IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO
PERIODICO DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,67
N. 1/2018
pr�t ˆ manger Ostriche, cozze, cannelli, vongole...
Anno XXXV N. 1 • Febbraio 2018
IL PESCE «Da’ un pesce a un uomo ed egli avrà un pasto; insegnagli ad allevarlo e avrà il nutrimento per tutta la vita»
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EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi
Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Consulenti scientifici Dr. Gaetano Arcarese – Prof. Giorgio Giorgetti Dr. Lucia Liddo –Dr. Francesco Paesanti – Prof. Remigio Rossi Dr. Marco Saroglia – Dr. Aldo Tasselli Collaboratori scientifici Prof. Corrado Barberis – Dr. Alessandro De Maddalena Dr. Maurizio Dell’Agnello – Prof. Fabrizio Ferrari – Dr. Claudio Ghittino Dr. Gianluigi Negroni – Dr. Paola Pierelli – Prof. Guido Razzoli Dr. Antonio Trincanato Collaboratori scientifici esteri Prof. R. Billard (Francia) – Dr. S. Sarig (Israele) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.
IL PESCE, 1/18
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IL PESCE
Anno XXXV N. 1 • Febbraio 2018
In questo numero: Il pesce nel mondo
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Immagini
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Calendario fiere
Fiere, mostre, convegni 2018
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Memento
In ricordo di Gino Ravagnan, uno dei padri della moderna acquacoltura
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Attualità
La commercializzazione dei crostacei
Alfonso Piscopo
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Il pesce in rete
Social fish
Elena Benedetti
28
Acquacoltura
L’acquacoltura in Sicilia
Concetta Messina Andrea Santulli
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Vallicoltura
Ca’ Da Riva Perini, nel cuore della laguna nord di Venezia
Gian Omar Bison
33
Maricoltura
Nuove tecnologie di gestione per la mitilicoltura longline
Aziende
Riscoprire la polpa di storione
Info alle imprese
IL PESCE, 1/18
36 Riccardo Lagorio
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Aller Aqua va in Cina
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Contributi a fondo perduto
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Pesca
L’etichettatura dei prodotti della pesca in fase di produzione primaria Luciano Boffo
Specie ittiche
Il pesce balestra
Luca del Grammastro 60
Interviste
Quattro domande al sottosegretario Castiglione
Gian Omar Bison
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A Tarragona c’era una volta il pesce azzurro
Riccardo Lagorio
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Indagini
Mercati
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Pesce fresco: suggestioni, immaginario e qualità percepita A plastic world
Alfonso Piscopo
70
Il mercato dei salmoni nel 2017
Roberto Villa
76
Merluzzo bianco: previsioni per il 2018
Roberto Villa
80
Retail news
Extracoop, il nuovo iper di Coop Alleanza 3.0
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Consumi
Il consumatore europeo: abitudini e caratteristiche di chi acquista pesce in UE
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Nutrizione
Lo sgombro: versatile e nutriente, coniuga gusto, salute e risparmio
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Sapore di mare
Cremonini, dalla carne al pesce
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I piatti di pesce di Gregori Nalon
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In copertina: sgombro, una tra le varietà di pesce azzurro più ricche di Ω-3 (photo © nblxer – stock.adobe.com).
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Il pesce in tavola
Il canestrello dell’Alto Adriatico
Nunzia Manicardi
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Gli scampi “alla buzara”
Nunzia Manicardi
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Convegni
Serve un confronto tra tutti gli attori della filiera per superare le difficoltà
Gian Omar Bison
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Fiere
Viva la Marca del Distributore
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Rassegne
Doppia vittoria
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La pagina scientifica
Trypanorhyncha nel pesce spada: aspetti igienico-sanitari e considerazioni ispettive sui parassiti non zoonosici
Tecnologie
Dall’origine alla tavola in tutta sicurezza
Storia e cultura
Conchiglie, ostriche e perle, gioielli dei mari
Serena Di Nardo Alfredo Mengoli
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136 Maurizio Dell’Agnello
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www.ilpesce-online.com
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IL PESCE NEL MONDO
Irlanda Le acque costiere irlandesi, ricche di biodiversità, rappresentano alcuni dei terreni di riproduzione più importanti del Nord Atlantico per pesci come sgombro, sugarello, melù, pesce tamburo, tonno albacore e aringa. I produttori di pesce pelagico si trovano prevalentemente sulla costa occidentale del Paese, che si estende da Cork a Donegal. Il settore pelagico irlandese rappresenta quasi 1/3 delle esportazioni di prodotti ittici in valore (172 milioni di euro) e 2/3 del volume totale (125.000 tonnellate). L’Irlanda esporta pesce pelagico in circa 60 mercati internazionali, con i paesi africani Camerun, Nigeria ed Egitto che rappresentano circa il 40% di questi mercati in valore, mentre i paesi europei Francia, Regno Unito, Germania, Danimarca, Spagna e Polonia rappresentano il 35%. Altri importanti mercati includono Cina, Russia e Giappone. La maggior parte delle specie pelagiche provenienti dall’Irlanda viene esportata congelata, a tutto tondo, H&G (Headed & Gutted), sventrata o filettata. Tuttavia, i prodotti possono anche essere stagionati, affumicati, refrigerati o in scatola. Le imbarcazioni irlandesi, che sono certificate sotto il marchio RSS (Responsible Sourced Seafood), si sono impegnate a seguire pratiche di pesca responsabili insieme a standard elevati di qualità e tracciabilità dei pesci. Inoltre, le navi irlandesi che operano in alcune zone di pesca pelagica per aringhe, sgombri e melù sono state certificate come sostenibili nell’ambito del Marine Stewardship Council (MSC) (fonte: BORD BIA; photo © sarahmrobbinsart – stock.adobe.com).
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IMMAGINI
Restano diffuse oggigiorno, seppur con una distribuzione diversa a seconda dei Paesi e delle aree geografiche, abitudini alimentari che prevedono l’acquisto di prodotti ittici vivi e, in alcuni casi, la loro diretta cottura a garanzia della sicurezza e della qualità del prodotto. È uso comune, ad esempio, soprattutto nelle città costiere, l’acquisto diretto di diverse specie di pesci ancora in vita presso i mercati di primo sbarco. Sui problemi legati alla commercializzazione di prodotti ittici vivi si legga l’interessante articolo del dottor Alfonso Piscopo a pagina 20 (photo © Christophe Fouquin).
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CALENDARIO FIERE
Fiere, mostre, convegni 2018 Italia MARCA Bologna, 17-18 gennaio Organizzazione: BolognaFiere Spa Tel. 051 282111 marca@bolognafiere.it www.marca.bolognafiere.it AQUAFARM Pordenone, 15-16 febbraio Organizzazione: Pordenone fiere Spa Tel. 0434 232111 fasolo@fierapordenone.it www.aquafarm.show CIBUS Parma, 7-10 maggio
Organizzazione: Fiere di Parma Spa Tel. 0521 9961 segreteria_commerciale@fiereparma.it www.cibus.it IPACK-IMA Milano, 29 maggio-1 giugno Organizzazione: Fiera Milano Spa Tel. 02 319109240 silviachiappetti@ipackima.it www.ipackima.com AQUA 2018 Roma, 25-27 giugno Organizzazione: Meetings International aquaculture@meetingseries.org
meetingsint.com/agri-aqua-conferences/aquaculture SANA Bologna, 7-10 settembre Organizzazione: BolognaFiere Spa Tel. 051 282351 sana@bolognafiere.it – www.sana.it TERRA MADRE SALONE DEL GUSTO Torino, 26-29 settembre Organizzazione: Slow Food Tel. 0172 419611 info@slowfood.it www.salonedelgusto.com
Estero WINTER FANCY FOOD SHOW San Francisco (USA), 21-23 gennaio Organizzazione: Specialty Food Association Tel. +1 646 8780301 membership@specialtyfood.com www.specialtyfood.com
Alimentaria Exhibitions S.A. Tel. +34 93 5531083 comercial@alimentaria.com www.alimentaria-mexico.com
GULFOOD Dubai (EAU), 18-22 febbraio Organizzazione: Dubai World Trade Center Tel. +971 4 3321000 info@dwtc.com – www.gulfood.com
SEAFOOD EXPO NORTH AMERICA – SEAFOOD PROCESSING NORTH AMERICA Boston (USA), 11-13 marzo Organizzazione: Diversified Communications Tel. +1 207 8425590 sales-global@seafoodexpo.com www.seafoodexpo.com/north-america
AQUACULTURE AMERICA Las Vegas, Nevada (USA) 19-22 febbraio Organizzazione: WAS Tel. +1 760 7515005 johnc@was.org – www.was.org
OI OCEANOLOGY INT. Londra (UK), 13-15 marzo Organizzazione: Reed Expo Tel. +44 0 20 82712133 mark.lewis@reedexpo.co.uk www.oceanologyinternational.com
ALIMENTARIA MÉXICO Guadalajara (México), 6-8 marzo Organizzazione:
INTERNATIONAL CONFERENCE ON MARINE SCIENCE & AQUACULTURE
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Kota Kinabalu, Sabah (Malesia) 14-16 marzo Organizzazione: WAS Tel. + 60 88 320000 icomsa@ums.edu.my – www.was.org ANUGA FOOD TECH Colonia (Germania), 20-23 marzo Organizzazione: Koelnmesse Srl Tel. 02 8696131 info@koelnmesse.it www.anugafoodtec.com AQUAFEED HORIZONS ASIA Bangkok (Tailandia), 27 marzo Organizzazione: Aquafeed www.aquafeed.com ALIMENTARIA BARCELONA Barcellona (Spagna), 16-19 aprile Organizzazione: Alimentaria Exhibitions S.A. Tel. +34 93 4521800 comercial@alimentaria.com www.alimentaria-bcn.com
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SEAFOOD EXPO GLOBAL SEAFOOD PROCESSING GLOBAL Bruxelles (Belgio), 24-26 aprile Organizzazione: Diversified Communications Tel. +1 207 8425590 sales-global@seafoodexpo.com www.seafoodexpo.com SIAL CANADA Toronto (Canada), 2-4 maggio Organizzazione: SIAL Canada Tel. +1 438 4762232 sguignard@expocanadafrance.com www.sialcanada.com – www.sial-network.com FOODTECH BARCELONA Barcellona (Spagna), 8-15 maggio Organizzazione: Alimentaria Exhibitions S.A. Tel. +34 93 4521800 gceccacci@expoconsulting.it–www.foodtech-barcelona.com SIAL SHANGHAI Shanghai (Cina), 16-18 maggio Organizzazione: Comexposium Tel: +86 10 65886794 info@sialchina.cn www.sialchina.com – www.sial-network.com PLMA INTERNATIONAL Amsterdam (Olanda), 29-30 maggio Organizzazione: Private Label Manufacturers Ass. Tel. +31 20 5753032 www.plmainternational.com SUMMER FANCY FOOD SHOW New York (USA), 30 giugno-2 luglio Organizzazione: Specialty Food Association Tel. +1 646 8780301 membership@specialtyfood.com www.specialtyfood.com
SEAFEX Dubai (EAU), 16-18 settembre Organizzazione: Comexposium Tel. +971 4 3321000 seafex@dwtc.com – www.seafexme.com CONXEMAR Vigo (Spagna), 2-4 ottobre Organizzazione: Conxemar Tel. +34 986 433351 conxemar@conxemar.com – www.conxemar.com
AQUA 2018 Montpellier (Francia), 25-29 agosto Organizzazione: EAS European Aquaculture Society Tel. +32 59 323859 ae2017@aquaculture.cc www.easonline.org – www.aquaeas.eu
SIAL Parigi (Francia), 7-11 ottobre Organizzazione: Comexposium Tel +33 1 76771111 exhibit@sialparis.com – www.sialparis.com
SEAFOOD EXPO ASIA Wan Chai (Hong Kong), 4-6 settembre Organizzazione: Diversified Communications Tel. +1 207 8425500 sales-global@seafoodexpo.com www.seafoodexpo.com/asia
LATIN AMERICAN & CARIBBEAN AQUACULTURE Bogotà (Colombia), 23-26 ottobre Organizzazione: WAS Tel. +1 225 3475408 carolm@was.org – www.was.org
Le date e i luoghi delle fiere sono soggetti sempre a variazioni. Si consiglia chi è interessato a partecipare a una fiera ad accertarsi, presso gli organizzatori, del luogo e della data. Si declina pertanto ogni responsabilità per eventuali inesattezze.
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MEMENTO
In ricordo di Gino Ravagnan, uno dei padri della moderna acquacoltura Il 12 gennaio 2018, a 94 anni appena compiuti, ci ha lasciati il dottor GINO RAVAGNAN, riconosciuto unanimemente come uno dei padri fondatori della moderna acquacoltura. Originario di Chioggia, apparteneva ad una famiglia che da cinque generazioni esercita la vallicoltura nel Delta del Po, in quel Polesine da lui tanto amato e dal quale originarono sia le attività industriali da lui fondate, poi trasferite nel Padovano, sia le basi dell’acquacoltura intensiva e delle sue forme di integrazione con quella estensiva. Sono state proprio le complesse situazioni ambientali del delta che lo stimolarono ad approcci originali. Ideò tecniche di allevamento dell’anguilla e di riproduzione artificiale del pesce, propose nuove specie da allevare e trasformò in applicazioni tecnologiche molte delle sue intuizioni. Da questa sua inesauribile inventiva e operosità hanno avuto origine, tramite la società TAI (Tecnologie Allevamenti Ittici), decine di impianti di acquacoltura nell’area mediterranea, alcuni dei quali svolsero importanti attività sperimentali e costituirono un riferimento per lo sviluppo del settore. Fu fondatore e presidente di Agroittica Lombarda, nata nei primi anni ‘70 allo scopo di sfruttare il calore refluo di un impianto siderurgico per allevare l’anguilla, nella quale portò successivamente lo storione. L’avvio di questa attività per la prima volta in Europa consentì a quest’azienda di assumere negli anni il ruolo di leader mondiale nella produzione del caviale. Su incarico della FAO produsse due documenti, ritenuti fondamentali per lo sviluppo della piscicoltura costiera mediterranea, che ispirarono anche il piano MEDRAP
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per lo sviluppo del Mediterraneo e del Mar Nero. Scrisse numerose pubblicazioni tecnico-scientifiche e alcuni testi tra i quali Vallicoltura moderna e successivamente Vallicoltura integrata, che ancora oggi sono considerati una fondamentale guida per la gestione dell’acquacoltura costiera. Nel 1981, in occasione del Convegno mondiale dell’acquacoltura che lo vide tra i relatori, fu nominato socio ad honorem a vita della European Mariculture Society. Per molti anni fu tra gli esperti FAO e CEE per l’acquacoltura, insegnò idrobiologia e pescicoltura presso l’Università di Udine (Scienze agrarie e produzioni animali), ma tenne corsi anche presso alcuni atenei stranieri. ETTORE BONALBERTI, che fu presidente di ICRAM, lo ricorda come amico. «Gino era una persona di profonda fede cristiana e radicata cultura popolare, ispirata ai valori migliori della tradizione sturziana e
degasperiana. Ho avuto da lui sempre forti sollecitazioni per le battaglie condotte ai diversi livelli politici e amministrativi, con un rapporto di amicizia contrassegnato da telefonate frequenti sulle vicende più importanti della politica internazionale, nazionale e regionale. Alla sua amata moglie Franca, ai suoi figli, ai fratelli e ai nipoti, vada il sentimento della nostra più affettuosa partecipazione al dolore per la scomparsa di un uomo che ha fatto onore al nostro Paese, alla sua amata città di Padova e alla nostra comune terra polesana. Il Signore, nel quale ha creduto da cristiano integerrimo, l’accolga nelle sue braccia amorose nel regno dei Cieli». La Redazione de Il Pesce si unisce all’API (Associazione Piscicoltori Italiani) nell’esprimere la vicinanza ai famigliari, ricordando la competenza e la grande passione profusa dal dott. Ravagnan per il contributo prezioso dato alla crescita e allo sviluppo della piscicoltura italiana.
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15-16 FEBBRAIO 2018
FIERA PORDENONE MOSTRA CONVEGNO INTERNAZIONALE PER L’ACQUACOLTURA L’ALGOCOLTURA, IL VERTICAL FARMING E L’INDUSTRIA DELLA PESCA
2A EDIZIO NE
ACQUACOLTURA VERTICAL FARMING ALGOCOLTURA INDUSTRIA DELLA P ESCA
WWW.AQUAFARM.SHOW MAIN SPONSOR:
SPONSOR:
PARTNER:
MEDIA PARTNERS:
AGRITECTURE
pesceinrete la piazza virtuale del settore ittico
IL PESCE
ATTUALITÀ
La commercializzazione dei crostacei di Alfonso Piscopo
Alcune specie ittiche sono abitualmente messe in commercio vive. La capacità di resistenza fuori dall’acqua è dovuta in parte alla loro natura anfibia (la caratteristica anfibia è la capacità di vivere immersi nell’acqua sui fondali a varie profondità batimetriche e sulla terra asciutta per un periodo limitato di tempo, come ad esempio il granchio) e in parte alla capacità di adattamento fisico al mondo esterno. Questa peculiarità importantissima è propria dei crostacei decapodi (a dieci zampe).
Di questi, quelli commestibili e maggiormente conosciuti sono i macruri (dal greco “dalla grande coda”), come l’aragosta, l’astice, il gambero, il gamberetto, la mazzancolla, la cicala grande di mare o magnosa, ecc…, riconoscibili per l’addome allungato e la coda a ventaglio finale; poi abbiamo i brachiuri (dal greco “dalla coda corta”), come il granchio, caratterizzati dall’addome breve e ripiegato e dal capotorace tondeggiante munito di chele e zampe; infine, i stomatopodi (es. ca-
nocchia), dal corpo allungato, chele e coda dentellata. Dopo la cattura, i crostacei, grazie dunque alla natura anfibia e alla capacità di adattamento all’ambiente esterno, si conservano tal quali, cioè vivi dalla cattura ai lunghi tragitti che sono destinati a percorrere, fino alla commercializzazione (aree mercatali, zone ittiche di magazzinaggio, ristoranti, spacci o punti vendita ecc…). Da questo momento in poi sono da considerarsi “alimenti”. Nella presente trattazione presteremo l’attenzione ai cro-
Aragosta viva con le chele legate pronta per la vendita. Negli ultimi anni è aumentata l’attenzione dei cittadini, direttamente o per il tramite delle associazioni che si occupano di difesa degli animali, rispetto alle tematiche del benessere animale. La pesca ed i pesci sono tra i settori che creano maggior disagio e preoccupazione in un numero crescente di consumatori (photo © lukeal – stock.adobe.com).
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stacei/macruri, poiché sono sempre più spesso oggetto di diritto penale, interessato ai numerosi aspetti legali al benessere animale nel momento della loro commercializzazione e del trattamento in cucina. Criticità La conservazione di questi animali è uno dei punti critici su cui spesso scivola la giurisprudenza con sentenze e pareri divergenti. In mancanza di regole chiare alle quali appigliarsi, a farne le spese sono spesso gli operatori del settore alimentare che non sanno come gestire una simile situazione e, soprattutto, gli organi di controllo, che devono giudicare l’aspetto più critico legato al benessere animale dei crostacei nel rispetto della normativa vigente. Innanzitutto bisogna chiedersi perché è importante mantenere i crostacei vivi e vitali prima del consumo. Dal punto di vista scientifico, sappiamo che un’elevata quantità di amminoacidi liberi promuove significativamente la formazione di azoto, comunque presente in proporzione in 300 mg per 100 g di parte edibile. L’azoto libero è responsabile del cattivo odore dei crostacei morti, mal conservati o troppo a lungo, ma la quantità naturalmente presente nella carne dell’animale vivo non è sufficiente a giustificarlo. A questo processo concorrono due meccanismi: • l’azione enzimatica propria; • l’azione batterica anaerobia. Questi due processi in parallelo interagiscono degradando le proteine muscolari e trasformando l’ossido di trimetilammina (TMAO) in trimetilammina (TMA), composto assai volatile responsabile del “tipico odore di pesce”. Il concorso di una elevata quantità di amminoacidi liberi e dell’azoto libero, combinato all’azione enzimatica e batterica sugli animali morti, determina una conservabilità dei crostacei freschi molto limitata, oltre la quale sopraggiungono un forte odore di ammoniaca e pesce mal conservato. Alcuni crostacei a volte li troviamo posti in commercio privi di testa, in quanto alcune sostanze ivi presenti accelerano il deterioramento della carne.
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Tenere i crostacei vivi al ristorante o al punto vendita fino al momento del consumo non è quindi una mera volontà del ristoratore o del dettagliante, ma diventa un requisito essenziale da parte dell’operatore per la loro conservazione (così come la loro diretta cottura è a garanzia della sicurezza e della qualità del prodotto). E qui ci rotoliamo tra i dettami normativi, dove non è per niente facile fare la quadra, di un problema in cui la questione legata al benessere animale è vincolata dalla modalità di conservazione, considerando l’atipicità del caso in cui l’animale è contemporaneamente alimento pronto per il consumo. Riferimenti normativi I crostacei esposti vivi sul banco ai fini della vendita, a livello normativo, vengono considerati già “alimento” e non più “animali” ai sensi dell’art. 2, lettera b) del Regolamento CE n. 178/2002 (“animali vivi … preparati per l’immissione sul mercato ai fini del consumo umano”). Le indicazioni specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale previste dal Regolamento CE n. 853/2004 prevedono che durante lo stoccaggio e il trasporto essi debbano “essere mantenuti a una temperatura e in condizioni che non pregiudichino la sicurezza alimentare o la loro vitalità” (All. III, sezione VIII, cap. VII, punto 3, del Regolamento CE n. 853/2004), mentre i prodotti della pesca freschi devono essere mantenuti a una “temperatura vicina a quella del ghiaccio in fusione” (cap. VII e VIII, punto 1, del Regolamento CE n. 853/2004). Fatto salvo l’obiettivo generale “in materia di igiene per gli alimenti di origine animale”, sempre ai sensi del Regolamento CE n. 853/2004,
gli operatori del settore alimentare devono inoltre rispettare i “requisiti relativi al benessere degli animali (…)”. Attualmente non esiste una normativa che disciplini e garantisca il benessere dei prodotti della pesca mantenuti vivi. Il Regolamento CE n. 1099/2009 relativo alla “protezione degli animali durante l’abbattimento” non si applica agli animali invertebrati e, per quanto riguarda i pesci, si applica soltanto in parte (articolo 3, paragrafo 1 “…durante l’abbattimento e le operazioni correlate sono risparmiati agli animali dolori, ansia o sofferenze evitabili”). La giurisprudenza Gli organi di controllo dovranno adottare i capisaldi legislativi sopra esposti, considerando in particolare l’osservanza degli aspetti legati al benessere animale dal momento che è stata riconosciuta giuridicamente la loro sensibilità, e vigilare sulla corretta gestione e conservazione da parte dell’OSA di questi alimenti/ animali prima del loro consumo. I primi elementi costitutivi di giudizio, su pronuncia dei vari tribunali, riportano l’attenzione alla linea di confine (border line) della tutela di animali destinati al consumo alimentare: nel caso specifico di astici e aragoste, detenuti vivi ed esposti su bancone espositore per essere venduti tal quali, nelle aree mercatali, nei ristoranti, negli spacci di vendita di prodotti ittici. L’assenza di una posizione univoca da parte delle autorità competenti finora ha lasciato spazio ad interpretazioni basate su sensibilità o valutazioni scientifiche da parte di singoli che, oltre a creare condizioni diverse per le imprese, finiscono con l’orientare anche le sentenze sui singoli casi da parte dei tribunali.
I crostacei, come aragoste, astici, granchi, cicale di mare, esposti vivi sul banco ai fini della vendita, a livello normativo, vengono considerati prodotti della pesca mantenuti vivi e quindi già “alimento” e non più “animali”
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I crostacei sono in genere animali piuttosto robusti in grado di sopportare i numerosi stress a cui sono sottoposti nell’attuale filiera alimentare. Subiscono, infatti, stress al momento della cattura, alla manipolazione al momento dell’estrazione sulla nave, allo sbalzo termico ed all’esposizione alla luce e ai rumori legato alla prima conservazione in acqua o a secco, alla manipolazione al momento dello scarico a terra e al confezionamento per la spedizione, allo stress termico ed alla esposizione alla luce legati alle modalità di conservazione presso il mercato o il punto vendita, in acqua o a secco o sul ghiaccio, alla manipolazione e allo stress termico al momento della vendita e al trasporto presso il domicilio del consumatore o presso il ristorante, dove può avvenire una nuova immersione in vasca o conservazione in frigorifero o in una vetrina espositiva (photo © Kristina – stock.adobe.com). Le sentenze Sentenza del tribunale di Torino (2004): il titolare di un esercizio commerciale in un’area mercatale viene denunciato, e di seguito rinviato a giudizio, per avere sottoposto a sevizie “per crudeltà e senza necessità tre astici e due aragoste a sevizie e comunque a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. Segnatamente per averli detenuti in un banco vetrina, appoggiati direttamente sul ghiaccio, fuori dall’acqua, e per quanto riguarda gli astici con le chele legate con fascette elastiche”. Il provvedimento adottato dal tribunale di Torino è il proscioglimento per tenuità del fatto: una “rimproverabilità quasi simbolica”, secondo il giudice, tenuto conto dell’assenza di una “grave
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offensività” e considerato anche il carattere “diffusissimo” dell’incriminata tecnica del mantenimento dei crostacei. Sullo stesso piano un’altra sentenza promulgata dal tribunale di Firenze, anche se il contesto è diverso, sentenzia che detenere per vendere astici, aragoste e granchi, tenuti chiusi in frigorifero a temperature prossime allo 0 °C, comporta sevizie, poiché i crostacei sono costretti a vivere in condizioni non compatibili con la loro natura e che quindi producono gravi sofferenze. Si tratta infatti di specie che nel loro habitat naturale vivono a temperature sensibilmente più alte. Questo è quanto è stato imputato ad un ristoratore, al quale è stata contestata la responsabilità penale dell’accaduto1.
Il punto Si deve per prima cosa stabilire se la conservazione dei crostacei vivi (su ghiaccio o in frigorifero) lede il principio di tutela del benessere di tali specie e si profila quindi un maltrattamento animale. Nonostante i casi in letteratura siano scarsi, il parere del 29/07/2007 del Centro di referenza nazionale per il Benessere animale (CReNBA) dell’Istituto Zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia-Romagna cerca di fare un po’ di chiarezza sulle modalità di trasporto e rispetto delle temperature riservate ai crostacei, che se mantenuti in buono stato di salute migliorano complessivamente la qualità del prodotto e la loro sopravvivenza nelle fasi di commercializzazione. Mentre il posizionamento degli animali, come modalità di conser-
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I crostacei che pervengono vivi sui mercati, spesso dopo lunghi viaggi, hanno un pregio economico assai più elevato di quelli non più vitali, che vanno rapidamente incontro a processi alterativi, o di quelli commercializzati come surgelati/congelati
Mentre la comunità scientifica è d’accordo sul fatto che la nocicezione esista in quasi tutti gli animali, lo stesso non vale per la capacità di provare dolore. Due ricercatori di Belfast, ad esempio, hanno lanciato un appello a chef e addetti dell’industria e dell’acquacoltura invitandoli a riconsiderare il modo in cui trattano i crostacei vivi
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vazione degli stessi, su ghiaccio, secondo tale parere, risulta inappropriato, poiché causa sofferenza, lo stesso vale per la detenzione di crostacei vivi al di fuori degli acquari e la ricorrente pratica di mantenere le chele di astici permanentemente legate. In mancanza di studi specifici e approfonditi, sarebbe opportuno comportarsi, sulla base del ragionevole dubbio, come se questi animali provassero dolore. Una recente revisione della letteratura da parte del CE.I.R.S.A. (Centro Interdipartimentale di Ricerca e Documentazione sulla Sicurezza Alimentare – ASL TO 5), effettuata anche al fine di rispondere a richieste da parte dell’autorità giudiziaria, non ha consentito di evidenziare vantaggi significativi rispetto agli obiettivi prefissati di garantire la sicurezza alimentare e il benessere animale tra esposizione su ghiaccio e l’impiego di acquari e/o altre modalità di conservazione. Una non corretta gestione dell’acquario (parametri chimici/temperatura fuori controllo, mancata acclimatazione) può causare altrettanto stress con notevoli perdite di animali. Secondo l’ultimo parere del Ce.I.R.S.A., esporre i crostacei su ghiaccio o refrigerati a (+2/+4 °C) e tenerli con le chele legate risultano pratiche applicabili, secondo una modalità di gestione e controllo durante la fase conservativa di prevendita, che in rapporto al danno/ beneficio possono essere considerate a livelli accettabili, non esistendo allo stato attuale qualcosa in grado di assicurare un più elevato livello di benessere animale che garantisca contemporaneamente la sicurezza e la qualità al consumo, interessi che aprioristicamente sono tutelati dal legislatore europeo. Infatti il Ce.I.R.S.A. tiene a precisare che il parere emanato dal Centro di referenza nazionale per il benessere animale del 29/07/2007 non può essere “automaticamente applicato in modo estensivo”, in quanto la conservazione dei crostacei a temperature superiori a quelle del ghiaccio può causare un aumento della carica batterica e un rischio per i consumatori. Da qui la necessità
anche di gestire gli acquari in modo appropriato da personale formato e qualificato. La legatura delle chele degli astici viene considerata dal Ce.I.R.S.A. una buona pratica a livello internazionale, non fosse altro per il fatto che questi animali durante il tragitto che li porterà sul mercato e la loro esposizione sono costretti a convivere tra di loro in spazi alquanto ristretti (come ad es. l’acquario), andando incontro a comportamenti aggressivi, con ferite e mutilazioni, fino al cannibalismo. Sia gli operatori del settore alimentare che gli ispettori addetti ai controlli devono essere formati in tal senso e gestire nel modo più appropriato le modalità di conservazione dei crostacei. I crostacei destinati al consumatore finale sono considerati già “alimenti” e non più “animali” e devono sottostare pertanto anche alle norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale. La cottura dei crostacei da vivi Molto si è discusso sulla percezione del dolore di pesci e crostacei, senza tuttavia arrivare a delle conclusioni esaustive. In tale contesto, si inserisce la terminologia dei ricercatori che indagano sul dolore, con una differenza di natura sostanziale tra il saper individuare ed evitare uno stimolo (nocicezione) e provare effettivamente ciò che l’uomo percepisce come dolore. Nocicezione e dolore sono concetti differenti. La nocicezione è un processo sensoriale capace di individuare uno stimolo dannoso e reagire di conseguenza di riflesso e/o per autodifesa. Secondo gli scienziati è una reazione automatica a una condizione disagevole che non implica necessariamente una sensazione. Il dolore, invece, nella concezione più antropomorfa, è definito come un fenomeno sensoriale emotivo sgradevole associato a un danno effettivo o potenziale a un tessuto o organo. Riguardo alla percezione del dolore negli animali, e specificatamente nei crostacei, la letteratura scientifica non è ricca di dati sperimentali. Un timido tentativo di sperimentazione è stato messo in atto dai biologi del Queen’s School of
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Gettare nell’acqua bollente gli astici e le aragoste vivi sarà vietato in Svizzera dal 1o marzo 2018 perché considerato crudele. Lo ha stabilito una recente legge che revisiona la normativa sulla protezione degli animali. Per alleviarne le sofferenze, le nuove norme impongono di stordirli. Secondo le regole che rientrano in un pacchetto dedicato alla protezione degli animali, invece dell’acqua bollente, astici e aragoste avranno due alternative: il primo è una sorta di distruzione meccanica del cervello, il secondo è l’elettroshock (photo © Fabio Bergamasco – stock.adobe.com). Biological Sciences di Belfast. BARRY MAGEE e ROBERT W. ELWOOD, nel loro articolo dal titolo Shock avoidance by discrimination learning in the shore crab (Carcinus maenas) is consistent with a key criterion for pain (JOURNAL OF EXPERIMENTAL BIOLOGY 216: 353–358, jeb.biologists.org/ content/216/3/353), mostrano estrema cautela nella formulazione delle conclusioni. «Miliardi di crostacei vengono catturati o allevati in acquacoltura per l’industria alimentare» hanno dichiarato gli autori. «A differenza dei mammiferi, i crostacei non hanno alcuna tutela, presumendo che non possono provare dolore. La nostra ricerca suggerisce il contrario. È necessaria, quindi, una maggiore considerazione del trattamento di questi animali» (si rimanda il lettore alla visione dell’articolo per prendere coscienza dell’esperimento, Nda). VICTORIA BRAITHWAITE della Pennsylvania State University, nel libro Do Fish Feel Pain?, baipassando la concezione nozionistica tra nocicezione e dolore precedentemente
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espressa, afferma che i pesci sono in grado di percepire il dolore. In attesa che la scienza scopra qualcosa in più e dia risposte più esaustive, poiché è aumentata l’attenzione dei cittadini relativa al benessere degli animali, è quanto mai necessario l’inquadramento di un tavolo tecnico che affronti con un certo metodo le problematiche emerse. Dott. Alfonso Piscopo Dirigente Veterinario Azienda Sanitaria Provinciale Agrigento Veterinario del Servizio Sanitario Nazionale Nota 1. La Lega antivivisezione nel 2012 aveva sporto denuncia contro il gestore di un locale di Campi Bisenzio che nel 2014 era stato condannato, in primo grado, dal Tribunale di Firenze. Il ristoratore aveva fatto ricorso. A gennaio la Corte di Cassazione però aveva dichiarato “inammissibile” il ricorso presentato dal ristorante
fiorentino. La notizia era stata data dalla LAV: “La condanna a carico del titolare del ristorante per maltrattamento di animali, emessa ad aprile 2014 dal Tribunale di Firenze e confermata ora dai giudici, si fonda su dati scientifici. I crostacei sono in grado di provare dolore e di averne memoria”. Il ristorante si era difeso spiegando che gli animali arrivano dall’America in queste modalità di conservazione, adagiati sul ghiaccio in cassette di polistirolo con le chele legate. Dal momento che nella stessa giornata vengono cucinati, non farebbe altro che mantenerli nelle stesse condizioni in cui si trovano già. Spiegazioni che però non hanno convinto né il tribunale né la Cassazione. Dal momento che esistono modi meno crudeli del ghiaccio, come gli acquari, chi conserva i crostacei in modalità impropria arreca loro “sofferenze causate dalla detenzione”, commettendo il reato di maltrattamento di animali, come previsto dall’articolo 727 del codice penale. La terza sezione penale (sentenza n. 30177), che ha ritenuto “inammissibile” il ricorso del ristoratore, afferma che “nonostante solo negli ultimi anni diverse ricerche abbiano portato una parte della comunità scientifica a ritenere che i crostacei siano essere senzienti in grado di provare dolore“, la decisione del tribunale è giusta perché esistono altri modi per conservarli in attesa di cuocerli. Ad esempio, acquari a temperatura e ossigenati, utilizzati “non solo nei ristoranti, ma anche nei supermercati della grande distribuzione”. Esiste quindi una “sensibilità nella comunità” che induce ad adottare “accorgimenti più complessi ed economicamente più gravosi” che però consentono di “accogliere gli animali in modo più consono”. Non costituisce invece reato di maltrattamento il cucinarli vivi: “la particolare modalità di cottura può essere considerata lecita proprio in forza del riconoscimento dell’uso comune” (fonte: www. ilfattoquotidiano.it).
