Premiata Salumeria Italiana 6-2017

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXIX N. 6 Novembre-Dicembre 2017

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AUGURI D’AUTORE

Buone Feste da tutti noi Giovanni Ballarini • Josette Baverez Blanco • Elena Benedetti Gian Omar Bison • Maurizio Bongioanni • Gaia Borghi Carlo Cantoni • Marco Cappelli • Federica Cornia Sebastiano Corona • Marco Credi • Giorgia Fieni Laura Franchini • Veronica Fumarola • Andrea Gaddini Guido Guidi • Andrea Laganga • Riccardo Logorio Mauro Magagnini • Nunzia Manicardi • Giorgio Montanari Massimiliano Rella • Clara Scaglioni • Roberto Villa


Per 400 anni, il segreto è stato non avere fretta

GIUSTI.IT

Aceto Balsamico di Modena dal 1605



N. 6 Anno XXIX Novembre-Dicembre 2017

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia Stampa

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. 001 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.

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N. 6

In questo numero: Agenda

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Immagini

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Legislazione

Pomodoro, finalmente sai da dove viene!

Il food in rete

Social food

Giorni di festa

Natale 2017, idee per il regalo perfetto

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Aziende

I 60 anni di Maison Bertolin

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La Qualità

16 Elena Benedetti

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Innovare dal 1605? A Modena si può

Elena Benedetti

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Culurgionis d’Ogliastra, la Igp è servita

Guido Guidi

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G7 delle Indicazioni Geografiche: nasce la Dichiarazione di Bergamo

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Eventi

Piacere, FICO!

Gaia Borghi

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Speciale cotechini

Paese che vai, cotechino che trovi

Carlo Cantoni

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I Naturali

Naturale come un salume

Riccardo Lagorio

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Prodotti tipici

Sangue, uvetta, pinoli, lardelli e spezie: ecco il mallegato di San Miniato

Nunzia Manicardi

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Formazione

Manager del food

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Mercati

Un grande anno per l’export agroalimentare

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Indagini

Gusto e prodotti tipici di montagna

Giovanni Ballarini

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Valutazione sensoriale dei salumi

Giovanni Ballarini

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Tradizioni

Panettone gastronomico, festa in tavola

Clara Scaglioni

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Week-end

La storia del foie gras

Josette Baverez Blanco 100

Ristorazione

MaĂŽtre

Clara Scaglioni

Locali di gusto

A tavola tra botti, bottiglie e resti di mammut

Speciale Anuga

#anuga, viva la fiera globale del food

Elena Benedetti

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Rassegne

Merano WineFestival vale il viaggio

Laura Franchini

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Formaggio

Amaseno, la valle delle mozzarelle di bufala

Nunzia Manicardi

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Vino

Ritorno al vino!

Riccardo Lagorio

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Vino e dintorni

Massimiliano Rella

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Il cibo detta il vino, il vino lo esalta

Riccardo Lagorio

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: bollicine emiliane

Laura Franchini

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Tecnologie

Il Caseificio Palazzo festeggia i 60 anni di attivitĂ e sceglie il gestionale CSB-System

Libri

Olio: cucina, degustazione, salute, arte, mito e letteratura

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PappaMilano

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Un viaggio nel sake

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In copertina: il cotechino del salumificio Mec Palmieri, protagonista delle tavole natalizie (photo Š Massimiliano Rella).

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CI SIAMO RIFAT TI IL LOOK. Più buoni, più sani e da oggi anche più belli Zampone Modena e Cotechino Modena IGP: sempre più buoni. Garantisce il Consorzio. PIÙ BONTÀ: dal 1 gennaio 2017 i due prodotti IGP sono realizzati senza glutammato aggiunto, senza derivati del latte e solo con aromi naturali, per soddisfare le esigenze del consumatore moderno. PIÙ QUALITÀ: nuove analisi sensoriali dettagliate sono state inserite nei piani di controllo, per garantire la migliore qualità organolettica. PIÙ CONTROLLI: un nuovo piano di controllo, più efficace e totalmente digitale, assicura una verifica più accurata della produzione certificata. PIÙ GARANTITI: il Consorzio promuove queste due specialità con il suo nuovo logo, che rinnova i colori della tradizione modenese e racconta ai consumatori gli oltre 500 anni di storia di queste produzioni tutelate, il rispetto dell’antica ricetta e le garanzie offerte dal sigillo europeo IGP.

www.modenaigp.it

Campagna finanziata con contributo DM 58815 del 27.07.2016


AGENDA

Lana (BZ) Dal 2 dicembre e per tutto il mese a Lana e dintorni, nella provincia di Bolzano, andrà in scena l’evento Polvere di Stelle. L’atmosfera del Natale invaderà le vie della località altoatesina anche grazie alla musica di diversi gruppi folcloristici, musicali e cori locali. Fra i tanti stand di oggetti di artigianato in legno, lana, feltro, cera, vetro, tanti i prodotti gastronomici tipici locali fra cui formaggi, pane e dolci natalizi, speck e salumi, würstel di Merano, dolci di mele e frutta essiccata, erbe, miele e cioccolato, brezel dolci e salati. www.lana.info

Modena Manca oramai pochissimo all’inizio della Festa dello Zampone e del Cotechino Modena Igp che, dall’8 al 10 dicembre, renderà Modena capitale di queste due eccellenze gastronomiche. Come per le precedenti edizioni, la città sarà pervasa per tutta la settimana dai profumi delle tante ricette preparate anche dai ristoratori aderenti al circuito di Modena a Tavola. Tante le iniziative in programma: domenica 3 dicembre, alle 16.00, a Curiosa in Fiera, lo show cooking dello chef Luca Marchin; venerdì 8 dicembre, alle 21.00, presso il teatro comunale Luciano Pavarotti, serata inaugurale con lotteria a favore di AMO – Associazione Malati Oncologici Onlus Carpi, a cura del Rotary Club “Castelnuovo Terre dei Rangoni”, ingresso ad invito con gli artisti Duilio Pizzocchi, Claudio Lauretta e Andrea Mingardi; sabato 9 dicembre, alle 10.30 in piazza Roma, lo chef MASSIMO BOTTURA e i giovani cuochi delle scuole alberghiere italiane presentano le loro ricette a base di Zampone e Cotechino Modena Igp in occasione della 4a edizione del concorso nazionale di cucina “Lo Zampone e il Cotechino Modena Igp degli chef di domani”. La giuria sarà composta dal presidente del Consorzio Zampone e Cotechino Modena Igp, PAOLO FERRARI, da Massimo Bottura, insieme ad altri rappresentanti del mondo istituzionale, economico ed enogastronomico della città. Alle classi vincitrici andranno in premio elettrodomestici da cucina professionali. Alle ore 12.00 degustazioni gratuite e show cooking del campione mondiale di pizza Gianni Di Lella, mentre alle ore 16.00 degustazione e intrattenimento con Big Bengi & The Swingredients e il loro swing cooking show. Domenica 10 dicembre, dalle 10.00 alle 20.00, in piazza Roma, GUSTI.A.MO la Solidarietà: il Buon Ristoro con i Panini d’Arte…e non solo di Daniele Reponi: una mattinata all’insegna della buona tavola e della valorizzazione del patrimonio artistico e culturale della città. Il ricavato dalla vendita dei panini preparati per pranzo da Daniele Reponi verrà devoluto ai Musei Civici di Modena. Nel pomeriggio sono previste attività ludiche per i più piccoli. www.modenaigp.it

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Castelnuovo Rangone (MO) Se nel mese di dicembre a Carrù e Moncalvo si celebra il Bue Grasso, a Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena, si festeggia un Superzampone unico al mondo. Il merito, da quasi trent’anni a questa parte, è dell’Ordine dei Maestri Salumieri Modenesi che, già a novembre, iniziano a lavorare le carni e a cuocerle realizzando un maxi insaccato destinato a essere trasformato in migliaia di fette omaggiate ai tantissimi partecipanti che, incuranti del freddo, riempiono all’inverosimile il centro storico della cittadina emiliana. Questa è una terra storicamente vocata all’arte salumiera e il maiale è da sempre fonte preziosa di reddito e nutrimento, tanto da essersi guadagnato una scultura proprio al centro del paese. La manifestazione, ideata tanti anni fa dal maestro salumiere SANTE BORTOLAMASI e la cui eredità è stata raccolta dal figlio STEFANO e dai tanti colleghi dell’Ordine, avrà luogo quest’anno domenica 3 dicembre, come d’abitudine proprio nella piazza centrale di Castelnuovo Rangone. www.zampone.com

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IMMAGINI

Il panettone gastronomico ha fatto la sua comparsa alcuni anni fa sulle tavole dei più eleganti buffet natalizi ed è subito diventato un must perché molto comodo nella preparazione e nella presentazione. In Svezia invece troviamo la Smörgåstårta o torta tramezzino, presente con nomi differenti in diversi paesi del Nord Europa, Estonia (Võileivatort) e Finlandia (Voileipäkakku) soprattutto. Per saperne di più e prepararvi ad affrontare le feste leggete l’articolo di Clara Scaglioni a pagina 96. 14

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LEGISLAZIONE

Pomodoro, finalmente sai da dove viene! I ministri Maurizio Martina e Carlo Calenda hanno firmato i decreti per l’avvio dell’obbligo di origine per le conserve, i sughi e i derivati

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ltre l’82% degli Italiani chiede trasparenza nell’indicazione dell’origine del pomodoro e dei suoi derivati usati nelle salse, nei sughi e nelle conserve. È importante conoscere l’origine delle materie prime per questioni legate al rispetto degli standard di sicurezza alimentare, in particolare per i derivati del pomodoro. Sono questi i dati emersi dalla consultazione pubblica on-line sulla trasparenza delle informazioni in etichetta dei prodotti agroalimentari avviata sul sito del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, a cui hanno partecipato oltre 26.000 cittadini. Sull’onda di questo sondaggio i ministri MAURIZIO MARTINA e CARLO CALENDA hanno firmato il decreto interministeriale per introdurre l’obbligo di indicazione dell’origine dei derivati del pomodoro. I provvedimenti introducono la sperimentazione per due anni del sistema di etichettatura, nel solco della norma già in vigore per i prodotti lattiero-caseari, per la pasta e per il riso. Esso si applica ai derivati come conserve e concentrato di pomodoro, oltre che a sughi e salse che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro. «Rafforziamo il lavoro fatto in questi mesi in tema di etichettatura» ha dichiarato Martina. «Come ho ribadito anche oggi al commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare ANDRIUKAITIS, crediamo che questa scelta vada estesa a livello europeo, garantendo la piena attuazione del regolamento europeo 1169 del 2011. Il tema della trasparenza delle informazioni al consumatore è un punto cruciale per il modello di sistema produttivo che vogliamo sostenere. L’Italia ha deciso di non attendere e fare in modo che i cittadini possano

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conoscere con chiarezza l’origine delle materie prime degli alimenti che consumano. Soprattutto in una filiera strategica come quella del pomodoro l’etichetta aiuterà a rafforzare i rapporti tra chi produce e chi trasforma».

provenienza dell’ingrediente primario utilizzato nella preparazione degli alimenti, subordinandone l’applicazione all’adozione di atti di esecuzione da parte della Commissione, che ad oggi non sono stati ancora emanati.

Quali sono le novità del decreto? Il provvedimento prevede che le confezioni di derivati del pomodoro, sughi e salse prodotte in Italia dovranno avere obbligatoriamente indicate in etichetta le seguenti diciture: a. Paese di coltivazione del pomodoro: nome del Paese nel quale il pomodoro viene coltivato; b. Paese di trasformazione del pomodoro: nome del paese in cui il pomodoro è stato trasformato. Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE. Se tutte le operazioni avvengono nel nostro Paese si può utilizzare la dicitura “Origine del pomodoro: Italia”.

Codacons e Coldiretti applaudono «Finalmente, anche se con enorme ritardo, viene attuata una vera tutela dei consumatori e del made in Italy» commenta il presidente del Codacons CARLO RIENZI. «Gli Italiani sono stati finora del tutto ignari circa la provenienza delle materie prime di numerosissimi prodotti, al punto che il 50% della spesa alimentare nel nostro Paese era anonima. Grazie a questa novità sarà possibile garantire maggiore trasparenza e consapevolezza». «Con un aumento del 36% degli arrivi dalla Cina, per un totale 92 milioni di chili di concentrato di pomodoro da spacciare come made in Italy nel 2016, l’arrivo dell’obbligo di indicare la provenienza rappresenta un’attesa misura di trasparenza per produttori e consumatori». Lo afferma ROBERTO MONCALVO, presidente di COLDIRETTI, nel commentare positivamente l’annuncio del decreto per l’etichetta d’origine. “Ad oggi — spiega la Confederazione in una nota — l’obbligo di indicare la provenienza è in vigore in Italia solo per le passate ma non per pelati, polpe, sughi e soprattutto concentrati. Il risultato è che dalla Cina si sta assistendo ad un crescendo di navi che sbarcano fusti di oltre 200 chili di peso con concentrato di pomodoro da rilavorare e confezionare come italiano poiché nei contenitori al dettaglio è obbligatorio indicare solo il luogo di confezionamento, ma non quello di coltivazione”.

L’origine in etichetta Le indicazioni sull’origine dovranno essere apposte in etichetta in un punto evidente e nello stesso campo visivo in modo da essere facilmente riconoscibili, chiaramente leggibili ed indelebili. I provvedimenti prevedono una fase per l’adeguamento delle aziende al nuovo sistema e lo smaltimento completo delle etichette e confezioni già prodotte. Il decreto decadrà in caso di piena attuazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 1169/2011 che prevede i casi in cui debba essere indicato il Paese d’origine o il luogo di

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Sughi, conserve e altri prodotti derivati del pomodoro saranno più “trasparenti” grazie al decreto interministeriale che introduce l’obbligo di indicazione dell’origine (photo © breakingthewalls – stock.adobe.com).

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IL FOOD IN RETE

Social di Elena

1. Speck Alto Adige Igp in cucina e nel web Nuova veste grafica per le video ricette sul sito di SPECK ALTO ADIGE IGP (www.speck.it). Piatti semplici e gustosi spiegati passo dopo passo con i video tutorial, da quelli più tradizionali come gli Schlutzkrapfen, i tipici ravioli altoatesini, fino alle pietanze più moderne come la tagliata di manzo con speck, radicchio glassato e patate al forno, il protagonista è sempre lui: lo Speck Alto Adige Igp.

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2. Legno e dintorni, shopping natalizio Cercate un regalo originale realizzato con il legno da un famoso artigiano veronese? Allora il sito giusto è www. pasquinimarino.it, che dalla homepage presenta diversi oggetti prodotti nella BOTTEGA ARTIGIANA PASQUINI MARINO SRL di Bovolone, in provincia di Verona. I nostri preferiti sono i taglieri come quello in foto, pensato per i finger food (photo © pasquinimarino.it).

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food Benedetti

3. Airbnb, Tokyo e l’arte delle mani in pasta AIRBNB (www.airbnb.it), il colosso dell’ospitalità condivisa, da qualche mese ha iniziato a proporre non solo alloggi ma anche esperienze. Attraverso il portale si possono cercare appartamenti e stanze in affitto e allo stesso tempo prenotare attività da svolgere insieme al proprio padrone di casa durante il soggiorno. Un esempio? Una Pasta Factory Class di quattro ore a Roma con Veronica, chef di professione e host Airbnb per passione (link goo.gl/6JPLhj). Meraviglioso (photo © airbnb.it).

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4. Il MIPAAF on-line si rifà il look Bella e funzionale la nuova versione del portale istituzionale del MIPAAF, www.politicheagricole.it, che segue le linee guida per i siti web della Pubblica Amministrazione sviluppate dall’Agenzia per l’Italia Digitale. «L'importanza di una comunicazione semplice, accessibile e diretta delle attività del Ministero è alla base della riorganizzazione dei contenuti del nuovo portale. L’obiettivo è quello di offrire servizi aggiornati sempre più digitali e interattivi, nell’ottica della semplificazione e della trasparenza, per rendere più facile la fruizione delle novità e degli argomenti del settore agricolo italiano» ha dichiarato il Ministero delle Politiche Agricole.

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GIORNI DI FESTA

Natale 2017, idee per il regalo perfetto Corsi di cucina, degustazioni in cantina, un piccolo orto e altre bontà: anche la delizia si può impacchettare e mettere sotto l’albero

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età del mondo, a Natale, non riesce a capire come l’altra metà abbia potuto fare regali simili. Per rompere questa imbarazzante catena, ecco una lista di idee originali capaci di prendere al cuore ma anche alla gola, senza essere le solite, noiose cravatte. E ce n’è per tutte le tasche, oltre che per tutti i gusti

“Se quest’anno nessuno ha intenzione di mandarmi dei regali per Natale, non vi preoccupate. Ditemi solo dove abitate e io verrò a prenderli da solo” Henny Youngman

Un brindisi tra le vigne (da 10 euro) Regalare un brindisi in 60 ettari di vigneto, in un blasonato terroir sulla via Francigena dove 25 anni fa è nato il primo rosso fermo della zona che porta un nome di musica: Nabucco. Monte delle Vigne, sulle colline parmensi, è un luogo di quiete e silenzio che GIUSEPPE VERDI avrebbe amato. Qui MARCO BELLOCCHIO ha girato l’incantevole scena del banchetto nel suo “Fai bei sogni” ed è possibile prendersene un pezzetto, donando una visita guidata di un’ora con degustazione di un calice (10 euro), oppure una passeggiata guidata dei vigneti e della cantina con 3 calici a scelta (circa 75 minuti, 15 euro) o aggiungere prosciutto di Parma, salame di Felino e Parmigiano 24 mesi (circa 90 minuti, 20 euro). E per chi volesse stappare e brindare a casa propria, ci sono anche confezioni regalo con le bottiglie migliori della cantina (da 20 a 70 euro). www.montedellevigne.it

Personalizzare la marmellata (da 24 euro) Fragole che sposano i peperoni, albicocche che si uniscono alle mandorle, kiwi cotti nello zenzero. Sono storie d’amore quelle che Happy Mama chiude in un vasetto. Il laboratorio culinario di Cavriago (RE) è un instancabile produttore d’idee da mangiare a base di frutta e verdure a km 0, senza additivi né conservanti. A partire da 24 euro si può regalare la “Casetta Delizia” che comprende 3 vasi di confettura mista da 330 grammi, 1 panetto di burro del Consorzio delle Vacche Rosse da 250 grammi, 1 confezione da 250 grammi di pane bianco a fette, realizzato da un forno artigianale che lavora con il proprio lievito madre e le ricette per abbinare le salse con i formaggi, realizzare torte oppure tartine. Tutti i prodotti sono realizzati in modo artigianale al 100%. www.happymama.it

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La padella senza grassi (da 30 euro) Per cucinare con gusto ma senza grassi: è dedicata a chi conduce uno stile di vita sano e naturale anche a tavola Olivilla, una padella premiata al concorso Solutions di Ambiente a Francoforte per il suo rivestimento rivoluzionario, composto esclusivamente da solventi ad acqua e sostanze naturali, tra cui l’olio d’oliva. Prodotto completamente italiano, è all’avanguardia nell’antiaderenza e riduce i tempi di cottura. In più è anche bella, che per un regalo non guasta. Costa 30,63 euro la versione con diametro da 20 centimetri. www.illa.it

L’orto di design in appartamento (da 99 euro) L’oggetto è bellissimo, rivoluzionario e tanto piccolo da poter comodamente stare sotto l’albero: è Plantui, un giardino idroponico da tenere in casa ossia un orto che non ha bisogno di terriccio, che occupa al massimo 29 centimetri, e che produce insalate fresche, fiori commestibili o erbe aromatiche a centimetro zero e in otto settimane. Crescione, viola bianca, rapanello, crescono puliti, puri, senza necessità di sole perché la luce e il sistema di irrigazione automatica vengono regolate dal Plantui Smart Garden™ durante le diverse fasi di crescita dalla piantina. Sono disponibili le versioni da tre e sei piantine, ma sta per arrivare anche quella da 12. Tra gli entusiasti di questo sistema di coltivazione e autoproduzione, c’è SASU LAUKKONEN, il celeberrimo talento dell’enogastronomia finlandese che sta facendo della sostenibilità una bandiera. www.plantui-italia.it

A scuola dallo chef stellato (da 120 euro) Non banchi ma fornelli, non teoria ma pratica, una scuola che è una vacanza: è questo il senso dei mini corsi a fianco dello chef stellato e padrone di casa dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense (PR) Massimo Spigaroli. Che insegna i segreti per imparare a cucinare Per tutto l’anno propone “Le Conserve” (130 euro a persona con assaggi e consegna di un vaso di ciascun prodotto), “La Pasta” (130 euro a persona con degustazione dei piatti cucinati), “Le Carni” per mettere in tavola bue e maiale, oche, piccioni, anatre, conigli e polli alla maniera delle cuoche di Verdi (120 euro a persona con degustazione dei piatti), oppure “La Legatura” per imparare a legare un culatello (150 euro per gruppi di almeno 10 persone). Da ottobre a marzo, a farla da padrone è “Il Maiale”, con lezione e visita tra culatelli, salami, cappelli da prete, coppe e spalle (130 euro a persona con degustazione dei piatti cucinati). www.acpallavicina.com/relais

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AZIENDE Festa grande al salumificio di Arnad, celebrato anche nel volume “Pane & Lardo”

I 60 anni di Maison Bertolin

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na festa di compleanno che si rispetti deve durare almeno due giorni, soprattutto se si tratta di una ricorrenza importante come quella celebrata dal Salumificio Maison Bertolin, specializzato nella produzione dei salumi tipici valdostani come il lardo d’Arnad DOP. Il week-end (30 settembre e 1 ottobre) ha preso il via con una conferenza stampa, presieduta dal sindaco PIERRE BONEL e dal giornalista PAOLO MASSOBRIO, per la presentazione di un volume, “Pane & Lardo”, che racconta i 60 anni della famiglia Bertolin. Una storia, quella di Maison Bertolin, che iniziò nel lontano 1957 con nonno Guido, il quale aprì una macelleria, la prima di Arnad, con accanto l’allevamento. L’attività e

il marchio furono riconosciuti da subito come sinonimo di alta qualità e la professione diventò col tempo patrimonio di famiglia, fino ad arrivare alla moderna azienda di oggi, punto di riferimento per la gastronomia valdostana tutta. Una cena curata dallo chef AGOSTINO BUILLAS del Restaurant de Montagne Café Quinson e dai sommelier FISAR ha chiuso in bellezza la prima giornata. La mattina successiva, Maison Bertolin ha aperto le porte del proprio stabilimento ad invitati, turisti e semplici curiosi, offrendo, accanto alla visita guidata, una degustazione con tutti i prodotti firmati Bertolin, in un clima di grande allegria. Per l’occasione è stata anche presentata la rete di imprese “Alpi e Sapori”, creata dai Bertolin assieme ad altre

cinque aziende del territorio, che avrà l’obiettivo di proporsi a nuovi mercati promuovendo la Valle d’Aosta attraverso le sue eccellenze enogastronomiche. Dietro le quinte delle celebrazioni, e della perfetta riuscita dell’evento, i 35 collaboratori di Maison Bertolin, che si sono prodigati nel corso delle due giornate ma che, come ci hanno detto Marilena, Guido e Alexandre Bertolin, «ogni giorno permettono all’azienda di espandere il proprio brand nel mondo». E questo profondo legame di amicizia e stima reciproca ha oggi un “simbolo” concreto: una bellissima e originale ape rosso Ferrari del 1967 perfettamente restaurata, regalata dai ragazzi e dalle ragazze di Maison Bertolin alla famiglia proprietaria.

Marilena con i figli Guido e Alexandre Bertolin posano davanti all’ape rosso Ferrari del 1967 ricevuta in regalo dai collaboratori in occasione dei 60 anni dell’azienda.

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“In queste pagine c’è l’Italia… il coraggio, la forza, la visione che oggi hanno Marilena, Guido e Alexandre, sempre con il sorriso. E mai di maniera: si chiama letizia. Che è l’atteggiamento del lavoratore buono che sa di poter fare tutto quello che la vita gli sta chiedendo. Grazie per esserci. E grazie perché avete scelto di dare corso a questi primi magnifici 60 anni, serbatoio di una storia di cui tutti dobbiamo essere orgogliosi”

Maison Bertolin Loc. Champagnolaz 10 11020 Arnad (AO) Telefono: 0125 966127 E-mail: info@bertolin.com Web: www.bertolin.com

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Pane & Lardo. Il romanzo dei Bertolin 1957-2017, a cura di Giacomo Sado (Musumeci Editore, pp. 208; prefazione di Paolo Massobrio), racconta i 6 decenni di Maison Bertolin. Un testo suddiviso in tre parti che comprende pagine di diario, foto e aneddoti storici dal mondo avvenuti parallelamente alla vita della Maison. Il ricavato della vendita del 1o ottobre (2.500 euro) è stato devoluto in beneficenza al Coordinamento DisabilitàValle d’Aosta. Il libro è acquistabile in tutte le librerie della regione.

In alto: lo chef Agostino Buillas del Restaurant de Montagne Café Quinson e i sommelier della FISAR con i membri della famiglia Bertolin. In basso: sushi valdostano.

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Levoni e Renato Bosco uniti dalla passione per le cose fatte bene: nasce un nuovo ricettario che esalta i sapori dei salumi con brio La bontà 100% italiana dei salumi Levoni incontra la delicatezza delle creazioni di uno chef innovativo e sperimentale. È stato affidato infatti a Renato Bosco (in foto), grande esperto di impasti lievitati, il compito di fondere i sapori tra le sue creazioni e le proposte dell’azienda mantovana, dando vita a ricette nuove e originali. Dal “Filone affumicato Levoni con fior di latte e senape di Digione su PizzaDoppioCrunch®” al “CastelSpeck Levoni e mostarda di ciliegia nella brioche salata”, Renato Bosco propone un ricettario che esalta tutto il sapore e la qualità dei salumi Levoni con una ventata di brio. Un incontro, quello tra Levoni e lo chef veneto, che ha alla base la stessa attenzione per la qualità delle materie prime, lo stesso amore per la tradizione e le cose fatte bene. Gli oltre 300 salumi a marchio Levoni, certificati 100% italiani, derivano da carni di prima scelta di suini nati, allevati e trasformati in Italia. Per le proprie ricette, Levoni utilizza spezie, erbe aromatiche e aromi naturali provenienti da tutto il mondo che vengono macinati e lavorati al momento, in modo da non perdere alcuna proprietà gustativa. Miscele esclusive di legni di montagna per un’affumicatura dal gusto inconfondibile. E perché il buono sia per tutti, i prodotti sono senza glutine e senza lattosio. Renato Bosco, più di trent’anni di esperienza nel mondo del pane, della pizza e della lievitazione, è stato inserito nel 2015, in occasione di Expo, nella lista dei 50 chef italiani scelti per rappresentare la cucina italiana nel mondo. «La collaborazione con Levoni è nata in maniera completamente naturale» spiega lo chef. «Il desiderio costante di offrire ai miei clienti un prodotto digeribile e gustoso mi ha portato ad elaborare vari tipi di impasti che si abbinano perfettamente ai salumi Levoni, sia in termini di sapori che di digeribilità. In questi prodotti ho trovato i tratti distintivi che da sempre caratterizzano la mia ricerca: scelta di sole materie prime di altissima qualità, massima attenzione alle produzioni locali e continua innovazione». «Renato è uno chef di talento e di esperienza — commenta MARELLA LEVONI — un esperto riconosciuto nella ricerca di impasti e panificati innovativi, e siamo felici di aver fatto incontrare le nostre “ossessioni” per la qualità. Da qui nasceranno nuove e continue proposte per un viaggio nel gusto a cui invitiamo buongustai e amanti del buono». >> Link: www.levoni.it

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Passione per la carne per tradizione.


Innovare dal 1605? A Modena si può di Elena Benedetti

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e vuoi fare qualcosa di nuovo, devi smettere di fare qualcosa di vecchio” affermava l’economista statunitense PETER DRUCKER. Un concetto corretto che, però, non funziona con l’aceto balsamico, un prodotto che deve proprio al suo lungo e lento processo di invecchiamento tutta la sua ricchezza. E ancor di più non può funzionare per una storica acetaia come quella del Gran Deposito Aceto Balsamico Giuseppe

Giusti, una realtà che, tra le antiche batterie di botti a riposo nel casale di campagna finemente ristrutturato alle porte di Modena, ha all’opposto scoperto il segreto nel coniugare l’innovazione alla tradizione. Ne abbiamo parlato con CLAUDIO STEFANI GIUSTI, che insieme al padre Luciano detiene il 100% della proprietà di questo piccolo gioiello di famiglia. Una realtà che oggi fattura 8 milioni di euro l’anno, si avvale di uno staff

di 35 persone con un’età media sotto i trent’anni ed esporta il 50% del prodotto all’estero. Apertura ai mercati esteri «Siamo a pieno titolo la più antica acetaia di Modena essendo l’inizio della nostra attività datato al 1605» mi dice Claudio. Un imprenditore che ha saputo coniugare gli skill di una managerialità improntata al modello orizzontale di impresa, in cui l’organizzazione sti-

Gli aceti balsamici di Giuseppe Giusti hanno collezionato nel tempo innumerevoli riconoscimenti. Particolarmente rappresentativi sono quelli ottenuti durante la Belle Époque, quando i Giusti presentarono i loro prodotti nelle fiere nazionali e internazionali dell’epoca. Sono di allora le 14 medaglie d’oro che ancor oggi ne caratterizzano l’etichetta disegnata a inizio Novecento. A queste si aggiunge lo stemma di “Fornitore della Real Casa Savoia”, concesso da Re Vittorio Emanuele III nel 1929 (photo © Alessandro Guerani).

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mola l’apprendimento continuo come soluzione al cambiamento. Ma, al di là del modello aziendale vincente, Acetaia Giusti oggi è leader nella produzione di aceto balsamico di alta qualità. «Siamo l’Aceto Balsamico maggiormente rappresentato in LaRinascente, negli Eataly e nelle gastronomie e negozi più belli d’Italia e del mondo, nei department store e hotel più esclusivi, dal newyorkese Dean&Deluca al Burj Al Arab di Dubai. Gli aceti Giusti sono presenti in più di 50 nazioni, dove vengono utilizzati dai cuochi più rinomati» aggiunge l’AD modenese. «Il nostro focus è la valorizzazione del prodotto e del brand, attraverso lo sviluppo e l’evoluzione continua delle idee portate dalla squadra di collaboratori, giovani e validissimi. Una stretta collaborazione e un forte spirito di squadra, unite ad una chiara strategia di alto posizionamento nei mercati nazionali e internazionali, ha generato una forte espansione che ha portato all’apertura di una filiale commerciale in Corea del Sud, una prossima negli USA, e all’assunzione di giovani professionisti residenti in altri Paesi europei». Un territorio da condividere con gli altri Tra le cose belle dell’Acetaia Giusti c’è una chiara strategia di condivisione dei valori del territorio e di apertura al pubblico, tra visite guidate e accoglienza di turisti anche senza prenotazione, che quest’anno hanno raggiunto le 15.000 presenze. Ad accoglierli nel Museo di famiglia c’è un giovane e preparato staff dedicato di 5 persone, operativo sette giorni su sette, tutto l’anno. Anche nel corso del 2017 l’acetaia si è ripetutamente trasformata in una vera e propria area didattica pensata per i più piccoli, con la presenza di una trentina di scuole e di alunni di terza, quarta e quinta elementare, che giocando hanno imparato a fare l’aceto balsamico. I bimbi hanno ripercorso le varie fasi di lavorazione, dal mosto d’uva cotto, alla maturazione per lenta e progressiva acidificazione e fermentazione naturale, dalla selezione delle botti e dei vari legni che conferiscono al prodotto le note aromatiche fino al concetto del tempo, che trasforma l’aceto balsamico e personalizza densità, corpo, aromi e profumi.

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In alto: Claudio Stefani Giusti nella storica acetaia alle porte di Modena. Giusti è la più antica azienda di aceto balsamico esistente, fondata a Modena nel 1605 e condotta oggi dalla 17a generazione della famiglia. In basso: il casale di campagna sede dell’acetaia e del Museo di famiglia (photo © Luca Carta).

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Aceto Giusti, creare valore anche a Natale Oltre all’ampia offerta di aceti del Gran Deposito Aceto Balsamico Giuseppe Giusti, dall’IGP al Tradizionale di Modena DOP, dalle inconfondibili champagnotte al Biologico IGP, dalle creme al sale bianco di Sicilia e ai cioccolatini, Giusti quest’anno festeggia il Natale con un panettone con Aceto Balsamico di Modena IGP realizzato dalla Pasticceria Muzzi di Milano. L’Aceto Balsamico Giusti 3 Medaglie d’Oro è infatti stato aggiunto all’impasto, poi usato per far macerare le uvette e, infine, unito in forma di crema alla farcitura. Servitelo tiepido accompagnandolo con una pallina di gelato: è perfetto. Elena Benedetti

Giusti quest’anno festeggia il Natale con un panettone con Aceto balsamico di Modena Igp, realizzato dalla Pasticceria Muzzi di Milano. L’Aceto Balsamico Giusti 3 Medaglie d’Oro è infatti stato aggiunto all’impasto, poi usato per far macerare le uvette e infine unito in forma di crema alla farcitura (photo © Alessandro Guerani).

