Conosci il tuo lato nascosto

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Conosci il tuo lato nascosto Testi: Raffaele Morelli © 2013 Edizioni Riza S.p.A. via Luigi Anelli, 1 - 20122 Milano - www.riza.it Tutti i diritti riservati. Questo libro è protetto da copyright ©. Nessuna parte di esso può essere riprodotta, contenuta in un sistema di recupero o trasmessa in ogni forma e con ogni mezzo elettronico, meccanico, di fotocopia, incisione o altrimenti senza il permesso scritto dell’editore. 2


Ma cosa ci è successo? Perché ci sentiamo così perduti, insicuri, fragili? Perché non siamo mai contenti, sempre alla ricerca di qualcosa da aggiungere o da raggiungere? Cosa ci manca? Siamo divisi in due, come le due metà di una moneta. C’è un lato di superficie, dove apparteniamo al mondo, dove vediamo il mondo. Crediamo di sapere chi siamo, dove andare, cosa ci serve, chi incontrare, chi fa al caso nostro e chi no. È il nostro Io, basato sulla nostra storia, sul nostro passato, sul futuro. Io e la vita che conosco. Qui non c’è niente di permanente, niente che duri, tutta la nostra vita mentale si svolge come un battito d’ali: ci troviamo vecchi senza neppure essercene accorti, forse senza neppure essere stati protagonisti. Per molti si può dire che hanno creduto di vivere, in realtà forse hanno a malapena partecipato. Dentro a questa sicurezza dell’Io, dentro questa catena di confini ben delineati, dove sappiamo chi siamo, o crediamo di sapere chi siamo, tutto è molto incerto. Gli amori non durano, le relazioni si incrinano, le vicende della vita sono alterne, gli amici vanno e vengono, le opinioni sono come foglie al vento: ciò che è vero oggi, domani è un’illusione. 3


Forse per questo la massima delfica “Conosci te stesso” ci atterrisce come nessun’altra. Cosa devo conoscere? Di me cosa resta? Sono io quello che conosce? Quello che mi appare sono proprio io? Quale? Quello che ha le sue ben radicate abitudini? Quello che fa quel lavoro? Quello che ha sposato la persona con cui vive? Si spendono ore e ore di trasmissioni a spiegare come si raggiunge la felicità, le regole per conquistarla, per farla durare il più a lungo possibile. Trasmissioni di consigli sulle relazioni, sugli addii, su come lasciarsi bene o tenersi un uomo o una donna, o su come stare con se stessi, come arrivare al successo, quali strategie mettere in atto per giungere a una meta. Tutte strategie che sono costruite sui modelli esterni, sull’imitazione, comportamenti standard da seguire, che ci rendono ancora più insicuri. Il nostro lato superficiale assorbe continuamente il mondo, si fa delle idee, delle credenze, delle convinzioni. Non sono nostre, sono parole, pensieri del mondo esterno che ci vampirizzano e che facciamo nostri. Ogni consiglio, ogni parola che portiamo al nostro Io è in realtà un buco nell’acqua, perché il nostro Io vive nel mutamento, è in continua impermanenza, senza accorgersene. La persona 4


che penso di conoscere, cambia miliardi di volte in un giorno: il problema è che il nostro sistema percettivo si sbaglia quando ci fa dire “io sono così, la penso così”. Non ci conosciamo e ci arrocchiamo su idee, su definizioni che non ci appartengono. Diamo come certe cose che sono già mutate dopo pochi attimi, siamo foglie nel vento che cercano la stabilità, aggrappandosi ai rami. Bisogna aver chiaro che nessuna felicità, nessun benessere può arrivare dalla superficie, men che meno dall’agire dei comportamenti prestabiliti, impostati, o imparati. Ma accanto alla mente della superficie, c’è un lato profondo, misterioso, che non vive nel tempo, che ha il sapore dell’eternità. Mentre il nostro Io è temporaneo e vive con l’orologio in mano misurando le ore, il lato profondo appartiene a un’altra era dell’anima. Nel buio più profondo del nostro essere, quando dormiamo, quando l’Io si spegne, quando ci sembra di non esistere, dall’inconscio sgorgano gocce di luce che chiamiamo sogni. Siamo abitati da qualcosa che non ragiona come noi. I sogni non vivono nel tempo, un secondo sembra un anno, quell’onda del mare che ci vuole inghiottire sembra avanzare verso di noi da chissà quanto tempo. 5