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Social di Elena
2. Tutto quello che vuoi sapere sul tonno in scatola 1. Sempre più Instagram Se dai 40 anni in su FACEBOOK è la piattaforma social di riferimento per comunicare, flirtare, litigare e polemizzare, i giovani e giovanissimi oggi preferiscono di gran lunga Instagram.com. Per condividere immagini e video, attraverso le stories e i post, raccontando umori e sensazioni. Gli analisti del web prevedono una vertiginosa crescita di questo canale nel corso del 2018 (nell’immagine in basso uno scatto al Fish Market Trastevere, il ristorante della Capitale dove i clienti scelgono il pesce direttamente al banco, per farlo poi cucinare agli chef del locale; photo © instagram.com/fishmarket_roma).
www.tonno360.it è il portale sviluppato dall’ANCIT, l’associazione nazionale italiana che rappresenta le imprese del settore delle conserve ittiche (tonno in scatola, acciughe sotto sale e sottolio, sgombro, salmone e altri prodotti della pesca trasformati). Uno spazio web per fare chiarezza sul tonno in scatola e sulle conserve a base di pesce (photo © Kitch Bain – stock.adobe.com).
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fish Benedetti
3. Le schede Paese di EUFOMA EUFOMA, l’osservatorio europeo del mercato dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura che pubblica dati e analisi attraverso il portale www.eumofa.eu, ha recentemente introdotto un aggiornamento ai contenuti web, includendo i profili per Paese. Da oggi sono consultabili dati aggregati per Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia, Slovenia e Regno Unito.
4. Seafood Expo Bruxelles, espositori già on-line Mancano poco meno di tre mesi all’evento fieristico più importante dell’anno, SEAFOOD EXPO GLOBAL e SEAFOOD PROCESSING GLOBAL, il doppio salone che si svolgerà a Bruxelles dal 24 al 26 aprile. L’elenco degli espositori è già on-line su www.seafoodexpo.com e si può quindi iniziare a organizzare visite e appuntamenti. Buon lavoro! (photo ©ARTENS – stock.adobe.com).
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ACQUACOLTURA
L’acquacoltura in Sicilia In un incontro organizzato dall’Accademia dei Georgofili sono stati affrontati in maniera integrata i temi della sostenibilità delle produzioni dal punto di vista gestionale, biologico, ecologico ed economico, della qualità della filiera e dell’innovazione tecnologica come strategia per lo sviluppo del settore di Concetta Messina e Andrea Santulli
L’acquacoltura in Sicilia è un settore dalle grandi potenzialità per la creazione di imprese e posti di lavoro. Per questo, il 9 novembre scorso, presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali dell’Università di Palermo, si è tenuto un incontro dedicato a questa tematica con la partecipazione di
relatori del mondo istituzionale e accademico. Organizzatrice dell’incontro, la sezione Sud-Ovest dell’Accademia dei Georgofili, con il supporto del Dipartimento della Pesca Mediterranea della Regione. Di seguito una breve sintesi degli interventi.
Acquacoltura siciliana, situazione attuale e potenzialità A livello mondiale, l’acquacoltura fornisce quasi la metà dei pesci, dei crostacei e molluschi destinati al consumo umano (46%) e previsioni della FAO indicano che questa attività consentirà di colmare il crescente divario tra l’offerta del settore pesca
Fino al 2010 il settore dell’acquacoltura in Sicilia garantiva oltre il 15% della produzione nazionale; successivamente, ha subito un repentino tracollo, che ha portato alla chiusura di più del 50% degli impianti di allevamento.
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La funzione dei componenti attivi e la loro miscela e concentrazione sono in grado di supportare in maniera ottimale l’intero sistema immunitario innato e adattivo dei pesci.
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I componenti attivi di VITAMAX sono in grado di avere un impatto positivo sul sistema immunitario dei pesci. A sua volta, ciò aiuta i pesci ad affrontare meglio le varie situazioni di stress a cui sono sottoposti durante la crescita.
hanno anche consentito di gettare le basi per lo sviluppo dell’acquacoltura in acque interne, cofinanziando l’ammodernamento e la realizzazione di impianti di allevamento di specie ittiche di acqua dolce. La politica europea nel campo dell’acquacoltura, e di conseguenza quella nazionale e quella regionale, ha come obiettivo una crescita di produzione annua del 3,4-4,0%. In uno scenario più ottimistico l’acquacoltura europea crescerà a un tasso necessario a soddisfare il disavanzo tra produzione e domanda di mercato. Per raggiungere tali obiettivi l’acquacoltura europea dovrà essere supportata da un’intensa attività di ricerca al fine di individuare nuovi mercati di sbocco, per la diversificazione delle specie e l’utilizzazione di tecnologie di produzione innovative, efficienti e rispettose dell’ambiente. Concetta Messina Andrea Santulli (Accademia dei Georgofili www.georgofili.info)
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successivamente ha subito un repentino tracollo, che ha portato alla chiusura di più del 50% degli impianti di allevamento, passando da 18 aziende censite nel 2008 a 12 nel 2010, fino ad arrivare, nel 2013, a 5 aziende attive, che contribuiscono a poco meno del 10% della produzione nazionale. Tra gli impianti di allevamento di pesci marini siciliani vanno annoverati quelli in estensivo nelle “vasche fredde” delle saline di Trapani e Marsala. Questa produzione, rappresentata da spigole, orate, mugilidi e anguille, è molto piccola ma di maggior valore rispetto a quelle tradizionali in intensivo e complessivamente si attesta intorno a valori di 0,8-1,2 t/anno. La molluschicoltura siciliana è rappresentata da due impianti di stabulazione di mitili operanti nella provincia di Siracusa e due nella provincia di Messina, che rappresentano intorno allo 0,5% della produzione nazionale. Le politiche di indirizzo e supporto della Regione Siciliana, rappresentate dal FEP 2007/2013,
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e la domanda mondiale di pesce, assicurando più del 50% del fabbisogno mondiale. L’Unione Europea, con il Fondo Europeo per la Pesca (FEP) e il Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (FEAMP) in fase di avvio, ha individuato nell’acquacoltura uno dei suoi assi prioritari, contribuendo al suo supporto. L’Italia è il quinto produttore europeo e partecipa per circa il 12,6% alla produzione dell’acquacoltura dei 27 Stati Membri della UE, ma la produzione nazionale ha subito negli ultimi anni una riduzione significativa. La produzione dell’acquacoltura italiana è costituita essenzialmente da molluschi (mitili e vongole), che rappresentano il 65% della produzione nazionale, mentre i pesci allevati, che rappresentano solo il 35%, sono basati per il 39% dall’allevamento della trota, per il 20% dalla spigola e per il 18% dall’orata. Fino al 2010 il settore dell’acquacoltura in Sicilia garantiva oltre il 15% della produzione nazionale;
#AllerAqua ALLER AQUA · Sede secondaria in Italia · Via Valvasone 8 · 33072 Casarsa della Delizia (PN) · www.aller-aqua.it Stefano de Dominis · mail: sdd@aller-aqua.com · tel.: +39 348 388 3988 · Armando Marcon · mail: marcon.a@libero.it · tel.: +39 335 701 2671
API a sostegno dell’anguillicoltura italiana ed europea Molteplici minacce stanno causando un forte declino degli stock di anguilla europea: ostacoli alla migrazione, cambiamenti climatici, predazione, pesca, ma in particolare l’attenzione deve essere focalizzata sul commercio “illegale” di anguilla europea nell’Asia orientale. Alcune organizzazioni non governative e ambientaliste hanno proposto alle Istituzioni della UE di introdurre un divieto temporaneo di pesca dell’anguilla nell’Atlantico nord-orientale e nel Mar Baltico. Il settore dell’acquacoltura nella UE produce anguille sia per scopi di ripopolamento che per il consumo alimentare; il fabbisogno annuo totale di questa attività è limitato a circa 15 tonnellate di anguille cieche l’anno. L’API (Associazione Piscicoltori Italiani), nel corso dell’ultimo Presidents Meeting della FEAP, svoltosi il 5 dicembre scorso a Bruxelles, ha fortemente sollecitato un’azione comune a difesa degli anguillicoltori in merito al divieto proposto. FEAP ha quindi inviato al Consiglio e alla Commissione europea una formale presa di posizione in cui si afferma che l’eventuale divieto temporaneo di pesca dell’anguilla determina solo benefici limitati sulle popolazioni di anguille e che è necessario un approccio più ampio, in considerazione del fatto che un divieto generalizzato alla pesca dell’anguilla determinerebbe inevitabilmente un impatto negativo sull’attività di allevamento delle anguille portando alla scomparsa di questo settore dell’acquacoltura europea. Conseguentemente, potremmo assistere alla sostituzione sul mercato di prodotti europei di alta qualità (quali le anguille europee) con prodotti di origine sconosciuta, forse illegale, provenienti dall’Asia orientale. (API)
Trote di qualità sulle tavole degli Italiani La trota, eccellenza italiana, è sana, leggera e digeribile ed è stato il pesce italiano ideale da servire sulle tavole natalizie. «Spesso si sceglie il pesce di mare — ha messo in evidenza Pier Antonio Salvador, presidente dall’Associazione Piscicoltori Italiani — ma anche quelli di acqua dolce sono alleati preziosi della salute per una dieta equilibrata e a ridotto apporto calorico». La trota, infatti, contiene tutti gli amminoacidi essenziali necessari per la crescita, per questo viene consigliata nella dieta delle donne in gravidanza e dei bambini già dagli 8 mesi di vita. Garantisce l’apporto di fattori nutrizionali essenziali in forma naturalmente equilibrata; povera di colesterolo, risulta un prodotto ideale anche per coloro che soffrono di malattie cardiovascolari. L’API mette in evidenza che la grave siccità del 2017 ha limitato fortemente la produzione nazionale della trota iridea, riducendo la disponibilità sui mercati. «Ma la qualità — ha osservato Salvador — resta altissima. Nel 2016 in Italia abbiamo prodotto 36.800 tonnellate di trote, in più di 300 impianti di acquacoltura distribuiti su tutto il territorio nazionale. L’acqua è un bene inestimabile e prezioso, fonte di vita. La trota iridea è la sentinella ambientale, termometro della buona qualità delle acque perché si trova esclusivamente all’interno di quelle pulite: un vantaggio per la salute del consumatore. Un pesce prezioso perché sano, sicuro e controllato, da sempre fiore all’occhiello della cucina italiana e dell’acquacoltura nazionale e arriva giornalmente e freschissimo dagli allevamenti alle pescherie». (API; photo © www.cortilia.it)
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VALLICOLTURA
Un luogo magico, conservato con passione e rimasto immutato nei secoli
Ca’ Da Riva Perini, nel cuore della laguna nord di Venezia di Gian Omar Bison
Gli ambienti lagunari, anfibi, luoghi di metamorfosi naturale e artificiale per definizione, sono il compendio, il risultato di un processo di trasformazione secolare e in perpetua evoluzione. Archetipo di mutamento per definizione. Luoghi di scambio tra terra e acqua; tra acqua dolce ed acqua salata. Dimostrazione che “tutto scorre” e che “non si può entrare due volte nello stesso fiume”. Insieme una condanna e una salvezza: il divenire (antropico, giuridico, climatico, ecologico, idrogeologico), come logos, punto fermo, certezza esistenziale. Ineludibile. Ma anche come mira, tensione verso l’armonia spirituale.
Venezia e la sua laguna sono tutto questo, da secoli, checché ne dicano il MOSE, lo spostamento e lo scavo di fiumi, canali, cippi confinari. Farsene una ragione aiuterebbe chi, come CARLO MARCHESI, comproprietario di valle Ca’ Da Riva Perini, allunga uno sguardo rapito e languido sulle bellezze della sua valle quasi a voler mummificare Venezia, la sua laguna, la sua immanenza. E custodirla eterna e immutabile. Come un amante tradito dal tempo e dallo spazio prima ancora che dagli uomini. Con lui parliamo della prima valle da pesca della laguna nord, grande 300 ettari equamente divisi tra acque
e terre. Proprietà che inizia ad Altino e arriva, attraverso il canale Siloncello, in prossimità dell’isola di Torcello. In mezzo un’isola, tra le tante, dove nel Cinque-Seicento i primi possidenti innalzarono il classico casone, restaurato nei secoli, e crearono le condizioni e i manufatti necessari per la tipica pesca di valle. Cent’anni di proprietà iniziata con il nonno, PIERO MARCHESI, agli inizi del 1900 e proseguita fino ad oggi con i suoi discendenti. «Le valli da pesca — sottolinea il nipote Carlo Marchesi — sono state nel tempo quelle passioni, per certi aspetti esclusivi, che alcune famiglie facoltose potevano permettersi per
Ca’ Da Riva Perini è la prima valle da pesca della laguna nord: 300 ettari equamente divisi tra acque e terre.
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In alto: Carlo Marchesi. In basso: tre chiaviche delimitano i laghi di valle, due di acqua salata e una parzialmente dolce.
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il diletto della caccia, della pesca, della laguna da vivere e amare. E in questo senso va inquadrata la disponibilità a mantenere e preservare dall’abbandono un’attività ricreativa, non certo economica, che diversamente la relegherebbe ad azienda in perdita costante e di difficile prospettiva». Tre chiaviche delimitano i laghi di valle, due di acqua salata e una parzialmente dolce. Buona la salinità (18-20 parti per mille), le condizioni sono idonee all’allevamento puramente estensivo di branzini e cefalame (lotregani, volpine, ecc…), più delicato quello delle orate. Si semina solo selvatico pescato da pescatori professionisti (novellanti) alla fine dell’inverno lungo le spiagge di Chioggia e Burano e che poi si alimenta naturalmente, nessun mangime. «Non fosse per i cormorani, vera e propria calamità naturale, le cose andrebbero in maniera piuttosto ordinaria. Ma questo è un predatore incredibile per la capacita di inghiottire pesce oltre che di distruggerne. Quest’anno saremo costretti a mettere delle reti di copertura nei ricoveri invernali (peschiere) con un ulteriore aggravio di costi. I piani di contenimento della popolazione di cormorani (ancora non attuati), in continuo aumento, non riusciranno ad avere una efficacia tale da poter garantire la produzione sull’attività di pesca». Ogni anno in stagione vengono immessi circa 40.000 orate, 20.000 branzini e 100.000 cefali, portando a maturazione soltanto il 40% del pesce per un ammontare di 40-50 kg circa ad ettaro di acqua (ricordiamo che alcuni studi hanno dimostrato che il pareggio dei costi nelle valli viene raggiunto con un quintale di pescato per ettaro di superficie utile aziendale). Due dipendenti fissi, tra i quali il capovalle, e alcuni collaboratori occasionali, la manodopera necessaria ai lavori di allevamento e manutenzione. «Trent’anni fa ci si avvicinava ad un quantitativo di pescato vicino al quintale/ettaro, con un costo al chilo dei branzini che si avvicinava, al produttore, alle 30.000 lire. Oggi
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Ca’ Da Riva Perini è una delle poche realtà vallive al di fuori della Linea di Conterminazione Lagunare istituita dalla Repubblica Serenissima di Venezia nel XVIII secolo per delimitare ciò che era di competenza del Magistrato alle Acque e ciò che invece doveva sottostare al Genio Civile.
Ogni anno in stagione vengono immessi circa 40.000 orate, 20.000 branzini e 100.000 cefali, portando a maturazione soltanto il 40% del pesce per un ammontare di 40-50 kg circa ad ettaro di acqua
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conferiamo all’ingrosso ai mercati di Chioggia o Venezia (Tronchetto) per un importo pari a 8 €/kg per i branzini e 2 €/kg circa per i cefali. Cifre irrisorie per supportare i costi. Eppure, dopo il pescato di mare, in un’ipotetica scala di qualità del pesce veniamo noi come vera eccellenza. In definitiva, parliamo ad oggi di un giro d’affari sviluppato dalla valle di 40.000 €/anno in tutto, con costi che sono il triplo, almeno». Carlo Marchesi lavora come imprenditore agricolo nelle proprietà di famiglia e, se parliamo di futuro della valle e di vallicoltura, si incupisce. «Non riesco a dare un senso al mantenimento di questa situazione, se non legando l’attività all’indotto turistico e ricettivo che Venezia in quanto tale è in grado di sviluppare. Ma preferisco non pensarci. Fare squadra con le altre valli? Impossibile. Ognuna ha la sua specificità e ogni vallicoltore è geloso della sua realtà. Impossibile anche pensare di riconoscerci e proporci sul mercato con un marchio ombrello, pubblico o privato che sia».
Talmente diversa la storia da valle a valle, così come l’annosa questione delle proprietà e dei soldi chiesti dallo Stato ai proprietari come indennità di occupazione prolungata di un bene pubblico (l’acqua) demaniale. «Nella fattispecie valle Ca’ Da Riva Perini è una delle poche realtà vallive al di fuori della Linea di Conterminazione Lagunare istituita dalla Repubblica Serenissima di Venezia nel XVIII secolo per delimitare ciò che era di competenza del Magistrato alle Acque e ciò che invece doveva sottostare al Genio Civile. Tale posizione non le ha dato nei secoli la possibilità di aderire a finanziamenti per opere di miglioramento e manutenzione della proprietà, perché al di fuori del perimetro che nel 1991 venne modificato includendola. Tale modifica portò con sé anche una presunta demanialità (ad oggi ancora irrisolta) dell’acqua al suo interno. Qui sta l’errore: l’acqua e le terre emerse all’interno della valle sono un tutt’uno, così come unico deve essere il soggetto deputato alla tenuta ed alla manutenzione». Gian Omar Bison
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MARICOLTURA
Nuove tecnologie di gestione per la mitilicoltura longline Come affrontare la crescente difficoltà nel programmare la produzione di impianti in mare aperto
Il settore dell’allevamento dei mitili ha subito, nel corso degli anni, un’intensa evoluzione. I primi impianti, costituiti da pali in legno infissi nel fondale di acque poco profonde, sono stati rapidamente affiancati e sostituiti da grandi allevamenti, o vivai, in mare aperto. Il metodo più diffuso al giorno d’oggi è il sistema longline, che prevede strutture simili a filari composti da funi di lunghezza variabile — in genere dai 100 ai 200 metri — ancorate al fondale marino e mantenute a circa tre metri di profondità tramite dei galleggianti gonfiati ad aria compressa o riempiti con
schiuma di poliuretano. I mitili vengono allevati appendendo a queste funi di supporto delle calze, chiamate anche reste, formate riempiendo reti tubolari in plastica e cotone con il prodotto da far crescere e riprodurre, di una lunghezza che di solito va dai 2 ai 7 metri, a seconda della profondità delle acque in cui si lavora. Sebbene esistano vari accorgimenti che vanno a differenziare ulteriormente il sistema longline per adattarlo alle condizioni geomorfologiche e meteomarine locali, spesso i fattori più importanti che determinano una crescita ottimale
dei molluschi e un efficiente metodo di allevamento sono le decisioni prese dai responsabili della produzione degli impianti. In particolare, il diametro e la dimensione delle maglie delle reti da utilizzare per le reste, la corretta selezione per dimensione dei molluschi da reincalzare, la tempistica associata alla lavorazione del prodotto e la disposizione intelligente dello stesso sui filari di un vivaio, sono tutti aspetti critici che contribuiscono al successo di una stagione di mitilicoltura. Seguire nel tempo tutte queste variabili diventa fondamentale quando
Una resta appena raccolta, piena di prodotto pronto per essere portato alla vendita. 36
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Una classica imbarcazione per la lavorazione dei mitili naviga tra i filari di un impianto a Rimini. si gestiscono numerosi filari, o quando si vuole mettere in pratica una programmazione delle vendite il più precisa possibile: saper comunicare ai clienti quanta merce potrà essere disponibile in un determinato periodo, o poter garantire una continuità
stabile nella fornitura del prodotto, sono requisiti sempre più presenti nel mondo della mitilicoltura. Anche la nuova frontiera della certificazione biologica dei mitili, per poter essere accordata, richiede al mitilicoltore di applicare un me-
todo di tracciabilità del prodotto lavorato. Oggigiorno, ogni responsabile di produzione ha sviluppato il proprio metodo per l’organizzazione della produzione, che spesso si basa su decine di grandi copie cartacee delle
L’interfaccia di Mitilab, nuovo software per la gestione di produzione in mitilicoltura. 38
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Le nuove reste vengono appese ad un filare dedicato. La dimensione delle reti varia in base a quella del prodotto appena reincalzato.
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mappe dei vivai tenute nelle cabine delle imbarcazioni, riempite di simboli, testi e disegni di vari colori per indicare il tipo di rete utilizzato, il tipo di prodotto reincalzato, la data di ultima lavorazione, lo stato del filare e via discorrendo. In uno scenario del genere, è facile perdere informazioni di fondamentale importanza per programmare la produzione, o confondere simboli spesso minuscoli e simili tra loro. Fortunatamente, la tecnologia sta seguendo da vicino l’evoluzione della mitilicoltura e ne sta anticipando i bisogni. Engynya, una start-up innovativa di Rimini con una spiccata predisposizione allo sviluppo di software, app e soluzioni hardware che permettono ai suoi clienti di aumentare la produttività e la qualità del lavoro, in collaborazione con l’azienda già esperta del settore Cocci Luciano Srl, sta sviluppando un avanzato software per la gestione della produzione di un impianto di mitilicoltura, prevedendo tutte le possibili dinamiche presenti durante la lavorazione del prodotto in un sistema longline. L’innovativo sistema gestionale si chiamerà Mitilab e sarà costruito su
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Engynya, start-up di Rimini, in collaborazione con la Cocci Luciano Srl, sta sviluppando un software per la gestione della produzione di un impianto di mitilicoltura, prevedendo tutte le possibili dinamiche presenti durante la lavorazione del prodotto in un sistema longline
MANGIME PER AVANNOTTI
un’architettura di tipo cloud per una migliore protezione dei dati. Il programma replica su computer la mappa del vivaio longline (o dei vivai, se più di uno), permettendo all’utente di seguire e gestire il processo di produzione dei molluschi, dalla semina alla lavorazione, fino alla collocazione in vendita ai diversi clienti. Il programma calcolerà automaticamente una serie di statistiche di produzione e sarà in grado di costruire e mantenere in memoria la storia (tracciabilità) di ogni singolo lotto di produzione. Oltre agli aspetti relativi al prodotto, il programma sarà dotato di un avanzato sistema per la manutenzione programmata delle strutture fisse e mobili del vivaio, permettendo, per esempio, di seguire la data degli interventi di pulizia degli ancoraggi, di sostituzione delle funi e dei galleggianti, ed altro ancora. Mitilab potrà essere utilizzato sia da grandi aziende, dove un unico soggetto gestisce più vivai, sia da piccoli allevatori o cooperative,
dove un vivaio può essere suddiviso in filari utilizzati da più operatori. Mitilab sarà presentato alla fiera di Pordenone Aquafarm 2018, dove, durante l’intervento dedicato, gli operatori del settore potranno approfondire gli aspetti relativi all’installazione e all’uso del software, e anche suggerire modifiche e funzionalità aggiuntive prima del lancio definitivo del prodotto sul mercato. L’incontro sarà anche un’occasione per discutere il futuro della mitilicoltura, un settore in ambiente marino dall’impronta agricola proiettato sempre più verso l’industrializzazione.
Pordenone 15-16 febbraio 2018 >> Link: www.aquafarm.show
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AZIENDE
Riscoprire la polpa di storione Tutti lo conoscono come il pesce dal quale si ottiene caviale, ma la polpa dello storione è altrettanto preziosa per i valori nutrizionali e la delicatezza del sapore che ne fanno un alimento sano, per tutte le età e i gusti. Perché, come sosteneva già Pellegrino Artusi, “lo storione è buono in tutte le maniere: lesso, in umido, in gratella” di Riccardo Lagorio
All’inizio del nuovo millennio l’economista PETER DRUCKER affermò che l’acquacoltura e non internet avrebbe rappresentato la più interessante forma d’investimento del XXI secolo. Lo diceva in particolare avendo sotto gli occhi le statistiche relative all’andamento del consumo di storione: in caduta libera il consumo di quello selvaggio, anche per merito
degli accordi in sede CITES1 volti a salvaguardare la specie, in costante crescita quello di allevamento. Storicamente la polpa di storione è sempre stata consumata localmente, lungo i fiumi o le coste dove il pesce veniva catturato e venduta a basso prezzo come cibo di sussistenza per le fasce di popolazione più povere. In particolare nelle regioni dove la domanda
si è consolidata perché l’offerta era ampiamente disponibile, come nei Paesi dell’ex Unione Sovietica e dell’Europa orientale, il prezzo può raggiungere cifre che da noi sono poco realizzabili. Queste aree del mondo rappresentano mercati potenziali che solo l’acquacoltura può soddisfare. Attualmente la vendita di polpa di
In oltre 60 ettari di vasche dedicate all’acquacoltura, Agroittica Lombarda alleva le varietà di storione più pregiate, permettendo all’azienda di disporre di più del 10% della produzione mondiale del caviale d’allevamento.
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Nel 2016 in Italia sono stati venduti oltre 140.000 chili di storione. Grazie alla filiera italiana totalmente controllata, lo storione è idoneo al consumo crudo diretto e non richiede abbattimento termico per l’inattivazione dei parassiti, in quanto non presenti nell’ambiente allevatoriale Sotto il profilo culinario, lo storione risulta assai versatile e si presta alle preparazioni più disparate, con tempi di cottura rapidi. storione è ancora poco significativa rispetto ad altre specie. Pertanto, sussistono ragioni economiche e salutari assai concrete per far sì che il mercato della polpa di storione si consolidi, ancorché in tempi che vanno dai 5 ai 10 anni, anche nei Paesi occidentali. Eccone alcune. Innanzitutto il caviale, la ragione principale per cui oggi lo storione viene allevato, raffigura circa il 10% della remunerazione complessiva ottenibile da un singolo soggetto mentre la polpa rappresenta indicativamente il 67%. La polpa di storione è in vendita fresca, affumicata, congelata o essiccata, intera, in tranci o filetti, sotto forma di terrine o in scatola. Ovviamente esistono rilevanti variazioni di prezzo a seconda sia messo in commercio vivo o lavorato affumicato. Altri sottoprodotti dello storione sono la pelle e prodotti artigianali derivati, la colla di pesce che deriva dalla vescica natatoria e gli estratti del caviale per ragioni cosmetiche di lusso. Valorizzare la polpa dello storione e gli altri derivati può essere un proposito delle aziende allevatrici per il breve ciclo di rientro del capitale (4 anni) e un per un vasto mercato
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potenziale. Anche il consumatore godrebbe di vantaggi. Lo storione è un pesce allevato, pertanto sicuro sotto il profilo sanitario. Ed essere immesso sul mercato finale sempre fresco. La disponibilità di avere polpa di storione tutto l’anno, anche lavorata, è un elemento che può giocare a favore dell’incremento di consumo. Peraltro, anche la percezione che l’utente ha dello storione è quella di un pesce sostenibile e privo di spine, quindi facilmente usufruibile. Ancora poco è stato fatto per diffondere le caratteristiche nutrizionali dello storione. A tal proposito AGROITTICA LOMBARDA, l’azienda bresciana leader mondiale nella produzione di caviale e nell’allevamento di storione, si sta impegnando da anni a diffondere presso il pubblico queste indicazioni. La polpa di storione possiede un alto contenuto proteico e di Omega-3. 100 grammi di storione contengono infatti il 3,16% di grassi monoinsaturi e l’1,54% di grassi polinsaturi. Poiché la filiera italiana è completamente controllata, lo storione è idoneo al consumo crudo e non richiede l’abbattimento termico per l’inattivazione dei parassiti. E anche
qualora si congelasse, non si va incontro a una perdita qualitativa: la polpa mantiene la sua caratteristica compattezza. Sotto il profilo culinario, lo storione risulta assai versatile e si presta alle preparazioni più disparate, con tempi di cottura rapidi. A partire dai ricettari del XV secolo, lo storione ottenne un ruolo centrale sulle mense, descritto talvolta alternativo alla carne di bovina come vuole MASTRO MARTINO nel 1450. Più di recente, PELLEGRINO ARTUSI si sente in dovere di concedere allo storione un’intera illustrazione prima di fornire la sua ricetta, lo Storione in fricandò, anticipando che lo storione è buono in tutte le maniere: lesso, in umido, in gratella. Nella seconda metà del Novecento, LUIGI CARNACINA e NINO BERGESE propongono ricette che risentono del particolare periodo storico: l’una ricca di burro e panna, l’altra con generoso apporto di Madera. Alcuni dei grandi ristoranti italiani propongono o hanno proposto nella loro carta piatti a base di storione. Il tristellato Dal Pescatore di Canneto sull’Oglio, prendendo forse spunto dal più tradizionale Luccio in
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Storione bianco con semi di sesamo. 44
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Se da un punto di vista nutrizionale lo storione bianco di Agroittica Lombarda ha tutte le benefiche proprietà del pesce, presenta anche la versatilità di preparazione della carne bianca, non ha lische e non pone il problema dello scarto, poiché viene venduto totalmente edibile. salsa, ha elaborato lo Storione in salsa mantovana (di capperi, acciughe, aglio e prezzemolo); ALFONSO IACCARINO (Don Alfonso 1890, Sant’Agata sui Due Golfi, Napoli) declina il pescione secondo gli elementi distintivi della sua cucina campana marinara, gli Involtini di storione ai peperoni, capperi, olive e basilico; Al Gambero di Calvisano, un’istituzione della famiglia Gavazzi a due passi peraltro dalle vasche dove vivono gli storioni Agroittica e che detiene la stella Michelin dal 1989, cucina lo Storione al basilico (tranci di storione al vapore irrorati dalla salsa al basilico, con burro e fumetto di pesce).
Insomma le migliori cucine hanno sempre portato lo storione in tavola. Qualcosa si sta muovendo anche sulle tavole delle massaie. In un documento diffuso da Agroittica Lombarda si rimarca che, nonostante la conoscenza ancora marginale di questo pesce, vi sono segnali positivi che lo storione, arrivi sulle tavole degli italiani non solo attraverso il mondo della ristorazione (le vendite HORECA ammontano al 41%), ma anche come scelta diretta del consumatore che può trovarlo sia negli negozi di vicinato sia nella Grande Distribuzione (59%). Non sorprende neppure, anche per aspetti culturali
Agroittica Lombarda è un’azienda italiana leader che vanta il più grande allevamento di storioni d’Europa. In oltre 60 ettari di vasche dedicate all’acquacoltura vengono allevate le varietà di storione più pregiate, permettendo all’azienda di disporre di più del 10% della produzione mondiale del caviale d’allevamento (circa 230 tonnellate), producendo oltre 25 tonnellate annue di uova di storione, in un ambiente ideale per la riproduzione e la crescita delle specie ittiche più pregiate. >> Link: www.calvisius.com
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e territoriali, che lo storione, sia maggiormente venduto al Centro Nord (72%) rispetto al Centro-Sud d’Italia (28%). In attesa che l’Italia divisa in due anche dallo storione colmi le differenze, le vendite volano anche in Europa. E fanno di questa impresa bresciana un fulgido esempio della correttezza delle previsioni espresse da Drucker. Riccardo Lagorio Nota 1.La Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, o CITES, dall’inglese Convention on International Trade of Endangered Species, è una convenzione internazionale firmata a Washington nel 1973. Ha lo scopo di regolamentare il commercio internazionale di fauna e flora selvatiche in pericolo di estinzione. Riguarda il commercio di esemplari vivi o morti, o solo parti di organismi o prodotti da essi derivati, mirando a impedire lo sfruttamento commerciale delle specie in pericolo. 45
Aller Aqua va in Cina Lo scorso 31 ottobre il Gruppo Aller Aqua ha inaugurato il suo sesto stabilimento, Aller Aqua Quingdao, appena un mese dopo l’inaugurazione dell’impianto in Zambia. L’impianto sarà specializzato nel settore dell’acquacoltura per specie di acqua fredda, in crescita in Cina «L’inaugurazione di due stabilimenti in due mesi è un evento eccezionale» ha dichiarato HANS ERIK BYLLING, presidente di Aller Aqua Group. «Gli anni che hanno preceduto le inaugurazioni sono stati molto impegnativi e ora siamo finalmente pronti. Sono fiero di tutto quello che abbiamo ottenuto». È stato poi il figlio ANDERS C. BYLLING, amministratore delegato di Aller Aqua Qingdao, a spiegare che «il processo di costruzione di uno stabilimento in Cina è stato molto lungo. Ci sono stati alcuni ritardi lungo il processo, ma abbiamo ottenuto il nostro obiettivo. Il nostro
team in Cina ha lavorato davvero sodo per fare in modo che tutto fosse pronto per l’inaugurazione e funzionasse nel migliore dei modi». Erano circa duecento i partecipanti all’inaugurazione lo scorso 31 ottobre di Aller Aqua Quingdao e quasi trecento i partecipanti al Seminario internazionale di tecnologia di acquacoltura per pesci di acqua fredda organizzato il giorno precedente. Aller Aqua ha scelto di posizionarsi in Cina senza un partner cinese, proprio come già fatto da altre aziende di mangimi. «Abbiamo scelto di aprire lo stabilimento senza un part-
ner locale allo scopo di assicurarci di essere sempre in grado di offrire i prodotti che i nostri clienti conoscono già» ha spiegato Hans Erik Bylling. «Abbiamo consegnato mangimi acquatici di alta qualità in Cina nel corso degli ultimi vent’anni, mangimi che sono prodotti in linea con gli standard europei, e continueremo a operare in questo stabilimento proprio come se fosse in Danimarca. Questo obiettivo verrà raggiunto approvvigionando le materie prime in Europa e assicurando un team locale altamente formato che sappia come adempiere agli standard europei».