Gran Deposito Aceto Balsamico Giuseppe Giusti Srl Strada Quattro Ville 155 41123 Modena Telefono: 059 840135 Web: www.giusti.it www.visitgiusti.it

Quando l’aceto balsamico diventa cocktail Un esempio di innovazione è stato quello di inserire l’aceto balsamico nel mondo dei cocktail. L’idea si è concretizzata la scorsa primavera in occasione di Tuttofood Milano e di Milano Food Week, nella bella e stilosa cornice del Pavarotti Restaurant Museum. Il ristorante dedicato al tenore Luciano Pavarotti, aperto da Nicoletta Mantovani Pavarotti e Alessandro Rosso nel 2015, diretto dall’executive chef stellato Luca Marchini, ha proposto piatti della tradizione emiliana in abbinamento agli aceti balsamici Giusti. Ma i veri protagonisti della serata sono stati 6 cocktails firmati dal barman di fama internazionale Gianfranco Pola, da 16 anni brand ambassador di Chartreuse, il leggendario liquore prodotto ancora oggi dai monaci certosini della Grande Chartreuse. Bella la carta dei cocktail proposta: da alcuni twist on classic come il Last Word si è passati allo Chartreuse Tonic fino all’American Pola e al Giustone. Dulcis in fundo, l’apertura di una rara bottiglia di Chartreuse gialla invecchiata 50 anni. Perfetta quindi affinità di prodotto, quella tra l’aceto balsamico della famiglia Giusti con Chartreuse, la casa liquoristica francese che produce il più antico liquore al mondo, un brand fondato proprio nel 1605, esattamente lo stesso anno in cui fu fondata l’Acetaia Giusti. E centrato l’evento che ha stimolato Pola a utilizzare un ingrediente spesso relegato a puro condimento, alle carni, al gelato, e che invece ha dato prova di sé per carattere e personalità nella creazione di drink innovativi.

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LA QUALITÀ

Culurgionis d’Ogliastra, la Igp è servita La Sardegna ottiene la sua ottava indicazione geografica nel food. È un fagottino di pasta chiuso a mano, ripieno di patate, formaggi, olio e menta a fregiarsi del prestigioso riconoscimento. E da Lanusei partono i festeggiamenti che coinvolgono oltre una dozzina di comuni di Guido Guidi

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on sta bene rendere nota l’età di una signora, ma qui, nella terra della longevità, avere tante candeline da spegnere è un orgoglio e non qualcosa da nascondere. Sono le ultra-ottantenni ELVIRA e AMALIA, sguardo fiero e portamento elegante, a dare l’annuncio: i Culurgionis d’Ogliastra, il più pregiato formato di pasta fresca ripiena sarda, hanno finalmente ottenuto l’Indicazione Geografica Protetta. Dai loro abiti tradizionali, quelli della festa, si comprende che non è una giornata come tutte le altre.

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È un momento storico per la Sardegna intera perché, dopo oltre un decennio di lavoro e un iter istruttorio lunghissimo, la più pregiata specialità di pasta fresca isolana ha visto attribuirsi il maggior riconoscimento internazionale, per un prodotto alimentare trasformato. L’annuncio ufficiale è stato dato alcune settimane fa a Lanusei, in occasione di un convegno dal tema “Prospettive ed opportunità derivanti dalla IGP dei culurgionis d’Ogliastra. La pasta fresca come volano per il territorio”, in cui il Comitato promotore della IGP ha festeggiato la

registrazione della denominazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, ad un anno esatto dal suo ottenimento. In Ogliastra è stata dunque festa per tutti e lo è stata per due giorni interi. Un fine settimana in cui non solo si è discusso del tema tra operatori, enti ed autorità, ma si sono anche fatte degustazioni nei numerosi stand del centro; si è inaugurata una mostra sul prodotto, nel museo cittadino; si sono realizzate attività di intrattenimento con iniziative di varia natura, show cooking e gare di chiusura.

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A sinistra: tramonto sull’Ogliastra (photo © Gabriele Paolillo). In alto: due giorni di festa a Lanusei hanno sancito l’ottenimento dell’Igp Culurgionis d’Ogliastra con la registrazione della denominazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (photo © www.paradisola.it).

La chiusura, appunto, il passaggio focale su cui si è basata la richiesta di Indicazione Geografica. Questa è una pasta pregiata, soprattutto perché può essere chiusa unicamente a mano e solamente dalle donne. L’arte della chiusura, che conferisce al prodotto la caratteristica forma a fagottino con una spiga in mezzo, si tramanda da generazioni, di madre in figlia. La capacità e la velocità in questa fase della produzione era ciò che un tempo sanciva il fatto che la giovane fosse pronta per maritarsi o meno.

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Alcune ragazze sono in grado di chiuderne oltre 400 in un’ora, mostrando un’abilità che sbalordisce. «È il primo disciplinare discriminante all’inverso», qualcuno si è affrettato a dichiarare durante il convegno di apertura della manifestazione, solo la prima — si spera — dedicata a questo meraviglioso prodotto e alla sua terra. Quella discriminazione però altro non è che rispetto rigoroso della tradizione. È riconoscimento del lavoro delle massaie, le uniche che un tempo si dedicavano alla preparazione dei culurgionis. «Li facevamo solo per Ognissanti e per festività particolari», hanno precisato come prima cosa le anziane protagoniste della prima giornata del Festival dei Culurgionis d’Ogliastra IGP. «Oggi si consumano spesso e anche nei giorni feriali. Ma in passato, quando la povertà imperava, certi lussi non erano per tutti e non erano frequenti. Chi li preparava ne faceva avere un piatto ai meno fortunati. Un vicino di casa, un amico di famiglia: l’usanza era di consegnarli all’ora di pranzo, già cotti e conditi, con un sugo leggero, come regola vuole. Un gesto semplice che lasciava intravedere un senso di gratitudine verso il cielo, per avere avuto più possibilità di altri» precisano. Tutto questo si traduce e si sintetizza dentro un disciplinare che sottolinea il legame indissolubile di questa specialità

con un territorio ben delimitato. L’areale di produzione è quello della vecchia provincia dell’Ogliastra, universalmente considerata una delle zone più belle della Sardegna, un territorio incantevole dove mare e montagna si incontrano, generando un connubio perfetto. Sono dentro il perimetro anche alcuni comuni limitrofi, quali Esterzili, Sadali ed Escalaplano, in provincia di Cagliari. Paesini di piccole dimensioni, accomunati non solo dalla tradizione nella produzione dei culurgionis, ma anche da una qualità della vita elevatissima. Non a caso il numero degli ultracentenari è ragguardevole e per questo oggetto di studio da parte di ricercatori di ogni angolo del mondo. Il Comitato promotore — composto da una decina di pastifici che contano 70 addetti e oltre 400 tonnellate di produzione annua — si accinge, nei prossimi giorni, a trasformarsi in Consorzio. I numeri, pur proporzionati alla realtà che rappresentano (poco più di 30.000 abitanti in tutto), sono certamente modesti, ma oltre ad essere destinati ad aumentare a seguito dell’acquisizione del tanto agognato bollino, mostrano solo in parte il potenziale del settore. Non saranno soltanto i laboratori di pasta fresca, infatti, a marchiare il prodotto. Lo potranno fare anche i ristoranti, le aziende agrituristiche, i laboratori di gastronomia.

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I culurgionis sono fagottini di pasta ripiena di patate e formaggi, menta o basilico (photo © Alessio Orrù – stock.adobe.com).

I motivi per festeggiare ci sono tutti. Oltre alle ricadute dirette in termini di maggior impiego di materia prima, ci sarà un ritorno sul piano occupazionale, in particolare di personale femminile. Ma soprattutto il logo del costituendo Consorzio consentirà di comunicare al mondo intero che c’è una zona in Europa, in Italia, in Sardegna, di cui prima forse non tutti conoscevano l’esistenza, dove si produce una pasta fresca ripiena, unica al mondo. I culurgionis d’Ogliastra — così come accaduto per tanti altri prodotti a denominazione — saranno quell’elemento che, passando per i menu dei ristoranti, passando per le confezioni di prodotto, passando per gli elenchi dei prodotti di qualità del Ministero delle

Politiche Agricole, porteranno il nome dell’Ogliastra ovunque. Quanti, dall’altra parte del mondo, saprebbero dire dove si trova il Chianti, se non fosse per il suo meraviglioso vino DOCG? E non vale forse la stessa cosa per il lardo di Colonnata, per la cipolla di Tropea, per la bresaola della Valtellina e per molte denominazioni ancora? I culurgionis ogliastrini saranno dunque un tramite per far conoscere l’Ogliastra. Questo è lo straordinario valore di una denominazione. Questo è lo straordinario potere di un marchio che, da solo, porta un intero territorio dentro le cucine, dentro i negozi, nei supermercati. Un motivo in più perché l’Italia, pur prima in Europa per numero di prodotti riconosciuti, dovrebbe conti-

I culurgionis saranno un tramite per far conoscere l’Ogliastra: questo è lo straordinario valore di una denominazione. Questo è lo straordinario potere di un marchio che, da solo, porta un intero territorio dentro le cucine, dentro i negozi, nei supermercati

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nuare con determinazione a percorrere questa strada. Secondo dati ISMEA QUALIVITA il valore alla produzione DOP e IGP del comparto Food & Wine in Italia ha raggiunto, nel 2016, i 13,4 miliardi di euro, con una crescita del 4% su base annua e un peso del 10% sul fatturato totale dell’industria agroalimentare nazionale. Il settore appare particolarmente dinamico nei mercati esteri: le esportazioni sono pari a 7,1 miliardi di euro e segnano una crescita di oltre l’8% su base annua, il 21% sul totale dell’export italiano. Alcuni prodotti, dopo l’ottenimento della denominazione, hanno registrato una svolta nei volumi venduti. La finocchiona, per esempio, che ha ottenuto la IGP nel 2015, nel primo semestre del 2017 ha registrato un aumento di circa il 38% del valore prodotto sull’anno precedente. Un boom dovuto soprattutto alla denominazione. Hanno avuto lo stesso destino la coppa piacentina e la pancetta piacentina DOP che negli ultimi dieci anni, nonostante la fase economica recessiva generale, hanno registrato un aumento di produzione del 170%. O il salame piacentino DOP, che nello

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stesso periodo ha avuto un incremento del 145% dovuto, secondo lo stesso Consorzio di tutela, alla denominazione e al lavoro del Consorzio, in sinergia con la Regione e gli enti locali. Si tratta solo di alcuni esempi, che mostrano però quanto possa essere importante acquisire un simile riconoscimento. Non solo. Normalmente i prodotti a denominazione diventano, per le imprese, il cavallo di Troia, per l’ingresso nei mercati di altre specialità del catalogo aziendale. La ricaduta nel territorio non può che essere ampia, dunque, e riguardare diversi ambiti, soprattutto quando la denominazione — come nel caso dei culurgionis — comprende il nome del territorio che la esprime. Eppure, in Sardegna i bollini si possono contare sulle dita di una mano. Quest’isola, che pure vanta un patrimonio enogastronomico come pochi, mostra enormi limiti a valorizzarlo e a tutelarlo. Stesso problema si registra in altre regioni del Sud Italia. La difficoltà a mettere insieme i produttori, a trovare una sintesi, a operare in associazione, ha impedito sinora di accedere ad uno strumento tanto utile quando difficile da ottenere. Non c’è infatti nulla di semplice, di facile o di veloce in un normale procedimento di richiesta di DOP e IGP. A maggior ragione, a Lanusei si è voluto festeggiare: una volta realizzato

il lavoro iniziale, ai dossier allegati alla domanda di denominazione al MIPAAF sono state fatte oltre un migliaio di revisioni. L’operazione complessiva è durata 13 anni, così come avviene per molti procedimenti della stessa tipologia. Quando nel lontano 2003 una decina di pastai decisero di unirsi per la creazione di uno strumento di tutela e salvaguardia dei culurgionis ogliastrini, si sono dovuti dirimere una serie di problemi che, pur superati e risolti, hanno generato contestazioni, come spessissimo accade nei territori in questi casi. Il disciplinare di produzione è pur sempre uno strumento che, sebbene introduca dei vantaggi, pone anche limiti importanti e non sempre lo si condivide in prima battuta. Si pongono problemi di sostenibilità, di conciliazione tra tradizione e innovazione, di provenienza e utilizzo delle materie prime, di approvvigionamenti, di areali coinvolti. «Si può fare di più e meglio, ma restiamo dell’avviso che il percorso realizzato sia un primo, importantissimo traguardo», hanno precisato dal Comitato promotore dei culurgionis d’Ogliastra IGP. Si deve creare un connubio forte con il comparto agricolo locale. Realizzare un prodotto marchiato IGP completamente isolano potrebbe amplificare le ricadute sul territorio. E non a caso, tra i soci fondatori del Comitato, vi sono

L’arte della chiusura a mano dei culurgionis si tramanda di madre in figlia e anche nel disciplinare di produzione è previsto che siano solo le donne a chiuderli.

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Culurgionis d’Ogliastra: con i cappellacci di zucca mantovani, sono l’unica pasta fresca ad avere ottenuto l’Igp.

alcune aziende agricole che producono patate e formaggi. Soggetti con cui è possibile iniziare a costruire una filiera tutta sarda. Trattandosi di una IGP e non di una DOP, non è stato infatti possibile specificare la provenienza della materia prima nel disciplinare. Ma questo fatto non impedisce, ai produttori che volessero farlo, di impiegare unicamente o preferibilmente formaggi, patate, oli, grassi, semole di provenienza esclusivamente isolana o nazionale. «Per quanto ci compete ancora, faremo di tutto perché questo prodotto sia sempre più isolano, sia sempre più un volano per tutta la regione, in termini di materia prima impiegata, di forza lavoro, di richiamo turistico, di indotto», precisa VITO ARRA, presidente del Comitato. Solo l’Indicazione Geografica Protetta permette di salvaguardare il nome del prodotto e il suo legame con il territorio, senza rischi sugli approvvigionamenti di materia prima locale. Non è un caso se le altre specialità di pasta a denominazione in Italia (pasta di Gragnano, maccheroncini di Campofilone, pizzoccheri della Valtellina, cappellacci di zucca) siano IGP e non DOP. Non è un caso se la maggior parte dei prodotti di seconda trasformazione, in generale, sono IGP e non DOP. Nella convinzione che la tradizione sia la custodia del fuoco e non l’adorazione delle ceneri, per citare GUSTAV MAHLER, anche in Sardegna si è imboccata la strada della tutela. L’obiettivo è quello di valorizzare produzioni dalla lunga storia, guardando con speranza al futuro. Guido Guidi

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G7 delle Indicazioni Geografiche: nasce la Dichiarazione di Bergamo

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ra gli eventi collaterali svoltisi in occasione del G7 dell’Agricoltura di Bergamo, lo scorso 11 ottobre è andato in scena anche il “G7 delle Indicazioni Geografiche”, un momento di confronto fra le maggiori organizzazioni dei produttori delle IG in rappresentanza di oltre un milione di imprese e operatori delle filiere agricole, vitivinicole e delle bevande spiritose di tutto il mondo. Al termine del vertice internazionale è stata sottoscritta la “Dichiarazione di Bergamo”, un documento strategico, presentato alle istituzioni, che ha l’obiettivo di riconoscere il valore

delle Indicazioni Geografiche in ambito agricolo, ambientale e commerciale, definendo anche gli strumenti per la lotta alla contraffazione, i piani per una produzione sostenibile e il rilancio dei negoziati per la tutela legale delle IG. «Da Bergamo — ha affermato il ministro del MIPAAF Martina — rilanciamo l’impegno per la tutela e la promozione delle Indicazioni Geografiche. Con la Dichiarazione di Bergamo si delineano le sfide decisive per tutelare e promuovere il nostro patrimonio agroalimentare, definendo anche nuovi strumenti per la lotta alla contraffazione, i piani per una produzione sostenibile e il rilancio

dei negoziati per la tutela legale dei marchi geografici. I 4 punti cardine della dichiarazione sono in linea con la nostra azione e, in qualità di residenza del G7 agricoltura, li assumo come punto di impegno. Vogliamo lanciare un segnale forte per ridare spinta ai sistemi di protezione multilaterali in un momento storico cruciale in cui assistiamo invece a un ripiegamento verso antiche logiche protezionistiche. Proteggere = integrare «Il solo modo per proteggere — ha proseguito il ministro — è integrare. Ecco perché è fondamentale lavorare insieme

Accolti dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori, 30 rappresentanti di quattro continenti hanno discusso e firmato la “Dichiarazione di Bergamo”, un documento in cui sono individuate le priorità per sostenere la crescita del settore e ribadirne la centralità all’interno dell’agenda politica internazionale (photo © twitter.com/giorgio_gori).

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per darsi regole forti in mercati aperti, tutelando le nostre produzioni di qualità agroalimentari che rappresentano una componente fondamentale dell’export. Servono nuovi strumenti di reciprocità, clausole di salvaguardia esigibili e autenticità dei prodotti made in Italy sui mercati internazionali». «La Dichiarazione di Bergamo — ha dichiarato il vice-ministro Andrea Olivero — rafforza l’azione di tutela delle denominazioni che abbiamo avviato nei mesi scorsi attraverso gli accordi con le piattaforme di e-commerce mediante l’ICQRF e ci induce a proseguire su questa strada per mantenere alta la reputazione e la distintività delle nostre produzioni certificate». I quattro punti chiave della Dichiarazione di Bergamo 1. Creazione di un sistema multilaterale di protezione delle Indicazioni Ge ografiche efficace, semplice e trasparente per i produttori ed i consumatori, sostenendo anche l’applicazione dell’Accordo di Lisbona del 1958 — rivisto con l’Atto di Ginevra del 2015 — per garantire una tutela multi-livello alle IG; 2. miglioramento della trasparenza della Internet governance con il coinvolgimento degli stakeholders per una protezione efficace delle IG quale diritto di proprietà intellettuale, in particolare nella gestione da parte di ICANN del sistema assegnazione dei nomi di dominio di primo e di secondo livello; nell’utilizzo dei nomi delle IG nei portali di commercio elettronico e nei motori di ricerca; 3. approfondimento delle ricerche e degli studi riguardo il positivo contributo delle Indicazioni Geografiche alla sostenibilità economica e ambientale e al cambiamento climatico; 4. incremento delle risorse finanziarie per la cooperazione internazionale destinate al rafforzamento delle IG attraverso modelli e sistemi di governance efficaci, nelle aree caratterizzate da sottosviluppo e conflitti, con il coinvolgimento diretto delle organizzazioni dei produttori dei Paesi più sviluppati. Fonte: MIPAAF

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Il prosciutto crudo di Cuneo Dop alla Fiera del Marrone Un “fiume in piena” di appassionati e di operatori del settore ha invaso Cuneo per partecipare alla XIX edizione della Fiera del Marrone di Cuneo (13, 14, 15 ottobre). L’affluenza è stata da record, grazie anche alle tre bellissime giornate che il meteo ha regalato in questo caldo e soleggiato autunno. Le prime edizioni della Fiera del Marrone risalgono alla fine degli anni ‘30, quando veniva organizzata in piazza Galimberti. Cuneo era infatti uno dei più forniti centri mercatali di prodotti castanicoli del Nord Italia, grazie alla grande ricchezza di frutti che arrivavano dai castagneti situati nelle frazioni dell’altipiano e dalle valli circostanti (si pensi solo che nei primi anni del Novecento la castagna di Cuneo era già molto famosa anche all’estero, tant’è che negli USA le castagne erano chiamata “le Cuneo”, Ndr). La Fiera del Marrone è oggi un punto di riferimento per la castanicoltura italiana e una vetrina delle tante eccellenze del territorio, come il prosciutto crudo di Cuneo DOP, presente all’evento con uno stand dedicato alla sua promozione. I visitatori si sono dimostrati particolarmente interessati all’etichettatura elettronica del prosciutto, un QR Code contenente tutte le informazioni sulla tracciabilità del salume: chi ha allevato il maiale, come è stato alimentato, chi l’ha macellato, chi ha realizzato e quanto è durata la stagionatura, ecc… Il QR Code può essere letto da ogni smartphone o iphone o tablet con un semplice clic ed affianca la forma cartacea dell’etichettatura, un facsimile di “carta d’identità”. «Altro elemento che ha destato molto interesse da parte del consumatore è il basso tenore di sale contenuto dal nostro prosciutto – spiega Chiara Astesana, presidente del Consorzio di Tutela del prosciutto Crudo di Cuneo, nel tracciare un bilancio della partecipazione alla fiera. «Le favorevoli condizioni pedoclimatiche dell’area di produzione e un’ottimale gestione della catena del freddo nel periodo iniziale della stagionatura hanno consentito di ridurre sensibilmente la quantità di sale utilizzato per la conservazione della coscia, rendendo il prosciutto crudo di Cuneo DOP tra i più dolci al mondo». Chi volesse individuare i punti di vendita o i ristoranti dove trovare il prosciutto Crudo di Cuneo Dop può farlo accedendo al sito del Consorzio: www.prosciuttocrudodicuneo.it/dove_trovarlo Il prosciutto Crudo di Cuneo a Napoli Il prosciutto Crudo di Cuneo Dop è stato presentato per la prima volta alla Mostra d’Oltremare di Napoli, nell’ambito di GUSTUS – Expo dei sapori mediterranei (19-21 novembre). GUSTUS è il più importante appuntamento per incontrare i compratori del Centro-Sud Italia (operatori della distribuzione tradizionale e Ho.re.ca). Nel 2016 l’appuntamento ha riscontrato un buon successo con grande soddisfazione delle aziende espositrici che hanno potuto incontrare: buyer Ho.re.ca, distributori su scala regionale e nazionale, paninoteche, ristoranti, hotel e compratori della GDO. >> Link: www.prosciuttocrudodicuneo.it

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Burrata di Andria Igp: tanto per essere precisi Nell’articolo a firma di Nunzia Manicardi “La burrata di Andria, dal cuore di stracciatella”, pubblicato nel numero di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA 5/2017, a pagina 105, compare l’immagine di una burratina (che riportiamo) del Caseificio pugliese Primo Latte di Andria. Rimarchiamo il fatto che il caseificio non fa parte del Consorzio per la tutela e la valorizzazione della Burrata di Andria Igp (denominazione iscritta nel registro delle denominazioni di origine protetta e delle indicazioni geografiche protette dell’Unione Europea, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della UE serie L 327/16 del 2 dicembre 2016), nato ad Andria lo scorso 17 febbraio, né è iscritto nell’elenco dei produttori di burrata di Andria tenuto dall’organismo di controllo autorizzato dal MIPAAF. La nascita del Consorzio è l’ultimo atto, in ordine di tempo, dell’Associazione produttori Burrata di Andria, costituitasi nel 2010 grazie all’impegno di sei produttori, Caseificio Montrone Spa, Sanguedolce Srl, Caseificio Andriese Bontà genuina Srl della famiglia Perina di Barletta, Caseificio F.lli Simone Srl, Caseificio F.lli Nuzzi Snc di Nuzzi Salvatore & C. e Caseificio Michele Olanda, ai quali si è aggiunto il Caseificio Palazzo Spa. Il presidente del Consorzio di Tutela della Burrata di Andria Igp, dott. FRANCESCO MENNEA, tiene a precisare che è importante «sia fatta distinzione tra la Burrata di Andria Igp da qualsivoglia “Burrata” PAT od altro, proprio perché solo la Burrata di Andria Igp è iscritta nell’elenco dei prodotti a marchio di origine dell’Unione Europea e l’Indicazione Geografica Protetta è riservata al prodotto che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal Reg. UE n. 1151/2012 ed al Disciplinare di produzione».



EVENTI A Bologna la Fabbrica Italiana Contandina apre le sue porte al mondo

Piacere, FICO! di Gaia Borghi

È

fatta. Aperta ufficialmente al pubblico il 15 novembre — ma presentata a 700 giornalisti di provenienza internazionale la settimana prima e alla città di Bologna il giorno 14 — FICO Eataly World si è messa in moto. O, per meglio dire, ha finalmente disvelato al mondo le sue multiformi fattezze. La “creatura” del fondatore di Eataly OSCAR FARINETTI e del professor ANDREA SEGRÈ, agronomo, economista e presidente della neonata Fondazione FICO, ha

infatti questa caratteristica evidente: non è semplice racchiuderla all‘interno di un’unica definizione. Basta soltanto leggere le tante e diverse espressioni utilizzate per descriverla: FICO infatti è “il parco dell’agroalimentare più grande del mondo”, “la struttura di riferimento per la divulgazione e la conoscenza del food made in Italy”, “un volano di attrazione turistica a livello internazionale”, “una città del cibo”, “il Luna Park del tortellino, la Disneyland del culatello, la Gardaland

della mortadella”. FICO è una sorta di «Expo permanente che racchiude tutta la meraviglia della biodiversità italiana in un unico luogo e mette l’Italia al centro del mondo» ha detto Farinetti alla conferenza stampa inaugurale. «FICO nasce per insegnare, educare, trasmettere il gusto alimentare italiano» ha ribattuto un gongolante Virginio Merola, sindaco della città. «La nostra piccola vendetta per gli spag(h)etti bolognesi. Perché noi siamo quello che mangiamo e chi mangia da solo digerisce malissimo».

Il taglio del nastro con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni (photo © www.comune.bologna.it).

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Il Parmigiano Reggiano a FICO Con l’apertura di una forma di Parmigiano Reggiano Dop di montagna stagionato 27 mesi è ufficialmente partita l’avventura del Consorzio del Parmigiano Reggiano a FICO. «Inteso come vetrina e come porta d’ingresso al mondo delle eccellenze alimentari made in Italy, il progetto FICO ha una valenza altissima: si stima che ogni anno sei milioni di visitatori, tra italiani e stranieri, possano passare in questo spazio» ha dichiarato direttore Riccardo Deserti alla pre-view per la stampa. «Si tratta di un pubblico di curiosi, appassionati e foodie che dobbiamo intercettare: il nostro obiettivo è far innamorare queste persone di un prodotto unico per tradizioni e qualità organolettiche, portandole poi nel comprensorio del Re dei Formaggi. Non dimentichiamo, infatti, che ad una distanza di soli 15 km da FICO sorgono i primi caseifici impegnati nella produzione del Parmigiano Reggiano». All’interno di FICO il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha una delle cosiddette “Fabbriche”: uno spazio, dove, grazie alle nuove tecnologie, i visitatori possono fare un’esperienza “immersiva”, vivendo l’emozione della nascita del parmigiano. Grazie alla collaborazione con i diversi produttori, è poi possibile conoscere e assaggiare l’intero ventaglio di varietà della Dop: dal Parmigiano Reggiano 12 mesi, a quello 24-30 mesi, epoca della maturità, al Parmigiano Reggiano stagionato 70 mesi e oltre. Senza dimenticare il Parmigiano Reggiano Dop di montagna, il Parmigiano Reggiano Dop da latte di vacche Rosse, il Parmigiano Reggiano Dop Kosher e il Parmigiano Reggiano Dop Halal, per citarne soltanto alcune tipologie. A FICO il Consorzio organizzerà anche attività didattiche, degustazioni guidate e corsi di assaggio, proponendo pairing con vini e birre artigianali.

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1) Il Teatro Arena. 2) La FICO-bici targata Bianchi. 3) Le botti di vino bianco delle Langhe nella Bottega del Vino. 4) Mariangela Grosoli, presidente del Consorzio di tutela Aceto Balsamico di Modena Igp, nello spazio denominato “Le Terre del Balsamico” a FICO. Una vetrina strategica condivisa con i Consorzi di Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e Reggio Emilia che consentirà di promuovere e valorizzare questo meraviglioso prodotto con iniziative su misura, finalizzate a diffondere la cultura del balsamico e delle tecniche di degustazione che ne esaltano le caratteristiche. Sarà infatti possibile effettuare percorsi di degustazione sensoriale, toccare con mano e sentire i profumi del legno, del mosto e dell’aceto di vino, per arrivare a gustare tutte le sfumature dell’Aceto Balsamico nelle sue diverse versioni. 5/6) Nell’area esterna di FICO sono state allestite le “residenze” degli animali, in rappresentanza di circa 200 razze. L’area si distingue in animali da carne e da latte, con uno spazio dedicato agli animali da cortile e un grande pollaio. 7/8) Intorno alla struttura principale si trovano le coltivazioni, il vigneto e l’uliveto, l’agrumeto (questo però al coperto, in serra), l’orto e il frutteto della biodiversità, un’area di 300 m2 con esemplari che rappresentano frutti dimenticati e piante biodiverse. 9) Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele è presente a FICO con il chiosco “Al San Daniele”, un’area di circa 50 m2 dove assaporare il fiore all’occhiello dei prodotti Dop friulani, tagliato al coltello o affettato a macchina. Alessandro Fuzzi, chef del ristorante “Al Boccon Divino” di Bologna, si occuperà della gestione dell’area ristoro all’interno del chiosco. Verranno inoltre organizzate degustazioni guidate, lezioni di taglio e degli appuntamenti “educativi” per raccontare come nasce il Prosciutto di San Daniele Dop e quali sono le caratteristiche che lo rendono unico. 10) Una delle 6 giostre interattive pensate come momento di riflessione, suggestione e approfondimento. Sono dedicate al fuoco, alla terra, al mare, agli animali, al vino e al futuro. Premiata Salumeria Italiana, 6/17

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1) La famiglia Savigni, dell’omonima macelleria artigianale di Pavana Pistoiese, e Filiera Madeo, di Madeo Industria alimentare, di San Demetrio Corone (CS), gestiscono insieme lo spazio dedicato alle due più rappresentative filiere di suino nero italiane con il Nero di Calabria e la Cinta senese. In foto, un prosciutto di Cinta senese Savigni stagionato 24 mesi. 2) La produzione della pasta di Gragnano del Pastificio Di Martino. 3) Il bellissimo FICO Cocktail Bar. Sarà gestito da Bartender.it e, per aderenza al progetto, userà soltanto liquori, distillati, vini e ingredienti italiani. 4) L’Italia casearia in mostra.

La Fabbrica della mortadella e il Mortadella bar All’interno di FICO, il Consorzio Mortadella Bologna ha costruito uno spazio di 300 m2 che permette di immergersi a 360 gradi nel mondo della mortadella: un piano dedicato alla produzione e alla vendita — una vera Fabbrica trasparente che attraverso grandi vetrate consente ai visitatori di seguire l’intero processo di produzione — e un piano dedicato alla storia, ai profumi e ai sapori, dove è possibile degustare in loco la Mortadella Igp prodotta a km zero all’interno del Mortadella Bar. Un luogo che sarà soprattutto un viaggio educativo per i visitatori italiani e stranieri, con un occhio rivolto in particolare alle fasce più giovani con programmi ad hoc pensati per le scuole. Un percorso formativo che eliminerà per la prima volta il “filtro” tra il consumatore e il produttore, fornendo informazioni dettagliate. Con la visita alla Fabbrica è possibile conoscere l’intera catena di produzione della Mortadella Bologna Igp: un vero e proprio tour in cui i visitatori vivranno da vicino le fasi di preparazione e ne apprenderanno le caratteristiche e la storia, grazie anche all’utilizzo di strumenti interattivi, e potranno ovviamente anche degustarla sia nel modo più tradizionale che in abbinamenti insoliti. Le visite saranno arricchite da un programma di appuntamenti settimanali: degustazioni e abbinamenti con altre specialità del territorio, proposte di street food, corsi di formazione con la partecipazione di grandi chef provenienti da tutta Italia. Per il presidente Corradino Marconi, «FICO rappresenta una grande sfida per il Consorzio, un progetto fortemente voluto da tutte le aziende produttrici per far conoscere ancor più da vicino e in completa trasparenza la Mortadella Bologna Igp, la sua storia e la sua autenticità che ne fa uno dei prodotti più amati in Italia e nel mondo».

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Uno spazio ristorazione, una tartufaia, una serra per la promozione della tartuficoltura per un totale di oltre 1500 m2: sono questi i numeri di Urbani Tartufi, azienda umbra leader nel mercato mondiale del tartufo. Al Truffle bar i visitatori possono infatti degustare piatti di alta cucina con tartufo bianco e nero (il primo in autunno-inverno, nero e scorzone negli altri mesi) e nella tartufaia vedere i cani all’opera nella ricerca del tartufo o fare addestrare il proprio animale. Grande interesse ha destato Truffleland, il progetto che permetterà a chiunque abbia un’area agricola idonea di realizzare tartufaie coltivate con la garanzia di assistenza e di acquisto futuro da parte dell’azienda (in alto, il direttore commerciale Pietro Borroni).