Jung parla “dell’eterno che è nell’uomo”, come se in noi vivesse qualcosa che non è concepibile con la mente che conosciamo, con il suo orientamento nel tempo e nello spazio. Questo secondo lato, l’eterno che è nell’uomo, vive ben nascosto dentro di noi. L’Io, che è fatto di identità, di mentalità appresa dall’esterno, non conosce questo lato e, quando gli appare, ne è sgomento, spaventato, impaurito. Per questo ci fanno paura gli incubi, perché sovrastano le nostre deboli certezze e perché rivelano la nostra impotenza, quanto è fragile il nostro autocontrollo. «Chiudo la porta della stanza con tutte le mie forze, ma qualcuno, un ladro, la spinge per entrare. Prendo tutti i mobili, li spingo verso la porta, eppure si apre lo stesso. Chiamo mia moglie, niente, la porta si apre lo stesso». L’Io ha un “nemico” che vuole entrare, è più forte del sognatore, di tutte le sue certezze. Noi siamo così… Sempre insicuri tra le nostre mura, qualcosa di imprevisto cerca di entrare in contatto con noi, qualcosa che può sorprenderci, che può mettere in crisi la nostra tanto amata identità. Non c’è epoca della terra che abbia ritenuto che la via della Saggezza

fosse

possibile

senza

“depurarsi”

dalle 6


identificazioni. Vale a dire che ciò che io credo di essere è il peggior nemico per conoscere le leggi dell’anima e quindi per star bene con me stesso. Il “conosci te stesso” non è il conoscere la tua storia, il tuo passato, ma la capacità di osservare il lato cosmico che ti abita. I Saggi se ne infischiano dei papà che non ci hanno capito, delle mamme abbandoniche o gelide. Queste cose sono buone per dibattiti di superficie, per la buccia del nostro essere. Il profondo non vive nel tempo: per questo Jung parla “dell’eterno che è nell’uomo”. Senza il mondo del Senza Tempo, che assomiglia più al sogno che al reale, noi non possiamo andare da nessuna parte. Forse c’è una parola che rende bene la via verso se stessi: Altrove! C’è qualcosa di noi che è perennemente altrove, lontano dal nostro Io e che pure continua a produrre l’essere che sono. Come il seme, l’Altrove se ne sta rintanato dentro di me e da lì agisce. Come contattarlo? Mai col pensiero, mai col ragionamento che è un territorio che sta agli antipodi del Nucleo che ci crea e ci caratterizza. La casa dell’anima è così la casa dell’estraneità: bisogna guardare le cose che ci accadono sentendosi Altrove. 7


Segnali del mondo di Altrove sono l’oblio, la disattenzione, l’incanto. I bambini sono i maestri della disattenzione: le ricerche più recenti di neuropsicologia ci dicono che, quando i piccoli sono disattenti, stanno ricaricando il cervello. Un bambino, quando ha un problema, non vuole parlarne ma cerca di dimenticarlo. Va a letto a dormire, oppure gioca. Il Senza Tempo della notte apre le porte a Ermes, il dio dell’oblio e il gioco, legato a Eros, risveglia la passione, che fa dimenticare i traumi. La partita del benessere è lasciare spazio all’Altrove. A quell’estraneità che è il principio di ogni terapia. La mente superficiale ogni volta che c’è un problema, ogni volta che compare un disagio ci ragiona, rimugina, cerca soluzioni. Il pensiero appartiene a strutture cerebrali che nulla hanno a che fare con le aree antiche del cervello, dove nascono le immagini, i sogni, dove incessantemente si forma e riforma il nostro corpo. Ragionare sui disagi è portarli nel tempo e cronicizzarli. Essere Altrove è essere nell’unico territorio dove il seme crea la pianta, dove il nucleo può produrre le sostanze della soluzione. Una buona vita deve essere una vita che vive nel reale, ma che ha uno spazio importante per l’Altrove. 8