Hans Erik Bylling e il figlio Anders C. Bylling alla cerimonia di inaugurazione di Aller Aqua Quingdao.
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Lo stabilimento cinese si concentrerà sul settore dell’acquacoltura per specie di acqua fredda, che è in crescita in Cina. Il seminario svoltosi il 30 ottobre e dedicato proprio a questa branca dell’acquacoltura è stato presentato dal rinomato Heilongijang River Fisheries Research Institute (HRFRI) dell’Accademia cinese di scienza della pesca. Il programma, alla presenza di relatori illustri, sia cinesi che europei, ha previsto per i partecipanti anche una visita a Aller Aqua Qingdao e a China Fishery Expo. Aller Aqua Qingdao avrà una capacità di produzione di 45.000
tonnellate all’anno. Lo stabilimento è il primo inaugurato da Aller Aqua in Asia e Hans Erik Bylling lo considera essenziale. «Questo stabilimento aumenterà la nostra concorrenzialità in Cina grazie a tempi di consegna più brevi su mercati fondamentali». Lo stabilimento esporterà sia in Corea che in Vietnam.
Zambia e Cina, ha la sede centrale a Christiansfeld. L’aggiunta dei due nuovi stabilimenti e di una terza linea di produzione in Egitto raddoppierà le capacità produttive di Aller Aqua. Nel complesso, l’azienda dà lavoro a circa 270 persone e presenta un fatturato totale all’incirca pari a DKK 1 miliardo.
Danish Aller Aqua Group Danish Aller Aqua Group, leader nella produzione di mangimi per pesci per oltre sessanta Paesi in tutto il mondo, con stabilimenti in Danimarca, Polonia, Germania, Egitto,
>> Link: www.aller-aqua.com
Il taglio del nastro. Aller Aqua Qingdao è il sesto stabilimento del Gruppo.
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INFO ALLE IMPRESE
Contributi a fondo perduto
Finanziamenti a fondo perduto del 50% settore ittico Fondo Europeo Affari Marittimi e Pesca (FEAMP) 2014 – 2020
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Bando misura 2.48 per investimenti produttivi nel settore dell’acquacoltura È operativo il bando per richiedere un contributo a fondo perduto del 50% per i seguenti investimenti con possibilità di recupero spese dal 26/11/2015: 1. costruzione/ampliamento o miglioramento degli impianti di acquacoltura e maricoltura per la
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4.
5. 6.
riproduzione di pesci, crostacei e molluschi o altri organismi marini di interesse commerciale; acquisto di barche di 5a categoria al servizio degli allevamenti; acquisto di attrezzature o macchinari per impianti di acquacoltura; acquisto di celle frigorifere, produttori di ghiaccio, mezzi di trasporto con gruppo frigorifero non rimuovibile dalla motrice “VAN” o coibentazione sui mezzi di trasporto; lavori di sistemazione o di miglioramento dei circuiti idraulici; impianti di energia da fonte rinnovabile ad uso aziendale;
7. spese per il miglioramento delle condizioni d’igiene e sanitarie e dei sistemi di produzione con l’acquisto di attrezzature volte a proteggere gli allevamenti dai predatori; 8. programmi informatici hardware e software dedicati ai processi produttivi.
Per informazioni FABO S.I. Srl Telefono: 0545 84488 Fax: 0545 84555 E-mail: info@fabosi.it Web: www.fabosi.it
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PESCA
L’etichettatura dei prodotti della pesca in fase di produzione primaria di Luciano Boffo
Le recenti normative in materia di etichettatura dei prodotti della pesca impongono di dare delle informazioni chiare, precise e puntuali sulle caratteristiche dei prodotti ittici che vengono commercializzati. In particolare deve essere: • identificato con precisione il prodotto (denominazione commerciale e scientifica); • indicato se è pescato o allevato; • la zona geografica di provenienza; • la categoria degli attrezzi da pesca;
• lo stato fisico di conservazione; • il termine minimo di conservazione o la data di scadenza se appropriato; • la presenza di allergeni; • eventuali additivi che sono stati aggiunti. Possiamo senz’altro dire che oggi il pesce parla attraverso l’etichetta e non possiamo più usare l’espressione “muto come un pesce”. L’obiettivo dell’etichettatura è quella di dare informazioni utili al consumatore, garantire un livello elevato di pro-
tezione e di sicurezza alimentare, rendere più trasparenti le transazioni commerciali assicurando la tracciabilità di filiera in tutte le fasi del processo produttivo. Il Regolamento CE n. 1224/09 e il Regolamento CE n. 404/11 impongono che le informazioni che scaturiscono nella produzione primaria devono essere mantenute e rese disponibili anche durante le fasi successive della commercializzazione del prodotto, fatta eccezione per la vendita al consumatore finale. Va però sottolineato che l’etichetta-
Pesca di pesce azzurro, mare Alto Adriatico Chioggia.
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Esempio di etichetta usata in produzione primaria per acciuga Partita: UE 2240 25/07/17 0037 Nome e CI motopeschereccio: Ringo CI 2723 Codice alfa 3: ANE – WHL – FRE Data cattura: 25/07/17 Quantitativo: 1.500 kg Nome fornitore: Rossi Mario Informazioni Reg. CE n. 1379/13: Acciuga – Engraulis encrasicolus – Fresco – Pescato Zona FAO 37.2.1 – Reti da traino pelagiche a coppia PTM
Esempio di etichettatura polpo fresco dopo lavorazione Blupesca via Saloni, 59 – Chioggia IT Polpo fresco eviscerato, Octopus vulgaris M9R6J Codice alfa 3: OCC – GUT – FRE – HCN CE Lotto: 18/18 Data pesca: 17/01/18 Data lavorazione: 17/01/18 Quantitativo: 6 kg Nome e CI motopeschereccio: Ketty CI 03280 Partita: UE XXX 17/01/18 0046 Nome fornitore: Rossi Mario Metodo di produzione: Pescato Zona FAO 37.2.1 – Reti da traino – Conservare a 0-4 °C – Da consumare previa cottura
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tura dei prodotti ittici è un sistema dinamico che varia in funzione della fase del processo produttivo: produzione primaria, produzione post primaria (lavorazione e commercializzazione presso stabilimenti CE), vendita al dettaglio. L’etichettatura varia inoltre anche in funzione della modalità di presentazione del prodotto: prodotto sfuso, preincartato, preimballato e grande imballo destinato ad ulteriore trasformazione. In questo articolo prenderemo in considerazione, per limiti di spazio, solo l’etichettatura relativa alla produzione primaria e alla produzione post primaria, limitatamente ai mercati ittici all’ingrosso, alle sale aste e agli stabilimenti CE di lavorazione. Successivamente, in un secondo articolo, si prenderà in considerazione l’etichettatura dei prodotti ittici destinati alla vendita al consumatore finale. I Regolamenti CE n. 1224/09 e n. 404/11 hanno introdotto, tra le altre cose, anche tutta una serie di disposizioni per tutelare le risorse biologiche delle acque marine e permettere uno sfruttamento più razionale degli stock ittici evitando situazioni di criticità determinate da “sovrapesca”. Una recente circolare della FAO ha messo in evidenza che il 30% degli stock ittici dei nostri mari è eccessivamente sfruttato tanto da determinare situazioni di criticità con conseguente rischio di scomparsa di certe specie ittiche; il 57% degli altri stock ittici è pienamente sfruttato e non è più possibile aumentare lo sforzo di pesca. La Comunità in questi ultimi anni, proprio per tutelare le risorse biologiche marine, ha emanato tutta una serie di disposizioni normative per favorire una pesca sostenibile e incentivare le attività di allevamento. L’art. 58 del Reg. CE n. 1224/09 ha definito le modalità con le quali deve essere garantita la tracciabilità nella produzione primaria e nelle fasi successive di commercializzazione del prodotto, che, a ben guardare, si differenzia dalla tracciabilità di tipo sanitario. Il primo anello della filiera è rappresentato dall’attività di pesca. Ogni imbarcazione deve essere dotata di un giornale di pesca
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Alcune modalità di presentazione dei prodotti ittici Modalità di presentazione
L’obiettivo dell’etichettatura dei prodotti è dare informazioni utili al consumatore, garantire la sicurezza alimentare e rendere trasparenti le transazioni commerciali, assicurando la tracciabilità di filiera in tutte le fasi del processo produttivo
Filetto
FIL
Filetto senza pelle
FIS
Filetto con pelle
FSB
Eviscerato
GUT
Eviscerato e senza branchie
GUG
Decapitato
HEA
Salato a secco
SAD
Salato in salamoia
SAL
Salato ed eviscerato
SGT
Surimi
SUR
Intero non trasformato
WHL
Vivo Idoneo al consumo umano cartaceo o elettronico nel quale sono riportati i dati relativi alla data di pesca, all’orario, agli attrezzi impiegati, alle zone dove si sono svolte le operazioni di pesca, alle specie catturate, ai quantitativi, ecc… Seguono poi una serie di fasi fondamentali nel processo della tracciabilità: la pesatura del prodotto, l’etichettatura, la compilazione della dichiarazione di sbarco, l’assunzione in carico della partita da parte del commissionario del mercato all’ingrosso o della sala aste, l’emissione della nota di vendita. L’art. 58 del Reg. CE n. 1224/09, noto anche come articolo sulla “tracciabilità”, stabilisce che nell’etichetta o nei documenti commerciali di accompagnamento devono essere riportate le seguenti informazioni: • numero di identificazione della partita; • numero di identificazione o nome del motopeschereccio; • nome dell’unità di produzione in acquacoltura; • codice FAO alfa 3 di ogni specie; • data di cattura o di pesca; • quantitativo in kg di ciascuna specie o numero di individui; • nome e indirizzo dei fornitori; • le informazioni previste dall’art. 35 del Reg. CE n. 1379/13 per il consumatore finale;
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Codice FAO alfa 3
• se i prodotti sono surgelati/congelati. Qualora le informazioni vengano fornite per mezzo di un documento commerciale che accompagna fisicamente la partita, ci deve essere una correlazione, mediante l’assegnazione di un codice, tra il documento e la partita stessa. Quando si parla di partita si intende, ai sensi del Regolamenti CE n. 1224 e 404/11, il quantitativo di una determinata specie proveniente dalla stessa zona di pesca, dallo stesso peschereccio o gruppo di pescherecci, della stessa giornata di pesca e con la stessa modalità di presentazione. Il Decreto n. 155/11 chiarisce che il codice della partita deve essere formato dal nome o dal numero UE del motopeschereccio e/o dal sito di acquacoltura, dalla data di sbarco (che spesso coincide con la data di pesca) e da un numero progressivo per anno solare riferito alla partita. Le partite dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura devono, ai sensi dell’art. 58 del Reg. 1224/09, essere rintracciabili in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione. In pratica, dal momento della cattura fino alla fase precedente della vendita al dettaglio. Le informazioni previste dall’art. 58 possono essere fornite tramite le
ALI HCN etichette, l’imballaggio o il documento commerciale purché ci sia correlazione tra questo e la partita (nell’imballaggio deve essere riportato il numero della partita). Le partite possono essere mescolate successivamente alla prima vendita solo se si è in grado di risalire alla partita d’origine e quindi alle fasi di cattura e di raccolta del prodotto. Questo può essere realizzato con sistemi elettronici, codici a barre, microchip, codice QR, ecc… L’OSA, inoltre, deve avere delle procedure che consentano di identificare chi ha fornito i prodotti e a chi sono stati ceduti, eccezion fatta per il consumatore finale. Nelle etichette della produzione primaria deve essere riportato il codice FAO almeno riferito alla specie; è costituito da tre lettere che fanno riferimento alla famiglia, al genere e alla specie. Così, ad esempio: orata SBG, seppia CTC, mitili MSM, vongole CLJ… L’utilizzo del codice FAO alfa 3, considerata la sua valenza universale, consente una più rapida e sicura attività di controllo da parte degli organismi proposti. Da sottolineare che con Decreto del Ministero delle Politiche Agricole del 22/09/2017 n.19105 sono state definite le nuove denominazioni scientifiche e in lingua italiana delle specie ittiche commer-
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Esempi di codice FAO alfa 3 Orata, Sparus aurata Intera Fresca Codice alfa 3: SBG – WHL – FRE Seppia, Sepia officinalis Eviscerata Congelata Codice alfa 3: CTC – GUT – FRO Stoccafisso, Gadus morhua Eviscerato, decapitato Essiccato Codice alfa 3: COD – GUH – DRI Sardina, Sardina pilchardus Filetto con pelle Fresca Codice alfa 3: PIL – FSB – FRE Mitilo, Mytilus galloprovincialis Intero non trasformato Vivo Codice alfa 3: MSM – WHL – ALI Vongola verace, Tapes semidecussatus Intero non trasformato Vivo Codice alfa 3: CLJ – WHL – ALI
cializzate. Il codice FAO alfa 3 può essere completato (non obbligatorio) con altre due triplette di lettere, una che permette di identificare le modalità di presentazione e una lo stato di trasformazione (nella tabella vengono riportati alcuni esempi di modalità di presentazione dei prodotti ittici e alcuni esempi di codice alfa 3). L’art. 58 del Reg. CE n. 1224/09 prevede che tra le altre informazioni che devono essere riportate in etichetta sia indicato anche il peso della partita. La pesatura del prodotto viene effettuata in prima battuta a bordo del motopeschereccio sotto la responsabilità del comandante dell’imbarcazione o suo delegato con
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metodi non approvati. I dati relativi vengono registrati nel giornale di pesca; come chiarito dal Ministero delle politiche Agricole con Circolare n. 0026798 non ci deve essere una differenza superiore al 10% tra i pesi riportati nel giornale di pesca e quelli indicati nel foglio di sbarco. La pesatura ufficiale della partita con sistemi certificati viene effettuata al momento dello sbarco del prodotto prima della sua immissione sul mercato. Responsabili della corretta pesatura sono i centri d’asta, che in genere affidano l’incarico ai commissionari (art. 60 del Reg. 1224/09). Il responsabile della pesatura deve riportare, in apposito registro che va conservato per tre anni:
• il codice FAO alfa 3 della specie; • il quantitativo di ciascuna specie in kg; • il n. UE del peschereccio; • le modalità di presentazione dei prodotti; • la data di pesatura. Eventuali differenze di peso della partita durante le fasi di commercializzazione possono essere dovute: • al calo legato alle fasi di conservazione: si verifica per tutte le specie ittiche, ma è particolarmente significativo nei molluschi bivalvi. Uno studio condotto dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie sezione di Adria ha messo in evidenza come le vongole possono avere un calo che va dal
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Esempio etichettatura seppia pulita decongelata Blupesca via Saloni, 59 – Chioggia IT Seppia pulita decongelata, Sepia officinalis M9R6J Codice alfa 3: CTC CE Data produzione: 23/10/17 Data scadenza: 27/10/17 Provenienza: Mare Adriatico – Zona FAO 37.2.1 Metodo di produzione: Pescato – Attrezzi da pesca: reti da traino – Non ricongelare – Conservare a 0-4 °C – Da consumare previa cottura Lotto: 19/17/L Partita: UE XXX 25/07/17 0027
5,4% al 7,2%, mentre i mitili dal 9,1% al 10,7%; • allo scioglimento del ghiaccio di refrigerazione; • alla suddivisione della partita in più lotti. Adempimenti del comandante della barca Variano in funzione della lunghezza del motopeschereccio. • Pescherecci ≥ 10 m e < 12 m Compilare in formato cartaceo: 1. il giornale di pesca; 2. la dichiarazione di sbarco; 3. la dichiarazione di trasbordo. La dichiarazione di sbarco deve essere consegnata entro 48 ore alla capitaneria di porto e da questi inserita nel portale SIAN del Ministero delle Politiche Agricole. • Pescherecci > 12 m Compilare in formato elettronico: 1. il giornale di pesca; 2. la dichiarazione di sbarco; 3. la dichiarazione di trasbordo. I dati devono essere trasmessi almeno una volta al giorno alla conclusione delle operazioni di pesca e comunque prima dell’entrata in porto. La dichiarazione di sbarco deve essere inviata al Ministero delle Politiche Agricole entro 24 ore dal completamento delle operazioni. • Pescherecci ≥ 12 m e < 15 m che pescano entro le 12 miglia e che non trascorrono in mare più di 24 ore Possono richiedere e usufruire della deroga alla compilazione e trasmissione dei dati in formato elettronico.
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Compilare in formato cartaceo: 1. il giornale di pesca; 2. la dichiarazione di sbarco; 3. la dichiarazione di trasbordo. La dichiarazione di sbarco deve essere trasmessa entro 48 ore alla Capitaneria di Porto e da questi inserita nel portale SIAN. Informazioni per il consumatore che devono essere riportate nell’etichetta della produzione primaria L’art. 58 del Reg. CE n. 1224/09 stabilisce che, nelle etichette che vengono applicate alle singole partite, siano indicate anche le informazioni previste dal Reg. CE n. 1379/13. Nello specifico: denominazione commerciale, denominazione scientifica, zona geografica di pesca, metodo di produzione e attrezzi da pesca. Per quanto riguarda le denominazioni commerciale e scientifica è necessario fare riferimento al Decreto del Ministero delle Politiche Agricole del 22-09-2017 n. 19105. Per quanto riguarda il metodo di produzione dovrà essere indicato “pescato”, “pescato in acque dolci”, “allevato”. Relativamente agli attrezzi da pesca si deve fare riferimento alla prima colonna dell’allegato III del Reg. CE n. 1379/13 che comprende: sciabiche, reti da traino, reti da imbrocco e reti analoghe, reti da circuizione e reti da raccolta, ami e palangari, draghe, nasse e trappole. Nell’ambito poi di ciascuna categoria di attrezzi da pesca possono essere date delle informazioni più dettagliate riportando anche i relativi codici di identificazione.
Gli attrezzi da pesca vanno indicati esclusivamente per i prodotti della pesca catturati con imbarcazioni munite di opportuna licenza e di n. UE. Per i prodotti allevati o prelevati in acquacoltura non vanno indicati gli attrezzi da pesca. Per quanto riguarda i prodotti ittici di acque salmastre interne e di acque di laguna, come metodo di produzione va indicato “pescato” senza indicare alcuna categoria di attrezzi da pesca, a meno che l’attività non venga svolta con una imbarcazione munita di opportuna licenza e di n. UE. I prodotti della pesca subito dopo lo sbarco transitano per i mercati ittici all’ingrosso oppure per le sale d’asta o per stabilimenti di lavorazione o di reincassettamento o di riconfezionamento del prodotto. L’etichetta originaria dell’imbarcazione viene sostituita con un’altra nella quale viene riportato: • il bollo CE dello stabilimento, • la denominazione della ditta, • la denominazione commerciale e scientifica del pesce, • il codice FAO alfa 3, • lo stato fisico, • il metodo di produzione, • gli attrezzi da pesca utilizzati, • le modalità di conservazione, • il numero della partita, • il lotto di produzione, • eventuale data di produzione e data di scadenza. Miscugli di varie specie ittiche L’art. 67 del Reg. CE n. 404/11 obbliga l’OSA a fornire e a trasmettere, lungo la filiera, tutte le informazioni previste dall’art. 58 del Reg. CE n. 1224/09 per le singole specie ittiche che compongono il miscuglio. Questo obbligo viene ribadito anche dal Reg. CE n. 1379/13 che stabilisce che le informazioni previste dallo stesso regolamento per il consumatore finale devono essere fornite per ciascuna specie presente. Se viene posto in vendita per il consumatore finale un miscuglio di specie identiche ma con metodi di produzione diversi, deve essere indicato il metodo per ciascuna frazione. Se invece viene posto in vendita un miscuglio di specie
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Figura 1 – Zone FAO. identiche ma con zone di cattura o di allevamento diverse, deve essere indicata la zona di cattura o il paese di allevamento della frazione prevalente, sottolineando che le altre frazioni provengono da zone diverse di cattura. Zone FAO Per i prodotti della pesca catturati in mare deve essere indicata la denominazione della zona FAO espressa in termini comprensibili per il consumatore. Fanno eccezione la zona FAO 27 e la zona FAO 37. Così ad esempio può essere indicata (Figura 1): • la zona FAO 18 Mare Artico; • la zona FAO 51 Oceano Indiano occidentale; • la zona FAO 67 Pacifico Nord-est • ecc… Per la zona FAO 27 e la zona FAO 37 le indicazioni devono essere espresse in due livelli: • la denominazione della sottozona e/o della divisione FAO; • una definizione dell’area in termini comprensibili per il consumatore o un pittogramma che indichi tale zona di pesca. La zona FAO 37 (Figura 2) si divide in 4 sottozone: • sottozona 37.1: Mar Mediterraneo occidentale, che comprende tre divisioni:
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Figura 2 – Zona FAO 37. 1. divisione 37.1.1: Baleari; 2. divisione 37.1.2: Golfo di Leone; 3. divisione 37.1.3: Mare di Sardegna; • sottozona 37.2: Mar Mediterraneo centrale, che comprende due divisioni: 1. divisione 37.2.1: Mare Adriatico; 2. divisione 37.2.2: Mare Ionio; • sottozona 37.3: Mar Mediterraneo orientale, che comprende due divisioni: 1. divisione 37.3.1: Mare Egeo; 2. divisione 37.3.2: Mare di Levante; • sottozona 37.4: Mar Nero, che comprende tre divisioni:
1. divisione 37.4.1: Mare di Marmara; 2. divisione 37.4.2: Mar Nero; 3. divisione 37.4.3: Mare di Azov. Alcuni esempi 1) Pesce pescato al largo di Chioggia Sottozona: Mar Mediterraneo centrale oppure Divisione: Mare Adriatico 2) Pesce pescato al largo di Gallipoli Sottozona: Mar Mediterraneo centrale oppure Divisione: Mare Ionio
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3) Pesce pescato al largo di Sestri Levante Sottozona: Mar Mediterraneo occidentale Ulteriore definizione: Mar Ligure Vallicoltura I prodotti ittici allevati o pescati in acque salmastre (vallicoltura) devono riportare in etichetta il metodo di produzione (cioè se pescato o allevato), il paese d’origine e un’ulteriore definizione del corpo idrico. Così, ad esempio, per le vongole allevate in laguna di Venezia: “Italia – Laguna di Venezia”. Per i prodotti ittici pescati nelle valli l’indicazione dell’attrezzo da pesca non è necessaria nei seguenti casi: • prodotti allevati; • prodotti pescati con imbarcazioni non munite di licenza e numero UE. Per i prodotti di acquacoltura deve essere indicato il Paese dove il prodotto è stato allevato. Nel caso dei pesci, per poter assegnare il nome del Paese è necessario che gli stessi abbiano raggiunto più della metà del loro peso nell’allevamento
di quel Paese, oppure devono aver trascorso in quel sito più della metà del periodo di allevamento. I molluschi e i crostacei, invece, devono aver trascorso l’ultimo periodo di allevamento, che comunque deve essere superiore ai sei mesi, in quel Paese. I prodotti ittici catturati in acque dolci devono riportare in etichetta la denominazione del Paese e la menzione del corpo idrico dove sono stati catturati: “Italia – Lago di Garda”. Deroga all’applicazione dell’art. 58, paragrafo 5, lettere a-f Esistono alcune deroghe all’applicazione delle disposizioni dell’art. 58 del Reg. CE n. 1224/09, che possono così essere riassunte: • ai prodotti della pesca e dell’acquacoltura che non rientrano nel campo di applicazione del certificato di cattura; • ai prodotti della pesca e dell’acquacoltura catturati o allevati in acque dolci; • ai pesci, ai crostacei e ai molluschi ornamentali; • ai piccoli quantitativi ceduti
direttamente dal pescatore al consumatore finale. Questa deroga si applica anche alle voci tariffarie 1604 e 1605 della nomenclatura combinata, nello specifico: • 1604: preparazioni e conserve di pesce; • 1605: crostacei, molluschi e altri invertebrati acquatici preparati o conservati. Dall’analisi di queste due voci, anche se non molto chiare e precise sotto l’aspetto scientifico e spesso oggetto di interpretazioni contrastanti, emerge che le preparazioni di pesce e le conserve di pesce nonché i crostacei, i molluschi e altri invertebrati acquatici variamente preparati derogano dall’applicazione dell’art. 58 del Reg. CE n. 1224/09. Obbligo di registrazione presso il Ministero delle Politiche Agricole Sono obbligati ad effettuare la registrazione presso il Ministero delle Politiche Agricole: • i soggetti che prendono in carico il prodotto dal pescatore per effettuare la commercializzazione;
Reti da traino pelagiche a coppia, mare Alto Adriatico Chioggia.
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• tutti gli acquirenti in prima vendita. Sono esonerati gli acquirenti che acquistano quantitativi non superiori a 30 kg e il prodotto è destinato ad uso privato. I soggetti di cui sopra devono trasmettere i dati previsti dalla normativa entro 24 ore dalla data di assunzione in carico o dalla data di vendita. Gli operatori che hanno un fatturato inferiore ai 200.000 euro possono compilare i modelli cartacei (allegato B e C del Decreto n. 155/11) e trasmetterlo entro 48 ore all’autorità marittima competente. Conclusioni Dall’analisi della normativa in materia di etichettatura nella fase di produzione primaria e nelle fasi immediatamente successive emerge che gli obblighi imposti dal legislatore comunitario sono molto stringenti e a volte di difficile applicazione (come ad esempio mantenere le informazioni relative alla partita, alla data di pesca, agli attrezzi, ecc… specie quando due o più partite vengono mescolate assieme). Tutte le informazioni che scaturiscono nella produzione primaria devono essere rese disponibili lungo la filiera produttiva fino alla fase precedente alla vendita al consumatore finale; quest’ultimo, invece, deve avere accesso solo a quelle previste dal Reg. CE n. 1379/13. Sempre più frequentemente le Capitanerie, durante i controlli in fase di distribuzione,
Draga tirata da natante, mare Alto Adriatico Chioggia. chiedono l’origine dei prodotti con specifico riferimento all’imbarcazione che ha effettuato la cattura, alla data di pesca e di sbarco, al numero della partita, agli attrezzi da pesca, ecc… L’OSA, se i dati non sono riportati in etichetta o sui documenti di accompagnamento, deve essere in grado di fornirli in tempi brevi con relativa documentazione di supporto. Può risultare molto utile agli operatori che acquistano il prodotto dalla produzione primaria o dai mercati all’ingrosso, per reincassettarlo e rietichettarlo prima della commer-
cializzazione, creare un collegamento informatizzato tra l’etichetta e il documento del prodotto in arrivo e quella del prodotto in uscita. Alcune ditte hanno risolto il problema creando un archivio fotografico delle etichette del prodotto in ingresso. Le soluzioni possono essere diverse a seconda del tipo di attività commerciale svolta; risulta comunque fondamentale disporre in qualsiasi momento delle informazioni che sono imposte dalla normativa. Dott. Luciano Boffo Medico Veterinario Consulente Sicurezza Alimentare
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SPECIE ITTICHE
Stimato in cucina per il sapore delle sue carni
Il pesce balestra di Luca del Grammastro
È uno dei pesci mediterranei documentati addirittura nel Neolitico, che da sempre ha incuriosito e attratto gli appassionati del settore per la forma bizzarra e il suo nuoto “diverso” dagli altri pesci, con la pinna dorsale e quella anale che ondeggiano a sinistra e a destra alternativamente. È indubbiamente il balestra (Balistes carolinensis), conosciuto anche con il nome di “pesce porco” perché si nutre di tutto quello che trova e, soprattutto, perché, dopo la cattura, emette un verso simile ad un grugnito. Il nome deriva dal latino balista, etimologia facilmente comprensibile vista la particolare forma delle pinne simile all’arco della balestra e al “grilletto” della prima
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pinna dorsale, che, dotata di robusti raggi spinosi, può essere sollevata o abbassata a piacimento con un movimento a scatto1. A riposo, la pinna e i suoi robusti raggi alloggiano in un’apposita scanalatura presente sul dorso, scomparendo quasi alla vista. La famiglia Balistidae comprende 42 specie di pesci d’acqua salata comunemente conosciuti come “pesci balestra”, appartenenti all’ordine Tetraodontiformes. Le specie di Balistidi più grandi tendono ad avere comportamento territoriale e aggressivo: in particolare, il balistide titano (Balistoides viridescens) è conosciuto per come difende stoicamente il proprio territorio, anche contro i subacquei che incautamente si av-
vicinano troppo a un nido con uova o piccoli. Può arrivare a mordere e perfino a succhiare sangue al suo aggressore (che diventa aggredito) facendo scattare immediatamente la pinna dorsale non appena percepisce una minaccia e attaccando per lo più senza avvertimento. L’area del nido è a forma di V posta verticalmente sul fondo, quindi il modo più veloce per allontanarsi prevenendo un attacco o scappando dopo averlo subito è nuotare orizzontalmente, paralleli al fondo marino. La forma è tipica con corpo romboidale o ovoidale, fortemente compressa ai lati; occhi piccoli, prominenti, molto mobili e dislocati in alto con aspetto curioso e furbo; la
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prima pinna dorsale rigida e a scatto, la seconda opposta e simmetrica alla pinna anale; coda a mezzaluna; becco potente piccolo con labbra carnose, dentato e tagliente con incisivi molto robusti. Sul dorso è presente una pinna formata da tre raggi spinosi, il primo dei quali è erettile e munito di una sorta di blocco di sicurezza. Questa caratteristica anatomica permette ai pesci balestra di sfuggire ai predatori, resistendo incastrati tra le rocce in caso di pericolo, oppure diventando troppo grossi in bocca per venire ingoiati. La sua livrea è semplice: il fondo è grigio bruno, con ventre e gola più chiari, tendenti al rosa. Appaiono più o meno visibili linee e punti azzurrini sui fianchi, sulle pinne e intorno agli occhi. A volte sono presenti macchie più o meno scure lungo fianchi e dorso. Raggiunge una lunghezza di 60 cm, ma nei nostri mari può raggiungere i 40 cm anche se, mediamente arriva fino a 20-30 cm. È solitario, ma a volte forma piccoli gruppi; è diurno e ferocemente territoriale, si ciba principalmente
di invertebrati, crostacei, echinodermi, ma non disdegna zooplancton e alghe. Si riproduce verso la fine di giugno o l’inizio di luglio; la femmina prepara un bellissimo nido, soffiando con la bocca sulla sabbia del fondo e asportando boccate di sabbia e ciottoli in modo da creare una buca ampia e profonda, in cui depositare poi le uova custodite fino alla loro schiusa dal maschio. Di pesci balestra ce ne sono tanti nei mari del mondo, ma nel Mediterraneo vive una sola specie, l’unico rappresentante nostrano della famiglia. Non si tratta, è bene dirlo, di un pesce tropicale immigrato, bensì di un pesce diffuso e tipico solo dell’Adriatico e del Mediterraneo. Spesso, quando si parla di specie esotiche, si fa confusione: si scambia il balestra con un pesce tropicale (anche perché da noi quella sola specie, tra l’altro non comune, risulta poco conosciuta) e si inizia a parlare di “tropicalizzazione” del Mediterraneo dovuta ai cambiamenti climatici globali. In realtà non è affatto così, anche se oggi i pesci balestra, fino
a poco tempo fa più frequenti nel Mediterraneo meridionale, cominciano a vedersi occasionalmente anche a nord, persino in Adriatico, dove un tempo erano considerati rari, creando inizialmente stupore e confusione. È un pesce apprezzatissimo per i suoi valori nutrizionali e la qualità delle carni sode, bianche e tenere; ricorda quello del prelibato San Pietro, anche se è difficile da spellare vista la pelle coriacea. Dott. Luca del Grammastro Controllo Qualità e Sicurezza Alimentare Nota 1. Il movimento a scatto, simile a quello effettuato per armare il grilletto nelle antiche armi da fuoco a pietra focaia (e forse, precedentemente, anche delle balestre), ha ispirato il singolare appellativo, che deriva dalla traduzione del termine anglosassone trigger fish, letteralmente “pesce grilletto”; a pagina 60, photo © Check The Sea, www.checkthesea.com
Cresce ancora il consumo di pesce in Italia, ma aumenta la dipendenza dalle importazioni Sfiora i 26 chilogrammi annui a persona il consumo di prodotti ittici pro capite in Italia. Lo dicono gli ultimi dati della FAO, che registrano una crescita del 2% tra il 2015 ed il 2016. Il nostro Paese rimane abbondantemente sopra la media mondiale (20,3 kg) e quella europea (UE 28) di 22,5 kg, proseguendo una crescita ormai più che triennale dopo la flessione corrispondente agli anni peggiori della crisi. In parallelo, prosegue l’aumento della dipendenza dall’estero. Il WWF calcola ogni anno il momento in cui ogni Paese europeo smette di essere autosufficiente per i propri consumi ittici. Nel 2017 il gong ha suonato il 1 aprile, nel 2016 lo aveva fatto tre giorni più tardi. È un fenomeno comune a molti Paesi europei, nel complesso la UE 28 ha esaurito la produzione interna il 6 luglio (il 13 luglio un anno prima). La produzione da pesca continua a scendere nella UE nel suo complesso (le diverse specie di tonno e le sardine crollano a due cifre), l’acquacoltura invece continua a crescere, anche se per ora non riesce a compensare. In Italia (dati Confagricoltura) il settore cresce come numero di aziende, sono ormai 3007 con una crescita del 2,7% rispetto al 2016. La produzione si è stabilizzata nel corso degli ultimi due anni tra le 140.000 e le 150.000 tonnellate, all’inizio degli anni Duemila era molto più alta. Ci sarebbe quindi spazio per diminuire la dipendenza dall’estero, almeno per le specie allevabili nelle nostre acque. La chiave per una crescita decisa sta nella domanda interna, che per i prodotti da acquacoltura nazionale ha sempre avuto un andamento erratico. Spesso a guadagnarci sono state le importazioni da Paesi dove l’allevamento di specie ittiche non è sottoposto agli stessi controlli vigenti da noi, ma che costano all’importatore decisamente meno (quanto costino al cittadino è altro discorso). La filiera nazionale è pronta però alla sfida, e ha scelto anche quest’anno AquaFarm come suo appuntamento di riferimento. In programma presso Pordenone Fiere il 15 e 16 febbraio 2018, la manifestazione è organizzata con le partnership, rinnovate ed estese, di API (Associazione Piscicoltori Italiani) e AMA (Associazione Mediterranea Acquacoltori). >> Link: www.aquafarm.show
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INTERVISTE
Quattro domande al sottosegretario Castiglione di Gian Omar Bison
Quale futuro per le forme di pesca tradizionali, svolte con attrezzi di fatto di minor impatto ambientale rispetto alle grandi navi da pesca con attrezzi da traino? «Il futuro della pesca va in due direzioni: da un lato una pesca commerciale efficiente, con mentalità imprenditoriale, mirata soprattutto alle specie di maggiore interesse e valore per il mercato; dall’altro una pesca a basso impatto, che abbia un valore per il tessuto socioeconomico locale, ma che costituisca anche la base di una “economia blu” di più ampio respiro. La pesca tradizionale
e di basso impatto è sicuramente una delle attività che hanno futuro se vengono integrate nelle economie locali. In particolare, a mio avviso, è fondamentale che tutte le componenti dell’economia marittima siano integrate, a partire dal livello locale, per una vera “crescita blu”». Si può incentivare la sostenibilità ambientale e produttiva della pesca, e come si rapporta alle altre forme di utilizzo del mare e della costa? «L’incentivo è soprattutto alle attività selettive. Esso può esse-
re di tipo finanziario, come avviene attraverso il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP), oppure di carattere gestionale. E proprio su quest’ultimo aspetto, il nostro decreto sulla pesca artigianale conferisce ai consorzi la possibilità di regolamentazione locale. Come detto prima, l’integrazione di tutte le componenti dell’economia blu (pesca, trasporti, energia, biodiversità, turismo), e quindi dell’utilizzo coordinato del mare e della costa, è fondamentale per la crescita economica a partire dai livelli locali».