Assaggiare, comprare e ascoltare storie di cibo FICO sorge su un’area di 100.000 m2, di cui 80.000 coperti, negli spazi del CAAB, il Centro agroalimentare di Bologna. L’architetto Thomas Bartoli ha rimesso a nuovo la struttura, salvando anche una parte del vecchio mercato. «Abbiamo valorizzato un bene comune, il cibo» ha dichiarato Segrè all’indomani dell’apertura di FICO. Il parco, infatti, è stato pensato proprio come un luogo dove poter finalmente raccontare il cibo dall’inizio e non dalla fine, come avviene ora attraverso i volti noti degli chef, i loro piatti e la loro cucina. E quindi a partire dalla coltivazione e dall’allevamento, dai prodotti della terra e dagli animali, fino alla trasformazione degli alimenti, sia a livello industriale che artigianale, con corsi prenotabili sul sito dedicato (a prezzi che ad oggi vanno dai 10 ai 75 euro), per approfondire i diversi aspetti del cibo. Corsi e lezioni che animeranno gli spazi di FICO durante l’orario di apertura ovvero dalle 10 del mattino a mezzanotte, tutti i giorni dell’anno. Gli stessi alimenti potranno poi essere mangiati nei 45 punti ristoro o acquistati nelle botteghe o nel mercato di Eataly. FICO Eataly World è la società che si occuperà della realizzazione, gestione

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e promozione di tutto ciò che ruota attorno alla Fabbrica Italiana Contadina. Poi c’è la Fondazione omonima, che ne rappresenta l’anima scientifica, di cui fanno parte anche quattro università italiane e il Future Food Institute. Le previsioni sono di accogliere a pieno regime circa 15.000 visitatori al giorno. Gli accordi con l’ENIT, l’Agenzia Nazionale per il Turismo, sono stati stretti lo scorso febbraio. «Non so se si arriverà a 6 milioni di visitatori, ma ci provo» ha dichiarato Farinetti. E ancora: «passare in Italia da 50 a 100 milioni di turisti l’anno? Si può fare!». Della serie, i numeri non ci spaventano, anzi. Parola d’ordine: “esperienze” FICO è tante cose insieme, un contenitore multiforme da vivere nei vari momenti della giornata e dell’anno in maniera differente. Un luogo dove andare da soli, con gli amici e la famiglia a mangiare, a pranzo, per l’aperitivo, la cena, a fare spesa, a fare lezione di zumba! A vedere gli animali e scoprirne i segreti attraverso le giostre educative. Imparare, grazie alle fabbriche funzionanti, come si fa la pasta, il panettone, la mortadella. Un indirizzo da tenere in considerazione per partecipare ad una delle tante “esperienze” sul cibo, inteso in senso

lato, perché si va da quella sulle tecniche di realizzazione della pizza partenopea a quella di Food Photography. Ci sono aree dedicate allo sport, con tanto di campo da beach volley; spazi riservati ai bimbi, come il minigolf che riproduce l’Italia e i suoi principali monumenti. FICO è un posto dove andare a teatro o al cinema, che sarà gestito dalla Cineteca di Bologna, assistere o, perché no, organizzare un convegno (il centro congressi ospita fino a 1.000 persone). “Potremo accogliere tanti turisti stranieri” si legge su www.eatalyworld.it “e dimostrare loro quanto è meraviglioso il nostro Paese, far loro venir voglia di visitare i luoghi stupendi della provincia italiana e magari indurli a parlare bene dell’Italia una volta ritornati a casa”. Ad una prima occhiata, insomma, un posto parecchio fico. “Ed è anche per questo che lo abbiamo chiamato così”. Gaia Borghi FICO Eataly World Via Paolo Canali, 8 – 40127 Bologna www.eatalyworld.it/it/come-arrivare Nota Dove non sia diversamente specificato: photo © FICO Eataly World, www.eatalyworld.it, e Elena Benedetti.

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Tradizione di grande Nobiltà

Un grande aceto che viene dalle tradizioni della nobiltà modenese

L’aceto balsamico ha avuto origine dall’antichissima usanza dei Romani di cuocere il mosto dell’uva, grazie alle caratteristiche delle uve del territorio modenese. Oltre alla produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, ottimo per l’uso quotidiano, nelle acetaie delle famiglie più ricche e nobili si è nei secoli sviluppato un processo lentissimo e laborioso che produce un aceto senza eguali, raro e prezioso. Arrivato ai nostri giorni è chiamato “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (Denominazione di Origine Protetta); in passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato in famiglia, di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali e, nell’occasione, era considerato un regalo degno di “Re e Principi”.

LIA I A G I T R BOTI G ATiOi L utt ati O B B per t ertific i uttor d o r p

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O

N I G RI

E L A Questa bottiglia da 100 ml

è garanzia di

originalità e qualità per l’ aceto della antica tradizione delle nobili famiglie modenesi.

con incarico di “Tutela” dal Ministero Politiche Agricole e Forestali per DM 16/10/2009, Gazz.Uff. 4/11/09

Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP La tradizione produttiva è certamente antichissima, ma... che l’aceto invecchi è un dire tutto modenese. In realtà chi invecchia è il padrone, mentre l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP matura nelle botticelle e sublima a pura essenza attraverso un lunghissimo processo produttivo. Si tratta di un processo “in continuo” che segue la famiglia e unisce le generazioni, e che solo dopo almeno 12 anni di attività, inizia a dare una piccola

aliquota annuale di prodotto finito. Si dovranno poi attendere almeno 25 anni per ottenere la qualità ”Extra Vecchio”. Solo dopo aver superato l’esame degli assaggiatori esperti, il prodotto viene imbottigliato presso il centro di imbottigliamento autorizzato, naturalmente nella famosa bottiglietta da 100 ml detta “di Giugiaro”, il famoso designer che la realizzò nel 1987 perchè fosse il simbolo di questo aceto unico nel mondo.

Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Viale Virgilio 55, 41123 Modena tel. 059 208604 fax 059 208606 consorzio.tradizionale@mo.camcom.it www.balsamico.tradizionale.it


SPECIALE COTECHINI

Paese che vai, cotechino che trovi di Carlo Cantoni

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l cotechino è un insaccato di maiale identico allo zampone per il contenuto ma differente per il contenitore: nel caso del cotechino il “sacco” è costituito infatti da budello di maiale. Il cotechino, molto più antico dello zampone, è nato come

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insaccato povero: veniva consumato abitualmente col minestrone o con la zuppa di legumi. L’origine del termine cotechino è nel latino cutis, pelle, da cui cotica e cotenna, ad indicare la prevalente composizione di questo insaccato di piccola pezzatura. Oltre alla

cotenna, il macinato comprende altre parti piuttosto dure come le orecchie, lardo, cartilagini e tendini, condite con sale, pepe e una mistura di cannella, chiodi di garofano e noce moscata, con eventuale aggiunta di aglio. Il cotechino lo facevano, ovviamente a

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mano, i lardaroli e salsicciari modenesi, gli ex beccai, riunitisi in corporazione autonoma solo a partire dal 1547. Ma è di circa duecento anni dopo, e più precisamente del 1745 (curiosamente, una data “anagrammatica” rispetto alla precedente), la prima citazione ufficiale

In basso: cotechino con lenticchie al rosmarino (photo © barbamauro – stock. adobe.com). In alto: cotechino mantovano vaniglia preparato con carni suine magre di monda (cioè sgrassate), guanciale, cotenne, spolpi di testa e grasso duro (photo © www.ersaf.lombardia.it). del cotechino: in un “calmiere” ne viene indicato il prezzo e la prima ricetta compare l’anno successivo. La vera nobiltà culinaria il cotechino l’acquisisce però soltanto all’inizio del secolo scorso: nel 1910 il grande PELLEGRINO ARTUSI dedica al “Cotechino Fasciato” la ricetta n. 322 del suo famosissimo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Diverse sono le denominazioni dialettali del prodotto: in Lombardia si parla di cudeghin, cudeghì, cudegott; in Veneto di coessin, coeghin, museto; in Friuli abbiamo il musét e, in Emilia il cudghein. Cinque regioni italiane hanno inserito il cotechino nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (art. 8 DL 30-4-1998 n. 123): • Lombardia: cotechino (bianco, cremonese vaniglia, della bergamasca, mantovano alla vaniglia, pavese); • Molise: cotechino; • Trentino Alto Adige: cotechino di maiale; • Veneto: coeghin nostrano padovano; coessin co la lengua del basso vicentino; coessin del basso vicentino; coessin della Val Leogra; coessin in ònto del basso vicentino; coessin co lo sgrugno; cotechino di puledro; cotechino di Trecenta; • Emilia-Romagna: cotechino piccolo. Una variante del cotechino è rappresentata dal musetto, che è più magro, perché comprende una maggiore percentuale dello spolpo della testa, oggi quasi esclusivamente ridotto alla gola.

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Il musetto viene anche preparato con la lingua, inserita intera nella massa del macinato, oppure mischiata a pezzi al resto. I valori nutritivi del cotechino sono strettamente collegati al rapporto grasso/magro al momento della cernita dell’impasto. Non esistendo peraltro nessuna tipizzazione merceologica, il consumatore si affiderà alla propria capacitò di giudizio. Va detto, comunque, che il cotechino è un alimento nutriente, dotato di elevato potere calorico, tanto maggiore quanto più è elevato il tenore di grasso che deve oscillare entro i valori percentuali del 30-45%. Il cotechino di Modena Igp Storicamente il cotechino di Modena si rivelò così convincente che, già verso la fine del Settecento, aveva finito col sostituire in gastronomia la salsiccia gialla, che aveva reso celebre Modena fin dal Rinascimento. La sua diffusione nei mercati vicini fu favorita dalla trasformazione in strutture semi-industriali di alcune botteghe salumiere. Già nel 1800 questo prodotto riuscì a consacrare il suo successo su larga scala. Dal “Disciplinare di produzione della Indicazione Geografica Protetta Cotechino Modena” (Provvedimento 9 aprile 1999 – GURI n. 91 del 20 aprile 1999) L’indicazione geografica protetta “Cotechino Modena” è riservata al prodotto di salumeria che risponde alle condizioni

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e ai requisiti stabiliti nel disciplinare di produzione. Zona di produzione Il “Cotechino Modena” viene ottenuto nella zona tradizionale di elaborazione geograficamente individuata nell’intero territorio delle seguenti province italiane: Modena, Ferrara, Ravenna, Rimini, Forlì, Bologna, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Cremona, Lodi, Pavia, Milano, Varese, Como, Lecco, Bergamo, Brescia, Mantova, Verona e Rovigo. Materie prime Il “Cotechino Modena” è costituito da una miscela di carni suine ottenute dalla muscolatura striata, grasso suino, cotenna, sale, pepe intero e/o a pezzi. Possono inoltre essere impiegati: vino, acqua secondo buona tecnica industriale, aromi ad esclusione di quelli di affumicatura e delle sostanze aromatizzanti ottenute per sintesi chimica, ma non identiche chimicamente ad una sostanza naturalmente presente in un prodotto di origine vegetale o animale, spezie e piante aromatiche, zucchero e/o destrosio e/o fruttosio e/o lattosio, nitrito di sodio e/o potassio alla dose massima di 140 parti per milione, acido ascorbico e suo sale sodico, glutammato monosodico. La miscela ottenuta viene insaccata in involucri naturali o artificiali. Metodo di elaborazione La preparazione del “Cotechino Modena” deve essere effettuata con al macinatura in tritacarne, con stampi con fori di dimensioni comprese tra 7-10 mm per le frazioni muscolari e adipose e con stampi con fori di dimensioni comprese tra 3-5 mm per la cotenna. Tale operazione può essere preceduta da un’eventuale sgrossatura. L’impastatura di tutti i componenti viene effettuata in macchine sottovuoto o a pressione atmosferica. L’impasto così ottenuto deve essere insaccato nell’involucro naturale o artificiale. Il “Cotechino Modena” può essere commercializzato, previo asciugamento come prodotto fresco o, previo idoneo trattamento termico, come prodotto cotto. Il “Cotechino Modena” fresco deve essere consumato previa prolungata cottura per garantire l’ottenimento delle tipiche caratteristiche organolettiche di cui all’art. 5. Quando

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commercializzato fresco, il “Cotechino Modena” è sottoposto ad asciugamento in stufa ad aria calda. Quando commercializzato cotto il “Cotechino Modena” può essere sottoposto a precottura generalmente in acqua. Esso viene confezionato in contenitori ermetici idonei al successivo trattamento termico. Il prodotto confezionato viene sottoposto a trattamento termico in autoclave ad una temperatura minima di 115 °C per un tempo sufficiente a garantire la stabilità del prodotto nelle condizioni commerciali raccomandate. Caratteristiche Il “Cotechino Modena” cotto, all’atto della immissione al consumo, presenta le caratteristiche organolettiche, chimiche e chimico-fisiche di seguito elencate. Consistenza: il prodotto deve essere facilmente affettabile e tenere la fetta. Aspetto al taglio: la fetta si presenta compatta con granulometria uniforme. Colore della fetta: roseo tendente al rosso non uniforme. Sapore: gusto tipico. Proteine totali: min. 17%. Rapporto grasso/proteine: max. 1,9%. Rapporto collageno/proteine: max. 0,5%. Rapporto acqua/proteine: max. 2,7%.

All’epoca dei primi Stati italiani era già noto come una delle più tipiche e prelibate preparazioni gastronomiche emiliane: il Cotechino Modena è considerato il padre di tutti gli insaccati e fin da allora la sua fama andava oltre il territorio di origine, tanto che nel Ducato di Milano si parlava del “coteghin” fatto a Modena

Cotechini di Lombardia Cotechino È un salume commercializzato crudo o precotto costituito di tagli magri di suino, tagli grassi e cotenne di suino tritati, conditi con aromi, sale e insaccati in budello naturale. Ha forma cilindrica o sferica ovale ed è legato con spago a 4 o 8 spicchi, con rete elastica. Il diametro è di 8-9 cm, peso 800-1.000 g. La preparazione richiede l’uso di carne suina (30-40%), pancetta o altri tagli grassi di maiale (20-30%), cotiche (30-40%), sale (2,5%), aromatizzanti, cannella, chiodi di garofano, pepe, noce moscata, coriandolo, zenzero, nitrito, acido ascorbico. Preparate le carni, si refrigerano a 0 °C, si pesano le varie frazioni e si pongono, insieme alla pancetta, in tritacarne con stampo con fori fino a 6 mm. Le cotiche si triturano a parte con stampo a grana fine (5 mm). Si trasferisce il tutto nell’impastatrice, si aggiungono gli aromi e si miscela per 3-5 minuti. L’impasto viene posto nell’insaccatrice e si insacca; si lega con spago; si fora la superficie per favorire

Lo scorso anno per le festività natalizie molto richiesti sono stati i cotechini “mignon” da 250 grammi, simili a dei piccoli salami cacciatori. Vengono ricercati soprattutto da single o da persone che per lavoro si trovano da sole lontano da casa. Uno dei vantaggi dei cotechini piccoli è che sono più facili da cucinare, con un tempo di cottura ridotto a 40 minuti. Un altro modo per evitare gli sprechi

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Cappello da prete e zampone (photo © photology 1971 – stock.adobe.com). l’asciugatura e si asciuga a 24 °C per 12-24 ore in ambiente senza controllo dell’umidità; si trasferisce in cella di stagionatura a 20-22 °C per 1-3 gg. col 60-70% di U.R. Si cuoce in forno o a bagnomaria per tempi variabili a seconda della pezzatura. Dopo il raffreddamento, il prodotto viene confezionato sottovuoto o in atmosfera modificata. Eventuale trattamento di pastorizzazione del prodotto confezionato. Cotechino bianco Il cotechino bianco (codeghin) è prodotto nel territorio della Val Chiavenna e della Valtellina (SO). È prodotto con cotenne suine, macinate e speziate (sale, spezie, aglio, vino passito o bianco), insaccate in budello naturale, da consumarsi cotto. Del peso di 200 grammi circa, il cotechino bianco ha lunghezza pari a 15 cm e un diametro di 5-6 cm. Di consistenza morbida ed elastica, diversamente dagli altri cotechini presenta un colore chiaro, quasi biancastro, con

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lievi punteggiature dovute alle spezie. La preparazione presenta le fasi di impastamento, insacco e refrigerazione a 0-1 °C. Ha una produzione piuttosto limitata, per lo più in piccoli allevamenti a conduzione familiare. Cotechino cremonese La produzione di questo cotechino interessa Cremona e tutta la sua provincia, l’Alto Piacentino, la provincia di Milano verso la valle padana e qualche zona del Bergamasco, in particolare le zone montuose. La tecnologia di preparazione è la seguente: le carni magre di suino derivate dalla ripulitura e mondatura di altre lavorazioni, il guanciale, le cotenne e tutte le parti della testa vengono triturate a grana media, condite e insaccate in vescica o budello. Materia prima: carne suina magra da sotto lavorazione, grasso corposo e cotenne in parti uguali. Coadiuvanti tecnologici: sale, zucchero, vino Barbera, pepe tritato o in grani, spezie, concia di aromi naturali

in infusione nel vino rosso. I coadiuvanti variano secondo la zona di produzione. Additivi: salnitro, lecitina di soia. Due giorni in cucina con stufa a legna o braciere per l’asciugatura. La tecnica industriale prevede la ventilazione forzata a 18-19% per circa 48 ore. Il periodo di stagionatura varia fra i 3040 giorni appeso al soffitto o a pertiche trasversali in solaio. Si consuma cotto. Cotechino cremonese vaniglia Insaccato di carni magre, grasso duro, poca cotenna, è prodotto in provincia di Cremona. L’attributo vaniglia si riferisce alla dolcezza dell’impasto e non alla presenza di questo aroma. Le materie prime sono: carne magra di suino, spolpi di testa, guanciale, cotenne, sale, vino, pepe tritato e in grani, spezie. Alla vista è un cilindro di varia pezzatura (circa 1 kg) e grandezza (in media 15-30 cm di lunghezza per 3-6 cm di diametro), di colore tra giallo, grigio e rosso tenue. Al taglio, dopo cottura (per 5-6 ore

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Boccia di cotechino (photo © www.alberlinghetto.it). immerso in acqua avvolto in un panno), l’impasto è di consistenza morbida ed elastica, con tendenza alla sgranatura tra componenti che appaiono ben separate e distinte. Tecnica di produzione: macinatura a grana media del grasso e del magro dopo mondatura; preparazione della concia e macerazione in vino; aggiunta della concia e miscelazione dell’impasto; insacco in vescica o budello naturale; asciugatura per 24 ore a 18-20 °C; breve stagionatura (15-20 giorni) a 14-16 °C. Cotechino alla bergamasca Il cotechino alla bergamasca (Ol codeghì de la bergamasca) è prodotto a Bergamo e provincia. La sua preparazione è di solito successiva a quella del salame ed è per questo che sono utilizzate le carni rimaste dalla lavorazione precedente. Si tratta di parti miste del maiale, più grasse che magre. La carne deve essere mondata dalle sue parti nervose e dure prima d’esser macinata a grana fine. Nello stesso momento si prepara anche la cotenna del maiale, pulendola dalle setole prima di lavarla e macinarla. Si uniscono le cotenne all’impasto di

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carne e si aggiunge una miscela di sale e spezie. Ciascun produttore interpreta la concia a modo proprio, introducendo un tocco personale che caratterizza la produzione del cotechino. Nella concia la carne è tritata con una piastra di spessore variabile fra gli 8 e i 12 millimetri, ma alcuni preferiscono che la carne macinata abbia una grana più grossa. Gli ingredienti sono sale, pepe, zucchero, aromi, molto spesso anche aglio e Lambrusco nella quantità di un litro per 100 grammi d’impasto. È possibile non mettere direttamente l’aglio, ma farlo macerare nel vino per poi filtrarlo prima dell’uso. Infine, la legge ammette l’uso fino a 25 grammi di salnitro per mantenere il colore rosso dell’impasto, anche se spesso se ne utilizza meno. L’insacco avviene con l’uso di vescica o budello naturale e si procede infine alla fase di legatura, quasi sempre a mano. Di consistenza morbida ed elastica, ha una forma allungata e non troppo grande e una consistenza medio-fine. Ha una lunghezza di circa 20 cm e un diametro di 8 cm. Il cotechino è un salume da consumarsi previa cottura: lo si avvolge in un panno affinché la pelle

non si spacchi durante la bollitura, che avviene in acqua senza sale. Cotechino mantovano alla vaniglia Diversamente dal cotechino cremonese detto “alla vaniglia” solo per la presenza di carni magre e di una ridotta quantità di cotenne, il tipo mantovano è davvero aromatizzato alla vaniglia e si prepara con carni suine magre di monda (cioè sgrassate), guanciale, cotenne, spolpi di testa e grasso duro. Viene prodotto a Villastrada, nel Basso Mantovano, zona in cui la cucina è definita “di principi e di popolo”, poiché annovera da una parte i fastosi banchetti rinascimentali e le elaborate preparazioni dei cuochi di corte, dall’altra una tavola semplice. Di forma cilindrica e peso variabile fra i 700 e gli 800 grammi, ha una consistenza morbida e un colore rossobruno. Macinate a grana media, le carni sono poi salate, aromatizzate con vaniglia e insaccate in budello naturale, generalmente formato con la pelle della zampa anteriore del maiale. Segue l’asciugatura con stufa a legna o braciere, per un giorno. Le caratteristiche di questo prodotto variano a seconda

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i t t o o d Pro archi am


Brovada (rape macerate nelle vinacce cotte) e muset, piatto tipico della cucina contadina friulana (photo © www.lagallinavintage.it). della concia utilizzata, differente da produttore a produttore. Cotechino pavese Preparato già in tempi lontani per utilizzare tutte le parti del maiale, comprese quelle meno nobili come le cotenne, le orecchie e i nervetti, il cotechino pavese è un insaccato ottenuto macinando polpa magra, cotenne, orecchie, musetto, lardo duro e schiena, aromatizzato con vaniglia, marsala e semi di anice. In seguito, si procede all’insacco in budello di manzo e all’asciugatura. Di forma cilindrica ad arco, il cotechino pavese è legato in filze da tre pezzi, ognuna del peso di 400 grammi. Si tratta di un salume consumato previa cottura in acqua. È bene che la temperatura di servizio sia sempre elevata, per evitare la solidificazione delle parti grasse, di cui è molto ricco. Viene prodotto in tutta la provincia di Pavia, terra composta da tre territori distinti: la pianura che circonda il capoluogo, la Lomellina e l’Oltrepo pavese. Per iniziativa di alcuni membri della Pro Loco di Spessa di Po in provincia di Pavia, nel 2000 nasce la “Confraternita del Cotechino Magro”. Si tratta di un’associazione senza fini di lucro sorta con l’intento di tutelare l’enogastronomia locale basata su tre cibi fondamentali del pavese: il maiale, il riso e il buon vino. All’origine pare ci sia una leggenda medievale. Si narra che due monaci pellegrini diretti a Roma,

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lungo il percorso della Francigena, stanchi e affamati, si fermarono a riposare nei pressi di Spessa di Po. Mentre raccoglievano rami secchi per il fuoco, un debole rumore attirò la loro attenzione. «Non vorrei sbagliarmi — disse uno — ma mi è sembrato un grugnito». Non terminò la frase che dinanzi a loro si materializzò un “suino” dall’aspetto un po’ sofferente, magro, persino zoppo. «Che cosa vorrà?» chiese il monaco più anziano. «Avrà fame come noi» rispose l’altro. «Io, invece, — replicò il primo — nei suoi occhi leggo soltanto il desiderio di offrirsi a noi per alleviare le sue e le nostre sofferenze». E prontamente assestò un manrovescio al povero animale che stramazzò al suolo. Esaminato ben bene il suino, il monaco anziano proclamò: «Qui c’è ben poco da mordere! Propongo di trasformarlo in insaccato!». E così fu. Poco dopo fu messo in pentola il primo cotechino magro della storia. La leggenda prosegue con i monaci che promettono di trovarsi ogni anno nello stesso luogo per ripetere la mistica esperienza. Cosa avvenuta fino a quando, oramai vecchi, decisero d’affidare la loro storia ad una pergamena, nella quale invitavano chi la ritrovava a perpetrare nel tempo quella tradizione. Cotechino “a boccia” La Provincia di Lodi, nell’ambito della politica finalizzata alla valorizzazione delle attività, processi, lavorazioni e

prodotti del territorio, ha istituito il marchio collettivo denominato “Lodigiano Terra Buona”. Chiamato anche ciuta, il cotechino “a boccia” con questo marchio viene prodotto a Lodi, Offanengo e Vescovado (CR) e deve presentare, alla vendita, alcune specifiche caratteristiche. Forma: ovoidale o rotonda (quando insaccato in vescica); diametro al momento della preparazione: ≥ 100 ≤ 150 mm; peso: ≥ 1,0 ≤ 2,0 kg. Composizione carnea: carni fresche, non congelate, di puro suino. Per tale impasto vengono usati: spolpo di testa, geretti e gemme (parte magra del guanciale) ≥ 50%. Rifilatura morbida delle pancette e rifilature grassa del prosciutto ≤ 25%, cotenne ≤ 25%. Struttura della pelle: la pelle si presenta leggermente liscia e di colore marrone rossiccio. Granulometria impasto: la carne viene macinata con granulometria media; il diametro della griglia di macinatura deve essere di 7 mm per cane e grasso e 4-5 mm per la cotenna. Il prodotto viene venduto intero fresco al naturale. Il profumo è intenso e aromatico con note speziate; il sapore, intenso e aromatico; il colore, rosso/rosato. Caratteristiche chimico-fisiche Umidità: ≤ 46%. Protidi: ≥ 16%. Lipidi: ≤ 43%. Cloruri: ≤ 3%. Rapporto collageno/proteine: ≤ 0,15. Rapporto acqua/proteine: ≤ 2,4. Rapporto grasso/proteine: ≤ 2,5. Per quanto concerne la lavorazione, l’impasto della carne macinata è effettuato attraverso una impastatrice automatica. In tale fase vengono miscelati la carne e tutti gli ingredienti, conservanti e coadiuvanti tecnologici necessari alla ricetta. La salatura si effettua con l’aggiunta di sale alimentare durante l’impasto delle carni macinate. L’insacco è effettuato con budello naturale del tipo “bondeana”. La fase di asciugatura viene svolta in un locale apposito ad una temperatura ≥ 20 ≤ 26 °C. Cotechini del Trentino Cotechino di maiale È un insaccato di maiale da consumarsi cotto. La zona di produzione è tutto il territorio della Provincia Autonoma di Trento. Per la sua produzione vengono usate le cotenne di maiale (40% circa) abbinate allo spolpo di testa ed a parti magre e nervose, altrimenti non utilizzate per la produzione di altri insaccati.

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Cotechino vaniglia della Macelleria Contini di Cremona, gestita da Alice Contini e dal marito Andrea Amici (photo © Elena Benedetti). Le contenne sono macinate due volte, usando una macinatrice con fori di uscita del diametro di 12 mm per la prima volta e di 6 mm la seconda; nella seconda macinatura vengono aggiunte le altre carni. Segue l’aromatizzazione e l’impasto, eseguito meccanicamente per circa 2 minuti. La pasta viene insaccata in budello di manzo, del diametro 40-45 mm e della lunghezza media di 25 mm circa, legato alle estremità con spago alimentare e ripetutamente punto per evitarne la rottura durante la cottura. Conclusa la lavorazione, il cotechino viene portato per circa un giorno in un locale interrato di asciugatura, ad una temperatura di circa 20 °C e umidità del 70%. Gli ingredienti variano a seconda del produttore, soprattutto per quanto concerne l’utilizzo delle spezie. In generale, considerare per 40 kg di cotenne di maiale e 60 kg del resto dell’impasto: 2,7 kg di sale fino, 300 g

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di pepe nero macinato, 20 g di potassio di nitrato, 50 gr di miscuglio di spezie, un pizzico di noce moscata. Attrezzature: tritacarne, impastatrice, budello di manzo, insaccatrice, spago alimentare. Cotechini del Veneto Coeghin nostrano padovano Il cotechino tipico padovano è un insaccato di forma cilindrica lungo circa 25 cm e dal peso di 500-700 g. È prodotto con cotenna di maiale macinata, spolpo di testa, eventualmente lingua, muscoli di suino e, in talune zone, anche con carne di testa di bovino, sale e pepe. Dopo la cottura mostra un colorito rosso scuro, con la caratteristica irregolare marezzatura bianca dovuta alla componente di grasso che avvolge la parte proteica. Presenta profumo caratteristico, gusto saporito e leggermente piccante. Vari documenti testimoniano

che già nel 1800 i cotechini, come gli altri insaccati prodotti, venivano appesi per 8-10 giorni nelle cucine, in presenza di un braciere acceso, allo scopo di asciugare il prodotto fresco. Dopo questo breve periodo venivano posti in cantina o in sottoscala fresco e sterrato per la conservazione. Queste tradizioni sono oggi in gran parte scomparse, ma le tecniche di produzione degli insaccati, tese all’utilizzo di tutte le parti del suino, sono rimaste pressoché invariate. Per ottenere i cotechini si utilizzano esclusivamente carni di maiali provenienti da animali nati e allevati in aziende zootecniche della provincia di Padova. I suini sono alimentati senza l’utilizzo di farine di carne e di alimenti di origine animale non lattea, bensì mediante alimenti sotto forma liquida e di pastone con l’aggiunta di acqua e siero di latte. La macellazione si effettua solo su capi che raggiungono oltre i 150 kg. Le parti selezionate per i cotechini sono quelle più dure: la carne nervosa, le orecchie e il muso. Si provvede, quindi, a macinare il tutto, con l’aggiunta dell’eventuale lardo, secondo necessità. Le cotiche, depilato l’animale, vanno spellate e liberate dal grasso sottocutaneo, fino a renderle simili a cinghie di cuoio. Quindi vengono ben pestate e macinate più volte (con piastra da 8/10 mm). L’impasto, cui vengono aggiunti sale e pepe, viene insaccato in budello naturale di bovino, legato a mano, posto in cella di asciugatura, su appositi carrelli e conservato appeso a rastrelliere in apposite celle di temperatura, umidità e ventilazione controllate. Il cotechino prima della cottura deve essere ripetutamente punto perché la pelle non si laceri. Viene quindi lessato a fuoco lento per 3,5/4 ore, con l’accortezza di cambiare più volte l’acqua. Tradizionalmente il cotechino si sposa molto bene con il cren (grattugiato), con l’aggiunta di aceto e zucchero, con i crauti o il radicchio cotto. I coessin La produzione del cotechino di maiale (coessin) è tipica dei comuni del Basso Vicentino e si differenzia da zona a zona. Cospicue testimonianze provengono da quei comuni di pianura protesi verso il veronese caratterizzati da una storia di povertà ed isolamento dove le famiglie erano particolarmente numerose per

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la maggior richiesta di manodopera agricola (rispetto alle zone collinari e a quelle più vicine alla città di Vicenza): Noventa, Poiana, Albettone, Agugliaro, Orgiano, Sossano, Campiglia, Alonte, Lonigo. È proprio in quest’ambito che si inserisce la cultura familiare del far su el màs-cio (far su il maiale, cioè preparare i vari prodotti con le carni del maiale appena macellato, Ndr): tecniche, tramandate di padre in figlio, di lavorazione e conservazione di tutte le parti del maiale (perché nulla andasse sprecato), nell’arco dell’anno, tra l’uccisione del vecchio e il màs-cio novo. In passato, il periodo tradizionale di uccisione e lavorazione del maiale iniziava intorno al 25 novembre e durava circa un paio di mesi (De Santa Caterina còpa il màs-cio e istàla la bovina, Per Santa Caterina macella il maiale e metti la mucca nella stalla, Ndr). La tradizione vuole che le famiglie contadine si aiutassero a vicenda nell’opera di uccisione degli animali e di produzione degli insaccati, che prevedeva un intenso lavoro comunitario, ma era anche occasione di grande festa e abbondanza. Naturalmente anche nelle zone collinari si allevava il maiale, ma si può dire che ciò fosse concentrato in alcune famiglie specializzate in questo, che fornivano prodotti finiti anche per terzi: tradizioni quindi non diffuse come nel territorio di pianura, dove costituivano un sapere domestico irrinunciabile per tutte le corti. In particolare, erano frequenti in collina agglomerati molto numerosi di famiglie (una proprietaria), in cui una sola delle tante si occupava del cospicuo allevamento di maiali (per tutte le altre). Il clima del Basso Vicentino detta l’usanza di ammazzare il maiale prima dell’Immacolata, periodo caratterizzato da venti umidi che precedono il freddo invernale secco. Un certo livello di umidità impedisce al budello di staccarsi dalla carne. Tale peculiarità degli insaccati interessa anche i locali di conservazione. Devono essere freschi e garantire un corretto livello di umidità. L’ambiente deve essere, se non buio, almeno in penombra, dato che notoriamente il grasso tende ad irrancidire alla luce. I cotechini non durano molto e vanno consumati prima dell’inizio dell’estate, perché altrimenti diventano troppo piccanti di sale e rischiano di diventare rancidi; quelli della mànega

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si conservano più a lungo per la forma rotondeggiante. Coessin del basso vicentino Il cotechino (coessìn), viene detto anche musèto a seconda che contenga, insieme alle altre cotiche e all’altra carne, il muso del maiale. EUGENIO CANDIAGO, nel suo “Itinerari Gastronomici Vicentini”, nomina il cotechino musèto, come piatto particolarmente prelibato da degustare in quel di Costozza, ma intendendone la tipicità del Basso Vicentino. Di seguito forniamo una descrizione sintetica del prodotto (indicando le materie prime impiegate): pasta da cotechino, ovvero cotica (coèssa), parti muscolari più dure (orecchie, pezzi di tendini), polpa nervosa; lardo, viene aggiunto se necessario (ad occhio si può notare che la carne è troppo magra e quanto grasso è necessario; la carne troppo secca è più difficile da conservare, oltre che meno gustosa); sale grosso; per la concia (cónza) cannella, pepe, chiodi di garofano (eventualmente altri sapori a seconda delle usanze d’ogni famiglia); aglio (tritato o a spicchi); budello (buélo); per insaccare il cotechino, si utilizza, in alcuni casi, mànega, budello cieco della cavità appendicolare del cavallo o della mucca caratterizzato da una maggior capienza (14/15 cm di diametro) rispetto ai budelli da salami (la forma tondeggiante permette all’impasto di conservarsi più fresco). In questo caso prende il nome di bondiola ed è frequente nei comuni di pianura. Generalmente si tende ad utilizzare un budello di diametro più ristretto, detto stòrto o fondina. I budelli vengono messi a strati sotto sale e, prima dell’uso, rivoltati, lavati più volte con acqua calda e aceto (bollito con vino bianco e rosmarino) affinché perdano il caratteristico odore, infine lavati ancora ed asciugati. I budelli di maiale,

utilizzati un tempo, venivano anche raschiati con il dorso di un coltello. Le testimonianze provenienti da Mossano, diversamente dalle altre zone del Basso Vicentino, escludono l’utilizzo d’orecchie e muso perché parti eccessivamente dure, percepibili al gusto nonostante la cottura. A volte, soprattutto nel Basso Vicentino, si fa uso di spicchi d’aglio da aggiungere all’impasto; perché non risulti troppo evidente, soprattutto se si tratta di un prodotto da cuocere (la cottura fa risaltare l’aglio), si è affermata la pratica di non inserire interi spicchi, ma si provvede a schiacciare l’aglio per poi farne un involtino dentro ad un pezzetto di stoffa che viene macerato per 2/3 ore nel vino bianco secco (Tocai bianco); tolto l’aglio, il vino viene asperso sul macinato, ottenendo il risultato di un insaccato leggermente profumato d’aglio e di vino. A questo punto la carne può essere inserita all’interno del budello (con l’ausilio di un imbuto) successivamente legato alle estremità. Il budello viene punzecchiato con la sponciròla per far uscire il liquido (e grasso) e l’aria, che impedirebbe alle componenti di aderire. Coessìn co la lèngua È una variante del normale cotechino creata per utilizzare la lingua del maiale (la lingua può essere solo insaccata in prodotti da cuocere essendo particolarmente dura), ma è anche legato a credenze religioso-popolari. Infatti, la cultura popolare dettava l’obbligo di mangiare il coessìn co la lèngua nel giorno dell’Ascensione (Assènza): si credeva che ciò avesse il potere di far ammazzare un altro maiale entro l’anno, di preservare dal morso di bisce (bìsse), oltre ad esorcizzare le malelingue. Nelle zone collinari intorno a Mossano prende il nome di Coessìn co la lèngua, mentre, verso Agugliaro,

