REALIZZARE SE STESSI
Realizzare se stessi
Editing: Giuseppe Maffeis
Progetto grafico: Roberta Marcante
Illustrazione di copertina: Alberto Ruggieri
© 2012 Edizioni Riza S.p.A.
via Luigi Anelli, 1 - 20122 Milano www.riza.it
Tutti i diritti riservati. Questo libro è protetto da copyright ©. Nessuna parte di esso può essere riprodotta, contenuta in un sistema di recupero o trasmessa in ogni forma e con ogni mezzo elettronico, meccanico, di fotocopia, incisione o altrimenti senza il permesso scritto dell’editore.
Alla ricerca del proprio talento
La gioia è la nostra condizione naturale
Le ragioni dell’infelicità: combattiamo contro noi stessi
Il primo passo: liberati dai ruoli
La strada da seguire verso la propria realizzazione
Solitudine e silenzio, i nostri alleati
Essere se stessi in coppia
Essere se stessi sul lavoro
Introduzione «V
orrei cambiare; come posso fare per migliorarmi?». Lo chiedono in molti, oppressi sotto il peso dei propri disagi, perché così credono di uscirne. Ma sbagliano completamente: la soluzione non sta nello sforzarsi di cambiare, ma nell’essere finalmente se stessi. Ciascuno di noi ha in dote un dono speciale, un talento che chiede solo di essere portato alla luce. È l’unica fonte di vero benessere, che può salvarti da ansia, depressione e insicurezza. Il tuo talento esclusivo è la via maestra che ti conduce alla scoperta di te stesso. Come puoi farlo venire a galla? Impara a osservare senza giudicare, a eliminare le parole e i gesti inutili, ad aprire la mente alle novità. Più volte lo ha ribadito in questi anni Raffaele Morelli attraverso i suoi scritti, negli incontri di gruppo e sul “blog”. In questo libro riportiamo le sue riflessioni in risposta a una serie di domande molto frequenti. Ne esce l’indicazione di un percorso lungo il quale ciascuno può arrivare a essere davvero se stesso: nei pensieri e nelle azioni, nei rapporti con gli altri, nella coppia, in famiglia e sul lavoro.
Alla ricerca del proprio talento
Ognuno di noi ha una sua essenza profonda, un “dono” che è unico e personale; lo scopo della nostra vita è coltivarlo.
Invece viviamo seguendo dei modelli imposti e impersonando ruoli che non ci appartengono.
Se impariamo a lasciar fluire il nostro talento arriviamo finalmente a realizzare noi stessi ed è questa l’unica fonte di vero benessere.
Se c’è un peccato mortale che commettiamo tutti i giorni è quello di non volerci bene. Non ci piacciamo mai abbastanza. Ci proponiamo continuamente di cambiare, di essere diversi. Non abbiamo imparato che la vera felicità, al contrario, sboccia quando riusciamo a essere davvero noi stessi, cioè a far crescere quel seme che ci caratterizza e che ci rende unici. L’errore nasce dalla visione appannata della vita consegnataci dalla cultura odierna. I “cattivi maestri” ci hanno insegnato che dobbiamo esser diversi da come siamo, che è necessario correggerci in continuazione, confrontarci sempre con chissà quali modelli di riferimento, che si rivelano irraggiungibili e stressanti. Non siamo mai realmente noi stessi perché siamo condizionati a impersonare ruoli che non ci corrispondono. Da qui l’insoddisfazione frustrante, perché abbiamo seppellito la nostra essenza sotto un cumulo di operazioni del tutto innaturali. Dobbiamo trovare gli strumenti per farci tornare alla luce, per realizzare il nostro talento. Non è un’operazione difficile, perché consiste solo nell’assecondare la nostra natura, liberandoci dalle gabbie in cui ci siamo imprigionati. È dal profondo di noi che sgorga la felicità, perché nel nostro essere è contenuto tutto quello che ci serve. Se riesci a essere te stesso non hai bisogno d’altro.
• Perché è così importante “essere se stessi”? Perché questo è il compito che ognuno di noi dovrebbe svolgere nella propria vita?
Tutti noi dobbiamo essere consci di essere parte del grande “cervello del mondo” e ogni volta che manifestiamo noi stessi (il nostro modo di muoverci, mangiare, vestirci, fare l’amore, sorridere...) manifestiamo la coscienza del mondo. Non a caso, tra tutte le creature viventi, l’uomo è la massima espressione dell’evoluzione dell’Universo e il nostro corpo è lo spazio più perfetto per accoglierla. Ecco perché il corpo viene definito dai saggi di tutte le tradizioni il “tempio del divino”.
Il nostro cervello non è quindi fatto per sedimentare modelli di comportamento e schemi mentali che ci comprimono, ma, al contrario, è lo spazio privilegiato della trasmutazione della coscienza. In parole più semplici, il nostro vero impegno, contrariamente a quello che si crede o ci fanno credere, non è tanto quello di “assomigliare o piacere a...”, ma di essere come il bruco che “partorisce” la farfalla, cioè di realizzare noi stessi, far emergere il talento, l’essenza che è solamente nostra. Questo è il significato di “diventare ciò che si è”, ed è in questo processo di costante autotrasformazione che si materializza l’autostima, ovvero il volersi bene. Se non comprendiamo questo, siamo destinati a fallire la nostra principale funzione e diventiamo i candidati ideali ai sensi di colpa, inadeguatezza, inferiorità, per scacciare i quali ci imprigioniamo in personaggi fasulli, che da un lato accontenteranno genitori, partner o amici, dall’altro ci faranno ammalare.