Giuseppe Castiglione, sottosegretario di Stato, Ministero delle Politiche, Agricole Alimentari e Forestali (l’intervista così come la foto al sottosegretario sono state realizzate durante il convegno romano organizzato dal Dipartimento Pesca della Lega Coop Agroalimentare; per approfondimenti in merito si veda l’articolo a pagina 108). 62
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Imbarcazioni utilizzate per la pesca artiginale in Liguria (photo © saxifraga Hans Dekker). Quali sono l’entità e l’impatto dell’inquinamento marino e le prospettive di recupero ambientale? «Purtroppo l’inquinamento è uno dei principali fattori di danneggiamento non solo degli ecosistemi, ma anche delle attività economiche ad essi collegate, a partire dalla pesca. Strumenti come il FEAMP aiutano su certi temi, come i siti protetti o tutelati, o la raccolta dei rifiuti. Purtroppo c’è ancora molto da fare per i grandi inquinanti chimici o per le plastiche. È un compito al quale nessuno deve sottrarsi». Risorse esigue? L’entità e l’impatto dei programmi comunitari di settore
rispetto alla scarsa disponibilità finanziaria dello Stato. «Sicuramente andiamo verso una sempre minore disponibilità di risorse finanziarie a livello nazionale e una maggiore disponibilità a livello sovranazionale, quindi europeo. Non dimentichiamo che nella Unione Europea l’Italia è un contribuente netto e ha il diritto/ dovere di far sentire la sua voce. L’impatto dei programmi dipende però anche dalle capacità attuative sul territorio e quindi dal grado di organizzazione delle strutture nelle varie regioni. Per il futuro vedrei una sempre maggiore integrazione della pesca nell’economia marittima
Per il futuro vedrei una sempre maggiore integrazione della pesca nell’economia marittima e, soprattutto, una maggiore sussidiarietà, nel senso di maggiore delega nelle misure a livello regionale, poiché le necessità cambiano a seconda delle diverse realtà
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e, soprattutto, una maggiore sussidiarietà, nel senso di maggiore delega nelle misure a livello regionale, poiché le necessità cambiano a seconda delle diverse realtà. In linea con in principi, gli obiettivi e le Linee guida della nuova PCP, ha senso parlare di sostenibilità della Pesca e dell’Acquacoltura nell’intero Mediterraneo e risulta quindi fondamentale e imprescindibile approcciare con una visione regionale alle dinamiche legate al mondo della Pesca e dell’Acquacoltura. Importante è individuare le peculiarità di ciascuna regione e usarle come strumento di gestione. La regionalizzazione, infatti, semplifica la gestione di vaste aree, con una riduzioni dei costi e una maggiore efficacia nell’utilizzo delle risorse impiegate. Inoltre si favorirebbe la programmazione delle attività, promuovendo la collaborazione degli operatori coinvolti e sostenendone le performance. Si andrebbe soprattutto a semplificare la gestione delle aree più grandi e dei bacini». Gian Omar Bison 63
A colloquio con Agustí Rillo, presidente Associazione Promozione Pesce Azzurro
A Tarragona c’era una volta il pesce azzurro di Riccardo Lagorio
Per molti pescatori europei il 2017 si è chiuso tra luci, poche, e ombre, molte. A dire il vero, durante l’anno appena trascorso il Consorzio dei Pescatori di Tarragona (Cofradía de Pescadores de Tarragona) di luci proprio non ne ha viste. «È il peggior anno che si ricordi», ci confida turbato AGUSTÍ RILLO, il presidente degli armatori e dell’Associazione per la Promozione del Pesce Azzurro nel corso di un’intervista esclusiva rilasciata alla nostra Rivista. «Non solo perché le catture sono crollate
dai 3 milioni di chilogrammi del 2016 ai 2 milioni e 700.000 chili dell’anno appena terminato, ma soprattutto per la esigua dimensione del pesce azzurro che le barche hanno portato a riva». Rimane ben poco in questa marineria e in quella della vicina Cambrils di ciò che un tempo era il Pesce azzurro DOP. «Acciughe e sardine pescate sulla costa di Tarragona erano le più ambite del Mediterraneo occidentale, molto più di quelle provenienti dal Golfo del Leone. Tanto che qui
le reti a circuizione erano gettate anche da imbarcazioni italiane e tunisine. Oggi non si pesca praticamente nulla a nord di Castellón de la Plana (nella Regione di Valencia, Nda). Erano inseriti nell’elenco di pesci a Denominazione di Origine anche lanzardo, sugarello, boga e sgombro». Tutti pesci azzurri di grande pregio alimentare. Tarragona è un gigante che guarda il mare e il caratteristico quartiere di pescatori El Serrallo si stende ai suoi piedi: i piccoli ristorantini
La sede del Consorzio dei Pescatori di Tarragona.
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In alto: barche ormeggiate nel porticciolo del quartiere El Serrallo a Tarragona. In basso: sala di contrattazione del pesce nel palazzo della Cofradía. che si animano la sera dove il pesce fresco è l’ingrediente principale dei piatti raccontano di una tradizione di pesca abbondante e fresca, ottenuta nel maggior porto della Catalogna e riflesso di una forte personalità culturale e storica. Poi gli antichi magazzini del porto trasformati in museo per conoscere
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da vicino le arti della pesca e del patrimonio portuario e il grande palazzo della Cofradía, aperto solo nel 2000, provvisto di macchinari per l’invasettamento del pesce e sala di contrattazione, che oggi sono praticamente inutilizzati. «Da agosto a dicembre è stato un disastro. Per cinque mesi le barche di
notte non hanno guadagnato neanche un euro. E la situazione di pesca del pesce azzurro è preoccupante», continua Rillo. «Dal 2014 a oggi sono sparite nella città di Tarragona otto imbarcazioni, ma se torniamo indietro negli anni il precipizio è stato costante: da 44 barche che si contavano nel 1991 si è arrivati alle 12 barche del 2017. Ma molte, dopo il periodo di ferma obbligatoria, non ripartiranno anche perché l’Unione Europea finanzia programmi di dismissione dei pescherecci. Così che, di fronte a un futuro incerto, si interrompono attività centenarie e viene meno il saper fare del pescatore». Non è chiaro perché il prezzo dell’acciuga e della sardina siano in picchiata, ma pare che arrivino camion refrigerati da Italia e Croazia con la conseguenza di tenere basse le quotazioni. Neppure il fermo pesca, che parte il 21 dicembre e dura per 60 giorni, potrà migliorare la situazione per la decina di imbarcazioni superstiti. «Questo periodo di sosta, che i pescatori del Serrallo rispettano da trent’anni, è tra i più lunghi di tutta la Spagna. Il mare ne ha bisogno, ma i risultati non sono comunque sod-
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La situazione di pesca del pesce azzurro è molto critica, racconta Rillo. Dal 2014 a oggi sono sparite a Tarragona otto imbarcazioni, ma se torniamo indietro negli anni il precipizio è stato costante: da 44 barche che si contavano nel 1991 si è arrivati alle 12 barche del 2017
La scomparsa della sardina dal Mediterraneo è il fenomeno più preoccupante, specie lungo la costa tra Castellón de la Plana e Tarragona, dove la pesca segna un –86% rispetto al 2008. Anche per questa ragione la Cofradía ha richiesto negli ultimi mesi misure urgenti per evitare l’estinzione del pesce azzurro e, di conseguenza, del settore ittico
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Agustí Rillo, presidente dell’Associazione per la Promozione del Pesce Azzurro di Tarragona. disfacenti. A febbraio pescheremo senz’altro più pesce che a dicembre, ma la misura e il prezzo non saranno confacenti a garantire ai pescatori un reddito di sopravvivenza». E Rillo specifica anche che «nei 10 mesi di pesca un marinaio può guadagnare al massimo 5.000 euro che ovviamente non sono sufficienti a nessuno per il vitto e l’alloggio». La scomparsa della sardina dal Mediterraneo è il fenomeno più preoccupante a cui Rillo fa riferimento, specie lungo la costa tra Castellón de la Plana e Tarragona, dove la pesca segna un –86% rispetto al 2008. Anche per questa ragione la Cofradía ha richiesto negli ultimi mesi agli organi competenti misure urgenti per evitare l’estinzione del pesce azzurro e, di conseguenza, del settore ittico. Peraltro Rillo nega con forza che la mancanza di sardine sia conseguenza di uno sfruttamento sfrenato delle risorse naturali, puntando piuttosto il dito contro una serie di fattori che stanno devastando la costa tra le regioni di Valencia e Catalogna, tra cui gli allevamenti di tonno rosso sul delta del fiume Ebro. «È la punta di un iceberg che colpisce tutto il Mediterraneo. Così quando usciamo in mare non guadagniamo e quando siamo in rada neppure». Il presidente fa riferimento alla mancanza di aiuti al settore
durante i mesi di sosta e alle numerose richieste avanzate da armatori e marinai per il periodo di sosta: ai primi vengono riconosciuti 15 giorni di contributi quando spetterebbero loro sostegni almeno pari a 60, gli altri devono decidere se accontentarsi dei sussidi o ritirarsi definitivamente e finire per essere disoccupati. «Così devono scegliere tra sussidi di poco conto e una situazione di mancanza d’impiego che si potrebbe rilevare controproducente in un prossimo futuro». Come uscirne? «Forse se potessimo catturare tonni che stanno rapidamente crescendo numericamente, potremmo contrastare la crisi e permettere al pesce azzurro di ripopolare queste coste. Ma al momento nessuno da Bruxelles o da Madrid e Barcellona si è fatto sentire». E il porto della capitale della sardina si svuota poco a poco malgrado il battagliero Agustí Rillo. Riccardo Lagorio Cofradía de Pescadores de Tarragona Moll Pesquer s/n Tarragona (Spagna) Telefono:+34 977215519 Web: confraria-de-pescadors-detarragona.es
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INDAGINI
Pesce fresco: suggestioni, immaginario e qualità percepita Come emerge dall’indagine condotta da AMAGI & ForSurvey, gli stereotipi e l’immaginario collettivo sono assi portanti della cultura popolare, di cui quella alimentare è un immediato derivato da studiare e comprendere La “componente simbolica” (che sempre caratterizza ogni tipo di alimento) influisce notevolmente anche su un reparto essenziale della GDO: il pesce fresco. Alla richiesta di correlare la “qualità del pescato” ad una specifica area geografica, la maggior parte degli intervistati risponde citando luoghi che, nell’immaginario collettivo, si associano a paesaggi suggestivi, ad acque limpide e profonde, ovvero ad un’immagine stereotipata del “mare aperto”. Ovviamente, nella psicologia dei consumatori, grande peso assumono i ricordi e le conoscenze personali derivanti dall’esperienza diretta di consumo o attraverso la mediazione documentaristica. Ne consegue che, al primo posto, troviamo citato il Mar di Sardegna, indipendentemente
dalla sua effettiva pescosità e dalla ricchezza della sua fauna. Prevale, in altre parole, l’idea di una fauna stanziale che assorbe i pregi e i difetti dell’ambiente circostante, indipendentemente da ogni considerazione di natura scientifica e biologica. Da qui l’importanza di “vendere” come un tutt’uno o una “totalità strutturata” — analogamente alla teoria della GESTALT — sia il prodotto alimentare che il suo territorio. Al contrario, un mare molto pescoso come l’Alto Adriatico raccoglie solo un 13% di consensi, scontando l’immagine poco invitante delle sue sponde sabbiose e delle sue acque basse. Quelle stesse acque in cui negli anni ’60 si bagnavano milioni di Italiani felici dell’agognato e raggiunto “benessere” e della novità delle “vacanze
Tabella 1 – I migliori mari per qualità del pesce fresco secondo i consumatori italiani (base: panel famiglie AMAGI & ForSurvey © 2017) Mare
Qualità
Mar di Sardegna
37%
Ionio
26%
Alto Tirreno
26%
Canale di Sicilia
26%
Ligure
24%
Basso Adriatico
18%
Alto Adriatico – Coste greche
13%
Coste spagnole
12%
Coste africane
10%
Canale d’Otranto
8%
Coste francesi – Canale di Corsica
7%
Golfo di Napoli
5%
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balneari”. Auspicabilmente, gli Italiani vorrebbero consumare pesce dei propri mari (90% degli intervistati) e avere informazioni su come e dove è stato pescato, pur se la genericità e la stereotipizzazione del dato ovviamente poco aggiunge di per sé alla corretta valutazione del prodotto offerto. All’ultimo posto troviamo il Golfo di Napoli che sconta (in gran parte a torto) l’immagine negativa, costruita dalla pressione mediatica, che confonde i molteplici aspetti problematici del Meridione. In sintesi, si conferma dunque l’importanza degli stereotipi e dell’immaginario collettivo come assi portanti della cultura popolare, di cui quella alimentare dei consumatori è un immediato derivato (da studiare e comprendere). (Fonte: www.amagiforsurvey.com)
Nella psicologia dei consumatori, grande peso assumono i ricordi e le conoscenze derivanti dall’esperienza diretta di consumo o attraverso la mediazione dei documenti. Ne consegue che, al primo posto per qualità del pescato, troviamo il Mar di Sardegna
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Banco pesce fresco (photo © plprod – stock.adobe.com). IL PESCE, 1/18
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A plastic world di Alfonso Piscopo
Si stima che ogni anno vengano riversati in mare 10 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. L’attenzione verso questo problema ha assunto oggi dimensioni globali. Le macroplastiche si degradano in piccoli frammenti fino a diventare microplastiche, una sorta di calamita per pesci ed uccelli marini. I frammenti tessili, particelle sottili dai 5 ai 10 millimetri di diametro, riversati in mare per mezzo delle plastiche raggiungerebbero i 5 trilioni. Le ricerche evidenziano, con una frequenza in crescita, particelle di microplastica nell’apparato digerente e in misura minore negli altri
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tessuti di diverse varietà di pesci, uccelli marini, crostacei e molluschi. È il profumo a renderle irresistibili Le fibre sintetiche, mediante la degradazione (provocata dal vento o dal moto ondoso), o la fotodegradazione (per effetto della luce ultravioletta), formano una poltiglia composita che rappresenta un pasto ghiotto per molte specie. Questa “zuppa” che sempre più spesso finisce nello stomaco degli abitanti delle acque sembra abbia un aroma irresistibile. Le prove sono
state raccolte da alcuni ricercatori americani che hanno pescato vari banchi di acciughe e le hanno portate nell’acquario di San Francisco. Qui gli hanno fatto assaggiare sia del krill (piccoli organismi di cui si nutrono molti pesci) che del propilene (la plastica di cui sono composti i tappi di bottiglia e i contenitori dei detersivi per intenderci) lasciato macerare per tre settimane al largo del Bodega Marine Laboratory dell’Università della California. Nell’esperimento, pubblicato su Proceedings of the Royal Society B (Biological Sciences), sei banchi di
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In alto: uno scatto nei fondali della penisola sorrentina che ritrae una stella marina poggiata su una scarpa di plastica insieme ad altri detriti (photo © Gabriella Luongo). In basso: un cavalluccio marino trasporta un cotton fioc. A sinistra: photo © aryfahmed – stock.adobe.com.
200-400 acciughe ciascuno sono stati esposti a tre concentrazioni differenti di krill e di zuppa di plastica, mostrando particolare attrazione verso il pasto somministrato. Solo la versione più diluita del polipropilene è stato ignorato dalle acciughe. Questo esperimento dimostra come le acciughe, di cui peraltro si nutrono molte altre specie di predatori marini, uccelli, foche, cetacei e, per ultimo, anche l’uomo, prediligono le “zuppe di plastica”. Ad attirarle sarebbe il profumo della plastica macerata: i pesci non aggrediscono la plastica appena depositata in
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mare e anche l’esperimento dimostra come il propilene fresco di fabbrica, non sottoposto alle tre settimane di marinatura, sia stato ignorato dalle acciughe. La plastica ha inquinato anche la Fossa delle Marianne Un altro studio condotto da ALAN JAMIESON della Newcastle University ha evidenziato risultati allarmanti sulle microfibre artificiali che si accumulano nell’ecosistema marino e nelle specie ittiche che vi abitano o nel quale trovano il proprio nutrimento. Il team del dottor Jamieson
ha analizzato crostacei provenienti dalla Fossa delle Marianne a quella del Giappone, da Kermadeck alle Nuove Ebridi. Si tratta di depressioni tra i 7 e gli 11 km di profondità: nel Challenger Deep della Fossa delle Marianne, il punto più profondo, si toccano i 10.890 metri. Studiando 90 campioni, gli esperti hanno trovato che molti di loro avevano ingerito frammenti di plastica. Nella Fossa delle Marianne tutti i crostacei ne avevano dentro di sé. In particolare si trattava di fibre cellulosiche semisintetiche, come rayon, lyocell e ramie, tutte utilizzate in prodotti
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Canada, pescato un astice con il marchio Pepsi sulla chela La notizia, riportata dai vari mezzi d’informazione, ha fatto velocemente il giro del mondo. Si tratta del ritrovamento di un crostaceo, pescato nelle acque dell’Oceano Atlantico, al largo dell’isola Grand Manan, New Brunswick, Canada, con il marchio Pepsi impresso sulla chela. KARISSA LINDSTRAND, che lavora a bordo di un peschereccio, ha il compito di smistare e selezionare i crostacei e di bloccar loro le chele con gli elastici. Gli animali sono destinati ai centri di magazzinaggio e/o agli spacci di vendita. Durante lo smistamento, Karissa ha notato una sorta di tatuaggio su una delle due chele di un astice appena pescato. Essendo una bevitrice di Pepsi Cola, ha riconosciuto subito il logo. La prima impressione è stata quella di un pezzo di lattina stampigliata a ridosso della chela, come se qualcuno vi avesse tatuato il logo della famosa bevanda.Tutto fa pensare che il crostaceo sia stato per lungo tempo a stretto contatto con una lattina di Pepsi, o ad un’immagine o ad un’etichetta stampata, e che, col tempo, sia stata incorporata nei tessuti dell’animale. Karissa ha fotografato il crostaceo tatuato e ha deciso di pubblicarlo su Facebook, facendo sì che la foto nel giro di pochissimo tempo diventasse virale. Tutto ciò potrebbe sembrare una stravagante curiosità.In realtà la notizia riflette di per sé una situazione ben più grave, sul disastro ambientale e sullo stato di emergenza dell’inquinamento dei mari, dovuto alla presenza massiccia di plastiche (photo © Karissa Lindstrand).
tessili, ma anche nylon, polietilene, poliammide o polivinili non identificati, somiglianti a PVA e PVC. «Trovare fibre plastiche all’interno di animali che vivono a 11 km di profondità — ha spiegato l’autore dello studio — mostra la dimensione del problema». Nei nostri mari la situazione è altrettanto preoccupante Dall’analisi dei dati raccolti da Goletta Verde di Legambiente, che dal 2013 ha iniziato a fare monitoraggio di microplastiche e macrorifiuti galleggianti, risulta che il Mediterraneo è uno dei mari più inquinati dal marine litter, ossia i rifiuti in plastica che galleggiano in mare e quelli spiaggiati. Il rapporto La plastica nel piatto, dal pesce ai frutti di mare (da Plastics in seafood. Greenpeace research laboratories, 2016), realizzato da Greenpeace, spiega che sono almeno 170 gli organismi marini che ingeriscono microplastiche. Un recente studio condotto su 121 esemplari di pesci del Mediterraneo centrale, tra cui specie commerciali come pesce spada, tonno rosso e tonno alalunga, ha
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mostrato la presenza di frammenti di plastica nel 18,2% dei campioni analizzati. Mentre nel 30% dei pesci prelevati nell’Adriatico, fra le specie commestibili, sono state rinvenute microplastiche. Studi condotti su 26 specie di pesci delle coste atlantiche portoghesi hanno evidenziato la presenza di microplastiche nel 19,8% dei test effettuati: i quantitativi maggiori sono stati rilevati nel lanzardo, una specie simile allo sgombro. Uno studio sugli scampi ha ritrovato la presenza di frammenti di plastica nello stomaco dell’83% degli esemplari raccolti lungo le coste britanniche. Le microplastiche assorbono i POP, composti organici persistenti. Prove sperimentali sulle cozze hanno dimostrato che, se si espongono a microplastiche contaminate con idrocarburi aromatici, le concentrazioni di questi inquinanti aumentano nei tessuti degli organismi marini una volta ingeriti. Le microplastiche costituiscono un’emergenza a livello globale a cui è necessario porre rimedio al più presto. Secondo le Nazioni Unite, se non si interviene subito, nel 2050 in mare ci sarà più
plastica che pesci. Una delle fonti più gravi di inquinamento sarebbe quella legata alle microparticelle di plastica contenute nei prodotti cosmetici che ogni giorno arrivano in mare direttamente dagli scarichi (tra le 2.000 e le 9.000 tonnellate di particelle per anno). Saponi, creme, gel, dentifrici e molti altri prodotti contengono frammenti o sfere di plastica di dimensioni piccolissime, inferiori ai 5 millimetri, utilizzate dall’industria cosmetica come agente esfoliante o additivo. Quello che molti non sanno, però, è che le microplastiche non sono trattenute dai sistemi di depurazione e sversano direttamente in mare. L’impatto delle microplastiche sulla salute umana A questo punto è lecito farsi una domanda: il consumo di prodotti ittici contaminati con frammenti plastici ha delle ripercussioni sulla salute dell’uomo? Le ricerche effettuate finora hanno evidenziato che la maggior parte delle microplastiche si localizza nel tratto intestinale dei pesci, parti anatomiche di norma non consumate dall’uomo, per cui il
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Una bottiglia di plastica ricoperta di conchiglie. Riversati in mare al ritmo di circa 10 milioni di tonnellate all’anno, i rifiuti di plastica impiegano decenni a degradarsi completamente. Basta però una manciata di settimane perché si riducano in frammenti di pochi millimetri, che sempre più spesso finiscono nello stomaco degli abitanti delle acque. Da anni ormai le analisi su pesci, o uccelli come i gabbiani, ritrovano con regolarità particelle di microplastica sia nell’apparato digerente che, in quantità più ridotte, negli altri tessuti (photo © worrayuth – stock.adobe.com). rischio di accumulo può considerarsi nullo, ad eccezione di specie marine come molluschi, mitili e crostacei.
Tuttavia, ad oggi non esistono evidenze sugli effetti biologici delle microplastiche marine e terrestri
ingerite dall’uomo attraverso l’alimentazione. VOLKHEIMER ha studiato l’assorbimento di microplastiche per ingestione osservando come particelle inerti di diametro di 150 micron per mezzo di trasporti passivi siano in grado di oltrepassare aree specifiche dell’epitelio intestinale, dove è presente un singolo strato di cellule, e giungere nel sangue e nella linfa in pochi istanti. Dal sangue le particelle inerti e di dimensioni relativamente grandi passano nell’urina e nelle feci dove vengono escrete. Per le particelle molto piccole (nano e micrometri), l’assorbimento avviene a livello digerente tramite pinocitosi e fagocitosi vescicolare. Va precisato che non c’è una dipendenza diretta tra dimensioni delle particelle e percentuale di assorbimento, in quanto altri fattori possono influenzare questo fenomeno (carica superficiale, idrofilicità) e possono dipendere anche dallo stato fisiologico del soggetto. Le microplastiche arrivate in circolo, prima di essere escrete, potrebbero assorbire macromolecole come le proteine e i lipidi, modificando il comportamento e la tossicità, traslocare nei diversi organi e tessuti con i meccanismi già citati a livello intestinale e accumularsi nei lisosomi e interferire con la morte programmata delle cellule (FRUIJTER-POLLOTH, 2012). In teoria tutti gli organi sono a rischio per un’esposizione cronica
La microplastica nei mari italiani Sono stati presentati i risultati preliminari dell’indagine sulla microplastica contenuta nei prodotti cosmetici in vendita in Italia, realizzata dall’associazione MedSharks con il supporto tecnico di CNR ISMAC Biella, Università del Salento e Università degli Studi Roma Tre. Lo studio rientra nell’ambito del progetto di sensibilizzazione sui rifiuti marini Clean Sea Life, progetto cofinanziato dal programma Life della Commissione europea, e ha come capofila il Parco Nazionale dell’Asinara. L’inchiesta si è concentrata sul polietilene (PE) che, secondo l’associazione europea dei produttori cosmetici Cosmetics Europe, rappresenta il 94% delle microplastiche contenute nei prodotti cosmetici. La ricerca è stata condotta finora su un campione casuale di 30 punti vendita (profumerie, farmacie, parafarmacie e supermercati) in otto regioni italiane e ha riguardato 81 prodotti di 37 aziende cosmetiche che contengono polietilene. La maggior parte (circa l’80%) è costituita da prodotti da risciacquo: esfolianti per corpo e viso, saponi struccanti e un prodotto antiforfora. Il polietilene è presente anche in creme per donna e per uomo. In metà di questi prodotti, il polietilene è inserito nelle prime quattro posizioni degli ingredienti, dopo l’acqua. Alcuni fra i prodotti con la maggior concentrazione di polietilene sono in vendita anche negli scaffali dei prodotti naturali ed esaltano una particolare attenzione per l’ambiente. L’analisi quantitativa eseguita dal CNR ISMAC di Biella su un prodotto che elencava il polietilene come principale ingrediente dopo l’acqua ha stimato una media di 3.000 particelle di plastica di dimensioni fra i 40 e i 400 micron per ogni millilitro di prodotto: in un flacone da 250 ml sarebbero quindi presenti 750.000 frammenti di polietilene, per un peso totale di 12 grammi.
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di nanoplastiche (GARRET et al. 2012) prima di essere escrete. Questi dati ad oggi sono insufficienti a stabilire con sicurezza gli impatti sulla salute umana. Tuttavia, non ci può essere nemmeno una sottovalutazione dei fatti. Da qui, la necessità di agire a livello politico, adottando il cosiddetto principio di precauzione. Molti paesi stanno mettendo in atto misure restrittive a cominciare dagli Stati Uniti, che hanno proibito già da luglio 2017 la produzione di cosmetici contenenti microplastiche. In Europa politiche mirate in questo campo stanno per essere varate. Mentre in Italia la messa al bando delle microplastiche cosmetiche è stato approvato alla Camera (25 ottobre 2016) ed è in attesa di approvazione al Senato. Risultati di un’indagine sulla microplastica in Italia Con la Legge n. 123 del 3 agosto 2017, oltre ad essere confermata l’eliminazione della disciplina sulla classificazione dei rifiuti prevista
dalla Legge n. 116 del 2014, entra in vigore la normativa interna sugli shopper di plastica leggeri, in recepimento della Direttiva comunitaria n. 720 del 2015, che modifica la 94/62/CE (packaging 1), per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, rispetto alla quale l’Europa aveva aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Di conseguenza, dal primo gennaio 2018 anche i sacchetti per alimentari devono essere biodegradabili e compostabili. Ad oggi possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40%; dal 1o gennaio 2020 potranno essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 50%; infine, dal 1o gennaio 2021 potranno essere commercializzate esclusivamente le borse biodegrada-
bili e compostabili e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 60%. A verificarne la presenza saranno gli organismi accreditati. Dal 1o gennaio 2019 scatterà il divieto di commercializzare e produrre in Italia cotton fioc non biodegrabili e dal 1o gennaio 2020 il divieto verrà esteso ai prodotti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergente contenenti microplastiche. Le misure intraprese dal nostro Paese sono uno stimolo per le imprese ad innovarsi sul terreno della ecosostenibilità ed ecocompatibilità, ma sono comunque una goccia d’acqua pulita in mezzo agli oceani. Bonificare i nostri mari si può e dove non arriva la legge devono essere la cultura e la sensibilità dell’uomo a fare la propria parte. Dott. Alfonso Piscopo Dirigente Veterinario Azienda Sanitaria Provinciale Agrigento Veterinario del Servizio Sanitario Nazionale
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MERCATI
Il mercato dei salmoni nel 2017 Per il salmone atlantico ancora quotazioni ai massimi nella prima metà dell’anno, poi una discesa costante fino a ritornare ai prezzi del 2015 nelle ultime settimane. Per il 2018 previsti prezzi stabili o in leggera risalita di Roberto Villa
L’anno 2017 è stato caratterizzato da una tendenza al ribasso costante dei prezzi del salmone atlantico, con una partenza nella prima settimana al massimo storico di tutti i tempi sulla piazza norvegese (75 NOK/kg per il prodotto intero eviscerato), seguito da una diminuzione pressoché continua se si escludono le settimane dalla 17 alla 20, che hanno visto un rialzo in corrispondenza della Pasqua, fino alla conclusione dell’anno su valori simili a quelli registrati a fine 2015 (55 NOK/kg)1. Le ragioni sono da ricercare nella raccolta superiore alle attese a partire dal periodo estivo per il pesce di allevamento, grazie anche alla risoluzione quasi totale dei problemi sanitari occorsi nel 2016, unita ad una pesca del salmone selvatico abbondante anche se in leggera contrazione rispetto all’anno precedente. Il Norwegian Seafood Council ha diffuso i dati delle esportazioni nel primo semestre del 2017, che hanno raggiunto il massimo storico in termini di valore a 31,5 miliardi di NOK, con un incremento del 13% sullo stesso periodo dell’anno precedente, mentre le quantità sono calate dell’1%. Nonostante l’aumento dei costi di produzione, i livelli di prezzo raggiunti sono stati in grado di consentire alle imprese del settore dei buoni margini. Le destinazioni principali del salmone norvegese sono l’Unione Europea, sebbene in calo, gli Stati Uniti e l’Asia: qui vi è stato nel primo semestre un aumento del 15% in quantità e del 27% in valore, a riprova dell’interesse di quei mercati
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per un prodotto non tradizionale per la cultura locale ma che comincia ad affermarsi soprattutto nelle giovani classi impiegatizie dei centri urbani. Per il 2018 il rapporto Globefish FAO riporta le previsioni degli analisti che prevedono un assestamento attorno ad un prezzo medio di 62 NOK/kg, il quale, insieme al miglioramento dell’efficienza nella gestione dei costi produttivi di filiera, dovrebbe garantire una buona remuneratività al settore nel paese maggior produttore mondiale. In Cile l’annata è stata buona, con esportazioni incrementate di oltre il 29%, mentre per il 2018 si attende di capire l’impatto che la nuova legislazione su salute e ambiente potrà avere sui volumi raccolti: per alcuni operatori norvegesi presenti in Cile come Lerøy l’influenza sarà nulla; al contrario, Marine Harvest prospetta una leggera riduzione dei quantitativi. Buone le produzioni sia di salmone atlantico, sia di salmone pacifico (coho ed altre specie). Il Regno Unito ha visto un incremento dei fatturati delle imprese che vi operano; infatti il deprezzamento della sterlina britannica a seguito del referendum sulla Brexit ha avvantaggiato il prodotto da allevamento scozzese su mercati interessanti e in crescita come Francia, Stati Uniti e Cina. L’aumento dei prezzi sul territorio nazionale, pari al 10%, invece, ha scoraggiato i consumatori locali tanto da far segnare una diminuzione del 6% dei quantitativi venduti, consu-
Il Norwegian Seafood Council ha diffuso i dati delle esportazioni nel primo semestre del 2017, che hanno raggiunto il massimo storico in termini di valore a 31,5 miliardi di NOK, con un incremento del 13% sullo stesso periodo dell’anno precedente
Nell’Unione Europea l’aumento della domanda è legato alla componente di servizio del prodotto finito e alla porzionatura in formati ridotti, così da rendere meno percepibile al consumatore il prezzo del salmone in confronto ad altre fonti proteiche
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Il Regno Unito ha visto un incremento dei fatturati delle imprese che operano nel settore del salmone: il deprezzamento della sterlina britannica a seguito del referendum sulla Brexit, infatti, ha avvantaggiato il prodotto da allevamento scozzese su mercati interessanti e in crescita come Francia, Stati Uniti e Cina.
