravare su alcuni gioielli alimentari del made in Italy, facendone ovviamente lievitare il prezzo al consumatore, sono entrate in vigore alla mezzanotte del 17 ottobre scorso, per un termine minimo di 120 giorni, prorogabili di ulteriori 180, senza una precisa scadenza. Tuttavia, anche chi è al momento esente dalla “lista nera” non può tirare un sospiro di sollievo. L’USTR, il rappresentante per il commercio degli Stati Uniti d’America,
si riserva di modificare le categorie di beni colpiti, i Paesi europei interessati e l’ammontare dei dazi, a seconda dell’andamento del negoziato con la UE. A dare retta a Trump, infatti, il maggior risultato commerciale per il suo Paese sarebbe proprio quello di attivare un sistema di rotazione delle merci e degli Stati colpiti, in modo da generare il massimo disagio possibile. Ad onore della verità, bisogna segnalare che la guerra Boeing-Airbus non è l’unico motivo scatenante delle prese di posizione del governo statunitense. In campo alimentare ci sono da tempo segnali di insofferenza sia nei confronti dei prodotti europei a denominazione, sia in ragione di quella che gli USA giudicano come una sorta di ingiusta invasione dei prodotti nostrani nei loro scaffali. Nei mesi scorsi, infatti, c’era stata un’alzata di scudi da parte dell’associazione americana dei produttori lattierocaseari, la National Milk Producers Federation, che, con una nota ufficiale, aveva chiesto che venissero colpiti in ingresso, da misure economiche, proprio i prodotti europei del loro settore come formaggi, yogurt e burro. Secondo gli industriali americani del latte, infatti, il deficit commerciale di 1,6 miliardi di dollari che gli USA patiscono verso l’Europa si deve a pratiche com-
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Phil Hogan, commissario europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo rurale. merciali scorrette in entrata nel vecchio continente, mentre i nostri formaggi avrebbero grande spazio negli Stati Uniti. E tra le azioni che andrebbero a discapito dei prodotti statunitensi, secondo i farmers americani, ci sarebbe una posizione di eccessiva rigidità nel tutelare i prodotti a denominazione. Una severità tale che impedirebbe l’uso comune di certi nomi per prodotti americani similari. Insomma, l’accusa, seppur velata, sarebbe quella di non poter impunemente vendere in Europa prodotti americani con espliciti riferimenti a nomi soggetti a tutela. Non a caso, a questo proposito è intervenuto anche il Consorzio del Parmigiano Reggiano che, per bocca del presidente NICOLA BERTINELLI, ha precisato: «I dazi non sono altro che una ripicca perché l’Europa tutela le DOP registrate. I formaggi americani, come il Parmesan, ma anche l’Asiago o il Gorgonzola o la Fontina made
in USA, non possono entrare all’interno dell’Unione Europea. Il documento della NMPF non farebbe altro che esplicitare un malessere che durava da tempo». D’altronde, i numeri in gioco sono ragguardevoli: la filiera dei vari Parmesan nel mondo, sfruttando il richiamo del nome, ha ormai superato per valore quella del vero Parmigiano Reggiano, mentre l’Italian sounding, nel suo complesso, pesa per oltre 100 miliardi di euro, cioè più del doppio di quanto l’Italia dell’agroalimentare riesca ad esportare in tutto il resto del pianeta in un anno. Tra i prodotti colpiti nel Belpaese, al momento, vi sono non solo il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano, con un valore delle esportazioni di 150 milioni di euro nel 2018, in aumento del 26% nel primo semestre di quest’anno, ma anche il Pecorino, con un valore di 65 milioni di euro, in crescita del 29%, il
«La nostra coerenza con gli USA, negli ultimi anni, nel sostenere le sanzioni verso la Russia, è già costata al nostro comparto agroalimentare un miliardo di euro di mancate esportazioni» ha ricordato giustamente Luigi Scordamaglia, coordinatore di Filiera Italia e già presidente di Federalimentare. Ora è un paradosso doverci rimettere anche sul fronte atlantico
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Provolone e i prosciutti. C’è da capire se il consumatore americano è disposto a continuare ad acquistare lo stesso prodotto, considerato il suo prossimo aumento vertiginoso di prezzo. Salvi il nostro olio, le nostre olive e il nostro vino, mentre sono stati sacrificati quello spagnolo e quello francese, al netto dello Champagne. In una lista che è solo indicativa e non esaustiva ci sono anche i liquori italiani, il whiskey scozzese, i succhi di frutta, numerosi formaggi, prodotti caseari e ittici. Ci sono però fortunatamente, e forse solo per ora, esclusioni importanti, come quella della pasta e del Pecorino da grattugiare, che, al contrario di quello da tavola, è stato graziato. E per fortuna… aggiungiamo noi, visto che più della metà della produzione del romano DOP finisce negli USA, per un valore di 100 milioni di euro di fatturato annuo, fondamentale per la sopravvivenza di una filiera già in enorme difficoltà da tempo. Sono salvi anche alcuni prosciutti, esclusi mortadella e altri insaccati, e la moda, che negli Stati Uniti detiene un tesoretto, in termini di esportazioni, per 1,6 miliardi. Una serie di distinguo, dunque, che sembrano voler dividere la UE al suo interno, e poi i diversi comparti all’interno dello stesso Paese. E chi non è stato salvato dalla lista nera ha cominciato anzitempo a fare la conta dei danni. Nel Parmigiano Reggiano, le nuove tariffe in ingresso porteranno il prezzo da circa 40 a oltre 45 dollari al chilo. Non è quindi difficile capire quanto verranno scoraggiati i consumatori. I liquori, invece, che contano 75 milioni di euro di export negli Stati Uniti, secondo una stima di FEDERALIMENTARE, potrebbero ridurre di circa il 15% la richiesta, per un valore di mezzo miliardo di euro. «La nostra coerenza con gli USA, negli ultimi anni, nel sostenere le sanzioni verso la Russia, è già costata al nostro comparto agroalimentare un miliardo di euro di mancate esportazioni», ricorda giustamente LUIGI SCORDAMAGLIA, coordinatore di Filiera Italia e già presidente di FEDERALIMENTARE. Ora è un paradosso doverci rimettere anche sul fronte atlantico. Una Caporetto, insomma. Cui prodest? Una politica che, tuttavia, non saremmo portati a considerare nefasta solo per
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noi. Le guerre, infatti, comprese quelle economiche, sono sempre foriere di costi e di pesanti sacrifici e generano comunque distruzione per tutti, nessuno escluso. Washington è convinta che questa politica sia per sé vincente, ma che quella dei dazi non sia la strada giusta per nessuno non lo dicono solo la storia e anche l’economia. Basta guardare l’impatto delle recenti azioni protezionistiche nei confronti della Cina. Gli unici Americani che traggono un vantaggio tangibile dai dazi in ingresso sono le industrie nazionali dirette concorrenti di quelle cinesi interessate, che paradossalmente adeguano i loro prezzi a quelli dei beni importati, anche se non pagano dazio, intascando gli extraprofitti. Ma i maggiori costi d’ingresso li sopportano gli importatori che poi riversano la maggiorazione sul consumatore. Risultato: lievitazione complessiva dei prezzi per elettrodomestici, telefonia e altri manufatti chiamati in causa. E in un vortice viziato e tossico, gli Stati Uniti, convinti di fare un torto agli altri paesi, finiscono per tassare sé stessi e per danneggiare la propria economia, facendo inoltre pagare ai più poveri una politica scellerata e dai risvolti nefasti. Agire subito Al momento, per noi europei il problema è contingente e va affrontato di petto, in sede nazionale e comunitaria. Giungono da più parti le richieste di sostegno alle produzioni colpite. È necessario varare aiuti speciali per ricompensare coloro che sono stati vittima di rappresaglie e che pagheranno i costi di una guerra che non hanno voluto. TERESA BELLANOVA, ministro italiano per le Politiche Agricole, che sta lavorando ad un piano straordinario di promozione dell’agroalimentare tricolore negli Stati Uniti, ha chiesto al commissario dell’Agricoltura, PHIL HOGAN, l’istituzione di un fondo che consenta di azzerare i dazi, garantendo così un paracadute alle imprese agricole nazionali ed europee. L’Europa dispone già, in effetti, di una riserva anticrisi, che detiene un plafond da 450 milioni di euro e che il Parlamento europeo ha in animo di incrementare sino a 1,5 miliardi per il sostegno agli agricoltori colpiti da questa mannaia. Sebastiano Corona
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IL FOOD IN RETE
Social di Elena
1. Salumi-Italiani.it si rinnova È on-line la versione rinnovata del sito dell’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani (IVSI) www.salumi-italiani.it. Una diversa veste grafica, maggiore funzionalità, contenuti mirati e più razionalizzati, news ed approfondimenti sono tra le principali novità del sito dell’istituto, che diventa a tutti gli effetti un grande portale sulla salumeria. Attraverso questo strumento, IVSI mira a mantenere il ruolo di riferimento per gli amanti della salumeria e della cucina italiana (photo © instagram. com/salumiamo).
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2. Gnam Box, il cibo è cool Come si fa il cheesecake al burro di arachidi e ricotta? Facile da scoprire. Se seguirete gnambox.com, il blog di RICCARDO CASIRAGHI e STEFANO PALEARI, ci troverete tantissime idee per piatti e ricette, veicolati con uno stile moderno e di tendenza. Bravissimi (photo © gnambox.com).
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food Benedetti
3. Food is Culture Una cosa bella? Food is Culture, un progetto che dà la possibilità a tutti i cittadini europei di partecipare attivamente. Da oggi fino al 15 marzo 2020, infatti, tutti noi possiamo candidare un prodotto simbolo della nostra gastronomia di appartenenza per farlo salire a bordo dell’Arca del Gusto di Slow Food, che ha catalogato finora oltre 5.000 prodotti che appartengono “alla cultura, alla storia e alle tradizioni di tutto il pianeta”. Ecco il link: www.fondazioneslowfood. com/it/cosa-facciamo/arca-del-gusto/segnalazioni-prodottidellarca/segnala-un-prodotto. Tra i salumi già sull’Arca ci sono le “coppiette” romane che qui vedete in foto, strisce di carne di maiale o cavallo essiccate da accompagnare al vino dei Castelli Romani (photo © Massimiliano Rella).
4. Salumificio Bechèr si rifà il look È on-line il nuovo sito del Salumificio Bechèr di Ponzano (TV), www.becher.it, parte di un più ampio progetto di consolidamento dell’immagine aziendale, totalmente rinnovato nei contenuti e nella veste grafica per rendere la navigazione più semplice, intuitiva ed efficace. Il nuovo look, tra design e innovazione, approfondisce ogni singola sezione, arricchendola con dettagli tecnici, schede informative e gallerie fotografiche. Molto bella la Bottega del Bechèr (photo © photoculinairealsace).
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BOLOGNA
2020
16a edizione
15-16 GENNAIO
an event by
with the patronage of
www.marca.bolognaямБere.it COMITATO TECNICO SCIENTIFICO MARCA 2020
AZIENDE
San Dan Prosciutti, una storia tutta da raccontare Una grande azienda con l’anima artigianale. Una realtà solida con numeri in continua crescita. Il suo segreto? Il rispetto della tradizione e la garanzia di qualità. Sono questi i tratti distintivi dei prosciutti San Dan, che da tre generazioni rispecchiano l’arte del “saper fare” della famiglia Aimaretti Una storia che parte da lontano alcoscenico di storiche famiglie imprenditoriali, il Piemonte rispecchia il cuore pulsante della tradizione industriale italiana. È proprio in questa regione, ai piedi del Monviso, che da anni la famiglia Aimaretti lavora con passione e costante attenzione, conservando quei valori tipici delle imprese italiane a
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conduzione familiare. La stessa passione che nei primi anni ‘40 portò Giuseppe Aimaretti ad intraprendere l’attività di macellatore, aprendo i cancelli di un piccolo macello nel comune di Villafranca Piemonte (TO) per la produzione artigianale di salumi. La spiccata vocazione alle produzioni di eccellenza, spinse Giuseppe verso il Friuli-Venezia Giulia: è proprio qui che, grazie ad una stretta
collaborazione con BRUNO BRENDOLAN, iniziò ad appassionarsi al prosciutto crudo, in anni in cui il San Daniele non era ancora una DOP conosciuta in tutto il mondo. Ben presto, le idee di Giuseppe e Bruno si trasformarono in una realtà concreta, con la realizzazione di uno stabilimento funzionale e moderno per la produzione dei prosciutti stagionati San Daniele: la A&B Prosciutti.
Prosciutto di San Daniele Dop Etichetta Nera Gran Riserva San Dan.
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San Daniele, la collina del gusto Ed è proprio a San Daniele che Giuseppe realizzò il suo sogno: dar vita ad una nuova azienda per la produzione e stagionatura del prosciutto crudo. Nel 1991 veniva infatti inaugurata la A&B Prosciutti, anagramma di Aimaretti e Brendolan, ora controllata al 100% dalla famiglia Aimaretti. Nel corso degli anni, l’azienda è diventata il primo produttore di San Daniele DOP, raggiungendo una capacità produttiva di 300.000 prosciutti all’anno. L’elevata qualità è il marchio di fabbrica di questa azienda: in A&B ogni fase di lavorazione richiama le antiche tradizioni, dalla salatura iniziale sino alla stuccatura, rigorosamente a mano. La cura del prodotto è poi evidente soprattutto nella fase finale della lavorazione, la stagionatura. Entrando nei saloni dell’A&B, ci si immerge nel profumo genuino e delicato del San Daniele, da sempre caratteristica distintiva di questo prodotto. Sono infatti le tipiche condizioni climatiche di questa zona che garantiscono al prosciutto caratteristiche uniche: colore uniforme rosso-rosato del magro, profilo e striature di grasso bianco candido, profumo intenso e gusto dolce.
In A&B ogni fase di lavorazione del prosciutto richiama le antiche tradizioni, dalla salatura iniziale sino alla stuccatura (in alto), rigorosamente a mano (photo © @ Fabrice Gallina 2019). Al centro: il marchio del San Daniele Dop impresso a fuoco sulla cotenna (photo © @Fabrice Gallina 2019). In basso: Villanova Solaro (CN), Cascina Reondino, di proprietà della famiglia Aimaretti. La struttura è circondata da 35 ettari coltivati con mais e grano e ospita circa 4.000 suini all’anno.
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La filiera di proprietà Nel corso degli anni, con l’ingresso dei figli Claudio e Roberto in azienda, il controllo della filiera diventa verticale: si parte dagli allevamenti, passando per il macello e i prosciuttifici, sino ad arrivare alla rete vendita. «Siamo produttori di mais e grano, ci manca solamente la produzione interna dei mangimi» afferma Roberto Aimaretti. Il controllo della filiera è il punto di forza della famiglia Aimaretti, a partire dagli allevamenti. È stata posta, infatti, sempre maggiore attenzione alla qualità dei suini, allevati e selezionati accuratamente secondo le regole dei disciplinari di produzione del Prosciutto di San Daniele e di Parma. Per garantire la genuinità della materia prima, la famiglia possiede sei allevamenti di proprietà in Piemonte. In allevamento i suini vengono nutriti con un’alimentazione bilanciata a base di siero di latte, orzo, soia e crusca, in modo tale da permettere all’animale di raggiungere un peso equilibrato di
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In alto: lo stabilimento produttivo dell’A&B Prosciutti, inaugurato nel 1991 in località Aonedis, San Daniele del Friuli (UD), dove avviene la stagionatura e la spedizione di tutti i prodotti a marchio San Dan (photo © @Fabrice Gallina 2019). A sinistra: il macello di Villafranca Piemonte.
175 kg. La maniacale attenzione per il benessere degli animali è evidente non solo negli allevamenti, ma soprattutto anche nel macello di Villafranca Piemonte: qui gli animali vengono lasciati riposare 24 ore in ampi spazi prima di essere macellati. Il fulcro dell’attività è certamente il macello: all’interno dello stabilimento di Villafranca Piemonte ogni settimana vengono lavorati più di 6.000 capi,
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per un totale di circa 280.000 all’anno. Le cosce provenienti da soli suini italiani, nel rispetto delle genetiche ammesse dal disciplinare di produzione, vengono poi spedite nel prosciuttificio di San Daniele. L’A&B di San Daniele non è tuttavia l’unica destinazione delle cosce fresche: nel 2015, la famiglia Aimaretti ha acquisito interamente la Nuova Boschi Srl, stabilimento di Felino con una capa-
cità produttiva di 100.000 Parma DOP all’anno. Si tratta di un investimento che evidenzia come le competenze nella produzione del prosciutto crudo siano ben radicate all’interno del gruppo. La Nuova Boschi rappresenta un ulteriore tassello che si va ad aggiungere alla filiera Aimaretti, impreziosita già nel 2011 dallo stabilimento di Ampezzo. Nel cuore della Carnia, questo sito produttivo rispecchia il giusto mix tra tra-
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A sinistra: attività di compravendita dei suini agli inizi del Novecento in Piemonte. In alto: la famiglia Aimaretti oggi.
dizione ed innovazione: una costruzione tecnologicamente avanzata, adibita alla realizzazione delle specialità locali quali il Dolce ampezzo, lo speck affumicato alto di fesa e ancora l’Ampezzano con zampino e il guanciale. San Dan Prosciutti: una nuova direzione Nel 2011 la famiglia Aimaretti ha aggiunto un altro anello alla sua filiera: si tratta della San Dan Prosciutti, società interamente controllata dalla famiglia che svolge l’attività di commercializzazione di prosciutto crudo stagionato San Daniele DOP e non solo. «Da Villafranca è partita la volontà di puntare
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tutto sulla qualità. Ecco, dunque, che la famiglia ha sviluppato l’eccellenza delle proprie produzioni con una propria etichetta commerciale che si chiama San Dan Prosciutti» racconta Claudio Aimaretti. La gamma offerta da San Dan rispecchia una selezione premium che trova la sua massima espressione nel San Daniele DOP Etichetta Nera Gran Riserva. Si tratta di un prodotto che riassume la famiglia stessa: racchiude al suo interno l’attenzione alla materia prima, l’artigianalità delle lavorazioni ma soprattutto l’alta qualità garantita dalla filiera di proprietà. San Dan Prosciutti è presente in modo capillare sull’intero territorio nazionale, con una rete commerciale di alto livello professionale in grado di raggiungere il dettaglio specializzato. Dal 2011 ad oggi la rete ha sviluppato una propria identità, riconosciuta in Italia e non solo. Le ambizioni di San Dan sono chiare: raccontare la storia della famiglia
attraverso i propri prodotti anche oltre i confini nazionali. Un progetto in linea con la storia di un gruppo che ha raggiunto un mai ostentato successo, ponderando ogni investimento e tramandando di generazione in generazione i valori fondamentali del lavoro, della famiglia e delle cose fatte per bene. Valori che hanno trasformato il sogno e la passione di Giuseppe in una bellissima realtà.
San Dan Prosciutti Srl Località Aonedis 11/2 33038 San Daniele del Friuli (UD) Telefono: 0432 956767 E-mail: info@sandanprosciutti.it Web: sandanprosciutti.com
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Dentesano, artisti del cotto, anche crosta di pane “Nel 1954, in uno scantinato di Trieste, abbiamo iniziato a cuocere i nostri prosciutti”: è questo l’inizio della storia del Salumificio Dentesano, azienda a conduzione familiare con una solida esperienza e il desiderio di continuare a migliorarsi, per portare sulle nostre tavole il piacere della tradizionale salumeria friulana e mitteleuropea di Massimiliano Rella
L’
arte del prosciutto cotto e in crosta di pane alla praghese ha trovato una sponda anche in Nord Italia, nelle aree un tempo d’influenza austro-ungarica, grazie ad una tradizione e ad una qualità tenute in auge da
alcuni produttori, tra questi la DENTESANO SRL, prosciuttificio di cotti e salumificio con 25 dipendenti e fatturato annuo di 5 milioni di euro. Fondata da ANGELO DENTESANO, oggi è una premiata azienda gestita dai fratelli PAOLO e FEDERICO, e dai rispettivi figli, CHIARA e ALESSANDRO. Nel
‘54 Angelo inaugurò lo stabilimento nel paese di Percoto (UD), limitandolo al commercio di cosce di suini provenienti da allevatori del territorio. Cominciò allora anche un’attività di stagionatura di prosciutti crudi, ma il figlio Sergio, trasferitosi a Trieste, qui imparò l’arte
I proprietari del Salumificio Dentesano di Percoto (UD): dietro, da sinistra, i fratelli Paolo e Federico Dentesano; in primo piano, i loro figli Chiara e Alessandro. 34
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1) Disosso delle cosce al Salumificio Dentesano di Percoto. 2/3) Legatura a mano delle cosce e successiva affumicatura per il Nonno Angelo e il Cartoccio.
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Siringatura in vena delle cosce (salagione manuale in arteria femorale) per il Nonno Angelo e il Cartoccio. del cotto alla Praghese — quindi l’affumicatura — prodotto diffuso nella cultura gastronomica triestina per mutuazione dall’ex Impero austro-ungarico. Tornato a Percoto, Sergio cessò la stagionatura dei crudi e convertì lo stabilimento alla sola produzione di prosciutti cotti e salumi stagionati. Oggi, però, i salumi stagionati sono prodotti in un secondo stabilimento a Campolongo al Torre (UD), mentre quello di Percoto è dedicato esclusivamente ai cotti, sia affumicati che cotti naturali (non affumicati), disponibili in varie tipologie per qualità e fasce di prezzo. Tra questi, uno dei più rappresentativi è Nonno Angelo, un prosciutto cotto tipo Praga ma disossato, a differenza della tradizione praghese che non prevede il disosso. Fu sempre Sergio ad introdurre per primo questa novità
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in Friuli-Venezia Giulia e a metterlo sottovuoto. Il processo passa attraverso varie fasi: la siringatura in vena delle cosce (salagione manuale in arteria femorale), il disosso manuale con osso sfilato e la zangolatura, una sorta di “massaggio” in macchina per l’estrazione delle proteine per dare compattezza alle carni. Il prosciutto viene poi legato e cucito a mano e leggermente affumicato in modo naturale con trucioli di faggio e bacche di ginepro. La cottura lenta a bassa temperatura avviene in forni a vapore saturo. Nonno Angelo è lo stesso prosciutto usato per il Cartoccio, che però è avvolto da una crosta di pane, anche questo della tradizione mitteleuropea: il rivestimento di pane aveva la funzione di non far bruciare le carni. Il suo consumo cominciò a circolare a Trieste nell’800
con l’arrivo delle balie dell’Est Europa. Queste le fasi di lavorazione: dopo una prima semi-cottura in forno, il coscio viene avvolto da un impasto di farina 00 e malto (senza lievito), per poi andare in cottura finale, in forno a secco fuori stampo per circa 2 ore a 220 gradi. Il Cartoccio è un prosciutto da mangiare caldo: si scalda in forno per 4 ore a 100-120 gradi. Ha le dimensioni di una coscia intera, pesa circa 8 kg, è adatto quindi a eventi, feste, ecc… Allo spaccio aziendale, su prenotazione, si può trovare il Cartoccio già caldo. La sua qualità ha varcato lo Stivale. A Roma, ad esempio, la Gastronomia Volpetti del quartiere Testaccio ne scalda uno al giorno e lo vende fino a esaurimento. C’è anche un formato famiglia del cotto in “crosta” di pane, il Saporino, stesso prodotto del Cartoccio ma appena 1 kg di sostanza; questo si scalda un’ora a 70 gradi prima del consumo. I fratelli Dentesano producono, inoltre, una linea di naturali bianchi (cotti non affumicati) e una linea di salumi. Ad esempio, il Salame Nonno Angelo di carne suina tagliata a punta di coltello, quindi con grana grossa, più sale e pepe nero in grani interi. I rifornimenti delle cosce arrivano dal mercato nazionale, quelle PP (Per Parma) sono utilizzate per un nuovo prodotto, il Levante, un cotto non affumicato a breve in commercio. Utilizzano infine cosce estere pesanti olandesi e tedesche. Il principale mercato è il Triveneto e la maggior parte del fatturato si realizza nel canale GDO; segue il Centro Italia fino alla Campania. Dei 5 milioni di euro di fatturato, i due prosciutti di punta di cui abbiamo parlato (compreso il Saporino) rappresentano il 10%. L’export è ancora limitato: il 2% tra Austria e UK. Massimiliano Rella Salumificio Dentesano Srl Via Aquileia 89 – 33050 Percoto (UD) Telefono: 0432 676397 E-mail: info@dentesano.it Web: www.dentesano.it Note Photo © Massimiliano Rella; prezzi spaccio aziendale: Nonno Angelo 11,00 €/kg; Cartoccio 12,50 €/kg; Saporino 15,00 €/kg.
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PROSCIUTTO DI CARPEGNA DOP: una tradizione ritrovata
PRODUZIONE
ORIGINE
GUSTO
Il Disciplinare della DOP del Prosciutto di Carpegna è tra i più rigidi:
Il comune di Carpegna, situato all’interno del Parco Naturale del Sasso Simone e Simoncello, a 748 mt di altitudine sul mare, nella terra di mezzo tra Emilia Romagna, Marche e Toscana, è il territorio vocato alla produzione del Prosciutto di Carpegna DOP. Il clima di questa zona, con la sua caratteristica umidità e aria salmastra e la tradizione nella lavorazione artigianale orgogliosamente tramandata dal Medioevo, donano l’inconfondibile aroma, tipico del Prosciutto di Carpegna DOP.
Il microclima unico unitamente alla speciale stuccatura con sale marino e mix segreto di spezie, donano al Prosciutto di Carpegna DOP un gusto delicato e fragrante, caratterizzato da un profumo penetrante dalle note aromatiche. Dalla sorprendente sofficità, può essere consumato da solo, per degustarne a pieno il suo caratteristico sapore, ma può anche diventare il protagonista di ricette fantasiose. Si sposa perfettamente con vini bianchi secchi, corposi, morbidi.
3 regioni (Lombardia, Emilia Romagna e Marche) le sole ammesse per l’origine delle materie prime 10 mesi l’età minima macellazione del suino
di
13 mesi compiuti (14) la stagionatura minima richiesta 1 unico stabilimento produttivo.
Ravanetti, 100% prosciutto crudo di Parma Adagiata sulle dolci colline di Castrignano, l’azienda dei fratelli Ercole e Antonio Ravanetti è una piccola realtà aderente al Consorzio del Prosciutto di Parma che produce artigianalmente un Parma Dop che “profuma di cantina”. E lo fa aprendo ancora le finestre della sala di stagionatura per far entrare il Marino, il vento che proviene dal mare. Da gustare dai 18 mesi e oltre per assaporarne la naturale perfezione di Gaia Borghi
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A
d una manciata di chilometri da Langhirano, “c’è una collina, con prati, alberi e forti case di sasso”. È Castrignano, Castrum Regnani come era denominato in epoca medievale, piccolo borgo situato a circa 600 m slm, immerso nelle dolci colline che sovrastano quello che è senza ombra di dubbio il centro del distretto produttivo del prosciutto di Parma. Terre di transito queste, in passato “percorse da papi, imperatori, pellegrini e mercanti”, terre di antichi castelli e di salumi indimenticabili. Proprio a Castrignano, nel 1957, i fratelli ARTEMIO e RICCARDO RAVANETTI fondarono un’azienda specializzata nella produzione di prosciutto, 10.000 cosce all’anno e la “ricerca della qualità” — intesa come selezione delle materie prime e accuratezza della lavorazione artigianale —, come filosofia lavorativa. La RAVANETTI FRATELLI aderì prima al Consorzio di Langhirano, poi, dal 1979, al Consorzio del Prosciutto di Parma. «Nel 1982 mio zio Riccardo decise di ritirarsi e, in quel momento, nacque l’attuale RAVANETTI ARTEMIO. Lo stabilimento produttivo venne trasferito in un’altra sede e lì rimanemmo fino al 1989, anno in cui acquisimmo un prosciuttificio già esistente più grande e moderno ed è qui che ci troviamo ancora oggi». A parlarmi nel suo ufficio con vista sulla vallata è ERCOLE RAVANETTI, oggi alla guida dell’azienda famigliare insieme al fratello ANTONIO, dopo che qualche anno fa il padre è uscito dalla società. Con due dipendenti, l’aiuto di pochi altri collaboratori e ALESSANDRA, la moglie di Ercole, che segue l’amministrazione, la Ravanetti è una piccola realtà specializzata nella produzione di Prosciutto di Parma DOP. «Non siamo allevatori. Le cosce suine arrivano in azienda dai principali macelli della Pianura Padana. Produciamo circa 700 prosciutti a settimana, per un totale di 35.000-36.000 prosciutti all’anno» prosegue Ercole. «Non facciamo l’affettato. Niente DO o GDO né grossisti: ci rivolgiamo al dettaglio specializzato, le salumerie e le gastronomie tradizionali, le macellerie e qualche ristorante dove c’è una particolare attenzione alla selezione dei salumi da mettere in carta, in cui si desidera offrire alla propria clientela un prosciutto con le caratteristiche del nostro».
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In alto: la sede dell’azienda Ravanetti a Castrignano Costa (PR), a 600 metri di altezza sopra Langhirano, nella cosiddetta “Prosciutto Valley”. In basso: Ercole Ravanetti, alla guida del prosciuttificio insieme al fratello Antonio. Elogio della lentezza e finestre aperte al Marino Quali sono le caratteristiche distintive del prosciutto di Parma Ravanetti? Semplice: grande cura del prodotto fin dall’origine, a partire cioè dalla scelta delle cosce
destinate ad una lunga stagionatura totalmente al naturale, artigianalità nella produzione e attenzione al cliente che lo riceve. Semplice quindi, ma non così comune. «Il nostro prosciutto di Parma viene lavorato artigianalmente,
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Le cosce destinate alla produzione della linea certificata di Prosciutto di Parma Dop antibiotic free. nel senso che si rispettano i tempi e le modalità della tradizione. Ad esempio, apriamo ancora le finestre nelle sale di stagionatura per fare entrare il Marino» puntualizza Ercole Ravanetti. Il Marino è il vento che proviene dal mare, l’aria che soffia sulle colline parmensi e che porta con sé gli aromi delle pinete e dei boschi della Versilia. Un ingrediente indispensabile nella produzione del prosciutto di Parma DOP. «Ci dicono spesso che il nostro prosciutto profuma
“di cantina” — continua Ercole — differenziandosi quindi da altri prodotti che stagionano in ambienti climatizzati a livello industriale. La nostra è una stagionatura totalmente naturale: ogni volta è una sfida, ma se sei abile otterrai un prodotto di grande qualità». Tra i 18 e i 24/30 mesi rappresenta la stagionatura ideale per degustare il prosciutto di Parma Ravanetti, quando cioè si sprigionano al meglio le peculiari caratteristiche di aromaticità e dolcezza
del salume. «La nostra clientela, diffusa in buona parte d’Italia grazie ad una rete di vendita presente in maniera capillare sul territorio nazionale, lo apprezza soprattutto oltre i 20 mesi e ci sceglie anche per il tipo di sevizio su misura che offriamo. Essendo una piccola azienda, infatti, cerchiamo di andare incontro a tutte le diverse esigenze, alle singole richieste, provando ad accontentare tutti: più grasso, più magro, più o meno stagionato… forniamo al cliente il prosciutto che preferisce». Sempre nella direzione di andare incontro alle preferenze dei consumatori, l’ultima novità in casa Ravanetti è quella di produrre una linea di prosciutti di Parma da cosce suine provenienti ad allevamenti certificati antibiotic free. «Abbiamo iniziato da pochi mesi» conclude Ercole Ravanetti. Mai, come in questo caso, il piacere sta per forza anche nell’attesa. Gaia Borghi
Ravanetti Artemio Srl Via G. Marcora 13 Località Castrignano Costa 43013 Langhirano (PR) Telefono: 0521 863848 E-mail: info@ravanettiprosciutti.it Web: www.ravanettiprosciutti.it
Al Consorzio Cinta senese la vicepresidenza della FESERPAE Importante riconoscimento a livello internazionale per il Consorzio di tutela della Cinta Senese Dop, a cui è andata la vicepresidenza dell’Associazione delle razze suine autoctone dell’UE (FESERPAE). L’organizzazione, fondata nel 2004 con sede legale in Spagna, estende la sua attività a tutto il territorio europeo e ha come principale obiettivo la difesa delle esigenze del settore zootecnico suino nativo ed autoctono dinanzi alle pubbliche amministrazioni, alla comunità scientifica e di ricerca e agli enti privati, sia nell’Unione Europea che nei Paesi Terzi. Alla presidenza dell’associazione, la spagnola Elena Diéguez Garbayo per l’Associazione spagnola di allevatori di suino Iberico, che rappresenta 200.000 animali allevati, dai quali viene ricavato il famosissimo prosciutto Patanegra. Le altre realtà associative che fanno parte dell’organismo sono: Associazione degli allevatori di Porco Alentejano, Associazione nazionale degli allevatori Alentajano Pig, Associazione filiera maiale Basco Kintoa, Consorzio Nero de Bigorre, Sindacato a difesa e promozione della razza Corsa, Krskopoljski Prasic (il maiale nero sloveno). Tra le altre finalità di FESERPAE, quella di farsi promotrice delle razze suine autoctone associate, dei loro prodotti, dell’ambiente in cui sono allevati gli animali, della gastronomia e di altre attività sociali e culturali correlate. Inoltre, di promuovere programmi di ricerca e sviluppo nel settore dell’allevamento di suini autoctoni nella UE. >> Link: www.cintasenesedop.it – feserpae.com
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Tante storie, una sola Favola.