Il cotechino è un salume da consumarsi previa cottura: lo si avvolge in un panno affinché la pelle non si spacchi durante la bollitura, che avviene in acqua senza sale. La temperatura di servizio deve essere sempre elevata, per evitare la solidificazione delle parti grasse. Ben si accompagna con purè di patate, polenta e lenticchie

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Cotechino con lingua e lenticchie (photo © stefania57 – stock.adobe.com). Noventa, Sossano, Poiana, viene chiamato bòndola co la lèngua (bondiola con la lingua), termine più specifico e generalmente più utilizzato per indicare tale prodotto (d’altronde le colline sono territori di più difficile contaminazione da parte di altre tradizioni). Coessin in ònto La conservazione del cotechino nell’unto di maiale è una variante rispetto al tradizionale metodo di conservazione di questi insaccati e si rifà ad una antica tradizione che utilizza il grasso animale fuso (ònto, cioè lardo) per conservare gli alimenti più a lungo. Gli ingredienti e le pezzature sono quelle tipiche del Veneto. La conservazione sotto ònto consiste nel riporre i cotechini in olle (pegnàte) di terracotta o in bocce di vetro scuro con lardo fuso versato all’interno. Cotechino con lo sgrugno È una variante del cotechino creata per utilizzare le parti del muso del maiale (sgrugno) in una maniera differente rispetto alle normali utilizzazioni. Il muso dell’animale viene tagliato all’incirca fino agli occhi e può essere lasciato intero oppure sezionato in due parti

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per fare due cotechini con il muso. Si tratta di una parte un po’ dura ma particolarmente gustosa. Parallelamente alle operazioni classiche, messo da parte il muso dell’animale e sezionato in senso longitudinale per ottenere due cotechini con lo sgrugno, viene messo, con la parte della cotica a contatto con il ripiano, a salare su di una superficie inclinata, meglio se di marmo, al fine di far scolare il liquido che la carne rilascia in presenza di sale. Con il sale si aggiungono anche le spezie (chiodi di garofano, cannella, pepe), cosparse sulla superficie prima del sale di modo che quest’ultimo, penetrando, faccia assorbire anche le spezie. Il tempo di salatura e speziatura dura circa mezza giornata. Coessin della Val Leogra Si tratta di un insaccato di maiale fatto con cotica (coessa), parti muscolari più dure (orecchie, pezzi di tendini), polpa nervosa e lardo; il tutto viene impastato con sale grosso, con la concia (cónza) fatta con cannella, pepe, chiodi di garofano (eventualmente altri sapori a seconda delle usanze d’ogni famiglia) e aglio tritato o a spicchi; insaccato in budello di vacca o cavallo. Il prodotto

finito ha una forma cilindrica, lunghezza di circa 20 cm e peso medio di 500 g. Nella Val Leogra, il coessin co la lèngua è un insaccato a forma cilindrica, ma più corto, pesante e grosso rispetto ai normali cotechini e al taglio presenta ben visibile la lingua, non inserita distesa bensì a forma di “u”. Nella variante con lo sgrugno il muso di maiale viene inserito intero o sezionato in due parti per farne due cotechini. La preparazione dell’impasto del cotechino avviene macinando assieme le parti di carne appositamente selezionate, e aggiungendovi il lardo, il sale e le spezie. La lingua o il muso del maiale, se utilizzati, vengono messi a salare su di un ripiano mobile di legno di castagno, leggermente inclinato per farlo sgocciolare. Tolto il sale residuo non assorbito con un canovaccio, la lingua viene ricomposta per essere inserita all’interno dell’insaccato in modo che la sezione trasversale risulti concava, a forma di “u”. Il budello viene punzecchiato con la sponciròla per far uscire il liquido (e grasso) e l’aria, che impedirebbero alle componenti di aderire. L’asciugatura in locali adatti e la conservazione in luoghi umidi e

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In Romagna si mangia il Bël e Cöt Nella terza domenica di settembre a Russi, in provincia di Ravenna, si svolge la Fira di Set Dulur, ovvero la fiera in onore della Beata Vergine Maria Addolorata. Durate questa giornata è tradizione mangiare un insaccato parente nobile del cotechino, che dai locali prende il nome di Bël e Cöt (bell’e cotto). Si accompagna con purè di patate o con fagioli stufati, senza dimenticare un buon calice di vino autoctono, vivace o fermo. Ma come si realizza il Bël e Cöt? L’abbiamo chiesto a tre storici produttori: Riziero Cappelli, dell’omonima macelleria presso il mercato coperto di Russi, a Ettore Fiorentini della Macelleria Fiorentini di Russi, Lugo (RA) e Lido di Classe (RA) e a Bruno Renzi, della Macelleria Russi Carni di Russi. Gli ingredienti sono per il 40% muscoli; a seguire, goletta (30%), cotenna (30%), sale (dai 24 ai 28 grammi per chilo di carne), pepe (1,5-2 grammi per 7 kg di impasto), vino bianco o rosso secco (oppure brandy), aromi naturali e conservanti E250-E252 (in foto, qualche fetta di Bël e Cöt con purè di patate; photo © firadisettdulur.net)

ed usanze del produttore. L’insaccato viene legato in maniera semplice con spago al fine di poterlo sorreggere nella fase di stagionatura. Il cotechino va consumato lesso con una cottura a fuoco lento, in abbondante acqua per circa 3 ore. Per esaltarne il sapore va servito caldo, accompagnato da fagioli in “potacin” e polenta. Cotechino di cavallo Salume a pasta cruda, da consumare cotto, di forma cilindrica, legato con spago a 4 o ad 8 spicchi. Ha un diametro di 2-10 cm, una lunghezza di 10-20 cm e un peso medio di ogni singolo pezzo di 500-800 grammi. La superficie appare liscia di colore rosso. L’impasto si presenta di colore bianco nella parte grassa e rosso vivo nella parte magra, con una struttura a grana media. La consistenza è appiccicosa; spezie e aromi non sono evidenti. Il prodotto viene maturato per 3-7 giorni e quindi commercializzato. Cotechini del Friuli-Venezia Giulia

bui segue la procedura normalmente utilizzata per questi insaccati. Cotechino di Trecenta (RO) Il cotechino di Trecenta, in provincia di Rovigo, è un prodotto artigianale, confezionato esclusivamente con carni suine secondo le antiche tradizioni contadine della zona. Il territorio interessato alla sua produzione è quello comunale e i paesi limitrofi. Per l’impasto, vengono utilizzate le “carni rosse” e la cotenna del suino, con l’aggiunta di “carni buone”, per avere un rapporto carne-cotenna che si avvicina al 50%. Premesso che la macellazione del suino destinato alla trasformazione avviene in ambiente autorizzato e/o sotto la stretta osservanza del medico veterinario, dopo il

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raffreddamento dell’animale macellato e sezionato in mezzane, si procede al sezionamento con suddivisione delle varie parti dell’animale quali cotiche (pelle del suino), “carni muscolose” (carni rosse), “carni buone” (carni rosa con parti di grasso nobile) e frattaglie. Successivamente si procede alla macinazione delle “carni muscolose” e della cotenna, alla loro miscelazione in parti sostanzialmente uguali, alla concia con ingredienti naturali (sale, pepe, vino e spezie) in percentuali variabili a seconda della tradizione di ogni singolo produttore. Dopo di che, l’impasto, ben amalgamato, viene insaccato in budelli di bue del diametro variabile da 5 a 10 cm e lunghezze variabili dai 10 ai 20 cm, e comunque secondo tradizioni

Cotechino affumicato di Carnia Salume tradizionale della regione, tipico della zona di Sauris (UD). Ha forma cilindrica diritta o leggermente ricurva, con superficie di colore rosso opaco, diametro di 8-9 cm, lunghezza di 30-40 cm, peso medio del singolo pezzo di 500-1000 grammi. Al taglio il grasso appare di colore bianco e la parte magra di rosso con carni e lardelli distinti di consistenza a grana media. Ingredienti: rifilature di prosciutto e speck; carnette, spalla, coscia suine; pancetta e pancettone di suino; sale; cannella; chiodi di garofano; pepe; noce moscata; coriandolo; zenzero; nitrato di potassio; vino; budello naturale di suino: crespone. Muset o cotechino friulano Si utilizzano la carne della testa (muso, da cui il nome), la carne del sottogola, la cotica, tutta la carne con i tendini, tutte le rifiniture delle ossa. La lavorazione viene effettuata in 4 fasi. Per la macinatura, le cotiche vanno tagliate a strisce abbastanza sottili; si macinano le cotiche con la trafila grossa da 16 mm (macinata grossa); secondo passaggio con trafila sottile da 8 mm, insieme la

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Il cotechino piccolo di Piacenza inserito tra i prodotti tradizionali della regione Nella 17a revisione dei prodotti tradizionali dell’Emilia Romagna è stato inserito il cotechino piccolo di Piacenza facendo salire così al numero di 102 le “bandiere del gusto” piacentine ovvero le specialità alimentari tradizionali presenti sul territorio ottenute secondo regole protratte nel tempo per almeno 25 anni.A renderlo noto è Coldiretti Piacenza in occasione della festa dedicata a carne e salumi realizzata al Mercato di Campagna Amica di Roveleto di Cadeo con la collaborazione del Consorzio Salumi Tipici Piacentini lo scorso aprile. Nella provincia numerose sono le sagre dedicate al cotechino, ma non al “cotechino piacentino”. Da più di cinquant’anni la Festa del cotechino di Pianello ne è la massima celebrazione! Il prof. Roberto Belli, presidente del Consorzio dei Salumi tipici piacentini, è molto soddisfatto. «La necessità di valorizzare questo tipico salume piacentino è emersa nel corso di un convegno organizzato durante la festa del Cotechino di Pianello. Venne chiesto al Consorzio dei SalumiTipici Piacentini di occuparsi delle procedure per richiedere alla Regione il riconoscimento di prodotto tradizionale. L’iter burocratico non è risultato difficoltoso, sul territorio regionale esisteva già una denominazione tutelata, il Cotechino di Modena Igp, e Piacenza risultava compresa nell’area di produzione. È stato necessario dimostrare l’assoluta differenza tra i due prodotti oltre alla storicità del nostro cotechino da sempre utilizzato in tante ricette della tradizione culinaria piacentina» (photo © salumigrossetti.it).

carne e la cotica. Per la preparazione dell’impasto, la carne e le cotiche macinate due volte vanno “condite”; per ogni chilogrammo di impasto utilizzare: 25 di sale, 2-5 g di pepe, cannella e spezie; se piace si può aggiungere all’impasto circa 1 litro di vino rosso robusto in cui sono stati lasciati macerare 5 o 6 spicchi d’aglio schiacciato; tutto l’impasto va ben mescolato e amalgamato, in modo che risulti uniforme. Per insaccare il cotechino usare un budello

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in forma cilindrica leggermente arcuata, del diametro di medio di 30 mm. In talune zone viene ad esso conferita una forma a zampone, con diametro di circa 70 mm. È legato con spago, di colore prevalentemente rosso carico con evidenti le parti bianche del grasso. Al taglio l’impasto appare a grana fine (tra 3 e 5 mm) con netta distinzione tra grasso di colore bianco e la parte magra di colore rosso vivo. Il peso medio di ogni singolo pezzo è variabile tra i 100 e 200 grammi, ma si riscontrano anche pezzature maggiori. Cotechino di San Leo (Marche) Il cotechino di San Leo è un salume precotto che viene ancora lavorato nel Montefeltro con un’antica ricetta. Il giorno dopo il confezionamento è già pronto per il consumo, ma sopporta bene anche una stagionatura di un mese appeso in luogo fresco. Viene preparato con guanciale di maiale, cotenna, pancetta e spalla macinati insieme e conditi con sale, pepe nero, pepe garofanato, noce moscata e cannella. È lessato come altri tipi di cotechino e poi accompagnato da lenticchie o fagioli.

medio (cioè più piccolo di quello che si usa per il salame); stringere bene quando si lega; forare bene il budello in modo che perda un po’ di liquido. Il cotechino può durare 1 o 2 settimane (a meno di non metterlo nel congelatore).

Cotechino di carni miste (Emilia-Romagna, Lombardia) Poco diffuso, è un cotechino con impasto di tagli magri di suino, talvolta con carne equina e bovina. È additivato di sale e aromi e insaccato in budello naturale. Ha un diametro di 8-9 cm, lunghezza di 30-40 cm, peso di 800-1.000 g. La proporzione dei singoli tagli è: carne fresca o congelata di suino e/o bovino equino (30/40%); pancetta e altri tagli grossi (20-30%); cotiche (30-40%); sale (2,5%). I tagli, dopo raffreddamento a 0 °C per 24 ore, sono tritati con stampi con fori fino a 6 mm (carne e pancetta), cotiche a grana fine (stampi con fori di 5 mm); poi si unisce il tutto in miscelature per 3-5 minuti e si passa la miscela, dopo additivazione degli aromi, in insaccatrice in budello. Lo si fora e si asciuga a 24 °C per 12-24 ore. Poi si trasferisce in cella di stagionatura a 2022 °C per 1-3 giorni col 60-70% U.R.

Cotechino (Molise) Insaccato crudo fresco, prodotto sull’intero territorio regionale con carne suina, cotiche e aromi, tradizionalmente nel periodo novembre-gennaio. Si presenta

Cappello da prete È un prodotto fresco da consumarsi dopo cottura, formato da un trito a grana fine di tagli magri e grassi, rifilature del culatello, con cotenne di suino. I tagli,

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immessi nel miscelatore, sono salati e aromatizzati con chiodi di garofano, pepe nero, aglio, coriandolo, macis, noce moscata, zuccheri ed insaccato in un involucro di cotenna cucito in forma di tricorno che richiama il settecentesco cappello del prete. Sosta in cella a 21-23 °C per 2 giorni (55-60%) U.R. Il peso è di 1,5-2 kg. Le bondole o bondiole Il termine bondola deriva forse dal latino botulu, budello, o da una voce arcaica d’ambito padano indicante un oggetto di forma tondeggiante, del peso medio di 800 g. Questi insaccati, infatti, si differenziano dai cotechini solo per la forma e la maggiore dimensione, determinate dalla confezione in vescica di maiale, che permette all’impasto di conservarsi fresco più a lungo, ma anche in budello di vacca o in vesciche di vitello. Le carni e le cotiche, nelle proporzioni codificate dalla tradizione contadina, vengono macinate singolarmente, impastate, rimacinate assieme ed insaccate a mano, o mediante apposita attrezzatura. Quindi si lega a forma di sacchetto. Prodotto caratteristico è la bondola con la lingua, che consente la conservazione di questo taglio, assumendo un sapore più marcato; la lingua spellata, ripulita e salmistrata, mantenendola per qualche ora sotto sale e spezie, viene poi inserita all’interno dell’insaccato, ponendo attenzione nell’evitare che restino all’interno bolle d’aria che potrebbero compromettere la riuscita del prodotto La bondola va asciugata in stanze fresche (tra i 18 e i 12 °C) con ricircolo naturale d’aria, con finestre protette da reticelle e da esche contro mosche e roditori, per alcuni giorni. La conservazione avviene, come sempre per gli insaccati, in luoghi freschi e umidi, ma il prodotto va

comunque consumato entro una trentina di giorni. Da segnalare l’antica usanza contadina di consumare la bondola nel giorno dell’Ascensione, anche a titolo di protezione contro il morso dei serpenti. Questo prodotto è citato da GIUSEPPE MAFFIOLI nella raccolta di ricette di cucina tipica padovana, ma testimonianze della sua tradizione sono presenti anche nel testo “Civiltà rurale di una valle veneta. La Valle Leogra”, edito dall’Accademia olimpica di Vicenza. Così descrive invece le bondiole del “tempo andato” FEDERICA ZANATA: “quando, dopo la conquista della terraferma del 1388, i patrizi veneziani iniziarono a costruire delle splendide ville nelle terre che andavano acquistando, ebbe inizio la tradizione di uscire dalla città subito dopo la cerimonia dello sposalizio col mare, arrivando con veloci cavalli nelle ville di campagna sul tardo pomeriggio. E qui i bravi contadini attendevano il ‘signor conte’ e la sua famiglia, preparando un sontuoso banchetto di benvenuto, servendo un prezioso insaccato di maiale, pronto proprio ai primi calori dell’incipiente estate. E così quel salume, che è la bondiola col lengual, divenne da allora la bondiola de la Senza (Ascensione, nella parlata veneziana). I contadini la preparavano d’inverno, quando uccidevano il maiale. Prendevano la stessa carne con cui confezionavano i museti, cioè la carne della testa (muso, da cui museti) del maiale, che è piuttosto grassa, vi aggiungevano della polpa magra, sempre del maiale, la macinavano, la irroravano di vino rozzo aromatizzato da spicchi d’aglio schiacciati e la condivano col sale (più tardi, anche con un po’ di pepe). Pulivano con cura la vescica del maiale e la riempivano con tale impasto, in mezzo al quale inserivano la lingua bollita del medesimo maiale”. Degna di nota, la

A Poggio Renatico, nella provincia di Ferrara, ogni anno nel mese di settembre si svolge la Sagra della bondiola dove questo salume tradizionale viene cucinato a regola d’arte. La bondiola necessita infatti di una particolare cottura: sistemata in un sacco di tela e fissata a un legnetto, per non toccare il recipiente in cui deve bollire non meno di quattro ore

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Sagra della bondola che si tiene a Torrebelvicino, nella prima metà di maggio. A Poggio Renatico, nella provincia di Ferrara, ogni anno nel mese di settembre si svolge la Sagra della bondiola dove questo salume tradizionale viene cucinato a regola d’arte. La bondiola necessita infatti di una particolare cottura: sistemata in un sacco di tela e fissata a un legnetto, per non toccare il recipiente in cui deve bollire non meno di quattro ore. Bondiola col lengual del Padovano Prodotto tradizionale originario della provincia di Padova ma diffuso anche nelle province di Vicenza e Venezia (Montagnana, Ospedaletto Euganeo, Saletto, Urbana, Megliadino San Fidenzio, Megliadino San Vitale, Casale di Scodosia, Merlara, Castelbaldo, Masi, Piacenza d’Adige, S. Urbano, Vighizzolo d’Este, Santa Margherita d’Adige, Carceri). Si produce con testa suina, cotenne e aromi, insaccati in vescica di vitello con inserimento della lingua di maiale salmistrata. È un insaccato generalmente stagionato per 4-5 mesi, da consumare crudo. La forma è globosa, legata a spago talora a formare spicchi, del peso di 1-2 kg. La superficie appare liscia, l’impasto di colore rosso con struttura a grana grossolana di colore a sfondo rosso con risalto del bianco di lardelli e cotenne con al centro ben evidente la sezione della lingua salmistrata. Bondiola della Val Leogra La bondiola della Val Leogra, in provincia di Vicenza, è un insaccato prodotto utilizzando varie parti del maiale insaporite con sale, pepe, cannella e chiodi di garofano. La forma è tonda e le dimensioni contenute per far sì che l’impasto si conservi fresco. Il prodotto appartiene alle ricette tipiche del territorio. Il suo consumo è simile a quello del cotechino: bollita, si serve con verdure cotte, purè, legumi, radicchio o rafano. Bondiola di Castelgomberto È un insaccato suino preparato con carne, cotica, parti muscolari più dure, eventualmente lardo, sale e pepe, cannella e chiodi di garofano. L’insacco avviene in ritagli avanzati di budello di vacca, vesciche di vitello o nella vescica del maiale, ha forma tondeggiante, sapore speziato e lievemente piccante. Carlo Cantoni

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I NATURALI

Naturale come un salume di Riccardo Lagorio

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li slogan utilizzati nel mondo del cibo mi provocano sempre imbarazzo. Così che non trovo migliore definizione di quella di mercato schizofrenico: tendenze fatte per lo più di mode, maniere di dire, credenze che si rivelano, agli occhi di chi il mestiere lo fa sulla strada, di poca sostanza. I prodotti bio sono una panacea ai mali dell’alimentazione di oggi, obesità e allergie? Nessun vantaggio per la salute di chi compra, ormai numerosi studi lo hanno dimostrato, molti guadagni in più per chi produce (il costo al banco dei prodotti bio è del 53% superiore a quello dei cibi convenzionali senza l’apporto di un vero e proprio valore aggiunto). Prodotti bio per i radical

chic e prodotti convenzionali per gli autentici proletari del XXI secolo, i precari ed espulsi dal mondo del lavoro, chioserebbe Gaber. Senza considerare il conflitto di interesse insito nell’esistenza degli enti certificatori, che esistono in quanto vivono le aziende biologiche. Certifico ergo sum, insomma. Mistificazione non troppo diversa da quella del “prodotto a km 0”. Vero che le lunghe percorrenze possono in qualche modo guastare l’ambiente, ma questo pensiero non può giustificare tutto, men che meno cibi scadenti per modalità produttive e gustative. Per non dire dei fautori del “buono, pulito e giusto”, che giustificano e smacchiano, rendendole pure buone, le

multinazionali. Purché siano sponsor di qualche iniziativa o intrapresa commerciale che serve alla causa. “Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande, che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ‘nferno tuo nome si spande” scriverebbe il Poeta. Lodevoli le intenzioni, schizofrenici i risultati: i convinti bio che comprano pomodori e lattughine tutto l’anno e fanno colazione con il cornetto integrale impastato in un lontano Paese dell’Est Europa, i sereni zerochilometristi che non si chiedono di cosa si è nutrito quell’animale per acquisire peso corporeo in così poco tempo, i sicuri buongiustisti che si dimenticano i danni che provocano le stesse società da cui percepiscono quattrini e con cui fanno affari. Fatta salva poi la “fame di

Maiali allevati presso l’Agriturismo La Fraterna a Porto Tolle, in provincia di Rovigo.

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Se nel mondo del vino esistono centinaia di cantine e vignaioli che hanno bandito qualsiasi tipo di conservante, in salumeria cresce anno dopo anno il numero di coloro che bandiscono nitrati e nitriti. Non per dogma, ma per senso civico. Ne abbiamo intervistati alcuni, raccogliendo non pochi suggerimenti e suggestioni

Tra gli aspetti che accomunano questi produttori c’è innanzitutto la “materia prima”, gli animali, che devono avere almeno 14 mesi e aver consumato pasti idonei a base di cereali, pascolo e frutta. Durante le fasi di macellazione, lavorazioneetrasformazione delle carni, inoltre, si deve dare particolare attenzione all’igiene

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L’azienda Salumi Artigianali Giannelli di Troia (FG) offre una piccola varietà di salumi prodotti artigianalmente da carni 100% italiane realizzati senza conservanti. integratori” da parte dei vegani, altra categoria che i sociologi delle masse seguono con attenzione. Tutti a far partire di tanto in tanto qualche crociata contro questo prodotto o quell’ingrediente. Facile sparare contro carnivori e salumi, ultimo in ordine di tempo l’olio di palma, che sino alla scorsa stagione riempiva gli scaffali dei supermercati nell’assoluta indifferenza delle famiglie. Ma fino a quando nei carrelli della spesa entreranno cibi pronti e confezionati, cremosi, frizzanti, abboccati ci sarà sempre spazio per un olio di palma di turno. Per fare un cibo che non inquini, dia il giusto riconoscimento a chi lavora e sia sano ci sono poche regole. Nessuna di queste ha a che fare con le inclinazioni della comunicazione diffusa in rete e nelle kermesse, televisive o da piazza, a cui ci hanno abituato in questi anni. Al di là delle tendenze momentanee, se nel mondo del vino esistono centinaia di cantine e vignaioli che hanno bandito qualsiasi tipo di conservante come i solfiti per rendere il frutto del proprio lavoro più autentico possibile, in salumeria cresce anno dopo anno il numero di coloro che bandiscono nitrati e nitriti come conservanti. Non per dogma, ma per senso civico. Ne abbiamo intervistati due per macroregione, Nord,

Centro e Sud, raccogliendo non pochi suggerimenti e suggestioni. A proposito di nitrati e nitrati • Nitriti. Conservanti identificati dalle sigle E249 ed E250 sono potenzialmente pericoli per la salute umana: in ambiente acido si trasformano in composti ritenuti cancerogeni come le nitrosammine. Inoltre ossidano l’emoglobina, riducendo il trasporto di ossigeno ai tessuti. Ne ha preso atto il legislatore vietandolo espressamente nel prosciutto cotto con il “Decreto Salumi” del 26 maggio 2016, dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità li ha definiti “probabilmente cancerogeni per gli esseri umani”… • Nitrati. Si riconoscono per le sigle E251 ed E252 e si trovano naturalmente in alcuni cibi, come sedano, rape e spinaci. Di per sé sono innocui, ma possono trasformarsi in nitriti e in nitrosammine in condizione di calore o batteri. Le verdure contengono anche vitamina C, che limita la trasformazione di nitrati in nitriti. Dal 2007 la Commissione europea prevede l’espressa menzione di additivo alimentare e non di aromi naturali qualora l’estratto di spinaci sia utilizzato come conservante. • Potenzialmente negativi. Quindi, perché si usano? Stabilizzano il

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colore rosso della carne e svolgono un’azione antimicrobica nei confronti del botulino, ovvero permettono di potere utilizzare carne ad elevata carica batterica, che i meno generosi qualificherebbero come “di qualità scadente”. Per la conservazione dei salumi e degli insaccati non servirebbero. Nella produzione del Prosciutto crudo di Parma Dop e del Prosciutto crudo San Daniele Dop (e di altri ancora) sono infatti banditi. Sono invece utilizzati principalmente da coloro che desiderano che il prodotto mantenga il colore rosso nei banconi frigo senza sottovuoto, evitando l’ossidazione.

Tra gli ingredienti naturali usati da Giannelli c’è anche il miele, «che introdotto nell’impasto macinato fresco ne abbassa il pH, in quanto riducendosi completamente lo acidifica. Il dolce del miele sparisce completamente nel prodotto finito. Soprattutto se si usa il miele più semplice esistente cioè il Millefiori senza alcuna aromatizzazione. Altri espedienti utilizzati sono il vino, l’aglio e il peperone dolce perché ottimi antibatterici e antiossidanti» precisa Raffaele Giannelli, che ha ereditato la passione per la trasformazione delle carni dal padre Michele.

Le sei interviste in una sintesi di cinque punti Cosa è emerso dalle interviste a chi ha detto no a nitriti e nitrati? Cinque aspetti accomunano i produttori di salumi senza nitrati e nitriti che abbiamo intervistato. 1. La materia prima deve essere matura (di età almeno di 14 mesi), contenere poca acqua ed avere consumato pasti idonei a base di cereali, pascolo e frutta; 2. durante le fasi di macellazione, lavorazione e trasformazione delle carni si deve dare particolare attenzione all’igiene; 3. l’animale non subisce stress prima di essere macellato e la sua carne è lavorata fresca senza che venga

Fattoria Ma’ Falda, i salami che sognavamo “Fattoria Ma’ Falda nacque nel 2006, con il recupero di una piccola azienda agricola abbandonata, che abbiamo riportato in vita con la precisa idea di creare una fattoria biologica con agriturismo ecosostenibile. E di farlo, attenti alla valorizzazione e alla salvaguardia della campagna e della sua biodiversità” si legge sul sito di questa bella realtà di Orvieto,Terni.“Alla Fattoria Ma’ Falda nascono e crescono animali di diverse specie. La loro salute e il loro benessere sono il primo obiettivo nei nostri allevamenti. Qui stanno allo stato semibrado, in ambienti puliti, hanno un’alimentazione equilibrata e sana, crescono senza fretta, con rispetto e cura (…). L’azienda ospita allevamenti di maiali di razza Cinta Senese, capre da latte di razza Camosciata delle Alpi e altri animali da fattoria, ma anche un caseificio aziendale con produzione di formaggi a latte crudo di capra (…). La Cinta senese è la razza dei nostri maiali, una razza che non si è mai adattata all’allevamento intensivo e per questo motivo negli ultimi 20 anni stava praticamente scomparendo” (in foto, salame di Cinta senese Fattoria Ma’ Falda). >> Link: www.fattoriamafalda.com

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intaccata da cariche batteriche; 4. nessuno utilizza latte in polvere per accelerare la stagionatura mantenendo altresĂŹ un’elevata quantitĂ di umiditĂ . Alcuni consumatori hanno denunciato malessere per avere consumato salumi che contenevano polvere di latte: non si tratta di patologie legate al consumo di carne, ma di latte. In sĂŠ, un’altra aberrazione. Tanto che in questi anni si leggono etichette di salumi che lasciano perplessi con la dicitura “privo di lattosioâ€?. Da quando il salame si fa con il latte?; 5. la stagionatura di conseguenza avviene in modo naturale e senza forzature. Ăˆ totalmente falsa l’affermazione secondo cui i salumi privi di nitrati e nitriti non possono stagionare adeguatamente. Ăˆ vero il contrario. Una piccola fattoria dove imparare l’arte del norcino ÂŤDa 30 anni tutti sanno che sono tossiciÂť: non usa mezzi termini FABRIZIO ROVATI, che da 20 ha aperto l’Agriturismo Gulliver in Valsassina. ÂŤFiguriamoci se noi ci mettiamo nitriti e nitrati nei nostri salumi!Âť. Porte aperte anche a chi voglia imparare l’arte del norcino perchĂŠ in tre giorni di sano lavoro Fabrizio insegna a mettere le mani in pasta per fare salsicce e salami, salare pancette e lardo, preparare cotechini e sanguinacci, applicando le tecniche di asciugatura e stagionatura secondo tecniche tradizionali che non prevedono l’uso di conservanti e coloranti. ÂŤBeh, gli agriturismi sono nati per questo, avvicinare la gente al mondo agresteÂť. Nel macello aziendale si spiega anche che un cotechino, dopo ore di cottura, non potrĂ avere colore rosso. Ma soprattutto che, partendo da una materia prima perfetta, i conservanti sono pleonastici. Il bello è che i suoi salumi, anche di capra, sono in vendita anche internet. Demolite quindi anche le tesi di coloro che asseriscono l’impossibilitĂ di far viaggiare i propri salumi se privi di conservanti: dipende sempre da come sono fatti e da come viaggiano. La Fraterna, maiali felici nel Parco del Delta del Po Sul ramo principale del Delta del Po MAURO GIRELLO ci ha raccontato che il suo

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salame trova nel budello gentile il modo di difendersi dai capricci dell’umiditĂ e delle temperature: il suo spessore è una garanzia che mette al riparo dagli sbalzi termici. I maiali vivono felici nell’ampio recinto vicino alla casa, dove possono passeggiare e sgranchirsi un po’ tra un pasto e l’altro, quando ciascun suino consuma la invidiabile media di 3,5 kg di granaglie. ÂŤNon li macelliamo finchĂŠ non arrivano almeno a 180 kgÂť. E di cereali, raccolti nei campi di proprietĂ nell’immensa pianura, ne servono davvero molti: frumento, orzo, granoturco. E poi foraggi e ortaggi che sono a disposizione per gli altri animali e l’agriturismo. ÂŤLa sanitĂ degli animali è garanzia per non utilizzare conservantiÂť, va dritto al nocciolo della questione Mauro. La fetta del salame stagionato oltre 10 mesi è compatta, con poco grasso, ben distribuito, e dalla macinatura piacevolmente grossa. Possiede aroma di carne stagionata e sapore intenso. Impossibile fermarsi finchĂŠ anche l’ultimo pezzo non sia terminato: questo è l’unico inconveniente che si corre. Recchi: la bontĂ dei salumi, dipende anche dal taglio Ăˆ una storia di suini di almeno 150 kg, ÂŤma piĂš spesso 200 kg sottolineaÂť, quella che ci rivela LUIGI RECCHI, sulle colline fermane. Orgogliosamente contadino, si autodefinisce. Sino a una decina di anni fa coltivava terra allevando bestiame. Gli avvenimenti sono noti anche altrove: la campagna non dĂ reddito sufficiente se i prodotti vengono venduti come commodities: il lavoro agreste ha un prezzo, ma non c’è chi è disposto a pagare questo prezzo. CosĂŹ ci si reinventa, anche a 50 anni suonati. Come fece Luigi. ÂŤOvviamente il prosciutto è trattato solo con sale marino integrale. Viene da Margherita di Savoia. E lo tagliamo dopo almeno 20 mesi di stagionatura. La bontĂ dei salumi, tutti senza conservanti, dipende anche dalla capacitĂ di scegliere i tagli appropriati: salsiccia, salame fatto di polpa di spalla e rifilature di prosciutto, salsiccia con fegato. Tutti sono insaccati in budello naturale ed edibileÂť. Ma da queste parti è ancora aperta la questione ciauscolo. Nel 2009 l’entrata in vigore del disciplinare di produzione dell’IGP ha di fatto precluso a numerosi piccoli produttori l’utilizzo del nome “ciauscoloâ€?.