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Sotto la semplice denominazione “salmone” troviamo pesci con caratteristiche nutritive e valore commerciale enormemente diversi. Ecco che diventa di fondamentale importanza conoscere cosa si sta per comperare. matori che hanno rivolto le loro preferenze al salmone selvatico dell’Alaska o a prodotti ittici sostitutivi. Pesca del salmone selvatico: buona in Alaska, scende in Russia Il salmone selvatico ha avuto una pesca in linea con le attese in Alaska (nei primi nove mesi del 2017 sono stati pescati 219.000 salmoni per un peso stimato di 435.000 tonnellate), quantunque inferiori all’anno record 2015 principalmente per una minore quantità disponibile di salmone rosa, mentre per il salmone keta o chum salmon l’anno è stato caratterizzato da volumi in consistente crescita. Per la Federazione Russa, l’altro grande produttore di salmone selvatico, la produzione a fine 2017 è attesa attorno alle 320.000 tonnellate, in calo del 28% sul 2016 e del 15% sul 2015. Asia e paesi emergenti sostengono la domanda, UE e USA stabili Secondo le analisi del recente rapporto Globefish FAO, uno dei motivi per
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i quali l’incremento dell’offerta non ha determinato un crollo drastico dei prezzi, sebbene il calo del 26% del salmone atlantico norvegese da inizio a fine anno non sia trascurabile, è da attribuire ad una significativa ripresa della domanda di Brasile, Russia, Tailandia, Corea del Sud e di altri paesi asiatici, a motivo delle migliorate condizioni di quelle economie, mercati nei quali sono aumentate le importazioni tanto di salmone atlantico quanto di salmone pacifico. Al contrario, nell’Unione Europea l’aumento della domanda è legato alla componente di servizio del prodotto finito e alla porzionatura in formati ridotti in modo da rendere meno percepibile al consumatore il prezzo del salmone in confronto ad altre fonti proteiche. La Francia ha visto rallentare la domanda di salmone norvegese a causa dei prezzi al dettaglio che non sono scesi, mentre a dispetto dei prezzi elevati hanno avuto successo prodotti più di nicchia come il salmone scozzese marchiato label rouge e il salmone biologico irlandese. In Germania il Fisch-Informationszentrum2 ha confermato una
domanda sostenuta per i prodotti ittici, nonostante vi sia stato un freno su alcune categorie come il salmone a causa dei prezzi alti. Negli Stati Uniti i consumi di prodotto importato nel primo semestre 2017 sono rimasti uguali al corrispondente semestre dell’anno precedente (+0,25%) ma con un consistente incremento dei prezzi (+24%), assorbiti grazie alla buona prestazione dell’economia a stelle e strisce; i tre quarti dei volumi derivano da Cile (65.700 t), Canada (43.500 t) e Norvegia (24.500 t); quest’ultima è stata l’unica a mettere a segno un dato positivo in termini di quantità. Anche in Giappone i volumi si sono contratti notevolmente sia per il salmone atlantico sia per il salmone coho, sul quale alla fine del 2016 si erano rivolte le attenzioni del mercato nipponico in alternativa all’alto prezzo dell’atlantico. Roberto Villa Note 1. www.ssb.no/en/utenriksokonomi/statistikker/laks 2. www.fischinfo.de
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Rischi dai salmoni di allevamento: interrogazione UE con richiesta di risposta scritta alla Commissione Articolo 130 del Regolamento – Giulia Moi (EFDD), 20/12/2017 OGGETTO: Consumo di salmoni d’allevamento Lo studio pubblicato su SCIENCE che porta il titolo “Global assessment of Organic Contaminants in Farmed Salmons”, dopo aver verificato le tossine presenti nei salmoni da allevamento, raccomanda di evitarne il consumo. Negli allevamenti intensivi i reflui non vengono mai lavati via e si lasciano semplicemente cadere attraverso le reti. Il risultato sono migliaia di tonnellate di escrementi e rifiuti che si depositano sul fondale intorno agli allevamenti e che non vengono mai rimossi, alimentando le mutazioni di agenti patogeni che possono arrivare fino alle nostre tavole. Spesso i salmoni d'allevamento sono colorati artificialmente per imitare i salmoni selvaggi mediante l'aggiunta di un colorante nel mangime (Salmo Fan) che, a lungo andare, colora la carne di un rosa vivo quasi arancio.Molti paesi (come la Norvegia) aumentano le quantità di endosulfano nei mangimi, un pesticida altamente tossico. Essendo il salmone un animale carnivoro, per ottenere un chilo di salmone ne servono almeno 5 di altri pesci, il che contribuisce alla riduzione degli stock ittici che sta portando all’estinzione di molte specie. I salmoni d'allevamento potrebbero contenere proteine derivate da sottoprodotti di origine animale. Considerando i punti sopra elencati, può la Commissione indicare se è al corrente della situazione e, in caso affermativo,specificare quali provvedimenti intende adottare per la tutela della salute dei cittadini europei? Secondo alcuni studi scientifici, le precarie condizioni igieniche degli allevamenti (www.europarl.europa.eu; intensivi di salmone porterebbero ad una maggiore diffusione di agenti patogeni, World Food Press Agency – EFA News) fino ai supermercati e alle nostre tavole.
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Merluzzo bianco: previsioni per il 2018 La riduzione del 20% della quota di pesca nel Mare di Barents per il 2018 raccomandata dall’ICES spingerà verso una crescita dei valori di mercato. Il prezzo destinato a salire in corso d’anno. Il pollock riprende interesse di Roberto Villa
Le quote del 2017 nell’Atlantico settentrionale sono state particolarmente elevate; per contro, nel 2018 l’ICES (International Council for the Exploration of the Sea) raccomanda, per il merluzzo bianco, una riduzione della quota del 20% nel Mare di Barents: tale posizione
non ha sconvolto i due maggiori paesi operanti nell’area artica, Russia e Norvegia, che già si erano accordati in seno alla Commissione Pesca bilaterale per una diminuzione del 13% sia per il merluzzo bianco (per portarsi a 775.000 tonnellate) sia per l’eglefino (soglia prevista a 202.305
tonnellate). Il rapporto di dicembre Globefish della FAO riporta che, nel Mare del Nord, la situazione del merluzzo bianco si sta lentamente riprendendo dal sovrasfruttamento conosciuto negli ultimi decenni, che ha fatto registrare nel 2006 il picco minimo di 44.000 tonnellate pescate:
Sbarco di merluzzo bianco nelle acque nord-occidentali dell’Atlantico (photo © Johann68 / Dreamstime.com).
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Pesca del pollock (photo © www.alaskajournal.com).
Il mercato della Federazione Russa, coperto in primis dall’approvvigionamento interno, sta conoscendo lo spostamento dei consumi verso prodotti a maggior valore aggiunto, mentre l’export del pollock ha ripreso a salire, superando le 483.000 tonnellate
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le misure di salvaguardia poste in essere nel 2007, cioè la forte riduzione della quota annuale e il bando alla pesca dei pesci di piccole dimensioni, ha consentito di rimpinguare il patrimonio e nel 2017 il pescato ha toccato il valore di 150.000 tonnellate; inoltre il merluzzo del Mare del Nord ha ottenuto il prestigioso riconoscimento dal Marine Stewardship Council. Il pollock o merluzzo giallo dell’Alaska ha dato una pesca di 3,4 milioni di tonnellate; i prezzi, dopo un lungo periodo di stabilità, stanno cominciando a muoversi verso l’alto: il mercato della Germania, uno dei principali per questa specie, è tuttavia restio ad accettare il rialzo dei corsi di mercato per il prodotto spinato congelato in blocchi, vale a dire la tipologia più diffusa. La trasformazione del pollock dell’Alaska è ancora orientata prevalentemente al filetto in blocchi (325.000 tonnellate) rispetto
a quello in confezioni singole (64.000 tonnellate); i mercati nordamericano, europeo ed asiatico stanno inoltre richiedendo sempre di più prodotto senza pelle, che quindi acquista maggiore interesse per i trasformatori. Negli Stati Uniti l’aumento medio della produzione di quest’ultima tipologia è stato del 40% nelle due stagioni dell’anno, con acquisti importanti delle catene di fast food come McDonald’s e Subway. Va sottolineato che le preferenze di distributori e consumatori si sono recentemente rivolte al pollock per il minor prezzo rispetto al merluzzo bianco atlantico. Il merluzzo iberico ha visto catture per poco più di 8.000 tonnellate, un incremento del 20% rispetto all’anno precedente, in controtendenza rispetto al dato dell’ultimo decennio, che fa segnare un calo di ben oltre il 30%. Il mercato della Federazione Rus sa (coperto principalmente
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dall’approvvigionamento interno, anche a causa del persistente bando all’import di vari generi alimentari sussistente nei confronti di molti paesi occidentali) sta conoscendo lo spostamento dei consumi verso prodotti a maggior valore aggiunto, mentre l’export del pollock, dopo il tracollo del 2014 e la timida salita del biennio 2015-2016, ha ripreso a salire in maniera decisa, superando le 483.000 tonnellate. La Norvegia ha esportato nei primi mesi del 2017 un volume totale di 249.000 tonnellate di merluzzo di tutte le specie, registrando un aumento del 9% in volume e del 10% in valore, con la destinazione cinese cresciuta del 12% in volume (23.800 tonnellate) e del 23% in valore. La Cina ha ridotto, nel primo semestre 2017, le importazioni di merluzzo bianco congelato (104.200 tonnellate, pari a un –4,4%) proveniente in ordine decrescente da Federazione Russa, Stati Uniti e Norvegia, mentre il pollock dell’Alaska è cresciuto del 15% per un
volume di 448.800 tonnellate, in arrivo per oltre il 90% dalla Federazione Russa, grazie al prezzo basso che a giugno era di 980 dollari USA per tonnellata. La maggior parte del merluzzo importato viene lavorato ed esportato (nei primi sei mesi del 2017 il quantitativo di filetti congelati inviati oltre confine è stato di 109.900 tonnellate, –4,8% sul corrispondente periodo dell’anno precedente), sebbene vi sia una quota crescente destinata al consumo interno. Nel Regno Unito le vendite nel canale della Grande Distribuzione sono salite a 48.600 tonnellate (+4%) nel periodo da luglio 2016 a luglio 2017, con la maggior quota detenuta dal merluzzo bianco (del quale i due terzi venduti congelati) seguito dall’eglefino che si è avvantaggiato di prezzi più contenuti. Le importazioni di merluzzo bianco congelato in Germania, nella prima metà del 2017, sono scese a 17.900 tonnellate (dalle 18.200 della prima metà del 2016), provenienti
per oltre la metà dalla Cina; al contrario sono salite di oltre il 7% (per un volume di 71.700 tonnellate) le importazioni di filetti congelati di pollock con gli Stati Uniti e la Federazione Russa, che hanno eroso quote alla Cina. Roberto Villa Nota Con il termine merluzzo ci si riferisce solitamente al merluzzo bianco o comune (Gadus morhua), al merluzzo del Pacifco (Gadus macrocephalus) e al merluzzo della Groenlandia (Gadus ogac), tutti appartenenti ad un solo genere noto come “Gadus”. La tipologia di merluzzo più conosciuta è il merluzzo nordico, pesce migratore che vive lungo la fascia costiera del nord Atlantico, del mar Baltico (dove è denominato merlano) e del mare del Nord dove è possibile trovarlo in branchi di grandi dimensioni. Non è invece presente nel mar Mediterraneo, nel quale vivono specie affini (fonte: www.tagliapietrasrl.com).
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RETAIL NEWS
Extracoop, il nuovo iper di Coop Alleanza 3.0 Nei punti vendita delle gallerie Centro Nova alle porte di Bologna, Grandemilia a Modena ed ESP a Ravenna, la nuova insegna ha ripensato e superato il tradizionale modello di ipermercato. I tre negozi sono strutturati come un “mercato urbano”: un’area centrale per gli alimentari e corner specializzati a tema con nuovi servizi COOP ALLEANZA 3.0 ha lanciato Extracoop: un modello di ipermercato senza precedenti, che cambia il modo di fare la spesa, tenendo saldi i valori, la qualità e la convenienza di COOP. L’insegna Extracoop si è accesa lo scorso dicembre in tre negozi di altrettante gallerie commerciali, sostituendo quella ipercoop: al Centro Nova a Villanova di Castenaso, alle porte di Bologna, al Grandemilia di Modena e al Centro ESP di Ravenna.
Un negozio inedito per rispondere ai bisogni emergenti dei nostri soci mantenendo intatta l’attenzione ai consumi tradizionali Extracoop è un format che reinterpreta e va oltre il modello tradizionale di ipermercato, con un’esperienza di spesa fuori dal comune basata su offerta, servizi e ambientazione pensati in risposta al cambiamento dei consumatori. Un luogo extraordinario dove restare e non solo
passare; dove fare la spesa, e vivere esperienze: gustando, imparando, partecipando a eventi, concedendosi una pausa relax. La struttura si articola come un mercato urbano: un nucleo centrale, la via dei freschi, per i prodotti alimentari e, tutt’intorno, la via della scoperta con tanti spazi tematici: le aree per gli articoli non alimentari e i nuovi corner (shop in shop) con affaccio diretto sulla galleria
La pescheria del Centro Nova a Villanova di Castenaso (Archivio Coop Alleanza 3.0 – photo © Paolo Righi Meridiana).
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Pescheria Centro Nova (photo © Paolo Righi Meridiana). commerciale, dedicati alle ultime specializzazioni di Coop: l’ottica, la gioielleria, il bar ristorazione e — per la prima volta — anche l’alta profumeria con centro estetico e un negozio di piante e fiori recisi. Per lanciare Extracoop Coop Alleanza 3.0 ha scelto i tre negozi più grandi, significativi e frequentati della sua rete (10.000 m2 Centro Nova, 12.000 m2 Grandemilia, 9.500 m2 ESP). Le tre città coinvolte — Bologna, Modena e Ravenna — rappresentano a loro volta il cuore del territorio in cui è nata e opera la cooperativa (nelle tre province sono circa 850.000 i soci: 415.000 nel Bolognese, 290.000 nel Modenese, quasi 145.000 nel Ravennate). La struttura e la proposta di Extracoop: i reparti e i servizi I tre Extracoop hanno una struttura molto simile e presentano la stessa offerta e gli stessi servizi, con piccole differenze legate alle diverse metrature, superfici e percorsi di spesa. L’assortimento è stato rinnovato di circa il 40%: in tutto, sono presenti quasi 40.000 referenze, 19.000 delle quali non alimentari e 19.000 alimentari confezionati (questi ultimi cresciuti circa del 20%) e il resto freschissimi. Nel settore degli alimentari, nuovi prodotti sono stati pensati per coprire tutte le necessità e con
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un’attenzione ai mutati stili di consumo: il mangiar sano (Bio e Vegan), la valorizzazione delle tradizioni locali, i sapori esotici e “lontani”, l’esigenza dei consumatori di non sprecare “cibo e tempo” (con nuovi packaging di minore grammatura e confezioni take away), il rispetto dell’ambiente. Il nucleo centrale dell’alimentare include: • la rinnovata piazza dell’ortofrutta; • il Sushi take; • il corner Territori.coop; • la cantina; • la nuova area showcooking; • i banchi Formaggeria, Gastronomia, Carni, Pescheria, Pane e pasticceria con prodotti pronti preparati nei laboratori a vista, da portar via o da consumare nelle aree allestite con tavoli e sedie. Tutt’attorno, poi, ci sono i reparti non alimentari, con corner che possono vantare assortimenti e servizio pari a quelli di negozi specializzati, e altre aree dove si è scelto di puntare sul solo servizio. Gli ambiti coperti sono: l’abbigliamento, il tempo libero (con faida-te e giardino), la pulizia, lo spazio dei prodotti per la casa e la cucina, l’area tecnologia e multimedia, il corner dei giocattoli, la cartoleria, la libreria (con i titoli scelti da Librerie. Coop), l’area Salute & Benessere con la parafarmacia.
Con affaccio in galleria e casse autonome, infine, ci sono i nuovi shop in shop: la profumeria e centro estetico Momenti per te, l’area Piante fiori, lo spazio Gioielli Coop, l’Ottica Coop e il punto ristoro Buona pausa. Al Grandemilia, l’offerta si completa con l’agenzia Viaggi Coop, realizzata con Robintur. Ampliata e arricchita anche l’area servizi, che unisce il Punto d’ascolto con l’ufficio del Prestito sociale e lo spazio Assicurarsi Coop, con prodotti assicurativi, finanziari e previdenziali, pensati per i soci in partnership con ASSICOOP (per ulteriori approfondimenti sui reparti di Extracoop vedi scheda dedicata). A rendere gli Eextracoop unici ci sono anche i circa 1.100 lavoratori dei tre punti vendita (377 a Centro Nova, 425 a Grandemilia, 330 ad ESP): quelli già in servizio e quelli nuovi, appositamente selezionati seguendo le loro passioni, tutti formati per servire i clienti con un approccio differente e la massima professionalità. Gli ingressi sono due; la barriera delle casse è stata arretrata per fare posto ai nuovi corner con affaccio in galleria. Gli Extracoop sono aperti da lunedì alla domenica (Nova da lunedì a sabato dalle 8.30 alle 21, la domenica dalle 9 alle 21; Grandemilia da lunedì a venerdì dalle 9 alle 22, sabato e domenica dalle 9 alle 21; ESP da lunedì a domenica dalle 8:30 alle 21). La creazione del nuovo format è stata affidata allo studio di architettura specializzato Schweitzer Group, che ha studiato allestimenti funzionali ed eleganti, con spazi ampi e uso di nuovi materiali, interfacciandosi con Inres, il consorzio cooperativo nazionale per la progettazione e l’ingegneria. Pescheria Il reparto servito seleziona le varietà di pesce più pregiate e saporite, per una scelta di qualità guidata dai consigli degli addetti tra le tante proposte del mercato giornaliero. Al banco self-service si trova invece pesce già sfilettato e pronto, comodo e veloce, con oltre 70 proposte e di piatti a base di pesce già pronti per essere cucinati.
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CONSUMI
Il consumatore europeo: abitudini e caratteristiche di chi acquista pesce in UE Nel 2015, i consumatori dell’UE hanno speso 54 miliardi di euro in prodotti ittici e consumato, in media, 25,5 kg a testa. Quali sono però le preferenze e le abitudini dei consumatori in questo mercato fondamentale? Cosa guida i loro acquisti? E il mercato soddisfa le loro aspettative? Sono queste le domande cui cerca di dare risposta uno studio della Commissione europea pubblicato recentemente. Lo studio si compone di due sezioni: un sondaggio, svolto mediante più di 27.000 interviste faccia a faccia con i cittadini di tutti i 28 Stati Membri, e
uno studio di mercato che comprende interviste con i rivenditori su larga scala e le associazioni nazionali di pescherie. La relazione ha riscontrato che i consumatori europei mangiano pesce abbastanza regolarmente, in particolare a casa (il 72% almeno una volta al mese e il 42% una volta a settimana). La percentuale dei consumatori che mangia prodotti ittici con regolarità al di fuori dell’ambiente domestico è inferiore (34% una volta al mese), seppure con differenze notevoli a livello nazionale. L’acquisto di prodotti ittici è
altresì molto frequente: 4 europei su 10 lo acquistano almeno una volta a settimana e 7 su 10 almeno una volta al mese. Solamente in Ungheria, priva di sbocchi sul mare, la maggior parte delle persone ha affermato di non acquistare mai prodotti ittici. I rivenditori su larga scala svolgono un ruolo sempre più importante al termine della catena di fornitura: la maggior parte dei consumatori acquista presso di essi i prodotti ittici. Questa tendenza è confermata dai supermercati, che prevedono un’ulteriore crescita delle quote di vendita negli anni a venire. Tuttavia,
Buone notizie per il settore: uno studio recente sulle abitudini dei consumatori in tutta l’UE rivela che il pesce e i prodotti ittici sono comunemente consumati sulle tavole di tre quarti dei cittadini europei. I risultati offrono spunti interessanti sulle preferenze e sui comportamenti dei consumatori e forniscono indicatori utili di come il mercato potrebbe espandersi e diversificarsi in quello che rappresenta il più grande mercato ittico del mondo (photo © Аrtranq – stock.adobe.com).
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il mercato è pieno di opportunità anche per le pescherie e i negozi specializzati, che possono differenziarsi specializzandosi in segmenti di mercato specifici (ad esempio, prodotti selvatici o esclusivi). Possono altresì avvalersi delle proprie competenze, in quanto i consumatori identificano il dipendente di negozio o il pescivendolo come la principale fonte di informazioni sui prodotti ittici. Le vendite dirette sono un altro canale importante, in particolare nei paesi con molti produttori su piccola scala. Lungi dall’essere relegati nelle loro abitudini, i consumatori in tutta l’UE sono aperti a provare nuovi prodotti. Sono notizie promettenti per i venditori e chiaramente c’è un potenziale di mercato in attesa di essere sfruttato. Tuttavia, è necessario valutare attentamente come affrontare questo potenziale. Per esempio, i consumatori preferiscono provare nuovi prodotti a casa piuttosto che nei ristoranti. E vendere semplicemente prodotti più economici, o riempire gli scaffali o i banconi di più prodotti possibile, potrebbe non essere il modo più efficace di convincere i consumatori. In poche parole, la chiave è disporre dei prodotti giusti nel giusto contesto. A questo preciso scopo sono disponibili finanziamenti nel quadro del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca. Elementi guida e preferenze Al momento dell’acquisto intervengono svariati fattori. L’aspetto, ad esempio la freschezza, è ciò che maggiormente influenza, seguito da vicino dal prezzo. I consumatori dell’UE sono anche attenti al luogo di origine dei prodotti: una relativa maggioranza (37%) preferisce i prodotti provenienti dai propri paesi, seguiti dai prodotti regionali (29%). Oltre un consumatore su dieci (14%) dichiara di preferire i prodotti provenienti dall’UE. Fattori che influenzano l’acquisto • Aspetto 58% • Prezzo 55% • Origine del prodotto 42% • Marchio o etichette 24%
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• Questioni di natura etica e ambientale 15 % Agli intervistati è stato inoltre chiesto se preferivano il pesce d’allevamento o quello selvatico. Una maggioranza preferisce i prodotti selvatici, ma una grossa fetta (31%) dichiara di non avere alcuna preferenza. Un 14% dichiara di non sapere se i prodotti acquistati sono d’allevamento o selvatici. Questo suggerisce che esiste una finestra di opportunità per l’acquacoltura europea, in quanto i consumatori sembrano più preoccupati della freschezza del prodotto rispetto al metodo di produzione utilizzato. Motivi per mangiare i prodotti ittici • Sono salutari 74% • Sono buoni 58% • Contengono un basso contenuto di grassi 30% • Sono facili da digerire 19% • Sono facili da preparare 17% Gli amanti del pesce hanno sottolineato che mangiano pesce principalmente perché è un prodotto salutare (74%) e buono (58%). Al contrario, la maggior parte delle persone che non mangia pesce ha affermato di non farlo perché l’odore o il gusto dei prodotti assaggiati non sono stati di loro gradimento. Gli sforzi per migliorare il gusto dei prodotti ittici o di ottimizzare l’offerta potrebbero portare questi potenziali consumatori a dare al pesce un’altra possibilità. Oltre i due terzi (69%) degli intervistati afferma che le etichette sui prodotti ittici e dell’acquacoltura sono chiare e di facile comprensione. Solamente il 4% non è affatto d’accordo. In generale gli intervistati hanno fiducia nelle informazioni fornite, con l’81% che si fida delle informazioni obbligatorie, il 74% delle informazioni certificate dagli enti indipendenti e il 71% delle informazioni fornite dal marchio o dal venditore. In termini di informazioni fornite, la maggior parte di quelle richieste per legge è considerata rilevante da una grande maggioranza di consumatori, ad eccezione di quelle riguardanti le attrezzature da
OFFICINA MASETTI Srl Via Vignolese, 1170 41126 San Damaso (Modena) Italy Tel. +39 059 469112 – Fax +39 059 469944 info@officinamasetti.it www.officinamasetti.it
I consumatori dell’Unione Europea sono in generale attenti al luogo di origine dei prodotti: una relativa maggioranza (37%) preferisce i prodotti provenienti dai propri paesi, seguiti dai prodotti regionali (photo © www. leporemare.com). pesca. Tuttavia alcune informazioni potrebbero anche essere utili per i prodotti preparati e confezionati, in quanto il sondaggio indica che i consumatori sono molto interessati a sapere quale pesce è stato utilizzato, oltre che la relativa origine. Per quanto riguarda le informazioni volontarie, risulta che anche le disposizioni legali soddisfano le aspettative dei consumatori, con una eccezione: più dei tre quarti (76%) ritiene che la data di cattura o di produzione dovrebbe essere riportata sull’etichetta. Importanza delle informazioni obbligatorie • Data minima di conservazione/ data di scadenza 94% • Nome del prodotto/specie 88% • Se congelato in precedenza 85% • Selvatico o d’allevamento 73%
• Se catturato o allevato • Attrezzatura da pesca utilizzata
72% 44%
E i rivenditori? Quanto sono in sintonia con i gusti e la domanda dei consumatori? A seconda del rivenditore e della regione, la percentuale dei prodotti provenienti dall’UE varia dal 45% al 100%. In linea con la domanda dei consumatori, il 56% dei rivenditori vende pesce fresco. Un 59% dei rivenditori dichiara di offrire ai propri clienti prodotti contrassegnati dal marchio di qualità ecologica, sebbene in alcuni casi preferiscano non mostrare loghi per evitare di creare confusione. È stato affermato che non tutti i gruppi destinatari desiderano le stesse informazioni. Infatti, il sondaggio conferma che queste informazioni dovrebbero
I rivenditori su larga scala svolgono un ruolo sempre più importante al termine della catena di fornitura: la maggior parte dei consumatori acquista presso di essi i prodotti ittici. Il trend è confermato dai supermercati: si stima infatti un’ulteriore crescita delle quote di vendita
essere mirate a seconda dell’età e dei gruppi sociali specifici. I rivenditori riferiscono che la quota di mercato del settore della pesca e dei prodotti dell’acquacoltura è rimasta stabile nel periodo 2010-14, mostrando addirittura qualche leggero aumento. L’impatto maggiore si è verificato nel pesce fresco preconfezionato. Sebbene i risultati siano abbondanti e diversi, sia il sondaggio sia la relazione sui rivenditori danno motivo di essere ottimisti: esistono opportunità di mercato da sfruttare per chi intende diversificare la propria offerta e mirare a gruppi socioeconomici o di età specifici. Pescatori e rivenditori, prendetene nota. (Fonte: Affari Marittimi e Pesca Commissione europea ec.europa.eu)
The European consumer Good news for the industry: a study of consumer habits across the EU reveals that fish and seafood are commonly found on the tables of three quarters of Europeans.The findings give interesting insights into consumer preferences and behaviour, and provide useful indicators of how the market could be expanded and diversified in what is the world’s biggest market for seafood. In 2015, EU consumers spent € 54 billion on seafood and consumed, on average, 25.5 kg per head. But what are the preferences and habits of consumers in this key market? What drives their purchases? And does the market deliver on their expectations? These are the questions that the study recently published by the European Commission tries to answer.
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International Food, Drinks & Food Service Exhibition
Canned food show
BARCELONA Aprile 16-19 Fiera Barcellona Gran Via www.alimentaria-bcn.com
A unique Food, Drinks and Gastronomy Experience
Co-located event
Un circolo virtuoso correlerebbe consumo abituale di pesce, qualità del riposo notturno e capacità verbali a 12 anni La relazione tra consumo di pesce e funzione cognitiva viene attribuita agli Omega-3 a lunga catena contenuti nel pesce, fondamentali per un corretto sviluppo delle strutture cerebrali e per il mantenimento della loro funzionalità a lungo termine. Alcune ricerche hanno inoltre messo in luce che un adeguato e costante apporto di Omega-3 influisce positivamente anche sulla qualità del riposo notturno. Ora, un nuovo approfondimento sembra dimostrare che questi elementi, in età scolare, sono strettamente associati: gli Omega-3 favorirebbero lo sviluppo e il mantenimento di una migliore cognitività migliorando l’attività cerebrale delle ore di riposo notturno, destinata, com’è noto, a fissare e a memorizzare le informazioni, a riorganizzare le attività cerebrali e a favorire la plasticità neuronale, in vista della nuova giornata. In presenza di un’ottimale qualità del sonno, quindi, i processi cognitivi delle ore notturne migliorerebbero. Lo studio ha coinvolto 541 ragazzini cinesi (maschi e femmine), tra i 9 e gli 11 anni, ed è il primo ad aver esaminato in parallelo le abitudini alimentari, con specifica attenzione al consumo di pesce, le informazioni relative alla qualità del riposo notturno e i test di valutazione del QI misurati a distanza di tempo. Da tutta questa messe di dati è emerso chiaramente che il consumo regolare di pesce (almeno una volta alla settimana), rispetto a un consumo sporadico o assente, era associato a punteggi più alti (4,8 punti in più) nei test di QI relativi alla verbalizzazione. Parzialmente avvantaggiati rispetto ai non consumatori (3,3 punti in più) risultavano anche coloro che consumavano pesce solo qualche volta. L’analisi ha dimostrato infine che il QI maggiore era stato ottenuto da ragazzini e ragazzine che dormivano meglio, suggerendo una correlazione tra questi due fattori. Gli approfondimenti futuri, secondo i ricercatori, potranno definire l’eventuale ruolo del tipo di pesce consumato; nel frattempo, le evidenze attuali sono già più che sufficienti per incoraggiare i genitori a includere nel menu settimanale almeno una porzione di pesce (fresco, surgelato o in scatola) e, per chi già lo gradisce, ad aumentarne ulteriormente le occasioni di consumo (le nostre Linee guida nazionali suggeriscono, al proposito, almeno due porzioni settimanali). (Fonte: NFI – Nutrition Foundation of Italy)
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NUTRIZIONE
Lo sgombro: versatile e nutriente, coniuga gusto, salute e risparmio Particolarmente adatto a bambini, anziani e sportivi, ricco di Omega-3, calcio, ferro e vitamina D, lo sgombro è tra i pesci azzurri più nutrienti. Buono, conveniente e sano, come ci ricorda il prof. Migliaccio, presidente emerito della Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione Il pesce “ruffiano” amico di Plinio È tra le varietà di pesce azzurro più ricche di Omega-3, calcio, ferro e vitamina D. Stiamo parlando dello sgombro. Gustoso e nutriente, è considerato un vero toccasana per la salute e un alimento versatile in cucina. Il suo sapore forte e deciso, infatti, lo rende utilizzabile in moltissime ricet-
te, un’ottima alternativa a chilometro zero. Da pasto veloce quando si ha poco tempo a ingrediente per ricette elaborate, viene consumato regolarmente tutto l’anno e rappresenta un mercato nettamente in crescita. A dimostrare la passione per questo alimento che presenta numerosi pregi nutrizionali, i dati Gfk e IRI elaborati
da ANCIT confermano che le vendite a volume in Italia nel 2016 di sgombro in conserva (salamoia e sottolio) hanno superato le 8.500 tonnellate (+4,8% rispetto all’anno precedente) per un fatturato che supera i 100 milioni di euro. Numeri che posizionano lo sgombro ai primi posti tra i pesci in conserva più amati dagli Italiani.
Lo sgombro è ricco di minerali come il magnesio e il fosforo e possiede una cospicua percentuale di proteine (photo © marilyn barbone – stock.adobe.com).
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Le vendite in volume in Italia nel 2016 di sgombro in conserva (salamoia e sottolio) hanno superato le 8.500 tonnellate (+4,8% rispetto all’anno precedente) per un fatturato che supera i 100 milioni di euro. Numeri che posizionano lo sgombro ai primi posti tra i pesci in conserva più amati dagli Italiani (photo © dulsita – stock.adobe.com). Lo sgombro, pesce osseo che popola il mare Mediterraneo e l’oceano Atlantico, è buono anche solo gustato con un filo di olio e prezzemolo perché le sue carni sono molto saporite. Sgombro, ma anche maccarello (nome molto diffuso a Roma), lacerto e ciortone (nome toscano), tutti termini dall’etimologia curiosa ma incerta. Il nome ufficiale proverrebbe dal greco, dal nome della famiglia Scombridae, e già nel 78 d.C. PLINIO lodava lo sgombro di Cetara nel suo Historia naturalis; maccarello invece è un nome che comincia ad apparire nel XVI secolo e proverrebbe dal francese maquereau, che significa “ruffiano”, riferito al fatto che lo sgombro, nelle migrazioni, si riunisce in branchi con aringhe e calamari e ne favorisce la riproduzione. Lacerto, dal latino, indica invece un muscolo guizzante e, infine, ciortone ha l’etimo più divertente ma anche quello più certo: il nome, infatti, è una storpiatura dei pescatori italiani dall’inglese short tuna, come lo chiamavano gli americani presenti nell’immediato dopoguerra nel litorale toscano fra Viareggio e Livorno. Amico di bambini e anziani Si trova in commercio sotto differenti forme: fresco, surgelato o in scatola.
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Ed è il migliore amico di anziani e bambini poiché non presenta squame, ha pochissime spine e ha un elevato apporto proteico. Nella sua versione in scatola conserva intatte tutte le proprietà nutritive del pesce fresco, con tutti i benefici che ne conseguono per il cuore e il colesterolo alto. Si va dal prodotto al naturale a quello sottolio extravergine d’oliva, che aumenta ulteriormente l’effetto protettivo nei confronti del cuore e delle arterie. Soprattutto quello sottolio riscuote un gran successo tra i più piccoli, facilitando la strutturazione di una dieta equilibrata per l’infanzia.