«Io sono stato abbandonato, non ho soluzioni, mi affido al nulla, percepisco l’estraneità, io sono Altrove». La soluzione dei disagi e dei problemi è lontana, lontanissima dalla coscienza del nostro Io. Altrove è il regno del rito, della magia, l’unico regno che esclude il pensiero e che esce dall’identità. «Non so chi sono, non so dove vado, il mondo Altrove ne sa più di me»: ogni volta che stiamo male dobbiamo dirci queste parole e affidarci a qualcosa di sconosciuto, Altrove è il regno della creatività, dove il pensiero si annienta, e arriva l’incanto, con quegli occhi che hanno i bambini quando gli racconti una fiaba. I bambini credono nella magia, perché il cervello agisce in modo magico. La magia è quel luogo dove niente ci separa dalle cose, dove c’è affinità con le piante, gli animali, le stagioni, la luce, il buio. I nostri disturbi sono la lontananza da Altrove, da un mondo che è stato ristretto dall’appartenenza eccessiva al reale, al pensiero esterno, comune. Si può guarire solo se il regno del rito, dell’assenza di pensieri, scende in campo. Ci vogliono le Immagini, che sono i mattoni della nostra interiorità. Le Tradizioni lo sapevano. 9


Emilia è venuta per parlarmi dei suoi 46 anni, della menopausa che secondo lei stava per arrivare senza aver mai potuto conoscere l’orgasmo. «Mi sembra di non essere stata veramente una donna: ho avuto un figlio, ma non ho mai avuto un rapporto sessuale che mi ha portato all’orgasmo. Ho incontrato anche uomini che mi piacevano, ma non ci sono mai riuscita. Anche toccandomi il piacere più alto non l’ho mai raggiunto. Mi sento sconfitta per questo. Mi domando se c’è qualcosa che sbaglio; ho sentito un sessuologo, ma non è cambiato niente. Mi spiacerebbe invecchiare senza aver provato l’orgasmo, che aspetto da anni e anni». Penso al “lato eterno” che è sempre con noi: l’orgasmo appartiene ai codici del Senza Tempo, è uno stato agli antipodi del pensiero, è forse lo stato biochimico e psichico più vicino alla sostanza originaria, al nucleo, all’essenza. “L’eterno che è nell’uomo” di Jung ha nell’orgasmo forse il suo significato più profondo. L’Io non può conoscere l’orgasmo se non vivendolo, non può spiegarlo, capirlo, interpretarlo. L’Io si annulla di fronte alla Sorgente Originaria. Apuleio ci aveva avvisato con la favola di Amore e Psiche. Eros, il signore dell’orgasmo, non voleva essere visto in 10


volto. Psiche conosce notti magiche ma vuole vedere il viso del dio: tradisce il patto. Perde Eros e andrà incontro a infinite peripezie. «È lei che aspetta l’orgasmo? O è il contrario: è l’orgasmo che la sta aspettando?» le ho detto. A volte vi sono parole che cambiano il destino se toccano il nostro nucleo. Succede raramente in psicoterapia e quasi sempre accade al primo incontro. La partita si capovolge: se l’eterno ci abita, se scorre dentro di noi incessantemente e se l’orgasmo è la sua voce, come hanno raccontato i Sapienti, solo i nostri occhi distratti e identificati sulle sirene del mondo esterno ci allontanano da lui. Emilia è rimasta molto colpita da queste mie parole. Continuava a ripetermi: «Non ci avevo pensato. L’orgasmo aspetta me, mi sta aspettando». Ripeteva sorpresa, come un mantra, le mie parole, sembrava immersa in un sogno. Diceva tra sé: «Come vestirsi, truccarsi per lui, cioè per l’orgasmo? Se mi aspetta devo fare la sua donna, devo piacergli. Non posso portargli la solita donna che conosco e che conosce». Emilia abitualmente si vestiva in modo provocante, seduttivo, con gonne corte e scollature ampie. Dopo il 11