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Nessuno tra questi produttori utilizza latte in polvere per accelerare la stagionatura dei salumi, mantenendo un’elevata quantità di umidità. Alcuni consumatori hanno infatti denunciato malessere per avere mangiato salumi che contenevanopolveredilatte «Noi produciamo il salame dorato, un salame spalmabile, denso di profumi, con il 50% di pancetta». I cereali sono lavorati all’interno del mulino aziendale. E dopo anni trascorsi all’estero, ricca di esperienze, è da poco tornata a casa la figlia Irene, alla quale è affidato l’agriturismo. Il futuro dell’agricoltura 2.0 è garantito. Salumi naturali nella Riserva naturale della Marcigliana E poi Roma. L’unicità della Capitale è anche che da un centro urbano caotico si passa in pochi minuti ad una riserva naturale con strade immerse nei campi, sprazzi di case e pascoli: la Riserva naturale della Marcigliana. Vi prese posto negli anni Sessanta la FAMIGLIA CUGUSI, approdata qui dalla Sardegna. ANTONELLO, laureato in Economia, e RAFFAELLO con quella di Agraria in ta-

sca inaugurano la terza generazione lasciando fuori dai cancelli conservanti, coloranti e vari additivi. «Non ne sentiamo la necessità: la carne è ottima, sul posto di lavoro ci sono collaboratori capaci» riferiscono. Nei 65 ettari di proprietà e nei 240 in affitto brucano allo stato brado 700 pecore di razza Sarda e un centinaio di vacche Pezzata rossa, resistente, adatta al pascolo. Ciclo produttivo interamente interno all’azienda agricola e tanta carne che viene cotta sulle braci direttamente dei clienti. Il cliente è informato e consapevole, e con il giusto prezzo riesce a trovare un prodotto genuino, privo di macchinazioni che lo rende “bello”, e da acquistare parlando e guardando negli occhi il produttore. Via allora con panini di bresaola, di speck e culatello di scottona, aperitivi con salsicce piccanti, al finocchietto, all’arancia e brandy. Per l’Amatriciana, guanciale stagionato. Tutti salumi preservatives free. Giannelli: il segreto è nel miele RAFFAELE GIANNELLI, 31 anni, appartiene invece alla quarta generazione di norcini nel Foggiano. Consapevole per avere anche una laurea in Tecnologia alimentare ha fatto piazza pulita di nitrati nel salumificio di famiglia appena entrato in azienda. «Ho perseguito questa scelta per volontà di offrire un prodotto genuino. La materia prima proviene da tre allevatori che lavorano con noi da decenni; si trovano ad una quindicina di chilometri da Troia. La carne deve essere perfetta e la trasformazione deve avvenire in tempi brevissimi». Gli inizi non furono facili, fino a che del miele locale è stato in grado di dimostrare

che, in piccole quantità, scatenava le fermentazioni lattiche necessarie al buon ottenimento dei salumi, in particolare sopressata. «È stata in verità recuperata una ricetta assai datata. Mettiamo del miele nell’impasto non per ragioni organolettiche, ma squisitamente tecniche. Continuiamo a sperimentare, ma non si arriva mai all’ottimo e le variabili esterne come umidità e temperatura condizionano sempre la stagionatura del prodotto». La Paisanella: sale, pepe e tempo «Dal 1996, quando partì la campagna di valorizzazione del Suino nero dei Nebrodi da parte della Regione Sicilia non utilizziamo nitrati e nitriti», racconta con entusiasmo LUISA IMBROGIO, siciliana e proprietaria con il marito de La Paisanella. «È semplice: un animale vissuto almeno 18 mesi, molto spesso 20, in piena libertà è necessariamente sano. Raggiunge forse un peso di 110 kg e possiede il 70% di massa grassa. Per il tipo di accrescimento che ha sperimentato contiene il 22% di grassi polinsaturi, che sono un toccasana per il nostro corpo». Sopressate e guanciali e salsicce e lardo hanno come soli ingredienti sale, pepe e tempo. «Questa razza possiede inoltre una carne con una buona ritenzione idrica. Io sono cresciuta in una famiglia dove si utilizzava solo sale e pepe per conservare i salumi. E non c’è mai stato nessun inconveniente». Intanto il suo prosciutto, che La Sapienza di Roma ha segnalato tra i più sani cibi al mondo, vola verso la Francia e la Germania. Riccardo Lagorio

I produttori

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Azienda Agricola Gulliver Via per Taceno 2 23838 Vendrogno (LC) Telefono: 0341 870307 Web: agriturismogulliver.com

Fattoria Recchi Contrada Calcinari 29 3027 Petritoli (FM) Telefono: 0734 658646 Web: fattoriarecchi.it

Salumi Artigianali Giannelli Via Giosuè Carducci 17 71029 Troia (FG) Telefono: 0881 979121 Web: salumigiannelli.it

Agriturismo La Fraterna Via Mentone 13 45010 Porto Tolle (RO) Telefono: 0426 384128 Web: agriturismolafraterna.it

Azienda Agricola Fortunato Via della Marcigliana 532 00139 Roma Telefono: 06 87120518 Web:aziendaagricolafortunato.it

La Paisanella Via San Rocco 15 98070 Mirto (ME) Telefono: 0941 919403 Web: lapaisanella.com

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Rovagnati Naturals Rovagnati, azienda leader nel mercato dei salumi in Italia, presenta una nuova linea denominata Naturals. Si tratta di cinque referenze — GranCotto, GranCotto Arrosto, Prosciutto crudo, Mortadella e Salame — prodotte con ingredienti di origine naturale e lavorate il minimo indispensabile, senza alcun additivo o coadiuvante di origine chimica. Naturals infatti è 0% OGM; 0% nitriti artificiali, poiché non è fatto uso di nitriti di sintesi chimica; 0% antibiotici, che non vengono somministrati ai suini in alcun modo, nemmeno per via alimentare; 0% glutine; 0% proteine del latte; 0% glutammato monosodico aggiunto. Naturals è però anche “benessere animale”: Rovagnati ha infatti sviluppato uno specifico programma per garantire, tramite l’indicazione di specifici criteri, che i suinetti vengano allevati all’interno di una filiera di aziende agricole che rispettino le buone pratiche dell’allevamento e del benessere: no antibiotici dalla nascita; crescita dei suini senza l’utilizzo di ormoni; solo castrazione con antidolorifici e mai chimica o a base di prodotti chimici; mantenimento dei denti e delle orecchie; alimentazione di tipo vegetale; arricchimenti ambientali, con sufficienti paglia nelle scrofaie e mangime, divieto di pavimentazione interamente a stecche, e trasporti inferiori alle 8 ore; libertà di movimento per le scrofe fino a 7 giorni prima del parto. Anche i processi di trasformazione dei prodotti prevedono l’uso di tecniche tradizionali: il vapore per la cottura dei prosciutti cotti o di aria calda per le mortadelle, nonché il riposo in ambienti a umidità e temperatura controllate per la stagionatura di salami e prosciutti crudi. La vaschetta stessa per la commercializzazione dei salumi è costituita all’80% di carta, il che la rende riciclabile. Rovagnati Naturals è una linea innovativa per il mercato internazionale: il marchio, infatti, è già stato diffuso per la Grande Distribuzione in Francia e Hong Kong e presentato negli Stati Uniti. >> Link: www.rovagnati.it/naturals


Cosa dice l’EFSA a proposito di nitriti e nitrati aggiunti agli alimenti Nel giugno 2017 l’EFSA ha pubblicato due pareri scientifici sulla sua valutazione ex novo dei nitriti e nitrati aggiunti agli alimenti. Questa sintesi spiega perché i nitriti e nitrati sono presenti negli alimenti e quali sono le conclusioni degli esperti dell’EFSA in merito alla loro sicurezza. Cosa sono i nitriti e i nitrati? Perché si trovano negli alimenti? I sali di nitriti e nitrati sono comunemente utilizzati per stagionare la carne e altri prodotti deperibili. Vengono aggiunti agli alimenti per conservarli e contribuiscono anche a ostacolare la crescita di microrganismi nocivi, in particolare del Clostridium botulinum, batterio responsabile del pericolosissimo botulismo. I nitriti, insieme ai nitrati, vengono aggiunti alla carne per mantenerne il colore rosso e migliorarne il gusto, mentre i nitrati vengono usati per impedire che alcuni formaggi si gonfino durante la fermentazione. Il nitrato è naturalmente presente nelle verdure, e le concentrazioni più elevate si trovano nelle verdure a foglia come spinaci e lattuga. Può anche entrare nella catena alimentare come contaminante ambientale dell’acqua, a causa del suo uso negli allevamenti intensivi, nella produzione di bestiame e nello scarico di acque reflue. Cosa succede ai nitriti/nitrati nell’organismo umano? Nell’uomo i nitriti e nitrati contenuti negli alimenti sono assorbiti rapidamente dall’organismo e, per la maggior parte, escreti come nitrati. Una parte del nitrato assorbito dall’organismo viene rimesso in circolo dalle ghiandole salivari e parte di esso viene convertito dai batteri del cavo orale in nitrito. Il nitrito assorbito può ossidare l’emoglobina trasformandola in metaemoglobina, il cui eccesso riduce la capacità dei globuli rossi di legare e trasportare l’ossigeno nel corpo. Il nitrito negli alimenti (e il nitrato convertito in nitrito dall’organismo) può contribuire anche alla formazione di un gruppo di composti noti come nitrosammine, alcune delle quali sono cancerogene. Perché l’EFSA ha riesaminato i nitriti/nitrati aggiunti agli alimenti? La Commissione europea ha chiesto all’EFSA di riesaminare entro il 2020 tutti gli additivi autorizzati prima del 20 gennaio 2009. Nel contesto di questo programma di sistematico riesame, l’EFSA ha valutato nuovamente la sicurezza dei sali di sodio e potassio dei nitriti (da E249 a E250) e dei nitrati (da E251 a E252) in due pareri scientifici pubblicati nel giugno 2017. Le attuali dosi giornaliere ammissibili (DGA) per il nitrito sono rispettivamente di 0,06 e 0,07 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno (mg/kg pc/die). Per il nitrato entrambi gli enti fissano la DGA a 3,7 mg/kg pc/die. In che modo l’EFSA ha riesaminato la sicurezza di nitriti e nitrati? Il gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sugli additivi alimentari e le fonti di nutrienti aggiunti agli alimenti (gruppo ANS) ha basato la propria valutazione su valutazioni precedenti, su nuova letteratura scientifica e sulle informazioni ricevute in esito ad alcuni bandi per la ricerca di dati. Quali sono le principali conclusioni della valutazione? Sulla base delle evidenze disponibili, gli esperti dell’EFSA hanno concluso che gli attuali livelli di sicurezza per nitriti e nitrati aggiunti alla carne e altri alimenti tutelano a sufficienza i consumatori. Utilizzando dati più realistici (cioè gli effettivi livelli di concentrazione nei cibi), gli esperti hanno stimato che l’esposizione del consumatore al nitrato proveniente esclusivamente dal consumo come additivo alimentare è inferiore al 5% dell’esposizione complessiva al nitrato negli alimenti e che non supera la DGA. Per quanto riguarda i nitriti assunti come additivi alimentari, gli esperti hanno stimato che l’esposizione rientra nei livelli di sicurezza per tutte le fasce della popolazione, fatta eccezione per un lieve superamento nei bambini la cui dieta sia basata su un’elevata quantità di alimenti contenenti tali additivi.

>> Link: www.efsa.europa.eu/it

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Massimo Corrà conquista il podio del Campionato Italiano del Salame di suino Nero (e non solo) Si è appena concluso a Montecatini Terme (PT) il Campionato Italiano del Salame 2017, organizzato dall’Accademia delle 5T con il patrocinio del MIPAAF. L’associazione culturale capeggiata da GUIDO STECCHI ha decretato vincitore un grande trentino. Si tratta di MASSIMO CORRÀ, titolare della macelleria Da Massimo Goloso di Coredo (TN), che, dopo aver ottenuto il primo posto a Montecatini per il salame affumicato con la Mortandela della Val di Non, è stato decretato vincitore assoluto anche del Campionato Italiano del Salame riservato ai prodotti di suino Nero. «La nostra filosofia, che è quella di usare materie prime eccellenti selezionate del nostro territorio, lavorandole senza conservanti o chimica, ci ha portato a raggiungere grandi risultati», ha dichiarato soddisfatto e felice Massimo, che ha anche voluto ringraziare il suo team con Michele, Stefano e Andrea. Al secondo posto la Macelleria Zivieri Massimo di Monzuno (BO) con il Salame gentile di Mora romagnola, mentre terzo classificato è risultato Le Tre Casette di Gessopalena (CH) con il Salsicciotto Frentano sotto strutto.Tra le categorie speciali premiate ricordiamo il Premio Spiga d’Oro Salame di suino Nero di azienda Bio aggiudicato a Ca’ Mezzadri di Corniglio (PR) con il Salame gentile di Nero di Parma; il Premio Miglior Salame di Quinto Quarto assegnato a Fattorie del Tratturo di Scerni (CH) con la Salamella di fegato al vino cotto, e il Premio Soppressata del Sud che è stato conferito a ENZO IOPPOLO di San Giorgio Morgeto (RC) con la Soppressata semipiccante all’olio extravergine d’oliva. In foto, Massimo Corrà in occasione della festa dei Butchers for Children, da lui organizzata in quel di Coredo lo scorso maggio insieme a tanti colleghi macellai, per raccogliere fondi destinati a Casa Sebastiano, il nuovo centro specialistico per i disturbi dello spettro autistico della Fondazione trentina per l’autismo. Cos’è l’Accademia delle 5T L’Accademia delle 5T (Territorio, Tradizione, Tipicità, Trasparenza, Tracciabilità) è un’associazione culturale senza scopo di lucro costituita da aziende e persone che producono, vendono o somministrano prodotti agroalimentari legati al territorio e che si distinguono per tradizione e/o tipicità. L’Accademia delle 5T nasce con questi obiettivi principali: “essere un movimento culturale che tuteli l’autenticità della più indispensabile e antica delle arti, il buon mangiare, perché l’arte non è altro che la trasformazione di un bisogno in piacere; essere un movimento culturale e scientifico che promuova la conoscenza e la diffusione della gastronomia vera, ovvero l’elaborazione di alimenti secondo le esigenze fisiche ed edonistiche dell’uomo perché gastronomia significa scienza (regole) del ventre; essere un movimento culturale e politico che operi per la tutela presso gli enti nazionali e comunitari dell’integrità, naturalità e qualità dei prodotti tipici e tradizionali; essere uno strumento didattico a 360 gradi con intensa attività di: formazione degli addetti ai lavori, educazione alimentare e merceologica dei consumatori, formazione degli studenti universitari e allievi di Master e corsi di perfezionamento (ha stipulato una convenzione con l’Università degli Studi di Parma), formazione degli studenti delle scuole inferiori e superiori (è socia fattiva dell’Association Européenne de l’Ecoles d’Hotellerie e du Tourisme); essere un sodalizio per la diffusione dei prodotti, dell’accoglienza, del turismo e dell’informazione sostenibili che si richiami al bene del territorio. L’Accademia ama e sostiene la biodiversità e la diversità culturale e promuove la conoscenza, anche nel nome della libertà di scelta del cittadino, del buon cibo quotidiano che in ogni territorio persone capaci e oneste propongono e si sforzano di tutelare, quello che viene innanzitutto dalla terra, legato ai valori della sostenibilità e della naturalità, perché la natura ha sempre ragione e va trattata con timore e rispetto affinché sia alleata e non nemica. E lo fa nel nome di due T che oggi hanno assunto un’importanza fondamentale nella difesa del cittadino consumatore: trasparenza e tracciabilità. >> Link: www.accademia5t.it

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PRODOTTI TIPICI

Sangue, uvetta, pinoli, lardelli e spezie: ecco il mallegato di San Miniato Sapore antico di Toscana e presidio Slow Food, il mallegato è tra i protagonisti della rassegna “Sangue blu” dedicata ai sanguinacci italiani di Nunzia Manicardi

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an Miniato, bella e importante cittadina pisana nota anche per il suo tartufo bianco, anticamente chiamata San Miniato al Tedesco per l’origine germanica (fu fondata nel VIII secolo da un gruppo di Longobardi e poi edificata da Federico II di Svevia), ha dato i natali pure

al mallegato. Il mallegato, oltre che a San Miniato e in altre zone del Pisano, è presente con la stessa denominazione nel Pistoiese (a Pescia e dintorni), però con varianti nella ricetta. A San Miniato, tuttavia, è così significativo che proprio qui è stata anche istituita l’Associazione del Sanguinaccio. Viene

preparato tipicamente nella stagione invernale, quella in cui “si ammazza il maiale”. Si hanno notizie certe della sua tradizionale preparazione sin dal primo Medioevo (intorno al Mille). Appartiene alla famiglia dei salumi di sangue, i cosiddetti “sanguinacci”: salumi fatti senza carne suina, a parte l’aggiunta

Il mallegato di San Miniato si prepara utilizzando solo sangue fresco, lardello tagliato a dadini, pinoli, uvetta, noce moscata, cannella, sale e pepe; il tutto viene mescolato con delicatezza e insaccato a crudo nel budello di vitello.

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Dall’operazione di legatura (“lente”) deriva il nome “mallegato”, cioè legato. di un po’ di lardo. Sono ampiamente diffusi in Toscana dove troviamo anche il buristo di Siena e il biroldo della Garfagnana che, insieme col mallegato di San Miniato, sono presidi Slow Food (con il sostegno, in quest’ultimo caso, della Provincia di Pisa e del Comune di San Miniato). In questo modo la grande organizzazione internazionale no profit, impegnata in 150 paesi del mondo nella salvaguardia del cibo prodotto nel rispetto dell’ambiente e delle tradizioni locali, intende tutelare questi salumi toscani e impedirne la scomparsa. I sanguinacci sono in effetti un po’ anacronistici, così primitivi e scuri, addirittura neri, lontani dai colori ben più rassicuranti e invitanti proposti attualmente (spesso grazie alle colorazioni chimiche). Anche il gusto è controcorrente: dolce per via del sangue, aromatico per le spezie o, quando assenti, ancora più dolce per la presenza dell’uva sultanina che risalta maggiormente. Eppure anche questi salumi, forti della loro tradizione plurisecolare, potrebbero trovare oggi una maggiore considerazione tenendo conto del loro notevole valore nutrizionale, essendo alimenti ricchi di ferro e quindi particolarmente indicati per chi soffra di anemia o abbia comunque carenza di sangue. Un tempo mangiare un impasto a base di sangue di maiale era conside-

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rato il modo più semplice ed economico per assumere ferro e proteine e infatti a San Miniato, quando i macellai tiravano fuori dalla pentola il mallegato appena fatto e un banditore passava per la città gridando “c’è il buricco, c’è il buricco!” (così anche veniva chiamato), la gente accorreva a comprarlo. Per chi rimanesse diffidente, ricordo che questo prodotto offre ogni garanzia sia igienica che alimentare oltre che, naturalmente, di rispetto dell’animale. Il presidio Slow Food, prima di tutto, ha infatti dovuto individuare una tecnica lecita per la lavorazione del sangue. Grazie al Consorzio Macelli Pubblici di San Miniato e alla collaborazione della ASL locale è stato messo a punto un sistema di prelievo del sangue direttamente dalla giugulare del suino con un coltello aspirante. Attraverso questo espediente tecnologico, la produzione di mallegato è nuovamente consentita. I pochi produttori rimasti hanno poi sottoscritto un Disciplinare per regolamentare questa preparazione così delicata e che non prevede l’utilizzo di alcun conservante. Ora il presidio dovrà attuare un’operazione di valorizzazione. Il prodotto è infatti gastronomicamente molto interessante, perciò merita di essere conosciuto anche al di fuori dell’ambito locale. La versione classica prevede di insaccare nel budello il sangue crudo e

di condirlo con lardello suino tagliato in cubetti (i dadi di grasso possono essere saltati nel Vin santo o nel vino bianco), lardelli, sale, noce moscata, cannella, pinoli e uva passa. Nell’impasto possono finire anche parti della testa, cotte e macinate. Una volta semipieno, il budello è legato ma senza stringere troppo (da cui il nome mallegato nel significato di “legato male”), per evitare che scoppi durante la bollitura, e poi finisce nel pentolone a bollire sino a che la temperatura al cuore dell’insaccato non raggiunge i 90 °C circa e il sanguinaccio non abbia la consistenza giusta. Oggi si mangia per sfizio: meglio se freddo, tagliato a fette piuttosto spesse, anche due centimetri, infarinato e fritto in padella, accompagnato da legumi o da qualche erba amarognola che contrasta il dolce del sangue e dell’uvetta. Tagliato a fettine più sottili è ottimo con un uovo sbattuto sopra. Un accostamento nuovo, ma particolarmente riuscito, è quello con le cipolle di Certaldo cotte sotto la cenere. Esiste anche la versione senza uva passa, per chi lo preferisce meno dolciastro. Il mallegato, grazie anche ai recenti sforzi di tutela, è stato così rivalutato a San Miniato da aver dato origine, dal 2013, ad una rassegna nazionale. Nata da un’idea dell’Associazione dei Sanguinacci di San Miniato in collaborazione con Slow Food e il comune locale, si tiene in ottobre, in concomitanza con la Mostra Mercato del Tartufo Bianco di San Miniato, ed è intitolata Sangue blu (non soltanto per il colore scuro del sangue di maiale, ma anche perché, com’è noto, i prodotti umili di un tempo stanno adesso diventando i più ricercati). Una “due giorni” che vede coinvolti i produttori di tutte le regioni italiane, affiancati da esperti e critici che spiegano le tipicità legate alla produzione di questi salumi, affiancati dagli chef dell’Alleanza dei Cuochi di Slow Food. Da spiegare, indubbiamente, c’è tanto. Come disse PLINIO IL VECCHIO nel I secolo d.C.: “…da nessun altro animale si trae maggior materia per la ghiottoneria che dal maiale, la carne del maiale dà quasi 50 sapori diversi mentre per gli altri animali il sapore è unico”. E questo vale anche per il sangue e per tutti i sanguinacci. Nunzia Manicardi

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FORMAZIONE

Manager del food Dove studiare per fare del cibo buono e giusto una professione

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l cibo è storia, tradizione, cultura. In una realtà come quella italiana, in cui dalle Alpi alle isole troviamo un patrimonio inesauribile di prodotti che ci rimandano a un passato fatto di artigianalità, anche il cibo — oggi più che mai — può trasformarsi in uno sbocco professionale. Sono parecchie le realtà del mondo accademico che oggi offrono percorsi di studio che formano nuove professioni, dal giornalismo specialistico ai sales manager, ai selezionatori di prodotti per grandi catene, a molto altro ancora. Siamo andati a curiosare in alcuni atenei italiani per vedere qual è oggi l’offerta di corsi di studio studiati per valorizzare ancora di più le ricchezze agroalimentari del nostro Paese.

Pollenzo (CN) All’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (CN) è appena stata riconosciuta la cosiddetta “classe di laurea”, ovvero è diventata una facoltà a tutti gli effetti, non più ricompresa sotto altri corsi di laurea. Lo ha annunciato recentemente CARLO PETRINI, presidente dell’ateneo e di Slow Food, alla cerimonia per il passaggio delle consegne tra il rettore uscente, PIERCARLO GRIMALDI, e quello nuovo, ANDREA PIERONI. Quest’anno, per la prima volta, sono oltre cento le matricole al primo anno del corso di laurea triennale in Scienze Gastronomiche; gli studenti provengono da 27 Paesi diversi. Ad ottobre sono anche iniziati i Master of Gastronomy in inglese, con 54 studenti da 21 Paesi. Si tratta di:

• un Master of Gastronomy: Food in the World della durata di un anno, focalizzato sulle culture alimentari nel mondo, che vanno a fornire risposte e spunti per nuove figure professionali attente ad un panorama gastronomico e sociale in continua mutazione; • un Master in Food Culture, Communications & Marketing, per formare i nuovi manager e buyer del food & beverage internazionale con studenti da tutto il mondo; • un Master in Wine Culture, Communication & Management. Tutti i percorsi di studio sono svolti in lingua inglese e in un contesto fortemente internazionale, con studenti che giungono a Pollenzo da tutto il mondo

A Pollenzo (CN), tra i vari percorsi formativi dell’Università di Scienze Gastronomiche, c’è anche il master in Wine Culture, Communication & Management (photo © Marcello Marengo).

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utilizzando prodotti locali e di stagione, contenendo i costi, nel pieno rispetto dei principi del buono, pulito e giusto. DAVIDE SCABIN, PIER GIORGIO PARINI, AUGUSTO LIMA, NIKO ROMITO, ALICE WATERS, FERRAN ADRIÀ, ALEX ATALA, MASSIMO SPIGAROLI, CARLO CRACCO, MASSIMO BOTTURA, ENRICO CRIPPA, ANA ROS e FULVIO PIERANGELINI sono solo alcuni degli chef che sono transitati e hanno cucinato in questi anni. Sempre a Pollenzo c’è una laurea magistrale in Gestione del Patrimonio Gastronomico e Turistico, pensata per la formazione di professionisti del settore agroalimentare che sappiano sviluppare nuove idee imprenditoriali e trovare soluzioni innovative. Il corso ha un approccio interdisciplinare e uno spazio rilevante per attività operative a contatto con le imprese e le istituzioni, quali i field project e il tirocinio finale. Gli insegnamenti impartiti nel corso di laurea hanno un focus sui temi della Food Innovation and Entrepreneurship, e mirano a sviluppare nei partecipanti competenze imprenditoriali e di gestione dei processi d’innovazione. >> Link: www.unisg.it

In alto: sono parecchie oggi le realtà del mondo accademico che offrono percorsi di studio volti alla formazione di nuove professioni legate al variegato mondo del “food” (photo © .shock stock.adobe.com). In basso: nell’ateneo del capoluogo emiliano, dal 2004 è attivo il corso di laurea in Scienze gastronomiche (in foto, uno scorcio di Parma e del suo omonimo torrente che divide in due la città; photo © eddygaleotti – stock.adobe.com). Interessanti anche le Tavole Accademiche, che sono la mensa dell’Università. Un luogo che coniuga educazione, alta cucina, costi equi e prodotti locali. Tra gli accorgimenti adottati ci sono: la preparazione di piatti stagionali a base di prodotti locali; gli arredamenti e i componenti per la fruizione del cibo

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in materiali ecosostenibili; l’impiego di attrezzature a ridotto consumo energetico; e un sistema di prenotazione che riduce alla fonte gli sprechi alimentari. E proprio alle Tavole Accademiche ogni anno giungono 25 chef provenienti da vari continenti che preparano per gli studenti piatti della propria tradizione

Parma Considerata la crescente attenzione dei media e del turismo verso il settore enogastronomico, il Dipartimento di Scienze degli Alimenti, nel 2004, ha istituito il primo corso di laurea pubblico dedicato al complesso mondo della qualità gastronomica degli alimenti e della comunicazione. Il corso di laurea in Scienze gastronomiche affronta così gli aspetti legati alla conoscenza e alla valorizzazione degli alimenti e dei luoghi ove questi sono prodotti. La formazione in Scienze gastronomiche, oltre ad una conoscenza di base degli aspetti scientifici, tecnici e nutrizionali degli alimenti, pone attenzione alla “cultura” del cibo, approfondendone gli aspetti storici, antropologici, psicologici ed economici. L’articolazione del corso è prevista su tre anni, durante i quali sono proposte agli studenti lezioni frontali, esercitazioni pratiche, tirocini e stage aziendali. Gli sbocchi di questo percorso formativo sono molteplici, dal turismo enogastronomico alla produzione e distribuzione dei prodotti tipici e della gastronomia, al lavoro presso i Consorzi di Tutela e valorizzazione dei

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Considerata la crescente attenzione dei media e del turismo verso il settore enogastronomico, il Dipartimento di Scienze degli Alimenti di Parma ha istituito già nel 2004 il primo corso di laurea pubblico dedicato al complesso mondo della qualità gastronomica degli alimenti e della comunicazione

Il Master in Valorizzazione delle tipicità agroalimentari ed enogastronomiche che inizia a Modena a gennaio 2018 tocca anche i temi della produzione vinicola del territorio emiliano (photo © ChiccoDodiFC – stock.adobe.com). prodotti tipici, fino alle attività commerciali specializzate, comunicazione ed educazione alimentare.

A gennaio partirà un Master inValorizzazione delle tipicità agroalimentari ed enogastronomiche all’interno dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Di particolare importanza per la formazione dei nuovi manager sarà il tirocinio con la realizzazione di un progetto presso l’azienda o l’ente ospitante

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>> Link: cdl-sg.unipr.it Modena Partirà a gennaio 2018 un Master in Valorizzazione delle tipicità agroalimentari ed enogastronomiche all’interno dell’Università di Modena e Reggio Emilia. «Agli studenti, già in possesso di una base conoscitiva generale di produzioni e preparazioni agroalimentari, il master fornirà un corpus di competenze di stampo manageriale, inerente le varie attività che concorrono alla valorizzazione, commercializzazione e trasformazione dei prodotti DOP e IGP, comunicazione d’impresa e distribuzione, elaborazione gastronomica e somministrazione, comunicazione istituzionale e gestione dei marchi e delle denominazioni, capacità aggregativa e promozione

turistica, capacità esportativa ed espositiva», ha detto EMIRO ENDRIGHI, docente dell’ateneo e vicepresidente del Polo museale universitario. Sono ammessi al corso, di durata annuale con conclusione prevista a dicembre 2018, un massimo di 20 studenti il cui impegno didattico d’aula, tra lezioni, workshop e testimonianze, è di 370 ore, mentre 375 ore saranno dedicate allo stage. «Di particolare importanza per la formazione del futuro manager del settore — ha detto la prof.ssa PATRIZIA FAVA — sarà il tirocinio, della durata di 375 ore, che consisterà nella messa a punto e realizzazione di un progetto di valorizzazione presso l’azienda o ente ospitante, con la supervisione del docente di riferimento». Possono accedere al master tutti coloro che sono in possesso almeno della laurea triennale o di una laurea del vecchio ordinamento. >> Link: www.valoretipicita.unimore.it

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MERCATI

Un grande anno per l’export agroalimentare L’export agroalimentare italiano nel 2017 si appresta ad oltrepassare i 40 miliardi di euro, spinto dalla crescita nelle vendite oltre frontiera di vino, salumi e formaggi. Un risultato rilevante per una filiera che, dall’agricoltura alla ristorazione, vale il 9% del PIL italiano. Il 60% dell’export da sole quattro regioni: Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte

La vetrina di Lucca Ravioli Company, la frequentatissima salumeria di San Francisco meta di appassionati del made in Italy, tra salumi, vini selezionati, pasta e prodotti da forno.

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econdo le stime di NOMISMA AGRIFOOD MONITOR, quest’anno l’export agroalimentare italiano oltrepasserà i 40 miliardi di euro, grazie ad una crescita superiore al 6% rispetto all’anno precedente. A spingere il settore verso un nuovo record nelle vendite oltre frontiera sono soprattutto le esportazioni dei prodotti simbolo del made in Italy alimentare, vale a dire vino, salumi e formaggi, che dovrebbero chiudere l’anno con un aumento nell’export compreso tra il 7 e il 9%. Guardando invece ai mercati di destinazione, sono soprattutto i Paesi extra-UE (seppure rappresentino ancora meno del 35% dell’export totale) ad evidenziare i tassi di crescita più elevati. Tra questi Russia e Cina, con variazioni negli acquisti di prodotti agroalimentari italiani a doppia cifra (oltre il 20%), benché il loro “peso” continui ad essere marginale sul totale dell’export (meno del 2%). In linea invece con la media di settore le esportazioni verso Nord America e paesi UE (dati gennaio-luglio 2017). «L’aumento dell’export unito ad un consolidamento della ripresa dei consumi alimentari sul mercato nazionale (+1,1% le vendite alimentari nei primi nove mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2016) prefigurano un 2017 all’insegna della crescita economica per le imprese della filiera agroalimentare», dichiara DENIS PANTINI, responsabile dell’area Agroalimentare di NOMISMA. Una filiera che dalla produzione agricola alla distribuzione al dettaglio e ristorazione vale oltre 130 miliardi di euro di valore aggiunto (pari al 9% del PIL italiano), genera lavoro per oltre 3,2 milioni di occupati (il 13% del totale) e coinvolge 1,3 milioni di imprese (il 25% delle aziende attive iscritte nel Registro Imprese delle Camere di Commercio). Ma la rilevanza strategica della filiera agroalimentare va oltre i valori assoluti e si esprime nella sua capacità di tenuta e salvaguardia socioeconomica anche in tempo di crisi. «Dallo scoppio della recessione globale (2008) ad oggi — continua Pantini — il valore aggiunto della filiera agroalimentare italiana è cresciuto del 16%, contro un calo di oltre l’1% registrato dal settore manifatturiero e un recupero del 2% del totale economia, avvenuto in maniera significativa solamente a partire dal

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2015». Non male per un settore fortemente frammentato, dove le imprese alimentari con più di 50 addetti (quelle medio-grandi) rappresentano appena il 2% del totale, quando in altri paesi competitor (come la Germania) questa incidenza arriva al 10%. E questo spiega anche perché la propensione all’export della nostra industria alimentare sia pari al 23% contro il 33% della Germania, o, visto da un’altra angolatura, perché le nostre esportazioni, per quanto in crescita, siano ancora molto inferiori a quelle francesi (59 miliardi di euro) o tedesche (73 miliardi). La presenza di imprese più dimensionate unita a reti infrastrutturali più

sviluppate nonché a produzioni alimentari maggiormente market oriented spiegano anche perché oltre il 60% dell’export italiano faccia riferimento ad appena 4 regioni: Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte, mentre al contrario tutto il Sud del Paese incida per meno del 20%. Un differenziale che rischia di allargarsi ulteriormente anche in quest’anno di trend favorevole ai nostri prodotti, dato che nel primo semestre 2017, mentre le regioni del Nord Italia hanno messo a segno una crescita di oltre il 7% nelle vendite oltre frontiera, quelle del Mezzogiorno non sono riuscite a raggiungere il +2%. (Fonte: NOMISMA, www.nomisma.it)

Figura 1 – Top exporter agroalimentari mondiali (miliardi di euro)

Fonte: NOMISMA su dati UN-comtrade. Figura 2 – Export agroalimentare italiano per regione (% sui valori, 1o semestre 2017)

Fonte: NOMISMA su dati Istat.