Delicata. Digeribile. Naturale. Da più di 20 anni i salumieri e gli chef che vogliono conquistare i loro clienti con un prodotto di assoluta eccellenza sanno di poter contare sulla nostra “Favola”: la buona mortadella artigianale che tutti riconoscono prima dalla cotenna naturale legata a mano e poi dal gusto incredibilmente delicato. Ogni Favola è unica col suo timbro a fuoco: inimitabile fuori e inconfondibile dentro.
www.mortadellafavola.it
MARKETING
La seduzione consumistica della bellezza degli alimenti di Giovanni Ballarini
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ell’alta cucina ostensiva rinascimentale la ricerca del bello a volte sopravanzava il buono, sconfinando nel rischio e nel pericolo. Come in un fagiano arrostito, magnificamente presentato sulle tavole avvolto nel suo piumaggio, certamente non sano e sicuro. Più saggia era la cucina borghese, dove il bello si coniugava al buono in magnifici timballi, ma soprattutto nella pasticceria, che il grande MARIE-ANTOINE CARÊME (Parigi, 1784 – 1833) considerava una branca
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dell’arte architettonica. Da sempre, e come fenomeno di élite e di alta cucina, il bello fa parte del sentire artistico di ogni periodo storico e culturale. Anche nella cucina del popolo, qua e là e di tanto in tanto, si individuano tracce di una ricerca di un bello funzionale all’alimento o della sua trasformazione culinaria. Nel nostro tempo di consumismo e globalizzazione tutto cambia. Il fenomeno estetico non è più riservato all’alta cucina dei cuochi. La globalizzazione
dei mercati, la sfrenata spinta ad un continuo aumento dei consumi e l’industrializzazione alimentare sta portando a termine una democratizzazione del bello dei cibi e dell’estetica culinaria che merita una sia pur breve riflessione. In cucina oggi l’arte non è più bellezza, ma ricerca di sensazioni di seduzione che sviluppano una nuova percezione degli alimenti. Il veicolo principale della bellezza degli alimenti e della cucina non è più l’arte ma il consumo. L’estetica è uno degli strumenti
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Piatto di riso, food design di Elena Salmistraro (photo © www.werfood.it). per la espansione del mercato e sta trasformando la società e la percezione stessa dell’arte e del bello. Nell’età odierna sembra prevalere l’idea che un alimento, un cibo o un piatto brutto e che non seduce non si venda. Allo stesso modo, non si frequenta un locale brutto e che non abbia un sia pur minimo elemento di seduzione. Molte sono le prove di queste affermazioni, basta esaminare le presentazioni degli alimenti in un supermercato, le confezioni dei piatti pronti, la presentazione delle portate dei più o meno noti o celebrati cuochi. I prodotti più belli, anche se inodori e insapori, sono preferiti a quelli più brutti, ma di miglior sapore e gusto. La ciliegina sulla torta è divenuta più importante della torta. L’Homo aestheticus si affianca e sta sorpassando l’Homo oeconomicus. Secondo GILLES LIPOVETSKY (L’esthétisation du monde, Gallimard, 2013), il capitalismo industriale diffonde una
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crescente attenzione allo stile e alla bellezza, facendo appello al gusto e alla sensibilità degli individui. L’industria del consumo, anche alimentare, incorpora e utilizza in modo sistematico e democratico (nel senso di popolare) il parametro una volta elitario dell’estetica, come stile e arte. La borsa firmata — o la sua imitazione — deve essere per tutti, anche per la tanto citata casalinga di Voghera, come l’elitario Culatello di Zibello, oggi largamente copiato, o un piatto di un più o meno celebre cuoco che l’industria riproduce in una innumerevole serie di surgelati per la gioia di tutti. Nel mondo dei consumi alimentari l’estetica è entrata nell’area della globalizzazione e del profitto, perché il fenomeno artistico è proprio dell’indole umana, anche nella sua alimentazione. Non è certamente un caso che l’origine della cucina sia collegata a quella delle attività artistiche, quali le pitture
rupestri preistoriche e i primi strumenti musicali. Consumatori estetici Su questa linea oggi si accentua un fenomeno nuovo. La ricerca estetica della bellezza è trasformata in una ricerca, in continua trasformazione, di sempre nuove sensazioni, emozioni e seduzioni, perché l‘arte è diventata un’esperienza e questa deve essere di tutti, anche in alimentazione. L’industria alimentare è tra quelle con il maggior livello d’innovazione (circa il 10% annuo) e per questo motivo, nel suo continuo rinnovo, si giova della presentazione artistica, emozionale e seduttiva delle sue nuove proposte. Nel nostro tempo, anche in cucina si è quindi superata la tradizionale opposizione tra arte e mercato. Un grande cuoco pensa il suo piatto già per una sua produzione quando sarà assente o per una diffusione in una
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anche limitata catena di suoi ristoranti. L’industria, da parte sua, chiede al cuoco di alta reputazione la sua opera per diffondere i propri prodotti o servizi e indicative sono le cucine che cuochi di fama firmano per le grandi compagnie aeree. Nei prodotti di consumo si usa l’estetica della seduzione per imporli, modificando non solo il nostro sguardo, ma anche i nostri comportamenti. Seduzione significa immaginazione e anche spinta a modificare e cambiare i propri comportamenti: eloquente, in un supermercato, è il legame tra vista di un alimento, il suo acquisto e poi consumo. Nell’epoca attuale, a nostra insaputa, siamo divenuti consumatori estetici. La fruizione artistica che oggi coinvolge anche alimentazione e cucina si è democraticizzata, dando luogo ad un edonismo diffuso, che l’odierna crisi economica non riesce a spegnere, ma solo a ridimensionare. La diffusione anche in cucina di un sentimento estetico e la ricerca di emozioni, con le loro seduzioni, ci ha reso più esigenti o critici, ma non ha migliorato la cucina, l’alimentazione e la nutrizione. Troppo evidente è la diffusione dei disturbi alimentari nelle nostre società. La dimensione estetica non può essere dettata solo dal mercato, e di questo bisogna rendersene conto, il che non pare sempre evidente per tutti. Non basta rendersi conto di quanto sia pur schematicamente esposto. Bisogna reagire e per questo, senza sottovalutare il valore di una buona estetica di un cibo o di una cucina, è necessario rifarsi alla tradizione della cucina perenne nella quale la bontà di un alimento, un cibo, una ricetta, un pranzo non dipendono tanto dal loro aspetto, quanto da un armonioso equilibrio di sicurezza, nutrizione, sensorialità, induzione di benessere e, non da ultimo, memoria. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota A pagina 42, le confezioni di pasta progettate dall’agenzia russa Nikita, nelle quali il packaging associa i diversi tipi di pasta ai capelli delle donne (photo © design.fanpage.it).
Sulle questioni di gusto
ci schieriamo in prima linea Il Salumificio Chiapella da oltre cinquant’anni si dedica alla produzione e alla lavorazione di salumi di altissima qualità. Dall’antica tradizione piemontese nascono i nostri prodotti.
SALUMIERI IN LANGA
info@chiapellasalumi.it • www.chiapellasalumi.it Premiata Salumeria Italiana, 6/19
Salumificio Chiapella c.so Vittorio Olcese n. 6 - 12060 Clavesana (CN) - T 0173.732001
LA QUALITÀ
Alla scoperta del prosciutto marchigiano e del suo territorio
Delicato e fragrante, è il Prosciutto di Carpegna DOP
I
l prosciutto di Carpegna DOP è un prodotto di salumeria, crudo e stagionato, che si ottiene dalla lavorazione delle cosce fresche di suini italiani. Le razze utilizzate per la produzione del prosciutto di Carpegna sono tutte riconducibili al circuito del suino Pesante Padano. La denominazione d’origine protetta “Prosciutto di Carpegna Dop” è riservata solo al prosciutto crudo stagionato che risponde a rigide condizioni e requisiti, al fine di garantire l’elevata qualità del prodotto. Zona di produzione: il prosciutto della riviera romagnola Il borgo di Carpegna (PU) sorge nel cuore del Montefeltro, circondato da boschi e foreste. In questo luogo, ricco di storia e tradizione, nasce il prosciutto di Carpegna DOP. Situato all’interno
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del Parco Naturale del Sasso Simone e Simoncello, a 748 m di altitudine dal mare, il piccolo comune marchigiano è infatti il territorio identificato per la lavorazione e la produzione di questo prosciutto. Il clima della zona è una determinante incisiva nella fase della stagionatura: la caratteristica umidità e aria salmastra donano l’inconfondibile aroma, tipico del prosciutto di Carpegna Dop. Le materie prime utilizzate sono nate e allevate solo in tre regioni italiane: Marche, Lombardia ed Emilia-Romagna. Questo permette di controllare a pieno la filiera e di seguire rigorosi standard. Metodo di produzione Il Carpegna DOP viene prodotto seguendo le antiche tradizioni locali, che impongono delle linee guida molto severe, garantendo un prosciutto con la
P maiuscola. I pochi maestri salumai che custodiscono i segreti del Carpegna nel corso degli anni hanno migliorato e innovato i tradizionali metodi di lavorazione, al fine di ottenere un prosciutto di alta qualità. Il prodotto attraversa diverse fasi di lavorazione: in primis le cosce vengono refrigerate, rifilate osservando il tradizionale “taglio corto classico”, e a seguito massaggiate da mani esperte. Il successivo passaggio fondamentale è la salagione, ripetuta due volte, impiegando sale marino di alta qualità, macinato a secco. La prossima fase è la pre-stagionatura in condizioni ambientali controllate, caratterizzata dalla tradizionale legatura mediante corda passata “a strozzo” nella parte superiore del gambo. La superficie non coperta dalla cotenna viene protetta e
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subisce la stuccatura con un composto di spezie, tra cui si riconoscono pepe e paprika che, unitamente al microclima in cui stagiona, donano al Carpegna DOP un profumo e un aroma decisamente caratteristici. Stagionatura Una volta ultimate le stuccature, i prosciutti vengono trasferiti in ambienti di stagionatura caratterizzati da temperature comprese tra 15 °C e 20 °C ed umidità relativa del 65-80%. Durante la stagionatura è consentita la ventilazione, l’esposizione alla luce ed all’umidità naturale. Il periodo di stagionatura, dalla salagione alla commercializzazione, secondo il Disciplinare deve durare minimo 14 mesi. Le principali stagionature sono di 14 mesi, ma anche 16 e 18 mesi, fino alla stagionatura premium di 20 mesi.
Il particolare microclima del comune di Carpegna è uno degli ingredienti segreti dell’omonimo prosciutto.
Prosciutto di Carpegna Dop, la produzione 2015 Pezzi kg
2016
2017
2018
87.171
92.130
97.009
119.275
1.221.615
1.286.717
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Caratteristiche e gusto Il Prosciutto di Carpegna DOP si distingue visivamente per la sua forma tondeggiante, piatta e non globosa. Una volta tagliato, ha una colorazione che tende al rosa salmone, con adeguata quantità di grasso solido, di colore bianco rosato all’esterno. Il prosciutto viene certificato e marchiato a fuoco con un apposito contrassegno recante la dicitura “Prosciutto di Carpegna”. Al palato, è delicato e fragrante, con un profumo penetrante dalle note aromatiche spiccate. Il Prosciutto di Carpegna D OP può essere con o senza osso. Quello disossato si conserva ad una temperatura di 7-10 °C, mentre quello con l’osso a 15-20 °C. Per preservare il suo incredibile gusto e aroma, è consigliabile affettare il prodotto poco prima del consumo, evitando di eliminarne il grasso che ne esalta le caratteristiche organolettiche. La giusta conservazione permette di mantenere le sue qualità inalterate: proteggerlo con carta alimentare impedisce all’aria ed alla luce di asciugarne la superficie, evitando la perdita di alcune peculiarità. Se tagliato a coltello, lo spessore della fetta non dovrebbe superare il millimetro. Il prosciutto di Carpegna è un ottimo ingrediente nella preparazione di fantasiose ricette, ma è adatto ad essere degustato anche da solo. Si sposa perfettamente con vini bianchi secchi, corposi, morbidi.
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MERCATI
Il bio: passato, presente, futuro Molto è stato fatto, in un campo che sembra non aver ancora dato tutto. Nonostante le performance eccellenti dell’ultimo decennio, ci sono infatti ancora ulteriori margini di sviluppo e grandi opportunità. Gli ultimi dati direttamente dal SANA di Bologna, alla sua 31a edizione di Sebastiano Corona
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on accusa battute d’arresto il biologico, in nessun canale commerciale. Nel 2018, le vendite in Italia hanno raggiunto complessivamente i 4.089 milioni di euro, segnando un +5,3% rispetto al 2017 e una crescita, nell’ultimo decennio, pari al 171%. È NOMISMA a sostenerlo, grazie ad un’elaborazione
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di dati NIELSEN, ASSOBIO e SURVEY IMPRESE, realizzato per l’Osservatorio Sana di Bologna, che a settembre scorso ha celebrato la 31a edizione di una delle principali kermesse del biologico al mondo. Le vendite sono così divise: 3.207 relative al consumo in ambiente domestico e 502 fuori casa. In questo contesto, sono due i segmenti che hanno
superperformato: il freschissimo, che ha segnato un incremento di 276 milioni (GDO per peso variabile), e il bar, con un incremento di ben 104 milioni di euro. Non è solo il mercato interno a registrare prestazioni di tutto rispetto. C’è anche l’export che nel 2018 ha sfiorato i 2,3 miliardi, facendo segnare una crescita del 10% sull’ultimo anno e rafforzando
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Gli Italiani sono discreti consumatori di prodotti biologici: nel 2018, ad esempio, l’86% dei nostri connazionali ha avuto almeno un’occasione di acquisto di un prodotto bio nel 2018 e il 51% sostiene di consumare alimenti biologici almeno una volta a settimana (in basso, photo © Liudmyla – stock.adobe.com); a destra, photo © Spirit – stock.adobe.com).
la presenza nel paniere dei prodotti made in Italy, con il 5,5% sulle esportazioni complessive dell’agroalimentare. Un aumento addirittura maggiore a quello registrato dall’export agroalimentare generale che, superando la quota dei 41 miliardi di euro, nel 2018 si è incrementato “solo” dell’1,3%. In dieci anni, l’export del bio è aumentato del
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600%, fortemente trainato, in Italia e all’estero, dalla Grande Distribuzione Organizzata. L’80% delle vendite nei mercati stranieri è diretto in Europa, prevalentemente in Francia (sulle cui tavole finisce, per esempio, il 27% della pasta, di frutta, verdura e vino), ma anche Germania e Scandinavia. A seguire, gli Stati Uniti. Tra i mercati esteri dove l’interesse è in forte crescita vi è il Giappone. Questo Paese acquista dall’Italia, al momento, solo per l’1,5% della sua importazione complessiva, ma nell’ultimo decennio il valore degli acquisti nel Belpaese è passato da 537 a 865 milioni di euro. I primi dati del 2019 sono ugualmente incoraggianti: le esportazioni bio verso il Giappone hanno segnato una crescita del 13%, anche grazie al recente accordo di libero scambio che ha azzerato i dazi sui prodotti agroalimentari europei, abbattendo così il 40% circa degli oneri su vino, pasta e formaggi. Secondo il rapporto The World of Organic Agriculture, nel 2017, a livello globale, erano 2,9 milioni i produttori di bio al mondo, per un mercato complessivo da 90 miliardi di euro con in vetta gli Stati Uniti (40 mld), seguiti da Germania (10), Francia (7,9) e Cina (7,6). L’Italia era al quinto posto, con 5,9 miliardi, pur vantando il primato in Europa nelle esportazioni e il secondo per superfici coltivate, con 1,9 milioni di ettari, dietro solo alla Spagna (2,1 milioni).
Italiani tra i principali produttori del bio ma anche consumatori Del biologico, noi Italiani, non siamo solo tra i principali produttori nel pianeta: siamo anche discreti consumatori. L’86% dei connazionali ha avuto almeno un’occasione di acquisto di un prodotto bio nel 2018 (dato che invece era del 53%, nel 2012) e il 51% sostiene di consumare alimenti biologici almeno una volta a settimana. La spesa media pro capite è di 52 euro l’anno, più di Spagna, che ne segna 42, e Regno Unito, 35. Ma siamo ancora molto lontani dalla Svizzera, che registra 288 euro di spesa pro capite, e dai Paesi del Nord, dove l’interesse per il biologico è ugualmente ragguardevole. Ci sarebbero, dunque, ancora ulteriori e importanti margini di crescita. Perché proprio bio? Le motivazioni d’acquisto sono diverse: il biologico è, nell’idea comune, più genuino, più nutriente, più sano e maggiormente rispettoso dell’ambiente. E ancora, chi lo sceglie ritiene che abbia un rapporto qualità-prezzo sempre più elevato (27%) e lo fa anche per la filiera controllata e certificata (23%). Quanto alla carne, un recente approfondimento dell’Università degli Studi di Bologna, Dipartimento scienze e tecnologie agroalimentari, rileva per la prima volta che esistono differenze anche di valore nutrizionale tra il convenzionale e il bio. Un’idea questa che è però già diffusa da tempo
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Banco dei formaggi al mercato agricolo in Piazza Campo di Fiori (photo © Elena Belyaeva – stock.adobe.com). nell’immaginario collettivo. La scelta del consumatore è principalmente guidata da una ragione di ordine etico e di sostenibilità della catena di produzione, legata alle tecniche di allevamento (che escludono, ad esempio, la possibilità di utilizzo di farmaci se non in situazioni codificate) e a quelle di trasformazione, che prevedono l’impiego di un numero limitato di conservanti e additivi. Ma la differenza tra i due prodotti sarebbe riconducibile alla diversa alimentazione, oltre che alle distinte modalità di allevamento. Inoltre, pur nell’ambito del disciplinare biologico, esistono differenze sia nel tipo di alimentazione che nello stile di vita degli animali, come ad esempio il numero di ore passate all’aperto. Tuttavia, al netto dei pareri controversi sul valore nutritivo delle due tipologie di prodotto, esistono dei primi dati scientifici che supportano la tesi di
un maggiore valore nutrizionale degli alimenti biologici ed in particolare di quelli di origine animale. In particolare, la carne biologica parrebbe mostrare un maggiore contenuto di grassi polinsaturi rispetto a quella tradizionale, con difformità più marcate nelle carni avicole e in quelle suine. Ancora più evidente sarebbe il vantaggio sul piano degli Omega-3, per cui la sostituzione della carne convenzionale con quella biologica ne potrebbe determinare un discreto aumento. Nel documento si parla anche di una tendenza ad un maggiore contenuto di minerali nella carne biologica. Gli studi sul tema sono tuttavia ancora pochi ed è pertanto al momento difficile trarre delle conclusioni definitive. Grandi aumenti nell’offerta Al successo del biologico hanno certamente contribuito i diversi canali distributivi. Ormai il bio è disponibile ovunque o
Il biologico potrebbe divenire un modello anche economico a più ampio raggio. Temi, questi, sempre più attuali, anche alla luce dell’esigenza di nuovi modelli di sviluppo sostenibile e dell’intero sistema di generazione di alimenti che possa assolvere a richieste sempre maggiori di cibo, ma che sia nel contempo rispettoso del pianeta e dell’ambiente
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quasi: gli acquisti avvengono per il 51% nelle grandi o medie superfici di vendita e solo in seconda battuta, in negozi specializzati o erboristerie (20%). L’incremento del canale della Distribuzione Moderna Organizzata è certamente dovuto anche ad un adeguamento dei prezzi, andati via via diminuendo, divenendo sempre più alla portata di tutti. È di pari passo aumentata molto l’offerta: i prodotti venduti all’interno dei supermarket sono cresciuti infatti di 6 volte in pochi anni, acquisendo uno spazio importante anche nelle linee di private label. In sostanza, in Italia, quello che un tempo era un mercato di nicchia, appannaggio di alcune fasce più abbienti di consumatori, oggi è una realtà alla portata della maggior parte delle persone. Un mondo produttivo che conta 79.000 addetti, oltre 66.000 imprese produttrici, il 15,4% della superficie nazionale coltivata e più di 18.000 aziende di trasformazione e distribuzione. Oltre 3.000 in più rispetto a quelle della Germania e della Francia e ben 15.000 in più rispetto a quelle della Spagna. In Italia, i quasi due milioni di ettari coltivati in regime biologico rappresentano il 15,4% del totale, con il 50% concentrato in appena quattro regioni: Sicilia (385.000 ettari), Puglia (263.000), Calabria (200.000) ed Emilia-Romagna (155.000). Sul fronte delle varietà sono recentemente cresciute soprattutto le superfici destinate a pomodori (+12%) e frutta (+21%). Crescere, disciplinandosi e mantenendo la credibilità Chi sono gli acquirenti di prodotti biologici? Si tratta prevalentemente di famiglie con una disponibilità economica superiore alla media, soggetti tra i 25 e i 35 anni, genitori di figli piccoli, soprattutto residenti in città che contano più di 500.000 abitanti. Eppure, anche in un settore che va a gonfie vele, ci sono sempre margini di miglioramento. In molti, in Italia, sottolineano l’urgenza di una nuova disciplina che lo rilanci, lo disciplini e offra nuovi stimoli per affrontare i mercati. Il settore ha infatti necessità di crescere ulteriormente, mantenendo la credibilità del sistema, senza snaturare i principi su cui si fonda. La CONFEDERAZIONE ITALIANA AGRICOLTORI – CIA propone l’adozione di una Carta
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dei Valori Bio, che riguardi tre questioni centrali: 1. il consumo di prodotti accessibili a tutti, anche attraverso circuiti come i Gruppi di Acquisto Solidali; 2. il superamento della visione elitaria del bio; 3. una maggiore diffusione delle conoscenze e della consapevolezza degli operatori del settore. Un disegno di legge è già all’attenzione della Commissione Agricoltura del Senato e incassa l’assist della nuova ministro BELLANOVA, che auspica una sua veloce e definitiva approvazione, nell’idea che il settore possa trovare nuova linfa in una disciplina più attuale, anche alla luce delle sfide che i mercati globali impongono. Una disciplina che includa gli aspetti di sviluppo e di competitività della produzione agricola, della trasformazione, ma anche di ambiti ancora relativamente poco esplorati come l’acquacoltura. Le rappresentanze sindacali, prevalentemente concordi sulla positività del testo al momento all’attenzione del Parlamento, sottolineano anche la necessità di spingere verso
Anche il comparto dei salumi bio si è molto evoluto negli ultimi anni. forme di aggregazione interprofessionali, sui biodistretti o sul riconoscimento di una funzione sociale e ambientale del regime. Insomma, il bio potrebbe divenire un modello anche economico a più ampio raggio. Temi, questi, sempre più attuali anche alla luce dell’esigenza
di nuovi modelli di sviluppo sostenibile e dell’intero sistema di generazione di alimenti che possa assolvere a richieste sempre maggiori di cibo, ma che sia nel contempo rispettoso del pianeta e dell’ambiente. Sebastiano Corona
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LOCALI DI GUSTO
La Beccheria, come te nessuno mai di Elena Benedetti
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una macelleria? No. Nemmeno una salumeria-gastronomia. Un forno? No. Una cantina di vini selezionati? Nemmeno. Una cella di stagionatura di carni pregiate o di Parmigiano Reggiano? Men che meno. Insomma come definire La Beccheria, lo spazio di ARCANGELO COLLA e soci che ha aperto
da circa un paio di mesi in centro a Parma? Perché questo in effetti è uno di quei locali che non si può relegare ad una mera definizione ma visitare personalmente per coglierne la straordinaria unicità. E così ho fatto! Arcangelo e tutto lo staff — qua si contano una ventina di persone che si muovono frenetiche dietro i banchi
A sinistra: il banco carni della Beccheria, tra tagli selezionati di carni fresche e frollate e preparati (photo © Costa Group). A destra: in alto, La Beccheria è a Porta San Michele e dista solo 800 metri dalla centralissima piazza Garibaldi. Dotata di parcheggio, occupa una superficie totale di 400 metri, dei quali 180 sono adibiti a vendita al pubblico. In basso, Arcangelo Colla con Carmela Pintori, Giuseppe Vargiu, Manuel Armani e Matteo Colla.
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Franco Costa, presidente di Costa Group: come si costruiscono i sogni Qual è stato il concept seguito da Costa Group per La Beccheria? «Non esiste un concept. Alla base di ogni nostra realizzazione c’è innanzitutto il capire e l’interpretare le persone. In questo caso è stato subito evidente l’amore che il team de La Beccheria nutre per il proprio lavoro. Bisogna saper riconoscere il filo conduttore tra passione e lavoro per poter restituire visivamente i sogni». Nell’esperienza di visitatore e cliente emerge ben chiaro il calore della tradizione dei prodotti offerti e una modernità dei materiali e degli elementi comunicativi. A cosa vi siete ispirati? «L’ispirazione arriva dall’attualità, dal mondo che ci circonda e dalla rapidità dei suoi ritmi. Tenendo conto di tutti questi fattori, con La Beccheria si è scelto un percorso di riappropriazione, di rispetto e recupero del “vero”». La Beccheria potrebbe veicolare un nuovo concetto di “bottega” di tendenza e multiprodotto? «La Beccheria è un esempio concreto di qualità, di serietà, di passione. Spero faccia da apripista per un recupero delle nostre antiche tradizioni e del modo unico di trasformare ed esprimere la qualità gastronomica italiana». >> Link: www.costagroup.net
vendita e nel retro nei laboratori a vista — sembrano tutti sincronizzati gli uni con gli altri. E dire che di cose ne succedono: cinque signore stanno facendo la pasta sfoglia e chiudendo degli anolini. Si intravedono dalla vetrata che le separa da visitatori e clienti e il dettaglio delle loro abili mani al lavoro è messo in risalto dagli specchi posti in alto.
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Poi c’è CARMELA PINTORI, la cuoca de La Beccheria, che coordina lo staff di cucina tenendo d’occhio un pentolone sui fuochi con lo stracotto per il ripieno che sta cuocendo già da 12 ore, mentre i soci di Arcangelo, GIUSEPPE VARGIU, MANUEL ARMANI e SILVANO ROMANI, si muovono indaffarati tra il reparto vendita e il magazzino, tra dipendenti che vanno e vengono e Colla che ha già visto
dalla telecamera che ho parcheggiato all’esterno dove non dovevo ma chiude bonariamente un occhio. Questo è un locale che offre alla fortunata clientela — fortunata perché anche la sottoscritta vorrebbe vivere nei pressi de La Beccheria — una selezione maniacale di prodotti, che rappresentano ampiamente il territorio emiliano, ma che vanno anche oltre regione e oltre confine con formaggi, jamón ibérico, carni e vini. Qui nulla è lasciato al caso, ogni sugo, sottolio, pasta o vino è scelto per gli ingredienti, per la sua lavorazione, per la filiera che rappresenta. Perché a La Beccheria tutto trova un equilibrio perfetto e diverso: c’è spazio per i prodotti da forno con un ampio banco del pane, per i salumi super selezionati in bella vista sotto le luci che ne fanno risaltare le texture e i colori, i formaggi già citati che offrono un bel percorso gustativo tra freschi e stagionati. A ciò, si aggiungono i piatti di gastronomia pronta, da portare a casa per salvare il pranzo o la cena — direi egregiamente — e poi le carni. Ecco, quello delle proteine animali è un terreno per noi sensibile e quindi mi soffermo a lungo sulle vetrine che offrono il meglio del mercato: Fassona piemontese, una selezione di capi allevati a Borgo Val di Taro, la finlandese Sashi Beef, la Rubia Discarlux, il Wagyu Miyabi di Kyoto, in tagli freschi e frollati, oltre ad un numero importante di pronti a cuocere, semplici, senza troppo elaborazioni, che esprimono al meglio il sapore delle carni utilizzate con l’aggiunta di qualche ingrediente che li trasforma in burger o arrosti. Un ceppo da macellaio in bella vista racconta l’arte della macelleria e della lavorazione della carne, perché questo è l’incipit della professione di Arcangelo Colla, che nasce macellaio — con un’altra bellissima macelleria in via Carducci 18/A nel cuore di Parma — e oggi si ritrova a gestire un locale di 160 m2 di spazio al pubblico che offre il meglio della nostra tradizione enogastronomica. Un progetto unico, a metri zero La Beccheria è un percorso visivo e sensoriale davvero unico per la varietà di offerta che viene veicolata con calore. Sicuramente il progetto — sviluppato
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da FRANCO COSTA di Costa Group — non sarà stato facile, ma Arcangelo aveva le idee molto chiare su che cosa doveva diventare La Beccheria. E il risultato oggi è realtà. «L’unicità di questo locale è che facciamo tutto noi, siamo praticamente a metri zero!»mi dice Arcangelo. La carne dalla cella passa in laboratorio e in pochi passi va nella cucina per essere lavorata e trasformata in piatti per la gastronomia o in elaborati per il banco macelleria, sempre che non serva per i ripieni della pasta fatta a mano. «Abbiamo sempre la possibilità di scegliere il meglio per la nostra cucina e tutto ciò non passa inosservato alla nostra clientela, che ci segue attraverso le pareti a vista e che trova conferma della qualità del nostro lavoro nel piatto. Per lo stracotto, ad esempio, usiamo la ricetta di mia nonna, che prevede una cottura di tre giorni» sottolinea Arcangelo, con l’orgoglio di fare le cose fatte bene, nelle corde di un’educazione alimentare che da queste parti è cultura. E di cultura il prossimo anno si parlerà davvero tanto a Parma, Capitale italiana della Cultura 2020 (parma2020.it), luogo di incontro e di dialogo. Citando lo storico MASSIMO MONTANARI, il cibo è cultura quando si crea, quando si prepara, trasformando le materie prime, e quando si consuma come collante sociale che unisce e avvicina. La Beccheria offre una ventina di sedute per eventi e momenti formativi, degustazioni guidate e occasioni aggregative, dove il buon bere e mangiare sono in armonia con professionisti che hanno fatto una scelta ben precisa, quella cioè di puntare solo al meglio, alla loro tradizione, a materie prime di eccellenza. Perché occupare un fuoco con lo stracotto per tre giorni potrebbe essere improduttivo ma l’idea di compiere gli stessi gesti di chi ci ha preceduto e insegnato è impagabile. E la clientela ringrazia. Elena Benedetti
Con la sua selezione di carni La Beccheria serve i migliori ristoranti di Parma e provincia e organizza catering ed eventi in Italia e all’estero, oltre a serate a tema all’interno del locale. Anche per quanto riguarda i salumi, qui si può acquistare il meglio di ciò che offre il mercato (photo © Costa Group).
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La Beccheria Via Emilia Est 11 43121 Parma Telefono: 0521 490104 Facebook: La Beccheria di Parma Instagram: Beccheria_parma • Lun. – Sab.: 8:00-13:30 e 16:00-20:00 Dom.: 9:00-13:00
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Per la seconda edizione del Mortadelladay, il Museo della storia di Bologna dedica uno spazio permanente alla regina rosa dei salumi Uno spazio del Museo della Storia di Bologna, nel centralissimo Palazzo Pepoli, si tinge di rosa: è successo lo scorso 24 ottobre, in occasione del 358o anniversario dell’editto del Cardinal Farnese che regolamentava la produzione della mortadella. Autorità locali, personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo hanno tagliato il nastro inaugurale dello spazio dedicato all’eccellenza gastronomica felsinea, che va così ad arricchire il percorso permanente del museo. Il nuovo spazio museale dedicato alla Mortadella Bologna Igp consente di fare un’esperienza immersiva nell’arte e nella storia fatta di saperi e sapori del salume. Ospita oltre 15 opere che ne raccontano il percorso, dalle origini etrusche e degli antichi romani cui viene fatta risalire l’ideazione della parola “mortadella”, musicale e rotonda che ne preannuncia il delizioso sapore. Un percorso e interattivo che coniuga arte, cultura, curiosità e testimonianze storiche come il famoso bando del Cardinale Farnese, vero e proprio antesignano dell’attuale Disciplinare per la denominazione Igp certificato dall’Unione Europea. Nel 1624 la mortadella era il salume più ricercato e costoso: 3,5 volte più del prosciutto, 9 più del pane e 6 volte più di manzo e agnello! Ricca anche la parte dedicata ai metodi di lavorazione, una sezione educational che spiega la ricetta originale e le fasi di produzione. Il percorso si completa con l’area dedicata al Consorzio e alla comunicazione del prodotto nel corso del tempo. «Si tratta di un progetto fortemente voluto dal Consorzio, realizzato in collaborazione con Genus Bononiae» ha dichiarato Corradino Marconi, presidente del Consorzio Mortadella Bologna. «Uno spazio in cui i visitatori avranno modo di conoscere la Mortadella Bologna Igp a 360 gradi: storia, ricetta originale e fasi di produzione, scoprendone aneddoti e curiosità. Sarà una tappa irrinunciabile per tutti gli amanti di questo nobile salume». «Lo spazio dedicato alla mortadella, all’interno di un percorso storico relativo alla città in cui essa nasce, è basato su un approccio storico e divulgativo, in linea con la proposta complessiva del museo» ha aggiunto il presidente di Genus Bononiae Fabio Roversi Monaco. «Il racconto di questo prodotto si inserisce nel quadro più ampio del patrimonio gastronomico della città, traducendosi anche in finestra sulla società, sugli usi e i costumi dei cittadini bolognesi nel corso dei secoli. Le tradizioni, anche gastronomiche, sono un tassello che ci permette di restituire, contestualizzare e ricostruire il passato, in un mix felice di cultura alta e popolare». L’evento è stato al centro della seconda edizione del Mortadelladay, cui ha fatto da madrina Anna Falchi (in foto con Gianluigi Ligasacchi, ASS.I.CA., e Corradino Marconi).
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NUTRIZIONE
Il prosciutto Crudo di Cuneo Dop nella Dieta Mediterranea di Sara Cordara
I
l prosciutto crudo è uno dei salumi italiani tipici tra i più famosi nel mondo ed è fra i prodotti alimentari italiani che vanta più varietà che possono fregiarsi del marchio DOP, attribuito dall’Unione Europea per le peculiari caratteristiche qualitative dipendenti quasi esclusivamente dal
territorio di produzione. Gli Italiani vanno ghiotti della “carne lavorata” o più semplicemente dei salumi, perché sono comodi da utilizzare e sono gustosi. Come nutrizionista sono dell’opinione che siamo ormai nell’era dei salumi decisamente più “snelli“, cioè a ridotto contenuto di sale e grassi, merito delle
nuove tecnologie che permettono una migliore conservazione del prodotto e dunque una minore quantità del sale, utilizzato appunto con funzione antibatterica e antimicrobica. Ma di questo ne parlerò meglio dopo. Dal punto di vista più strettamente salutistico, il prosciutto crudo oltre ad
Per abbassare la “salinità” del prosciutto crudo meglio puntare sull’abbinamento con la frutta, in quanto l’acqua e il potassio di cui è ricca favoriscono l’eliminazione del sodio presente nei salumi. Inoltre, la frutta apporta fibre e vitamina C, facilitando così l’assorbimento del ferro presente in generale nei salumi stessi.
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avere un buon apporto proteico, può essere consumato senza troppe ansie anche da chi è a regime ipocalorico, perché i grassi di infiltrazione, cioè quelli invisibili contenuti nelle carni, con gli anni sono scesi dal 15-20% al 3-8% circa. Alcune persone hanno il pregiudizio di scartare la parte grassa della fetta, non sapendo che i grassi contenuti sono migliori rispetto anni addietro, risultano aumentati gli Omega-3 (quelli contenuti nel pesce azzurro per intenderci) che contribuiscono a prevenire l’eccesso di trigliceridi nel sangue, mentre sono praticamente inesistenti i grassi trans, quelli che aumentano il rischio cardiovascolare. Più nello specifico, il prosciutto Crudo di Cuneo DOP, grazie all’ottimo contenuto proteico (circa il 29%), al ridotto contenuto di sodio e di colesterolo e alla presenza di vitamine del gruppo B, che aiutano a ridurre stress e stanchezza, soprattutto B1, niacina, B12 e vitamina E, di calcio, ferro, selenio, fosforo e soprattutto magnesio, è consigliabile alla popolazione di tutte le fasce di età: dai bambini agli anziani (il prosciutto crudo ha infatti un coefficiente di digeribilità attorno al 97%), passando anche per gli sportivi, merito del marcato contenuto di sali minerali e delle proteine, altamente ricche di amminoacidi essenziali e anche di “ramificati” come valina, leucina e isoleucina. Rappresenta una valida alternativa alla carne fresca per il contenuto di ferro nelle donne fertili, in quanto si raggiunge facilmente la dose raccomandata giornaliera per questo minerale. Piuttosto, non esagerate ad accostare questa delizia di alimento ad altri cibi salati: abbinatelo invece sempre a delle verdure e concedetevelo da una a tre volte al massimo alla settimana.