L’identikit nutrizionale Lo sgombro è un alimento che appartiene al primo gruppo fondamentale degli alimenti. Fonte nutrizionale di proteine ad alto valore biologico, vitamine e sali minerali specifici, si distingue per il notevole contenuto degli acidi grassi polinsaturi Omega-3 acido eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA), due molecole che contribuiscono allo sviluppo nervoso e oculare dei bambini, alla strutturazione delle membrane cellulari, al mantenimento dei parametri metabolici come la pressione arteriosa e i trigliceridi nel sangue. L’apporto calorico dello sgombro proviene soprattutto dai lipidi, seguiti dai protidi e da tracce di glucidi. Le proteine sono ricche di amminoacidi essenziali e si avvalgono di un maggior potere saziante prestandosi particolarmente alle diete ipocaloriche dimagranti. «Lo sgombro è un alimento importante ed estremamente valido per la salute dell’uomo» afferma il prof. PIETRO MIGLIACCIO, presidente emerito della Società Italiana di Scienze dell’Alimentazione. «L’apporto di proteine, di alto valore biologico, è di 19,3 ogni 100 grammi. Non sono presenti carboidrati e i grassi ammontano a 11,1 g, ma si tratta di grassi buoni, composti da Omega-3, protettivi nei confronti del cuore e dei vasi sanguigni. Inoltre, contribuiscono a ridurre il colesterolo totale, aumentando il colesterolo HDL e
Costituita nel 1961, ANCIT (Associazione Nazionale Conservieri Ittici e delleTonnare) è l’associazione che rappresenta le imprese operanti nel settore delle conserve ittiche, in particolare i produttori di tonno in scatola e di altri prodotti ittici conservati. Tra le 22 aziende associate ad ANCIT, 13 aderiscono al gruppo “Tonno”, in rappresentanza di un settore che conta 1.550 addetti e che, nel 2011, ha registrato una produzione pari a 68.000 tonnellate (+4,6% rispetto al 2010). Numeri che fanno dell’Italia il secondo produttore europeo di tonno in scatola dopo la Spagna. Dal punto di vista dei consumi, nello stesso 2011 gli italiani hanno acquistato 141.000 tonnellate di tonno in scatola (+6% sul 2010) per un valore di 1,070 miliardi di euro. ANCIT aderisce a livello nazionale a Federalimentare e Confindustria, in campo europeo ad AIPCE-CEP (Associazione europea dei trasformatori del pesce) e ad EUROTHON (Comitato europeo interprofessionale del tonno tropicale). >> Link: ancit.inc-press.com
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5 motivi per non rinunciare allo sgombro 1. È tra le varietà di pesce azzurro più ricche di Omega-3, calcio, ferro e vitamina D. È considerato un vero toccasana per la salute e un alimento versatile in cucina. Ideale per la cena natalizia o da consumare regolarmente tutto l’anno. 2. Si presta a diversi usi in cucina. Buono gustato solo con un filo di olio e prezzemolo, quando si ha poco tempo, perché le sue carni sono molto saporite. Oppure perfetto in ricette più elaborate, conciliando gusto, salute e risparmio. È molto apprezzato dagli chef. 3. Piace molto a bambini e anziani perché non presenta squame, ha pochissime spine e ha un elevato apporto proteico. Contribuisce allo sviluppo nervoso e oculare, alla strutturazione delle membrane cellulari, al mantenimento dei parametri metabolici come la pressione arteriosa e i trigliceridi nel sangue. In scatola conserva tutte le sue proprietà nutritive e la versione sottolio, la più amata dai piccoli, facilita la strutturazione di una dieta equilibrata. 4. È in grado di fornire una cospicua percentuale di proteine, fonte di energia per la muscolatura, diventando alimento ideale anche nella dieta degli sportivi. Inoltre, i grassi dello sgombro sono i migliori alleati per l’apparato cardiocircolatorio poiché “puliscono” le arterie e riducono i livelli di colesterolo LDL nel sangue. Le proteine sono ricche di amminoacidi essenziali e si avvalgono di un maggior potere saziante prestandosi particolarmente alle diete ipocaloriche dimagranti. 5. È tra i prodotti ittici più ricchi di vitamina D e calcio, necessari per la crescita scheletrica e il mantenimento del tessuto osseo. E la presenza di vitamina B e iodio assicura il mantenimento in salute della ghiandola tiroide, deputata alla regolazione del metabolismo corporeo.
riducendo quello LDL. È notevole anche l’apporto di calcio (185 mg per 100 g di prodotto), tra i più ricchi dei prodotti ittici. Importante è anche l’apporto nutrizionale dello sgombro all’olio di oliva. Parliamo di 237 kcal per 100 g, 16 g di grassi, di cui 12 g
composti da acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi. Le proteine sono pari a 23,3 g. E sulla presenza di sale, parliamo di meno di 1 g, per un totale di meno di 400 mg di sodio». Tra le vitamine si apprezza il contenuto della liposolubile calciferolo
(vitamina D) e di alcune idrosolubili del gruppo B. La vitamina D è necessaria per la crescita scheletrica e il mantenimento del tessuto osseo. Le vitamine B, tipicamente abbondanti nello sgombro, sono invece dei fattori co-enzimatici molto importanti. Tra i sali minerali è apprezzabile il contenuto di iodio, che assicura il mantenimento in salute della ghiandola tiroide, deputata alla regolazione del metabolismo corporeo. Ottimo anche il livello di fosforo e potassio. Lo sgombro si presta a tutti i regimi alimentari, compresi quelli per la cura delle patologie metaboliche. La porzione media di sgombro è di circa 150 g (255 kcal). Alleato di chi fa sport Lo sgombro è ricco anche di minerali come il magnesio e il fosforo e possedendo anche una cospicua percentuale di proteine, è l’alimento ideale nella dieta degli sportivi. I grassi dello sgombro sono i migliori alleati per l’apparato cardiocircolatorio poiché “puliscono” le arterie e riducono i livelli di colesterolo LDL nel sangue, riducendo così il rischio di incorrere in malattie cardiovascolari molto gravi. Non solo, sono un valido aiuto contro le infiammazioni dell’apparato digerente e mantengono attive le funzioni cerebrali. (Fonte: ANCIT – Associazione Nazionale Conservieri Ittici e delle Tonnare)
SAPORE DI MARE
Cremonini, dalla carne al pesce Lanciata una nuova catena di fish street food, Crazy Fish. Aperto il secondo locale a Roma Est Ecco il Cremonini che non ti aspetti. Il principale produttore di carni bovine in Italia, noto ai più come il re della bistecca, ha lanciato una nuova catena di ristoranti di pesce. Vero è che il gruppo da molti anni ha diversificato le attività nella distribuzione e nella ristorazione e che il business delle carni rappresenta solo il 40% del fatturato totale, ma la notizia dell’apertura di un nuovo locale dedicato al fish street food
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non può che colpire, soprattutto perché si tratta di una costola nata da Roadhouse, la catena di ristoranti di carne che oggi ha all’attivo più di 110 locali. Crazy Fish, questo il nome del nuovo format, ha aperto nel mese di gennaio il suo secondo locale nel centro commerciale di Roma Est. Il primo era stato inaugurato a Modena senza suono di fanfare, ma l’esperimento evidentemente ha funzionato
e il nuovo marchio è ormai in rampa di lancio per svilupparsi, soprattutto all’interno dei centri commerciali, a giudicare dal successo con cui è stato accolto nel centro commerciale romano. La formula è quella del fish street food, quindi largo spazio alle fritture in cartoccio, declinate in varie modalità, ma sono disponibili anche fish burger, panini di mare, fish&chips, insalate di mare o cuscus di mare, con
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prezzi che partono da un minimo di € 7,90 (ma il kids menu è a € 5,90). Il servizio è misto: si ordina alla cassa e si prendono le bevande, poi ci si accomoda con un timer elettronico che segnala l’arrivo dei vassoi (che vengono consegnati dai camerieri). L’ambientazione del locale è allegra e tipica di una location marinara, nei colori e nelle decorazioni. Crazy Fish nasce dall’evoluzione di Roadhouse, una società a sé controllata al 100% da Cremonini, che gestisce vari brand di ristorazione casual dining: il più noto è ovviamente Roadhouse Restaurant che ha 110 locali in Italia e 3 all’estero, a cui si sono appena aggiunti Meatery (formato di bistecchiera premium) e Calavera Fresh Mex (altra novità assoluta ispirata alla cucina messicana), entrambi inaugurati a CityLife a Milano.
Crazy Fish è un nuovo format dedicato al fish street food del Gruppo Cremonini. In foto gli ambienti del nuovo locale aperto nel centro commerciale di Roma Est.
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I PIATTI DI PESCE DI GREGORI NALON Tagliolini di mare al cartoccio
Fiore di baccalà arrosto con tortino di patate
Difficoltà: facile Preparazione: meno di 8 minuti Dosi: per 4 persone
Difficoltà: facile Preparazione: meno di 15 minuti Dosi: per 4 persone
INGREDIENTI • g 500 di Preparato Misto Scoglio Noriberica • g 160 di tagliolini di pasta fresca all’uovo • g 160 di tagliolini di pasta fresca all’uovo agli spinaci • g 80 di olio evo • g 50 di vino bianco • g 20 di prezzemolo
INGREDIENTI • g 500 di Fiore di Baccalà Noriberica • g 100 di olio evo • g 100 di vino bianco • g 50 di albume • g 5 di aglio • g 5 di rosmarino • 1 foglia d’alloro • g 50 di sedano • g 50 di carote
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g 5 di basilico g 5 di aglio fresco g 3 di rosmarino fresco g 100 di pomodorini ciliegina g 200 di sugo di pomodoro cotto g 1 di curry crostini di pane tostato peperoncino, sale e pepe
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g 50 di scalogno g 50 di pomodorini g 10 di prezzemolo g 2 di peperoncino g 3 di timo g 500 di patate lesse g 150 di pecorino semistagionato • g 100 di pane grattugiato • sale e pepe
Preparazione Mettiamo a bollire l’acqua per la pasta. Contemporaneamente, in una padella, a crudo, aggiungiamo l’olio, l’aglio, il peperoncino e il rosmarino. Facciamo rosolare qualche secondo e uniamo il Preparato misto scoglio sfumando con pochissimo vino bianco. Uniamo poi i pomodorini, il curry, un pizzico di sale e pepe. Facciamo cuocere per 5-6 minuti (un minuto in più se il misto scoglio è utilizzato da congelato), aggiungendo prezzemolo e basilico tritato, prima di spegnere. Nel frattempo, non appena l’acqua in pentola bolle, versiamo una foglia d’alloro e i tagliolini, che facciamo sbollentare solo qualche minuto. Li scoliamo e spadelliamo velocemente. Mettiamo il tutto nel cartoccio (alla cui base, se vogliamo, sistemiamo dei crostini di pane tostato) aggiungendo un filo d’olio, il pomodoro cotto e un goccio di olio al basilico. Avvolgiamo il cartoccio, chiudiamo e mettiamo in forno per 7-8 minuti a 160 °C.
Preparazione Tagliamo a pezzettini scalogno, sedano e carote e rosoliamoli velocemente in padella con olio e una fogliolina d’alloro, condendo con sale, pepe e, se serve, poca acqua. Dopo qualche secondo aggiungiamo rosmarino e pomodorini e sfumiamo con vino bianco. Togliamo dal fuoco e, prima di mettere in teglia per infornare, aggiungiamo anche del prezzemolo. A seguire, nella stessa padella rosoliamo il Fiore di baccalà con olio, aglio e peperoncino. Condiamo con sale e pepe e sfumiamo con il vino bianco. Versiamo tutto, verdure e baccalà, nella stessa pirofila e mettiamo in forno a 190 °C per 12 minuti. Nel frattempo prepariamo il tortino di patate. In una bacinella mettiamo le patate lesse schiacciate, del timo, una spolverata di pane grattugiato, pecorino, sale e pepe. Aggiungiamo un goccio di albume d’uovo e andiamo a impastare per formare, con le mani, dei tortini che andremo a mettere in padella (con carta da forno) a rosolare con un filo d’olio per 5-6 minuti.
Presentazione Disponiamo il cartoccio aperto al centro del piatto, uniamo dei pezzetti di crostini di pane tostato e un filo d’olio.
Presentazione Sistemiamo sul piatto il tortino di patate; sopra mettiamo il baccalà. Cospargiamo le verdure e serviamo.
Guarda il video di questa e di altre gustose ricette su www.noriberica.com
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Gamberi gratinati ai vari gusti
Spiedini di cozze esotici
Difficoltà: facile Preparazione: meno di 15 minuti Dosi: per 1-2 persone (5 gamberi per persona)
Difficoltà: facile Preparazione: meno di 10 minuti Dosi: per 4 persone
INGREDIENTI • Per il pane aromatico bianco: g 40 di pane grattugiato, g 50 di pane bianco per tramezzini, g 10 di pecorino, g 20 di olio evo, g 3 di porcini secchi • Per il pane rosso: g 40 di pane grattugiato, g 70 di pane bianco per tramezzini, g 20 di peperone rosso, 2 lamponi, g 10 di olio evo, pepe rosa • Per il pane giallo: g 40 di pane grattugiato, g 50 di pane bianco per tramezzini, buccia di mezzo limone, buccia di mezza arancia, 1 bustina di zafferano, g 20 di olio evo • Per il pane nero: g 40 di pane grattugiato, g 70 di pane bianco per tramezzini, 1 bustina di nero di seppia, g 2 di caffè macinato, g 20 di pecorino, g 10 di olio evo • Per il pane verde: g 40 di pane grattugiato, g 70 di pane bianco per tramezzini, g 5 di basilico, g 5 di prezzemolo, g 2 di menta fresca, g 10 di pecorino, g 20 di olio evo • Per i gamberi: 5 Gamberi Argentini Noriberica, g 100 di olio evo
INGREDIENTI • g 200 di Cozze Sgusciate Noriberica • g 100 di ananas • g 200 di pomodorini • g 200 di farina di riso • g 1 di peperoncino • g 20 di paprica rubino
Preparazione Per creare i diversi tipi di pane aromatico bisogna frullare tutti gli ingredienti previsti per ciascuno di essi. Una volta terminato, passiamo ai gamberi. La preparazione è molto semplice: bisogna aprire i gamberi in due, condire ogni gambero con un tipo di pane diverso e passare in forno a 200 °C per circa 7 minuti.
• maionese alle erbe • g 150 di acqua • g 200 di pane grattugiato • sale • spiedini di legno da cm 10 circa
Preparazione Per gli spiedini, infilziamo in sequenza: cozze (leggermente decongelate), pomodoro, ancora cozze, ananas, di nuovo cozze e così via. A parte, da un lato, prepariamo una pastella mescolando acqua, farina di riso, paprica, peperoncino e un pizzico di sale; dall’altro, il pane aromatico, unendo al pane grattugiato sia paprica che peperoncino. A questo punto passiamo gli spiedini nella pastella, quindi nel pane, prima di friggerli in olio, a basse temperature e per pochi secondi (in alternativa, si può cucinare in forno a 210 °C per 5-6 minuti). Al termine della cottura aggiungiamo un pizzico di sale. Per la maionese alle erbe, infine, possiamo utilizzare prezzemolo, timo e menta (in più, se si vuole, prepariamo anche un’emulsione al basilico, con panna fresca e formaggio pecorino). Presentazione Disponiamo nel piatto la maionese alle erbe (e/o l’emulsione al basilico) adagiandovi sopra gli spiedini.
Presentazione Sistemiamo sul piatto delle insalatine e sopra distribuiamo i 5 gamberi conditi. Aggiungiamo delle salse a base di pomodoro, basilico e maionese. Guarda il video di questa e di altre gustose ricette su www.noriberica.com
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IL PESCE IN TAVOLA
È chiamato anche pettine di mare
Il canestrello dell’Alto Adriatico Da protagonista dei piatti dell’antica tradizione dei pescatori alle moderne preparazioni in cui può efficacemente sostituire le più costose capesante di Nunzia Manicardi
Il canestrello è un mollusco, ma è anche un biscotto dalle origini antichissime che, tipico soprattutto di Piemonte e Liguria dove si presenta con gustosissime varietà locali, deve il nome probabilmente al canestro, cioè al cesto di paglia o vimini dove queste fragranti prelibatezze venivano messe a raffreddare dopo la cottura e dove venivano poi conservate. Il canestrello mollusco, protagonista del nostro articolo, deve presumibilmente anch’esso il nome
alla somiglianza con un canestro in quanto è fornito di una conchiglia bivalve rotondeggiante del diametro di 6-7 centimetri e dai colori molto variegati, dal bianco al giallo, dal marrone al rosato e a macchie più intense fino anche al violaceo, e, soprattutto, alle costole radiali rilevate e molto spaziate, disposte a raggiera, che si trovano al di sopra di entrambe le valve (in numero di 20 per valva) e che ricordano appunto l’intreccio del canestro. Il nome scientifico è invece
Chlamys opercularis (Linnaeus, 1758). Appartiene alla famiglia dei Pectinidi (pettini di mare). Vive su fondali sabbiosi o detritici a non meno di 10 metri di profondità e si spinge fino ai 40. I canestrelli nel Mediterraneo sono diffusi soprattutto nell'Alto Adriatico, come è opportunamente ricordato anche nel sito dell’importante Mercato Ittico di Chioggia. Inoltre, sono abbondanti nell’Oceano Atlantico dalla Norvegia alle Isole Canarie e
Canestrelli gratinati (photo © blog.giallozafferano.it).
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Canestrelli sgusciati (photo © www.marescafish.com). nel Mare del Nord. Sono molto diffusi anche nell’isola britannica di Man, dove si svolge annualmente il Queenie Festival dedicato proprio a loro. In commercio si trovano pure canestrelli di allevamento, venduti chiusi, ancora vivi, in reti che riportano il lotto di provenienza e la data di scadenza (che consigliamo di verificare sempre con molta attenzione). Una volta che il canestrello viene pescato è difficile che resti in vita, quindi si procede subito a congelarlo. In genere è anche già sgusciato. La pesca avviene in tutte le stagioni dell’anno ma quella ideale è l’inverno, approfittando delle migrazioni caratterizzate da grandi banchi. Sembra che questo mollusco abbia la capacità di spostarsi, e anche per notevoli distanze, sfruttando come metodo di propulsione il movimento prodotto dall’aprirsi e chiudersi delle valve sulla superficie dell’acqua.
I canestrelli assomigliano alle capesante, da cui si differenziano sia perché sono più piccoli e più piatti sia perché hanno la conchiglia colorata mentre quella della capasanta è bianca. All’interno tuttavia sono del tutto uguali, presentando entrambi un piede arancione e un mollusco bianco carnoso. Ma la differenza è evidente specialmente a livello commerciale in quanto i canestrelli sono considerati meno pregiati. Siccome costano meno delle capesante, non di rado li si utilizza per sostituirle ma il risultato finale è comunque sempre ottimo grazie alla loro carne tenera e particolarmente gustosa. L’importante, però, è che il prezzo risulti adeguato al prodotto effettivamente venduto! La scelta d’acquisto del canestrello va effettuata tenendo conto — come per tutti gli altri molluschi bivalvi quali vongole e capesante — del colore brillante della conchiglia e
Dal punto di vista nutrizionale il canestrello è un’ottima fonte di sali minerali che aiutano molto il nostro apparato scheletrico e la nostra circolazione sanguigna. È inoltre ricco di proteine, di sali minerali, calcio, fosforo e ferro e vitamine A e E
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della consistenza soda del suo interno. Va poi sciacquato accuratamente sotto acqua corrente e spurgato per qualche ora in una pentola piena d’acqua fredda preventivamente salata in modo che si spurghi bene di tutta la sabbia presente al suo interno. Se non si apre è opportuno scartarlo. Aiutandosi con un coltellino si deve poi sfilare la polpa dalla sacca trasparente facendo attenzione a non intaccare la parte arancione. Dopo di che va lavato ancora in acqua fredda. Il consumo deve avvenire entro poche ore dall’acquisto (al massimo 24 ore) perché si deteriora facilmente. Dal punto di vista nutrizionale il canestrello è un’ottima fonte di sali minerali che aiutano molto il nostro apparato scheletrico e la nostra circolazione sanguigna. È inoltre ricco di proteine, di sali minerali (Calcio, Fosforo e Ferro) e vitamine A e E ed è particolarmente indicato per chi segue una dieta ipocalorica perché è povero di grassi, di colesterolo e di chilocalorie (per 100 grammi di prodotto abbiamo soltanto 93 kcal circa). Il sapore è delicato per cui si abbina facilmente a vari ingredienti e a svariate preparazioni culinarie. Per dargli maggior sapore riesce benissimo quando è gratinato in forno, ma è ottimo anche consumato crudo, naturalmente previo abbattimento e dopo essersi ancora una volta assicurati della loro provenienza e scadenza, e condito con appena un’emulsione di olio e limone. È perfetto per risotti o sughi come quello allo scoglio, preferibilmente unito ad altri crostacei e molluschi. Può anche sopportare la frittura, impanato a piacere, o servito appena scottato. La differenza maggiore nel suo impiego in cucina è dato dalle dimensioni. Quelli piccoli sono adatti ai primi piatti, quelli medi o grandi possono costituire un secondo già di per sé. I piatti a base di questo mollusco provengono quasi tutti dall’antica tradizione dei pescatori dell’Adriatico, a partire dai più famosi che, come appena ricordato, sono i seguenti: canestrelli al sugo, canestrelli scottati, canestrelli gratinati al forno, canestrelli fritti, canestrelli crudi conditi con limone.
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Canestrelli al sugo Si fanno rosolare per pochissimo tempo con olio d’oliva, aglio e peperoncino (intero). Si sfumano con un po’ di vino bianco. Intanto si procede con la cottura della pasta. Quando il vino evapora si tolgono aglio e peperoncino e si versano i pomodorini tagliati a metà (in quantità adeguata a quella della pasta) insieme con la pasta lasciata al dente, qualche cucchiaio d’acqua di cottura e un filo d’olio crudo. Si fanno saltare per qualche minuto a fiamma vivace, dando un po’ di corpo al sapore grazie a sale, pepe e un trito di erba cipollina e prezzemolo. Si servono subito con una bella
spolverata di pangrattato asciugato in padella con olio e peperoncino in polvere. Spaghetti e bavette sono i formati più adatti, ma piuttosto diffuso è anche l’abbinamento con le tagliatelle. Canestrelli gratinati al forno Disporre i molluschi, con la loro conchiglia, sulla teglia da forno e spolverarli con un po’ di pangrattato. Irrorare con un filo d’olio extravergine e infornare a 180 gradi per non più di 10 minuti. Canestrelli fritti Dopo averli sgocciolati ben bene, infarinarli e friggerli in abbondan-
te olio d’oliva (assicurarsi che sia molto caldo). Deporli su un foglio di carta assorbente avendo cura che perdano il più possibile l’eccesso di olio. Condirli con un pizzico di sale (anche superfluo) e una spolverata di pepe macinato fresco. In Veneto, terra d’elezione di questa eccellenza gastronomica, molto apprezzati sono anche i canestrelli con la polenta, piatto veneziano in cui i nostri molluschi, adagiati su una polenta molto morbida dopo essere stati soffritti in un trito di aglio e prezzemolo, sfumati con vino bianco e accompagnati con un po’ di pepe, risulteranno esaltati al massimo livello. Nunzia Manicardi
La Dieta Mediterranea allunga la vita Dopo i recenti studi pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica “The Lancet” nell’ambito del progetto Prospective Urban Rural Epidemiology (P.U.R.E.), gli esperti dell’Osservatorio Grana Padano hanno valutato le abitudini alimentari di 4.500 Italiani adulti (57% donne, 43% maschi, di età media 52 anni) per identificare il rischio di mortalità correlata all’alimentazione in relazione ai dati emersi dallo studio P.U.R.E. Lo studio dell’Osservatorio conferma che le abitudini alimentari del campione di Italiani studiati forniscono la quantità di macronutrienti che lo studio associa ad una minore mortalità. «Lo studio dell’Osservatorio evidenzia che le abitudini degli Italiani intervistati si avvicinano molto alle percentuali di energia derivate da macronutrienti correlate ad un più basso tasso di mortalità emerse dallo studio P.U.R.E.» ha commentato la dott.ssa Michela Barichella del comitato scientifico OGP e presidente di Brain and Malnutrition Association Onlus. «Questo potrebbe spiegare in parte il fatto che la nostra popolazione è tra le più longeve al mondo ed anche che la Dieta Mediterranea in generale è la più salutare». Le percentuali di macronutrienti associate a un minor rischio di mortalità dello studio P.U.R.E. sono molto simili alle percentuali consigliate secondo i LARN (Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana) che raccomandano di trarre dai carboidrati un rapporto medio tra i 50-55% di energia e dai lipidi tra 20-35% dell’energia totale introdotta. I LARN suddividono i vari tipi di lipidi e consigliano una quota di grassi saturi inferiori al 10% del totale e i PUFA (grassi polinsaturi tra i quali Omega-3 e Omega-6) compresi tra 5-10%. Dallo studio OGP emerge che gli intervistati introducono l’11% di energia proveniente da grassi saturi e il 4.9% dell’energia totale deriva dai PUFA. I dati sul consumo di lipidi saturi e PUFA del campione dello studio OGP si discostano dai valori consigliati dai LARN, ma il totale dei lipidi consumato è praticamente identico (34,5 vs 35%) ai dati emersi dallo studio americano che ha coinvolto diciotto Paesi e più di 135.000 persone, il quale afferma che è l’apporto totale di grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi, indipendentemente dal rapporto tra loro, a essere associato a un minore rischio di malattie come infarto o morte per malattie cardiovascolari. I grassi saturi vengono in un certo senso “riabilitati” e cade quella “demonizzazione” tipica degli ultimi decenni che ci porta a ridurre i grassi nella nostra alimentazione, in particolare quelli di latte e derivati. Gli esperti dell’Osservatorio hanno stilato 5 utili consigli per introdurre la “giusta” quantità di grassi: 1. utilizzare olio extravergine d’oliva (20-30 g/die, 4-6 cucchiaini), un alimento ricchissimo di proprietà nutritive grassi monoinsaturi e vitamina E; 2. consumare latte e latticini tutti i giorni. Due porzioni di latte (cad. 200 ml) o yogurt (cad. 125 g) oltre alla ricotta, un latticino ricco di lattoferrina, una proteina importante per i suoi effetti antinfiammatori. Formaggio fresco o stagionato è consigliato come secondo piatto 2-3 porzioni a settimana (cad. 100 g fresco e 50 g stagionato). I formaggi stagionati, come il Grana Padano DOP o il Parmigiano Reggiano DOP, si può mangiare anche tutti i giorni, per esempio 2-3 cucchiai di grattugiato (cad. 10 grammi) per insaporire i primi piatti al posto del sale; 3. il pesce, in particolare quello azzurro e il salmone, è ricco di Omega-3; nella Dieta Mediterranea, il pesce andrebbe consumato almeno tre volte a settimana, per un totale di almeno 600 grammi di parte edibile; 4. la frutta secca è ricca di acidi grassi polinsaturi e se ne può consumare 15-20 grammi ogni giorno; 5. l’avocado, ricchissimo di vitamine, apporta fibra, sali minerali e Omega-3, se ne può mangiare 1-2 a settimana. (Osservatorio Grana Padano)
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Alto Adriatico coast to coast
Gli scampi “alla buzara” Dall’Istria e Dalmazia al Friuli Venezia Giulia e Veneto, ecco un antico metodo di cottura in guazzetto che, con pomodoro, aglio, peperoncino e prezzemolo (e, a piacere, anche vino), raggiunge l’apice quando accompagna gli scampi di Nunzia Manicardi
Gli scampi che ho mangiato io, in un ristorantino sul mare nella pittoresca Rovigno, il porticciolo di pescatori croato (e oggi anche rinomato porto turistico) che si trova sulla costa occidentale della penisola istriana, quasi di fronte alla nostra Ravenna, sono stati indimenticabili. Tant’è vero che poi non ho resistito alla
tentazione di andarmene a fare un altro piatto, stavolta in una delle trattorie che si susseguono sul bel lungomare alle cui spalle si staglia, sulla collina, la maestosa Cattedrale barocca di Sant’Eufemia, dedicata alla martire cristiana che dall’imperatore Diocleziano fu fatta dare in pasto ai leoni.
I miei pasti sono stati fortunatamente molto meno cruenti, anche se hanno permesso di spazzar via una notevole quantità di quei bei crostacei di cui abbondano le coste circostanti e le 14 isolette ancora intatte che le fiancheggiano a pochissima distanza. Ma, soprattutto, indimenticabile è stato il sugo che
Scampi “alla buzara” (photo © Lsantilli – Fotolia, mangiarebuono.it).
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Ogni mare ha il suo pesce migliore Dall’Adriatico al Tirreno, dal Mediterraneo agli oceani, ognuno offre le sue particolarità ed i suoi prodotti migliori. Per questa ragione ci spingiamo fino ai mari più lontani per cercare sempre i prodotti migliori.
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Veduta del centro storico della città di Rovigno, Istria (photo © travelpeter – stock.adobe.com). li ha accompagnati: quel sugo alla buzara (o alla busara) che costituisce la specialità locale. In realtà sono molti i luoghi che si contendono questo sugo a base di pomodoro, aglio, peperoncino e prezzemolo (con o senza vino, di solito rosso) come fattore di identità gastronomica: non solo l’Istria (e quindi non solo Rovigno) ma anche la Dalmazia, il Friuli Venezia Giulia (dove, anche a Trieste, gli scampi alla busara costituiscono uno dei piatti tipici) e il Veneto fino a Venezia tanto che, per far prima senza scadere in sterili campanilismi, si può sintetizzare che esso è presente ed ugualmente distintivo in tutto l’Alto Adriatico. Le due sponde sono così vicine, del resto, ed è stata tanta ed
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tale la vicinanza storica, culturale e linguistica che non può non aver avuto riflessi anche sul piano gastronomico. L’importante città portuale di Fiume, tra l’altro, che oggi è la croata Rijeka, è stata italiana dal 1924 al 1945. Fa piacere, quindi, che antiche e mai sopite divisioni e rivendicazioni seppelliscano una volta tanto l’ascia di guerra di fronte alla koinè culinaria rappresentata da questo sugo che merita di essere maggiormente conosciuto e apprezzato anche fuori dalle zone di appartenenza. Difficile, per non dire impossibile, anche ricostruire l’origine del nome. Si può tuttavia avanzare un’ipotesi attendibile. La busara, infatti, probabilmente era il nome del
grosso recipiente in coccio o in ferro dentro il quale venivano cucinati gli scampi sulle barche dei pescatori quando questi erano in mare a pesca, e da questo deve aver preso il nome il piatto. Ma, naturalmente, non tutti concordano… V INCENZO G ENOVESE , sul sito www.lacucinaitaliana.it, riporta l’autorevole opinione del professor PREDRAG MATVEJEVIC dell’Università di Zagabria secondo il quale il termine deriverebbe dalla voce dialettale buzzo che significa stomaco. Secondo altri, invece, trarrebbe origine da busiara che in dialetto significa bugia o imbroglio e si riferisce al fatto che la ricetta prevede che gli scampi siano imbrogliati, cioè coperti, nascosti, con il pomodoro. A dir la verità, la bugia consisterebbe nel fatto che i marinai avrebbero usato, al posto dei pregiati scampi, gli scarti di pesce e crostacei che non riuscivano a vendere, rendendoli gustosi grazie al sugo di pomodoro e al vino rosso. In questo modo, alla bugiarda, avrebbero fatto sembrare prelibata una minestra che invece era composta di avanzi. Tesi, questa, confermata anche da MARIO DORIA nel suo “Grande Dizionario del Dialetto Triestino”. Ma, diciamo noi, siccome la minestra è davvero prelibata, e oltretutto era destinata agli stessi marinaia che la cucinavano, che male ci sarebbe stati ad essere bugiardi? Ben venga la bugia, se deve dare un risultato così appetitoso! Altra storia, ovviamente, qualora si trattasse di ristorazione pubblica, con gli scarti al posto degli scampi… Un’ultima ipotesi, infine, sostiene che busara significherebbe zuppa. Sempre Genovese, nel sito sopraccitato, ci ricorda che i crostacei istriano-dalmati erano molto apprezzati già nell’Ottocento: “Antonio Papadopoli, gastronomo e comico veneto, ne tesse le lodi nella sua bizzarra ma interessantissima ‘Gastronomia Sperimentale’ del 1866. ‘Un giorno un forestiero disse: benedetto Fiume, le sue donne, i suoi scampi! Io invece secondo il mio gusto esclamerei: benedetto Fiume per i suoi scampi prima, e per le sue donne dopo’. Dalla costa
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fuoco basso. Unite gli scampi e fate cuocere insieme per altri 7 o 8 minuti (se cuociono troppo diventano stopposi), aggiungendo sale e pepe quanto basta, peperoncino e, alla fine, una manciata abbondante di prezzemolo fresco tagliato a mano (non con il coltello per non farlo diventare amaro). Servire caldissimo. L’abbinamento ideale, e anche quello più famoso, è con gli scampi ma il sugo si presta benissimo pure per gamberoni, moscardini e cozze, e ormai c’è chi ci mette perfino canocchie, granchi, calamari…. Sarebbe però preferibile, a mio avviso, rispettare la tradizione preferendo gli scampi per non correre il rischio di banalizzare uniformando troppo e perdendo così di vista le caratteristiche del piatto. Gli scampi conferiscono infatti anche visivamente una fortissima connotazione senza la quale questo sugo non sarebbe nient’altro che un guazzetto come tanti altri, per quanto buono e invitante. Eppure gli interessi turistico-commerciali
hanno ormai spinto anche verso gli spaghetti alla busara, reperibili facilmente fin dentro la laguna di Venezia. Hanno grande successo, a quanto pare, e quindi… va bene così. Gli indimenticabili scampi che ho mangiato io a Rovigno erano invece adagiati su un piatto di tagliatelle. Dapprima ho pensato che fosse un omaggio alla Romagna dirimpettaia, poi mi sono resa conto che anche le tagliatelle hanno fatto un lungo, lunghissimo giro prima di arrivare fino a noi. E che, così condite, quasi in brodetto, ricordavano più i noodles provenienti dal lontanissimo Oriente che non la pastasciutta del vicinissimo Occidente... Così ho riflettuto ancora una volta su quanto le barriere imposte dalle convenienze siano inutili impicci di fronte al continuo fluire della vita nelle sue molteplice forme, quel fluire che nulla quanto la cucina riesce a concretizzare in un piacere eterno e universale. Nunzia Manicardi
LB Comunicazione
dell’Istria gli scampi alla busara sconfinarono dopo la Prima Guerra Mondiale in quel coacervo di culture e influenze culinarie (italiana, slava, austriaca) che è la città di Trieste e da allora diventarono vanto della gastronomia locale”. La preparazione è molto semplice ma non per questo va fatta frettolosamente o senza attenzione. Innanzitutto gli scampi vanno lavati con cura e poi incisi sul dorso con un coltello (altrimenti si fa fatica a mangiarli). Vengono poi fatti cuocere, appoggiandoli sempre sul dorso, per circa 3 minuti, in una padella antiaderente in cui avrete fatto rosolare nell’olio alcuni spicchi d’aglio. A piacere potete sfumare con il vino, rosso ma anche bianco a seconda dei gusti (c’è pure chi utilizza il brandy…). Una volta evaporato il vino, prelevate gli scampi e riponeteli da parte. Aggiungete al fondo di cottura i pomodori, precedentemente sbollentati, spellati e tagliati a pezzetti, e fare cuocere per 20 minuti circa a
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La filiera ittica tra sfide e innovazione
Serve un confronto tra tutti gli attori della filiera per superare le difficoltà di Gian Omar Bison
Il convegno promosso martedì 5 dicembre u.s. all’Eataly di Roma dal Dipartimento Pesca della Legacoop Agroalimentare, dipartimento che associa 300 cooperative e 95 imprese per un fatturato di 300 milioni, 3.100 barche (il 25% del totale delle barche italiane) e 8.600 soci (il 27% degli addetti italiani nella pesca e acquacoltura), ha voluto accendere una luce sull’intera filiera del settore
e illuminare, analizzare e valorizzare quelle parti “nascoste” perché possano diventare un valore aggiunto; un volano di crescita e fatturato per il comparto intero. Con questo spirito sono interve nuti come case histories veri testimonial della ristorazione, della trasformazione, del packaging e del pescaturismo. Tra i partecipanti al convegno, il ministro del Lavoro
GIULIANO POLETTI, il sottosegretario all’Agricoltura GIUSEPPE CASTIGLIONE, i top manager di alcune tra le principali catene della GDO (Coop, Conad, Eataly) e il presidente nazionale di Legacoop, MAURO LUSETTI. «Serve un confronto tra tutti gli attori della filiera — ha sottolineato ANGELO PETRUZZELLA, coordinatore nazionale Dipartimento Pesca Legacoop Agroalimentare — per
“La filiera ittica tra sfide e innovazione” è il titolo del convegno organizzato dal Dipartimento Pesca di Legacoop Agroalimentare svoltosi lo scorso 5 dicembre presso Eataly Roma ostiense.