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Made in Italy, l’eccellenza a tavola in “Filiera Italia” Per la prima volta agricoltura e industria alimentare italiana d’eccellenza insieme per difendere, sostenere e valorizzare il made in Italy. È questo l’obiettivo della nuova realtà associativa promossa da Coldiretti, Ferrero, Inalca/Cremonini e Consorzio Casalasco (Pomì e De Rica), che ha tra i soci fondatori Bonifiche Ferraresi, Ocrim, Farchioni Olii, Cirio Agricola, Donna Fugata, Maccarese, Ol.Ma, Giorgio Tesi Group, Terre Moretti (Bellavista) e Amenduni Spa. Una compagine riunita attorno ai valori comuni dell’identità territoriale e nazionale, della trasparenza e della sostenibilità, in una logica di consumo consapevole, ma anche finalizzata a far conoscere e diffondere le pratiche alimentari basate sui principi della Dieta Mediterranea attraverso la combinazione di tutti gli ingredienti utili ad un’alimentazione sana, variata ed equilibrata. Secondo LUIGI CREMONINI (in foto), neoeletto presidente dell’associazione, «nasce finalmente un’alleanza di filiera che mette insieme due componenti preziose e reciprocamente imprescindibili del più importante settore di questo Paese: la produzione agricola e l’industria italiana di trasformazione alimentare. Finisce una contrapposizione immotivata e fuorviante e nasce un’alleanza che tutela la vera distintività e l’eccellenza della produzione agroalimentare italiana. Un nuovo protagonista fiero ed orgoglioso di rappresentare in Italia ma anche sui mercati mondiali, sia i prodotti di eccellenza del vero made in Italy, sia il modello efficiente e sostenibile dell’agroalimentare italiano che tutto il mondo ammira e richiede». «Si tratta di una nuova forma di rappresentanza in cui Coldiretti, insieme a campioni industriali nazionali dei rispettivi settori, compresi i mezzi tecnici per l’agricoltura e la tecnologia avanzata per la trasformazione alimentare, sono uniti per la realizzazione di accordi economici e commitment concreti, finalizzati ad assicurare la massima valorizzazione della produzione agricola nazionale anche attraverso la realizzazione di contratti di filiera sostitutivi dell’ormai superata stagione della sterile interprofessione», ha affermato il neo-vicepresidente ENZO GESMUNDO. L’associazione avrà sede a Roma presso la Coldiretti in via XXIV Maggio 43 e avrà, in qualità di presidente del Comitato scientifico, il prof. PAOLO DE CASTRO. Una delle prime battaglie che vedrà impegnata “Filiera Italia” sarà quella contro l’etichettatura a semaforo inglese, oggi replicata e aggravata dal nutriscore francese, che penalizza un prodotto d’eccellenza come l’olio d’oliva e avvantaggia incomprensibilmente prodotti come l’olio di colza.

Quinto elemento: on-line il cortometraggio di ICE e Federalimentare «Il Quinto Elemento è un cortometraggio realizzato dall’Agenzia ICE nell’ambito delle iniziative del Piano Straordinario per il made in Italy del Mise. L’obiettivo è quello di promuovere le eccellenze del settore agroalimentare italiano nel mondo. Il titolo evoca la capacità tutta italiana di trasformare le materie prime, frutto dei quattro elementi naturali, in prodotti straordinari. Questa capacità è il nostro quinto elemento, fatto di tradizione, unicità del territorio, processi tecnologici e attenzione alla qualità, che rendono i nostri prodotti unici». Così i presidenti di ICE e Federalimentare, rispettivamente Michele Scannavini e Luigi Scordamaglia, sintetizzano l’obiettivo del video “The Fifth Element”, realizzato dall’Agenzia ICE, con il supporto operativo della Federazione dell’Industria alimentare italiana, nell’ambito delle iniziative del Piano straordinario per il made in Italy del Governo italiano. Il cortometraggio è stato mostrato in anteprima in occasione della presentazione della Settimana della cucina italiana nel mondo a Villa Madama, a Roma. • Ecco il link al video: youtu.be/8262LZEfcEY

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Recenti studi dimostrano che il gusto è condizionato dall’altezza sul livello del mare

Gusto e prodotti tipici di montagna di Giovanni Ballarini Speck tirolese tradizionale con gorgonzola in padella (photo © iMarzi — stock.adobe.com).

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a cucina di montagna, per comune opinione soprattutto di chi arriva dalla pianura, è ricca di sapori marcati dovuti a cibi affumicati con legni resinosi e l’uso di condimenti con erbe intensamente aromatiche. Di forte gusto sono anche i prodotti tipici montani e tra questi le carni conservate e i formaggi stagionati. Queste caratteristiche sono

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state spiegate con la necessità che i montanari avevano di conservare gli alimenti usando il fumo e non il sale marino, un tempo molto costoso e usato con molta parsimonia o per niente, tanto da provocare, in talune vallate alpine, il gozzo per mancanza dello iodio portato dal sale. In modo analogo, le intense fragranze delle piante aromatiche sono state interpretate

come una conseguenza delle condizioni pedoclimatiche delle montagne. Queste pur valide spiegazioni oggi devono essere integrate con un’altra condizione, quella dei cambiamenti del gusto provocati dall’aria rarefatta di montagna e che ha spinto i montanari a produrre alimenti molto saporiti, sviluppando una cucina aromatica e prodotti tipici dagli intensi sapori.

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Emmental svizzero (photo © xfotostudio – stock.adobe.com). Aria rarefatta e gusto del cibo Da qualche tempo, nella competizione commerciale tra le compagnie aeree, si è inserita anche la cucina di bordo — che ovviamente non riguarda le brevi tratte e le compagnie low cost —, soprattutto per i viaggiatori di prima classe. Il cibo è un importante elemento nella vita quotidiana e diverse persone lo apprezzano durante i lunghi viaggi aerei, dove le costrizioni sono molte, iniziando dal divieto di fumare. Per questo alcune compagnie si sono rivolte a chef

stellati e persino sommelier per offrire ai passeggeri le loro creazioni, con piatti appositamente studiati, o particolari abbinamenti. Volendo fornire ai passeggeri un servizio di qualità, ci si è accorti però che i piatti non soddisfacevano la clientela, perché mantenevano un gusto piatto, nonostante gli sforzi dei cuochi che nelle loro cucine, a terra, facevano del loro meglio. Per chiarire questi insuccessi sono state eseguite ricerche sensoriali per conoscere meglio come il cibo è apprezzato quando è consumato a bordo dei moderni aerei passeggeri,

Se gusti come il salato e il dolce scompaiono, è altrettanto provato che alcuni risultino maggiormente esaltati nei cieli. Un esempio particolare lo fornisce il pomodoro o, meglio, il suo succo. La chiave di tutto sarebbe l’umami, il gusto sapido. Sono parecchi gli alimenti che lo possiedono naturalmente: dal prosciutto stagionato al parmigiano, dai pomodori maturi alla colatura di alici e ai diversi tipi di funghi

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dove vi è un’atmosfera simile a quella che vi è in montagna all’altezza di circa duemilacinquecento metri. Le indagini sulle capacità gustative dei cibi ad alta quota hanno portato a stabilire che l’altitudine diminuisce la sensibilità delle papille gustative e, soprattutto, che l’aria rarefatta modifica sensibilmente l’olfatto, che come retrogusto determina per l’80% l’apprezzamento del cibo, come si può constatare quando, soffrendo di raffreddore, i cibi perdono di aroma, sapore e gusto. La diminuzione della pressione atmosferica, i ridotti livelli di ossigeno e la secchezza dell’aria causata dalla climatizzazione degli aerei sono risultati molto importanti per l’apprezzamento degli alimenti, senza considerare che lo scompenso nei ritmi circadiani della notte e del giorno, i rumori e le vibrazioni presenti negli aerei, causano uno stress che, insieme a fattori emotivi come ansia e paura, riducono la capacità di gustare il cibo. Indagini più dettagliate stabiliscono inoltre che ad alta quota diminuisce la percezione degli odori e del gusto dolce e salato. Sulla base di queste conoscenze i cuochi delle com-

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Esistono diversi fattori che possono influenzare il gusto ad alta quota, anzi, più precisamente, esistono alcuni parametri che possono modificare temporaneamente la sensibilità delle papille gustative: umidità, pressione dell’aria, olfatto e persino senso dell’udito Sugli aerei oggi vengono serviti menu ambiziosi, tipici dei ristoranti tradizionali, soprattutto nei voli lunghi o molto lunghi. Le compagnie aeree devono però vedersela con una serie di ostacoli. Una delle sfide più difficili è rispondere ai problemi dell’altitudine e delle cabine pressurizzate. L’assenza di umidità fa infatti perdere ai passeggeri il senso dell’olfatto e del gusto: le papille gustative perdono circa il 30% della loro capacità. Per bilanciare la perdita di gusto, nei piatti si aggiungono spezie e erbe aromatiche (photo © ribalka yuli – stock.adobe.com). pagnie aeree, non potendo ravvivare i sapori aumentando semplicemente il sale, responsabile di disidratazione e da evitare nelle persone anziane, oggi si indirizzano sull’uso di spezie, erbe, condimenti e soprattutto di quelli ricchi del gusto umami, che non è interessato dall’aria rarefatta dell’alta quota. L’umami è il quinto gusto dopo il dolce, il salato, l’amaro e l’acido, identificato per la prima volta in Giappone1. È naturalmente presente in molti alimenti come le alghe, lo sgombro, i pomodori, i funghi, gli insaccati e, soprattutto, i formaggi stagionati e tra questi i grana (Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Trentingrana) e nei formaggi di montagna dai sapori forti, come tome e tomini, Fontina ed altri tipi similari. Gusto della cucina di montagna I risultati delle ricerche eseguite per le compagnie aeree danno la possibilità d’interpretare e conoscere meglio i sapori forti e gli aromi delle cucine di montagna, ma qui bisogna aggiungere un altro tassello, ovvero quello della temperatura dell’acqua di cottura degli alimenti. In

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montagna, per la minore pressione atmosferica, l’ebollizione dell’acqua avviene a temperature più basse che non in pianura: 100 °C a livello del mare e 70 °C a tremila metri. In modo analogo bollono a minor temperatura anche gli altri liquidi usati in cucina. In una cucina a “bassa temperatura” si mantengono intatti gli amminoacidi naturali del cibo, i carboidrati e gli acidi organici dell’alimento così come gli aromi, senza aggiungere un singolo insaporitore o additivi, nemmeno il sale, riducendo anche la perdita di peso e aumentando quindi il rendimento stesso delle verdure. Gusto dei prodotti tipici di montagna Quanto ora conosciamo sul ruolo della pressione atmosferica e, quindi, dell’altezza sul livello del mare del luogo dove si producono e si apprezzano i cibi, contribuisce a spiegare come le variazioni del gusto indotte dall’aria rarefatta siano alla base di una cucina di montagna aromatica e determini anche la produzione di alimenti affumicati e di formaggi molto fermentati

e ricchi di umami. Allo stesso modo, si comprende come la cucina di montagna sia migliore se gustata sul posto e non in pianura, dove quella cucina può sembrare troppo carica di aromi e sapori (e ci si può quindi rendere conto perché molti, se non tutti, i prodotti tipici di montagna siano nati per essere e consumati in ambienti dove vi era una scarsa sensibilità gustativa). Questi stessi prodotti, per poter essere esportati con successo, devono infatti essere alleggeriti nel gusto, come è per esempio avvenuto per le carni conservate come la bresaola, lo speck o per alcuni formaggi come Fontina o Emmental. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota 1. Si tratta del gusto sapido, scoperto dopo il dolce, l’acido, il salato e l’amaro e identificato nel 1909 da Kikunae Ikeda, professore presso l’Università Imperiale di Tokyo, nel brodo dashi, elemento fondamentale nella cucina giapponese a base di alga kombu e bonito, il tonnetto essiccato.

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Valutazione sensoriale dei salumi di Giovanni Ballarini Salsicce secche di cinghiale (www.battilanisapori.com). Sia per la parte esterna che per quella centrale di un salume, con l’esercizio è possibile apprezzare grandi varietà di aromi, che permettono di meglio qualificare il prodotto.

“B

uono questo salame”; “Non mi piace, non è certo come quello della mia infanzia”; “A casa mia, quando si ammazzava il maiale, i salumi avevano un sapore diverso”… Queste e tante altre sono affermazioni più o meno apodittiche con le quali esprimiamo generalmente il nostro giudizio sui salumi così come

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su altri alimenti. Giudizi fortemente condizionati da ricordi personali e per niente oggettivi, come invece dovrebbe essere una corretta comparazione della qualità di salumi dello stesso tipo anche in relazione all’evoluzione nel tempo. Qual era la qualità e, soprattutto, la tipologia dei salumi di trenta, sessanta e più anni fa? Oltre a ricordi labili e molto soggettivi, dobbiamo ammettere

che non lo sappiamo, ma avremmo potuto conoscere i loro caratteri se si fossero fatte valutazioni sensoriali standardizzate, annotate su schede e in documenti scritti. Per formulare un giudizio oggettivo su un salume (o su ogni altro alimento) è infatti necessaria un’analisi sensoriale che segua criteri uniformi e ripetibili, con registrazione dei risultati in punteggi. Solo in questo

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modo, confrontando le diverse preparazioni salumiere tra diversi produttori e la loro evoluzione nel tempo, è possibile un miglioramento della produzione, compiendo anche precise modificazioni che vengano incontro alle esigenze dei consumatori. Senza entrare nel dettaglio della grande varietà di salumi italiani, certamente un migliaio se non più, tre sono le linee generali sulle quali si compie una corretta valutazione sensoriale: fase visiva, fase olfattiva e fase gustativa-tattile. Va premessa, naturalmente, la necessità che a compiere l’analisi siano assaggiatori ben preparati che svolgono la loro opera in un ambiente adatto e in condizioni idonee per illuminazione, assenza di odori estranei, ecc… Fase visiva La vista prima di tutto, che si dirige sul salume intero e sulla sua fetta o porzione. La valutazione visiva del pezzo intero ha una grande importanza per i salumi tradizionali DOP e IGP e i disciplinari di produzione definiscono precise indicazioni di dimensioni (peso), forma e aspetto esterno, ivi compresa la presenza di uno strato di muffe delle quali rilevare le caratteristiche, quando poi non sia obbligatoria la presenza di un marchio impresso a fuoco. La fase visiva prosegue con l’esame della fetta o della porzione, considerando la sua uniformità, la struttura, eventualmente il tipo e la regolare distribuzione dell’impasto o di suoi particolari componenti (lardelli, ecc…). L’integrità della fetta e l’assenza di discontinuità (buchi) è un parametro importante per alcuni prodotti come i salami cotti e crudi, pancette, mortadelle e prosciutti cotti. La presenza di precipitati (come nei prosciutti) è inoltre segno di un invecchiamento quasi sempre eccessivo. In questa fase si devono dare giudizi che riguardano l’uniformità del colore e la sua saturazione nella parte magra e grassa, la quantità di grasso apparente, la dimensione e la distribuzione degli eventuali lardelli, la presenza di cavità anomale o di essudazioni ed eventuali altre difformità o irregolarità. Fase olfattiva Annusando la fetta presa con una forchetta (per non pregiudicare gli odori), bisogna considerarne la parte interna

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e quella periferica. Nella parte esterna dei salumi fermentati, e soprattutto nei salami di taglia grande e media, vi è una disidratazione maggiore e una proteolisi più spinta, dalla quale originano composti aromatici (e sapidi). Gli aromi e odori della parte esterna sono inoltre influenzati dal tipo di involucro e dalle muffe di superficie, che possono dare odore di muffa o di cantina, tipici per taluni salumi, sgraditi in altri. Nella parte interna prevalgono gli odori e gli aromi che, secondo il tipo di salume, derivano dalle fermentazioni microbiche e/o asettiche. Nella parte interna dei salami crudi prevalgono gli aromi delle spezie aggiunte all’impasto, mentre nei salumi cotti intervengono gli odori derivati dalla reazione di Maillard. Sia per la parte esterna che per quella centrale, con l’esercizio è possibile apprezzare una grande varietà di aromi, che permettono di meglio qualificare il prodotto, e quindi di ottenere un giudizio qualitativo sia positivo (aromi graditi) che negativo (aromi sgraditi e puzze). In questa fase, molto complessa, si possono identificare aromi di tipo speziato (spezie, aglio o erbe aromatiche), di frutta secca/ essiccata, di tipo vegetale (fresco, balsamico, frutta, ecc…), di fermentato, e altri odori anche sgradevoli (muffa, solfurei, putrido, rancido, di budello e carne fresca e altri), valutandone anche la loro intensità, annotandola sempre con punteggi. Fase gustativa-tattile Dopo aver addentato una giusta porzione del salume, bisogna procedere a una sua lenta e protratta masticazione, durante la quale scaldare il boccone e soprattutto portare in soluzione nella saliva i costituenti per favorirne la loro percezione, che deve comprendere gli aspetti fisici di consistenza (in particolare la morbidezza) e quelli gustativi dei cinque sapori fondamentali (dolce, salato, amaro, acido, piccante, umami). In questo processo si devono liberare gli aromi sciolti nel grasso (liposolubili), diversi da quelli non liposolubili e già apprezzabili nella precedente fase olfattiva, perché questi aromi, passando in una fase aeriforme, sono percepibili in via retro-olfattiva. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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TRADIZIONI

Panettone gastronomico, festa in tavola di Clara Scaglioni

S

i presenta nel bel mezzo della tavola, spesso agghindato con un nastro colorato per attirare l’attenzione, farsi ammirare e pare dire ai presenti: “sono qui per voi, assaggiatemi”. Il panettone gastronomico ha fatto la sua comparsa alcuni anni fa sulle tavole dei più eleganti buffet natalizi ed è subito diventato un must perché molto comodo nella preparazione e nella presentazione. Viene realizzato utilizzando la pasta brioche e lo si cuoce in uno stampo a forma del classico panettone. Dopo la cottura vie-

ne tagliato, farcito, trasformato in tanti deliziosi tramezzini/panini dai gusti differenti poi ricomposti e riassemblati in modo da ridargli l’aspetto iniziale. Dal momento delle sue prime, timide apparizioni, un buffet non è stato considerato “in” o elegante se non ne venivano serviti almeno due o tre farciti con ripieni dai gusti differenti l’uno dall’altro. Per il ripieno, infatti, ci si può davvero sbizzarrire, preparando le farciture più fantasiose e che più ci piacciono a base di carne, di pesce o verdure. Ma sono i salumi i protagonisti incontrastati

del panettone gastronomico: prosciutto crudo o cotto, mortadella, salame, uniti a formaggi diversi, che siano facilmente spalmabili, salmone leggermente affumicato, gamberi, tonno, ecc… Come spesso succede quando ci presentano una novità, viene spontaneo cercare eventuali agganci o parentele con piatti della nostra tradizione. Specialità tipiche a cui collegare il panettone gastronomico si trovano in molte località dell’Italia centrale, con le debite varianti, legate però tra loro da un comune denominatore perché

Re degli antipasti natalizi, il panettone gastronomico si può farcire in mille modi, con pesce, verdure, mousse colorate, ma anche e soprattutto con i nostri ottimi salumi e formaggi (photo © Marzia Giacobbe – stock.adobe.com).

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preparate, per tradizione, nei giorni a ridosso della Pasqua. In questo periodo, infatti, nelle Marche si fa la crescia, nel Lazio la pizza pasquale e in Umbria si tramanda da secoli, di generazione in generazione, la ricetta della torta di Pasqua al formaggio, in versione dolce o salata, accanto alla torta al testo. La torta di Pasqua umbra, preparata quasi sempre nella versione salata con un impasto in cui sono presenti vari tipi di formaggio come pecorino, parmigiano, gruviera, è chiamata torta, ma la forma e l’aspetto sono quelli del classico panettone milanese. A Perugia, durante la Settimana santa, ogni famiglia si prodiga per prepararla secondo la propria ricetta personale e la sera del sabato la porta in chiesa, per farla benedire; la servirà, insieme alle uova sode e al capocollo, la mattina di Pasqua durante la colazione. Essendo un saporitissimo companatico,oggi lo si consuma oramai tutto l’anno, tagliato a fette orizzontali farcite con maionese, prosciutto a fette, salame o tonno. La differenza tra questa torta e il classico panettone è l’impasto di base, reso saporito e gustoso da tre tipi di formaggio. La torta al testo, altra specialità del territorio, è invece una focaccia impastata con pecorino e parmigiano, lasciata lievitare, cotta sul testo e mangiata farcita con affettati vari. La pizza ricresciuta laziale, preparata per tradizione sempre nella Settimana santa, anch’essa a forma di panettone, si mangia la mattina di Pasqua con la corallina, un salume locale tipico, uova sode e cioccolata calda. È caratterizzata dalla presenza, nel suo impasto, di aromi e spezie, simboli, un tempo, di ricchezza e prosperità e, se si pensa all’alto valore che sempre le spezie hanno avuto, si comprende come tale piatto comparisse sulle tavole solo in speciali periodi dell’anno.

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In alto: panettone gastronomico realizzato con lievito madre, farcito con salmone e salumi (photo © lapanciadellupo.blogspot.it). In basso: la torta di Pasqua umbra. Ha la forma del panettone e si mangia a colazione il giorno di Pasqua insieme a salumi e formaggi (photo © Mysweetworld – Fotolia).

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Il panettone gastronomico è un lievitato salato farcito a strati, perfetto per la tavola delle feste come gustoso antipasto o aperitivo. Ogni strato di tramezzini può essere farcito come vi suggerisce la fantasia, con salumi, formaggi spalmabili, mousse e verdure. Soffice, profumato e buonissimo sia col dolce che col salato La crescia pesarese è, nel panorama culinario del centro Italia, un altro buonissimo e saporito panettone gastronomico nel cui impasto vengono messi vari tipi di formaggio che lo rendono gustoso, adatto ad essere mangiato sia come profumato companatico che come base di ottimi tramezzini. Quando si parla di crescia va ricordato come ci

si dovrebbe riferire ad una specialità dalle origini antiche, vagamente simile alla piadina, derivata, secondo ricerche storiche, dalla presenza bizantina sul territorio e dal pane che preparavano. Nelle aree settentrionali e centrali delle Marche il nome di crescia è usato anche per indicare un altro alimento, una torta salata alta detta pizza di Pasqua o piz-

za di formaggio, tipica del pesarese, dell’anconitano e del maceratese, il cui impasto è arricchito da formaggio pecorino che le dona un colore dorato e un sapore forte e gustoso. Anche se non ha le caratteristiche tipiche del panettone gastronomico, vale la pena di ricordare la smörgåstårta, una specialità tipica dei paesi nordici, Svezia in particolare. Si realizza mettendo uno sull’altro dei tramezzini lunghi e larghi e farcendo ogni singolo strato con fette di salmone affumicato alternato a maionese, gamberetti, formaggio morbido, insalata, ecc… Si ottiene alla fine una torta piuttosto grossa e molto alta che, una volta tagliata, si tramuta in tanti tramezzini dai gusti e dai colori diversi uno dall’altro. Clara Scaglioni

Chi ha inventato il Tiramisù? Il dibattito sulla paternità del Tiramisù — uno dei dolci più conosciuti ed apprezzati del mondo — è accesissimo e tutt’ora aperto. Recentemente sono scesi in campo anche i 21 chef del Consorzio Friuli Venezia Giulia Via dei Sapori, reinterpretando il Tiramisù in 21 personali ed originali versioni (versioni che si potranno gustare nei loro ristoranti fino a Natale). L’origine di questo dolce, che in Friuli Venezia Giulia viene rivendicata da due locali, il Vetturino di Pieris e il Roma di Tolmezzo, fu nel segno di un dessert innovativo, che poi divenne un classico, per il principio stesso che la tradizione è un’innovazione andata a buon fine. «E da qui siamo partiti — ci ha raccontato Walter Filiputti, presidente del Consorzio — coinvolgendo gli chef dei 21 ristoranti del nostro sodalizio a raccontare la tradizione del Tiramisù attraverso la sua innovazione». A lanciare l’idea è stato però Manlio Collavini, Il Signore della Ribolla gialla, il quale, a metà della vendemmia 2017, ha proposto ai ristoratori di FVG Via dei Sapori di dare al Tiramisù tradizionale un tocco di modernità. Da parte sua, Collavini ha preparato un mosto di Ribolla gialla, la stessa dalla quale ottiene l’omonimo Brut. Il Ratafià di Ribolla (denso, giallo paglierino, sentori di limone e cedro, molto dolce) è stato realizzato col metodo dell’ice wine: dopo aver congelato l’uva raccolta, la si spreme per eliminare l’acqua e conservare solo il puro succo. Il 29 settembre la Cantina Collavini ha consegnato a tutti i ristoranti le bottiglie di Ratafià. Da quel giorno gli chef hanno incominciato a concepire il “loro” inedito Tiramisù, con un solo obbligo: oltre agli ingredienti tradizionali, usare il Ratafià di Ribolla. Il racconto di questa innovazione non poteva non avere nel caffè — la cui cultura è da secoli radicata in regione — un ulteriore elemento di ricerca. Oro Caffè, storica torrefazione udinese, ha consigliato la sua miscela 100% Arabica Rose, opportunamente estratta per armonizzarsi alle diverse interpretazioni di Tiramisù create dagli chef. Ed ecco così che, per la gioia dei golosi, fino Natale sarà possibile intraprendere un goloso percorso fra Tiramisù contemporanei d’autore.Tiramisù al cucchiaio o a tronchetto, scomposti nei loro ingredienti o assemblati in soffici golosità. E, come tocco finale, fiori eduli e menta fresca, uva di Ribolla gialla caramellata, briciole d’oro e bubble al caffè, ma anche l’immancabile spolverata di cacao (in foto, il tiramisù della trattoria Al Paradiso, nell’omonima località in provincia di Udine). >> Link: www.friuliviadeisapori.it

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


WEEK-END

La storia del foie gras di Josette Baverez Blanco

È

per noi consuetudine andare in Dordogna, in autunno, a preparare personalmente i nostri foies gras di anatra e di oca. Non può infatti mai mancare questo piccolo lusso sulle tavole delle feste anche se, oramai, il foie gras si serve tutto l’anno a chi lo sa apprezzare e assaporare al di là di critiche ed osservazioni sul suo metodo di ottenimento.

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La storia del foie gras inizia in cielo e non a caso è entrato nella gastronomia dell’Alsazia e in quella del Sud-Ovest della Francia, punti di partenza e di passaggio di questi volatili. Infaticabili, lasciano il vecchio continente nei mesi autunnali per lidi più caldi passando dallo stretto di Gibilterra come le cicogne. Dovendo percorrere centinaia di chilometri senza fermarsi, la natura

li ha provvisti di un fegato capace di ingrassare facendo un preventivo pieno di cibo. Fegato e tessuto sottocutaneo si riempiono di grasso in previsione del lungo viaggio. Questi palmipedi hanno quindi un particolare metabolismo che è stato sfruttato nelle due regioni francesi citate. Le norme europee del gennaio 2016 hanno imposto condizioni non violente per il gavage, considerato da

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A sinistra: autunno nel Périgord, Vallée du Lot, Francia (photo © Jimjag – stock.adobe.com). In alto: foie gras con salsa di ciliegie e fichi (photo © Maksim Toome – stock.adobe.com).

tanti come una vera e propria tortura. Una particolare selezione degli animali e i progressi tecnici permettono oggi una riduzione del tempo di alimentazione forzata. Il tempo dell’operazione detta embucquage, da embuc, il tubo liscio e conforme all’anatomia dell’animale che viene introdotto nel becco, dura dai 4 ai 6 secondi. Per ingrossare un fegato d’oca fino ai 700/800 etti occorrono

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25 chili di mais in circa un mese, tre/ quattro volte al giorno. L’anatra invece è nutrita solo 2 volte al dì, con 15 chili di mais per poco più di 2 settimane e il suo fegato non supera i 400 grammi quindi la metà dell’oca. Il rapporto di vendita è di un’oca per 25 anatre. Anatre e oche vivono in locali sani, ben ventilati, con spazio per muoversi a piacere, una sorta di parco collettivo.

Da fine ottobre a Natale, in tutti i villaggi del Sud-Ovest della Francia, là dove scorre lentamente la Dordogna, si svolgono mercati particolari, i cosiddetti Marché au gras o Foires au gras, dove si possono acquistare gli animali interi o solo i fegati già ingrassati a mais e pronti per essere lavorati. Se si acquistano interi, si possono utilizzare per cucinare il

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In alto: foie gras ricoperto di pangrattato con confettura di mango (photo © www. odelices.com). In basso: foie gras in conserva (photo © apatchi — stock.adobe.com). confit de canard, cosce conservate sotto grasso, il cassoulet, collo farcito, la terrine, con aggiunta di carne di maiale, e persino le ossa raschiate per fare i grattons. Inutile voler confrontare il fegato d’oca con quello d’anatra: hanno due sapori diversi e due prezzi diversi (l’anatra necessita di un gavage più breve; da qui, il prezzo più basso), ma ciò non ne determina il pregio. Il fegato d’oca ha un profumo più fine mentre

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l’anatra sa un po’ più di selvatico e ha dimensioni minori. Foie gras, mi-cuit e torchon Esistono varie elaborazioni del foie gras; una di queste è il mi-cuit, ovvero una semi-conserva di fegato grasso. Come per ogni altra preparazione, ognuno ha la propria ricetta, con tempi e metodi differenti. Per la ricetta classica detta à l’ancienne il fegato naturale viene condito solo con sale e pepe e che

cuoce a 80 °C nel barattolo, il bocal, a bagnomaria. In questo modo “butta fuori” il proprio grasso, nel quale si potrà poi conservare a lungo (grasso squisito da consumare in tutti i modi come si usava una volta la sugna). La Confrérie du foie gras (Confraternita del foie gras) di Périgueux, capitale del Périgord, suggerisce di metterlo in crosta. Altri lo fanno macerare con spezie nel Lillet (vino dolce della regione di Bordeaux) per poi cuocerlo insieme alle mele; qualcuno ci mette una punta di zucchero e lo cuoce al forno avvolto nella carta d’alluminio; personalmente, dopo averlo fatto marinare nel cognac, lo faccio cuocere coprendolo di Monbazillac, vino dolce al quale viene di solito abbinato. Una meraviglia al palato! Esiste anche l’antica ricetta del torchon, letteralmente il canovaccio o burazzo: come sempre, si snerva il fegato, si ricopre con sale e pepe bianco, si avvolge in carta da forno e si mette in frigo per una notte. L’indomani si cuoce al vapore, avvolto, appunto, nel torchon (16 minuti per 500 grammi) e, raffreddato, lo si ripone in frigo per 3 settimane. Si può anche lasciare macerare il fegato per una notte in acqua e aceto di mele; l’indomani, dovrà essere asciugato, ricoperto di sale e pepe, avvolto in una pezza di lino e nella carta stagnola, prima di conservarlo nella parte più fredda del frigo per almeno 5 giorni. Nessuna cottura! Quello che conta sempre, oltre le fantasie di ognuno, è la qualità della materia prima, ossia come i volatili sono stati ingrassati. La cottura a bassa temperatura ne salvaguarda tutte le caratteristiche e i pregi mantenendo una morbidezza che si scioglie sul palato. D’abitudine io lo servo, se non in tartine per l’aperitivo, in antipasto, accompagnato da fichi caramellati o da grosse prugne verdi di Agen, da dove provengono tante prugne secche vendute in Italia. Da abbinare assolutamente un vino dolce o semidolce locale, come il Bergerac e il Monbazillac, oppure un Sauternes. Tutta la regione della Dordogna è incantevole, ricca di storia e con una natura rigogliosa, villaggi tipici e cucina eccellente che viene insegnata in tanti ristoranti o da privati. E che gioia fare da sé il proprio foie gras o il confit de canard! Josette Baverez Blanco

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E-commerce alimentare sempre più in crescita

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L’e-commerce legato al settore food in Italia vale 849 milioni di euro, cioè il 4% del volume totale del commercio digitale italiano. Il dato più impressionante è il tasso di crescita annuo, che evidenzia un aumento del 43% rispetto ai volumi del 2016. Dati e tendenze di questo mercato sono stati analizzati lo scorso 17 novembre al convegno Netcomm Focus Food, in collaborazione con Fiera Milano, in un percorso di avvicinamento alla prossima edizione di Tuttofood (6-9 maggio 2019). L’e-commerce alimentare si sta dunque affermando sempre più nello stile di vita dei consumatori italiani, offrendo grandi opportunità di crescita ai player del settore che si dimostreranno più ricettivi nei confronti di nuovi canali e strumenti. I dati indicano un’inversione di tendenza positiva per un settore che faticava ad affermarsi. Il mercato on-line italiano inoltre si differenzia rispetto a quello europeo per un ancoraggio ai retailer tradizionali, cioè ai brand più conosciuti. In merito a questo riveste importanza significativa lo storytelling, ovvero raccontare una storia, narrare quello che c’è dietro il semplice prodotto per approfondire ciò che si nasconde dietro la nascita e la cura dell’articolo presentato in vendita. Un modo tutto italiano per personalizzare l’acquisto on-line. Cosa si cerca nello sterminato mondo del web? Molti consumatori ricercano on-line informazioni mentre valutano un prodotto in negozio o di contro, vanno poi a cercare nei punti vendita fisici ciò che hanno visto on-line e per cui hanno maturato un interesse. Per conquistare il mondo di compratori on-line diviene fondamentale la qualità e la capacità di comunicare con il cliente, fidelizzandoli e mostrando l’universo di valore dietro a quel prodotto specifico. Se la percentuale di e-shopper italiani che acquistano prodotti alimentari è in continua crescita, la tendenza è evidente su scala globale. Secondo le rilevazioni presentate al convegno, il valore del food & beverage in Europa ammontava a 10 miliardi di dollari nel 2016, con previsioni di crescita annue del 13%: nel 2021 si prevede che il valore dell’e-commerce alimentare in Europa raggiungerà i 18 miliardi di dollari. Valori simili si riscontrano negli Stati Uniti, mentre la Cina sperimenterà una vera e propria esplosione passando dai 10,9 miliardi di dollari del 2016 a 30,3 miliardi di dollari nel 2021, con un tasso annuo medio di crescita del 23% (fonte: vpo – World Food Press Agency).