Dolce e delicato, da abbinare a frutta e verdura e a pane senza sale Ma concentriamoci sul quantitativo di sale: in quello crudo DOP di Cuneo ne troviamo circa 4,5 g in 100 g di prodotto, meno rispetto ad altri presenti in commercio, questo giustifica infatti il suo sapore “dolce” e delicato. Detto ciò, non c’è ragione per rinunciare al rito dell’antipasto all’italiana, quello in cui troneggiano fette di prosciutto insieme alle verdure in sottolio, in pinzimonio e sottaceto. A patto di considerarlo un piatto unico, perfetto per un pasto semplice e veloce, ma soprattutto sfizioso. Per abbassarne la “salinità” puntate sulla frutta, in quanto l’acqua e il potassio di cui è ricca favoriscono l’eliminazione del sodio presente nei salumi. Provate e sperimentate coppie insolite, come prosciutto crudo e ananas o pompelmo o uva bianca o frutti di bosco o ancora mango e papaia. Oltre a stemperare la sapidità dei salumi, la frutta apporta fibre e vitamina C, facilitando così l’assorbimento del ferro presente nei salumi stessi. Ovviamente, come accennavo già prima, nello stesso pasto meglio consumare alimenti poco sapidi, come il pane toscano senza sale. La riduzione del sale nei prodotti della salumeria italiana come il nostro prosciutto Crudo di Cuneo DOP si deve a tanti fattori: alla maggiore qualità delle carni (che ora sono più mature e quindi meno ricche di acqua), al miglioramento delle condizioni igieniche negli allevamenti e nei salumifici, come sottolineavo all’inizio all’adozione di più moderne tecniche di produzione (come la tecnologia del freddo), al controllo dei periodi di asciugatura e stagionatura e alla maggiore attenzione nella quantità e qualità delle spezie utilizzate.
Mangiare sano sposando la Dieta Mediterranea vuol dire mettere in tavola pasti equilibrati, ossia che apportino determinate quantità di carboidrati, grassi e proteine. L’equilibro dei nutrienti garantisce benessere e giusto senso di sazietà.Abbinato correttamente, perciò, il prosciutto crudo si può gustare da 1 a 3 volte la settimana
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Equilibrio a colazione, pranzo, merenda e cena Il prosciutto Crudo di Cuneo DOP è prodotto con l’uso di soli due ingredienti: coscia di maiale e sale. Nei salumi in genere il tenore di sale dipende anche dall’eventuale uso di altri conservanti, come nitriti e nitrati. Oggi i primi sono praticamente stati abbandonati, mentre i secondi hanno subito una considerevole riduzione proprio grazie all’uso del frigorifero, alle conoscenze microbiologiche e allo sfruttamento delle proprietà batteriostatiche di spezie ed erbe aromatiche, attraverso il quale si riescono a produrre salumi sempre sicuri dal punto di vista sanitario, ma con migliori proprietà organolettiche e pochi conservanti. Infine, mangiare sano sposando la Dieta Mediterranea significa mettere in tavola pasti equilibrati, ossia che apportino determinate quantità di carboidrati, grassi e proteine. L’equilibro dei nutrienti garantisce benessere e giusto senso di sazietà. Ad esempio, una buona merenda sana per i vostri bimbi può essere il classico panino con il prosciutto, preparato con 50 g di crudo e 100 g di pane (preferibilmente integrale che è più ricco di fibre); inoltre, apporta una buona quantità di proteine e carboidrati. Nutrizionalmente però non è completo: meglio aggiungere delle verdure grigliate o qualche foglia di insalata, con un cucchiaio di olio extravergine di oliva e succo di limone, un ottimo antiossidante capace di favorire l’eliminazione del sale attraverso le urine. Se desiderate consumare il prosciutto crudo per colazione affiancatelo con due fette di pane di segale tostato e un frutto fresco. Leggete sempre le etichette prima di acquistare un prodotto, anche per i salumi Leggete sempre le etichette nutrizionali ed evitate i salumi in generale che contengono zuccheri aggiunti. Avete sentito bene: fruttosio e destrosio sono spesso inseriti per conferire un sapore migliore al prodotto; si tratta però di salumi di bassa qualità, che diventano così più dolci e gradevoli (a mio parere nauseabondi). Dott.ssa Sara Cordara Nutrizionista www.nutrizionismi.it
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TRADIZIONI
Pranzi e cene di Natale, in Italia ce n’è per tutti i gusti di Elena Benedetti
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a Nord a Sud dell’Italia una bella tavola imbandita è da sempre la protagonista della liturgia del Natale. Il proscenio di energie, tempo e attività frenetiche volte a trasformare in incanto un momento di convivialità. Cene, pranzi e ancora cene, attraverso le quali si celebrano le festività di fine anno. Ogni regione segue i propri rituali gastronomici, puntualmente messi in scena per riprodurre sapori e aromi nei quali ciascuno si identifica, per cultura o identità. Ripercorriamo insieme allora, dalle Alpi alle Isole, le tradizioni culinarie della Vigilia e del Natale, alla scoperta dei piatti che ogni anno alimentano questa magia.
In Valle d’Aosta la cucina è gustosa e ricca. Per contrastare il rigido clima di stagione, a Natale si prepara una zuppa alla valpellinentze, servita bollente in tegamini di coccio, saporitissimo equilibrio di cavolo verza, fontina, burro, brodo di carne, pane raffermo, noce moscata, cannella, sale e pepe. Seguono i salumi tipici regionali, tra cui la mocetta, il jambon de Bosses e il lard di Arnad (Salumificio Bertolin di Arnad, AO; www.bertolin.com), per arrivare a concludere il pasto col mecoulin, soffice pane dolce di Natale con uvetta, tipico di Cogne (Pasticceria Perret, telefono: 0165 74009). In Liguria la tradizione impone una sobria cena della Vigilia, con torta pa-
squalina o torta di bietole, salumi vari e il cappon magro. È invece ricco il pranzo di Natale, con un abbondante antipasto a base di insalate di pesce, polpo e acciughe marinate. Caratteristici i maccheroni ripieni con uova, parmigiano e noce moscata, richiusi alle estremità con pasta di salsiccia e cotti in brodo di tacchino o cappone. Seguono cappone lesso con mostarda, purea di patate e verdure bollite. Di ritorno dal presepe nella Chiesa di San Marco al Molo, suggestiva ambientazione della natività ricreata nel porto antico di Genova, è tradizione gustare il pandolce (Pasticceria Romanengo, www.romanengo.com) insieme allo Sciacchetrà, vino passito DOC delle Cinque Terre.
La tavola natalizia emana abbondanza e prosperità nelle decorazioni come nei piatti (photo © DragonImages – stock.adobe.com).
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Il Piemonte celebra il rituale del pranzo natalizio con un menù classico a più portate: si va dai semplici antipasti di salumi, vitello tonnato e sottoli, all’antipasto tipico langarolo, che consiste in verdure cotte al vapore in salsa di pomodoro. Si procede poi con i primi piatti, agnolotti al sugo di arrosto e tajarin ai funghi. La seconda portata è ottima carne bovina piemontese, cucinata arrosto, come il cappone di Morozzo, con accompagnamento di patate al forno, o brasata, con purea o polenta. Per concludere il pasto non possono mancare il bunet, delizioso budino al cioccolato con amaretti e una lacrima di rum, e il tradizionale panettone della Pasticceria Gertosio di Torino (www.gertosiopasticceria.it). Per chi è avverso a uvette e canditi c’è il pandolce della Pasticceria Pfatisch (www.pfatisch.com), morbida pasta di panettone e null’altro. Le feste a tavola in Lombardia si manifestano nella loro grandezza nel pranzo del 25 dicembre. A Milano si parte coi ravioli in brodo di cappone, un classico. Seguono le carni, dal cappone ripieno all’arrosto fino alla selvaggina, come ci racconta GIORGIO PELLEGRINI dell’omonima macelleria di via Spallanzani a Milano (www.macelleriapellegrini.it). Considerando le altre province lombarde citiamo due varianti di menù: i casonsei (ravioli ripieni) nel Bergamasco e i tortelli di zucca con la mostarda del Mantovano. Due i dolci: il panettone, che si può acquistare da Cova in Montenapoleone a Milano (www.pasticceriacova.com) e il torrone di Cremona (Pasticceria Lanfranchi, telefono: 0372 28743). Il Veneto non è da meno nella celebrazione gastronomica del Natale. Dopo un antipasto con salumi tipici come soppressa e salsiccia luganega e crostini di petto d’oca si passa ai ravioli in brodo di cappone. Un’altra prima portata spesso presente sulle tavole è il risotto al radicchio rosso di Treviso. Seguono i lessi di manzo con cren, il baccalà alla vicentina, l’anguilla in umido, il cappone farcito con polenta e contorno di purè di patate. Tra i dolci non può mancare il tradizionale Pandoro di Verona. È prodotto artigianalmente e incartato a mano quello della Pasticceria Perbellini (www.perbellini.com) di Isola Rizza, Verona, che è anche stellato ristorante.
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Lo speck è l’ingrediente chiave di tantissimi piatti della tradizione gastronomica del Belpaese, come ad esempio i canederli del Trentino Alto Adige (photo © samopauser – stock.adobe.com). In Trentino Alto Adige il Natale inizia a novembre coi famosi mercatini, da anni meta di curiosi e appassionati. Vigilia e Natale sulle tavole sono caratterizzati dai tradizionali canederli, polpette di pane raffermo insaporite con Speck Alto Adige IGP, pancetta, salame, uova, latte, farina. Una volta lessati si possono gustare in brodo o asciutti, conditi con burro fuso e formaggio e persino con ragù di carne. Ci sono poi gli strangolapreti alla trentina, deliziosi gnocchi di pane con spinaci, uova e ricotta conditi con burro fuso e grana trentino. Le carni sono le ovvie protagoniste dei secondi piatti, con stinco, capriolo e capretto, accompagnati da polenta e formai frit e patate al forno. Come dolce non possono mancare il tipico strüdel e lo zelten (Franziskaner Bäckerei, Bolzano, www.franziskanerbaeckerei.it). Nel Friuli Venezia Giulia la festività natalizia è molto sentita e si celebra durante tutto il mese di dicembre nei tanti mercati e nelle feste di paese. In tavola ci sono brovada e muset, una saporita zuppa di rape e cotechino accompagnata da polenta, gnocchi di patate con salsa al Montasio, cappone arrosto e trippa con sugo di carne. I dolci tradizionali sono due, la gubana e il presnitz. Quest’ultimo, tipico dolce triestino a base di pasta sfoglia arrotolata, ha un ripieno di noci, mandorle, i pinoli, fichi,
prugne, albicocche, uvetta, cioccolata grattugiata, zucchero, cannella, chiodi di garofano e rum. E arriviamo in Emilia-Romagna. Col pretesto delle feste, da Piacenza a Riccione si lavora per restare coi piedi sotto al tavolo almeno 3 giorni di seguito. Si inizia col Cenone della Vigilia, forse il momento più magico, precede la mezzanotte, e spesso coincide con lo scambio dei doni. La religione lo vuole leggero e di magro, e la tradizione lo ha trasformato in un ricco pasto a base di pesce nel quale non possono mancare capitone marinato, segno di buon augurio, e le frittelle di baccalà. Il giorno di Natale e a Santo Stefano si cambia registro. Dopo un ricco antipasto di salumi è il momento delle paste ripiene in brodo di carne: a Bologna e Modena ci sono i tortellini, nel Reggiano e in Romagna i cappelletti, a Parma e Piacenza gli anolini. Si passa poi ai super tradizionali cotechino e zampone con lenticchie, purè e mostarda. Tra i dolci, oltre ai classici panettone, pandoro e zuppa inglese, a Bologna c’è il certosino o panspeziale, in dialetto panspzièl, con mandorle, pinoli, cioccolato fondente e canditi. Altro dolce tipico natalizio è la spongata o spungata. In Toscana, terra di poeti, “Chi guasta la Vigilia di Natale, corpo di lupo e anima di cane”: così tuonava minaccioso un detto contro chi non se-
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Frutta secca e candita, cannella e spezie profumano i dolci del Natale da Nord a Sud dello Stivale (photo © Ryzhkov – stock.adobe.com). guiva di rigore la tradizione del mangiar leggero la sera della Vigilia. Oggi ci si abbandona con più indulgenza ai piaceri della tavola anche nella notte del 24 dicembre. La preferenza è verso piatti a base di pesce: baccalà in saor, pasta con vongole o tonno condita con crema di ceci, pesci al forno e i tradizionali dolci natalizi quali i ricciarelli (tipici di Siena con mandorle, zucchero e albume d’uovo), panpepato e panforte. Il 25 si passa alle carni, con cappelletti in brodo di cappone, crostini di fegatini, petto d’anatra e tacchino arrosto. Tra mercatini, presepi artistici e viventi e canti popolari, anche nella cucina locale l’Umbria riscopre le antiche tradizioni locali. Il giorno di Natale si fa festa con i cappelletti di cappone e piccione in brodo, zuppa di ceci e castagne e cappone bollito con contorno di cardi. Come dolce non può mancare il panpepato, piccolo e tondo pane di frutta secca, cioccolato e pepe nero (Pasticceria Marchetti, www.pasticceriamarchetti.it). Nelle zone di Foligno, Assisi e Spello è tradizione preparare la rocciata, un dolce di mele simile allo strudel mentre in provincia di Perugia si fa il torciglione, tipico dolce natalizio a forma di serpente arrotolato con pasta di mandorle. Nelle Marche si conferma la Vigilia senza carne, con la cosiddetta pasta di magro, degli spaghetti con sugo
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di olive, alici, tonno e pomodoro. A seguire anguilla alla brace e stoccafisso fritto. Per il pranzo del 25 troviamo i cappelletti in brodo di carne, i vincisgrassi (timballo di lasagne al forno condito con ragù, parmigiano burro e besciamella), cappone arrosto e il tradizionale fritto misto (costolette di agnello, cremini, verdure e naturalmente le olive all’ascolana). Si chiude in dolcezza col frustingo del Piceno: pane dolce di farina integrale con frutta secca e mosto cotto. In Abruzzo, dopo un’abbondante Vigilia a base di pesce (con pasta al tonno e baccalà in ogni forma), si prosegue a festeggiare la natività col tradizionalissimo brodo di Natale, che è tutto fuorché una minestrina leggera. Alla base ci sono i cardi, ai quali si aggiungono carne (tacchino, gallina, vitella), uova, formaggio e zuppa imperiale. Nella zona di Teramo va molto il timballo di scrippelle, crespelle sottilissime fritte e farcite di formaggio. Le carni di agnello arrosto e il bollito di manzo sono ricche seconde portate. Ma la vera festa è con i dolci, numerosi e vari a seconda della provincia: si va dal parrozzo, dolce a base di mandorle, ai calcionetti fritti (piccoli panzerotti ripieni di marmellata, ceci, noci, mandorle e cacao) fino alle ferratelle, sottili biscotti cotti su una piastra rovente, a volte arrotolati con ripieno di marmellata d’uva, crema o cioccolata.
E arriviamo nel Lazio, regione ricchissima di memoria gastronomica. Qui la sera della Vigilia ci si riunisce per il tradizionale cenone a base di bruschetta, fritto misto di baccalà, broccoli e carciofi alla romana, capitone marinato, pasta e broccoli in brodo di pesce di arzilla (razza chiodata), con eventuale aggiunta di vongole, spaghetti cacio e pepe o pasta al tonno. Il 25 dicembre si passa ai cappelletti in brodo e alle carni, con l’abbacchio al forno, specialità laziale, bollito misto e tacchino ripieno (Macelleria Feroci, Roma, telefono: 06 68801016). Tipici dolci della tradizione romana sono il pan giallo e il panpepato. Il primo è a base di farina, canditi, pinoli, mandorle, cannella, noce moscata, chiodi di garofano in polvere, zibibbo o uva sultanina. Deve il suo nome all’antica consuetudine di ricoprirlo con acqua di zafferano dal caratteristico colore giallo. Il secondo, molto simile negli ingredienti (seppur con l’aggiunta di cioccolato, miele, pepe e nocciole), ha una forma più schiacciata o a filoncino. In Molise per la Vigilia la tradizione vuole che si mangi di magro. Un piatto tipico della cena del 24 dicembre è il baccalà arrancanato, ovvero gratinato. Secondo la ricetta originale andrebbe cotto nel camino, ricoperto di ceneri. Il sapore del pesce è arricchito dalla presenza di noci e uva passa, olio e alloro. Il giorno di Natale la liturgia del pasto inizia con la zuppa di cardi, la pizza di Franz in brodo (piccoli pezzi di pizza a base di uova, parmigiano grattugiato e prezzemolo al forno), maccarun ch’i hiucc (maccheroni con cavolfiore, mandorle, mollica di pane, aglio, olio e pepe), e si conclude con i calciuni molisani, buonissimi dolcetti fritti e farciti con una crema di castagne e aromatizzati con una punta di rum. E siamo arrivati in Campania. Uno dei piatti principe della tavola natalizia napoletana è il baccalà, presente nel menù della Vigilia sotto forma di pastelle, accompagnato da antipasti a base di salmone marinato e affumicato e o’ purp a’ ‘nzalata, il polipo in insalata. Tra le paste non mancano mai gli spaghetti alle vongole. Seguono spigole di mare al sale, capitone fritto o con foglie di lauro, e ancora baccalà, questa volta fritto. Tra i contorni ricordiamo il cavolo
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i t t o o d Pro archi am
Le feste sono un bel momento di aggregazione in cucina: mani in pasta, si lavora insieme per preparare i piatti che celebrano i riti delle festività. Qui in foto dei culurgiones freschi, tipica pasta ripiena sarda che non può mancare sulle tavole del Natale (photo © alex.pin – stock.adobe.com) fritto e l’insalata di rinforzo (cavolo, papaccelle, una varietà di peperone, olive, cetrioli, acciughe e aceto di vino). Il 25 dicembre si passa alla carne: dopo una minestra maritata in brodo di gallina, è il turno del maialino al latte o della gallina imbottita, accompagnati da patate novelle al forno, broccoli di Natale e insalata russa. I dolci sono un’esplosione di sapori e festa: cassata, roccocò (con mandorle, farina, zucchero, canditi e spezie), mustacciuoli (tipici ischitani), struffoli e pastiera (Pasticceria Scaturchio, www.scaturchio.it). Albero e presepio, baccalà i roie manere e foco carricato rainda a ciminera: così recita l’attacco di una poesia in dialetto lucano. Anche in Basilicata il baccalà è protagonista della tavola a Natale, spesso cucinato lesso e accompagnato da peperoni cruschi (seccati al sole e fritti in olio di oliva) e preceduto da una fumante minestra di scarole, cardi e verze cotti in brodo di tacchino e salame arricchita da formaggio. A seguire, gli strascinari, pasta corta tirata a mano simile alle orecchiette, al ragù di carne, u’ piccilatiedd, il tradizionale pane delle feste, i calzoncelli, panzerotti con un cuore di mandorle e cioccolato, ceci o castagne lesse, e le pettole, pallottole di pasta lievitata molto morbida fritte nell’olio bollente.
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In Calabria uno dei piatti delle feste natalizie è la pasta china, pasta al forno simile alle lasagne o a maccheroni giganti ripiena di polpettine di vitello, salsiccia piccante al peperoncino, provola dolce, caciocavallo e pecorino. A Natale non può mancare il fritto misto di verdure, con il cavolfiore e i lampascioni, cipolle selvatiche dal sapore amarognolo, capretto al forno con contorno di broccoli saltati con peperoncino. Tra i tanti dolci calabri che accompagnano i giorni di festa c’è la giurgiulena, un torroncino di sesamo, miele e zucchero, cosparsa con confetti colorati, e i pretali, biscotti a forma di mezzaluna ripieni di fichi secchi macinati, noci, mandorle, scorze candite, uva sultanina, caffè e vino cotto. Tra presepi viventi (Alberona e Alberobello), i falò di Santa Lucia (Putignano), sagre e mercatini (Ostuni e San Ferdinando), il Natale in Puglia è festa grande, anche a tavola. Nei giorni che precedono la Vigilia vengono prese d’assalto le pescherie per accaparrarsi una buona dose di baccalà, capitone e anguille. Il pesce è protagonista del cenone del 24, con anguilla arrostita, baccalà in umido e fritto, servito con lampascioni e cime di rapa stufate. Il 25 dicembre si passa alle lasagne al forno, seguite dall’agnello e salsiccia
alla griglia. I dolci sono tanti e ricchi: dalle pettole, morbide frittelle da intingere nello zucchero, al torrone, ai porcedduzzi, dadini di pasta dolce fritti e ricoperti di miele, frutta secca e piccola pasticceria di mandorle. La Sicilia è regione forte di una tradizione gastronomica che a Natale si amplifica ed esalta in piatti ricchi ed elaborati. Anche qui la Vigilia è rigorosamente di magro (pesce): pasta con le sarde o con le cozze, anguilla e baccalà sono d’obbligo. Il giorno di Natale si inizia con le scacce ragusane (gustose focacce farcite con melanzane, formaggio e pomodoro), i cardi in pastella in brodo di gallina, anellini al forno con ricotta, il pasticcio di Natale e tanta carne. Impera sulle tavole l’agglassato, tipico arrosto di carne molto diffuso nel Palermitano cucinato con Marsala e cipolle. Tra i dolci ricordiamo i buccellati di Enna ripieni di fichi secchi, i mustazzoli, le cassate e i cannoli. Concludiamo il nostro excursus gastronomico natalizio con la Sardegna. A seconda della zona le consuetudini possono variare: c’è chi cucina solo carne, e nello specifico il porceddu, maialino sardo, o l’agnello arrosto. In prossimità del mare la sera della Vigilia si fa festa con una cena a base di pesce, solitamente aperta con antipasto di burrida, a base di palombo bollito e marinato, con li chiusoni, gnocchi tipici della Gallura, anguilla e altre specialità ittiche alla brace. A Natale non mancano i culurgiones de casu, originali ravioli ripieni di formaggio fresco con sugo di pomodoro, e i profumati salumi e le salsicce della tradizione norcina isolana. A fine pasto ci sono le pabassinas, con uva passa, mandorle, noci, scorza di limone grattugiata e miele. L’identità culturale di un Paese si afferma anche attraverso la condivisione delle tradizioni gastronomiche. Abbiamo ricordato alcuni dei piatti più frequenti sulle tavole di fine anno, spesso accomunati dai medesimi ingredienti (ad esempio baccalà e capitone o i dolci ricchi di frutta secca e candita). Questa ricchezza enogastronomica ci unisce e differenzia. Ci appartiene e viene interpretata da ciascuno di noi, filtrata dalle personali esperienze e tradizioni. Un meraviglioso patrimonio che ci lega, da difendere e salvaguardare. Buon Natale. Elena Benedetti
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Il cotechino come non lo avete mai visto Se il cotechino è il protagonista indiscusso del Natale, il Salumificio Giuseppe Citterio, azienda italiana con una storia di successo che dal 1878 attraversa cinque generazioni di imprenditorialità famigliare, oggi lo propone in una versione originale attraverso tre nuove ricette: le Tartellette di lenticchie farcite con mousse di cotechino (che trovate di seguito), il Bicchierino 3 strati: crema di zucca, castagne miele e rosmarino, dadolata di cotechino e il Mini burger con maionese alla mostarda, cialda sottile di polenta fritta e fetta di cotechino (in foto). Gli amuse-bouche al cotechino rappresentano un antipasto perfetto per aprire i pasti delle imminenti festività. Ricordiamo che il Cotechino di Modena Igp Citterio viene preparato seguendo la ricetta della tradizione. Attenta selezione e lavorazione delle materie prime, sapiente dosaggio di spezie ed erbe aromatiche, senza glutine e derivati del latte: nasce così un prodotto dal profumo delicato e dal gusto inconfondibile. >> Link: www.citterio.com
Tartellette di lenticchie farcite con mousse di cotechino (dosi per 10 tartellette) Ingredienti: 500 g di Cotechino di Modena Igp ben cotti Citterio • 200 g di lenticchie • mezza cipolla • 1 uovo • 1 cucchiaio di Parmigiano Reggiano • 1 cucchiaio di pane grattugiato • olio e latte quanto basta. Preparazione: dopo aver tenuto in ammollo le lenticchie e averle sciacquate, cuocerle in pentola con un soffritto di olio e cipolla andando leggermente oltre cottura in modo che restino ben compatte. Una volta raffreddate, amalgamare le lenticchie con un uovo intero, un cucchiaio di Parmigiano e un cucchiaio di pane grattugiato. Cospargere degli stampini da cupcake antiaderenti con olio evo e foderarli con il composto di lenticchie. Preriscaldare il forno a 160° C e cuocere per circa 15 minuti o comunque finché la tartelletta non si sarà solidificata. Nel frattempo, cuocere il cotechino secondo le istruzioni riportate sulla confezione. Al termine della cottura frullarlo aggiungendo latte fino a quando non raggiunge la giusta cremosità. Con un sac à poche, riempire le tartellette di lenticchie con la mousse di cotechino.
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CURIOSITÀ
Buono e caro Vuoi fare un regalo davvero di lusso? Ecco i cibi più costosi del mondo, dal manzo giapponese di Hida al miele Elvish, rinvenuto in una grotta in Turchia
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he la buona tavola sia uno dei grandi piaceri della vita è un pensiero largamente condiviso, ma, a volta, può rappresentare un vero e proprio lusso. Esistono, infatti, alcuni cibi molto particolari ed estremamente pregiati, dai sapori e profumi unici al mondo e, per questo, dai costi altissimi, proibitivi per la maggior parte delle persone. Si tratta di alimenti con una specifica provenienza geografica, la cui coltivazione o produzione impone il rigido rispetto di regole e norme. Portare a tavola questi tesori, è proprio il caso di dirlo, comporta una spesa di diverse migliaia di euro. Vi lasciamo di seguito un pic-
colo elenco dei cibi più cari secondo la classifica stilata da ALESSANDRO MAOLA, esperto in PR e strategie di comunicazione integrata e per il web. Hida-Wagyu, il manzo da 1.000 dollari al chilo I manzi vengono allevati nella verde regione giapponese Hida, allo stato quasi brado, alimentati a erba per i primi mesi, per poi passare al fieno di riso e altri mangimi rigorosamente vegetali autoctoni. La principale caratteristica di questa carne, riscontrabile anche a occhio nudo sui tagli ancora crudi, è la percentuale e la distribuzione di grasso interno alle fibre che forma una
Manzo di Hida. Uno dei motivi della pregiatezza di questa carne è certamente la marmorizzazione del grasso, che si presenta con fitte e sottili striature, simili a quelle del marmo. È ricchissima inoltre di amminoacidi e Omega-3.
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ragnatela, come un marmo, sempre più importante a seconda della marezzatura (marbling) di riferimento. Maggiore è la presenza di grasso tra le fibre, più è buona e pregiata la carne, ed è anche più salutare per il nostro organismo. In Italia oggi l’unico importatore ufficiale e certificato è Taki Japan International, che serve alcune macellerie e ristoranti di alto livello, come il Taki Restaurant, a Roma, a due passi da Piazza Cavour. Miele Elvish, che fu venduto a 45.000 euro al chilo Estratta a 1.800 metri di profondità, in una grotta presso la valle di Saricayir, nel nord-est della Turchia, questa è la varietà di miele più costosa al mondo. Nel 2009, alcuni apicoltori locali notarono delle api entrare nella grotta ed ipotizzarono ci potesse essere del miele. Si tratta di un prodotto pregiatissimo, realizzato in modo completamente naturale, arricchito dai minerali della grotta da cui viene estratto. Il primo chilo di miele fu venduto a 45.000 euro, ma poi il prezzo è decisamente diminuito, fino ad arrivare ai 5.000 euro al kg di oggi. Può essere utilizzato sia come alimento che come un vero e proprio farmaco. Tartufo bianco d’Alba, un fungo da 160.406 dollari per 1,51 kg 160.406 dollari: è questo il prezzo record per un tartufo di 1,51 kg venduto all’asta. Il Tartufo bianco di Alba, in provincia di Cuneo, Piemonte, è considerato il re dei i tartufi, poiché è il più profumato, il più aromatico, ma anche il più raro. Nonostante i numerosi tentativi di coltivarlo, infatti, nessuno ci è mai riuscito. La parte esterna appare liscia, chiara, di color bianco latte o giallino, mentre la polpa all’interno è giallastra con sottili venature. Il sapore più avere leggere note piccanti e ricordare vagamente quello del formaggio Grana.
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Nel mondo ci sono cibi che per la loro rarità possono raggiungere quotazioni esorbitanti. Battuti all’asta come opere d’arte, pagati a peso d’oro, se li contendono chef e ricchi gourmands. E voi, avete già acquistato i vostri regali di Natale? In alto: caviale Almas Beluga nella sua confezione d’oro 24 carati (photo © www. hedonistas.com). In basso: tartufo bianco d’Alba (photo © www.fortunatiantonio.it). Melone Yubari King, il frutto più caro del mondo Questa particolare varietà di melone è il frutto più costoso al mondo: il prezzo medio per una coppia varia dai 100 ai 250/300 euro, ma si può arrivare a pagarli anche 20.000 euro. I primi due meloni di inizio raccolta, infatti, vengono messi all’asta, come fosse una sorta di buon augurio per la stagione, e gli acquirenti possono arrivare a spendere cifre folli. Coltivato in Giappone, nella città di Yubari, le piante che lo producono vengono innestate su esemplari più maturi, per sfruttare
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le radici. Vengono coltivati pochissimi esemplari ogni anno e i frutti vengono sollevati da terra per essere massaggiati e lavati più volte al giorno. Sembrerebbe essere proprio questo trattamento, oltre alle particolarità dell’area geografica, a garantire la superiorità del gusto di questo frutto. Caviale Almas Beluga, venduto in contenitori d’oro 24 carati a 25.000 $/kg Che il caviale sia un alimento di lusso è cosa ben nota, ma alcuni tipi lo sono decisamente di più. Almas, un
caviale di colore straordinariamente chiaro (termine che non a caso significa “diamante”), viene ricavato da storioni Beluga del Mar Caspio con almeno 100 anni di età albini o con difetti di pigmentazione cutanea. Per la sua rarità e particolarità, questo caviale ha un costo di 25.000 dollari al chilo. Per chi volesse acquistarlo, da CAVIAR HOUSE & PRUNIER, a Piccadilly Circus, a Londra, viene venduto con un packaging davvero singolare: un piccolo contenitore d’oro 24 carati. (Fonte: EFA News European Food Agency)
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SAPORI DAL MONDO
I tartufi di Buzet “Pietro & Pietro” è il nuovo brand dell’azienda croata Natura Tartufi d.o.o., che ha in Daniela Puh il suo punto di riferimento. Oltre alla raccolta, alla trasformazione e alla vendita dei tartufi, la ditta organizza per turisti e clienti battute di caccia coi cani e degustazioni guidate di Gian Omar Bison
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uzet (Pinguente in veneto) è una città dell’Istria croata di 6.000 abitanti circa. Un centro commerciale e amministrativo importante, salito da anni agli
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onori delle cronache gastronomiche per le peculiarità organolettiche dei tartufi bianchi e neri che in questi boschi e valli abbondano. Tra le aziende di punta che vantano una tradizione quasi secolare
nel settore c’è sicuramente NATURA TARTUFI che ha in DANIELA PUH la guida e il punto di riferimento. Una ditta che oltre alla raccolta, alla trasformazione e alla vendita dei tartufi, organizza D.O.O.,
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Daniela e Marko Puh con i tartufi di Natura Tartufi (photo © www.derkrug.at e camping-simuni.hr). per i turisti e i clienti battute di caccia con i cani e momenti di degustazione guidata. “Pietro & Pietro” è il brand di fresca creazione a significare che dal bisnonno Petro nel 1932 al nonno Petro Cerneka a Daniela appunto, passando per Anita Cerneka, la mamma, e Kvinto Puh, il papà, c’è stata una continuità imprenditoriale che col marito Marko confidano di estendere in futuro anche ai due figli. Ma non solo: “Pietro & Pietro” è soprattutto il simbolo di una storia, di una saga familiare che intende raccontarsi sulle ali dell’orgoglio e della tradizione. «Mio bisnonno — sottolinea Daniela — dava questi strani tuberi ai maiali, finché conobbe un gruppo di Italiani, addetti alla costruzione della ferrovia parenzana, che andavano a caccia nel bosco con i cani, ma senza fucili. Gli Italiani notarono come quest’area avesse caratteristiche pedoclimatiche sovrapponibili ad altre aree italiane conosciute e rinomate per la tartuficoltura. Gli insegnarono la conservazione, la lavorazione e l’utilizzo gastronomico e il nonno ne pagava le consulenze con vino e salsicce. In quel momento divenne per lui, e da lì per sempre nella nostra famiglia, il lavoro a tempo pieno. Io non ho mai pensato né voluto occuparmi d’altro». La base di tutto restano i cani ed il loro addestramento che dura tre anni, periodo nel quale passano dalla puPremiata Salumeria Italiana, 6/19
bertà all’età adulta. Da Natura Tartufi si utilizzano cani meticci, versati, a loro dire, per la caccia, se ammaestrati come si deve, non meno di altre razze blasonate come il Lagotto romagnolo. Meglio le femmine dei maschi che, crescendo, tendono ad essere più farfalloni e meno affidabili. «Dipende tutto dall’addestramento, che iniziamo quando hanno quattro giorni di vita strofinando le nostre mani odorose di tartufo nelle mammelle della madre così da abituarli da subito al gusto. Una volta cresciuti, iniziamo a nascondere dei pezzi di tartufo per terra e ad incitarli alla ricerca e gratificarli una volta trovati con pezzi non commerciabili. Da ultimo, bisogna abituarli a cercare e scavare e a lasciare per terra, non inghiottire il tartufo trovato. Negli anni a venire restano con noi impegnati nella caccia al tartufo e, se non fossero all’altezza, troviamo un’altra collocazione da persone interessate». Quattrocento sono i cacciatori di tartufi che lavorano per loro, su un totale di duemilacinquecento registrati ed autorizzati dalla Regione Istria. Tutti possono raccogliere al massimo mezzo chilo di tartufi al giorno. Nei boschi di proprietà dei Puh, quattro ettari circa, ne vengono raccolti grossomodo 35 quintali all’anno tra bianchi e neri, dipende dalla stagione e dall’andamento climatico. «In proporzione, il 60% è 71
La degustazione con salse, formaggi e olio al tartufo proposta da Natura Tartufi (photo © hedonist.com.hr). composto da bianchi raccolti a fondo valle, tendenzialmente vicino ai piccoli corsi d’acqua, e il 40% di neri che si trovano più in alto nella montagna» puntualizza Daniela. «Li lavoriamo tutti nella nostra azienda, vendendone il 40% freschi ed il restante trasformati. Di quel 40% molto ne esportiamo sin dal 1992, in particolare negli Stati Uniti, in Canada, negli Emirati Arabi e in alcuni Paesi europei, soprattutto in Gran Bretagna e Svezia». Secondo Daniela i tartufi bianchi istriani e quelli italiani hanno caratteristiche organolettiche sovrapponibili: profumo intenso e sapore deciso. «Non credo ci siano altre aree così vocate e così caratteristiche nel mondo. Il tartufo più grande trovato in famiglia pesava 930 grammi. E il più caro che abbiamo mai raccolto lo abbiamo venduto per ottomila euro. Trattare i tartufi grandi è sempre complesso, perché i margini di guadagno tra l’acquisto da un cacciatore alla vendita non sono così significativi. È un gran guadagno, ma solo per chi lo trova». Venti i dipendenti impiegati in azienda e cinquemila all’anno le persone
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che, a vario titolo, pagando, partecipano a battute di caccia al tartufo. La distribuzione viene fatta soprattutto tramite grossisti specializzati. Solo per determinati ristoratori in Croazia ed Austria si prodigano per una vendita e consegna diretta. «Al momento non siamo interessati ad ampliare i boschi di proprietà né ad aprire altri negozi nostri monomarca in altre città. Abbiamo dei corner in alcune gastronomie partner e inoltre siamo presenti col tartufo fresco al duty free dell’aeroporto di Zagabria, unico al mondo, credo, con i tartufi freschi. Ora come ora siamo focalizzati nella costruzione, dove siamo, di una Casa del tartufo più ampia e completa, in cui disporre di una cucina più grande dove poter fare un’esperienza gastronomica articolata ed emozionante e dove poter insegnare come si lavora e propone il tartufo in veri e propri corsi specializzati». Per quanto riguarda l’abbinamento col vino, dipende certamente dall’utilizzo del tartufo. Dalla preparazione gastronomica e dal ruolo di comparsa o protagonista giocato nella stessa.