nostro incontro ha cambiato completamente look. Per circa due anni non ci siamo più rivisti: mi ha raccontato di essere passata a un modo di vestirsi «molto castigato». Abiti più lunghi, camicette abbottonate. Vista dall’esterno sembrava allontanarsi dalla “donna erotica” che cercava di essere. O forse l’orgasmo l’aspettava con un nuovo stile, un nuovo modo di essere nel mondo. I vestiti castigati la rendevano «più introversa, più timida, silenziosa, meno appariscente e invadente, forse più me stessa, più naturale». L’idea di essere più coperta la tranquillizzava, la faceva sentire più a suo agio. Ha smesso di parlare con chiunque del suo problema, neanche con le amiche ha più accennato alla sua frigidità. Alla fine del nostro colloquio le avevo consigliato di non pensare più all’orgasmo che non arrivava. Le parole “è l’orgasmo che aspetta lei” l’avevano veramente colpita, danzavano dentro di lei e, giorno dopo giorno, sentiva aumentare l’affinità con il Senza Tempo, con l’Altrove. Cambia la vita sapere che il regno dell’eterno ti aspetta, che devi prepararti, che stai partecipando a un rito. I vestiti accollati la facevano sentire una donna diversa che stava aspettando un Signore speciale, che si sarebbe 12


manifestato con un piacere sublime. Emilia non era più la solita donna che doveva godere, ma quella che stava aspettando un prodigio. Era entrata in un’altra mentalità: la donna caparbia, volitiva, dominante che era sempre stata, aveva cominciato a incontrare la cedevolezza, il prepararsi per qualcosa di sconosciuto, che la stava aspettando. «Lui mi aspetta, mi vesto per lui»: queste erano le parole che ogni tanto si diceva. I primi segni della guarigione di un disagio si accompagnano sempre a un cambiamento del rapporto con il tempo. Saper aspettare, non si sa che cosa, è precipitare nel regno dell’inconscio. È aver fiducia nella vita, così com’è. Senza saperlo entrava giorno dopo giorno nel regno di Altrove, del Senza Tempo, il regno dove vivono gli Dei, le fiabe, i miti, le leggende. Se uno dei capisaldi dell’anima è non avere l’attenzione centrata su se stessi, Emilia aveva scoperto quello stato interiore che per Jung è il perno del raggiungimento della propria maturazione: «Un’inaspettata estraneità a me stesso». Ai miei pazienti spiego, perché l’ho sperimentato in tanti anni di psicoterapia e naturalmente su me stesso, che quando c’è un disagio, un problema, la vera cura da fare è 13


diventare estranei, non rimuginarci. Sentire il problema come altro da sé, come Altrove, dimenticandolo. Nessuna meccanica o tecnica sessuale può donarci la magia che abita il paesaggio di Altrove. I disturbi sessuali, come l’eiaculazione precoce o la frigidità, ci hanno scelti per far parlare il sé il Nucleo. Mai cercare di mandare via i disagi, ma vederli come messaggi, parole profonde dell’anima. È la nostra mentalità che tiene in vita l’ansia, le paure, le angosce. Emilia ha smesso di lottare, ha smesso di produrre sforzi mentali per ottenere piacere. L’orgasmo la stava aspettando… La sua vita era via via diventata meno razionale, meno dominata dai pensieri, meno protagonista. Come in una fiaba perenne, Eros la stava aspettando e lei doveva mettere da parte ogni dibattito interiore, ogni discussione, ogni autocritica. L’idea di “essere attesa” l’aveva a tal punto colpita da far entrare nel suo mondo “qualcosa di sconosciuto”. Come in un mito in cui si parla a divinità che non si vedono, questo era lo stato in cui si trovava Emilia. «Ero quella di prima e non ero più la stessa». Un giorno, a una cena, un uomo appena conosciuto le propone di accompagnarla a casa. Le dice: «Mi piace come 14


ti vesti». Dopo pochi istanti fanno l’amore in macchina. Emilia raggiunge un orgasmo dietro l’altro.

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