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RISTORAZIONE

Maître di Clara Scaglioni

I

l 13 maggio 1999 CARLO A ZEGLIO CIAMPI, uno degli uomini più amati e stimati del nostro Paese, venne eletto Presidente della Repubblica. Moderno e attento ai problemi legati al suo ruolo, Ciampi agiva mettendo in primo piano l’italianità in tutte le sue sfaccettature. Insediatosi al Quirinale, una delle prime decisioni da lui prese fu quella di “dare più spazio e attenzione ai valori della tavola”, perché la cucina del Quirinale non aveva mai brillato per i suoi menù, spesso ingabbiati per esigenze cerimoniali e di tempo. Si doveva servire solo pasta corta, ad esempio, quindi mai spaghetti o fettuccine per timore di imbarazzanti schizzi; mai pesce con le spine; mai

frutta da tagliare; mai certi salumi per motivi religiosi ed altro. Con questi presupposti difficilmente un pranzo ufficiale o un banchetto presidenziale, che non solo aveva una durata predeterminata ma doveva contenere al suo interno anche discorsi ufficiali, poteva trasformarsi in un’occasione conviviale di buona tavola. Preso atto di questa carenza e venuto a sapere che, prima del suo arrivo, M ARIANNA SCALFARO, figlia del precedente Presidente, aveva chiamato al Quirinale il gran maestro di cerimonie ALBERTO GOZZI, che insegnava ospitalità alla scuola alberghiera di Stresa, perché si adoperasse per dare prestigio ai pranzi ufficiali, affrontò di petto il problema.

Memore probabilmente dell’importanza del banchetto nel Rinascimento, che più era ricco, sfarzoso e scenografico, più dava lustro al principe in quanto ne esprimeva il potere, chiese al “maestro” Gozzi di riorganizzare i ricevimenti ufficiali. Lo pregò di porre massima cura e attenzione nella scelta dei piatti da servire — possibilmente legati alla tradizione della cucina italiana — e nella loro presentazione e di affidare il servizio in tavola a capaci e preparati professionisti. I ricevimenti che nei secoli passati avevano dato smalto agli illustri “inquilini” del Quirinale, come papa Gregorio XIII alla metà del 1500 e papa Paolo V nel corso del 1600, venivano quindi

Figura di cui si parla poco, il maître è colui a cui fanno capo il direttore, il sommelier, lo chef, i camerieri… Non a caso il significato della parola è “maestro”, nel senso che è il responsabile del perfetto andamento del servizio in sala dovendo assicurare la piena soddisfazione dei clienti (photo © www.ristorantiweb.com).

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Curiosità: il maître saladeur

In età rinascimentale e barocca lo scalco era il soprintendente alle cucine principesche e aristocratiche. Non un semplice servitore quindi, ma un cortigiano, un gentiluomo per nascita o, più raramente, meriti culinari. Poteva vestire in modo ricercato e portare barba, baffi e parrucca

Il titolo “maître d’hotel” appare alla fine dell’800, con la modernizzazione messa in atto nel mondo alberghiero dallo svizzero César Ritz, il quale dà un inquadramento al personale addetto al servizio di ristorante, creando una scala gerarchica tuttora in auge con a capo proprio il maître

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Non tutti sanno che esiste una declinazione differente di questo lavoro, ossia ci si può imbattere anche nel maître con una insolita specializzazione: il saladeur, cioè il maître delle insalate. La notizia relativa a tale figura è ricordata in un libro del 1981 dal titolo Buon appetito Versilia di ALDO VALLERONI, giornalista de La Nazione, che racconta storie e curiosità di alcuni ristoranti della Toscana. Parla, in particolare, del ristorante dell’Astor, un hotel di Viareggio, dove al suo interno, abitualmente, un certo GAETANO passava tra i tavoli con un apposito carrello sul quale erano esposti vari tipi di insalate e numerose bottigliette contenenti salse di vario gusto da abbinare alle verdure.

riproposti tra quelle mura che, per la loro bellezza ed eleganza, erano state scelte come residenza dei Savoia dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia e come residenza del capo dello Stato dopo la nascita della Repubblica italiana. Nel Rinascimento era lo scalco, al servizio del principe o del cardinale (il principe della Chiesa), a sovrintendere il convito, organizzare i banchetti e controllarne il perfetto funzionamento, guidando tutti coloro che, sotto di lui, si impegnavano e lavoravano, ognuno con il proprio compito specifico, per la sua perfetta riuscita. Era lui che controllava l’operato del cuoco in cucina, del credenziere che amministrava gli argenti, piegava artisticamente i tovaglioli, serviva e preparava per tempo quelli che noi chiamiamo i “piatti freddi” e sistemava le tavole. Era lui che allo spenditore chiedeva conto delle spese fatte, che ruotavano intorno all’allestimento dei ricevimenti, ed era sempre lui che controllava l’operato del trinciante, il personaggio più scenografico all’interno del banchetto. Questi, quando arrivavano dalla cucina le preparazioni a base di carne, utilizzando coltelli affilatissimi, le porzionava tenendo i vari pezzi in alto e poi abilmente le metteva nei piatti componendo le singole porzioni da servire agli invitati. Tutta questa fatica organizzativa si svolgeva sotto la personale guida dello scalco ed era sempre diretta a onorare il proprio signore. Lo scalco era infatti una figura di primissimo piano e il suo operato era fondamentale per la perfetta riuscita di un evento importante. Oggi la figura maggiormente osannata in cucina è il cuoco-chef e la “cuci-

na” è la “prima donna” nella stragrande maggioranza dei canali televisivi che ci propongono ricette dalla mattina alla sera. Non si può dire se sia un male o un bene, e non si può negare che molto abbiamo imparato grazie ai numerosi consigli dei rinomati cuochi che si alternano nelle trasmissioni. Sicuramente ci hanno insegnato a usare meglio gli ingredienti che compriamo e ad apprezzare i prodotti della nostra terra con i quali si possono preparare piatti buonissimi. Sempre grazie alla televisione abbiamo conosciuto tanti chef famosi per l’eccellenza della loro cucina e i bellissimi luoghi dove sono situati i loro ristoranti. Se però analizziamo con attenzione i veri motivi del successo di un locale, dobbiamo porre l’attenzione anche su un’altra figura professionale della quale poco si parla, ma che risulta fondamentale nella gestione di un ristorante di un certo livello: il maître. Il maître è, nel linguaggio alberghiero, colui che sovrintende a direttore, sommelier, chef, camerieri, e non a caso il significato della parola è “maestro”, nel senso di responsabile del perfetto andamento del servizio in sala. Il suo lavoro mette in primo piano il cliente, che accoglie per primo all’ingresso e, con estrema gentilezza, lo fa accomodare, cerca di captarne le richieste, gli consegna il menù e la lista dei vini, suggerisce, informa e illustra i piatti del giorno e, sempre con la dovuta discrezione, quando prende la “comanda”, lo consiglia su quanto preparato in cucina. Vediamo bene allora come la figura dello scalco appaia antesignana della figura del maître; le incombenze che quest’ultimo deve svolgere nel

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Intrecci, nuova scuola di alta formazione dedicata alla sala DOMINGA, ENRICA e MARTA COTARELLA, dal 2015 alla guida dell’azienda Falesco, fondata nel 1979 dai fratelli RICCARDO e RENZO COTARELLA, col nuovo marchio Famiglia Cotarella hanno recentemente presentato la scuola di alta formazione Intrecci, con sede a Castiglione in Teverina (VT). A partire dall’autunno prossimo, il progetto, voluto e portato avanti dalla terza generazione della famiglia Cotarella, entrerà in piena operatività per formare personale qualificato per l’accoglienza e il servizio nella ristorazione e nell’ospitalità alberghiera secondo lo stile italiano. Realizzata nella struttura che un tempo ospitava l’oleificio del paese, di fronte all’odierno MUVIS-Museo del Vino e delle Scienze Agroalimentari, la scuola è dedicata esclusivamente alla sala e all’accoglienza con la formula del campus: gli allievi — 20 per ogni edizione — avranno a disposizione alloggi, mensa, spazi ricreativi e di studio, attrezzature didattiche digitali e tradizionali, per una vera e propria full immersion in questo settore così importante, ma spesso sottovalutato, della ristorazione e dell’ospitalità. Dalle basi del servizio del vino e dei piatti alla dizione corretta, dall’attenzione ai minimi dettagli alla conoscenza approfondita di prodotti e lavorazioni, l’obiettivo di Intrecci è quello di formare futuri manager della ristorazione, maître e personale di sala che sappiano contribuire a rendere l’esperienza dell’ospite completa e indimenticabile, unendo il classico savoir-faire italiano alla competenza e alla spontaneità. Due diversi percorsi formativi: uno rivolto a studenti diplomati presso istituti superiori, alberghieri e non solo, della durata di 12 mesi con formula 6+6 (6 mesi in aula con viaggi studio e visite e 6 mesi di “messa in pratica” con un periodo di stage), ed uno di specializzazione post-laurea rivolto a studenti laureati, della durata di circa 3 mesi. Verranno poi affiancati da masterclass e corsi estivi di breve durata, ma anche da corsi di formazione per lo sviluppo delle competenze del personale scolastico e del personale dipendente delle strutture alberghiere e di ristorazione. Sarà inoltre realizzato un ristorante didattico dove, nel corso del secondo trimestre, gli allievi potranno cominciare a mettere in pratica quanto appreso. «Intrecci nasce dall’incrocio di idee e progetti a cui stavamo pensando da molto tempo e che adesso diventano realtà» racconta Marta Cotarella, responsabile delle attività di pianificazione e controllo dell’azienda. «Inizialmente avevamo pensato di creare la scuola in un nostro casale, ma quando abbiamo saputo che l’edificio affidato in gestione al comune di Castiglione in Teverina era disponibile e ne abbiamo visionato gli spazi, abbiamo capito che sarebbe stata la sede ideale: è accogliente, spazioso e situato proprio nel cuore di questo borgo dall’antica tradizione enogastronomica». «Il nome si riferisce anche alle “tre C” di quelle che abbiamo scelto come parole chiave del progetto» spiega Dominga, direttore marketing e commerciale di Famiglia Cotarella. «Siamo partite da Coraggio, Cultura e Curiosità, che per noi dovrebbero essere alla base della scelta di dedicarsi a questo mestiere e dell’approccio lavorativo in generale, per arrivare poi a quelle di Classe, Carattere e Calore, che sono i tratti distintivi che dovrebbe avere per noi l’ospitalità ideale, in una sorta di evoluzione dall’ispirazione iniziale all’operatività della scuola». >> Link: www.intreccialtaformazione.com

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ristorante odierno hanno infatti molte analogie con il lavoro svolto un tempo dal suo predecessore. Il maître funge da mediatore tra la cucina e la sala per creare l’armonia giusta al perfetto funzionamento del ristorante: organizza la sala prima dell’arrivo degli ospiti, allestisce lo spazio, dà indicazioni sulla disposizione dei tavoli e sull’apparecchiatura, controlla l’operato dei camerieri e, soprattutto, che siano applicate tutte le norme igieniche e di sicurezza alimentare. Provvede all’eventuale disposizione dei fiori, presenta il conto e, a volte, proprio perché comunica direttamente col cliente, può consigliare, suggerire al cuoco i piatti più adatti da preparare. Durante il servizio passa tra i tavoli, raccoglie commenti e richieste, si assicura che i clienti siano pienamente soddisfatti e in particolari occasioni può “esibirsi” con la tecnica flambé nella preparazione di piatti alla lampada, come un tempo faceva in modo scenografico il trinciante. Generalmente il maître si distingue dai camerieri e dal resto del personale per l’abbigliamento molto più elegante. Alla fine dell’Ottocento, nei locali di prestigio o durante i banchetti la divisa tradizionale di lavoro era il frac, soppiantata in seguito dallo smoking. Un perfetto maître dovrebbe conoscere più lingue (l’inglese è ormai d’obbligo), essere dotato di buona memoria per ricordare i gusti dei clienti abituali e di notevole resistenza alla fatica in quanto i ritmi di lavoro sono intensi e legati a orari irregolari durante tutto l’arco della settimana, giorni festivi compresi. Per acquisire i requisiti che permettono l’accesso al ruolo è preferibile frequentare un istituto alberghiero integrato da stage e da una certa esperienza sul campo. È opinione di alcuni che la figura del maître stia scomparendo, in quanto relegata a pochi ed esclusivi ambienti, o, quanto meno, sia messa in ombra da quella dello chef. Vale allora la pena ricordare un pensiero molto preciso del grande “maestro” GUALTIERO MARCHESI, che così si esprime al riguardo: «È inutile che uno chef prepari piatti di altissima qualità quando fuori dalla cucina non c'è nessuno che li esponga nella maniera adeguata». Clara Scaglioni

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“La bottega è la nostra missione” – Sono queste le parole che racchiudono in sintesi la filosofia e lo spirito che animano le attività di “Vecchia Malga”, storica azienda nata nel 1969, che con la sua presenza sul territorio bolognese è diventata un vero e proprio punto di riferimento per l’attenta selezione delle materie prime, dei prodotti di qualità e per la peculiarità dei suoi negozi, unici nel loro genere. “La bottega per noi è un palcoscenico” – Basati sulla filosofia che “un buon prodotto lo si gusta mangiandolo ma prima lo si assaggia con gli occhi, i punti vendita del brand portano il prodotto in primo piano, valorizzandone quelle caratteristiche e qualità che lo rendono un’eccellenza gastronomica del territorio. Una sorta di palcoscenico, dove ogni elemento che vi compare, e ne è un componente essenziale, è un personaggio, col suo carattere, la sua precisa identità. E percorrendo questo palcoscenico, unendo i personaggi, possiamo vivere una straordinaria e coinvolgente esperienza, una sorta di viaggio visivo, olfattivo e gustativo unico. “Il commercio è conoscenza consapevole dell’autenticità dei prodotti” – Perfette guide di questo viaggio, i membri dello staff “Vecchia Malga” accompagnano il cliente in un percorso di storia, tradizione e valori di una volta che culmina con la degustazione delle eccellenze presenti nel punto vendita. Il commercio cessa di essere così una pratica e diviene conoscenza, del territorio, della qualità del prodotto, degli uomini e delle donne che quel prodotto lo lavorano, lo trasformano e, infine, lo consumano. “La bottega sarà anche on-line da metà gennaio 2018” – “Vecchia Malga” è diventata parte integrante dell’economia bolognese grazie anche all’ubicazione in zone strategiche della città quali il centro storico e l’Aeroporto Marconi, punto nevralgico da cui partire per far conoscere le eccellenze enogastronomiche locali in tutto il mondo. E da oggi è anche on-line, con il nuovo progetto di e-commerce: www.vecchiamalganegozi.com

Vecchia Malga Negozi Srl Via Roma, 55/A - 40069 Zola Predosa (BO) Tel: 051/6166687 - Fax: 051/6166686 info@vecchiamalganegozi.it - www.vecchiamalganegozi.com Zola 051/6166740 Via Roma, 55/A Zola Predosa (BO) La Baita 051/223940 Via Pescherie vecchie, 3A Bologna Mazzini 051/346508 Via Mazzini, 93 Bologna Negozio Aeroporto 051/6472198 Gastronomia - Aeroporto G. Marconi piano terra Pizzeria Vecchia Malga 051/6472196 Verace Pizza Napoletana - Aeroporto G. Marconi piano terra Vecchia Bologna 051/6472208 Ristorante/negozio/wine bar - Aeroporto G. Marconi sala imbarchi Bar Vecchia Malga 051/6472168 Bar - Aeroporto G. Marconi sala imbarchi Gastronomia Italiana 051/0060962 negozio - Aeroporto G. Marconi extra Schengen


LOCALI DI GUSTO L’Osteria dell’Elefante nelle grotte della Cantina Castello di Torre in Pietra

A tavola tra botti, bottiglie e resti di mammut

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na nuova osteria nella grotta di una cantina, Castello di Torre in Pietra, alle porte di Roma. È l’Osteria dell’Elefante, nome dedicato agli elefanti preistorici che da 400.000 anni riposano nella collina di tufo, sorta dalle ceneri del vulcano di Bracciano, dove maturano i vini bianchi e rossi di FILIPPO ANTONELLI e LORENZO MAJNONI, già produttori in Umbria (con il Montefalco Sagrantino e il Trebbiano Spoletino) e in Toscana con il Chianti dei Colli Senesi e Superiore. Tra botti, bottiglie e resti di mammut

(l’impronta di una lunga zanna nella parete del tunnel di collegamento con la cantina; una parte di femore esposto al punto vendita), il locale, recentemente inaugurato, vuole proporre i piatti della campagna romana in abbinamento ai vini delle tre case vinicole della famiglia: Castello di Torre in Pietra, Antonelli San Marco e Majnoni Guicciardini. Il menu stagionale è preparato il più possibile con prodotti biologici e locali, in parte coltivati nella stessa azienda agricola di Castello di Torre in Pietra (verdure, ceci, farro, pasta di farro, olio extravergine

d’oliva). In cucina lo chef romano MARCO DI LUCA, classe ‘74, vanta esperienze in Europa e Italia. In carta il cliente trova ricette come i cannoli ripieni di baccalà gratinati con crema di ceci e i tonnarelli alla carbonara di porcini, tra i primi. Oppure il galletto cotto a bassa temperatura e ripieno di patate al rosmarino e crema di peperoni o il filetto di maiale in crosta di patate gratinate con crema di cedro e arance candite, tra i secondi. Si può cominciare anche con il Tagliere dell’Elefante (bruschetta con mousse di fegato e arance, formaggi misti della

Il Tagliere dell’Elefante: bruschetta con mousse di fegato e arance, formaggi misti della Tuscia, prosciutto semidolce reatino, porchetta fatta in casa, anatra in oleocottura, flan di melanzane e ricotta, coppa reatina. 108

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Il menu stagionale è preparato il più possibile con prodotti biologici e locali, in parte coltivati nella stessa azienda agricola di Castello di Torre in Pietra. La carta dei vini comprende tutte le etichette delle tre cantine di famiglia, certificate bio

Tuscia, prosciutto semidolce Reatino, porchetta fatta in casa, anatra in oleocottura, flan di melanzane e ricotta, coppa Reatina) e concludere con un dolce dello chef, come un Tiramisù al bicchiere o un semifreddo al pistacchio e cioccolato bianco. Nella bella stagione si mangia all’aperto, nella corte della cantina. La carta dei vini comprende tutte le etichette delle tre cantine di famiglia, certificate bio. Giocando in casa, l’offerta al cliente guadagna in prezzi e flessibilità: oltre che in bottiglia quasi tutti i vini sono proposti al calice e in quartino, con ricarichi più che modesti. Al bicchiere si oscilla da € 2,00 di un Elephas Lazio Bianco IGT di Castello di Torre in Pietra fino ad € 8,00 di un calice di Montefalco Sagrantino DOCG 2011. Buono il rapporto qualità/prezzo complessivo: per tre portate si spendono tra i 30 e i 32 euro. Osteria dell’Elefante Via di Torre in Pietra 247 Loc. Torre in Pietra, Fiumicino (Roma) Telefono: 06 61697070 Web: www.castelloditorreinpietra.it Nota Photo © Massimiliano Rella. Premiata Salumeria Italiana, 6/17

In alto: filetto di maiale in crosta di patate con crema di cedro e arance candite. In basso: i locali dell’Osteria dell’Elefante. 109


SPECIALE ANUGA

#anuga, viva la fiera globale del food L’edizione dei record ha chiuso con un grande risultato: oltre 165.000 operatori da 198 Paesi. Export e innovazione sono i driver di crescita per l’industria alimentare mondiale di Elena Benedetti

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er molti espositori la 34a edizione di Anuga è stata di gran lunga la migliore. Dati alla mano, oltre 7.400 aziende provenienti da 107 Paesi hanno esposto per cinque giorni prodotti da tutto il mondo e in tutte le categorie, stabilendo un nuovo record. Circa 165.000 operatori da 198 Paesi hanno appro-

fittato di questa incredibile offerta per dedicarsi alla ricerca di informazioni, novità, in termini di prodotti e mercati, e raccolta ordini. «Anuga è la piattaforma di business leader al mondo per l’industria alimentare internazionale», ha dichiarato a caldo, a poche ore dalla chiusura della manifestazione, GERALD BÖSE, president e chief execu-

tive officer di Koelnmesse. «La fiera ha riunito la domanda e l’offerta globale. Grazie al suo concept chiaro e alla sua strutturazione in base a tematiche importanti per i clienti nazionali ed esteri, il salone si conferma ancora una volta un appuntamento imprescindibile per il mondo globale del food». Oltre all’aspetto di forte internazionalità che

Il Consorzio del Prosciutto di Parma Dop è stato protagonista ad Anuga con un grande spazio espositivo nel quale risaltavano le varie stagionature del crudo.

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ha caratterizzato l’immagine fieristica in tutte le giornate espositive, si è confermata la qualità dei visitatori, con top buyer a livello mondiale. La rassegna è stata inaugurata da CHRISTINA SCHULZE FÖCKING, ministro del NordrenoVestfalia, insieme al ministro indiano per le industrie alimentari HARSIMRAT KAUR BADAL, ospite d’onore della cerimonia di inaugurazione. L’India è stato il paese partner di Anuga 2017. «Abbiamo vissuto un’altra edizione dei record di Anuga», ha sottolineato FRIEDHELM DORNSEIFER, presidente dell’Associazione tedesca della distribuzione alimentare (BVLH). «Il grande interesse dell’industria alimentare internazionale dimostra che il salone è ai primi posti nell’agenda delle aziende alimentari e dei buyer. Anuga è sempre il posto giusto per chi desidera scoprire cosa si mangia e si beve in tutto il mondo, oggi e in futuro. Oltre alla presentazione di prodotti innovativi, al centro della fiera c’erano anche i trend del mercato alimentare, in particolar modo il digitale. I clienti si trasformano sempre più in “omnishopper” che si attendono un’esperienza di acquisto connessa fra negozio fisico, media on-line e utilizzo di dispositivi mobili. La digitalizzazione non significa però la fine dei supermercati: i consumatori continueranno a recarsi nei negozi per acquistare prodotti alimentari vivendo un’esperienza completa. Ogni progresso tecnologico in grado di sostenere mercato e capace di proporre ai clienti offerte adeguate è il benvenuto!». La GDO internazionale Sul fronte delle grandi insegne europee ad Anuga 2017 c’erano davvero tutti. I dati relativi alle registrazioni ad Anuga dimostrano che a Colonia è arrivato l’intero settore, sia dalla Germania che dall’estero. Fra i presenti ricordiamo Aeon, Ahold, Albert Heijn, Aldi, Auchan, Carrefour, Coop, Costco, dm, Edeka, Globus, Hofer, Jumbo, Kroger, Metro, Migros, Müller, Norma, Rewe, Rossmann, Sainsbury, Sams Club, Schwarz Group, Sobeys, Spar, Target, Tesco e Walmart. Tra i player on-line si sono registrati Amazon, JD.com e altri, ma ad Anuga sono giunti anche i buyer di numerose piattaforme on-line specializzate.

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Oltre 7.400 aziende provenienti da 107 Paesi hanno esposto a Colonia all’interno della 34a edizione di quella che molti già chiamano la Anuga dei record, ovvero la più grande piattaforma di business del mondo per il food & beverage. Visitatori esteri La partecipazione estera è stata elevata sia in termini di espositori (90% di incidenza estera) che di visitatori, dove è cresciuta fino a raggiungere il 75% (2015: 68%). «Il numero crescente di buyer provenienti dall’estero si riflette chiaramente nell’aumento del numero di visitatori», spiega KATHARINA C. HAMMA. «Le cifre relative ai visitatori provenienti dai paesi UE e dalla Svizzera sono state come sempre elevate; in particolare Italia, Spagna, Francia e Paesi Bassi si sono distinti per la crescita di questo indicatore. In aumento anche

il numero di visitatori provenienti dagli USA e dal Canada, mentre molto buoni sono i dati relativi a Cina, Giappone e al Paese partner di questa edizione, l’India. È cresciuta anche l’affluenza di visitatori in arrivo dal Sud America, in particolare Brasile, Perù e Uruguay». In miglioramento anche i dati relativi agli arrivi dal Medio Oriente e dagli Stati nordafricani, in particolare da Iran, Emirati Arabi Uniti, Marocco e Tunisia; quest’anno è cresciuta inoltre l’affluenza ad Anuga dei visitatori provenienti dal Sudafrica.

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Anuga in cifre Ad Anuga 2017 hanno partecipato 7.405 aziende provenienti da 107 Paesi, su una superficie espositiva lorda di 284.000 m2; 716 espositori provenivano dalla Germania, mentre 6.689 sono giunti dall’estero, con una partecipazione estera totale del 90%. Anuga 2017 ha ospitato circa 165.000 operatori da 198 Paesi, con una partecipazione estera del 75%. Federalimentare e Fiere di Parma contro la contraffazione Tra le novità dell’edizione 2017 di Anuga c’è stato un desk con la funzione di primo ascolto gratuito dedicato a tutti e un servizio di consulenza legale destinato alle aziende italiane associate a Federalimentare presenti in fiera, organizzato da Cibus, il Salone Inter-

nazionale dell’Alimentazione di Fiere di Parma, e FEDERALIMENTARE. Le aziende hanno così potuto segnalare episodi di contraffazione e imitazione dei propri prodotti e, nello specifico, casi di Italian sounding. Questa è una tra le forme di comunicazione ingannevole più subdole per il consumatore, che consiste nell’attribuzione di un nome o brand di origine italiana ad un prodotto che, in realtà, non lo è affatto. L’iniziativa ha riscontrato grande successo ed è stata utile per segnalare, tra gli altri, anche due prodotti che evocavano il Parmigiano Reggiano (“Parmesan”), individuati in fiera e prontamente denunciati dal Consorzio di tutela alle autorità tedesche. Il desk, organizzato da LUIGI SCORDAMAGLIA, presidente di Federalimentare, insieme ad ANTONIO CELLIE, AD di Fiere di Parma, e STEPHAN

GRIGOLLI, avvocato italo-tedesco (studio Grigolli&Partner), è stato uno strumento importante per tutelare le aziende italiane e accompagnarle nell’affermazione della loro produzione made in Italy nel mercato globale. Anuga 2019 La prossima edizione si svolgerà dal 5 al 9 ottobre 2019.

>> Link: www.anuga.com

Sette Consorzi per sette pizze: Franco Pepe per AFIDOP Sette Consorzi appartenenti all’Associazione Formaggi Italiani Dop hanno presentato in occasione di Anuga i sapori unici dei loro prodotti rivisitati dal noto pizzaiolo italiano Franco Pepe, patron della pizzeria Pepe in Grani di Caiazzo (CE). Durante i suoi cooking show Pepe ha dimostrato la grande versatilità di utilizzo dei sette formaggi a marchio Dop — Asiago Dop, Caciocavallo Silano Dop, Gorgonzola Dop, Grana Padano Dop, Mozzarella di Bufala Campana Dop, Parmigiano Reggiano Dop e Pecorino Romano Dop — realizzando sette ricette differenti ispirate alle diverse proprietà e territori di provenienza dei formaggi: all’Asiago Dop Franco Pepe ha dedicato la pizza Profumi del Matese; il Calzone del Casolare esalta invece il Caciocavallo Silano Dop; la Mare e Monti Marinati è a base di Gorgonzola Dop; la Scarpetta trae ispirazione dalle caratteristiche del Grana Padano Dop; la Margherita Sbagliata celebra la Mozzarella di Bufala Campana Dop; la pizza Breakfast il Parmigiano Reggiano Dop; la Pinsa Conciata, infine, è la proposta pensata per il Pecorino Romano Dop. «Ancora una volta possiamo ritenerci soddisfatti della partecipazione della collettiva AFIDOP ad una grande fiera internazionale come Anuga e per questo ringraziamo i Consorzi che ne hanno fatto parte» ha affermato il presidente di AFIDOP Nicola Cesare Baldrighi. «La Germania è il secondo Paese di sbocco per le nostre esportazioni di formaggio e questa fiera è la giusta occasione per ricordare al consumatore tedesco le caratteristiche peculiari che contraddistinguono nel mondo le nostre Dop. Grazie alle collaborazioni con un maestro pizzaiolo e un esperto di formaggi siamo riusciti a comunicare efficacemente quanto i nostri formaggi facciano parte della tradizione culinaria italiana, ma, al tempo stesso, possano essere impiegati con successo in piatti internazionali grazie alla loro unicità e, in egual misura, alla loro versatilità».

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1) Il Gruppo Cremonini era presente all’Anuga di Colonia con un ampio spazio espositivo tra angolo macelleria, hospitality e le vetrine con le lunghe frollature, i salumi di Italia Alimentari, con i marchi Ibis e Corte Buona e Inalca Food & Beverage, la società del Gruppo dedicata alla distribuzione internazionale del cibo di eccellenza dell’agroindustriale made in Italy. 2) Alessandra Grosoli, titolare con la sorella Mariangela di Aceto Balsamico del Duca, storica acetaia modenese. 3) Giovanni Venè, responsabile Business Unit Affettato di Villani Spa. 4) Lo spazio espositivo del Consorzio del Prosciutto di Modena Dop. 5) Foto di gruppo per Suincom, azienda modenese leader nel settore della lavorazione di carne suina fresca, congelata e confezionamento di prosciutti crudi. Da sinistra, Stefania Bonfiglioli, Andrea Ganzerli, Valentina Agnani, Andrea Micheli, Julia Anosowicz e Diego Rossi. 6) Il salumificio mantovano Levoni di Castellucchio. 7) I salumi marchiati Leoncini dello storico salumificio di Lazise (VR). 8) Alessandro Chiapella, salumiere in quel di Clavesana (Cuneo). Premiata Salumeria Italiana, 6/17

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1) Tantissimi i formaggi esposti ad Anuga 2017 proposti da produttori giunti a Colonia da tutto il mondo. 2) Nel padiglione 5 uno degli spazi più visitati è stato quello di Alcar Uno di Castelnuovo Rangone (MO), azienda leader nella selezione e commercializzazione di tagli primari di suino. 3) Protagonista di Anuga anche il Salumificio San Vincenzo con le genuinità delle tradizioni calabresi e la qualità delle sue produzioni. 4) Il Caseificio Busti di Acciaiolo di Fauglia (PI) ha presentato l’intera linea di produzione mettendo in evidenza Busti Bio, il marchio distintivo dei formaggi biologici nati dall’esperienza e dalla passione della famiglia Busti per le cose buone. 114

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1) Primo piano alla mortadella Villani nello spazio dell’importatore tedesco Di Gennaro. 2) L’Acetaia Leonardi di Magreta di Formigine (MO). 3) I meravigliosi formaggi di Langa e delle Alpi Cuneesi di Beppino Occelli a Colonia. 4) Claudia Rovituso e Claudio Stefani Giusti del Gran Deposito Aceto Balsamico Giuseppe Giusti di Modena. 5) La coscia al forno di Meggiolaro, salumificio veneziano famoso per i suoi cotti di alta qualità . 6) Lo spazio del Gruppo Beretta che da 200 anni produce i migliori prodotti tipici della salumeria italiana. Premiata Salumeria Italiana, 6/17

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RASSEGNE

Merano WineFestival vale il viaggio di Laura Franchini

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iunge, con grande successo, alla 26a edizione il Festival del Vino ideato nel 1992 da HELMUTH KÖCHER. Tutto esaurito, in tutte le giornate, il Merano WineFestival, a dimostrazione che le kermesse ben orchestrate non solo non conoscono crisi ma crescono nei numeri e nella soddisfazione. Nelle cinque giornate della manifestazione, dal 10 al 14 novembre, numerose le attività che hanno visto la partecipazione di più di 450 produttori vinicoli per oltre 1.000 vini, 5 diverse location, oltre 200 artigiani del gusto, numerosi chef di fama e un calendario ricco di

appuntamenti. Tra i tanti, imperdibile la presentazione e premiazione dei produttori coronati dalla guida Vinibuoni d’Italia 2018, svoltasi al Teatro Puccini nella giornata di sabato. I vini arrivati in finale per quest’anno sono stati 672 e, di questi, hanno raggiunto la Corona 415. Durante la premiazione sono stati assegnati anche altri attestati prestigiosi, come il premio Ecofriendly alle aziende più virtuose dal punto di vista ecologico, il premio Eticocork per il progetto più etico, il premio D’Innella riservato ai giornalisti, il premio Sparkling Star attribuito dal pubblico di Vinitaly ai migliori spumanti italiani. A seguire, nel foyer del

Il Merano WineFestival non è solo un evento ma un vero e proprio think tank, un forum di scambio di opinioni tra produttori, professionisti del settore e consumatori: un punto riferimento dell’eccellenza enogastronomica

A celebrare la 26a edizione del Merano WineFestival, cinque giornate piene di emozioni, contenuti, idee da scoprire e tanti, tanti amici (photo © visitmerano.it).