«Non può essere lo stesso se abbinato al riso o alla pasta o con le uova o la carne» conclude Daniela. «Generalmente, devono essere vini di grande intensità e persistenza gusto-olfattiva. Bianchi barricati e affinati a lungo e rossi strutturati, morbidi e caldi». Oltre ai tartufi freschi bianchi (Tuber Magnatum Pico) e neri (Tuber Aestivum Vittadini, Tuber Brumale Vittadini, Tuber Melanosporum Vittadini), che conoscono un rapido processo di congelamento appena colti e lavati per assicurarne la massima qualità, tra le preparazioni si spazia dalle patatine ai dessert, cioccolato soprattutto, passando per la tartufata, la crema, il miele, i formaggi, l’olio, gli insaccati e una speciale birra San Servolo al tartufo appositamente preparata per loro. Gian Omar Bison Natura Tartufi d.o.o. Srnegla 21 52420 Mala Huba Istria, Croazia Telefono: +385 52 554 057 E-mail: info@naturatartufi.com Web: www.naturatartufi.com
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Zafferano, lusso necessario di Riccardo Lagorio
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er alcuni piatti è l’ingrediente qualificante, per altri è semplicemente… necessario. Lo zafferano entra ufficialmente a far parte della cucina italiana con i Romani. È APICIO ad istruire sulla preparazione del vino aromatico speciale o del vino d’assenzio, ma anche di sali utili per usi diversi dove lo zafferano entra a far parte delle ricette insieme ad altri elementi che oggi paiono inconciliabili. L’uso più cospicuo di zafferano avveniva però presso le terme per profumare ambienti, acqua e corpi. Apprezzato durante il Medioevo, compare a profusione nella cucina rinascimentale di CRISTOFORO DI MESSISBUGO in ricette come la carne tuffata in pignatta1. L’interesse per lo zafferano da parte delle élite scema con l’arrivo dall’America di spezie fino allora sconosciute. Le nobiltà vengono allora attratte da cioccolato, caffè e
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vaniglia e in Europa la coltivazione del Crocus sativus è confinata alle aree marginali soprattutto di Grecia, Francia, Spagna e Italia. L’impossibilità di meccanizzare la coltura ha contribuito in tempi più recenti a rendere lo zafferano un ingrediente costoso della cucina. L’Europa ha riconosciuto nel 1999 allo Zafferano di Kozani, in Grecia, la prima DOP di questo prodotto. È
originario della pianura e dei campi incolti nelle Cicladi e principalmente a Syros, Tinos, Mykonos, Astypalea e Delos. In queste aree lo zafferano trova le condizioni climatiche estreme adatte alla crescita. Ci vuole infatti un clima secco e caldo d’estate e freddo d’inverno per potere ottenere un ottimo zafferano. La semina avviene nei mesi di giugno e luglio e la raccolta si ha tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre.
Lo zafferano è una spezia che si ottiene dagli stigmi del fiore del Crocus sativus, conosciuto anche come zafferano vero, pianta della famiglia delle Iridacee. E se l’Italia è uno dei suoi più importanti produttori, è l’Iran a fornire il 95% dello zafferano mondiale
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Il processo di raccolta dello zafferano è particolarmente laborioso e meticoloso, poiché i fiori vengono raccolti a mano e da lì si traggono i 3 stigmi che stanno all’interno del calice appena raccolto. Gli stigmi si spargono su vassoi di giunco e asciugati su un fuoco lento attivato da carbone. Da 75.000 fiori vengono prodotti solo 450 grammi di zafferano che deve essere conservato in piccoli barattoli di vetro in un luogo fresco e buio. Infatti il suo colore, aroma e sapore sono facilmente alterabili dalla luce. Nel 2001 è stata la volta dello Zafferano della Mancia (Spagna), a cui sono seguiti lo Zafferano dell’Aquila e di San Giminiano (nel 2005) e quello di Sardegna (2009). Assai attiva a livello nazionale è l’Associazione dello Zafferano di Cascia (zafferanodicascia. com), che raccoglie molti produttori dell’area intorno alla cittadina umbra. Enna è un’altra area di vasta produzione di zafferano, impiegato nella produzione del formaggio Piacentinu ennese DOP. Peraltro lo zafferano è stato indicato come uno degli elementi comprovanti il legame che sussiste tra il territorio ennese e il prodotto. Conoscere e acquistare lo zafferano Considerato il prezzo al pubblico, lo zafferano va distinto in base alle caratteristiche più importanti che porta con sé: la colorazione e il gusto. Gli stigmi devono essere il più colorati possibile, per rilasciare la crocina, il principio attivo che fornisce il colore. Gli stigmi devono misurare oltre 1 cm e non essere troppo elastici. Tale caratteristica potrebbe confermare la presenza di umidità negli stessi e risultare sfavorevole per la pietanza da ottenere (ma anche significare, per grandi quantità acquistate, un’inutile spesa di umidità all’interno dei fili). Gli stigmi non devono inoltre essere tutti identici nel colore: se così fosse, è probabile che si sia provveduto a una colorazione degli stessi. Talvolta, soprattutto durante i viaggi in Turchia, Marocco o nella penisola arabica, può essere esibita della spezia che non è zafferano ma curcuma. Quest’ultima si riconosce per tre elementi: la colorazione giallo-rossa, l’assenza del caratteristico profumo e l’impossibilità a rilasciare colore se messa in acqua
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La monda dello zafferano (photo © José Manuel Muñoz). (e quindi quasi sempre inutile per gli usi che se ne volessero fare in cucina: primi piatti con riso, secondi con pesce, gelati o biscotti). Nel mondo è l’Iran a detenere il primato della produzione con oltre il 95%: delle 230 tonnellate prodotte annualmente, 170 provengono dal Paese mediorientale. La regione Khorasan Razavi, nel nord-est del Paese, è l’area più coltivata anche se negli ultimi anni in altre regioni come Kerman, Fars e Lorestan sono nate numerose imprese di coltivazione di zafferano. Ma è quello della città di Ghayen universalmente riconosciuto come il migliore al mondo. Verso la città del Khorasan del sud si organizzano visite guidate per turisti interessati alla spezia, un po’ come da noi il vino traina turisti verso le colline del Piemonte o della Toscana. Nel Khorasan Razavi è stata fondata nel gennaio 2017 anche una Banca dello Zafferano, munita di sistemi di conservazione all’avanguardia e capace di contenere sino a 10 tonnellate di stigmi. Nel corso dell’inaugurazione il governatore GHOLAMREZA KARIMI ha spiegato che «gli agricoltori che depositeranno il proprio zafferano nella Banca riceveranno dei bond ne quali sono indicati quantità, tipologia e valore dello zafferano. I bond potranno essere venduti e comprati quando il proprietario del bond vorrà e in cambio si potrà chiedere alla banca la consegna della merce». Sono sostanzialmente quattro le categorie di vendita all’ingrosso che si basano su dimensione, profumo e colore
degli stigmi. Al vertice della piramide si trova la qualità dokhtar pich (letteralmente: la raccolta delle ragazze), con stigmi per lo più uniformi in lunghezza, confezionati l’uno vicino all’altro con la parte chiara verso il basso. C’è poi il sargol. Il colore di questo zafferano è rosso vivo e rilascia una colorazione assai abbondante e dal punto di vista cromatico è considerato tra i migliori zafferano esistenti. Nella tipologia export il costo era di oltre 93 milioni di rial/kg, equivalenti a circa 2.500 euro, mentre per la categoria superior si pagavano 2.300 euro. A scendere, le qualità negin e pooshal, non molto distanti nelle quotazioni rispetto ai primi due. Il costo fa riferimento alle quotazioni di borsa del dicembre 2018, gli ultimi disponibili (kojaro.com)2. Anche in Italia è possibile acquistare lo zafferano iraniano (gustipreziosi.it). Riccardo Lagorio Note 1. Piglia il fagiano, o altro, acconciato, e rifatto, e ponilo in una pignatta cò un poco di persuto, o carne salata, tagliata in fette, e magiorana, e noce moscata, e succo di naranci, e un poco di brodo, e peuere ammaccato, e un poco di zafferano, ponila nel forno cosi stuffata tanto che cuoca quello che li è dentro, poi lo imbandirai, vuole essere mangiato caldo, che è vivanda divinissima. 2. Si ringrazia la prof.ssa FATEMEH ASGARI dell’Università statale di Teheran per la traduzione dei testi persiani.
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Baviera, Weiβwurst & Co.
Würstel gourmet di Riccardo Lagorio
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e alla salumeria italiana è unanimemente riconosciuta la supremazia mondiale per la sua diversificazione e le sue articolazioni regionali, basta allungare lo sguardo per accorgersi dell’esistenza di tradizioni e culture alimentari assai
differenziate in ogni dove nel vecchio continente. Nello stereotipo nazionale, ad esempio, la Germania viene raramente associata a Paese gourmet. Tuttavia, la sola Baviera orientale cela sul tema numerosi spunti inaspettati e vanta un’infinità di varietà diverse di
würstel. «Nella regione se ne producono almeno un centinaio di tipologie, su almeno 1.500 che si possono classificare nell’intera Germania» spiega NORBERT WITTMANN, macellaio e imprenditore di Neumarkt, 150 km a nord di Monaco e patria della casa automobilistica
Il Weißwurst è certamente la specialità culinaria più famosa della cucina bavarese.
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Maybach. Wittmann si è inventato il primo Museo del würstel, dove espone strumenti da macelleria che risalgono fino al XVII secolo. «Se vogliamo suddividere i würstel in famiglie, se ne possono individuare tre: da consumare crudi, bolliti o cotti. Nel Baden-Württemberg e in Baviera, e soprattutto a Neumarkt, è molto diffuso il Weiβwurst». Un prodotto che ha 150 anni di storia certificata. Wittmann mostra il primo documento ufficiale in cui si faccia riferimento al Weiβwurst, un menu datato 22 febbraio 1857. In origine il salsicciotto, di carni di vitello e maiale, veniva infatti consumato a carnevale e insaccato in budello di pecora. «Ma quel giorno — racconta Wittmann — a Monaco scarseggiavano le budella di pecora e SEPP MOSER, il cuoco di un influente ristorante del centro, iniziò a insaccare in budello di suino, capendo che non si potevano friggere perché si sarebbero spaccate. Ebbe l’idea di bollire il Weißwurst e questa è una tradizione che continua da allora». Le salsicce vengono preparate due volte al giorno e consumate freschissime. Nell’impasto si aggiungono pepe, macis e cardamomo, macinati separatamente. Cipolla, prezzemolo e buccia di limone si aggiungono invece nell’impasto. Il contenuto è carne di vitello per il 40%, suino per un 10%, più un 25% di pancetta e un 25% di ghiaccio, indispensabile per preservare le proteine, che oltre i 16 °C raggiunti durante la preparazione si sciupano. Anche nell’Ottocento si ovviava a questo inconveniente con l’aggiunta di ghiaccio, proveniente allora dai corsi d’acqua gelati». Il Weißwurst ha una misura che varia dai 12 ai 15 cm e un peso di circa 85 grammi. Va bollito per 10 minuti in acqua poco salata e si serve con senape, bretzel e birra.
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In alto: Norbert Wittmann. In basso: la Weißwurst-Akademie.
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In alto: la Metzgerei Hottner si trova proprio al centro della piazza del mercato di Amberg. Il Bratwurststand posizionato davanti al negozio durante i mesi estivi è una vera e propria istituzione. A sinistra: Herbert Hottner.
A 40 km, sul fiume Vils, Amberg è una cittadina dall’aspetto medievale. Esiste un servizio di barche che la attraversa e con le quali si possono prenotare gite a base di birra, bretzel e würstel. In questo caso, però, si
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tratta di Schinkenwurst, salsiccia di prosciutto. Lo svelano IRMGARD FRINT e KAMILA CIROKOVA nella macelleria di HERBERT e DANIELA HOTTNER, nella piazza centrale della cittadina. L’attività risale al 1900, aperta dal bisavolo di Herbert.
«Le nostre salsicce sono realizzate secondo ricette tradizionali, alcune delle quali non cambiano da 100 anni. Ci ispiriamo anche alla cucina moderna e creiamo nuove composizioni di gusto, ma i nostri clienti sono particolarmente
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Da consumare crudi, bolliti o cotti, con carni diverse e altrettante differenti speziature: altro che il semplice salsicciotto da mangiare con birra e patatine fritte alle fiere di paese. La sola Baviera orientale, ad esempio, vanta un’infinita varietà di würstel: nella regione se ne producono almeno un centinaio di tipologie, sulle 1.500 di tutta la Germania
affezionati alla salsiccia di prosciutto, Schinkenwurst, caratterizzata da un’alta percentuale del muscolo di suino». Per la produzione di questo würstel, di solo suino e da consumare prevalentemente crudo, una parte viene macinata nel cutter e una parte di carne e pancetta viene macinata grossolanamente. «Come spezie si usano prevalentemente pepe e semi di senape. Talvolta anche poco aglio”. Una volta insaccato in budello dal diametro variabile tra 50 e 75 mm, si procede all’affumicatura. Spesso appena accennata. Nel banco frigo anche la Grobe Stadtwurst, la specialità di Norimberga, prodotta con tagli di carne macinata grossolanamente e condita con pepe, coriandolo, macis, zenzero e maggiorana. Una volta che la massa ha riempito il budello, viene cotta per alcuni minuti in acqua o scottata a vapore. A seguire, le salsicce vengono affumicate a caldo per mezz’ora. Il consumo avviene entro tre giorni. La macelleria fa parte del circuito Stroh Schweine (www.stroh-macht-froh. de). Potremmo tradurre il motto con Suino della paglia. Racconta HERBERT HOTTNER: «Ne fanno parte allevatori e macellerie che hanno firmato un patto
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La macelleria Weishäupl a Weiden in der Oberpfalz. Oltre alle salsicce, le città di Weiden e Neumarkt sono accomunate anche da una vivace cultura della birra, perfetto accompagnamento per Bratwurst, Schinkenwurst e Weiβwurst. per la salubrità degli animali e, di conseguenza, delle carni proposte. I suini vivono sulla paglia e ciò ne risveglia il comportamento originario: vivono in maniera naturale e sono alimentati con foraggi solo vegetali provenienti dalla stessa azienda agricola, essendo vietato l’uso di mangimi geneticamente modificati». Anche l’allevatore non è un mistero: MAX KRAUS di Grün, pochi minuti in automobile. Ancora più a nord, a Weiden, cittadina nota per la tradizione della porcellana e la facciata del vecchio municipio contrassegnata da 24 campanelle, la macelleria dei fratelli WEISHÄUPL e ANDREA LUBER fu aperta nel 1887. «Weiden è una delle capitali della Bratwurst, la salsiccia di suino che viene cucinata alla griglia, consumandola con insalata di patate bollite e rafano o senape. La sua particolarità è l’aggiunta di maggiorana all’impasto, che è di carne tritata piuttosto finemente. È possibile anche stagionarla e affettarla, accompagnandola con buona birra», racconta Andrea. In verità, col termine Bratwurst si intendono numerose varianti di salsiccia, da quella di Coburgo, condita con pepe, noce moscata e scorza di limone, a quella di Kulmbach, di carne
soprattutto di vitello condita con noce moscata, cumino, aglio e maggiorana. Si tratta quasi sempre di salsicce che si consumano grigliate. «Le nostre Bratwurst risentono ovviamente della tradizione di Norimberga, che vanta l’IGP. Talvolta le affumichiamo e consiglio sempre di averne qualcuna nel frigorifero o appese in cucina, per l’arrivo di amici o parenti». E noi che pensavamo che il würstel fosse il salsicciotto di carne macinata finissima da consumare nelle fiere di paese… Riccardo Lagorio Metzgerei Wittmann GmbH Bahnhofstraße 21 92318 Neumarkt in der Oberpfalz Telefono: +49 09181 907426 Web: hotel-wittmann.de Metzgerei Hottner Marktplatz 7 92224 Amberg Telefono: +49 09621 13193 Web: metzgerei-hottner.de Metzgerei Hans Weishäupl Oberer Markt 27 92637 Weiden in der Oberpfalz Telefono: (0049) 0961 44788
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www.scarlino.it
dall 1971 d 7
TURISMO ENOGASTRONOMICO
Turismo del vino in Italia a gonfie vele
inalmente una buona notizia: nel 2018 l’Italia ha recuperato gli elevati livelli quantitativi di produzione vitivinicola per i quali si era invece registrata una notevole sofferenza nel 2017, a causa di diverse difficoltà climatiche tra gelate e siccità. La vendemmia italiana 2018
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è infatti stimata da tutte le principali fonti di settore, a cominciare dall’OIVOrganizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, intorno ai 50 milioni di ettolitri e forse anche oltre. Si tratta di un ottimo segnale, che tuttavia deve sempre essere letto anche nell’ottica della commercializzazione, nel senso
che non basta produrre tanto e bene: bisogna infatti saper vendere e vendere ancor meglio. Da questo punto di vista, invece, qualche timida preoccupazione sembra interessare il comparto vitivinicolo italiano: i consumi interni sono in calo o al massimo stabili anno su anno, mentre all’estero si registra
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A sinistra: una turista a passeggio tra le vigne in Val d’Orcia (photo © Ekaterina Pokrovsky – stock.adobe.com). In alto: il turismo del vino non si può più definire un’attività secondaria del mestiere del vignaiolo. Si tratta infatti di un’attività che è almeno alla pari e richiede una buona capacità organizzativa e di programmazione per assicurare il buon funzionamento della propria azienda vitivinicola (photo © David Prado – stock.adobe.com).
qualche segnale non incoraggiante. La Brexit ancora da decifrare, la Cina ancora da conquistare, una situazione internazionale non sempre serena non costituiscono scenari propriamente favorevoli ai commerci con l’estero, soprattutto per chi deve esportare (e ormai il comparto vitivinicolo italiano
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esporta il 50% e tendenzialmente anche più del proprio fatturato). In ogni caso, le capacità e le abilità imprenditoriali delle micro, piccole, medie e grandi aziende italiane del vino sono indubbie e non temono alcun confronto internazionale, soprattutto quando si parla di qualità e varietà. In questa competizione sui mercati di sbocco viene ancora una volta a giocare un ruolo di straordinario interesse il turismo del vino, ormai stabilmente riconosciuto come uno dei segmenti più interessanti della complessiva offerta turistica del Belpaese. In effetti, il tradizionale riferimento alla “bellezza” italiana è conseguenza anche e per certi versi soprattutto dell’eccezionale qualità dell’enogastronomia dei nostri territori. Il turismo del vino è cospicuo volano di mercato per la vendita in cantina e formidabile leva di comunicazione per la visibilità, la riconoscibilità e la notorietà del brand, soprattutto in tempi così social. Ormai l’enoturismo, in effetti, non è nemmeno più un’attività secondaria del mestiere del vignaiolo, ma è un’attività almeno alla pari, ossia da mettere in conto, programmare e organizzare come qualsiasi altra attività aziendale necessaria e opportuna per il buon funzionamento dell’impresa vitivinicola. Questo traguardo di “stabilità”
del turismo del vino, ormai anche nei numeri di arrivi e fatturato, emerge chiaramente dai dati del XV Rapporto sul Turismo del Vino in Italia a cura dell’Osservatorio Nazionale sul Turismo del Vino, che si conferma come la fonte “storica” dell’analisi del turismo del vino in Italia, autorevole fino al punto da essere considerato alla base degli studi che hanno portato nella Legge di Bilancio 2018 all’introduzione di una rivoluzione normativa e anche fiscale dell’enoturismo italiano. Dal Rapporto emergono almeno 14 milioni annuali di accessi enoturistici tra escursioni e pernottamenti, almeno 2,5 miliardi di euro annuali considerando l’intera filiera enoturistica, che lasciano molto ben sperare per crescite e sviluppi sempre più consistenti. L’Osservatorio Nazionale sul Turismo del Vino dell’Associazione Nazionale delle “Città del Vino” (www.cittadelvino.it) fu costituito nel lontano 1999. Un’intuizione di tanti anni fa, che oggi si propone come indispensabile punto di riferimento per lo studio e la programmazione del turismo del vino in Italia, anche alla luce delle normative attuative di settore. Fonti: Associazione Nazionale Città del Vino Città europea del Vino 2019
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Un paradiso di Fattoria
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attoria Paradiso sorge su di un colle che si affaccia sul Mar Adriatico accanto al Borgo medioevale di Bertinoro (FC). L’hanno chiamata “isola felice” per la solare geografia che l’avvolge, le vigne e gli ulivi che l’abbracciano, il profumo di nobile passato che la pervade, rendendola fra le più interessanti realtà del settore vitivinicolo agrituristico. Oltre cinquant’anni di esperienza, di successi e premi internazionali fanno di quest’azienda un autentico fiore all’occhiello della Romagna dei vini. Suggestive le antiche cantine sempre aperte agli enoturisti dove, in botti di rovere e barriques, riposano i grandi vini prodotti in azienda che la FAMIGLIA PEZZI ha saputo valorizzare creando i gran cru della Regione. Il Barbarossa, unico ceppo di un superbo vitigno scoperto casualmente in un antico vigneto da MARIO PEZZI nel 1954 e successivamente propagato.
Venne studiato per anni dall’Università di Bologna presso il vivaio sperimentale di Tebano, Faenza (RA), e poi all’Istituto di Viticoltura di Conegliano Veneto. Regala un vino rosso granato carico, ricco di stoffa e di struttura, molto longevo, che ha regalato all’azienda diversi premi quali l’Oscar del vino, il Vignaiolo del mondo, Decanter Howard, e premiato con varie eccellenze dall’AIS. Fu scelto come vino ufficiale per il gala della NIAF FOUNDATION per i festeggiamenti del Columbus Day presso il Washington Hilton di Washington DC, dove l’allora presidente BILL CLINTON e 5.000 italoamericani, in piedi, brindarono alla grande qualità del vino italiano proprio col Barbarossa di Fattoria Paradiso. I vitigni Pagadebit e Cagnina furono restituiti al patrimonio regionale nel 1960 ancora una volta da Mario Pezzi,che andò a ricercare il Pagadebit gentile di Bertinoro e la Cagnina dal Peduncolo rosso, effettuando una
Il Sangiovese Vigna delle Lepri, un successo che dura da cinquant’anni. 84
selezione massale, su suggerimento del poeta ALDO SPALLICCI. Alla fine degli anni ’60, sperimentando in vigna ed in cantina, Mario Pezzi, annoverato dal CORRIERE VINICOLO tra i 10 patriarchi del vino italiano, intuì le potenzialità del Sangiovese grosso che aveva impiantato in azienda per realizzare una grande riserva, andando controcorrente, perché ancora si riteneva che il Sangiovese fosse un vino di pronta beva, non adatto all’invecchiamento. Nacque così la prima riserva storica di Sangiovese, il cru Vigna delle Lepri che SANDRO PERTINI volle al Quirinale per i banchetti ufficiali della presidenza della Repubblica. Il primo a degustarlo fu il presidente americano RONALD REAGAN in visita in Italia. Fra i gioielli prodotti alla Fattoria Paradiso ricordiamo l’Albana passito Gradisca, il preferito da FEDERICO FELLINI, a cui volle dare il nome dell’omonimo personaggio del film Amarcord e che venne classificato tra i 10 magnifici vini dolci d’Italia. Ma anche lo Strabismo di Venere, innovativo blend di uve di Albana e Sauvignon blanc che regala un vino elegante, di grande fascino, intrigante, morbido, dai caldi e sensuali sentori che ci riportano a nostalgiche emozioni di climi tropicali e di frutti esotici, o lo splendido Chardonnay, un barricato di importante struttura citato nell’annuario dei Migliori vini italiani. Mito è un Super rosso in vetta alle più accreditate guide internazionali, blend di uve Cabernet, Merlot e Syraz, veste un’etichetta che il premio Nobel DARIO FO ha voluto firmare, come già fecero in passato per le altre etichette illustri personaggi dell’arte. Vino che è stato scelto come vino ufficiale alla cena di gala per la consegna dei premi Nobel a Stoccolma, alla presenza dei reali di Svezia. In Fattoria Paradiso non mancano le bollicine, negli ultimi anni sono nati l’Albana dolce spumante Bertinoro, il Pagadebit frizzante Uccello Del Paradiso e due metodi classici: un brut dosaggio zero di uve Chardonnay con liqueur di Albana e un Rosé brut con la liqueur di Barbarossa. Premiata Salumeria Italiana, 6/19
Salotto culturale di Romagna La casa padronale è quanto di più caratteristico e bello si possa desiderare: già villa romana, diede i natali al pittore rinascimentale MARCO PALMEZZANO e, tra il 1700 e il 1815, quando divenne di proprietà della famiglia Pezzi, fu dimora dei CONTI LOVATELLI. Qui, fra la cultura del territorio, la civiltà contadina e la coltivazione della vite, si è creato un armonico incontro che si esalta fino a diventare arte del vino. Salotto culturale della Romagna, Fattoria Paradiso ha suggestivi saloni, testimoni degli antichi splendori, disponibili oggi per convegni, banchetti e ricevimenti di nozze, e pareti che rendono testimonianza dei tanti personaggi illustri di cultura, politica e spettacolo che, trovando elegante ospitalità, hanno lasciato segni di stima e ricordi gelosi. Antichi cascinali, un tempo asilo del CARDINALE ALBORNOZ e di MARIA CRISTINA DI SVEZIA, sono divenuti realtà agrituristiche dotate di ogni comfort, portano i nomi di Cascina dei Giaggioli e Giardino e sono accoglienti e ospitali rifugi di chiunque privilegi il ristoro della campagna al caotico turismo di massa. Molte le romantiche e distensive passeggiate fra colori e profumi di una campagna incontaminata. Silenzi pastorali avvolgono questa realtà, rotti soltanto dall’eco suggestiva di voci e richiami della gente dei campi. Qui la natura mostra tutta la sua ricchezza e sorprende il visitatore con il volo improvviso di un fagiano, lo scatto repentino di una lepre o di un
Un pavone nei suggestivi giardini di Fattoria Paradiso. capriolo, la fantastica policromia delle danze di accoppiamento dei pavoni. L’agriturismo offre diverse attività: due piscine, un ampio e attrezzato solarium, un articolato percorso vita, pista per mountain bike, trekking, ping-pong, pallavolo, calcetto, parco giochi per bambini. Nelle immediate vicinanze si trovano terme romane, un lago per la pesca sportiva, tennis, maneggio e campi da golf; si organizzano anche corsi di cucina e di restauro del legno antico. Nel gazebo e nella taverna rinascimentale, dove troneggia un monumentale camino, si possono degustare i grandi vini dell’azienda accompagnati dai prodotti tipici regionali. Si organizzano
visite guidate ai vigneti, alle cantine di produzione e d’invecchiamento e ai musei aziendali del vino, della civiltà contadina e di auto e moto d’epoca. Si propongono anche passeggiate alla ricerca di erbe officinali e dei frutti dimenticati. La Locanda Gradisca è il ristorante aziendale di charme, che offre la golosa cucina di territorio e i piatti dell’ARTUSI, esaltati dai nobili vini aziendali. Frutta, verdura, erbe aromatiche, un finissimo olio extravergine d’oliva spremuto a freddo, grappe monovitigno, e marmellate di mosto sono le altre ghiotte proposte di Fattoria Paradiso. >> Link: www.fattoriaparadiso.com
Cantina Garuti tra i vincitori dei Lambrusco Awards 2019 Le migliori produzioni del 2019 di Lambruschi sono state premiate lo scorso 24 ottobre presso il Teatro Valli di Reggio Emilia. I Lambrusco Awards rappresentano la tappa conclusiva della 10a edizione del Concorso enologico Matilde di Canossa. Sono nove le etichette, prodotte a Modena, Reggio Emilia, Parma e Mantova, che hanno ricevuto gli Oscar del Lambrusco e la consegna della Medaglia d’oro. Fra i vincitori quattro cantine arrivano dal territorio di Modena: Campana Sergio, Santa Croce, Cantina Carpi e Sorbara e Garuti. Cantina Garuti sorge a Sorbara, località nota proprio per il suo prodotto di eccellenza: il Lambrusco, ambasciatore nel mondo dell’Emilia-Romagna, dove sono 10.000 gli ettari dedicati questa produzione. Da quasi cent’anni quattro generazioni della famiglia Garuti sono dedite alla produzione di questo vino. I quattro poderi di Cantina Garuti accolgono trenta ettari di seminativo e trenta vitati. Inoltre, dal 1993 l’agriturismo accoglie turisti e professionisti in visita nel territorio. >> Link: garutivini.it
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IL GUSTO DI CAMMINARE
Le montagne incantate. Ciaspolate nella neve e mercatini di Natale in Tirolo di Elena Simonini
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opo tanto scarpinare, se in questi mesi mi avete seguita, in lungo e in largo per molti e diversi percorsi e itinerari, eccoci giunti, passo dopo passo, alla fine d’anno. Bisogna dire che, per chi ama andare a piedi, la stagione invernale può talvolta rappresentare una battuta d’arresto forzata o, in ogni modo, può imporre una diversa pianificazione dei
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programmi di cammino. E questo a causa della brevità delle giornate, delle temperature più rigide, ma soprattutto, per gli appassionati di montagna, a causa delle condizioni dei sentieri in altitudine, i quali, a meno che non siate escursionisti davvero esperti, possono risultare più difficoltosi del consueto, molto scivolosi e anche impervi. Tuttavia, se è vero che in questa stagione
il normale cammino sui sentieri può essere proibitivo, non dimenticate che l’inverno in alta quota concede anche la stupefacente ed unica possibilità, semplicemente indossando le ciaspole sotto alle scarpe da trekking, di affondare i piedi nella soffice neve fresca, immersi quasi fino alle ginocchia in un mare di luce bianca, spesso sovrastata da un cielo azzurro e terso, in un’atmosfera
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In basso: l’idilliaco paesaggio invernale sopra l’Achensee, con vista sui monti Rofan (photo © SusaZoom – stock.adobe.com). A sinistra: vin brulè con cannella, anice e fettine d’arancia (photo ©Agnes – stock.adobe.com).
Tiroler kiachl: piovono frittelle Le bancarelle che le vendono non possono certamente mancare in ogni mercatino natalizio tirolese che si rispetti. Sono le kiachl, le tipiche frittelle tirolesi da gustare sia nella versione dolce, con mirtilli rossi, zucchero e cannella, o nella robusta versione salata con i crauti. Se volete portare a casa con voi un po’ dell’atmosfera che respirerete tra un acquisto e l’altro, potrete prepararle tranquillamente nella vostra cucina seguendo queste semplici indicazioni. Per la preparazione di circa 10-15 pezzi, a seconda delle dimensioni che si preferisce dare alle proprie kiachl, bisogna mescolare 500 grammi farina con un pizzico di sale e ½ cubetto di lievito fresco. Aggiungere poi ¼ di litro di latte tiepido, 2 uova, 30 grammi di burro fuso e rum a piacere, sbattere bene e lasciare riposare l’impasto per circa mezz’ora. Dividere l’impasto in pezzi di dimensioni uniformi con un cucchiaio di legno, formare delle palline su un tagliere o una superficie liscia (se necessario usare della farina), poi tirare ciascun kiachl in modo tale che l’impasto sia sottile al centro e alto ai bordi. Scaldare lo strutto o l’olio in una padella e posizionare il kiachl rivolto verso il basso nell’olio bollente. Dopo qualche minuto di cottura girare i kiachl e friggerli fino a completa doratura.Attenzione, il centro sottile dovrebbe rimanere bianco (ricetta: www.hall-wattens.at; photo © www.blog.tirol).
assolutamente magica e rarefatta. È ovviamente possibile ciaspolare anche sulle catene montuose italiane, ma trovandoci ormai già in piena atmosfera natalizia, intendo segnalarvi qualcosa di molto suggestivo e condurvi un pochino più a nord, sulle montagne del Tirolo. Qui si susseguono centinaia di meravigliosi itinerari sulla neve ed inoltre si tengono, da più di cinquecento anni,
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Il mercatino di Natale di Innsbruck (photo © Lianem). gli originali e favolosi mercatini di Natale, forse i più belli di tutta l’Austria e di tutto l’arco alpino, che potrete visitare magari anche all’imbrunire, al termine delle vostre camminate sulla neve.