• Come è possibile pensare di essere se stessi, di essere unici, in una realtà in cui tutto viene omologato e uniformato, in cui tutti tendiamo a diventare dei cloni, senza un’identità propria?
Non solo è possibile essere se stessi, ma anche doveroso. L’omologazione non è inevitabile; basta essere sempre consapevoli, anche quando abbracciamo una scelta di massa. Preferire uno stile di vita a un altro, indossare un capo di moda, acquistare ciò che comprano tutti, sono operazioni che appartengono alla periferia di noi stessi. Il vero peccato in questo caso è portare la periferia al centro, dando al superfluo un posto di primo piano. Ricordiamo la lezione di Epicuro, il grande filosofo greco: l’unico piacere naturale e necessario è quel tanto di nutrimento che ci basta per vivere. Tutto il resto è puramente accessorio. Possiamo ospitarlo nella nostra esistenza, ma guardandolo con il dovuto distacco. Quello che conta siamo noi, il nostro nucleo. La nostra essenza è l’unica cosa che rimane quando le tempeste della vita ci privano di ciò che pensavamo indispensabile. È la nostra risorsa più vera: indistruttibile e inalienabile, è sempre il faro che illumina la strada, portandoci per mano a realizzare la nostra natura e la nostra felicità profonda.
• Come riconosciamo la nostra essenza profonda?
Come si manifesta?
Il talento si identifica perfettamente con la nostra essenza profonda. Di più: è la nostra essenza profonda. La moderna neurofisiologia identifica nel cervello antico (la zona limbica) l’area in cui il talento si produce, ogni volta che la creatività si accende. Realizzarlo è fondamentale per stare bene con noi stessi, perché plasma la mente e il corpo, fino a far prendere la loro vera forma. Per capirne l’importanza, basta ricordare le parole di Jung: «In ultima analisi - scriveva - noi contiamo qualcosa solo in virtù dell’essenza che incarniamo, e se non la realizziamo la vita è sprecata». Sicuramente lasciar scorrere il talento semplifica la vita, perché elimina gli attriti interni, i conflitti e le resistenze. Tutto fluisce
con la massima naturalezza, senza che ci sia sforzo o fatica alcuna. In quest’ottica deve essere letto anche il presunto “miglioramento” che questo modo di vivere può operare su di noi: non si tratta di incrementare delle doti o delle capacità, ma solo di estrarre ciò che il cervello già contiene. Un processo che favorisce la crescita, quindi, non una creazione dal nuovo.
• Quindi essere se stessi significa esprimere il proprio talento e tutti ne abbiamo uno. Ma cosa ci distoglie dal far crescere le nostre potenzialità?
La distrazione, l’incapacità di osservare e di accogliere ciò che la Vita ci regala. Siamo così presi dalle nostre occupazioni, dalla routine quotidiana da non riuscire a vedere oltre i dati oggettivi e le prospettive che ci sono più vicine. Perciò facciamo nostri i pensieri e le attese di chi ci sta accanto, spostando il fuoco dell’azione su ciò che sta all’esterno. Pensiamo che l’unico modo per creare una connessione tra noi e la vita sia aderire a modelli e schemi di comportamento facili e rassicuranti. La conseguenza di questo approccio è intuibile: ci si allontana sempre più da se stessi, e il benessere diventa una chimera. Una sorta di “astigmatismo operativo” che genera confusione, convogliando il nostro agire in una direzione che non ci corrisponde. In queste condizioni, non possiamo che sentirci disorientati.
• Molte persone hanno alle spalle una storia di fallimenti, professionali o sentimentali. In questi casi è davvero difficile intuire in loro un talento…
Al contrario. Spesso basta ribaltare la prospettiva per scoprire che i “fallimenti” sono già soluzioni. Se una persona non ama il proprio lavoro, il licenziamento è la soluzione. Quando il partner non
ci piace più, l’abbandono che ci sembra un fallimento invece ci apre a nuove storie, sicuramente più appaganti. Vediamo gli eventi come fallimenti solo perché siamo concentrati sulla valutazione di ciò che accade. Cambiando il modo di guardare, osservando senza giudizi, potremo accogliere il nuovo che ci viene incontro, con la mente libera e pronta a esplorare.
• Eppure le persone di talento realizzano i propri desideri e portano a termine i propri obiettivi… Gli obiettivi raggiunti sono solo il frutto di un’armonia tra l’oggetto desiderato e la vera natura di chi cerca di ottenerlo. Il talento è la spontanea realizzazione di ciò che, in embrione, già possediamo da sempre: non è un’abilità da esercitare, ma una dote imprescindibile e irrinunciabile, come il colore degli occhi, la carnagione o la forma del viso.
È una sostanza che scorre attraverso di noi. Riconoscerlo e lasciarlo lavorare per noi: ecco cosa significa veramente essere se stessi fino in fondo.
• Che differenza c’è fra essere davvero se stessi ed essere quello che siamo sempre stati?
Dipende da cosa si intende. Se “quello che siamo sempre stati” non è che un cumulo di identificazioni, di gesti sempre uguali, di schemi operativi fissi, allora la contrapposizione è forte, perché il talento spazza via tutto questo.
Se invece “ciò che siamo da sempre” si riferisce alla nostra essenza, conosciuta o ignota che sia, allora non c’è alcuna discrepanza nelle varie situazioni: noi siamo sempre ciò che siamo. In ogni caso, non bisogna dimenticare che contraddire se stessi è fondamentale per ritrovarsi…