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M.GI.B. –
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Tutti i giorni condividiamo con voi i nostri tesori del mare…
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1) Angelo Petruzzella, coordinatore nazionale Dipartimento Pesca Legacoop Agroalimentare. 2) Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali. 3) Giovanni Luppi, presidente Legacoop Agroalimentare. 4) Il presidente nazionale di Legacoop Mauro Lusetti.
Le istituzioni devono fare uno sforzo di equilibrio tra gli interessi in campo riducendo i vincoli inutili, sostenendo con forza l’innovazione per favorire il ricambio generazionale e riformando l’apparato amministrativo pubblico, centrale e periferico
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superare le difficoltà. Le imprese stanno facendo la propria parte, e lo dimostrano i casi di eccellenza che abbiamo presentato, ma sono fondamentali il contributo delle istituzioni e la collaborazione con la Grande Distribuzione Organizzata. È un settore in sofferenza da tempo, considerato che in pochi anni sono andati persi 17.000 posti di lavoro, nonostante la domanda di pesce da consumare a tavola sia superiore all’offerta. Le istituzioni devono fare uno sforzo di equilibrio tra gli interessi in campo — ha continuato Petruzzella — riducendo vincoli spesso inutili, sostenendo con forza l’innovazione per favorire il ricambio genera-
zionale e riformando l’apparato amministrativo pubblico, centrale e periferico. Un comparto dalle grandi potenzialità ancora inespresse è quello dell’acquacoltura: un modello di eccellenza fatto di 800 impianti che producono 140.000 tonnellate l’anno di prodotti freschi, i quali contribuiscono a circa il 40% della produzione ittica nazionale e al 30% circa della domanda di prodotti freschi. Lo sviluppo sostenibile di questo settore, attraverso la blue economy come modello di business a impatto zero, rappresenta una delle scommesse per il futuro della pesca italiana». Tra le più innovative esperienze tra le cooperative del settore della
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Un comparto dalle grandi potenzialità ancora inespresse è quello dell’acquacoltura: Lo sviluppo sostenibile di questo settore, attraverso la blue economy come modello di business a impatto zero, rappresenta una delle scommesse per il futuro della pesca italiana
pesca, la cooperativa toscana Mare Nostrum, privilegiando il lavoro con specie meno note, ha brevettato un processo di preparazione del pescato che agisce su temperatura, umidità e ossigeno, per aumentare la shelflife del prodotto e soddisfare così le esigenze della ristorazione collettiva e della GDO. La Cooperativa Pescatori di Fano, che dopo aver dato vita alla catena di ristoranti Pesce azzurro, in cui i pescatori — a pochi metri dall’approdo — servono pesce fresco e vendono prodotti ittici con il proprio marchio, è ora impegnata nel lancio della linea Cibidamare: 12 referenze di sughi pronti rivolte alla GDO e prodotte in uno stabilimento all’avanguardia. In Sardegna, il Nuovo Consorzio Cooperative Pontis ha puntato sul cefalo muggine, sinora utilizzato solo per la bottarga, mettendo in produzione filetti di muggine affumicato. La nuova produzione, integrata nel ciclo della bottarga, ha consentito di ottenere un’offerta più ampia e senza sprechi.
Il sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione. In Sicilia, la cooperativa Mare dell’Etna ha valorizzato una materia prima locale di altissima qualità: il tonno alalunga, equiparabile per gusto al tonno rosso. In Friuli, la cooperativa Almar ha adottato un sistema di acquacoltura di precisione per
L’intervento di Maura Latini, direttore generale Coop Italia. A moderare la parte del convegno dedicata alle“Relazioni di filiera e catena del valore”, durante la quale è intervenuto tra gli altri anche Francesco Pugliese, amministratore delegato Conad, Cristina Lazzati, direttrice di Mark Up.
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minimizzare l’impatto ambientale e, come altre realtà cooperative — in particolare il Consorzio Pescatori di Goro, in provincia di Ferrara — ha sviluppato una nuova filiera di confezionamento dei molluschi vivi, con un sistema di packaging sottovuoto in termosigillatura che consente di mantenere gli alimenti freschi più a lungo, preservando igiene e caratteristiche organolettiche e nutrizionali. La capacità di accorciare la distanza tra produzione e consumo, offrendo un servizio al cliente finale, accomuna l’Organizzazione dei produttori della pesca di Bellaria e la cooperativa Pescatori dello Ionio. La prima ha inserito nelle proprie etichette un QR Code che consente di tracciare in tempo reale le produzioni: grazie all’applicazione APPena pescato, ogni livello della filiera — dal grossista, al commerciante, al consumatore finale — può effettuare direttamente il proprio acquisto. La cooperativa Pescatori dello Ionio ha sviluppato un’iniziativa analoga, lanciando l’app Pesce a Miglio zero,
Degustazione di prodotti delle coop associate a Legacoop Agroalimentare. che inoltra quotidianamente notifiche sul pescato in arrivo agli utenti iscritti, i quali possono raggiungere il luogo di sbarco per i loro acquisti. Infine, per diversificare l’offerta e coniugare pesca locale e turismo, la Cooperativa San Marco di Burano ha sviluppato, in collaborazione
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con Regione Veneto, l’attività di pescaturismo. È nata così I-Lagoon, una video-audioguida pensata per accompagnare le escursioni, integrando l’esperienza pratica con informazioni digitalizzate su mestieri, tradizioni, produzioni. Gian Omar Bison
FIERE
Viva la Marca del Distributore MarcabyBolognaFiere continua a crescere nel numero di espositori, superficie, insegne e buyer esteri Oltre 656 espositori, 21 insegne, 80 delegazioni da 19 Paesi. Questi i numeri, tutti in crescita rispetto all’edizione 2017, di MARCAbyBolognaFiere, il salone internazionale dedicato ai prodotti a Marca del Distributore organizzato da BolognaFiere, in collaborazione con ADM (Associazione Distribuzione Moderna), svoltosi il 17 e 18 gennaio scorsi nel capoluogo emiliano. MARCA, seconda fiera del comparto in Europa per importanza, rappresenta un punto di riferimento per la business community dei prodotti MDD ed è la sola manifestazione del settore che vede la partecipazione delle più importanti Insegne della
Distribuzione Moderna Organizzata (DMO) presenti con un proprio spazio espositivo e all’interno del comitato tecnico-scientifico della manifestazione. MARCA da sempre ha una vocazione internazionale e, anche per questa edizione, l’ha confermata e rafforzata, con un numero importante di operatori esteri e una significativa presenza di category manager provenienti dal mondo del retail. Sono state 80 le delegazioni provenienti da 19 Paesi (Austria, Belgio, Canada, Cina, Croazia, Danimarca, Egitto, Francia, Gran Bretagna, Germania, Israele, Macedonia, Olanda, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, USA).
Questo risultato è stato raggiunto anche grazie ad ICE, l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane e al programma di investimento finalizzato al coinvolgimento di VIP buyer provenienti dall’estero. La 14 a edizione di MARCA ha visto una crescita dello spazio espositivo (35.500 m2), grazie a due padiglioni in più rispetto allo scorso anno. Quattro le insegne new entry: PAM, REWE Group, Consorzio C3 e Leader Price Italia. Quello della Marca del Distributore è un settore che nel 2017 ha superato i 10 miliardi di euro di fatturato, coinvolgendo attivamente
MARCA da sempre ha una vocazione internazionale che, anche per l’edizione 2018, ha confermato e rafforzato. Sono state 80 le delegazioni provenienti da 19 Paesi.
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La 14a edizione di MARCA ha visto una crescita dello spazio espositivo (35.500 m2), grazie a due padiglioni in piĂš rispetto allo scorso anno. Quattro le insegne new entry: PAM, REWE Group, Consorzio C3 e Leader Price Italia.
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Marca 2018, conferenza d’apertura “Etichetta privata: il valore e il ruolo del sistema nazionale”.
Marca 2018 è anche stata l’occasione per parlare di innovazione e creatività, caratteristiche peculiari del made in Italy, che non possono venire meno anche in questo settore. E, per il 2019, segnatevi già in agenda le date: sempre a Bologna il 16 e 17 gennaio
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una filiera molto rilevante, con oltre 50 settori e comparti economici. Un settore che assicura un’offerta di prodotti sempre più ampia e di alta qualità, in grado di soddisfare anche i bisogni più complessi: nel settore food, ad esempio, si va dal biologico, agli alimenti per le intolleranze alimentari, fino alle migliori eccellenze del territorio. Dell’importanza di questo segmento di mercato si è discusso nell’ambito del convegno di apertura del 17 gennaio, “Marca del Distributore. Il valore e il ruolo per il sistema-paese”, organizzato da ADM in collaborazione con The European House – Ambrosetti. Un’occasione per discutere delle prospettive future dell’economia italiana, presentando i dati della ricerca sul tema realizzata dai promotori del convegno. Un quadro dettagliato e aggiornato sui dati del comparto MDD nell’anno 2017 è stato poi fornito dall’Osservatorio MARCA-BolognaFiere nel XIV Rapporto annuale sull’evoluzione della Marca commerciale presentato il 18 gennaio. Per l’occasione sono stati illustrati i risultati dell’indagine sulle
tendenze del mercato della MDD e sui comportamenti dei consumatori nel corso dell’intero ultimo anno. Marca 2018 è anche stata l’occasione per parlare di innovazione e creatività, caratteristiche peculiari del made in Italy, che non possono venire meno anche in questo settore. Nel pomeriggio del 17 gennaio si è tenuta la terza edizione dell’ADI Packaging Design Award, nato da un progetto di ADI, l’Associazione per il Disegno Industriale, e fortemente condiviso da MARCA, e che mira a valorizzare i prodotti più innovativi del comparto del packaging italiano. Una commissione di esperti ha analizzato nel corso della giornata i prodotti esposti e ha selezionato i cinque maggiormente in grado di coniugare il packaging con l’innovazione e l’eccellenza progettuale: due nel settore food, due nel settore non-food, e una menzione d’onore a discrezione della giuria. Appuntamento sempre a Bologna per la prossima edizione il 16 e 17 gennaio 2019. >> Link: www.marca.bolognafiere.it
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19° SALONE INTERNAZIONALE DELL’ALIMENTAZIONE
PARMA.7|10MAGGIO.2018
WELCOME TO FOODLAND
RASSEGNE
Doppia vittoria La “zuppetta di stoccafisso con sedano rapa e alghe” dello chef Andrea Rossetti del Fuel Ristorante in Prato si è aggiudicata l’edizione numero 8 del Festival Triveneto del Baccalà Trofeo Tagliapietre e il premio della stampa «È una grande emozione vincere l’ottava edizione del Festival Triveneto del Baccalà. Dedico il Trofeo Tagliapietra alla mia brigata, che ha contribuito con passione e dedizione alla creazione di questo nuovo piatto. Della finale, ciò che mi porterò sempre nel cuore è lo spirito di collaborazione tra noi chef. Nonostante la competizione, abbiamo contribuito tutti alla preparazione di ogni piatto in gara, come un grande team!». ANDREA ROSSETTI del Fuel Ristorante in Prato di Padova vince, con la ricetta zuppetta di stoccafisso con sedano rapa e alghe, l’ottava edizione del Festival Triveneto del Baccalà -–
Trofeo Tagliapietra e il premio della stampa. Dopo 24 tappe in tutto il Triveneto, altrettanti chef in gara, oltre 70 ricette rigorosamente originali e creative a base di stoccafisso e baccalà salato. La cerimonia di premiazione si è svolta lunedì 4 dicembre al termine del gala finale tenutosi alla Locanda del Borgo (Rocca Sveva – Soave, Verona). Ad accompagnare i piatti proposti dagli chef finalisti una selezione di vini della Cantina Soave. La giuria tecnica, coordinata da FRANCO FAVARETTO, chef patron del Baccalàdivino di Mestre, era composta da ETTORE BONALBERTI, ideatore e presidente onorario del
Festival Triveneto del Baccalà; MARTINO SCARPA, chef dell’Osteria ai Do Campanili (Cavallino – Treporti, Venezia), vincitore della scorsa edizione della manifestazione; FAUSTO ARRIGHI, tecnico della ristorazione ed ex direttore della Guida Michelin; EMANUELE SCARELLO, chef stellato del ristorante Agli Amici (Udine); ANTONIO CHEMELLO, chef della trattoria Da Palmerino (Sandrigo, Vicenza); ALESSANDRO BREDA, chef stellato del ristorante Gellius (Oderzo, Treviso); e KARL BAUMGARTNER, chef stellato del ristorante Schöneck (Falzes, Bolzano). I giurati hanno decretato la migliore ricetta 2017, assegnando
Il piatto vincitore: la zuppetta di stoccafisso con sedano rapa e alghe dello chef Andrea Rossetti (photo © Martina Zilio).
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Lo chef Andrea Rossetti con la famiglia Tagliapietra (photo © Martina Zilio). allo chef Rossetti il Trofeo Tagliapietra che gli è stato consegnato da ERMANNO e DANIELE TAGLIAPIETRA, rispettivamente titolare e amministratore delegato della Tagliapietra e Figli Srl. Inoltre, lo chef ha vinto un viaggio alle Lofoten, isole norvegesi patria del merluzzo. Alla manifestazione enogastronomica itinerante, organizzata dalla Dogale Confraternita del Baccalà mantecato, dalla Venerabile Confraternita del Bacalà alla vicentina, dalla Vulnerabile Confraternita dello Stofiss dei Frati in collaborazione con Tagliapietra e Figli Srl, una delle aziende leader in Italia nell’importazione, lavorazione e commercio di prodotti ittici, in particolare del merluzzo, hanno preso parte 24 ristoranti tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, presentando, come da regolamento, tre piatti — antipasto, primo e secondo — di cui due con stoccafisso e uno con baccalà salato. Durante il gala finale è stato inoltre servito l’aperitivo realizzato da Gellius Ristorante & Lounge
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Bar di Oderzo (Treviso), vincitore della terza edizione di Baccalando, il percorso ideato per i giovani che si affianca a quello più tradizionale del Festival Triveneto del Baccalà, che prevede la proposta, in chiave creativa e originale per cinque locali alla moda del Veneto, di cicheti, stuzzichini o finger food a base di baccalà. L’aperitivo del Gellius, L’Inganno, il finto panino di baccalà ideato dallo chef ANTONINO MICALIZZI, accompagnato dal cocktail Il finto Americano firmato da MATTIA MAZZON, bartender del Gellius, è stato premiato come la proposta più innovativa. Il Gellius ha vinto un weekend per due persone ad Oslo, in Norvegia. «Sono orgoglioso di poter affermare che il Festival Triveneto del Baccalà è diventato una manifestazione di successo, sentita e apprezzata non solo dai ristoranti in gara, ma anche dal pubblico. Un grande impegno da parte di tutti i protagonisti del Festival per un unico obiettivo: la valorizzazione del baccalà e dello stoccafisso, andando oltre le ricette
classiche della tradizione» dichiara LUCA PADOVANI, presidente del Comitato organizzatore del Festival. «I livelli di qualità e creatività delle proposte culinarie sono sempre più alti. La ricetta vincitrice ha convito la giuria, di cui sono il coordinatore, per l’estro, la raffinatezza della presentazione, il sapiente equilibrio dei sapori e la capacità di esaltare il prodotto protagonista: il merluzzo» sottolinea Franco Favaretto. «L’obiettivo di questa manifestazione consiste nel promuovere e diffondere la cultura del merluzzo in cucina. Una tradizione che arriva dalle isole Lofoten, dove il merluzzo rappresenta una delle voci più importanti per l’export del paese. E, nonostante questo, l’ecosistema del merluzzo viene rispettato attraverso l’applicazione di rigide regole riguardo alle quote di pesca» conclude Daniele Tagliapietra, amministratore delegato della Tagliapietra e Figli Srl. «È un prodotto eccezionale, così come lo è il popolo norvegese: siamo fieri di collaborare e di farci ambasciatori di questa cultura».
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LA PAGINA SCIENTIFICA
Trypanorhyncha nel pesce spada: aspetti igienico-sanitari e considerazioni ispettive sui parassiti non zoonosici di Serena Di Nardo e Alfredo Mengoli
Tassonomia e caratteristiche morfologiche di Trypanorhyncha I cestodi appartenenti all’ordine dei Trypanorhyncha sono tra i metazoi più comuni in ambiente marino: diffusi a livello globale, infestano una grandissima varietà di elasmobranchi, teleostei ed invertebrati.
La complessità morfologica che ne caratterizza la struttura è uno degli aspetti più studiati ancora oggi ed ha fornito diversi elementi utili per la classificazione tassonomica dell’ordine. La suddivisione sistematica più recente (Tabella 1) comprende ben
277 specie33 ed è il risultato di un continuo lavoro di ricerca e di aggiornamento operati da diversi autori principalmente sulla base delle correlazioni filogenetiche. Tuttavia, ogni anno vengono descritte nuove specie e nuovi generi, arricchendo il ventaglio di elementi che rende i
Il pesce spada è un pesce osseo marino con habitat pelagico e distribuzione cosmopolita. Si nutre di pesci pelagici e, occasionalmente, di crostacei, calamari e altri cefalopodi; in questo modo è esposto all’infestazione da Trypanorhyncha, nel cui ciclo biologico si comporta come ospite intermedio o paratenico.
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Tabella 1 – Tassonomia dei Trypanorhyncha ORDINE Trypanorhyncha SUBORDINE Trypanobatoida SUPERFAMIGLIA Eutetrarhynchoidea (Guiart, 1927) – FAMIGLIA Eutetrarhynchidae (Guiart, 1927) – FAMIGLIA Mixodigmatidae (Dailey & Vogelbein, 1982) – FAMIGLIA Progrillotiidae (Palm, 2004) – FAMIGLIA Rhinoptericolidae (Carvajal & Campbell, 1975) SUPERFAMIGLIA Tentacularioidea (Poche, 1926) – FAMIGLIA Tentaculariidae (Poche, 1926) – FAMIGLIA Sphyriocephalidae (Pinter,1913) – FAMIGLIA Kotorellidae (Euzet & Radujkovic, 1989) – FAMIGLIA Nybeliniidae (Poche, 1926) – FAMIGLIA Rufferidae (Guiart, 1937) SUBORDINE Trypanoselachoida SUPERFAMIGLIA Gymnorhynchoidea (Dolius, 1935) – FAMIGLIA Aporhynchidae (Poche, 1926) – FAMIGLIA Gilquinlidae (Dolifus, 1935) – FAMIGLIA Gymnorhynchidae (Dolifus, 1935) – FAMIGLIA Rhopalothylacidae (Guiart, 1935) SUPERFAMIGLIA Lacistorhynchoidea (Guiart, 1927) – FAMIGLIA Lacistorhynchidae (Guiart, 1927) – FAMIGLIA Pterobothriidae (Pinter, 1931) SUPERFAMIGLIA Otobothrioidea (Dolifus, 1942) – FAMIGLIA Otobothriidae (Dolifus, 1942) – FAMIGLIA Paranybeliniidae (Schmidt, 1970) – FAMIGLIA Pseudotobothriidae (Palm, 1995) FAMIGLIA Pseudonybeliniidae FAMIGLIA Trypanorhyncha incertae sedis Fonte:World Register of Marine Species. Trypanorhyncha un ordine diversificato e complesso. La classificazione dei Trypanorhyncha si basa principalmente sulle caratteristiche dell’apparato di adesione (rhyncheal apparatus39), caratterizzato dai botri e da quattro tentacoli retrattili ricchi di elementi specie-specifici che consentono il riconoscimento non solo dei parassiti adulti, ma anche delle forme larvali, dettaglio, quest’ultimo, che li rende unici rispetto ad altri parassiti. Tuttavia, la sistematica basata sui caratteri morfologici è soggetta
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ad interpretazioni differenti, che dipendono essenzialmente dal carattere considerato e dal rilievo che ogni autore gli attribuisce23. Alcuni autori, ad esempio, considerano l’armatura tentacolare come l’elemento principale sul quale basare la classificazione dei Trypanorhyncha; altri suggeriscono classificazioni alternative, basate sugli organi pre bulbari, sui solchi botriali, sull’aspetto e sulla disposizione degli uncini, e via discorrendo30. Le moderne tecniche di analisi genomica hanno consentito, in tempi
recenti, di eseguire accurate analisi cladistiche che in alcuni casi hanno confermato le osservazioni fatte sulla base dei caratteri fenotipici, in altri casi hanno proposto una lettura differente. Le stesse analisi filogenetiche, tuttavia, si prestano ad interpretazioni differenti, ed è pertanto possibile affermare che il dibattito sulla tassonomia dei Trypanorhyncha è tuttora aperto. Soffermandoci sulle caratteristiche morfologiche del parassita, la struttura di base consiste in una testa, chiamata scolice, un collo più o meno differenziato e un corpo (lo strobila). In questa sede ci soffermeremo principalmente sulla descrizione dell’apparato di adesione, essendo questo l’elemento che consente il riconoscimento macroscopico della larva e del parassita adulto. I botri, in numero di due o quattro, sono appendici muscolari motili, che assumono una forma diversa a seconda della specie e fungono da organi di movimento; possono essere completamente sessili o avere dei margini liberi ed essere o meno ricoperti di microtrichi. Gli organi di fissazione sono costituiti da quattro tentacoli retrattili, costellati da diverse file di uncini. Ogni tentacolo è costituito da una guaina, che origina internamente da una base, detta bulbo del tentacolo, e si continua esternamente nella parete del tentacolo. WARDLE e MCLEOD39 distinguono la guaina in due sezioni: una prossimale, non evaginabile e non armata, e una distale, evaginabile e armata. Quando il tentacolo è invaginato, la sua porzione distale si trova a contatto con la guaina, gli uncini rivolti verso l’interno; durante l’evaginazione, la parete tentacolare viene spinta esternamente alla guaina e gli uncini si capovolgono in superficie. L’estroflessione, pertanto, interessa inizialmente la base del tentacolo, poi la porzione metabasale ed infine l’estremità libera. L’evaginazione si verifica quando i bulbi, contraendosi, esercitano una pressione sul fluido che riempie il lume dei tentacoli tale che la guaina invaginata subisce una spinta verso l’esterno. L’invaginazione, invece, è un effetto diretto della contrazione del muscolo
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Figura 1 – Trancio di pesce spada infestato da Trypanorhyncha (foto di proprietà degli autori). Figura 2 – Pesce spada infestato da Trypanorhyncha (foto di proprietà degli autori). retrattore del tentacolo, che si inserisce da una parte internamente al tentacolo, e dall’altra sulla parete interna del bulbo. Il punto esatto di inserzione del muscolo retrattore sul bulbo rappresenta un elemento utile per il riconoscimento di genere e di specie. Gli uncini che armano i tentacoli possono essere disposti in tre tipi principali di geometrie, descritte per la prima volta da DOLLFUS, uno dei primi e massimi studiosi dell’ordine Trypanorhyncha: omoacanta (homeoacanthous), peciloacanta (poeciloacanthous) ed eteroacanta (heteroacanthous)39. Nella disposizione omoacanta, gli uncini hanno la stessa forma e le stesse dimensioni su tutta la superficie tentacolare e sono disposti in file spiralate o in quinconce regolari (un uncino al centro e gli altri quattro alle estremità di una immaginaria croce romana). Nella disposizione peciloacanta, gli uncini hanno forme diverse. Dalla faccia mediale si dipartono file di uncini che percorrono obliquamente la faccia botriale e antibotriale del tentacolo, terminando a ridosso della faccia laterale. A questo livello corre longitudinalmente una singola o una doppia fila di uncini disposti a “catenella”. A seconda del genere e della specie, la disposizione peciloacanta può avere delle particolarità, come ad esempio la presenza di appendici, chiamate ali, alla base degli uncini
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che formano la catenella o file multiple di uncini intercalari. Nella disposizione eteroacanta, gli uncini sono disposti in semicerchi ascendenti, che partono in direzione opposta dalla faccia mediale del tentacolo e attraversano da un lato la superficie botriale, e dall’altro la superficie antibotriale. La disposizione eteroacanta si suddivide, a sua volta, in due tipologie: eteroacanta omeomorfa, in cui gli uncini hanno tutti la stessa forma e dimensione, ed eteroacanta eteromorfa, in cui gli uncini cambiano improvvisamente forma e dimensione passando dalla faccia mediale a quella laterale. Le disposizioni eteroacante omeomorfa ed eteromorfa sono dette tipiche; alcune famiglie, tuttavia, possono avere un’armatura eteroacanta atipica, in cui i semicerchi obliqui non raggiungono la faccia laterale del tentacolo, e da qui si dipartono, invece, file multiple di uncini minori39. Il corpo dei Trypanorhyncha è costituito da segmenti, chiamati proglottidi, all’interno dei quali si sviluppano le uova. Ogni segmento, maturando, viene spostato distalmente dai nuovi segmenti che si generano nella parte prossimale dello strobila. Una volta matura, l’ultima proglottide si stacca. Ciclo biologico di Trypanorhyncha I Trypanorhyncha sono parassiti politenici: il loro ciclo coinvolge almeno
tre ospiti. Gli adulti, variabili in dimensioni da 1 a 50 cm36, si localizzano nella valvola spirale dell’intestino degli elasmobranchi (ospiti definitivi) e producono delle uova che possono essere opercolate o non opercolate. Generalmente, i Trypanorhyncha che hanno come ospite definitivo gli squali producono uova opercolate, dalle quali si libera un coracidio, una forma embrionale libera, che si muove in ambiente marino e viene ingerita dal primo ospite intermedio, un copepode; i Trypanorhyncha che riconoscono come ospite definitivo le razze, invece, producono uova non opercolate (oncosfere), che liberano l’embrione solo dopo essere state ingerite dal primo ospite intermedio19. Il primo stadio larvale prende il nome di procercoide. Il proseguimento del ciclo parassitario coinvolge un secondo ospite intermedio, che generalmente è un invertebrato o un teleosteo. L’identità del secondo ospite intermedio dipende dalla specie-specificità del parassita. Gli studi filogenetici hanno dimostrato che le larve dei Trypanorhyncha con habitat pelagico e oceanico tendono ad avere una bassa specificità; questa si configura come una strategia che assicura alla larva un ampio ventaglio di ospiti intermedi, aumentando in questo modo la possibilità di perpetuare il ciclo biologico. Al contrario, i parassiti adulti tendono ad avere una specie-specificità maggiore31. Nel
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Figura 3 – Trancio di pesce spada infestato da Trypanorhyncha (foto di proprietà degli autori). Figura 4 – Trancio di pesce spada infestato da Trypanorhyncha (foto di proprietà degli autori). secondo ospite intermedio la larva raggiunge lo stadio post-larvale che, a seconda della specie parassitaria, può avere nomi differenti: plerocerco, plerocercoide o merocercoide34. La post-larva può avere o meno una blastocisti, ovvero un rivestimento sacciforme che la avvolge più o meno completamente. Terminato lo stadio post-larvale, alcuni Trypanorhyncha, laddove esista un vuoto negli anelli della catena alimentare che collegano l’ospite intermedio all’ospite definitivo, si servono di un ospite paratenico come mero vettore meccanico. In quest’ospite, dunque, il parassita non subisce ulteriori trasformazioni. Una volta che l’ospite definitivo avrà predato l’ospite intermedio o l’ospite paratenico, il parassita potrà completare il proprio sviluppo raggiungendo lo stadio adulto. I Trypanorhyncha nel pesce spada Il pesce spada (Xiphias gladius, LINNAEUS, 1758) è un pesce osseo marino con habitat pelagico e distribuzione cosmopolita. Abile nuotatore, vive solitario o in piccoli gruppi, compiendo lunghe migrazioni, che
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coinvolgono le aree tropicali fino ai mari freddi o temperati, compreso il mare Mediterraneo. Recentemente, lo studio comparativo dei parassiti e dei loro ospiti ha aggiunto molti dettagli alla comprensione degli habitat delle specie marine, delle rotte seguite durante le migrazioni, delle loro abitudini alimentari e dei loro percorsi evolutivi11. Il pesce spada si nutre di pesci pelagici e, occasionalmente, di crostacei, calamari e altri cefalopodi; in questo modo è esposto all’infestazione da Trypanorhyncha, nel cui ciclo biologico si comporta come ospite intermedio o paratenico. Le specie di Trypanorhyncha ufficialmente documentate (in questo articolo saranno prese in considerazione esclusivamente le specie citate dal World Register of Marine Species40, secondo la più recente nomenclatura) nel pesce spada appartengono a cinque famiglie: Tentaculariidae, Sphyriocephalidae, Otobothriidae, Lacistorhynchidae, Gymnorhynchidae40. Le larve e gli stadi post-larvali si possono localizzare nei muscoli, nella parete dei visceri o nelle cavità corporee.