I mercatini dell’Avvento in Tirolo, questo è il loro nome proprio, identificano precisamente 8 mercatini della regione (Innsbruck, Achensee, Hall in Tirol, Kufstein, Lienz, Rattenberg, Kitz-
bühel e St. Johann in Tirol) i quali si sono costituiti in una vera e propria associazione, condividendo regole e criteri di organizzazione e di allestimento, nell’intento di mantenere sempre immutata nel tempo la più originale vocazione dello spirito natalizio specifica della zona. In questi mercatini tirolesi tutto è dunque rigorosamente tradizionale e originale, dalla struttura caratteristica delle bancarelle e delle casette, al programma degli eventi, alle assolutamente tipiche specialità artigianali e gastronomiche, e persino sino alle melodie in diffusione lungo le strade e le piazze. Proprio intorno a Innsbruck, per esempio, città che per ben tre volte è stata sede delle Olimpiadi Invernali, si possono percorrere con le ciaspole più di 40 itinerari, spesso circolari, di differenti difficoltà e durata, adatti a chi vuole camminare sulla neve per puro piacere, a chi intende passeggiare anche con i bimbi, oppure a chi ama avere sempre con sé i propri amici cani, e infine anche ai più esperti ed avventurieri, i quali non mancheranno certamente di trovare percorsi di maggiore difficoltà
Tiroler Speck Igp: l’arte dell’affumicatura tirolese nel piatto Una vacanza in Tirolo può diventare facilmente un’avventura anche per il proprio palato, dato che la cucina regionale offre diverse specialità, tutte particolarmente saporite. Protagonista indiscusso di tante ricette e risultato della passione leggendaria dei tirolesi per l’affumicatura, è il Tiroler Speck Igp, un prodotto della salumeria ottenuto manualmente seguendo ricette e procedimenti tradizionali che vantano secoli di storia e artigianalità norcina. Per la sua realizzazione si parte da una coscia di suino disossata e ridotta in pezzi che, successivamente, vengono salati ed aromatizzati con varie erbe e spezie fra cui alloro, pepe e noce moscata. I pezzi vengono poi fatti riposare per circa 30 giorni trascorsi i quali inizia la fase dell’affumicatura. Per essere affumicati, i pezzi di carne vengono messi su telai di ferro, all’interno di grandi camini alimentati da trucioli di acero e faggio. Il processo di affumicatura dura circa 10 giorni e viene effettuato a temperature non superiori ai 20 °C. Terminata questa fase, il prodotto affumicato viene fatto stagionare per circa cinque mesi. Il Tiroler Speck Igp ha una forma appiattita ed allungata. Non presenta una grande quantità di grasso, il colore è rosato e il profumo e il sapore sono piacevolmente affumicati e speziati. Si consuma generalmente tal quale, accompagnato da pane, come il Fladenbrot, un pane rustico prodotto con quattro tipi di farina (segale, frumento, mais e integrale di farro) e decisamente gustoso. Oppure diventa l’ingrediente che fa la differenza nella preparazione della minestra d’orzo con patate e radici di prezzemolo, nelle patate al cartoccio o schiacciate con il Graukäse, dei canederli in brodo o al burro, e della rosticciata Gröstl, una specialità a base di patate cotte, carne di bovino o maiale e cipolla tritata fatte arrostire insieme in padella e servita con un uovo al tegame. Ideale dopo una ciaspolata per ricaricare le energie (fonte: www.qualigeo.eu; photo © www.speckeria.at).
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e di più lunga durata, caratterizzati da importanti pendenze. Al rientro in città, al termine di questa bella e meravigliosa avventura a piedi sulla neve, durante la quale avrete respirato un’aria frizzante e pulita e avrete potuto godere di panorami mozzafiato, troverete ad accogliervi una magica e davvero indimenticabile atmosfera natalizia, con più di duecento bancarelle divise in 6 mercatini cittadini. Potrete finalmente rilassarvi e anche riscaldarvi, sorseggiando con calma, per esempio, l’ottimo vin brulè del mercatino di Kaiserweihnacht, presso il Bergisel di Innsbruck, che pare essere il migliore di tutta l’Austria e si ricava esclusivamente da un vino prodotto da rinomati viticoltori nella regione della Stiria, nell’Austria orientale. Il famoso Glühwein (vin brulè in tedesco) del Kaiserweihnacht si produce sempre e solo secondo la migliore tradizione che prevede un 95% di vino di qualità e un 5% di acqua, con l’aggiunta di cannella, chiodi di garofano e altre spezie, e poi non meno di tre ore di cottura a 75 gradi centigradi. Allontanandoci un pochino da Innsbruck, se avete occasione di prolungare il vostro soggiorno e di aggiungere un’altra tappa tra le montagne tirolesi, il mio suggerimento è di dirigervi a nord est, verso lo stupefacente lago Achensee, il più grande del Tirolo, detto anche il “Fiordo delle Alpi”. In tale e meravigliosa zona avrete l’opportunità, unica e davvero indimenticabile, di fare stupende ciaspolate, mentre sullo sfondo, o al vostro fianco, scorrerà lo specchio d’acqua ghiacciato di questo immenso lago il quale, e lo vedrete con i vostri occhi (ma non dimenticate gli occhiali da sole oscuranti!), è in grado di riverberare ulteriormente, e in una maniera del tutto particolare, la luce abbacinante già riflessa dalla neve. E anche ad Achensee, al termine delle vostre camminate, al calar della sera, non mancherà la straordinaria opportunità di immergervi nella magica atmosfera del mercatino di Natale, il quale qui si sviluppa proprio sul lago. Le tipiche lucine sui pontili, più fioche e calde dell’abbagliante luce del giorno, vi rapiranno, tra canti tradizionali, storie di Natale, avvolgenti profumi e sapori di prodotti tipici, nella stupefacente e immensa cornice delle montagne incantate del Tirolo. Elena Simonini
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“La bottega è la nostra missione” – Sono queste le parole che racchiudono in sintesi la filosofia e lo spirito che animano le attività di “Vecchia Malga”, storica azienda nata nel 1969, che con la sua presenza sul territorio bolognese è diventata un vero e proprio punto di riferimento per l’attenta selezione delle materie prime, dei prodotti di qualità e per la peculiarità dei suoi negozi, unici nel loro genere. “La bottega per noi è un palcoscenico” – Basati sulla filosofia che “un buon prodotto lo si gusta mangiandolo ma prima lo si assaggia con gli occhi, i punti vendita del brand portano il prodotto in primo piano, valorizzandone quelle caratteristiche e qualità che lo rendono un’eccellenza gastronomica del territorio. Una sorta di palcoscenico, dove ogni elemento che vi compare, e ne è un componente essenziale, è un personaggio, col suo carattere, la sua precisa identità. E percorrendo questo palcoscenico, unendo i personaggi, possiamo vivere una straordinaria e coinvolgente esperienza, una sorta di viaggio visivo, olfattivo e gustativo unico. “Il commercio è conoscenza consapevole dell’autenticità dei prodotti” – Perfette guide di questo viaggio, i membri dello staff “Vecchia Malga” accompagnano il cliente in un percorso di storia, tradizione e valori di una volta che culmina con la degustazione delle eccellenze presenti nel punto vendita. Il commercio cessa di essere così una pratica e diviene conoscenza, del territorio, della qualità del prodotto, degli uomini e delle donne che quel prodotto lo lavorano, lo trasformano e, infine, lo consumano. “La bottega sarà anche on-line da metà gennaio 2018” – “Vecchia Malga” è diventata parte integrante dell’economia bolognese grazie anche all’ubicazione in zone strategiche della città quali il centro storico e l’Aeroporto Marconi, punto nevralgico da cui partire per far conoscere le eccellenze enogastronomiche locali in tutto il mondo. E da oggi è anche on-line, con il nuovo progetto di e-commerce: www.vecchiamalganegozi.com
Vecchia Malga Negozi Srl Via Roma, 55/A - 40069 Zola Predosa (BO) Tel: 051/6166687 - Fax: 051/6166686 info@vecchiamalganegozi.it - www.vecchiamalganegozi.com Zola 051/6166740 Via Roma, 55/A Zola Predosa (BO) La Baita 051/223940 Via Pescherie vecchie, 3A Bologna Mazzini 051/346508 Via Mazzini, 93 Bologna Negozio Aeroporto 051/6472198 Gastronomia - Aeroporto G. Marconi piano terra Pizzeria Vecchia Malga 051/6472196 Verace Pizza Napoletana - Aeroporto G. Marconi piano terra Vecchia Bologna 051/6472208 Ristorante/negozio/wine bar - Aeroporto G. Marconi sala imbarchi Bar Vecchia Malga 051/6472168 Bar - Aeroporto G. Marconi sala imbarchi Gastronomia Italiana 051/0060962 negozio - Aeroporto G. Marconi extra Schengen
SPECIALE ANUGA
Anuga, l’edizione dei record Il più grande salone al mondo del food & beverage, celebrando il suo 100o compleanno, conferma ancora una volta la propria leadership. Ottimi risultati anche per l’Italia, primo Paese per numero di espositori
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on oltre 170.000 visitatori professionali e 7.590 espositori arrivati a Colonia da oltre 100 nazioni, Anuga si conferma la principale fiera internazionale e la piattaforma più importante per il settore alimentare e delle bevande. «E l’Italia l’ha fatta da padrona», ha detto a poche ore dalla chiusura della manifestazione l’AD di Koelnmesse Italia, THOMAS ROSOLIA, ai microfoni di EFA News. «L’Italia è risultata di gran lunga il primo Paese presente, con oltre 1.100 espositori, superando perfino quelli tedeschi. Il made in Italy ha occupato 23.223 m2, un altro record estremamente significativo, attraendo decine di migliaia di
visitatori con la qualità, la competenza, la professionalità, il gusto, la tipicità di prodotti che raccontano le nostre terre, grazie anche alla presenza di consorzi e collettive regionali da Lombardia, Piemonte, Puglia, Lazio, Marche, Calabria, Campania… È stato un autentico successo e, soprattutto, un’opportunità per le nostre imprese di presentarsi nel modo migliore ad un pubblico mondiale, obiettivo alla portata di mano non solo dei “grandi”, ma anche delle piccole e medie imprese che nel nostro network di eventi fieristici che organizziamo in tutto il mondo trovano uno strumento che consente loro di garantirsi un pubblico internazionale e di qualità».
Multisalone con focus di settore Dal 5 al 9 ottobre il salone ha puntato i riflettori sui trend, le innovazioni e i programmi per l’alimentazione del futuro. Nei dieci saloni specializzati riuniti sotto uno stesso tetto erano presenti espositori da tutto il mondo. «La continua crescita del numero di operatori e visitatori conferma la straordinaria importanza internazionale di Anuga quale principale piattaforma internazionale di business del settore» ha detto a caldo GERALD BÖSE, presidente e CEO di Koelnmesse GmbH. «Con questo risultato da record abbiamo riscritto la storia di Anuga e dei suoi successi in occa-
Uno scatto all’interno del padiglione 6, il padiglione dedicato alle carni insieme al 5 e al 9 nell’edizione 2019 di Anuga (photo © anuga.com).
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Italian Sounding: siglato a Colonia accordo “Stoppa falsi” È stato presentato a Colonia nel corso di Anuga il protocollo d’intesa contro l’Italian sounding a sostegno della diffusione del vero made in Italy firmato da Filiera Italia, Coldiretti, Fiera di Colonia e ICE-Agenzia. «La lotta al falso cibo italiano anche all’estero per noi è fondamentale» ha dichiarato la ministra delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Teresa Bellanova. «Siamo coscienti che solo facendo sistema ed unendo l’intera filiera produttiva alle istituzioni si può vincere la sfida della pirateria agroalimentare» ha poi sottolineato Luigi Scordamaglia, coordinatore di Filiera Italia. «Servono strumenti di promozione e conoscenza, ma anche di repressione e sanzione. Oggi lanciamo una rete virtuosa che unisce i grandi player del settore, il primo ente di internazionalizzazione italiana e la più importante fiera mondiale per l’agroalimentare e che può diventare un modello d’azione». «Nel mondo più di due prodotti agroalimentari made in Italy su tre sono falsi senza alcune legame produttivo ed occupazionale con il nostro Paese», ha detto il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che si tratta di un fenomeno che «rischia di essere alimentato dalle nuove misure protezionistiche degli Stati Uniti ma anche dagli stessi accordi di libero scambio siglati dall’Unione Europea che hanno di fatto liberalizzato l’uso del termine Parmesan e di altre importanti denominazioni». Per Thomas Rosolia, AD di Koelnmesse Italia, quello firmato a ottobre a Colonia è «un accordo importante che sarà da supporto alle aziende italiane che parteciperanno alle manifestazioni internazionali organizzate da Koelnmesse». «Oggi portiamo all’estero 41 miliardi di euro di prodotti agroalimentari made in Italy, ma il cosiddetto Italian sounding in giro per il mondo è stimato nell’ordine di 100 miliardi di euro» ha concluso Carlo Ferro, presidente dell’Agenzia ICE. «Significa che abbiamo di fronte un mercato che vale, per i nostri prodotti, più di tre volte quello attuale. Questo accordo sarà utile anche in relazione alla recente introduzione dei dazi USA verso i prodotti del made in Italy, perché proprio la filiera agroalimentare è quella che rischia di essere colpita da nuovi dazi. E su questo faremo di più: la nostra intenzione come ICE è quella di avviare nuove azioni a sostegno del vero made in Italy rivolte alla Grande Distribuzione, al commercio on-line e alla sensibilizzazione dei consumatori» (fonte: EFA News – European Food Agency).
sione del suo centesimo anniversario. Nessun’altra manifestazione al mondo è in grado di riunire domanda e offerta ad un così alto livello qualitativo come qui a Colonia. Anuga 2019 non ha solo dato una prova di forza, ma anche di lungimiranza. Qui si discutono le strategie future dell’intera industria alimentare e vengono presentati i programmi e le soluzioni per le grandi sfide globali che deve affrontare il mondo del food». Le nuove tendenze Confermandosi provider di conoscenze e know how, Anuga ha presentato i nuovi trend dell’alimentare, come ad esempio i surrogati di carne a base vegetale, i prodotti proteici alternativi a
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base di piselli, fave o insetti e le nuove interpretazioni di prodotti a base di canapa. Tuttavia, sono da ricordare anche le tendenze free from, convenience, vegano, bio, halal e kosher. Top buyer presenti! Il successo della fiera è un’ulteriore dimostrazione della forza di attrazione di Anuga per il settore della ristorazione. Forte anche la presenza di top buyer. A tal proposito, gli espositori sono rimasti particolarmente soddisfatti della qualità dei visitatori. La fiera di Colonia ha infatti accolto numerosi buyer e responsabili decisionali del commercio e del foodservice. Erano presenti tutti i principali rappresentanti delle prime
Sono stati davvero tanti i motivi per festeggiare i cent’anni di Anuga. Un compleanno importante, arricchito da una serie di record, dagli oltre 170.000 visitatori da 201 Paesi ai 7.590 espositori da 106 Paesi. Altissima la partecipazione estera, un “popolo” eterogeneo ma molto specializzato
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1) Il Salumificio Fratelli Beretta di Trezzo sull’Adda (MI), ambasciatore del gusto nel mondo. 2) Stefano Busti dell’omonimo caseificio di Acciaiolo di Fauglia (PI), che conduce insieme ai figli Marco e Benedetta. 3) Il Gruppo Bonterre ha presentato in un unico spazio espositivo i nuovi prodotti e le referenze più classiche di Parmareggio e di Grandi Salumifici Italiani. 4) Devodier Prosciutti, l’eccellenza del prosciutto e dei salumi di Parma, ad Anuga nello spazio di Parma Alimentare, collettiva di 18 aziende del territorio parmense. 5) Casa Graziano, Artigiani del Gusto dal 1976, di Tizzano Val Parma (PR). Al centro, Cinzia Doglia. 6) Il Salumificio Veroni di Correggio (RE), da una tradizione familiare tutta italiana, il gusto dei salumi buoni come una volta. dieci insegne retail di generi alimentari a livello mondiale e della top 12 tedesca, fra cui Walmart, Costco Wholesale, The Kroger Co., Metro AG, Walgreens Boots Alliance, Inc., Edeka, Rewe Group, Penny, Lidl, Kaufland (gruppo Schwarz) e altri. Non sono mancati i grandi player on-line come Amazon, LSG Group, E. Leclerc, Mercadona, Migros e SPC Groups. Sul versante dei
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visitatori specializzati è stato registrato, in ambito europeo, un incremento degli arrivi da Gran Bretagna, Paesi Bassi, Polonia e Ucraina, mentre, se portiamo lo sguardo oltre i confini europei, aumenti significativi sono stati rilevati in particolare da Brasile, Giappone, USA e Russia. «Anuga ha convinto grazie ad un mix unico di espositori, informazioni,
analisi dei trend di tutto il mondo e un bel programma di eventi specifici sulle principali tematiche del momento» ha dichiarato soddisfatta JULIA KLÖCKNER, ministra tedesca dell’Alimentazione. «Veri e propri valori aggiunti per il successo del business di oggi e di domani per un settore forte di un fatturato annuo netto di quasi 90 miliardi di euro».
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1) Mariangela Grosoli e la figlia Alice dell’acetaia modenese Aceto Balsamico del Duca, San Vito di Spilamberto (MO). 2) Claudio Stefani Giusti, CEO dell’acetaia di famiglia Giuseppe Giusti di Modena. 3) Dino Negrini, della Negrini Salumi, mostra il salame rosa a marchio Bonfatti sulla copertina di Premiata Salumeria Italiana n. 5/2019. Una delle tante specialità della storica azienda di Renazzo (FE). 4) Rossano e Giorgia Vitali, Salumificio Vitali Spa, Castel d’Aiano (BO).
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1) Il Consorzio del Prosciutto di Parma. 2) Lorella Ferrari del Consorzio Salumi Piacentini: ad Anuga la coppa piacentina Dop, pancetta piacentina Dop e salame piacentino Dop. 3) Nello stand Salumificio San Vincenzo, di Spezzano Piccolo (CS), Maurizio Moscatelli, Vincenzo Rota, Alberto Piturro, Filippo Elmo, Piero Mastrota e Alessio Scarnato. 4) La Levoni Spa di Castellucchio (MN). 5) Zuarina, storico prosciuttificio di Langhirano (PR). 6) Salumi Leoncini di Colà di Lazise (VR).
Tutti i numeri di Anuga 2019
Arrivederci al 2021 La prossima Anuga si svolgerà dal 9 al 13 ottobre 2021.
• Hanno partecipato 7.590 aziende provenienti da 106 Paesi, su una superficie espositiva lorda di 284.000 m2; • 738 espositori provenivano dalla Germania, mentre 6.852 sono giunti dall’estero, con un’incidenza estera del 90%; • Anuga 2019 ha ospitato oltre 170.000 operatori da 201 paesi, con una partecipazione estera del 75%. >> Link: www.anuga.com
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Successo del Bellavita Expo di Londra. In esposizione anche i salumi piacentini Dop di Peveri La sesta edizione del Bellavita Expo Londra (7-8 novembre) — fiera dedicata alla celebrazione delle eccellenze del food & beverage del Mediterraneo, che si avvale della collaborazione con le Cibus e Vinitaly e con la presenza di Ibérica Expo — ha registrato numeri in grande crescita: 6.000 visitatori e 240 espositori con più di 3.000 prodotti esposti. Cibus ha affiancato Bellavita nella attività di invitation dei grandi buyer del canale retail e HO.RE.Ca., sostenendo, assieme a Vinitaly, il programma di incoming organizzato da Italian Trade Agency Londra che ha portato in fiera compratori provenienti da Scozia, Irlanda, Galles e Inghilterra. Tra i vari chef che si sono alternati sul palco dell’evento, GIORGIO LOCATELLI, chef e patron di Locanda Locatelli (unico ristorante italiano stellato di Londra), nonché giudice di MasterChef Italia. Al salone grande attenzione è stata riservata ai prodotti a coltivazione biologica nonché agli alimenti e alle bevande free from e alternative per soddisfare le crescenti richieste dei consumatori inglesi. I visitatori hanno avuto l’opportunità di scoprire una vasta gamma di pasta, olio extra vergine d’oliva e formaggi biologici, come pure prodotti come le sfogliatelle napoletane vegane o le pizze senza glutine. Grande interesse anche per la Bellavita Pizza Academy, che ha accompagnato gli ospiti in un viaggio attraverso i segreti dell’autentica pizza italiana, in collaborazione con APCI UK e il maestro pizzaiolo MARCO FUSO. Premiati e apprezzati a Londra i salumi piacentini Dop presentati dal Salumificio Peveri Carlo Buyer, importatori, chef, sommelier e giornalisti hanno affollato lo stand del Salumificio Peveri Carlo di Chiaravalle della Colomba, Alseno (PC), per assaggiare e conoscere i tesori dell’arte salumiera del territorio emiliano. A cominciare dalla coppa e dalla pancetta piacentina Dop premiata dalla guida de L’ESPRESSO “Guida I Salumi d’Italia 2019”, il salame dal prosciutto La Mandòla, la culatta Don Romualdo, il patè di Nero Grass Pist. Fiocco delle Fonti ha ricevuto l’ambito premio oustanding 2 Stelle. Novità assoluta per il mercato del Regno Unito è stata la linea di salami Peverissimi, declinati nei gusti di finocchio, pepe, peperoncino e tartufo. Peveri da tempo è presente coi suoi prodotti allo shop permanente Bellavita per vendita diretta e on-line. La strategia internazionale di Peveri ha visto presenziare l’azienda piacentina ad Anuga 2019 (all’interno dell’area del Consorzio dei Salumi Piacentini e del Consorzio Piacenza Alimentare) e alla fiera Degustorium della capitale della Slovacchia, Bratislava, ad ottobre. I mercati privilegiati da Peveri sono quello tedesco e britannico, ma anche quello statunitense e giapponese. >> Link: www.bellavita.com — www.salumificiopevericarlo.com
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HostMilano 2019, dove l’ospitalità incontra il business Con oltre 200.000 presenze, Host si conferma manifestazione leader mondiale del mondo dell’ospitalità. Operatori provenienti da 171 Paesi, con importanti delegazioni da Stati Uniti, Canada, America Latina e Medio Oriente, e 800 eventi tra incontri formativi, competizioni e showcooking i è chiusa lo scorso 22 ottobre con numeri in forte crescita la 41a edizione di HostMilano, manifestazione leader mondiale dell’hospitality organizzata da Fiera Milano: in cinque giorni oltre 200.000 presenze (+8% rispetto al 2017) — il 40% delle quali internazionali, da 171 Paesi —, hanno animato l’intero quartiere. Oltre che da Paesi europei come Spagna, Germania, Francia, Regno Unito o Svizzera, delegazioni particolarmente numerose da USA, Cina, Medio ed Estremo Oriente. E c’è chi ha percorso molte migliaia di chilometri per arrivare a Milano, persino dalle Isole Fiji o dal Nicaragua. Intensi gli incontri di business con gli hosted buyer, arrivati a Milano grazie anche alla collaborazione di ITA-ICE. «I risultati straordinari di questa edizione di Host — ha commentato l’AD e direttore generale di Fiera Milano Spa FABRIZIO CURCI — confermano la validità della strategia di Fiera Milano, che punta a fare delle proprie manifestazioni hub di riferimento internazionali». Al di là dei numeri, HostMilano è davvero l’appuntamento che presenta in anteprima mondiale l’innovazione tecnologica e che anticipa le tendenze e gli stili di consumo del fuoricasa, grazie alle numerose novità presentate dagli espositori italiani e internazionali e ambientate in contesti, spesso di design, che “raccontano” in che modo i prodotti rispondono ai desiderata degli utenti. Una propensione allo storytelling che si
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All’interno dello spazio dell’azienda spezzina Costa Group, il format brianzolo di steakhouse Pane & Trita ha presentato quella che forse è stata l’idea più fotografata in tutta la fiera, ovvero il “cono del macellaio”, un sushi di carne di Fassona perfetto anche da passeggio, accompagnato da spezie e aromi pregiati come zafferano, curry rosso e alghe.
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A sinistra: lo spazio di Arredo Inox con l’ampia offerta di proposte per la trasformazione degli alimenti tra Maturmeat®, Stagionello®, Stagionello Chef® e Pesciugatore®. Quest’ultimo è l’unico impianto garantito, brevettato e prodotto al 100% in Italia che riproduce una serie di microclimi ideali per la cura del pesce. A destra: lo stand di Fazzini Technology, azienda di Introbio (LC) specializzata nella produzione di macchine affilatrici professionali per coltelli e forbici e di una linea di coltelleria professionale e da cucina Linea Rossa di alta qualità. è rispecchiata nel dinamismo dei social media: gli account Instagram collegati alla manifestazione hanno registrato più di 650 contenuti (tra post e Instagram stories), superando 1,1 milioni di utenti unici. Host 2019 si è rivelata un’opportunità unica anche per condividere competenze ed esperienze, grazie a un palinsesto di oltre 800 eventi di alto profilo dedicati alla formazione e all’informazione su temi come la
sostenibilità o le tecnologie 4.0 quali l’Intelligenza Artificiale o l’Internet of Things, oltre a competizioni, dimostrazioni e showcooking con chef stellati, esperti e maestri delle diverse discipline. Green, smart e hygge Questa edizione di HostMilano è stata all’insegna del green, tematica che mette a fattor comune la sostenibilità nelle sue diverse declinazioni: da quelle più hi-tech alle reinterpretazioni più
Numerose le novità presentate al salone milanese dagli espositori, che stanno sempre più consacrando Host come la piattaforma dove presentare tendenze, innovazioni e prototipi. Temi di punta degli eventi in fiera, la sostenibilità e le tecnologie 4.0 quali l’Intelligenza Artificiale o l’Internet delle Cose
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contemporanee di formati e progetti. Del resto, secondo i dati di ASSOLOMBARDA, associazione delle imprese che operano nelle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza, la green economy ha già generato circa 3 milioni di posti di lavoro. L’Italia è leader europeo per dematerializzazione dell’economia: per ogni chilogrammo di risorsa consumata, genera infatti 4 euro di PIL, rispetto ai 2,4 euro della Germania e ai 2,2 euro della media UE. Rustrial, rustico + industriale Il rustrial è una combinazione di rustico e industriale che valorizza il riuso di elementi esistenti e l’utilizzo di materiali riciclati in un’atmosfera shabby chic: nuance pastello, monocromi e i toni neutri, che lasciano il colore ai dettagli per esaltare materiali grezzi e naturali. Ma anche, nota l’Osservatorio HostMilano analizzando i mercati, pareti verdi — non solo di piante ornamentali
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Costa Group punta tutto sul cuore Ad Host 2019, Costa Group — azienda internazionale specializzata nell'allestimento di negozi — ha rappresentato un punto di riferimento per il design e l’arredamento d’interni, allestendo uno spazio-mercato di oltre 500 m2 all’insegna del tema “Cuore Fiorito”. «Oggi ci vuole cuore per vivere la quotidianità e ci vuole cuore per pensare al domani» ha detto Franco Costa, presidente di Costa Group. «Specialmente in un momento storico dominato da confusione e indecisione, solo il cuore può fare e fare bene». L’area di Costa Group ad Host è stata caratterizzata da ambienti unici, in cui la tecnologia è stata unita armoniosamente ad elementi autentici, attraverso l’utilizzo diffuso di materiali di pregio, selezionati con cura e passione da Sandro Costa, AD dell’azienda. Mogano e ottone, speciali proiezioni video, pareti tridimensionali… Un vero percorso sensoriale tra forme, colori, immagini e, naturalmente, sapori. Tra gli ospiti dello stand, attenzione particolare è stata riservata all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e ad altri nomi importanti come: Rovagnati, Panpolpetta, Propizza, PlanetOne, MUU Mozzarella, Casa Infante, Pane & Trita, Caffè Toraldo, Birra Moretti e Aneri (photo © Costa Group).
Al ritmo di 25 locali al mese, e oltre 5.000 realizzazioni in tutto il mondo con i più importanti brand, Costa Group è leader internazionale nella progettazione e nell’arredamento di locali nel settore food & beverage. L’azienda, nata in provincia di La Spezia nei primi anni ‘80 e tuttora gestita dai fratelli Franco e Sandro Costa, si sviluppa in 13.000 m2 immersi nel verde nella provincia spezzina. Qui prendono forma idee e progetti che diventano esempi del fare italiano nel mondo. >> Link: www.costagroup.it
ma anche veri e propri orti verticali di verdure edibili — e il revival delle piante in vaso combinate a creare veri e propri mini giardini. Sostenibilità significa oggi gestire gli spazi senza sprechi: ad esempio, con un layout fatto di elementi d’arredo in legno riciclabile che possono essere facilmente disassemblati per essere ricombinati e rispondere a diversi utilizzi, o per essere riciclati a fine vita con un minor consumo di risorse. Spazio e risorse che si salvaguardano
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anche utilizzando grandi tavolate comuni invece dei tavoli separati, che favoriscono la convivialità e la diversità fornendo l’occasione di conoscersi a persone che, altrimenti, difficilmente si incontrerebbero. Perché la sostenibilità è anche uno stato mentale. E, in linea con l’approccio scandinavo dello hygge — il comfort delle piccole cose dal sapore domestico — sfumano sempre più i confini tra casa e fuoricasa, oltre che tra diverse fruizioni, come tra
bar e negozio o tra ristorante e showroom. Ad esempio, con le librerie che diventano protagoniste dei layout più diversi, perfino la camera d’albergo: ma attenzione, non librerie piene di dorsi decorativi, ma di libri veri, da leggere, usati e vissuti. Focus sulla tecnologia Il tutto col supporto della tecnologia, che entra innanzitutto al bar e al ristorante. Le stampanti 3D per alimenti entreranno
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La CSB-System augura ai propri clienti e partner un Felice Natale ed un 2020 ricco di successi.
HostMilano si conferma come l’hub di riferimento del settore ristorativo che piĂš di tutti anticipa le tendenze e gli stili di consumo del fuoricasa (photo Š fieramilano). nelle cucine professionali per abilitare ricette non solo piĂš personalizzate, ma anche piĂš green: presto potremo farci preparare al ristorante una “bistecca vegetarianaâ€? su misura, preparata con un mix di proteine vegetali — come le farine di legumi — a nostra scelta, per assicurarci l’apporto nutritivo che desideriamo. L’automazione si estenderĂ a tutte le attrezzature, dai grill alle macchine per caffè che, grazie all’intelligenza artificiale e a interfacce grafiche e connesse tramite Internet of Things, consentiranno anche al meno esperto dei baristi di preparare un espresso perfetto. Forse non vedremo tanto presto androidi servire ai tavoli, ma si diffonderanno piuttosto livelli stratificati di automazione con robot simili a quelli industriali che svolgeranno compiti specifici, come mixare un cocktail o guarnire e infornare un pizza, oltre a nuovi sistemi di cottura a induzione che consentono una maggiore creativitĂ o nuovi armadi refrigerati, sistemi di igienizzazione e linee di taglio che consentono di utilizzare una piĂš ampia varietĂ di ingredienti. Parola d’ordine, innovare L’innovazione, nella ristorazione, non è solo “dietro le quinteâ€? e anche i format
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si rinnovano costantemente. Parola d’ordine: contaminazione. Dal bread bar, dove possiamo fare la spesa di tutti i giorni, ma anche bere un buon caffè o sorseggiare un calice di vino, ai cosmopoliti mini-locali con infinite varianti di uno stesso prodotto in pochi metri quadri — dall’arancino al poke — ispirati allo street food, fino ai ristoranti che sono anche showroom, negozi fashion o gallerie d’arte. L’impiattamento, inoltre, diventa curatissimo per rendere piĂš “instagrammabiliâ€? i piatti, stimolando proposte tableware originali basate su nuove forme e nuovi materiali, come legno e acciaio spazzolato. Dal 22 al 26 ottobre 2021 L’appuntamento con la prossima edizione di HostMilano è a fieramilano dal 22 al 26 ottobre 2021.
>> Link: host.fieramilano.it
Quanto ne sa il vostro software di carne? Il nostro davvero tanto. 3URFHVVL VSHFLĂ&#x20AC;FL GL VHWWRUH integrazione di macchine e LPSLDQWL PRQLWRUDJJLR H UHSRUWLQJ ULQWUDFFLDELOLWj RWWLPL]]D]LRQH ULFHWWH JHVWLRQH TXDOLWj H PROWR altro. CSB-System è il software aziendale per il settore Carne. La soluzione completa comprende (53 )$&725< (53 H 0(6 H LQFOXGH giĂ le Best Practice aziendali. Siete curiosi di sapere esattamente perchè i leader del settore si DŕŠ&#x2022;GDQR DO &6% 6\VWHP" CSB-System S.r.l. Via del Commercio 3-5 | 37012 Bussolengo (VR) 7HO _ )D[ info.it@csb.com | www.csb.com
Aspettando #Marca2020 Nuovo layout per il Salone della MDD (Marca Del Distributore), che coinvolgerà anche il padiglione 36 accanto ai padiglioni 25, 26, 29 e 30. Appuntamento a Bologna il 15 e 16 gennaio 2020 anca poco più di un mese alla 16a edizione di MarcabyBolognaFiere, che si terrà il 15 e 16 gennaio 2020 a Bologna, e il trend delle adesioni al salone è in crescita, tanto da determinare l’apertura di un ulteriore padiglione espositivo: il nuovo layout si estenderà infatti anche al padiglione 36, comprendendo (come nel 2019) i padiglioni 25, 26 e i nuovi 29 e 30 (ultimi realizzati del piano di riqualificazione/ ampliamento del quartiere fieristico di
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Bologna che, con un investimento di 138 milioni di euro vedrà, a completamento dei lavori nel 2024, un incremento di oltre il 30% della superficie espositiva a disposizione e il 90% di strutture nuove o riqualificate). Più che positivo, dunque, l’andamento della campagna espositori che parteciperanno all’appuntamento di riferimento in Italia per il settore della Marca del Distributore, secondo in Europa, organizzato da BolognaFiere in collaborazione con ADM (Associazione
Distribuzione Moderna). Un evento che focalizza l’attenzione dell’intera business community della Marca del Distributore, un segmento di mercato in grande sviluppo, che rappresenta 1 acquisto su 5 nella distribuzione moderna, fidelizza i consumatori e cresce in assortimento, linee e referenze. Un segmento che rappresenta la vera novità del mercato, rispetto ai prodotti di marca industriale, con ampi spazi di crescita. Lo sviluppo dei prodotti a Marca del Distributore ha registrato, negli ultimi anni,
Marca è la seconda fiera in Europa nel settore MDD ed è l’unica manifestazione italiana interamente dedicata alla marca commerciale. Giunta alla 16a edizione (15-16 gennaio 2020), ospiterà oltre 750 aziende che esporranno i prodotti dell’eccellenza made in Italy e accoglierà migliaia di visitatori. 102
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Marca by BolognaFiere è suddivisa in tre main sections: Food, Non-Food e Packaging (Marca Tech). Coerentemente con la crescente attenzione del mercato verso la MDD, l’edizione 2020 di MarcabyBolognaFiere promoverà un importante programma di incoming di delegazioni, sviluppato anche in collaborazione con ITA–Italian Trade Agency e ICE per favorire il dialogo tra gli espositori e i buyer dei mercati esteri più importanti. un trend positivo costante, riconfermato anche dalle rilevazioni e analisi del XV Rapporto MarcabyBolognaFiere 2019 (promosso da BolognaFiere, a cura di IRI e NOMISMA, con la collaborazione delle principali insegne associate ad ADM presenti nel comitato tecnico-scientifico della manifestazione), presentato a gennaio 2019. Il Rapporto, che ogni anno viene illustrato nell’ambito dell’evento, si è accreditato come indispensabile strumento a disposizione degli operatori italiani e internazionali interessati a valutare il perimetro commerciale nell’ambito del quale individuare nuove opportunità di business. Coerentemente con la crescente attenzione del mercato verso la MDD, l’edizione 2020 di MarcabyBolognaFiere promoverà un importante programma di incoming di delegazioni, sviluppato anche in collaborazione con ITA–Italian Trade Agency e ICE per favorire il dialogo tra gli espositori e i buyer dei mercati esteri più importanti. Anche per l’edizione 2020 i top retailers internazionali in visita a MarcabyBolognaFiere daranno vita ad un’agenda di incontri con i category manager delle più importanti insegne della DMO nell’ambito del Vip Buyer Programme di MarcabyBoloPremiata Salumeria Italiana, 6/19
gnaFiere. MarcabyBolognaFiere 2020 conferma, inoltre, l’offerta di momenti di formazione e informazione che daranno vita ad un ricco calendario di convegni, dibattiti, seminari e focus di analisi delle principali tendenze espresse dal modern trade nel settore MDD. Ricordiamo infine anche il progetto Marca Tech, l’iniziativa di MarcabyBolognaFiere dedicata ai settori del packaging, della logistica e della digital industry che permettono di generare più efficienza nella gestione del modern trade. Questa si articolerà in spazi espositivi e in un convegno specialistico. MarcabyBolognaFiere è la prima manifestazione del calendario dell’anno e offre opportunità uniche di incontri B2B con buyer e category manager provenienti dalle principali catene internazionali in un ambiente riservato e confortevole.
>> Link: marca.bolognafiere.it
Cibus 2020, la qualità sostenibile Pratiche e progetti virtuosi dell’industria alimentare, una guida green per facilitare i visitatori nella scelta dei numerosi prodotti sostenibili, presenza crescente della Grande Distribuzione internazionale: benvenuti a Cibus 2020, in programma a Parma dall’11 al 14 maggio
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ostenibilità ambientale e rinnovata attenzione a temi quali eticità, trasparenza e rispetto del territorio da parte della filiera agroalimentare italiana saranno il focus centrale dell’edizione di Cibus 2020. Saranno presentate le buone pratiche e le soluzioni eco-ambientali già realizzate e nuovi progetti per
rispondere alle esigenze dei consumatori. Contestualmente, sarà mappata e valorizzata insieme alla distribuzione nazionale e internazionale l’offerta dell’intera filiera agroalimentare italiana per consolidarne il successo internazionale. Saranno esposti migliaia di nuovi prodotti (nel 2018 furono 1.300) e un’apposita guida green porterà i
visitatori alla scoperta di quelli made in Italy che si distinguono per ecosostenibilità. Una selezione di questi prodotti sarà esposta nell’area del Cibus Innovation Corner. Ovviamente, il tema della sostenibilità sarà declinato e reso leggibile attraverso i vari aspetti che caratterizzano le nostre produzioni, tipiche e non, quali: difesa del territorio e della
Cibus, Salone Internazionale dell’Alimentazione a Parma, si svolgerà dall’11 al 14 maggio 2020. La fiera è la piattaforma di incontro più importante per tutta la community agroalimentare, dove buyer, produttori e associazioni di categoria possono incontrarsi.
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biodiversità, riduzione della Carbon footprint, attenzione agli sprechi e alle opportunità dell’economia circolare, uso di packaging riciclabili o compostabili, corretta remunerazione del lavoro sul campo e in fabbrica.
anche nel 2020 punto di riferimento privilegiato per la Grande distribuzione internazionale grazie ai suoi road show, alla piattaforma digitale che assicura rapporti continui con i top buyer e alla loro presenza qualificata in fiera. Un dialogo che ancora beneficia della grande esperienza semestrale di Expo 2015 a Milano col padiglione Cibus/ Federalimentare. Spazio, infine, alle start up innovative nel food & beverage ospitate nello Start Up Lab, un’area realizzata da Agenzia ICE, Federalimentare e Crédit Agricole. Una cornice che promuove il dialogo su temi quali il futuro del comparto agroalimentare, le nuove professioni legate al food, e il rapporto tra cibo e modelli di business sostenibili.
Link: www.cibus.it
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Una grande vetrina di visibilità internazionale Cibus 2020, organizzata da Fiere di Parma e Federalimentare, in collaborazione con Agenzia ICE, si terrà a Parma dall’11 (lunedì) al 14 maggio (giovedì), celebrando il suo 35o compleanno nel prestigioso contesto di Parma Capitale della Cultura Italiana. Si prevedono oltre 3.000 espositori e 80.000 visitatori professionali, circa un terzo dei quali proveniente dall’estero. Buona parte delle aziende alimentari italiane ha già confermato la sua partecipazione a Cibus, anche sulla scia del successo di Cibus Connect di aprile 2019. Il tema “Competitività e sostenibilità nel rispetto dei consumatori” verrà analizzato anche nel corso degli “Stati Generali dell’Alimentazione”, organizzati a Parma da Federalimentare in
contemporanea al salone. Una fiera green, dunque, coerente alla sensibilità ambientale del quartiere fieristico di Fiere di Parma, all’avanguardia nella sostenibilità sotto ogni aspetto e dotato di un impianto fotovoltaico che ha una potenza complessiva pari a circa 7 MW, che ha consentito una riduzione di emissioni di decine di migliaia di tons di CO2 nell’ambiente. Altro punto cardine di Cibus 2020 sarà il rapporto tra industria alimentare italiana e Moderna Distribuzione internazionale fisica e on-line, un canale di vendita fondamentale per l’export made in Italy, che sta già confermando la sua presenza a Parma. I rapporti con i grandi retailer esteri si sono costantemente intensificati grazie all’iniziativa True Italian Taste organizzata dal Ministero dello Sviluppo economico, in collaborazione con ASSOCAMERESTERO. Una promozione che necessariamente è legata ad attività informative in-store per spiegare storia e caratteristiche del food made in Italy che proprio a Cibus ha avuto inizio nel 2014. Da questo punto di vista, Cibus si conferma
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FORMAGGIO
Il futuro luminoso dei rivenditori di formaggio L’inchiesta è stata condotta dal Salon du Fromage et des Produits Laitiers, che si svolgerà a Parigi dal 23 al 26 febbraio 2020. Convivialità, diversità e modernità presenti per soddisfare i consumatori
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l Salon du Fromage et des Produits Laitiers svela i risultati di un’indagine barometrica condotta nel giugno scorso tra numerosi rivenditori francesi di formaggi (207) e i visitatori della fiera, in programma a Parigi dal 23 al 26 febbraio 2020. Situazione del mercato, consumo da parte dei Francesi, offerta in negozio… Di seguito vi riportiamo i risultati dell’indagine.
Una professione che in Francia viaggia col vento in poppa! Lo studio svela un futuro promettente per i rivenditori di formaggi. Il 69% degli intervistati ha infatti dichiarato un fatturato in crescita nel 2018 e il 77% ritiene che aumenterà ancora nei prossimi due anni. Prospettive molto soddisfacenti, dunque, che incoraggiano gli operatori a diversificarsi e a proporre spesso delle novità, conservando comunque
il lato umano insito nella professione. Risulta infatti che il 60% dei rivenditori di formaggi rinnova frequentemente la propria offerta, il 58% organizza degli eventi nei propri punti vendita (vs 48% nel 2015), il 47% propone delle creazioni originali e il 24% propone un’offerta non alimentare. «I risultati di questo studio esclusivo rafforzano l’idea che la nostra professione abbia un futuro luminoso davanti a sé» ha commentato CLAUDE MARET, presidente della Federazione dei Rivenditori di formaggi di Francia. «In effetti, grazie alla nostra esperienza e alla nostra profonda conoscenza dei prodotti, rispondiamo alle attese dei nostri clienti sempre più attenti alla qualità e alle tecniche di produzione. I rivenditori di formaggi sono aperti a nuovi usi e tendenze di consumo. L’interesse per i formaggi internazionali e l’adattamento della nostra offerta sono lì a testimoniarlo». Sono sempre più connessi! Facebook e Instagram sono i due social network prescelti dalla professione. In effetti, il 70% dei rivenditori è attivo su Facebook e il 40% su Instagram, considerati strumenti di comunicazione che permettono di restare connessi coi clienti, fidelizzarli e far loro desiderare di varcare la soglia del negozio… il più spesso possibile!
Appuntamento imperdibile della filiera del latte, il Salon du Fromage et des Produits Laitiers riunisce, ogni 2 anni, l’insieme dei professionisti di questo settore.
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Quali sono le tendenze di consumo? I Francesi e il formaggio, una grande storia d’amore quotidiana! Se il formaggio si degusta principalmente scegliendolo da un vassoio, il 78% dei rivenditori di formaggi intervistati constata un aumento del consumo in occasione del
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momento conviviale dell’aperitivo ma anche di pasti interamente a base di formaggio che hanno lo scopo di sorprendere gli invitati (68%). D’altronde, quando sono invitati ad un pranzo o ad una cena, i Francesi si presentano a casa del proprio ospite sempre più spesso non più con un bouquet di fiori o con una bottiglia di vino bensì con un vassoio di formaggi (il 68% dei rivenditori ha osservato un aumento del formaggio scelto come regalo).
Se il formaggio si degusta principalmente scegliendolo da un vassoio, il 78% dei rivenditori intervistati constata un aumento del consumo all’ora dell’aperitivo e di pasti interamente a base di formaggio allo scopo di sorprendere gli invitati.
A proposito del Salon du Fromage et des Produits Laitiers La 16a edizione del Salon du Fromage et des Produits Laitiers si svolgerà da domenica 23 a mercoledì 26 febbraio 2020 a Paris Expo Porte de Versailles (Francia). Esclusivamente riservato agli operatori, questo appuntamento internazionale dei formaggi e dei prodotti lattiero caseari di qualità riunirà circa 280 espositori (produttori, fabbricanti di attrezzature per il commercio, servizi…) e 8.000 compratori provenienti da tutto il mondo. Ad oggi il 77% della superficie è già prenotata. Seguite tutte le news sul sito del salone. >> Link: www.salon-fromage.com
Francesi sempre più esigenti e informati Dai risultati dell’indagine del salone, i consumatori francesi ricercano innanzitutto dei prodotti di qualità, gustosi e che rispondano a criteri precisi: l’81% sceglie i prodotti in base alla produzione (latte crudo o pastorizzato), in aumento dell’8% rispetto al 2015; il 78% in funzione del tipo di latte (vacca, pecora, capra), rispetto a meno di 7 su 10 nel 2015. I clienti accrescono le loro conoscenze: al di là delle domande classiche sulla produzione o il tipo di latte, l’80% dei consumatori pone infatti domande sugli abbinamenti col vino, il 76% sulla perfetta preparazione di un vassoio di formaggi, il 72% sulla stagionalità o, ancora, il 52% sul produttore.
Il Gruppo Comexposium è uno dei leader mondiale nell’organizzazione di eventi professionali e per il pubblico. Il Gruppo organizza 135 eventi B2B e B2B2C in tutto il mondo, coprendo numerosi settori d’attività come l¢agricoltura, la costruzione, la moda, il retail, la salute, il tempo libero, l’immobiliare, la distribuzione, la sicurezza, l’educazione, il turismo e i comitati d’impresa. Presente in oltre 30 paesi, Comexposium accoglie ogni anno oltre 3,5 milioni di visitatori e 48.000 espositori. Con una sede in Francia, Comexposium dispone di una rete commerciale e di collaboratori presenti in 22 paesi. Comexposium si posiziona come un creatore di scambi e d’incontri tra le persone e il business. >> Link: www.comexposium.fr
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World Cheese Awards: è il Parmigiano Reggiano il formaggio più premiato al mondo La Nazionale del Parmigiano Reggiano (in foto) vince 110 medaglie e centra un risultato mai raggiunto al World Cheese Awards, svoltosi quest’anno a Bergamo, in occasione di Forme, manifestazione dedicata all’arte casearia italiana d’eccellenza: la giuria internazionale ha infatti premiato quasi il 60% dei caseifici in gara. Il Parmigiano Reggiano è l’unico formaggio italiano tra i primi 16 finalisti tra i 3.804 iscritti. La vittoria assoluta è sfumata dopo il testa a testa tra il Parmigiano Reggiano 25 mesi della Latteria Santo Stefano di Parma e il Blue Cheese Rogue River Blue di giovani agricoltori dell’Oregon. Entrambi hanno ottenuto il massimo dei voti dalla giuria nella finalissima (100 punti), ma il pari merito ha richiesto l’intervento del presidente — il conduttore della BBC Nigel Barden — che, dopo il secondo assaggio, ha premiato il formaggio artigianale americano. La Nazionale del Parmigiano Reggiano — composta da 86 caseifici provenienti da tutte le province del comprensorio — è arrivata ad essere la più grande missione collettiva mai intrapresa da un formaggio italiano all’estero. Uno sforzo di gruppo che ha fruttato quattro medaglie Super Gold (miglior formaggio del tavolo), 29 medaglie d’oro, 37 d’argento, 40 di bronzo. Le Super Gold sono state vinte dal Caseificio Dismano di Modena, dalla Latteria Sociale Garfagnolo e dalla Latteria Centro Rubbianino, entrambe di Reggio Emilia, e dalla Latteria Santo Stefano di Parma, vincitore del secondo posto assoluto. «La Nazionale del Parmigiano Reggiano — ha commentato da Bergamo Gabriele Arlotti, ideatore della Nazionale — per la prima volta ha presentato anche il Parmigiano Reggiano di oltre 40 mesi che ha riscosso numerosi premi: è una novità assoluta. In più, siamo la Dop più premiata al mondo. Il grazie a tutti i caseifici che hanno creduto a questo progetto che, ora, consentirà di spuntare maggior valore. È stato davvero incredibile, dopo 31 anni, poter gareggiare davanti al pubblico italiano». >> Link: www.parmigiano-reggiano.it
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Pioggia di medaglie per i formaggi maremmani de Il Fiorino Il Fiorino di Roccalbegna (GR) torna dal World Cheese Awards 2019 con “un bottino” di tutto rispetto. La Grotta del Fiorini e il Fior di ricotta di pura pecora hanno infatti conquistato la medaglia d’oro; poker di medaglie d’argento col Pecorino al tartufo stagionato, il Pecorino stagionato biologico, la Riserva del Fondatore e il Cacio di Caterina. Il Fior di natura semistagionato biologico con caglio vegetale, il Pecorino al tartufo e il Pecorino Toscano Dop hanno infine conquistato il terzo gradino del podio. Il caseificio guidato da Angela Fiorini e Simone Sargentoni (in foto) è tra i protagonisti della scena casearia internazionale. Prima dei successi del WCA 2019 erano arrivati infatti tanti altri riconoscimenti: nel 2015 a Londra, secondo posto assoluto con la Riserva del Fondatore; nel 2016 a San Sebastián, due Super Gold, due medaglie d’oro, una d’argento e una di bronzo. A Londra 2017 erano state due le medaglie d’oro, due quelle d’argento e due di bronzo. Nel 2018 a Bergen, Norvegia, Il Fiorino era stato premiato come miglior azienda italiana, classificandosi quinto assoluto con la Riserva del Fondatore e conquistando due Super Gold per la Riserva del Fondatore e la Grotta del Fiorini, la medaglia d’oro per il Fior di Natura semi stagionato biologico con caglio vegetale, l’argento per il Pecorino Toscano Dop stagionato e il bronzo per il Pecorino di Bartarello a latte crudo, il Pecorino Toscano Dop fresco e il Pecorino al pesto genovese. >> Link: www.caseificioilfiorino.it
Il Sommelier dei formaggi? In Alto Adige c’è! In Alto Adige lavorano oltre 5.000 contadini di montagna, numerose cooperative di trasformazione del latte e caseifici di malga. Per questo l’Hotel Tratterhof di Maranza (BZ) ha pensato di inserire nel suo staff un esperto in materia: il Sommelier dei formaggi. A ricoprire questo ruolo è Sascha Russotti (in foto), degustatore certificato, che si occupa di controllare regolarmente l’assortimento disponibile sul mercato, di visitare i produttori e di individuare, tramite l’assaggio, i formaggi più “promettenti”. Ogni giovedì sera Sascha presenta agli ospiti dell’albergo i suoi prodotti preferiti in una degustazione gratuita, come i formaggi a pasta molle del Maso Eggemoa, nella Valle Aurina, avvicinando i fortunati partecipanti al mondo caseario altoatesino e di altre regioni vicine.
Il Piave Dop presenta Fake Hunters Nell’ambito della campagna Nice to Eat-EU co-finanziata dell’Unione Europea (www.nicetoeat.eu), il Consorzio per la Tutela Formaggio Piave Dop presenta Fake Hunters, un simpatico videogioco che ha come obiettivo quello di insegnare ai più piccoli a riconoscere i marchi di qualità europei sul piano della sicurezza degli alimenti, della tracciabilità, dell’autenticità e degli aspetti nutrizionali e sanitari. Il videogioco, disponibile in italiano e in tedesco, è legato alle avventure di Captain Piave, supereroe protagonista di un’animazione Full 3D CG (Marulli Studio Srl) che difende il Piave Dop dal perfido Dr Fake, scienziato che tenta senza sosta di riprodurre squallide copie del formaggio, tenendo in ostaggio la povera Mucca Bruna. I bambini dovranno via via eliminare nuvole di smog, a spezzare le sbarre delle gabbie che impediscono alle vacche di nutrirsi nei verdi pascoli d’altura e i sacchi di mangimi artificiali o ancora le forme di formaggio fake, stando attenti a salvaguardare l’aria pura di montagna, i fiori di campo e le forme originali del pregiato Piave Dop. I giocatori arriveranno pian piano a scoprire questo formaggio unico e inimitabile, risultato di un insieme di fattori non riproducibili al di fuori dell’area delle Dolomiti bellunesi. Fake Hunters è disponibile gratuitamente per PC, tablet e smartphone su entrambe le piattaforme iOS e Android accedendo e registrandosi al sito fakehunters.nicetoeat.eu
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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
Il pecorino Massese di S.a.l.c.i.s. Una storia lunga quasi 80 anni, fatta di manualità, tradizione e passione. Dai salumi ai formaggi, passando per il recupero di una razza in via d’estinzione: la pecora Massese di Veronica Fumarola
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uella dell’azienda S.A.L.C.I.S. è una storia che inizia molti anni fa, esattamente nel 1941. Erano gli anni della Seconda Guerra Mondiale quando i salumieri senesi, a causa del contin-
gentamento del mercato, decisero di unirsi e di lavorare insieme le carni di maiale. Tra questi uomini c’era anche ARMANDO MORBIDI, nonno di ANTONIO MORBIDI, un toscano solare e sorridente, che oggi porta avanti con entusiasmo e
passione la tradizione nell’azienda di famiglia. «Mio nonno era il titolare di una piccola bottega di generi alimentari e nel retrobottega lavorava le carni di maiale per produrre salumi. Durante la guerra, però, non c’erano maiali a
Tutti i pecorini S.a.l.c.i.s., con le varie stagionature e affinature, vengono prodotti con il latte dei pascoli delle crete senesi, in cui si trova anche l’allevamento di proprietà.
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Nell’ovile di proprietà il benessere animale è prioritario, perché «siamo consapevoli che la qualità dei formaggi dipenda dal valore e dalla qualità della materia prima. Se le nostre pecore sono serene e mangiano bene, anche il latte non sarà da meno» dice Antonio Morbidi
I formaggi dell’azienda, così come i salumi, si possono acquistare nel punto vendita storico, a Siena, e nello spaccio aziendale a Monteriggioni, ma S.a.l.c.i.s. distribuisce anche in negozi specializzati in Italia e all’estero. sufficienza per il sostentamento della popolazione e così il governo obbligò i negozianti di Siena a dar vita ad un’unica società, la S.a.l.c.i.s., Società Anonima Lavorazione Carni Insaccati Siena» racconta Antonio. «Terminata la guerra, mio nonno decise di continuare l’attività insieme ad alcuni colleghi e alla trasformazione del maiale unì quella del latte di pecora». Siamo nel 1960: è in questo momento che inizia la lavorazione del latte ovino raccolto dai pastori delle terre circostanti, molto spesso sardi, viste le continue ondate migratorie di quegli anni. La famiglia Morbidi diventa l’unica titolare dell’azienda e completa un percorso a ritroso, che dalla terra porta al banco. «Abbiamo deciso di avviare l’allevamento di pecore per produrre i più tipici pecorini toscani, ma da quattro anni abbiamo introdotto anche una razza in via di estinzione, la pecora Massese, di cui contiamo circa 50 capi» specifica Antonio.
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E proprio il pecorino massese è tra i fiori all’occhiello dell’azienda: si ottiene da solo latte di pecora Massese, scaldato a 30-35 °C e fatto cagliare tramite l’aggiunta di caglio naturale; dopodiché, si rompe la cagliata e si dispone nelle formelle. Poi viene salato e disposto su tavole a sgocciolare e ad asciugare dove viene rigirato periodicamente. Infine, viene confezionato in forme rotonde da 1 a 2,5 kg. Qual è la particolarità di questa razza? «La pecora Massese è autentica» afferma Antonio. «Vive all’aperto, allo stato brado, e richiede particolare cautela nell’allevamento date le sue corna. Non possiamo mungerla meccanicamente, quindi la raccolta del latte avviene a mano, così come la lavorazione, per mantenere inalterate le caratteristiche organolettiche». Sono due i pecorini massesi di S.a.l.c.i.s., uno lavorato a caldo, l’altro a freddo. Cosa cambia? Il gusto! Nel primo caso si tratta di un formaggio con una pasta paglierina, leggermente
bucherellata e un gusto inteso. Il pecorino massese lavorato a freddo, invece, ha una pasta più granulosa. Entrambi stagionano per circa 4-5 mesi. Queste caciotte, però, non sono l’unico prodotto dall’azienda senese, che vanta anche una gamma di pecorini toscani con varie stagionature e affinature. Vengono lavorati con latte dei pascoli delle crete senesi in cui si trova l’allevamento, un ovile costruito con materiali naturali e in cui la parola d’ordine è benessere animale, «perché — conclude Antonio — siamo consapevoli che la qualità dei formaggi dipenda dal valore e dalla qualità della materia prima. Se le nostre pecore vivono serene e mangiano bene, anche il latte non sarà da meno». A completare l’offerta, una vasta scelta di salumi: prosciutti, pancette e salami, salumi di cinghiale e di cervo, cotti e salsicce. Infine, sottoli e patè, sughi per la pasta, miele, confetture dolci e gli immancabili cantucci toscani. Dove trovare tutte queste prelibatezze? Nel punto vendita storico, a Siena, e nello spaccio aziendale a Monteriggioni, ma S.a.l.c.i.s. distribuisce anche in negozi specializzati in Italia e all’estero. Veronica Fumarola S.a.l.c.i.s. Strada Provinciale Colligiana 33 53035 Monteriggioni (SI) Telefono stabilimento: 0577 306724 Telefono negozio: 0577 306760 Web: www.salcis.it
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VINO Celebriamo il territorio con Verdicchio di Matelica e Bianchello del Metauro
Le Marche vanno… in bianco di Riccardo Lagorio
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el 2019 le Marche hanno celebrato il territorio grazie a manifestazioni connesse a due denominazioni di vini bianchi: il Verdicchio di Matelica e il Bianchello del Metauro. Il Verdicchio di Matelica è uno dei più antichi vini bianchi italiani da vitigno autoctono e viene marchiato con la DOC dal 1967 e la DOCG per la versione Riserva dal 2009 in 5 comuni in provincia di Macerata e 2 in quella di Ancona. Fu la quattor-
dicesima DOC a essere riconosciuta, lo stesso anno in cui divenne DOC anche il noto Brunello di Montalcino. Nella campagna vendemmiale 2017/2018 furono dichiarati a Verdicchio di Matelica DOC 210 ettari, per circa 14.500 hl di vino imbottigliato mentre gli ettari di Verdicchio di Matelica DOCG furono 25, con 732 hl imbottigliati. L’unicità e la rarità di questo vino fanno parte della singolarità del territorio: è l’unica valle (di queste dimensioni) della
regione Marche ad essere disposta da nord a sud, identificabile nel territorio delimitato dal comune di Castelraimondo (MC) a sud e Cerreto d’Esi (AN) a nord. La chiusura della valle verso il mare crea, nell’Alta Vallesina, un clima continentale e il Verdicchio di Matelica vive questa unicità pedoclimatica trasformandola in tipicizzazioni produttive e sensoriali. Tra queste il giallo paglierino e riflessi verdognoli che, pare, abbiano contribuito ad attribuire il nome al
Vigneti della campagna marchigiana (photo © lamio – stock.adobe.com).
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A sinistra: Verdicchio di Matelica dell’azienda Collestefano (photo © www.collestefano.com). In basso: botti di Verdicchio di Matelica (photo © www.vinigagliardi.it). Verdicchio bianco. Sprigiona sentori fruttati di mela, ananas e mandorla, caratteristico frutto che si percepisce come retrogusto finale. Il vino regala aggraziate sensazioni di rotondità e morbidezza, specie se ottenuto su terreni calcarei. Il Verdicchio di Matelica, come insegna FABIO MARCHIONNI, proprietario dell’azienda Collestefano, merita di essere invecchiato (collestefano.com). Le sue bottiglie sono profumatissime di note agrumate e biancospino e, stappate dopo almeno cinque anni, nobilitano e caratterizzano il vitigno. Non temerebbero di trascorrere alcuni anni in bottiglia quelle della storica famiglia GAGLIARDI (vinigagliardi.it): il loro Maccagnano esprime aromi complessi di ginestra e sambuco. Caso probabilmente unico in Italia, le bottiglie dei produttori di Verdicchio di Matelica si possono acquistare nel Foyer Verdicchio di Matelica all’interno del teatro Giuseppe Piermarini, avvicinando la cultura materiale rappresentata dal vino a quella intesa in senso stretto che si consuma nei teatri. Volgono al termine i festeggiamenti per i 50 anni di un’altra denominazione: Bianchello del Metauro. A trainare le iniziative è stato il gruppo di nove cantine riunite nel progetto Bianchello d’Autore (bianchellodautore.com), nato nel 2017 per promuovere la D OC col sostegno dell’IMT-Istituto Marchigiano di Tutela Vini. I nove si sono rivelati protagonisti del Festival Internazionale del Brodetto e delle Zuppe di Pesce (tenutosi a Fano dal 4 al 7 luglio scorsi) e nella recente Fiera Nazionale del Tartufo Bianco di Acqualagna (acqualagna.com), giunta all’edizione numero 54, calcando le scene della “Capitale del tartufo” per rinsaldare il legame tra i due simboli enogastronomici del territorio.
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Gli stessi 9 di Bianchello d’Autore producono circa 6.000 ettolitri e 400.000 bottiglie l’anno di Bianchello del Metauro Doc, con dati in crescita per l’export che, nel 2018, ha segnato una crescita del 10%. In generale, le cantine di Bianchello d’Autore indicano un 60% di produzione destinato al mercato locale, un 20% al nazionale e un 20% all’estero. Il Bianchello del Metauro DOC è prodotto con almeno il 95% di uva Bianchello Biancame ed eventualmente Malvasia bianca lunga, estendendosi su 9 comuni della Valle del Metauro in provincia di Pesaro Urbino e parzialmente di altri 3. La denominazione contempla anche le tipologie Superiore, Spumante e Passito. Tra gli assaggi di Bianchello del Metauro DOC, indimenticabile Piandeifiori di CESARE MARIOTTI. Colpiscono i profumi di frutta con nitidi sentori di pesca, melone, albicocca e ananas in
un amalgama minerale ideale. Potente e goloso in bocca, si rivela rotondo e avvolgente. Figlio di una leggera sovramaturazione in pianta è anche il KC di AUGUSTO VITALI (www.vinivitali.it), 2015, sulle prime colline di Fano. Di colore aureo brillante, trasporti di aromi di frutta esotica e bocca saporita di zafferano e pesca. Gustosa anche la retroetichetta, dedicata da tale KARINE: “La più bella cosa c’est de t’avoir un jour rencontré. Tu resteras a jamais gravé dans mon coeur”. E il KC difficilmente si dimentica… Ideali con alcuni cibi marchigiani come i formaggi giovani di pecora, i passatelli in brodo o il brodetto di pesce, i due vini marchigiani meriterebbero ben altra attenzione a livello nazionale da parte del consumatore. Donano magia alle tavole. Ma c’è tanto lavoro da fare, non sempre in discesa. Riccardo Lagorio
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Venezia, città d’acqua e di vino Seconda edizione per FeelVenice, evento enogastronomico che, nell’antico giardino mistico del Convento dei Carmelitani scalzi a Venezia, celebra l’eccellenza, l’arte e la cultura enologica della Serenissima di Gaia Borghi
L’
emergenza “acqua alta” che ha colpito Venezia nel mese di novembre, raggiungendo picchi tra i più alti mai registrati nella storia della Serenissima e facendo danni incalcolabili al patrimonio artistico, economico ma, più di ogni altra cosa, umano di questa meravigliosa e unica città, ha risparmiato i vigneti simbolo
della laguna. «I vigneti che preservano la rappresentanza genetica della vite a Venezia per ora sono salvi, compreso quello dei Carmelitani scalzi e quello di Torcello» ha dichiarato alla stampa il direttore del Consorzio Vini Venezia STEFANO QUAGGIO. E proprio l’antico giardino che si trova all’interno del complesso del convento dell’ordine religioso, a due passi dalla Stazione di
Santa Lucia ma celato agli occhi dei più dalle alte mura che lo circondano, ha ospitato FeelVenice, evento organizzato da due anni a questa parte dal Consorzio Vini Venezia (2.000 soci produttori delle province di Venezia e Treviso) e dedicato alla promozione dell’arte, della cultura e delle eccellenze enologiche del territorio di Venezia. Protagoniste 16 cantine provenienti dal territorio
FeelVenice è organizzato dal Consorzio Vini Venezia per vivere e assaporare la Venezia enologica più autentica.
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del Piave e del Lison Pramaggiore e in degustazione il meglio delle referenze provenienti dalle cinque diverse denominazioni consortili ovvero Doc Piave, DOC Lison Pramaggiore, DOC Venezia, DOCG Malanotte e DOCG Lison. Venezia, la vite, il vino e la bellezza assoluta «Da sempre Venezia è una città di vino» ha raccontato ai partecipanti all’evento e alle degustazioni previste RENATO GRANDO, docente dell’associazione Slow Food di Storia della gastronomia. «La sua storia è legata a doppio filo alla vite e al vino fin dalle origini, dalla produzione nelle isole della laguna e dell’entroterra di questa regione, all’importazione e all’esportazione di vini provenienti dal Mediterraneo orientale». Oltre che attraverso numerose pubblicazioni, l’organizzazione di questa giornata e tante altre attività, il Consorzio Vini Venezia sta valorizzando questo legame così forte dal punto di vista storico attraverso il recupero e l’identificazione delle varietà di vite presenti in broli, giardini pubblici e privati e nei conventi della città e delle isole della laguna. Stiamo parlando nello specifico del progetto, avviato nel 2010 in collaborazione con le Università di Milano, Padova e con il Crea-Viticoltura Enologia di Conegliano, riguardante due “vigneti collezione” della biodiversità che il Consorzio ha piantato sull’isola di Torcello e, appunto, nel convento che ha ospitato FeelVenice, all’interno del complesso di Santa Maria di Nazareth. L’obiettivo? «Scoprire origine, provenienza e le caratteristiche delle varietà di viti ancora presenti in città e la loro conservazione» mi dicono i rappresentanti del Consorzio. Grazie al supporto di cinque tecnici esperti sono stati raccolti più di 70 esemplari, individuando ben 30 varietà (tramite analisi del DNA): una banca genetica oltremodo preziosa. Lo scorso anno, tra l’altro, con le uve raccolte nel vi-
Il vigneto-collezione situato all’interno dell’antico giardino nascosto ai più dalle alte mura del convento dei Carmelitani scalzi, a pochi passi dalla stazione dei treni di Venezia. Racchiude più di 20 varietà recuperate da diversi orti e giardini veneziani.
Il Consorzio Vini Venezia nasce nel 2011 dalla volontà dei viticoltori del Consorzio Volontario Tutela Vini Doc Lison Pramaggiore e del Consorzio Tutela Vini del Piave Doc di unire le loro energie per tutelare e valorizzare con più forza le loro produzioni, ottimizzando le risorse e avendo a disposizione un organismo più strutturato. Il Consorzio promuove e tutela le denominazioni Doc Venezia, Doc Lison-Pramaggiore, Doc Piave e le Docg Lison e Malanotte del Piave, estendendosi per i territori comprensivi dei vari disciplinari, tra le province di Venezia e Treviso. >> Link: www.consorziovinivenezia.it
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gneto del convento, è stato prodotto e presentato al Vinitaly il primo vino dei frati Carmelitani scalzi di Venezia. Due le versioni, un bianco e un rosso, per un vino che, ad ogni sorso, “porta con sé l’anima di Venezia”.
Il vigneto-collezione della biodiversità situato nell’antico brolo del convento veneziano e circondato da erbe aromatiche e officinali, gli orti, il frutteto e un oliveto.