Le post-larve possono proseguire il proprio accrescimento in forma libera o all’interno di cisti costituite da una capsula di origine parassitaria, attorno alla quale si forma una sottile capsula avventiziale prodotta dall’ospite. 1. Famiglia Tentaculariidae Le specie che infestano il pesce spada, sono le seguenti: Heteronybelinia estigmena, appartenente al genere Heteronybelinia; Nybelinia lingualis, appartenente al genere Nybelinia; Tentacularia coryphaenae, appartenente al genere Tentacularia. I Trypanorhyncha appartenenti al genere Tentacularia hanno uno scolice allungato, con quattro botri lunghi e stretti, che ne occupano la quasi totalità; la testa è ricoperta di microtrichi filamentosi, ad eccezione dei margini dei botri, dove i microtrichi sono unciniformi. L’armatura basale è omoacanta omeomorfa. I bulbi, sulla cui base si inserisce l’inserzione del muscolo retrattore, sono collocati nella metà prossimale della regione botriale; lo strobila è acraspedote e appiattito25. La larva, avvolta nella blastocisti,
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resta incapsulata fino al completo sviluppo della testa; in questa fase, la blastocisti va incontro a degenerazione, la post-larva si libera nelle cavità corporee e si ancora ai visceri attraverso i tentacoli. La larva di Tentacularia coryphaenae è stata per la prima volta descritta da NIGRELLI (1938), con il nome di Nybelinia lamontae, in seguito al ritrovamento di una cisti di 7 mm di lunghezza nel mesentere di un esemplare di pesce spada39. La presenza dei plerocercoidi è stata documentata in elasmobranchi, calamari e teleostei bentonici e pelagici. Il parassita adulto ha come ospiti definitivi gli squali appartenenti all’ordine dei Carcariniformi e il grande squalo bianco (Carcharodon carcharias), ordine dei Lamniformi29; 40. È una specie a diffusione cosmopolita, presente in habitat molto diversi tra loro. A questo si aggiunge una scarsa specie-specificità delle forme larvali e post-larvali nel secondo ospite intermedio e negli ospiti paratenici. I Trypanorhyncha appartenenti al genere Nybelinia hanno una testa breve, dotata di quattro botri triangolari, con margini liberi; l’armatura è omoacanta omeomorfa25. I bulbi occupano la metà posteriore della regione botriale; il corpo è appiattito. Nybelinia lingualis è una specie molto diffusa e la sua presenza è stata segnalata nell’oceano Atlantico, in Australia, nel mare Mediterraneo27; 39; 40. Le forme larvali e post-larvali sono poco speciespecifiche e sono state segnalate in un’ampia varietà di ospiti intermedi, tra cui il pesce spada. Gli adulti hanno come ospiti definitivi diversi Carcariniformi (come, ad esempio, Carcharhinus leucas, C. limbatus, C. melanopterus, C. obscurus) ed altri elasmobranchi (come Raja brachyurus)25; 40. Il genere Heteronybelinia27 è caratterizzato da quattro botri e quattro tentacoli con armatura omoacanta eteromorfa: uncini più grandi sulla faccia botriale del tentacolo, più piccoli su quella antibotriale. Il muscolo retrattore origina alla base dei bulbi. L’intera regione dello scolice di Heteronybelinia estigmena
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è tappezzata di microtrichi filamentosi, che diventano unciniformi sui margini laterali dei botri25. Tra gli ospiti intermedi sono segnalati carangidi, corifenidi, echenidi, il tonno pinna gialla (Thunnus albacares), il pesce spada; gli ospiti definitivi sono prevalentemente squaliformi e carcariniformi40. 2. Famiglia Sphyriocephalidae I Trypanorhyncha appartenenti a questa famiglia si distinguono per le forme tozze e robuste della testa e dello strobila. Lo scolice, massiccio, dotato di una spessa regione botriale, ospita due botri, uno dorsale e uno ventrale, entrambi larghi e circolari, sessili, rinforzati da un ispessimento periferico discontinuo, interrotto anteriormente da un’apertura che permette la fuoriuscita dei tentacoli. Questi sono di media lunghezza, leggermente più ampi alla base, muniti di un’armatura omoacanta omeomorfa. I bulbi dei tentacoli sono brevi, disposti trasversalmente, e il muscolo retrattore si inserisce sull’estremità prossimale delle guaine tentacolari. La larva di Hepatoxylon trichiuri manca della blastocisti; allo stadio post-larvale si localizza libera nelle cavità corporee dell’ospite, ancorata al fegato o alla parete intestinale. Entrambe le forme sono molto diffuse in aree geografiche e habitat molto diversi tra loro. Sono state documentate, infatti, in specie pelagiche, come la lampuga, il pesce spada, varie specie di tonno21; 40, nella verdesca (Prionacea glauca)17, ma anche in specie demersali21; 40. I parassiti adulti sono comuni in varie specie di squali. 3. Famiglia Otobothriidae Una delle caratteristiche di questa famiglia è la presenza di due fossette ciliate, collocate sui margini posteriori dei due botri; si tratta di invaginazioni della parete botriale supportate da un muscolo retrattore e in grado, pertanto, di evaginarsi. Si ipotizza che possano servire per aumentare la superficie di adesione alla mucosa dell’ospite. L’intera superficie dello scolice è rivestita di microtrichi di forma diversa a
Sashimi misto con pesce spada. seconda della localizzazione. I tentacoli sono più brevi delle rispettive guaine e sono muniti di un’armatura eteroacanta eteromorfa: larghi uncini disposti in semicerchi ascendenti che si dipartono dalla linea mediana della faccia mediale del tentacolo e file multiple di uncini minori che si dipartono, in senso opposto, dalla linea mediana della faccia laterale. Otobothrium cysticum è stato per la prima volta descritto da LINTON (1890), con il nome di O. crenacolle, nel pesce martello (Sphyrna zygaena). Da quel momento è stato documentato in numerosi teleostei ed elasmobranchi28 tra cui carangidi, siluriformi, carcariniformi, perciformi, serranidi, lutianidi, pleuronettiformi, pomatomidi, ecc…40. I plerocerchi, avvolti dalla blastocisti, si presentano sotto forma di cisti bianche e translucide che si localizzano preferibilmente attorno alla colonna vertebrale e nella muscolatura, mentre i visceri rappresentano sedi di localizzazione secondarie28. Otobothrium dipsacum è stato per la prima volta descritto da LINTON
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(1896) sotto forma di cisti localizzata nel cieco pilorico e nei visceri di un esemplare di pesce spada22. Il parassita adulto è stato segnalato in Carcharhinus obscurus40. 4. Famiglia Lacistorhynchidae Questa famiglia si suddivide, a sua volta, in due sottofamiglie: Grillotiinae e Lacistorhynchinae. I Trypanorhyncha che fanno parte della sottofamiglia Grillotiinae hanno uno strobila acraspedote, più sviluppato in lunghezza che in larghezza. I botri sono leggermente dentellati sul margine posteriore. L’armatura metabasale è eteroacanta atipica, eteromorfa: gli uncini principali sono disposti in semicerchi obliqui e aumentano gradualmente in dimensione passando dalla faccia mediale a quella laterale del tentacolo; tra le file principali sono presenti uncini intercalari, che confluiscono sulla linea mediana della faccia tentacolare esterna. La base del tentacolo può essere armata o meno, a seconda della specie. I bulbi sono allungati e la loro metà posteriore ospita
l’inserzione del muscolo retrattore dei tentacoli. La famiglia Grillotiinae comprende undici generi, tra cui Grillotia, che annovera alcune tra le specie più comuni tra i teleostei (plerocerco) e gli elasmobranchi (adulto). Grillotia erinaceus, ad esempio, ha come primo ospite intermedio un copepode calanoide, mentre può compiere la seconda fase del proprio ciclo biologico in numerosi teleostei, tra cui gadidi, eterosomi, scombridi, ecc…24. Negli ospiti intermedi, le larve di G. erinaceus si presentano sotto forma di cisti sferiche o ovoidali di circa 2-6 mm di diametro, disposte superficialmente o intramuralmente lungo l’esofago, lo stomaco, il cieco pilorico, l’intestino, il fegato, il mesentere o l’ovario24. La sottofamiglia Lacistorhynchinae si caratterizza per l’armatura metabasale pecilacanta, costituita da semicerchi ascendenti, ognuno composto di otto uncini principali, che si dipartono alternativamente dalla faccia tentacolare laterale e mediale. Ogni semicerchio termina con un
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Gli alimenti che contengono parassiti non possono essere destinati al consumo umano, a prescindere che si tratti di parassiti zoonosici o non zoonosici. La responsabilità della sicurezza degli alimenti è dell’OSA, il quale è tenuto a salvaguardare la salute del consumatore applicando procedure basate sui principi dell’HACCP e buone prassi igieniche
nono uncino, che si dispone insieme ai corrispettivi degli altri semicerchi a formare una catenella. Diversamente dalla famiglia Grillotiinae, inoltre, nelle Lacistorhynchinae il muscolo retrattore si inserisce a metà lunghezza nel bulbo del tentacolo. Lo strobila, acraspedote, è molto lungo e filiforme. Floriceps saccatus è stato per la prima volta descritto nel pesce luna (Mola mola) sotto forma di postlarva; successivamente, gli adulti sono stati documentati nella verdesca (P. glauca), in vari carcariniformi (tra cui Carcharhinus obscurus), in Notorynchus cepedianus, nella lampuga e nel pesce spada35; 40. Lo scolice, lungo e largo, ha due botri rovesciati e dentellati posteriormente. L’armatura poecilacanta è simile a quella descritta in G. erinaceus. Le proglottidi, inizialmente larghe, aumentano progressivamente in lunghezza lungo lo strobila35. 5. Famiglia Gymnorhynchidae A questa famiglia appartiene Molicola uncinatus, il cui plerocerco, parzialmente retratto all’interno di una grande blastocisti globulare, con una lunga coda, ha come ospite intermedio il pesce spada. I Trypanorhyncha appartenenti a questa
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famiglia hanno due botri con margini liberi e tentacoli nudi nella porzione basale, armati in quella metabasale. A questo livello, gli uncini sono disposti in file oblique ascendenti che, dipartendosi dalla faccia mediale e da quella laterale del tentacolo, si dirigono, alternandosi, verso la linea mediana della corrispondente faccia controlaterale. Lungo la linea mediana della faccia laterale è presente una doppia (genere Gymnorhyncus) o singola (genere Molicola) catenella (armatura pecilacanta)39. Lesioni istopatologiche da Trypanorhyncha Di tutti gli stadi vitali del parassita, i plerocerchi/plerocercoidi migranti sono quelli più distruttivi per i visceri e per i tessuti dei pesci, specialmente per le specie ittiche di interesse commerciale. L’apparato di adesione, infatti, può danneggiare in maniera importante i tessuti dell’ospite e la migrazione nei tessuti associarsi a necrosi e ad infiammazione acuta, con infiltrazione di neutrofili, eosinofili, leucociti e macrofagi. Macroscopicamente, gli organi infestati possono presentare i segni della congestione, dell’edema e dell’emorragia2. Microscopicamente, l’infestazione da Trypanorhyncha è stata associata ad infiltrazione di cellule infiammatorie, vacuolizzazione (fegato), calcificazione distrofica (reni), congestione ed emorragie2; 5. A livello gastrointestinale, l’infiammazione sembra essere mediata da tre tipi di insulti: quello meccanico, legato all’azione dell’apparato di adesione; quello chimico, legato alla liberazione di enzimi proteolitici da parte del parassita; e infine quello antigenico, legato alla risposta immunitaria dell’ospite5. Nelle infestazioni croniche, i tratti di precedenti migrazioni possono essere interessati anche da neovascolarizzazione e dalla presenza di un infiltrato mononucleare composto da fibroblasti, macrofagi, cellule epiteliodi, cellule giganti multinucleate, linfociti e plasmacellule. Il sito finale della migrazione, dove i plerocercoidi raggiungono la loro destinazione, potrebbe mostrare i segni dell’infiammazione cronica,
con fibrosi, incapsulamento totale o parziale e mineralizzazione. Considerazioni ispettive sui parassiti non zoonosici I requisiti sanitari dei prodotti della pesca sono rigidamente disciplinati dalla normativa comunitaria e nazionale. L’obiettivo è quello di creare un sinergismo derivante, da una parte, dall’azione preventiva ottenuta attraverso l’applicazione delle buone prassi da parte degli Operatori del Settore Alimentare (OSA) e dei consumatori e, dall’altra, dai controlli ufficiali eseguiti in tutti i livelli della filiera dalle autorità competenti. Come per tutti gli alimenti di origine animale, anche per i prodotti della pesca vigono i principi contenuti nel pacchetto igiene. Innanzitutto, il concetto di alimento considerato a rischio qualora sia dannoso per la salute o inadatto al consumo umano (Reg. CE n. 178/02). I Tryphanorhyncha, pur non essendo parassiti zoonosici, provocano alterazioni della consistenza, del colore, dell’odore nei tessuti del pesce e, in caso di infestazioni massive, possono essere evidenti e generare una legittima reazione di ripugnanza nel consumatore. I parassiti non zoonosici, dunque, sebbene non configurino un danno, qualificano l’alimento che li contiene come rischioso perché inadatto al consumo umano in seguito a contaminazione da materiale estraneo, secondo quanto stabilito dal Reg. CE n. 178/02, articolo 14, comma 2, lettera b. In realtà, tale concetto era stato già espresso della Legge 283/1962 “Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande” all’articolo 5, lettera d, che cita: “è vietato impiegare nella preparazione di alimenti e bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare […], o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione”. Gli alimenti che contengono parassiti, dunque, non possono es-
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sere destinati al consumo umano, a prescindere che si tratti di parassiti zoonosici o non zoonosici. La responsabilità della sicurezza degli alimenti è dell’OSA, il quale è tenuto a salvaguardare la salute del consumatore applicando procedure basate sui principi dell’HACCP e buone prassi igieniche, in ottemperanza a quanto dettato dall’articolo 1 del Reg. CE n. 852/04. Tale principio si estende lungo tutta la filiera, a partire dalla produzione primaria. Le azioni specifiche che gli operatori devono eseguire per verificare la presenza di parassiti nei prodotti della pesca sono dettagliate nell’allegato III, sezione VIII, capitolo V, lettera D del Reg. CE n. 853/04: gli OSA devono assicurare che i prodotti della pesca siano sottoposti ad un controllo visivo per la ricerca di endoparassiti visibili prima dell’immissione sul mercato, e non devono immettere sul mercato per il consumo umano i prodotti della pesca manifestamente infestati da parassiti. Tale dicitura non ha nulla a che fare con il numero di parassiti, ma semplicemente con la presenza di parassiti che risultino evidenti all’esame visivo. Il Reg. CE n. 2074/05 definisce il controllo visivo come “l’esame non distruttivo dei pesci eseguito senza l’ausilio di strumenti di ingrandimento ottico e in condizioni di buona illuminazione, e, se necessario, anche mediante speratura per i filetti”. Il controllo deve essere eseguito da personale qualificato su un numero rappresentativo di campioni, stabilendo l’entità e la frequenza dei controlli sulla base della natura del prodotto ittico, dell’origine geografica e del suo impiego (analisi del rischio). Il regolamento chiarisce che il controllo visivo deve essere eseguito sia negli stabilimenti a terra sia a bordo delle navi officina, al momento dell’eviscerazione manuale o meccanica, ma anche durante la preparazione successiva alle operazioni di sfilettatura o affettatura. Gli OSA che ricevono prodotti della pesca già eviscerati o sfilettati non sono tenuti ad eseguire i controlli ai sensi del Reg. CE n. 2074/05, ma devono in ogni caso ottemperare le disposizioni del Reg. CE n. 853/04. Pertanto, la
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presenza di parassiti visibili deve sempre essere verificata a tutti i livelli della filiera e, nel caso in cui si rilevi una infestazione manifestamente visibile, è d’obbligo escludere dalla commercializzazione il prodotto, oppure valutare la possibilità di rimuovere le parti infestate e segnalare le non conformità al fornitore. Ulteriori disposizioni sono previste per i prodotti ittici destinati ad essere consumati crudi. In questo caso, le norme vigenti sono quelle contenute nell’allegato III del Reg. CE n. 853/04 e successive modifiche introdotte dal Reg. CE n. 1276/11: i prodotti della pesca derivati da pesci pinnati o da molluschi cefalopodi destinati ad essere consumati crudi, marinati, salati o in qualsiasi altro modo che non garantisca l’uccisione dei parassiti vivi (esclusi trematodi), devono subire un trattamento di congelamento a –20 °C per almeno 24 ore o –35 °C per almeno 15 ore. Tali prodotti devono, inoltre, essere accompagnati da una specifica attestazione di avvenuto trattamento. Le disposizioni previste per l’abbattimento termico dei prodotti destinati ad essere consumati crudi sono direttamente correlate al rischio che questi contengano parassiti zoonosici, ma si applicano, in generale, a tutti i parassiti diversi dai trematodi. Il trattamento di congelamento non è obbligatorio quando i pesci sono destinati ad essere sottoposti ad un trattamento che uccida il parassita vivo prima del consumo. In particolare, per ottenere l’uccisione dei nematodi e cestodi (tra i quali figurano i Trypanorhynca), il prodotto deve essere riscaldato fino a raggiungere una temperatura al centro del prodotto superiore o uguale a 60 °C per almeno un minuto. L’azione preventiva che l’OSA deve mettere in atto per garantire che i prodotti della pesca destinati al consumo umano siano privi di parassiti (zoonosici e non) verte, dunque, su due principi: da una parte, l’eliminazione dei prodotti che sono parassitati in maniera macroscopicamente evidente; dall’altra, l’abbattimento termico dei prodotti destinati ad essere consumati crudi. A questo si aggiunge l’azione
di controllo e monitoraggio svolta dalle autorità competenti a tutti i livelli, per verificare la corretta applicazione della normativa. Non bisogna tuttavia dimenticare l’effetto positivo che si può ottenere grazie ad una corretta educazione sanitaria dei consumatori. Essi stessi possono essere attori nel complesso sistema che assicura la sicurezza dei prodotti ittici che acquistano, semplicemente prestando attenzione alla freschezza, alle corrette modalità di conservazione nei luoghi di vendita e alla disponibilità delle informazioni che la legge prevede vengano messe a disposizione dall’OSA. Prima del consumo, inoltre, i consumatori dovrebbero ispezionare visivamente la cavità addominale dei pesci, per assicurarsi che non siano presenti parassiti, e cuocere adeguatamente il prodotto per garantirne la sicurezza microbiologica; non consumare mai prodotti della pesca crudi se non si è sicuri che siano stati sottoposti ad abbattimento38. Ringraziamenti Il presente articolo viene pubblicato, dopo un anno e mezzo di lavoro e varie interruzioni, in memoria e per volontà del dott. ALFREDO MENGOLI, medico veterinario ufficiale specialista del settore ittico presso l’AUSL di Bologna. Si ringrazia affettuosamente il prof. ANIELLO ANASTASIO, direttore della Scuola di Specializzazione in Ispezione degli alimenti di Origine Animale del Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali dell’Università degli studi di Napoli “Federico II”, per l’aiuto prestato nella ricerca bibliografica e durante la fase di revisione dell’articolo. Si ringrazia, altresì, il dott. GIORGIO SMALDONE (Centro di Riferimento Regionale per la Sicurezza Sanitaria del Pescato, CRiSSaP, Regione Campania), per l’instancabile disponibilità e le competenze messe a disposizione degli autori ai fini della finalizzazione dell’articolo. Serena Di Nardo Sorveglianza Epidemiologica Emilia-Romagna, IZSLER Alfredo Mengoli Azienda Unità Sanitaria Locale di Bologna
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TECNOLOGIE
Collaborazione sempre più efficace tra Perfetta Srl e la CSB-System
Dall’origine alla tavola in tutta sicurezza L’azienda specializzata nell’affettamento conto terzi Perfetta Srl nasce nel 2007 a Lentate sul Seveso, comune dell’Alta Brianza. ALESSIO SALA, amministratore e socio fondatore, è entusiasta di poter dire che, fetta dopo fetta, l’attività è sempre cresciuta, presentandosi oggi con uno stabilimento ampliato, più collaboratori e un’organizzazione in grado di soddisfare una clientela sempre più esigente. «Ho iniziato l’attività di affettamento alla vigilia della crisi economica» spiega Alessio. «Ciò nonostante, siamo cresciuti in modo progressivo e costante anche in tempi così difficili. La nostra clien-
tela ci ha premiato. Perché? Perché non abbiamo mai tradito i punti cardine del nostro lavoro: qualità senza compromessi, innovazione e dinamicità». Pur sviluppando una parte del fatturato con il proprio marchio, per Perfetta Srl il conto lavorazione rappresenta un segmento strategico del suo volume d’affari e, pertanto, «lo seguiamo con un’attenzione particolare in ogni passaggio» chiarisce Alessio Sala. «Chi desidera avvicinarsi al mondo degli affettati, trova in noi un partner competente e capace di offrire una soluzioni su misura e senza quantitativi minimi. Il nostro impegno è tutto rivolto al
controllo di ogni singola fase della produzione: dalla scelta del packaging alle tipologie di lavorazione. Per questi motivi abbiamo deciso di avvalerci del supporto informatico del gestionale CSB-System fornito dall’omonima azienda veronese». Il CSB-System è un gestionale modulare e completo specifico per le industrie del settore alimentare; la copertura è completa: si va dagli acquisti al magazzino, dalle vendite con gestione offerte, listini e condizioni, alla totale rintracciabilità di filiera, dall’ottimizzazione ricette alla produzione, fino alla peso-prezzatura integrata senza dimenticare il controllo
Etichettatura.
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qualità e la contabilità industriale. «Inizialmente — continua Alessio — abbiamo implementato solo i moduli per il settore Acquisti e Vendite con emissione bolle e fatture. Successivamente, con il crescere della mole di lavoro, abbiamo avvertito la necessità di passare a processi produttivi chiari e trasparenti e ottenere dal sistema informazioni in grado di supportare le decisioni aziendali; si pensi ad esempio al costo interno per la produzione di ogni articolo che per noi è un’informazione fondamentale. Abbiamo così implementato anche i moduli Produzione, Tracciabilità e Magazzino del CSB-System». Tecnologia, manualità e igiene L’esigenza di offrire uno standard qualitativo di alto livello ha portato l’azienda a dotarsi sin da subito di camera bianca con tre linee diverse, due termoformatrici e una sigillatrice. Tutti i passaggi in questo locale sono rigidamente controllati: dal personale che vi accede alle materie prime in ingresso, fino all’aria che viene filtrata e immessa a umidità e temperature controllate. Il tocco finale è dato dall’esperienza degli operatori che posizionano con cura e perizia le porzioni affettate prima del confezionamento ermetico, perché «noi della Perfetta — spiega DESIRÈE CATALDO, che gestisce i flussi di magazzino — abbiamo fatto della flessibilità, capacità di servizio e serietà la nostra filosofia. Gli investimenti fatti sia in macchinari sia nel gestionale, ci hanno permesso di essere ancora più flessibili nel proporre e gestire differenti tipologie di produzione, anche di alta gamma, siano esse salumi, pesce o formaggi. Perfetta Srl dispone di
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Una delle due linee di affettatura. cinque postazioni CSB-System, tre in ufficio per il controllo delle merci in entrata e in uscita, una per gestire le vendite e mantenere la supervisione di tutti i dati e una in produzione per carico e scarico e gestione della tracciabilità completa così come dice il motto aziendale: “dall’origine alla tavola”. In fase di ricevimento merce il modulo Acquisti del CSB-System garantisce un controllo affidabile di quantità e qualità delle merci in entrata e rappresenta la base d’inserimento di tutte le informazioni riguardanti la rintracciabilità della merce commercializzata. Svariate altre funzioni come il controllo delle forniture oppure statistiche automatiche per acquisti e fornitori sono costantemente a disposizione». Il cliente prima di tutto «Abbinare affettati di altissima qualità ad un ampio catalogo di prodotti dai sapori diversi è sempre stata la nostra carta vincente» racconta con soddisfazione Desirèe. «Il tutto servito da un packaging innovativo e un confezionamento all’avanguardia.
L’ampia gamma di referenze esprime il forte sodalizio tra la nostra azienda e le aziende produttrici del nostro territorio». Le etichette personalizzate e multilingua sono collegate al modulo Magazzino, il quale comprende anche funzioni quali carico e scarico automatico, inventari, statistiche di fabbisogno e consumo. Evasione ordini puntuale e precisa Grazie al collegamento integrato con l’inserimento ordini e l’aggiornamento automatico del magazzino, il modulo Vendite del CSB-System garantisce a Perfetta Srl la gestione di una pluralità di casistiche a seconda che la destinazione finale sia in Italia o all’estero, una GDO o un negoziante, oppure il magazzino del cliente stesso, se quest’ultimo preferisce gestire in casa le consegne con quantitativi più ridotti per il normal trade. I prodotti affettati vengono stoccati con precisione in un’apposita cella a temperatura controllata: il metodo di stoccaggio di questi affettati fa sì che siano immediatamente disponibili per l’etichettatura e quindi per la
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Il CSB-System è un gestionale modulare e completo specifico per le industrie del settore alimentare; la copertura è completa, dagli acquisti alla produzione, senza dimenticare controllo qualità e contabilità industriale
preparazione dell’ordine e della sua spedizione in tempi brevissimi. Tutte le operazioni sono eseguite in modo tale da garantire precisione e puntualità massime, con lotti separati e facilmente identificabili: così, oltre a garantire la massima flessibilità, per ogni richiesta si è certi della gestione ottimale del FIFO. Rigorosi controlli Qualità Perfetta Srl è in possesso delle certificazioni BRC e IFS, che consentono di monitorare e verificare tutte le fasi di lavorazione e il rispetto rigoroso dei requisiti igienici lungo l’intera filiera, garantendo di fatto non solo la sicurezza degli alimenti che vengono trattati, ma anche una pronta gestione del rischio nel caso in cui dovessero verificarsi dei problemi in fase produttiva. Il piano di autocontrollo aziendale prevede rigorosi controlli, dal ricevimento del prodotto da affettare alla spedizione, ma non solo: tutti i fornitori delle materie prime, del materiale di confezionamento e dei servizi sono attentamente sele-
zionati perché rispondano a rigorosi standard qualitativi. Collaborazione vincente anche per il futuro «Mescolando insieme spirito imprenditoriale ed evoluzione dei consumi, qualità del prodotto e innovazione, tradizioni antiche e tecnologia moderna credo che la collaborazione tra noi e la CSB-System si sia rivelata vincente in termini di sicurezza alimentare, qualità costante del prodotto, razionalizzazione delle risorse, ottimizzazione dei costi e, soprattutto, di pronta risposta alle esigenze del mercato in continua evoluzione» conclude Alessio Sala. Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
STORIA E CULTURA
I molluschi bivalvi tra mito, scienza e letteratura
Conchiglie, ostriche e perle, gioielli dei mari di Maurizio Dell’Agnello
La storia della relazione tra uomo e molluschi bivalvi si perde nella notte dei tempi. Fin dalla preistoria, presso le popolazioni del Neolitico, si hanno infatti testimonianze sull’uso di questi animali per scopi alimentari. Ma è sicuramente in epoche successive che se ne è affinato l’utilizzo e si sono specializzate lavorazioni in grado di far apprezzare pienamente questi abitanti dell’ambiente acquatico, resisi utili all’uomo non solo per le loro carni, ma anche per i prodotti che da
essi si potevano ricavare. Un’ampia descrizione dei rapporti tra uomo e molluschi, sul loro utilizzo, sulle loro rappresentazioni nell’arte e nella letteratura, è stata fornita in occasione di ARCIpelago pesce (link al video, youtu.be/ClJb8k4DWU0), svoltosi presso il Circolo Pampaloni di Firenze lo scorso 10 novembre. La manifestazione, che incentra ogni edizione su una specifica specie acquatica, ha visto come protagonisti di quest’ultima, la quinta, proprio i
molluschi bivalvi, che l’uomo imparò ad allevare non appena capì quanto questi animali potessero essergli utili. A darne dettagliata relazione è stato DAVID ORTEGA, della BiblioteCaNova Isolotto di Firenze, nel suo puntuale intervento alla “cena ragiona”, momento centrale e atteso di ARCIpelago. «Sin da quando l’uomo abita questa terra — racconta Ortega — le conchiglie dei molluschi sono state un oggetto utilissimo per la sua vita quotidiana. Prima per
Sandro Botticelli, La Nascita di Venere, 1482-1485 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze. Il tema dell’opera deriva dalla letteratura latina, dalle Metamorfosi di Ovidio. Venere è ritratta nuda su una conchiglia che solca la superficie del mare; a sinistra volano i venti con una cascata di rose, a destra un’ancella (Ora) aspetta la dea per vestirla. Nel prato si scorgono delle violette, simbolo di modestia e spesso usate per fare pozioni d’amore (photo © www.bridgemanart.com).
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L’ostrica era un alimento di cui i Romani erano ghiotti; lo consumavano sia crudo che cotto e lo accompagnavano con il garum, una salsa ottenuta dalle interiora di pesce lasciate a macerare. Gli allevamenti di ostriche (ostriaria) segnavano a tal punto il paesaggio di Baia da apparire in veri e proprio souvenir tardo-antichi: fiaschette di vetro ritrovate nella Populonia etrusca, a Varsavia e a Praga. fini eminentemente pratici (potevano essere degli ottimi recipienti), poi, col tempo, cominciarono ad essere utilizzate come elementi di ornamento e ben presto anche come strumenti musicali e vere e proprie monete». Tra tutti i molluschi, quale può essere considerato il più significativo, quello che ha fatto fare il salto di qualità dalla storia alla leggenda? «Non c’è dubbio che si debba fari riferimento all’ostrica, il mollusco che genera le perle, che da sempre ha destato forti curiosità e alimentato numerosi miti. Tutti noi abbiamo chiara davanti agli occhi l’immagine della Venere botticelliana che nasce da una grande conchiglia. Quella immagine di straordinaria bellezza, in cui è ritratta Simonetta Cattaneo (la sans par, la vera “perla” di Firenze), raffigura il momento della nascita di Venere, la dea della bellezza e dell’amore, il principio fecondatore del mondo». Come nasce questo binomio tra Venere e la conchiglia? «Le fonti più antiche, risalenti al VII-VI secolo a.C., raccontando la nascita di Afrodite (questo il nome della dea nel pantheon greco), esclu-
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dono la presenza di conchiglie. È PLAUTO, il commediografo latino della Roma repubblicana del III secolo a.C., che nel Rudens, riferendosi a Venere, scrive: “te ex concha natum esse autumnant”, cioè “dicono che tu sia nata da una conchiglia”. Da un’analisi attenta delle fonti antiche questa conchiglia non sembra tanto un’ostrica, quanto un pecten, una conchiglia largamente diffusa nell’area mediterranea, utilizzata già dagli Egizi come ornamento femminile, simbolo di fecondità e strumento apotropaico contro la sterilità». E della perla, David, che cosa ci dici? «MIRCEA ELIADE, storico delle religioni, antropologo e mitografo, studiando gli antichi testi cinesi del III secolo a.C., ha messo in luce come la produzione della perla fosse legata al ciclo lunare. Ritroviamo questa credenza anche nel mondo latino. GAIO LUCILIO, poeta latino del II secolo a.C., autore delle Saturae, scrive “luna alit ostrea”, cioè “la luna nutre le ostriche”. Circa la nascita delle perle, è interessante anche quanto ci riferisce PLINIO IL VECCHIO nella sua Storia naturale: “Quando la stagione della fecondi-
La perla è importante nel nostro immaginario: qualunque cosa rara è “una perla”. Per Plinio il Vecchio essa è la prima e la più preziosa fra tutte le cose, elemento di rilievo nell’abbigliamento delle donne romane di alto rango, il più ricercato e stimato. Un dato, questo, che verrà ripreso in pieno nel mondo rinascimentale
tà stimola le ostriche, dicono che, aprendosi con un certo movimento della bocca, si riempiano di un elemento fecondante e rugiadoso; poi gravide partoriscono, e il parto delle conchiglie sono le perle, di vario tipo secondo la qualità della rugiada che hanno ricevuto: se vi è affluita pura, cade sotto gli occhi il candore della perla; se invece la rugiada è impura, anche il feto diventa sporco; la medesima perla è di color pallido se viene concepita quando il cielo è minaccioso. Certamente dipendono dal cielo ed hanno maggiori relazioni con il cielo che con il mare: di là traggono il colorito scuro o il colorito limpido, in rapporto alla chiarezza mattutina”. Altre credenze invece vogliono che la perla sia un prodotto dei raggi del sole, come ci racconta CLAUDIO ELIANO nella sua opera maggiore Sulla natura degli animali. L’erudito romano del II secolo d.C. riferisce di racconti favolosi, nei quali si accenna alla nascite delle perle grazie a “lampi che riversano i loro bagliori sulle valve aperte”. La perla, dunque, non sarebbe altro che l’unione di due elementi: l’acqua, la componente femminile, e il fuoco, la componente maschile».
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enormi. Una di queste la dissolse nell’aceto, bevendo poi il miscuglio; l’altra invece, dopo la caduta della regina, fu portata a Roma assieme al suo tesoro. L’imperatore Augusto la fece dividere in due parti che, montate su due orecchini, vennero offerte al simulacro della dea Venere presente nel Pantheon». Ma le perle non erano soltanto un gioiello? «Certo, un animale di una tale portata simbolica era molto apprezzato anche in cucina, sin dall’epoca romana. Nell’antichità nel lago di Lucrino, ampia laguna d’acqua salata presso Baia, nei Campi Flegrei, un mitico personaggio di nome Sergius Orata impiantò un fiorente allevamento di pesce, soprattutto di ostriche. Di questo personaggio e della sua attività imprenditoriale ci parla PLINIO nella Naturalis historia, dicendo tra l’altro che si arricchì enormemente e spesso concedeva ai suoi ospiti banchetti luculliani nei quali l’ostrica era l’ingrediente principe».
Sandro Botticelli, Ritratto ideale di fanciulla, 1475-80, Städel Museum di Francoforte. L’opera raffigura la bella Simonetta Cattaneo, genovese di nascita e piombinese di adozione, che divenne la musa ispiratrice per molti artisti del Rinascimento toscano, Botticelli, Poliziano, Lorenzo Il Magnifico, rimanendo nel cuore dei fiorentini per molto tempo, anche dopo la sua morte, fino a diventare oggi il simbolo mondiale di bellezza che tutti ci ammirano. Un simbolo così potente e prezioso non poteva che trasformarsi in valore anche venale... «Le perle da sempre sono state simbolo di valore e di grande prestigio. A tale proposito si ricorda un aneddoto raccontatoci da SVETONIO che, sul generale Aulio Vitellio, dice che riuscì a finanziare un’intera campagna militare vendendo un
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orecchino di perle della madre. Un altro interessante episodio ci viene raccontato da PLINIO IL VECCHIO ed ha per protagonista Cleopatra. Prestigio, ma anche vanità; la regina d’Egitto, per lasciare sbigottito Marco Antonio, suo ospite, si presentò al banchetto organizzato in onore del generale romano ornata da due perle a forma di pera dalle dimensioni
Un ultimo aneddoto su perle ed ostriche? «Nel Medioevo si credeva avessero importanti virtù curative, una vera e propria panacea contro molte malattie. Si racconta che al capezzale di Lorenzo il Magnifico, ormai morente, giunse un medico mandato da LUDOVICO IL MORO, maestro LAZZARO DA PAVIA, il quale fece bere al Magnifico una pozione di vino con dentro cinque etti di perle tritate». Perle e ostriche, simbolo di vita, sono sin dall’antichità elementi presenti nei corredi funebri, come rimandi ad una seconda vita dopo la morte. Il Magnifico, con le perle macinate, non è guarito; gli saranno tornate utili almeno nell’aldilà? Chissà, forse sì… Maurizio Dell’Agnello Bibliografia essenziale • ELIADE MIRCEA, Immagini e simboli: saggi sul simbolismo magico e religioso, Jaca Book, 1974. • VENTURA G., L’ostrica e la pinna: storia, leggenda e curiosità, in Atti del Convegno 13-14 maggio 2009, Roma.
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