Lison e Raboso protagonisti Interessantissime le due degustazioni guidate che hanno accompagnato i partecipanti alla scoperta della storia e delle caratteristiche del Lison DOCG — unica DOCG interprovinciale — vino simbolo di quest’area enologica, realizzato col vitigno Tai, e del Raboso, “l’indigeno della terra del Piave” di antichissima origine, nelle sue due principali declinazioni: il Raboso DOC Piave e il Malanotte DOCG. Tra le etichette presentate va menzionato il Raboso passito della Tenuta Bonotto delle Tezze (www.bonottodelletezze.it). Espressione estrema di questo vitigno, di un’eleganza rara. Gaia Borghi
Tra le aziende presenti a FeelVenice c’era anche il CaseificioTomasoni di Breda di Piave (TV), importante azienda trevigiana fortemente legata al proprio territorio, operando fin dalla sua fondazione con piccoli produttori locali. Una scelta etica, questa, che punta a valorizzare le materie prime garantendo al consumatore tracciabilità e trasparenza. La storia di Tomasoni inizia nel 1955, quando Primo (in foto), casaro di origini bresciane, rilevò un’antica latteria turnaria ubicata vicino al fiume Piave in un luogo ricco di storia, di risorgive e di bellezze naturalistiche, per farne la prima sede di questo caseificio. Ogni giorno oltre 400 quintali di latte vaccino, di capra e bufala, proveniente da un raggio di 30-40 km dalla sede di Breda di Piave, viene lavorato con metodi artigianali. Gesti antichi si intrecciano a moderne tecniche di lavorazione, per dar vita ad una gamma di oltre 30 referenze, comprendenti formaggi freschi (i famosi stracchini!, che hanno, ognuno, il proprio fermento autoctono) e stagionati a pasta dura o semidura. Tre premi a Caseus Veneti 2019 Caseus Veneti, svoltosi il 28/29 settembre scorsi a Villa Contarini di Piazzola sul Brenta (PD), è un concorso regionale nato oltre un decennio fa per valorizzare il lavoro di 3.000 allevatori veneti che ogni giorno consegnano latte prezioso a oltre un centinaio di caseifici, dove lavorano casari e affinatori dalle preziose conoscenze artigianali. Il ruolo del concorso in questi anni è divenuto anche quello di promozione ai consumatori del formaggio fatto secondo tradizione. All’edizione 2019 di Caseus Veneti il Caseificio Tomasoni si è aggiudicato ben tre premi: primo posto per la categoria Formaggi di capra, pasta semidura/dura con il Capriccio di Capra; secondo posto per la categoria Casatella trevigiana Dop; secondo posto per la categoria Freschi e freschissimi (pasta molle senza crosta) con la Robiola. Caseus Veneti, che ha il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, di Regione Veneto, Provincia di Padova e Città di Piazzola sul Brenta, è realizzato dai Consorzi di tutela delle Dop regionali con la guida del Grana Padano, insieme ai Consorzi di Asiago, Casatella Trevigiana, Montasio, Monte Veronese, Piave, Provolone Valpadana e Mozzarella STG, in collaborazione con Veneto Agricoltura e ONAF – Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi. >> Link: www.caseificiotomasoni.it
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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)
La Penultima Cena – The Langhe Supper: un pasto diventa arte Dodici pasti da 2 ore, per dodici persone ogni 2 ore, tutto realizzato in presa diretta, per una lunga tavola conviviale della durata di 24 ore. Cornice dell’evento un vigneto, con lo sfondo delle colline premiate dall’UNESCO e la torre di Barbaresco. E col Tartufo Bianco di Alba protagonista assoluto! È La Penultima Cena – The Langhe Supper, un’opera del progetto Anotherview che è stata realizzata lo scorso 13 ottobre e che sarà esposta da gennaio 2020. «Ora la Fiera Internazionale del Tartufo di Alba potrà riprodurre questa finestra sospesa sulle Langhe ogni volta che vuole raccontare nel mondo la bellezza di questo territorio, la sua cucina, nello stesso arco di tempo in cui è stata filmata, 24 ore» ha detto Marco Tabasso, uno degli autori. La Penultima Cena – The Langhe Supper è un’esperienza totalizzante, totalmente immersiva, dal carattere unico: tutto segue l’iconografia dell’ultima cena, con 12 persone e un cerimoniere che si alternano ogni 2 ore, gustando i prodotti del territorio, nella cornice onirica delle Langhe. Curatore e co-autore dell’opera d’arte l’esperto di comunicazione Paolo Dalla Mora. Si tratta della prima opera d’arte realizzata per e all’interno della 89a Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba: Anotherview è un progetto di Marco Tabasso, Tatiana Uzlova e Robert Andriessen che consiste nella realizzazione di “finestre nomadi digitali”, ognuna delle quali racconta un giorno della vita di un luogo diverso del mondo. Ogni panoramica viene poi installata all’interno di una finestra fisica che riproduce le sembianze della finestra da cui la vista è stata registrata. Ospiti del mondo dell’arte, della cultura e dell’enogastronomia si sono susseguiti insieme ai personaggi tipici della tradizione piemontese, come i cercatori di tartufo, i membri della Confraternita della Nocciola delle Langhe, i presidenti dei borghi medioevali, i bambini delle scuole materne dei comuni delle Langhe, ma anche chef stellati come Davide Oldani, che ha presentato XFETTA, uno strumento innovativo per lamellare il tartufo, Maurilio Garola (1 stella Michelin a La Ciau del Tornavento e dell’osteria Campamac) e gli chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani de Il Luogo di Aimo e Nadia (2 stelle Michelin). Nulla di più affine allo scopo ultimo della fiera, ovvero “conoscere da vicino, annusare, toccare, assaggiare gli elementi della cultura materiale del Piemonte attraverso degustazioni, esperienze sensoriali e laboratori”. Anotherview celebra l’autenticità delle colline di Langhe Roero e Monferrato e la rarità del Tartufo Bianco d’Alba elevandole ad opera d’arte. Il sostegno a questo progetto, nella scia di un costante appoggio a progetti culturali di valore che negli anni si sono affiancati alla fiera vera e propria, contribuisce a portare nel mondo le terre e le tartufaie naturali dove i trifolao con i loro cani trovano il più prezioso diamante di queste terre.
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Viva le bollicine francesi La terza edizione di Modena Champagne Experience cresce: oltre 4.500 le presenze registrate (+15% sul 2018), che confermano il ruolo di primo piano dell’evento agli occhi di operatori e grandi appassionati
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ltre 4.500 presenze per 125 maison. Questi i numeri della due giorni dedicata allo champagne che ha animato i padiglioni di ModenaFiere domenica 13 e lunedì 14 ottobre scorsi. Un risultato ambizioso che è stato possibile raggiungere grazie ad una serie di fattori vincenti: prima tra tutti, l’adesione entusiasta di un gran numero di maison e la presenza di numerosi produttori
francesi, protagonisti essenziali per rendere la kermesse un’occasione di approfondimento unica ed autentica. Apprezzato anche il format — oramai rodato — che ha visto maison e importatori presentarsi a braccetto, per fornire ai visitatori professionali un riscontro il più possibile completo, concreto ed immediato sulle etichette di loro interesse. Da ultimo, ma non per importanza, un fitto calendario di masterclass, che
hanno visto susseguirsi relatori altamente qualificati, sia dall’Italia che dall’estero. Tra questi, ospite speciale è stata la critica inglese JANCIS ROBINSON, che nella giornata di lunedì ha illustrato le tendenze più attuali nell’universo dello champagne. Tra un assaggio e l’altro non sono mancate le visite all’area dedicata a prodotti gourmet, che quest’anno ha visto una variegata selezione di azien-
Un’icona intramontabile con un’affascinante storia alle spalle, che proprio in Italia ha uno dei suoi principali mercati a livello mondiale: con un giro d’affari di circa 158 milioni di euro nel 2018, in crescita del 4,2% rispetto all’anno precedente, il nostro Paese è infatti il sesto mercato in valore per lo Champagne (photo © Stefano Triulzi).
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de: dal caffè agli snack, dai salumi alla pasticceria, fino ai prodotti ittici, all’aceto balsamico e al Parmigiano Reggiano. Un’opportunità in più per i visitatori per scoprire eccellenze che ben si sposano con l’affascinante mondo dello champagne. A fare la differenza in questa terza edizione, che segna un +15% di affluenza rispetto al 2018, è il deciso incremento nelle visite di operatori del settore. Un ottimo segnale che mostra come l’interesse per lo champagne resti alto, in un trend di crescita pressoché costante dopo la crisi del 2008, che segnò un brusco calo nelle vendite. «Nel 2008 le vendite di Champagne in Italia, che fino ad allora si attestavano attorno a 10 milioni di bottiglie annue, subirono un crollo a causa della crisi e arrivarono a quota 5 milioni e 400.000 bottiglie. La situazione cominciò a migliorare gradualmente nel 2012, fino ad arrivare ai numeri attuali di circa 7 milioni e 60.000 bottiglie» ha commentato LORENZO RIGHI, direttore di Club Excellence (Club dei Distributori e Importatori Nazionali, clubexcellence.it), organizzatore della manifestazione. «Se in termini di volumi l’Italia resta un mercato target importante (settimo a livello mondiale, escludendo la Francia), lo è ancora di più in termini di valore, per cui si posiziona in quinta posizione: segno che non solo gli Italiani consumano tanto Champagne, ma anche di qualità elevata. Siamo molto lieti che la nostra intuizione abbia avuto modo di concretizzarsi e crescere nel tempo — ha proseguito Lorenzo — fino ad arrivare ad una manifestazione che possiamo considerare oggi a tutti gli effetti un punto di riferimento a livello nazionale e una delle prime in Europa per tutto l’universo dello champagne.
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In alto: Champagne Experience è la più grande manifestazione in Italia dedicata esclusivamente allo Champagne, che riunisce in un’unica cornice 125 maison e celebra la storia e il fascino delle bollicine più famose al mondo (photo © Stefano Triulzi). In basso: Giorgio Barani e la figlia Alessia, allo stand di degustazione dello Champagne Deutz, grande maison dello champagne, fondata nel 1839 (photo © Davide Todesco). Mi unisco ai 15 importatori di Club Excellence, che nel 2017 hanno dato vita a Modena Champagne Experience e che continuano a renderla possibile, nel ringraziare di cuore tutti coloro che hanno creduto nel valore della manifestazione: dagli espositori ai partner, fino ai visitatori. Senza dimenticare che l’edizione 2019 si è svolta con il patrocinio del Comune di Modena e il fondamentale sostegno della Camera di Commercio di Modena». >>Link: www.champagneexperience.it
Nota La manifestazione organizzata da Club Excellence, associazione nata nel 2012 che riunisce quindici tra i maggiori importatori e distributori italiani di vini e distillati d’eccellenza, si pone prima di tutto un obiettivo didattico: guidare i visitatori attraverso un percorso geografico nelle principali aree produttive dello Champagne, Côte Des Blancs, Vallée de la Marne, Montagne de Reims, Côte de Bar e le maison classiche. Solo da una conoscenza più approfondita, infatti, può derivare una passione ancora più spiccata.
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Il “Girone dei golosi” di Modena Champagne Experience, con tanti assaggi di prodotti gourmet. 1) Il Consorzio Tutela del Lambrusco di Modena e il Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi hanno proposto due Masterclass condotte dal giornalista Giorgio Melandri. In foto, Ermi Bagni del Consorzio Tutela del Lambrusco di Modena. 2) Allo stand del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Carlotta Barbieri, marketing. 3) Mortadella e champagne, abbinamento d’amore e di gusto soprattutto se parliamo di Favola, prima e unica mortadella al mondo insaccata e cotta nella cotenna naturale. Allo stand dell’omonimo e storico salumificio di San Prospero (MO), Marcello Palmieri con Alessandro Scorsone, responsabile del cerimoniale di Stato a Palazzo Chigi. 4) Il Culatello di Zibello del Salumificio Squisito di Soragna (PR). 5) Federico De Simoni, direttore generale Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena. 6) Oltre 4.500 le presenze registrate alla 3a edizione di Modena Champagne Experience.
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1/2) Alla più grande manifestazione italiana dedicata esclusivamente allo champagne non poteva mancare Remo Pasquini, della Bottega Artigiana Pasquini Marino di Bovolone (VR), con alcune creazioni dedicate al mondo del vino. Agli interessati, Remo ha illustrato le caratteristiche della cantine realizzate su misura per la conservazione dei vini. 3) Burro, acciughe e bollicine! Incredibile l’abbinamento con le acciughe della Euromar di Silvano Carso Pietro di San Benedetto del Tronto (AP). 4) Due giorni immersi nelle bollicine anche per i volumi della modenese Edizioni Artestampa (www.artestampaedizioni.it). L’attenzione dei visitatori è andata in particolare ad alcune pubblicazioni dedicate proprio al mondo dello champagne. 5) Lorenzo Righi, coordinatore del Club Excellence, organizzatore dell’evento. 6) I formaggi italiani e non nello spazio degustazione de La Casera di Verbania.
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I calici con cui brindare durante le feste
Il podio, l’oro da stappare a Natale di Riccardo Lagorio
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o uno Spillone nel cuore. Lo ha conficcato ALESSANDRO B ULZAGA (cantinabulzaga.com) con quel suo bicchiere — rotondo, certo — e dal colore purpureo, da cui fuoriescono note speziate al naso e passo passo fruttate tra le labbra: un Alicante addomesticato come pochi, incatenato su colline faentine dalle notevoli escursioni termiche e ricche d’argilla. Scelta coraggiosa quella del 2015, fatto da uve assai mature, incantevole allo sguardo, pronto per essere invecchiato, perché no?!, ancora anni. Con lui tutti i giorni sono Natale.
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Quel 2015, annus mirabilis da che la Barbera del Monferrato di ANNA LAUDISI (cascinaboccia.it) — occhi svelti e azzurri — dopo quattr’anni si è solo incamminata alla piena maturità. Morato, fragrante, aromi di geranio e pepe nel contempo, stoffa morbida per sorsi larghi. Accanto ai suoi colli sorridono le vigne di EMILIO OLIVERI, a Cascina Borgatta (telefono: 0143 89129). Il suo Dolcetto 2012, ma ciascun anno è diverso, è una travolgente marea di profumi di frutta rossa matura, esplosivo e solare in bocca, fatto per invecchiare anni e anni.
Bianco, ma potenzialmente predisposto a rimanere in bottiglia sino al 2021, è il Vermentino Maremma Toscana Doc Cocciopesto di La Biagiola (labiagiola. it). Allevato su terreni vulcanici, prende il nome dal contenitore di affinamento in malta di ghiaia e sabbia di fiume, un impasto che garantisce un’ottima microssigenazione studiato da Drunk turtle di Pisa. Dopo 15 mesi di invecchiamento in anfora, senza essere filtrato, questo liquido paglierino rilascia nell’aria note di rosa e gelsomino, mentre in bocca il filo di fumo svanisce consegnando un retrogusto persistente di armelline.
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Targato 2016, il Brenntal della Cantina sociale di Cortaccia (kellereikurtatsch.it) è un Gewürztraminer coltivato in altitudine su terreni argillosi, i più adatti a tale vitigno. Vale la pena stapparlo per i profumi intensi di cedro candito e rosa che regala, prima di insinuarsi tra le labbra con dolcezza e ricordi di zenzero a mascherare l’alcolicità. D’anni ne ha solo due, ma è altrettanto regale e natalizio il Vermentino di Gallura Docg di RENATO SPANU, dei vigneti Jankara (vinijankara.com), situati nel nord-est della Sardegna,
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nella cosiddetta Vena di San Leonardo, tra le colline dell’Alta Gallura. I terreni granitici e il microclima che si ha dalla compresenza del lago Liscia e dal monte Limbara fanno sbocciare un bicchiere che suggerisce la pesca matura, note floreali e un suggestivo finale mielato. Un altro lago artificiale, quello di Corbara, presso Orvieto, ha modificato l’ambiente, rendendolo adatto alla crescita di Botrytis cinerea in condizioni di clima caldo e secco. La disidratazione dell’acino grazie alla muffa nobile ha permesso a LUIGI BARBERANI
(barberani.com) di ottenere Calcaia, bugizio, d’incenso ammantato, in cui dolcezza e acidità gareggiano alla pari. I formaggi pieni e completi d’aromi e di sapori, e le serate davanti al caminetto, senza null’altro, lo esigono. Era il 1967 quando due ragazzi giovanissimi, GIOVANNI CARLO SACCHET e ANTONIO MARIO ZACCHEO, 19 anni l’uno, 23 l’altro, formatisi nelle scuole di enologia in Italia, fin da subito scommisero sui territori più vocati, intuendo che nella Toscana profonda si nascondevano territori idonei a produrre i migliori vini di tradizione applicando le tecniche
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Cena del 24, pranzo del 25 o tutte e due? Una cosa è certa: a Natale la famiglia si riunisce attorno ad una tavola riccamente imbandita anche di vini preziosi per godere insieme la festa più importante dell’anno. più all’avanguardia. Nasceva Carpineto (carpineto.com) e ora ELISABETTA e CATERINA SACCHET, FRANCESCA ZACCHEO e ANTONIO MICHAEL ZACCHEO preservano gli stessi valori in tre aree toscane più significative per produrre: Chianti Classico, Vino Nobile di Montepulciano, Brunello di Montalcino. Nell’appodiato di Montalcino, in posizione privilegiata, a 500 metri sul livello del mare, la vista spazia sul centro storico di Montalcino tra le vigne di Sangiovese grosso. La leggera esposizione verso nord, in posizione panoramica e ventilata, dona ai loro Brunello di Montalcino DOCG intensi e complessi profumi, sentori di vaniglia, ciliegia, lampone e liquirizia. Vena di liquirizia che consente di raccontare e portare sul podio un altro vino, indispensabile durante le feste natalizie, Black Rebel. Lo produce un’azienda agricola biologica fondata da LUCA BARBICH, Granja Farm (granjafarm.it), che nasce direttamente dalla lotta NO TAV. Prima di arrivarci si attraversano barriere di cemento, filo spinato e posti di blocco della polizia: i vigneti si trovano all’interno della zona rossa, di fatto un’area militarizzata. Nella vigna c’è un insieme di uve in cui prevale l’Avanà. Piante vecchie, molte oltre i 60 anni, poi ci pensano freddo e
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vento a tenere a bada i parassiti delle viti, così che i trattamenti antiparassitari sono rari. Ne esce un vino potente, austero, dialettico. E anarchico (poco classificabile e incasellabile) che non è poco. Vigne vecchie, e a piede franco per trovarsi su sabbie di cenere e pomice, si trovano anche a Lipari. Sono di Corinto nero, in media hanno 60 anni, le alleva ANTONINO CARAVAGLIO (caravaglio.it). Il Nero du Munti, Salina DOC, rivela profumi profondi e note gustative di ciliegia e mora mature con evidenti note speziate. Da un’isola minore all’altra, Ponza. La famiglia MIGLIACCIO lavora la parte ancora selvaggia, Punta Fieno, (ir)raggiungibile via mare o con una camminata di 40 minuti per mulattiera attraverso la macchia mediterranea (antichecantinemigliaccio.it). Il Fieno di Ponza Rosato, Lazio IGT, sprigiona profumo di rosa e magnolia, piacevoli note gustative di ribes rosso e pomodorini essiccati, note calde e ricordi marini. Utile per la cena della Vigilia, quando pesce e carni bianche abbondano. Un’alternativa, di nuovo da uve allevate senza portainnesto, questa volta Fortana, è il Bosco Eliceo Doc frizzante di Corte Madonnina (cortemadonnina.
it). Secco e tannico ma per nulla ancillare ad altre etichette, il vino di RITA e VITTORIO SCALAMBRA esprime sorprendenti note speziate di chiodi di garofano, che permettono di sbicchierare accanto ai salumi ferraresi, come la salamina da sugo e i salami all’aglio. Rimangono solo da citare i vini spumanti che quest’anno ci auguriamo scorrano a fiumi. A partire dalla spuma sottile, leggera come la neve che in queste ore ricopre i 4 ettari scarsi di PIERO BRUNET a Morgex, a 1000 metri di altitudine (aziendabrunet.blogspot. com). Verdolino racconta delle fiabe della valle dove un prete, anzi un curé dal nome di ALEXANDRE BOUGEAT, restituì i terrazzamenti alle vigne di Prié Blanc, a piede franco. Naso di ginestra, in bocca nervoso e scattante, s’infila ordinato verso un’idea di frutta sciroppata. Irripetibile, è espressione della biodiversità alpina e si accomoda con pesci d’acqua dolce e minestre con erbe spontanee. Biodiversità, sfide e innovazione sono anche le parole d’ordine di ALESSANDRO BELINGHIERI (vinivallecamonica. com). Da vecchie radici e ceppi storici di uve rosse locali (prevalentemente Ciass negher) a 450 metri, lo spumante Nautilus trascorre 52 mesi sui lieviti dei quali 36 nelle profondità del lago d’Iseo, a temperatura e pressione costanti, e buio assoluto. Le bollicine degli abissi sfilano sotto gli occhi con una spuma sottile che taglia il colore giallo chiaro del bicchiere. Emanano aromi di acacia e pera, in bocca si colgono note fumé prima che una sottile acidità permei infine la bocca. Chi ama bollicine più persistenti e intense si potrà orientare verso il Franciacorta Cuvée Brut NV Lantieri (lantierideparatico.it), incoronato a inizio novembre Campione del mondo al concorso ideato da TOM STEVENSON. Il profumo di lievito e la sapidità ne fanno un compagno di viaggio ideale per le festività legate a “quell’umile fede nel mistero dei misteri a cui il frutto della vigna è così strettamente legato” (CARDINALE EUGENIO MARIA PACELLI, 26 gennaio 1935). Riccardo Lagorio Nota Alle pagine 126 e 127, photo © fotomaximum – stock.adobe.com
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Coppa di Parma e Salame Felino Igp al Merano WineFestival Insieme ad altri 120 artigiani del gusto, i due Consorzi di tutela di Coppa di Parma Igp (in foto) e Salame Felino Igp hanno partecipato alla XXVIII edizione del Merano WineFestival e sono stati protagonisti nella Gourmet Arena, la terrazza che percorre in lunghezza tutto il Kurhaus di Merano. Un’occasione rivelatasi preziosa per far apprezzare il gusto unico e distintivo di due simboli dell’arte salumiera italiana e per fare cultura di prodotto. A Merano, inoltre, i Consorzi sono stati al fianco di Enoteca Regionale Emilia-Romagna come protagonisti dei wine pairing proposti sul palco The Circle, così come dell’esclusivo light dinner, sempre organizzato da Enoteca Regionale Emilia-Romagna, per 50 selezionatissimi ospiti, nella serata di sabato 9 novembre. «È la prima volta che ci presentiamo a Merano» ha dichiarato Fabrizio Aschieri, presidente del Consorzio della Coppa di Parma Igp. «Sulla nostra scelta ha sicuramente influito l’accoglienza positiva ricevuta a Vinitaly: i produttori, gli opinion leader e i professionisti del settore che abbiamo incontrato aVerona hanno apprezzato il fatto di poter assaggiare due specialità della salumeria italiana in un contesto inusuale. Il Merano WineFestival è un marchio di qualità: il segreto della sua formula consiste nel mix tra una selezione di vini e cibi d’eccellenza e la scelta di una location esclusiva. Per i Consorzi di tutela di Coppa di Parma Igp e Salame Felino Igp essere stati selezionati dal Merano WineFestival è stata una grande soddisfazione: significa entrare a far parte del gotha dell’alta qualità enogastronomica in Italia». >> Link: www.coppadiparmaigp.com — www.salamefelino.com
I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA
Degustazione: Natale 2019 di Laura Franchini
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e festività natalizie sono anche il trionfo della tavola e della grande cucina. E non solo in Italia, dove in occasione del Natale e del Capodanno troviamo certamente alcuni dei piatti più famosi del nostro Belpaese. Feste del gusto, dove ci si dimentica per qualche ora delle diete e del risparmio e si indulge in qualche peccato di gola e di portafoglio. Non si lesina infatti in questo periodo sulla scelta degli ingredienti, dalla carne al pesce, fino ai golosissimi dolci della tradizione, dai tortellini al panettone, dal pandoro al cotechino. Ecco che, per la Vigilia di Natale, troviamo tavole imbandite di pesci, aragoste e astici, non mancano per il Capodanno zamponi e cotechini, ed è in questo periodo che si impennano le vendite di caviali, champagne,
di prodotti di lusso in genere. Un eccesso perdonabilissimo, che in fondo dura solo pochi giorni e al quale siamo ben attaccati, nelle diverse abitudini famigliari e nelle tradizioni. Scelte orientate verso quelle eccellenze gastronomiche che comportano un certo impegno nella ricerca, complice anche la difficile reperibilità di alcuni prodotti di alto livello. Ma se organizzato per tempo e coi giusti fornitori, non sarà difficile presentare tavole imbandite di squisite leccornie, italiane ed estere. Accanto a queste specialità del gusto, i vini non possono essere da meno e anche in questo campo non si bada a spese. Vi proponiamo perciò alcune etichette iconiche, eccellenze del made in Italy e non, per festeggiare più che degnamente il vostro Natale e la fine dell’anno.
Durante le feste di fine anno non possono certo mancare le bollicine, né vini bianchi e rossi più o meno strutturati da abbinare alle succulente preparazioni gastronomiche tipiche del periodo. E, per chiudere in bellezza, un vino dolce straordinario
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Alziamo i calici col vino giusto: per brindare coi nostri cari o per ringraziare qualcuno regalando una buona bottiglia (photo Š mavoimages â&#x20AC;&#x201C; stock.adobe.com).
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Champagne Brut Vintage 2009 Dom Pérignon Calice di estrema classe e di indiscutibile lusso, nelle tavole delle feste lo Champagne è sempre un degno ospite capace di coprire molte tradizioni. Un grande blasone, di straordinaria fama e qualità, questo Champagne è prodotto con uve Chardonnay e Pinot nero e si presenta visivamente di un bel giallo paglierino luminoso e brillante. Olfattiva di grande impatto e assoluta pienezza, sono note finissime e nette di fiori e tostatura calibrata, completamento di tinte agrumate ed esotiche, pesche bianche e pompelmi rosa, piccola spezia integratissima. Palato altrettanto elegante e pieno, armonia assoluta, intenso e lungo, circolare nei sentori con ritorni sapidi e iodati, vaniglia e pan brioche, perfetti gli equilibri, perlage adeguato alla trama. Un calice da bere ben fresco, si accompagna splendidamente a crudi di pesce, crostacei, frutti di mare e aragoste, ostriche con pane nero e morbido burro della Normandia.
Moët Hennessy Italia Via Tonale 26 20125 Milano Telefono: 02 6714111 E-mail: Web: www.moethennessy.it
Franciacorta DOCG Dosage Zero Vintage Collection Noir 2010 Ca’ del Bosco La storia di Ca’ del Bosco inizia a metà degli anni Sessanta, quando ANNAMARIA CLEMENTI ZANELLA acquista ad Erbusco, in Franciacorta, una piccola casa in collina, chiamata localmente Ca’ del bosc. Sarà poi MAURIZIO ZANELLA ad avviare quel processo produttivo che porterà la Franciacorta ai massimi vertici della cultura enologica del mondo. Pinot nero in purezza per questo calice di raffinatissima eleganza, uve provenienti dalla tenuta Belvedere, situata nel comune di Iseo, a quota 466 metri slm, sulle colline che delimitano l’omonimo lago. Uve raccolte a mano in piccole cassette, raffreddate e pressate a bassa pressione. I mosti ottenuti fermentano poi in piccole botti di rovere, per cinque mesi. Trascorsi sei mesi dalla vendemmia, si assemblano sapientemente i tre vini-base, provenienti dai tre vigneti d’origine. Se ne ottiene un calice di grande nobiltà, straordinario nella persistenza e nella finezza, capace di sostenere il tutto pasto con spessore e incisività, perfetto nelle festività con piatti di mare così come di terra.
Ca’ Del Bosco Via Albano Zanella 13 25030 Erbusco (BS) Telefono: 030 7766111 E-mail: cadelbosco@cadelbosco.com Web: www.cadelbosco.com
Spumante Dosaggio Zero Metodo Classico “La Prima Volta” 2015 Cantina della Volta FRANCESCO BELLEI è stato il primo imprenditore ed enologo a credere nelle potenzialità del territorio modenese per la produzione di vini Metodo Classico. I tanti successi, ora portati avanti con chiarezza dal figlio CHRISTIAN, confermano la sua illuminata intuizione. Questo calice, prodotto con uve Lambrusco di Sorbara, ne è testimone. Uve raccolte a mano e pressate sofficemente, che fermentano poi in tini d’acciaio a temperatura controllata. Nella primavera successiva avviene la presa di spuma sui lieviti, in bottiglia, a temperatura costante. Le bottiglie rimangono a lungo in affinamento, cui seguirà la sboccatura e il rabbocco col medesimo vino, senza aggiunta di zuccheri. Il calice che se ne ricava è generoso ed elegantissimo, splendida coniugazione di terroir e artigianale sapienza. Note intense fruttate e floreali, con tinte minerali e ricordi agrumati finissimi, sorsata morbida e fresca, ricordi minerali e persistenza intensa. Il tortellino, Re del Natale, ne sarà compagno perfetto.
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Cantina della Volta Via per Modena 82 41030 Bomporto (MO) Telefono: 059 7473312 E-mail: info@cantinadellavolta.com Web: www.cantinadellavolta.com
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Sassicaia Bolgheri Doc 2016 Tenuta San Guido
Tenuta San Guido Loc. Le Capanne 27 57022 Bolgheri (LI) Telefono: 0565 762003 E-mail: Web: www.tenutasanguido.com
Un vino che è un mito, un emblema assoluto del lusso, del made in Italy d’eccellenza, di successo. Un vino che ha compiuto 50 anni nel 2018 e che ha visto il riconoscimento di una denominazione ad hoc e la sua grande affermazione nel mondo. L’annata 2016 è ottenuta con l’85% di Cabernet sauvignon e il rimanente 15% di Cabernet franc; grado alcolico di 14°. Uve rigorosamente vendemmiate a mano, sottoposte ad un’attenta cernita e pressate dolcemente. Il mosto ottenuto fermenta in acciaio e al termine della malolattica riposa in barrique di rovere francese per 24 mesi, a cui seguirà una fase di affinamento in vetro prima della commercializzazione. La degustazione è all’altezza della fama e delle aspettative, memorabile e di grande soddisfazione. Palato setoso e di eleganza estrema, forti i richiami bordolesi e le note tipiche del taglio, presenza scenica di grande impatto. Un vino adatto al rito della meditazione, davanti al camino acceso nella notte di Natale, così come splendido compagno di piatti strutturati, soprattutto di carne.
Vin Santo di Montepulciano DOC 2002 Occhio di Pernice Avignonesi
Avignonesi Via Colonica 1 53045 Valiano di Montepulciano (SI) Telefono: 0578 724304 E-mail: info@avignonesi.it Web: www.avignonesi.it
Prende il nome dalla famiglia fondatrice questa tenuta di Montepulciano, rilevata nel 2009 da VIRGINIE SAVERYS nel 2009, condotta secondo i principi dell’agricoltura biodinamica. Le prime notizia del Vin Santo risalgono al Rinascimento, periodo nel quale la cantina vede le sue primi luci. Da allora consegue con passione la ricerca di prodotti nel solco della tradizione e questo calice ne è lucente testimonianza. Prodotto utilizzando la madre tramandata da generazioni, viene affinato per periodi lunghissimi, durante i quali ben metà evapora. Eccezionale il risultato, che si ancora nella memoria delle degustazioni straordinarie. Un bouquet infinito, intensità e armonia memorabili. Sono note fruttate di prugne e fichi secchi, agrumi canditi e datteri, spezie e caramello. La sorsata è altrettanto generosa e ricca, ancora fresche le note fruttate, ricordi di bosco e note retrolfattive coerenti e lunghissime. Adatto alla pasticceria secca e ai formaggi stagionati, questo vino è perfetto per la degustazione in solitaria, meditativa e di grande soddisfazione.
Cervaro della Sala 2017 Umbria IGT Castello della Sala
Castello Della Sala Marchesi Antinori Località Sala – 05016 Ficulle (TR) Telefono: 0763 86051 E-mail: antinori@antinori.it Web: www.antinori.it
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Storica tenuta della FAMIGLIA ANTINORI, il Castello della Sala si trova in Umbria, a poca distanza dal confine con la Toscana e a circa 18 km dalla storica città di Orvieto. Zona particolarmente vocata per la coltivazione di uve a bacca bianca, che contribuiscono, come nel caso di questo vino, alla produzione di calici eccellenti. Il Cervaro della Sala, ottenuto con uve Chardonnay e una piccola parte di Grechetto, è stato uno dei primi vini bianchi italiani a svolgere fermentazione malolattica ed affinamento in barriques con la prima annata, nel 1985, sotto la guida vigile dell’enologo RENZO COTARELLA. La degustazione si apre ben convincente di note intense di frutta bianca, fiori da campo, fieno e camomilla, ricordi minerali netti di pietra focaia. Altrettanto precisa la sorsata, sapida e fresca, ritorni fruttati esotici e sentori di vaniglia, erbe mediterranee e pasticceria. Armonia tra le parti, vino adatto all’abbinamento con formaggi stagionati e piatti di carne, ottimo con quaglie in umido, accompagnate da polenta fumante.
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DOLCI Una famiglia in pasticceria dal 1938
La liaison dei Loison di Gian Omar Bison
U
na lunga e dolcissima storia d’amore tra i lievitati. Panetteria, pasticceria e biscotteria che la famiglia veneta ha selezionato in un secolo di sacrifici ed abnegazione. Un fenomeno imprenditoriale che abbraccia il buon gusto a trecentosessanta gradi: piacevolezza ed eleganza in bocca e ricerca nel packaging, nei formati, nella riscoperta dei prodotti tradizionali, nell’utilizzo di ingredienti e materie prime e nell’innovativa trasformazione. Le ricette del Rotolo di panettone con mascarpone e carne salada piuttosto che il Panettone Club Sandwich e il Tramezzino di Panettone presentate e descritte anche attraverso video nel sito www.insolitopanettone. com ne sono esempio curioso e certamente originale.
Al nonno TRANQUILLO a cavallo degli anni Trenta del Novecento si deve l’esordio con le mani in pasta della famiglia. Gli inizi come panettiere a Bastia di Rovolon (PD) dal cugino e il proseguo, dopo il matrimonio e la nascita di ALESSANDRO, papà di DARIO, nel 1932, a Costabissara (VI). Il primo investimento sostanzioso nel 1940 con la costruzione di laboratorio, negozio, ma anche casa dove vivere con tanto di camere per tutti, collaboratori compresi. «Sistema arcaico ma funzionale. Siamo rimasti lì — ricorda DARIO LOISON — fino al 1969, quando mio padre ha deciso di aprire una sua attività a circa 700 metri, in zona artigianale. E siamo ancora lì. Gli accordi col resto della famiglia prevedevano all’epoca che potessimo produrre e proporre qualsiasi
trasformato a parte la pasticceria fresca. La grande corsa è partita iniziando a produrre per negozi alimentari e piccoli supermercati del Vicentino, del Padovano e del Trevigiano». Quindici collaboratori ed un giro d’affari che ammontava nel 1992, anno di ingresso di Dario in azienda, a un miliardo e ottocento milioni di vecchie lire. «Le mie esperienze professionali per le aziende conciarie della zona mi hanno portato a viaggiare molto e a perfezionare le lingue. Ho capito subito che bisognava ridurre la gamma di preparati e vendere nel mondo. Produrre locale e vendere globale». Una trasformazione accompagnata da uno spirito pionieristico e d’avanguardia nell’utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione, dal web ai social,
Dario Loison.
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In alto: la biscotteria Loison, tutta realizzata con burro fresco e vaniglia naturale Mananara del Madagascar, presidio Slow Food. In basso: la Sbrisola, dolce di origini contadine nato a cavallo tra il ‘500 e il ‘600 e realizzato con ingredienti poveri come il mais. La particolarità della Sbrisola Loison è il fatto di essere tagliata e stesa nello stampino a mano.
che ha portato l’azienda a fatturare ad oggi nove milioni di euro circa e a vendere in oltre 50 Paesi nel mondo. «La cosa importante è che vendiamo direttamente. Un one to one gestito in house, focalizzato per il 75% sul Natale, che ha portato il marchio Loison nel segmento della pasticceria di altissima gamma, confezionata con estrema accortezza, per clienti che sono per lo più supermercati selezionati o negozi di gastronomia dove propongono esclusivamente prodotti gourmet. Grazie ad internet gestiamo il consumatore finale in mezzo mondo
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cercando di dare risposte a tutti. E vendiamo direttamente on-line in sei paesi in Europa». Oggi Loison è un gruppo composito con tre aziende distinte: laboratorio di produzione, azienda di servizio e azienda di confezionamento. Trenta i collaboratori. «E pensare che a suo tempo ero convinto di restare nel settore delle macchine per concerie. Poi però ho pensato di rilevare l’azienda perché comunque volevo essere autonomo al 100%. I cambi generazionali nelle attività di famiglia sono sempre impegnativi».
Tra dieci o vent’anni Dario Loison confida di cedere il testimone al figlio EDOARDO che ha studiato all’estero, conosce le lingue e sta lavorando attualmente in un pastificio a Gragnano. «Comunque deve sentirsi libero di fare quello che vuole, completamente. Sceglierà lui il suo percorso. Per quanto riguarda i prodotti, invece, la prospettiva continuerà ad evolvere con nuove linee e il rilancio di quelli storici, tradizionali come il filone, tipo baguette, alla frutta. Punteremo alle specialità italiane della pasticceria da proporre rispettandone l’artigianalità della produzione. E la
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qualità della frutta sarà sempre il nostro carattere distintivo, dove concentrare le migliori energie della ricerca e dello sviluppo. Crescere è importante, ma con la giusta proporzione. Quello che intendiamo continuare a seguire con cura e strumentazione adeguata è la comunicazione che facciamo in lingue diverse in tutto il mondo: social, video, siti web. E per fare questo abbiamo attivato un’azienda ad hoc che lavora molto per noi ma non solo, lo fa anche per altre aziende agroalimentari non concorrenti. Passi non comuni per un’azienda con le nostre dimensioni. Altro capitolo a cui teniamo — conclude Loison — è la responsabilità sociale d’impresa e la sostenibilità, l’anima green delle lavorazioni. Abbiamo attivato da anni certificazioni private, da quindici un depuratore, da dieci il solare. Per noi è guardare avanti». Come guardare avanti è la prevista prossima costruzione e attivazione di un negozio e una sala degustazione da aprire al pubblico e agli appassionati. Tra i prodotti del nutritissimo catalogo che guarda al Natale 2019, selezioniamo la Biscotteria al burro, composta dai classici (canestrello, maraneo, zaletto) alla frutta e da meditazione. Il Filone, nato da un’antica ricetta di famiglia che allora si chiamava panfrutto ed era un semplice e morbido dolce lievitato arricchito da uvetta e canditi ricoperto da una glassa alle mandorle e oggi proposto in versioni diverse (cioccolato, pere spezie, solo uvetta). Le Sbrisole da 200 grammi presentate in 4 proposte tutte realizzate con burro di categoria superiore e farina di mais “Marano” tipica del territorio di Vicenza: Mandorle, Nocciola Ciocco con nocciole Piemonte IGP, Pistacchio con Pistacchio verde di Bronte DOP e Noce Miele. E poi i Pandori, tra questi quello al caramello salato, i Panettoni tra i quali l’Agrumato (chinotto, limone, cedro e mandarino). Il packaging è fatto di vesti studiate, calibrate e calzate su misura dallo studio attento di SONIA PILLA, moglie di Dario. Fattura pregevole come i più bei prodotti dell’artigianato di qualità. Gian Omar Bison
In alto: panettone farcito con prosciutto crudo. In basso: il Filone Loison, dolce nato da un’antica ricetta di famiglia.
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>> Link: www.loison.com museum.loison.com www.insolitopanettone.com biscottiloison.com
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Per chi la mortadella la vuole rigo rigorosamente o col pistacchio, è nata una nuova Favola. Impasto delicato e profum profumato m come sempre, ma con qualcosa in più: il gusto dei migliori pistacc pistacchi c della Sicilia. Sempre più inimitabile fuori, grazie alla legatura a mano in colore verde, e ancor più inconfondibile dentro.
www.mortadellafavola.it www w
Panettone World Championship: parla napoletano il miglior panettone al mondo Arriva dalla Campania il miglior panettone artigianale tradizionale al mondo ed è quello di Alessandro Slama (in foto a destra), di Ischia Pane, Ischia (NA). La giuria di tecnici, composta da pasticcieri, chef nazionali e internazionali, ha decretato il miglior panettone tradizionale artigianale tra i 32 finalisti in gara partecipanti al Panettone World Championship. Mentre una giuria composta da esperti giornalisti, gourmet e accademici della cucina italiana ha scelto quale panettone incoronare con il premio della critica, conferito ad un altro campano: Salvatore Gabbiano, della Pasticceria Gabbiano di Pompei (NA). Il vincitore ha sbaragliato non solo i compagni di gara di Milano, città che diede i natali a El pan de Toni, ma anche i colleghi internazionali. Alla competizione infatti hanno preso parte professionisti da tutta Italia e anche dall’estero: Tokyo, Sydney e New York. «È una gioia indescrivibile» ha dichiarato emozionato Slama. «Questa vittoria è il premio all’impegno, alla passione e ai sacrifici miei e della mia famiglia». Alessandro Slama nasce ad Ischia e apprende l’arte dei lievitati e del lievito madre fin da piccolo. La passione per questo mestiere lo spinge a viaggiare, diventando tecnico e maestro per alcune scuole e aziende. Allievo di Rolando Morandin, partecipa a molti corsi e nel 2011 vince il primo premio per il Dolce da forno alla Sigep Bread Cup a Rimini. Nel 2004 nasce Ischia Pane e, l’anno dopo, Slama apre, sempre a Ischia, un nuovo punto vendita, dove vince sempre la regola del lievito madre ma con un tocco d’innovazione. Altrettanto emozionato Salvatore Gabbiano. «Vincere il premio della giuria critica è un vero onore». Situata nel pieno centro di Pompei, la Pasticceria Gabbiano offre tutti i dolci della tradizione napoletana. Ma non solo. Salvatore Gabbiano, membro della prestigiosa Accademia dei Maestri Pasticcieri, produce anche ottimi panettoni fatti con burro, lievito naturale e tanto lavoro. E dal suo quartier generale all’ombra del Vesuvio, i suoi panettoni hanno conquistato tutta Italia. La tradizione dolciaria partenopea fatta di meraviglie golose e imperdibili incontra, con Salvatore, la grande tecnica dei lievitati. Soddisfatti dell’andamento del Panettone World Championship ad Host Milano i Maestri del Lievito Madre. «Abbiamo organizzato questo contest non come momento di competizione ma per avviare un dialogo continuo e costruttivo tra di noi e i produttori di materie prime, gli chef, imprenditori, giornalisti, professori universitari ed esperti di marketing sul tema della tutela del panettone nel mondo. Per noi questo è soltanto l’inizio per avviare un progetto concreto attraverso il quale tutelare il tipico dolce natalizio conosciuto e amato in tutto il mondo». Il Panettone World Championship nasce con l’obiettivo di far conoscere l’eccellenza a livello internazionale del panettone artigianale mettendo a confronto le diverse culture di chi produce questo dolce partendo esclusivamente dal lievito madre, vero fattore identitario e caratteristico di ogni territorio. >> Link: www.panettoneworldchampionship.com
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Il croccante del Frignano Non c’è da stupirsi se non tutti sanno che anche Modena vanta un croccante artigianale. Realizzato con zucchero caramellato e mandorle tritate, non può mancare sulle tavole imbandite di festività e cerimonie. Nella versione artistica dà vita a creazioni ricercate di Federica Cornia
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l Natale si avvicina e uno dei dolci che non può mancare sulle tavole agghindate a festa degli Italiani è sicuramente il croccante. Di mandorle, di nocciole o di noci, la barretta dal colore ambrato solitamente fa la sua comparsa a fine pasto, al fianco dei mandarini, per lo più sotto forma di rettangoli o a losanghe. Non come a Napoli, dove invece la tradizione vuole che prenda la forma di cestino decorato con struffoli o altri confetti colorati. Il momento topico in cui servirlo a quanto pare — un po’ in tutta Italia — la sera della Vigilia.
Semplice da fare, due o tre in tutto gli ingredienti, la sua riuscita richiede però particolari condizioni climatiche, ovvero un angolo fresco e asciutto. L’umidità è infatti il grande nemico di questo prodotto. Proprio per questo motivo fa sorridere scoprire che in provincia di Modena, cittadina della Pianura Padana, luogo di densità nebbiosa e umidità elevate, c’è un angolino di territorio che regala la sorpresa di un croccante… croccante! Il Croccante artigianale del Frignano è tutelato dal marchio Tradizioni e Sapori della Camera di Commercio
Croccante Artigianale del Frignano (photo © modenadintorni.altervista.org).
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ed è realizzato secondo un preciso disciplinare. È dai comuni di Pavullo, Sestola, Fanano, Montecreto, Riolunato, Fiumalbo, Pievepelago, Polinago, Lama Mocogno e Serramazzoni che si diffonde l’odore inconfondibile di caramello unito a quello della frutta secca tostata. Piccole aziende artigiane hanno rispolverato l’antica ricetta e realizzano il croccante esclusivamente a mano, arrotolandolo al mattarello quando la sfoglia è ancora calda. Protagonisti sono lo zucchero liquefatto e le mandorle tostate che, uniti, danno origine a questa delizia del palato, arrivata qui non si sa bene come. Pare sia stato un pasticcere al servizio del governatore dell’antica provincia del Frignano ad insegnare l’arte del croccante ad un cuoco alla corte dei duchi di Modena e il passaggio di testimone di padre in figlio avrebbe fatto il resto. Preparato con i frutti del luogo (mandorle, noci e nocciole), finiva un tempo sulle tavole dei più abbienti in occasione di matrimoni, battesimi e feste importanti. Riferimenti storici a questo prodotto tipico compaiono intorno al ‘700, spuntano dagli archivi di abbazie e parrocchie: a quanto pare, le suore cappuccine del convento di Fanano, in occasione di eventi particolarmente importanti, si sbizzarrivano e davano sfogo alla loro creatività sfornando veri e propri capolavori di artigianato pasticcere. Usanza che si è mantenuta fino ad oggi: se ci si trova ad un matrimonio da queste parti, non stupitevi se alla fine del pranzo, invece della classica torta,
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fa la sua comparsa una composizione realizzata col croccante alle mandorle. È il croccante cosiddetto “artistico”, anche questo naturalmente lavorato a mano e che prende le sembianze richieste dal cliente. Al suo ingresso in sala invitati e amici degli sposi intonano una filastrocca che più o meno fa così: “sposa bella, sposa galante, prendi il coltello e spacca il croccante”. E la sposa, rispondendo al rituale tradizionale di buon auspicio, rompe il croccante e lo offre ai presenti. Il modo in cui si rompe, poi, offre spunti agli astanti per fare previsioni sul futuro della coppia. Due artigiani hanno aderito al progetto che affianca la dicitura “artistico” al Croccante artigianale del Frignano portando avanti la ricetta storica: sono MARIA MARISA TOGNARELLI, che dal 1973 gestisce la Pasticceria Turchi nel centro di Sestola (www.pasticceriaturchi.it), e la famiglia Mezzaqui, con la sua bottega Sapori del Borgo Antico a Pavullo. Degno di nota e da non dimenticare, c’è poi il Croccante artigianale di Fiumalbo, che non possiede il marchio di tutela ed è prodotto artigianalmente con miele di castagno, mandorle bianche piatte, zucchero e caramello. Nel piccolo comune dell’Alto Appennino modenese inserito tra i Borghi più Belli
Il croccante artigianale del Frignano nella versione fiumalbina vede l’utilizzo del miele di castagno (photo © 5ph – stock.adobe.com). d’Italia e ai confini con la Toscana, è il mastro pasticcere MARZIO BARGATTI che prepara il croccante fiumalbino più noto, il Croccante intrigante. Intrigante perché, anche se fatto con ingredienti noti e semplici, attrae e cattura il palato. Per metterlo a dura prova forse baste-
rebbe entrare nella sua pasticceria, ricca di specialità dolciarie per lo più dimenticate (croccanteintrigantedifiumalbo.it). Strano a dirsi che il croccante più croccante si gusti in questa zona dell’Appennino! Federica Cornia
Tradizione e Sapori di Modena Il marchio Tradizione e Sapori di Modena comprende 26 eccellenze agroalimentari del territorio modenese, che spaziano dai prodotti spontanei della terra e del bosco a quelli provenienti da coltivazioni agricole, fino alle produzioni artigianali ed industriali. Le caratteristiche che li accomunano sono tipicità e radicamento nella cultura gastronomica modenese.
• Agresto di Mele di Vignola • Amaretti di Modena • Antichi cereali dell’Appennino Modenese • Belsone (Belsòn) di Nonantola • Borlengo di Guiglia • Caciotta dell’Appennino Modenese • Caprino dell’Appennino Modenese • Coppa di testa di Modena • Crescentina (Tigella) di Modena • Croccante artigianale del Frignano
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• Gnocco fritto di Modena • Maccherone al pettine delle Valli mirandolesi • Marrone del Frignano • Marrone di Zocca • Mela Campanina di Modena • Miele di castagno dell’Appennino Modenese • Miele millefiori della Pianura Modenese • Miele millefiori dell’Appennino Modenese
• Mirtillo nero dell’Appennino Modenese • Nocino di Modena • Patata di Montese • Salame di San Felice • Sassolino di Modena • Sfogliata di Finale Emilia (Torta degli Ebrei) • Tartufo valli Dolo e Dragone • Tortellini di Modena
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La Smegiassa rodigina al sugo di musetto Tipica della provincia di Rovigo e del Padovano, questa torta contadina era cotta nel sugo del cotechino locale, oggi sostituito con burro o strutto. Il nome deriva dal “migliaccio” medievale, preparato con sangue di maiale e farina di miglio, di cui si è conservata un’altra importante traccia nel tuttora esistente migliaccio napoletano di Nunzia Manicardi
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La smegiassa è un dolce antico che si usa mangiare a Natale in diverse aree del Veneto. È ottima sia calda che servita a temperatura ambiente (photo © pagina FB Panificio Manfredi & Bullo).
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n origine fu il migliaccio medievale che, ancor prima, derivava dal latino miliaccium, il pane di miglio così caro ai Romani a cui gradatamente vennero aggiunti altri ingredienti tra i quali il sangue di maiale che, a ragione, veniva considerato un alimento nutriente e completo e, soprattutto, povero, cioè economicamente accessibile anche alle classi meno abbienti. Ne derivarono, infine, due tipi di migliaccio: il dolce e il salato, che resistettero con i loro ingredienti di base fin verso il Settecento. La Smegiassa ha conservato nel nome, sia pur modificato dal dialetto, il ricordo di quell’antichissima preparazione. Torta e dialetto sono della tipica zona di appartenenza, il Polesine veneto della provincia di Rovigo, tra il basso corso dei fiumi Adige e Po, ma anche la parte inferiore della provincia di Padova. A seconda delle zone viene chiamata pure smeada, meassa, smiassa, smejassa, megiaza… ma sempre di miglio in origine si trattava. Adesso non è più così: è scomparso il sangue di maiale, è scomparso il miglio… sono rimasti, tuttavia, i legami con la cultura contadina, anche se gli ingredienti, appunto, sono cambiati. Il miglio è stato sostituito con la farina di mais e con quella di grano (nulla però vieta, ovviamente, di continuare ad usare quella di miglio) e il sangue di maiale (tanto osteggiato da clero cattolico e borghesia in quanto consi-
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In alto: brovada e muset, ovvero rape macerate nelle vinacce e il tipico cotechino del Nord Est d’Italia, sono i protagonisti per eccellenza della tavola friulana delle festività (photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com). In basso: sugna. Quasi del tutto priva di impurità, viene utilizzata in preparazioni delicate (photo © www.agrodolce.it).
derato troppo pagano) con l’acqua di cottura del musetto, ovvero il cotechino di produzione locale. Innumerevoli poi sono stati gli ulteriori ingredienti che il tempo e una sempre crescente disponibilità finanziaria sono andati ad aggiungere, tanto che oggi la smegiassa si presenta come una torta rustica tradizionale sì ma oltremodo arricchita, a piacere e
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secondo le possibilità, con zucchero e miele (una volta si usava la melassa), uova, fichi secchi, uva passa, noci, nocciole, pinoli, mele o pere, buccia d’arancia, pezzetti di cedro candito, zucca al forno e un generoso apporto di grappa per ammorbidirla e renderla ancora più intensa. Come in tante altre analoghe preparazioni tradizionali, l’impasto di
base è infatti in grado di amalgamare ingredienti vari che un tempo venivano inseriti soprattutto in base a quello che si aveva a disposizione mentre oggi li si può scegliere in base al gusto personale. La smegiassa si prepara come una comune polenta. Si fa bollire l’acqua in una pentola (la tradizione la vorrebbe di rame), poi si aggiungono le farine e, un po’ alla volta, tutto il resto.
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Una volta cotto e raffreddato, il composto viene versato in una tortiera e, dopo averlo cosparso di pane grattugiato, messo a cuocere in forno per circa un’ora. Si cosparge ancora di zucchero a velo. Ne risulta una torta morbida, ottima sia fredda che calda. Un tempo, invece, la smegiassa veniva cotta nei testi sotto le braci. Il maiale nel migliaccio E l’acqua di cottura del musetto, allora? Be’, questa ancora rimane ma temiamo che non sarà per molto. Intanto, però, i cultori della tradizione continuano ad usarla. Nel Padovano, inoltre, si usano i ciccioli di maiale in sostituzione o in aggiunta ad essa o anche un po’ di strutto. Il maiale, nel migliaccio, ci sta benissimo. Il musetto a cui la smegiassa nei secoli si è legata tanto bene è un tipo di insaccato simile al cotechino, tipico del Nord-Est d’Italia e, per il Friuli Venezia Giulia, è riconosciuto tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Prende il nome dal muso del maiale. A differenza del cotechino, infatti, il musetto è preparato utilizzando per l’impasto da insaccare nel budello di maiale i tagli meno pregiati del suino stesso: oltre al muso si trovano lardo della cotica, muscoletti interni teneri e lardo sodo. Il tutto viene tritato e mischiato con cannella, pepe, noce moscata e altre spezie a seconda della ricetta (tra cui spesso anche coriandolo e chiodi di garofano). La stagionatura ha tempi brevi, preferibilmente un mese, dopo di che il musetto viene bollito in acqua e accompagnato, in Veneto, con purè di patate e salsa di cren. Può essere anche cotto nella cenere, a bagnomaria affumicato. A Napoli ci va la sugna Il migliaccio napoletano condivide con la smegiassa soltanto la remota origine.
Migliaccio napoletano (photo © www.lamammacuoco.it). Siamo in presenza, in questo caso, di uno dei dolci napoletani più famosi, tipico dei periodi di Carnevale (Martedì Grasso) e della Pasqua, durante i quali preparazione e consumo restano ancora oggi una tradizione diffusissima. Anche in questo caso si tratta di una torta morbida, che però è ancora più semplice della smegiassa, visto che gli ingredienti sono soltanto semolino e ricotta che le conferiscono un gusto
Il musetto è forse l’insaccato suino più caratteristico del Friuli, che, come dice il nome, viene preparato con molte parti del muso, escluse le orecchie. Alla carne e alle cotenne macinate si uniscono “droghe aromatiche” come cannella, coriandolo, chiodi di garofano, noce moscata e pepe
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simile a quello delle ancor più famose pastiera e sfogliatella. Il migliaccio napoletano si cuoce al forno, se possibile in un tegame di rame come per la smegiassa. Nelle pasticcerie viene venduto direttamente nel tegame per sottolinearne la caratteristica casalinga. Si serve sia freddo che caldo. Un legame col maiale sopravvive, però. Si utilizza infatti ancora la sugna al posto del burro. La sugna è molto più delicata e pregiata dello strutto, in quanto si tratta del grasso viscerale, quasi totalmente privo di impurità, proveniente dalla zona surrenale, mentre lo strutto viene prelevato dalla zona dorsale. Ancora di più, sempre in Campania, il legame col maiale si individua nel migliaccio salato, il cui l’impasto viene arricchito non solo coi formaggi ma anche con salumi. Nunzia Manicardi
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TECNOLOGIE Le soluzioni del gruppo CSB consentono di raggiungere risultati concreti
Quali sono i benefici della digitalizzazione per l’industria della carne?
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on importa che sia carne fresca, salumi o prosciutti: chi vende prodotti a base di carne ha imparato a lavorare in modo efficiente. Ma quasi nessuna industria è sottoposta ad una pressione dei costi pari a quella della carne e salumi. La buona notizia è che, grazie alla digitalizzazione, sono aumentate le possibilità per ottimizzare ulteriormente i processi, ridurre il consumo delle materie prime e risparmiare sui costi. Produzione digitale di carne Ciò che distingue l’industria della carne da altre industrie è il costo estremamente elevato delle materie prime, che ammonta mediamente a circa il 60% dei ricavi. Le richieste dei consumatori,
inoltre, sono spesso enormi. Sebbene molti di loro nei sondaggi affermino che sarebbero disposti a pagare di più per una buona carne, alla prova dei fatti guardano principalmente al prezzo. Si aggiunga a ciò il potere contrattuale in continua crescita della Grande Distribuzione e diviene ovvio come le aziende di carne, in questa situazione, debbano trovare nuovi modi per rimanere competitivi. Studi di settore svolti nei paesi industrializzati riportano che la digitalizzazione aumenta la produttività e riduce i costi. Le soluzioni del gruppo CSB portano proprio in quella direzione e consentono di raggiungere risultati concreti. Di seguito sono elencati i più importanti.
Controllo dei costi La digitalizzazione consente ai responsabili decisionali di reagire meglio ai cambiamenti nel mercato delle materie prime, perché hanno sotto controllo i loro margini di profitto. Un esempio concreto: poiché la Cina è colpita dalla peste suina africana, le aziende acquistano carne di maiale in altre regioni. Pertanto, il boom della domanda ha aumentato in Germania i prezzi per suino di quasi 20 euro. Produttori che non hanno trasparenza sui costi e sui margini di profitto dei prodotti potrebbero incorrere facilmente in difficoltà finanziarie. In questi casi, le soluzioni digitali aiutano a reagire rapidamente e a controllare i margini nel miglior modo possibile. Ottimizzazione degli acquisti La digitalizzazione inizia già con l’acquisto di materie prime. CSB offre una soluzione completa per l’ottimizzazione degli acquisti dell’industria a processi. Così, in modo rapido e semplice, si garantisce ai clienti e al reparto produzione la qualità desiderata, al reparto acquisti le migliori opzioni di approvvigionamento. Contemporaneamente, i costi si abbassano: grazie all’interazione tra il modulo Produzione per l’ottimizzazione delle distinte base e ricette e l’ottimizzazione degli acquisti, è possibile risparmiare dall’1 al 5% sulle componenti acquistate.
Il modulo PPS del CSB-System offre agli utenti scenari di pianificazione a lungo, a medio e breve termine.
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Processi di produzione più efficienti La produzione è uno degli ambiti di applicazione più importanti delle attività di ottimizzazione e digitalizzazione. È più facile ottimizzare i costi quando si
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ordini. Procedure di evasioni ordini senza supporto cartaceo, oltre al risparmio di carta, aiutano a minimizzare le quote di errori e quindi i relativi costi per gestire reclami, storni, nuova preparazione e consegna della merce. La pratica più comune nell’industria della carne è l’evasione ordini con dispositivi mobili di acquisizione dati. A seconda della gamma di prodotti, della struttura dell’ordine, degli spazi in uso, ecc…, si può optare per metodi diversi di evasione ordini come Pick-by-Light, Pickto-Light, Pick-by-Voice, Pick-by-Vision oppure l’evasione con sorter. Spesso una combinazione di questi è la scelta migliore, per elaborare in modo ottimale diversi gruppi di articoli.
Tracciabilità con smartphone. è capaci di calcolare colli di bottiglia, risorse e il loro valore. È un’attività altamente complessa che non si può né improvvisare né si risolve con soluzioni ad isola che non comunicano senza intoppi col software ERP. Conoscere l’efficienza dei sistemi di produzione e confezionamento e la qualità richiesta è l’unico modo per ottimizzare e definire il potenziale di risparmio nella produzione. La pianificazione della produzione nel sistema CSB, ad esempio, offre scenari di pianificazione a lungo, a medio e a breve termine. Questo garantisce la necessaria freschezza delle materie prime, l’utilizzo ottimale delle macchine e una maggiore velocità di produzione; il tutto a costi più bassi rispetto al passato. Un taglio perfetto nel sezionamento Una delle aree più sensibili nella produzione di carne è il sezionamento, tanto che in questo comparto si possono già decidere profitti e perdite di un’azienda. Altrettanto alto è il potenziale che può essere ottenuto solo con una buona pianificazione. Moduli di pianificazione all’avanguardia prendono in considerazione le informazioni provenienti da acquisti, magazzino, produzione e vendita, per determinare il fabbisogno dei tagli principali per il sezionamento nel modo più accurato possibile. Anche la resa della carcassa può essere facilmente ottimizzata. Il monitoraggio on-line supportato dall’IT con confronto permanente obiettivo–effettivo direttamente alla linea di taglio ha dimostrato
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di essere un metodo collaudato. Questo crea le fondamenta per intervenire rapidamente agli scostamenti di qualità dei tagli principali e all’efficienza delle risorse umane. Casi concreti dimostrano che in media è possibile un risparmio del 2%. Un impegno di capitale inferiore Anche sul magazzino si può risparmiare se si trova il giusto equilibrio delle giacenze: mentre un magazzino pieno aumenta i costi di stoccaggio e il grado di capitale impegnato, uno stock troppo basso può causare strozzature o fermi nella produzione. Tutto ciò può essere ottimizzato in maniera relativamente facile, ad esempio, con funzionalità del CSB-System quali la pianificazione delle materie prime e la gestione del magazzino. Oltre al monitoraggio intelligente dello stock di magazzino, il sistema determina le quantità ottimali da ordinare e segnala automaticamente se sono state raggiunte scorte minime nella materia prima o nel magazzino di spedizione. Il risultato è una copertura al 100% dei bisogni di materie prime con il minimo impegno di capitale possibile. L’esperienza ha dimostrato che i costi per le giacenze possono essere ridotti di circa il 30%. Meno errori durante l’evasione ordini Puntare costantemente all’implementazione e integrazione di nuove tecnologie consente di risparmiare parecchio tempo e soldi al momento dell’evasione
Costi di trasporto più bassi Enorme potenziale di risparmio è fornito anche dalla logistica dei trasporti. I produttori di carne possono aspettarsi fino al 15% in meno di costi di gestione del trasporto se pianificano, gestiscono e controllano il tutto grazie ad un software idoneo. Gestione e ottimizzazione giri consentono di ottimizzare giri, distanza, utilizzo, peso e volume di carico, nonché impiego di veicoli e personale. Questo non solo riduce i costi di trasporto, che sono il fattore di costo più alto nella logistica, ma anche le risorse sono utilizzate meglio. A seconda del parco veicoli e della struttura di consegna, si può risparmiare anche sui singoli veicoli a disposizione. Rintracciabilità più veloce In tutto il mondo le autorità preposte stanno inasprendo i requisiti di tracciabilità dei prodotti alimentari. E anche la distribuzione e i consumatori vogliono vedere i dati e questo è possibile solo attraverso processi digitalizzati. La soluzione consiste in una raccolta elettronica completa di dati che include la documentazione dei movimenti di magazzino all’interno del flusso operativo dei materiali. Qui, ad esempio, è consigliato/adatto l’uso di codici a barre e scanner. Se anche le linee di produzione sono integrate, il risultato è un’immagine completamente trasparente di tutte le fasi di lavorazione di un prodotto, a seconda del grado di dettaglio che si vuole documentare, nei bovini persino dall’auricolare. Eventuali ritiri di merce possono essere organizzati in pochi minuti.
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Ricette migliori Funzionalità specifiche come l’ottimizzazione ricette calcolano la composizione più vantaggiosa delle ricette tenendo conto delle restrizioni chimiche e tecnologiche, senza trascurare naturalmente una qualità costantemente elevata del prodotto. Ciò riduce significativamente i costi delle materie prime e aumenta i margini di profitto per ciascun prodotto. A seconda della ricetta originale, già in una prima fase di ottimizzazione, si può risparmiare oltre il 5% delle componenti utilizzate. Per essere in grado di reagire a prezzi delle materie prime fortemente fluttuanti, il CSB-System offre ricette variabili, consentendo ai responsabili di produzione di mantenere la flessibilità desiderata nell’intero processo di produzione. Redditività e competitività a lungo termine per l’industria della carne Processi digitalizzati perfettamente coordinati fanno risparmiare tempo e garantiscono trasparenza su prodotti e processi. La digitalizzazione aiuta ad ottenere una pianificazione e un controllo coerenti dalla stalla al consumatore, a reagire in modo flessibile agli sviluppi del mercato, alle fluttuazioni dei prezzi e ai desideri dei consumatori ed infine consente anche di ridurre i costi. L’uso costante di soluzioni IT smart e l’organizzazione dei processi di produzione e logistica sono quindi tra le misure più importanti al fine di garantire redditività e competitività a lungo termine all’industria della carne. E, soprattutto, queste soluzioni sono disponibili, provate e già collaudate da molti produttori in tutto il mondo.
In alto: preparazione ordini con sorter. Al centro caricamento lotti. In basso: ottimizzazione dei giri col CSB-System.
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Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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LIBRI L’arte antica del norcino tra ricordi e suggestioni
Norcino Masalén
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n un’antichità arrivata fin quasi ai nostri giorni, il maiale era sacrificato tra Santa Lucia (13 dicembre) e Sant’Antonio (17 gennaio), per dare lustro con le sue carni alle feste di fine d’anno e di Carnevale, quando un proverbio diceva che a lavarsi i piedi si
sta bene un giorno, a sposarsi un mese e, sacrificando un maiale, un anno. Sacrificare un maiale domestico che aveva convissuto con la famiglia comportava un’intensa ritualità officiata da un magister o maestro esperto, competente e abile. Dal termine maestro
GIOVANNI BALLARINI MASSIMO SPIGAROLI Norcino. Masalén Maestro d’arte della salumeria Parma, 2019, Grafiche STEP
Norcino avvolto nel tabarro. Il tabarro è una tipologia di antico mantello, ampio, rotondo, a ruota, in tessuto pesante spesso reso impermeabile. Era portato lungo fino al polpaccio o corto per andare a cavallo e poi in bicicletta.
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derivano le voci dialettali settentrionali di masalén, masalìn, masìn, masèr, massarìn, mazén, proprie di chi è maestro, il più grande di tutti, nel sacrificio del maiale, mentre nell’Italia centrale prevale il termine di norcino, che fin dal Medioevo raffina la sua arte alla scuola dei chirurghi di Norcia. Nel sacrificio degli animali maestro non è solo chi ha l’esperienza di uccidere, ma, soprattutto, chi ha la conoscenza di stabilirne la qualità dei visceri e delle carni, come dividere e separare le diverse parti dell’animale, lavorandole per il loro uso immediato o scaglionato nel tempo, distribuendole secondo la natura e il ruolo di ciascuno. Niente sfugge e giustifica il detto che nel maiale tutto è buono e niente è da buttare e che nel maiale si possono individuare e gustare trentasei virtù o sapori che devono essere messi in evidenza con procedimenti guidati da regole minuziose, che ciascun maestro conosce, interpreta e applica secondo l’animale, il luogo e il tempo. Grande sacerdote di antiche e dimenticate religioni pagane, maestro
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Il volume di Giovanni Ballarini, professore emerito dell’Università degli Studi di Parma, Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte della Repubblica Italiana, e Massimo Spigaroli, chef dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense (PR), scava a fondo nella salumeria, sottolineando il valore di un mestiere fondamentale e l’importanza del maiale nella storia dell’uomo. dei sacrifici è il masalén, che coi suoi riti fa passare il maiale sacrificale dallo spazio al tempo con un processo di continuo miglioramento che, evitando l’inferno di una putrefazione, porta le sue carni e grassi alla gastronomia dei prodotti salumieri. Al “Norcino Masalén. Maestro dell’arte della salumeria”, GIOVANNI BALLARINI e MASSIMO SPIGAROLI, storico della cucina il primo, cuoco stellato e docente di cucina il secondo, hanno firmato uno studio che, col coordinamento editoriale di TIZIANA AZZOLINI, è stato recentemente pubblicato dalle Grafiche STEP di Parma, in una magnifica edizione corredata da antiche e originali immagini e da una nutrita bibliografia. Il libro, indispensabile per chi vuole avvicinarsi all’arte della norcineria o,
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meglio, comprenderla, è una testimonianza di un mondo di conoscenze che rischia di andare perduto e dei suoi prodotti artigianali. Oltre alla storia e antropologia del masalén e alla descrizione delle tradizionali operazioni di norcineria, nel volume sono raccolte le memorie e i vissuti di questi maestri dell’arte salumiera coi loro nomi, termini e i modi con i quali trasformavano il maiale in prodotti d’eccellenza salumiera, senza omettere il ruolo troppo spesso dimenticato svolto dalle donne che partecipavano ai lavori di norcineria, completandoli con la preparazione di cibi, alcuni dei quali sono considerati in ricette convenientemente rivisitate da Massimo Spigaroli. >> Link: anticacortepallavicinarelais.it
ANGELA SIMONELLI A scuola di Food Design. Impiattare con gusto e creatività Giunti Editore Collana: Tecniche e Cotture Prezzo: € 19,50
ELISABETH M. PRUEITT, CHAD ROBERTSON (a cura di) Tartine A Classic Revisited Editore Chronicle Books Foto: Gentl + Hyers Premessa: Alice Waters Prezzo: € 30,63 (Amazon)
DANIELE RUBBOLI Lieti calici. Un viaggio nella musica dal Lambrusco allo Champagne Edizioni Artestampa Prezzo: € 22,00
Si mangia con gli occhi è una frase emblematica: spiega in modo semplice ma efficace la prima sensazione che si prova davanti ad un piatto invitante. Perché, prima ancora del profumo, al nostro cervello arriva un’immagine che genera una reazione immediata, istintiva. L’impiattamento è un grande mezzo a nostra disposizione per apprezzare e far apprezzare sotto tutti gli aspetti le pietanze che abbiamo cucinato. Studiare le geometrie, le cromie, le consistenze, i volumi dei cibi ha una grandissima importanza affinché un piatto, oltre che buono, sia anche bello, e da semplice contenitore diventi espressione della creatività in cucina. L’autrice insegna a impiattare molte ricette di diverso stile e difficoltà lasciandosi ispirare dai grandi chef, dai colori della natura, dall’arte e da tutte le forme in generale, dalle nostre intuizioni.
Questo libro è l’edizione aggiornata di un grande classico che non può mancare nella libreria degli appassionati di panificazione e dolci. Tartine. A Classic Revisited offre una cinquantina di nuove ricette che esprimono l’estro e la creatività per le quali la bakery di San Francisco è nota in tutto il mondo. Nel libro è inclusa la ricetta più richiesta, il morning bun, per il quale ogni mattina si formano code infinite fuori dal locale nel Mission District. Non mancano variazioni con farine integrali con e senza glutine, oltre a nuovi ingredienti e tecniche. Più di 150 splendide fotografie del famoso team Gentl + Hyers rendono questa pubblicazione un vero e proprio oggetto da collezione.
DANIELE RUBBOLI, giornalista e musicologo, si è divertito a mettere insieme due delle più note eccellenze italiane: il vino e la musica. Il dolce nettare e il bel canto, ma non solo. Vino e musica hanno un legame antico che attraversa i secoli e gli strati sociali, arrivando fino a noi e proiettandosi nel futuro. Un sodalizio che si fonda sull’arte dello stare insieme, condividendo nutrimento del corpo e nutrimento dello spirito. LUCA MARTINI, Sommelier Campione del mondo 2013, ha selezionato le 50 cantine migliori che compongono il percorso Lieti Calici che si snoda dalle fredde terre del Nord Europa, per scendere e attraversare tutta la nostra solatia Penisola, senza tralasciare la zona di produzione dello Champagne.
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"Siamo tutti mortali fino al primo bacio e al secondo bicchiere di vino"
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