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Teatro, una degustazione straordinaria con tutti i 672 vini premiati. Un’occasione davvero unica per poter degustare l’eccellenza vinicola italiana. A rendere ancora più ghiotta la degustazione gli abbinamenti gastronomici con i salumi Levoni e il Grana Padano Dop. Molti i focus sui vini stranieri, a partire dalla vicina Istria, con uno spazio interamente dedicato, allo spazio presso la sala Czerny del Kurhaus, che ha visto l’organizzazione di un vero e proprio percorso degustativo attraverso il mondo, con oltre 250 vini, dalla Spagna all’Argentina, dal Libano al Sudafrica, dall’Austria alla Crimea. La Francia è sempre grande protagonista, con numerose masterclass dedicate, tra le quali spiccava la selezione dei Grand Crus de Bordeaux, 13 Châteaux storici in degustazione, e la Catwalk Champagne, una sfilata di ben oltre 100 Champagne di 40 aziende francesi tra le più famose. Interessanti e gremite anche le iniziative dedicate alle produzioni italiane, dalla Toscana al Trento Doc, dalla Falanghina al Brunello, dai vini dei vulcani a quelli della DOC Bolgheri, solo per citarne alcuni.

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L’edizione 2017 di Merano WineFestival ha visto la partecipazione di oltre 450 case vitivinicole, tra le migliori in Italia e nel mondo (photo © visitmerano.it). Non sono mancati i momenti dedicati alla cucina e all’eccellenze gastronomiche, grazie sia alla presenza di numerosi artigiani del gusto presso la Gourmet Arena, sia grazie alle presentazioni di prodotti tipici, alle dimostrazioni di grandi chef a ai tanti talk show

dedicati. Sale gremite, soddisfazione di pubblico e operatori, attendiamo con entusiasmo l’edizione 2018. Auf Wiedersehen! Laura Franchini >> Link: www.meranowinefestival.com

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FORMAGGIO

Amaseno, la valle delle mozzarelle di bufala Nel Basso Lazio si produce una qualità invidiabile, valorizzata dai consorzi locali e arricchita dalle tante iniziative di ristorazione e promozione turistica sorte lungo la Strada della Bufala di Nunzia Manicardi

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n Ciociaria c’è una valle incantata dove il tempo sembra essersi fermato. Incuranti della fretta e della bulimia produttiva dell’età contemporanea, gli agricoltori locali coltivano i loro campi per nutrire, secondo le regole della natura e non quelle della chimica, pingui mandrie di bufale italiche che, come nella notte dei tempi, popolano placidamente questi luoghi ancora incontaminati. Eppure questi agricoltori-allevatori-produttori sono tutt’altro che fuori dalla realtà dei nostri giorni. Anzi, essi hanno capito, prima di tanti altri — che la vera ricchezza ancora

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oggi viene dalla terra, terra quanto mai altrove ristretta e immiserita. Loro invece l’hanno trasformata in un moderno business (anche se il termine male si addice a queste popolazioni ancora tenacemente attaccate ai propri dialetti e al proprio stile di vita di lontanissima origine). Qui, nella valle incantata di Amaseno, la terra, l’uomo, l’animale e il lavoro si fondono armoniosamente insieme, valorizzate dalle moderne tecniche di commercializzazione e promozione, per offrire al mondo quel tesoro tutto italiano che è la mozzarella di bufala fatta secondo tradizione.

Quando la tradizione diventa business La Ciociaria è una “regione storica” situata nel cuore del Lazio, al confine con Campania, Abruzzo e Molise, in una posizione geograficamente e climaticamente ideale posta com’è a metà strada fra Roma a nord e Napoli a sud e tra la costa tirrenica a ovest e, a est, gli Appennini dell’Abruzzo (Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise). È diventata famosa nell’immaginario collettivo per le “cioce” da cui gli abitanti della zona hanno preso il nome, le calzature tipiche di contadini

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A sinistra: Chiesa di Santa Maria dell’Auricola ad Amaseno, Frosinone (photo © serfeo – stock.adobe.com). In alto: ragazze vestite da ciociare ballano durante il Gonfalone di Arpino. Ai piedi portano le “cioce”, calzature tipiche di contadini e pastori da cui gli abitanti della zona hanno preso il nome (photo © hiveminer.com).

e pastori costituite da ampie suole di cuoio trattato che avvolgono il piede e sono fermate intorno alla gamba con corregge, anch’esse di cuoio, al di sotto delle quali si mettono delle pezze di tessuto bianco che coprono il piede stesso e il calcagno. Oggi sono associate per lo più alle figure altrettanto tipiche degli zampognari (anche se non esclusivamente ciociari), che nel periodo natalizio si spostano in tutta Italia e pure all’estero. Questa terra è diventata famosa nel mondo anche per il film del 1960 “La ciociara” di VITTORIO DE SICA e per il quale la protagonista

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SOFIA LOREN, nel ruolo di una popolana, ebbe sia il Premio Oscar nel 1962 che tutti gli altri premi internazionali di maggior importanza. La Ciociaria, quindi, ha il suo fattore di identità nella propria cultura tradizionale, nel proprio modo di essere e di vivere. E che cosa, meglio della mozzarella di bufala, può rappresentarlo a livello gastronomico? Non siamo in Campania, è vero, che di solito è considerata terra eletta per questa produzione. Ma le bufale, e così le loro mozzarelle, non sono soltanto campane, tant’è vero che la denominazione

Mozzarella di Bufala Campana DOP comprende, appunto, la Ciociaria con la provincia di Frosinone e, in particolare, i comuni di Amaseno, Giuliano di Roma, Villa Santo Stefano, Castro dei Volsci, Pofi, Ceccano, Frosinone, Ferentino, Morolo, Alatri, Castrocielo, Ceprano e Roccasecca. Una bontà unica al mondo La mozzarella di bufala differisce da quella bovina soprattutto per il contenuto di proteine e grassi, per cui risulta più gustosa e saporita. Come dal disciplinare della Mozzarella di Bufala Campana,

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nicchia! Di altissimo livello e apprezzata ben oltre i confini nazionali, ormai in tutto il mondo là dove la gastronomia è sinonimo di consapevolezza culturale. Consorziarsi per vincere Sono poi sorti consorzi di imprenditori per proporre un’offerta sempre più strutturata, mirata ad unire all’eccellenza gastronomica la promozione turistica di un territorio ancora pressoché vergine e tutto da scoprire. La Valle dell’Amaseno, costellata di caseifici e ristoranti, è un esempio di questa nuova filosofia che associa i buoni sapori e l’ospitalità, la produzione (nel rispetto dell’ambiente e degli animali) e la salute dei consumatori.

Caciottine di bufala di Amaseno (photo © forchettine.blogspot.it). anche la mozzarella di Amaseno ha la classica forma tondeggiante dal colore bianco, è protetta da una crosta sottilissima e ha una superficie liscia. La mozzarella ciociara si differenzia però dalle sorelle campane relativamente alla composizione della pasta che non è né elastica al pari della casertana né burrosa al pari della salernitana. La mozzarella di Amaseno e della Ciociaria in genere è dunque un prodotto a sé, frutto dell’esperienza ormai più che ventennale delle maestranze locali. È ricca di proteine, sali minerali, ferro e vitamine, in particolare quelle del gruppo B. Sia la mozzarella che gli altri formaggi del territorio sono prodotti esclusivamente con latte di bufala del posto, lavorato intero, fresco e a crudo (quindi non pastorizzato). L’acidificazione del latte e la cagliata sono ottenuti con siero innesto naturale, derivante da precedenti lavorazioni di latte di bufala. La mozzarella di bufala è tutelata dal CAB Consorzio Allevatori Bufalini dell’Amaseno (www.cabvalleamaseno.it). Uno sviluppo intelligente Le bufale sono sempre state patrimonio zootecnico della Ciociaria, come testimoniano gli antichi statuti comunali che nella sezione relativa ai tributi annoverano i bufali. Un tempo questo poderoso e robustissimo animale era l’alleato migliore dell’uomo nel lavoro dei campi e ogni famiglia ne posse-

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deva diversi capi. Già allora, su tutto il territorio, il latte era utilizzato per realizzare piccoli formaggi o bevuto al pari di quello vaccino, ma è nella valle del fiume Amaseno che questi animali, e i prodotti che ne derivano, hanno trovato un habitat ideale, merito della composizione orografica del territorio. Le bufale allevate sono oltre 14.000. Producono quotidianamente oltre 40.000 chilogrammi di latte; soltanto una parte del latte però viene lavorato dalle imprese locali, mentre il rimanente è destinato ai caseifici casertani (ancora poche sono le aziende di trasformazione sul territorio). L’allevamento bufalino si è sviluppato a partire dalla fine degli anni ‘80 e il riconoscimento della DOP per la Mozzarella di Bufala Campana è arrivato già nei primi anni ‘90, includendo nelle zone di origine, come già ricordato, anche la provincia di Frosinone. Sotto la spinta di questo riconoscimento gli agricoltori e allevatori della valle dell’Amaseno sono stati incentivati a trasformarsi da piccolissimi produttori di tradizione in moderni imprenditori, pur tuttavia riuscendo saggiamente a non snaturarsi. Si sono moltiplicate le aziende, ancora oggi tutte a conduzione familiare, e sono nati i primi caseifici artigianali, che nel giro di soli due decenni hanno dato vita ad una produzione e commercializzazione di “nicchia”, ma… che

La “Strada della tra l’Agro Pontino e la Ciociaria La “Strada della Bufala” (www.lastradadellabufala.it) è la realizzazione di un itinerario sulla filiera bufalina il cui fine è proprio quello di sostenere e valorizzare le eccellenze agroalimentari, rurali e paesaggistiche dell’area geografica della Ciociaria e dell’Agro Pontino, unitamente alle sue ricchezze storiche e culturali. È un bellissimo itinerario che parte dalla Valle dell’Amaseno e, costeggiando i Monti Lepini, raggiunge Priverno e l’Abbazia di Fossanova in provincia di Latina. Anche Priverno, insieme con Amaseno, è considerata una delle capitali ciociare e pontine degli allevamenti di bufala e della trasformazione del loro latte. L’itinerario alterna alle visite guidate nei fascinosi borghi medioevali, dove si concentra una miniera di beni architettonici di grande pregio, la visita agli allevamenti di bufala e ai caseifici, con possibilità di assistere alla lavorazione della mozzarella, facendo seguire un pranzo tipico a base di prodotti di bufala tra cui la “bufaletta”. I love bufala: la festa della mozzarella Ogni estate ad Amaseno si organizza la tradizionale “Festa della mozzarella di bufala e dell’agricoltura”, dedicata al prodotto principe della Valle e a tutti i suoi derivati. Anche durante questa manifestazione è possibile visitare i caseifici e gli allevamenti di zona per conoscere le fasi della lavorazione e degustare le bontà casearie direttamente nei luoghi dove vengono realizzate. Nunzia Manicardi

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VINO A Faenza la seconda edizione di Back to the Wine

Ritorno al vino! di Riccardo Lagorio

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iente paillettes, lustrini o ammucchiate di tutto un po’ presso la Fiera di Faenza gli scorsi 12 e 13 novembre, ma un rendez-vous di vini rispettosi del territorio e della sua biodiversità. Insomma, il vino come atto agricolo responsabile, un vero e proprio omaggio ai vignaioli artigiani che Back to the Wine (che bello sarebbe stato: Ritorno al Vino…) ha celebrato nella città della ceramica, tagliando il traguardo della seconda edizione. Piccoli produttori (da nessuna delle cantine che abbiamo incontrato escono più di 100.000 bottiglie annue) con le mani intrise di terra e poco avvezzi all’uso di strumenti alchemici per ottenere risultati finali di

grande pregio e bevibilità. Alcuni di loro hanno inserito nelle cantine anche anfore di origine georgiana, simbolo dei vini dalle lunghe macerazioni e per lo più naturali. Limitare Back to the Wine alla semplice categoria di evento è alquanto riduttivo. Perché si tratta innanzitutto di un Manifesto per un Ritorno al vino, alla sua vera natura di prodotto tradizionale, culturale, territoriale, emozionale, artigianale, e soprattutto umano. Come MAURIZIO e ADELE ILLOTTO di Serdiana (alteaillotto.it), nel Sud della Sardegna, che hanno presentato una vendemmia tardiva di Moscato, color bugizio e naso di miele e albicocca essiccata ma bocca equilibrata e non invadente per

dolcezza, dal finale minerale e sapido. Intrigante anche l’etichetta, dedicata alla chiesa di Santa Maria di Sibiola, che dà nome anche ad una delle più piccole IGT d’Italia, Sibiola appunto. Un manifesto la presenza di un personaggio come GASPARE BUSCEMI (gasparebuscemi.com), enologo e produttore di straordinari vini ottenuti per mezzo di tecniche di vinificazioni naturali. Il suo Zero solfiti del 2014 nel retro etichetta riporta alcuni dei temi cari al Buscemi: “Questa bottiglia, prodotta con procedimenti rigorosamente artigianali e naturali senza il minino impiego di anidride solforosa, dimostra che è possibile produrre un vino di tipologia classica senza far

Alla Fiera di Faenza domenica 12 e lunedì 13 novembre si sono dati appuntamento oltre 140 produttori vinicoli artigiani, accomunati da un amore sincero e profondo per la terra e la valorizzazione naturale dei suoi frutti (photo © www.backtothewine.it).

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Back to the Wine è un omaggio ai vignaioli artigiani, a coloro che quotidianamente vivono la terra lontano dai riflettori della popolarità per rivendicare un linguaggio popolare, come è sempre stato il vino sulle nostre tavole

Parola d’ordine: ritorno. Ad una visione perduta, offuscata da premi, concorsi e punteggi, da un approccio che insegue un’inesistente oggettività, da un gusto omologato diffuso che insegue se stesso in una vuota spirale: è il momento di fare un passo indietro

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In alto: Jacopo Baruffaldi, Baruffaldi vini, Borgo Priolo (PV). In basso: Andrea Marchetti, organizzatore dell’evento insieme a Blu Nautilus e Vinessum, e Riccardo Lagorio, davanti ad un’opera di Lorenzo Marabini, artista visivo e consulente per la comunicazione della manifestazione. uso di questo additivo anche quando l’alcolicità risulta piuttosto contenuta”. Partite da qui per stappare la prossima bottiglia di vino… Certo che pure la presenza di un gruppo non organizzato di hobbisti, che passa sotto il nome di “Vino in garage”, ha riservato non poche sorprese. Passi per personaggi come LEONARDO FRANCESCHETTI (Azienda Agricola Fontego, telefono: 328 4109059), di professione orafo, che da San Piero

in Cariano, area di Valpolicella e Amarone, ci ha sbalordito con il Passito bianco del 2014 dai profumi di rosmarino e miele d’acacia (domanda: «Che valore ha il vino rispetto all’oro?»; risposta «L’oro ha un valore di mercato, il vino no» mettendo il dito nella vera piaga, l’opinabilità dei prezzi nel mondo enoico), passi per lo Iupiter di CRISTIANO MORINI, un Alicante con note di anice stellato da primato nato nelle terre faetine, ma dove altro si possono

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scovare vini come il Pietramatta 2012 di ANDREA SALA, caldo di resina e incenso, o il Perricone di ANTONINO ALESSI (telefono: 347 7094437) di Villafrati, nel Palermitano, grasso e grondante di ginepro? Intuitivi è il termine che definisce i vini di JACOPO BARUFFALDI (baruffaldivini. it), sesta generazione di vignaioli in Borgo Priolo, nell’Oltrepò pavese, perché sono vini che si evolvono nel bicchiere e raccontano il lavoro in vigna e in cantina lontano da correzioni, aggiustamenti, omologazioni. Con 7,00 euro si può avere una bottiglia del loro vino IGT, 13 gradi dell’uvaggio tradizionale: Merlot, Uva rara e Croatina. Intuitivo il K’un di CLARA MARCELLI (claramarcelli.it), un Montepulciano dai tannini setosi e di mora matura che

nasce a Castorano (AP) guardando il Gran Sasso. Intuitivi lo Spumante Brut Valle Sivizzano, dalle precise note di rabarbaro, e la Riserva Shiraz, anno 2013, dove si rincorrono sentori di ribes, cacao e mora di Vigna Cunial (www. vignacunial.it)sulle prime colline di Traversetolo (PR). Intuitivo il Carmina Arvalia 2012 di Podere Trinci (carminarvalia.it) di CARLA SIMONETTI in Castagneto Carducci (LI): difficile trovare un vino tanto intenso e versatile che segua filologicamente il pranzo dall’antipasto ai secondi di carne passando per paste condite. A proposito di abbinamenti, a corredo della manifestazione si devono registrare alcune visionarie espressioni artistiche di LORENZO MARABINI. Animali

fantastici, Abbina-Menti, capaci di stimolare riflessioni e commenti dialettici su quanto quel vino sia bevibile con quel piatto. «Back to the Wine è un omaggio ai vignaioli artigiani, a coloro che quotidianamente vivono la terra lontano dai riflettori della popolarità per rivendicare un linguaggio popolare, come è sempre stato il vino sulle nostre tavole», spiega Andrea Marchetti, regista dell’evento. «Noi vogliamo raccontare questo mondo, fatto di umanità e di un vissuto come atto agricolo responsabile, con il minimo impatto ambientale possibile». Obiettivo centrato. Au revoir alla terza edizione. Riccardo Lagorio >> Link: backtothewine.it

Tre anni dalla scomparsa di Renato Bergonzini In queste poche righe vogliamo ricordare il nostro collaboratore Renato Bergonzini, essendo trascorsi tre anni da quando è venuto a mancare. Infatti, Renato, nato a Savignano sul Panaro (MO) il 10 luglio 1932, è scomparso il 28 novembre 2014 a Montepulciano (SI), dove viveva da anni con la sua amata Ave. Era un uomo di grande cuore, buono e generoso, che amava la compagnia degli amici: tutti gli riconoscevano una simpatia unica! Grande intrattenitore, socievole con tutti, sapeva farsi benvolere. Per esperienza diretta, posso affermare che andare a cena in sua compagnia era piacevolissimo. Oltre a questo suo carattere benevolo, era un grande intenditore di vino e aceto balsamico. Ha collaborato come giornalista e facendo parte del comitato di redazione con le nostre riviste Eurocarni e, in particolare, Premiata Salumeria Italiana: i suoi articoli, giudizi e commenti erano riconosciuti all’unanimità di grande autorevolezza e competenza. Di seguito ricordiamo alcuni dei libri che ha scritto. Semese un feudo una storia. Deputazione storia patria antiche province modenesi, 1977. Il Nocino, 1978. Campogalliano e la cantina sociale: 1908-1978, 1978. L’Aceto Balsamico nella tradizione e nella gastronomia, 1979. Burattini e burattinai, 1980 (Renato Bergonzini, Cesare Maletti, Beppe Zagalia). L’appennino modenese, 1982 (Renato Bergonzini, Beppe Zagaglia). La nostra terra, 1983 (Renato Bergonzini, Beppe Zagaglia). Arte dei brentatori a Modena, 1983. A tavola con i cibi tradizionali della nostra montagna, 1983. Vignola una città, 1984 (Claudio Soli, Renato Bergonzini, Augusta Roffi). Infusi e liquori casalinghi, 1989. Aceto balsamico, 1990. In cucina con l’aceto balsamico, 31 dic. 1996. L’anima e la gola (a Enoteca ‘97 vinse il premio speciale giornalistico-gastronomico), 1997. L’aceto balsamico, una favola in cucina. Il manuale per conoscere l’arte e la storia dell’aceto balsamico con le più gustose ricette…, 2002. L’aceto balsamico. La tradizione insegna. Breviario dei piccoli e grandi accadimenti sulla lunga strada della maturazione, 2008. L’Aceto Balsamico, 1 gen. 2015 (postumo, Rosanna Righini e Renato Bergonzini).

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Vino e dintorni di Massimiliano Rella

In alto: uno dei vigneti di Tenute Rubino, azienda vitivinicola di Brindisi). In basso: l’Igt Torre Testa rosè di Tenute Rubino. Il vino rosato, ottenuto da uve Susumaniello, ha ottenuto valutazioni molto positive dalla rivista austriaca Falstaff (photo © Studio Ph Dariorovere).

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n Salento, vitigni autoctoni per vini di qualità, al passo con i gusti del consumatore; al Festivaletteratura di Mantova le degustazioni del Garda Doc; la produzione di Chianti classico nei terreni di Gaiole in Chianti; in Slovenia, nel giardino vitato sognato da JOSKO GRAVNER. E ancora, in Trentino

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a festeggiare con l’associazione dei vignaioli; a Roma per assaggiare un vino a 5 stelle; nel cuore di Asolo alla scoperta di un vigneto ritrovato; a Milano, capitale della moda, per visionare il progetto WineLeather, innovativa pelle 100% vegetale ottenuta dalle fibre e dagli oli della vinaccia.

I successi “autoctoni” di Tenute Rubino La filosofia di Tenute Rubino, nota azienda vitivinicola di Brindisi, fondata nel 1999 da LUIGI RUBINO, continua a conquistare successi e riconoscimenti; tra gli ultimi quelli di DECANTER e FALSTAFF, accreditate riviste internazionali di vino.

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In particolare DECANTER “premia” il Lamo, un elegante rosso Ostuni DOC da uve Ottavianello in purezza (con 90 punti), mentre l’austriaca FALSTAFF fa un’ottima valutazione dei due rosati IGT Salento della cantina: il fresco e delicato Torre Testa rosè da uve Susumaniello (90 punti) e il sapido e minerale Saturnino da uve Negroamaro in purezza (89 punti). Quest’ultimo è promosso dalla cantina come il vino dell’estate 2017, prodotto la prima volta con l’annata 2004 in omaggio a una tradizione, quella dei rosati, molto diffusa nel Salento. Al naso ricorda la violetta, l’amarena e la ciliegia. Al palato colpisce per la sapidità, generata da un vigneto a ridosso del

mare. Ideale insieme a piatti di pesce, parmigiane di melanzane o primi con funghi porcini, il Saturnino affina in serbatoi d’acciaio e due mesi in bottiglia (info: www.tenuterubino.com). Nasce il Garda DOC: le bollicine puntano a grandi numeri Dieci denominazioni di eccellenza — Valtènesi, San Martino della Battaglia, Lugana, Colli Mantovani, Custoza, Bardolino, Valdadige, Valpolicella, Durello e Soave— unite in un unico marchio: nasce così lo Spumante Garda Doc, al centro di un progetto strategico del Consorzio Garda Doc per il made in Italy. Ambiziosi gli obiettivi dichiarati

dal presidente LUCIANO PIONA: a breve 20.000.000 di bottiglie della nuova tipologia, quante sono all’incirca le presenze turistiche nel bacino gardesano, che si aggiungerebbero ai 7.000.000 di bottiglie che sono già spumantizzate in zona sotto vario nome, e un’ulteriore crescita dell’export. L’immagine del brand è stata elaborata dalla Onice Design e STEFANO TORREGROSSA, selezionata attraverso un concorso al quale hanno partecipato 13 agenzie: un’onda che rappresenta il vino e il suo territorio. La XXI edizione del Festivaletteratura di Mantova è stata l’occasione per la presentazione del Garda Doc Collezione Brut 2016 in edizione limitata.

A destra: Spumante Garda Doc (photo © www.citylightsnews.com). In basso: Festivaletteratura di Mantova. Dal 6 al 10 settembre scorsi, degustazioni aperte al pubblico di Spumante Garda Doc hanno accompagnato l’evento culturale (photo © Mattia Bianchi).

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In alto: vigne del Chianti classico (photo © poggidelchianti.com). A destra: Josko Gravner nella sua vigna a Dedno, Slovenia (photo © linvitatospeciale.it).

I viticoltori di Gaiole in Chianti fanno sistema È nata nel mese di maggio l’Associazione Viticoltori Gaiole con lo scopo di promuovere le aziende vitivinicole del comune di Gaiole in Chianti, la millenaria storia del suo territorio e le particolarità pedologiche della zona che rendono possibili vini di grande personalità e diversità. Le aziende più grandi assieme a quelle più piccole lavorano ora insieme per dare un quadro il più completo possibile della produzione di Chianti Classico della terra di Gaiole in Chianti. I primi a dare impulso sono stati FRANCESCO RICASOLI e EMANUELA STUCCHI PRINETTI, costituendo

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l’associazione con Barone Ricasoli, Capannelle, Badia a Coltibuono, Rocca di Castagnoli, Il Palazzino. Da maggio in poi ha aderito la quasi totalità dei viticoltori, fino alla composizione attuale: Badia a Coltibuono; Barone Ricasoli; Bertinga; Borgo Casa al Vento; Cantalici; Capannelle; Casanova di Bricciano; Castello di Ama; Castello di Lucignano; Castello di Meleto; Fietri; I Sodi; Il Colombaio di Cencio; Il Palazzino; La Casa di Bricciano; Le Miccine; Matteoli agricola; Monterotondo; Podere Ciona; Poggi del Chianti; Riecine; Rietine; Rocca di Castagnoli; Rocca di Montegrossi; San Giusto a Rentennano; San Martino, Montagnani; San

Vincenti (info: www.facebook.com/ viticoltorigaiole). Josko Gravner e il giardino vitato Si avvicina il giorno in cui il giardino vitato sognato da JOSKO GRAVNER sarà in piena attività. Si trova a Dedno, in Slovenia, e si estende su 8 ettari. Il progetto prevede tre stagni e un’opera di architettura del paesaggio a completamento delle vigne. I lavori, iniziati nel 2000, sono stati difficili e impegnativi anche a causa dalla forte pendenza dei terreni, che ha spesso costretto il produttore goriziano a eseguire interventi a mano. Nel 2017

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BEVI RESPONSABILMENTE

www.lambrusco.net

www.enzopancaldi.it - ph: Carlo Guttadauro, Archivio www.lambrusco.net


In alto: una veduta della città di Velletri (photo © canbedone – stock.adobe. com). In basso: WineLeather, pelle vegetale ed ecologica, prodotta da Vegea Srl, società incubata nel Progetto Manifattura (photo © Jacopo Salvi).

è stato realizzato l’impianto delle viti portainnesto, che saranno innestate a gemma direttamente in campo tra due anni, una volta adattate alle nuove condizioni, quando le radici si saranno sufficientemente sviluppate. Le viti piantate quest’anno dopo tre anni di sovescio entreranno in produzione nel 2024/2025 e il vino sarà imbottigliato nel 2032 (info: www.gravner.it).

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I Vignaioli del Trentino celebrano il Trentennale L’Associazione Vignaioli del Trentino, consorzio dal 2015, festeggia i suoi primi trent’anni di vita. Era il 1987 quando alcuni produttori si associarono, condividendo i valori della territorialità, artigianalità e qualità della produzione. Oggi i soci sono oltre 60, rappresentanti di ogni sotto-zona trentina, dalla Vallagarina

alla Rotaliana, dalla Valle di Cembra alle colline di Faedo, Sorni e Pressano (info: www.vignaiolideltrentino.it). Vino a 5 stelle a Villa Borghese Il Sofitel Rome Villa Borghese, boutique hotel 5 stelle a due passi da via Veneto, ha adottato una porzione di vigneto della casa vinicola Ômina Romana, a conduzione familiare, sulle colline di

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Velletri. In questo territorio alle pendici dei Colli Albani, vocato alla viticoltura, sono coltivate dodici varietà di uve rosse tra autoctone e internazionali e sette varietà bianche. La scelta è caduta sul Cesanese, pregiato vitigno a bacca rossa caratterizzato da sfumature rubino e sapore morbido. Le uve sono trasformate in un vino speciale, poche centinaia di bottiglie “della casa”, che il Sofitel Rome Villa Borghese servirà agli ospiti (info: www.sofitel.com). Alle fonti dell’Asolo Docg “Nel cuore di Asolo, un vigneto ritrovato” è il progetto che l’azienda vitivinicola Montelvini della FAMIGLIA SERENA dedica ad Asolo, la “Città dei cento orizzonti”, cuore della denominazione Prosecco Superiore Asolo DOCG. Il

progetto sarà realizzato in un appezzamento vitato nel centro storico del borgo veneto, in provincia di Treviso, per recuperare il genoma della pianta originale dalla quale sono derivate le produzioni della denominazione. Quest’ultima è l’unica del Prosecco “classico” che include in disciplinare la versione Extra Brut, grazie a un terreno e un microclima che garantiscono struttura e salinità. Il vigneto, impiantato nel 1960, si estende su 3.000 m2 (0,3 ettari), coltivato in prevalenza con vitigno glera. Le prime bottiglie arriveranno sul mercato nel 2023 (info: www.montelvini.it). Uve prêt-à-porter La prima collezione di moda realizzata con tessuti tecnici a base vegetale

(biobased) è stata presentata da VEGEA, azienda milanese che produce biomateriali per il fashion design, da gennaio coinvolta nel Progetto Manifattura, incubatore clean tech di Trentino Sviluppo, società partecipata della Provincia Autonoma di Trento. L’attività prende spunto dalla ricerca di tecnologie innovative per la produzione di materiali da fonti vegetali rinnovabili per la moda. Uno studio su molteplici matrici vegetali dell’agroindustria ha identificato i derivati della lavorazione vitivinicola, la vinaccia — semi e bucce dell’uva residui — come materia prima ideale per la presenza di composti polifunzionali utili per creare tessuti tecnici ecosostenibili (info: www.progettomanifattura.it). Massimiliano Rella

Enologica 2017, in alto i calici Si è appena conclusa a Bologna l’edizione 2017 di “Enologica”, che ha fatto costantemente registrare un folto pubblico per tutte e tre le giornate, con diverse migliaia di wine lovers e tantissimi giornalisti e operatori sia italiani sia esteri, che si sono lungamente intrattenuti fra i 118 espositori, dialogando con i produttori e degustando la selezione di vini che ogni azienda aveva portato al Salone. «Enologica chiude questa edizione con piena soddisfazione non solo per Enoteca Regionale, ma anche per tutto il nostro comparto vinicolo, poiché è diventata a livello nazionale la manifestazione più rappresentativa per un unico territorio, raccontato in maniera dettagliata e coinvolgente attraverso i vini che ci caratterizzano, dai vitigni principali agli autoctoni. Enologica ha gettato le basi per il futuro diventando il punto di riferimento per la presentazione dei vini emiliano-romagnoli al pubblico, operatori e giornalisti italiani e internazionali», ha Una illustrazione realizzata per Enolodichiarato soddisfatto Ambrogio Manzi, Direttore di Enoteca gica 2017 firmata da Monica Zani che ha Regionale Emilia-Romagna. Ha aggiunto Giorgio Melandri, immaginato un mondo dove i prodotti, i curatore di Enologica: «L’Emilia-Romagna è sempre più una personaggi e le città, con i loro monumenti squadra. Motivata e unita, aperta al mondo e capace di un rac- più belli, si mescolano con allegria. conto che attinge a piene mani da un incredibile patrimonio di storia, tradizione e identità. Enologica 2017 ha realizzato un’alleanza di filiera che non ha precedenti, tra piccoli e grandi, tra istituzioni e mondo produttivo, tra narratori del vino e territori. In questo modo si cambia l’esperienza complessiva di una regione che ha accettato la sfida del mercato di qualità, l’unico che può garantire un futuro alla nostra viticultura». Hanno fatto registrare il tutto esaurito anche quasi tutti gli incontri de “Il Teatro dei Cuochi” e i seminari che hanno illustrato l’ampia panoramica dei vini regionali e le possibilità di abbinamenti, anche inediti, fra tradizione culinaria e innovazione. Sempre coinvolgenti e preparati i numerosi relatori che si sono alternati fra giornalisti, comunicatori e chef. Molto partecipata anche la premiazione di “Carta Canta” con la nomina di una cinquantina di nuovi ambasciatori del vino emiliano-romagnolo in regione, in Italia e nel Mondo, selezionati fra più di 1600 locali fra ristoranti, enoteche, winebar, hotel, agriturismo e stabilimenti balneari che propongono nella propria carta dai vini una qualificata proposta di prodotti made in Emilia-Romagna. >> Link: instagram.com/enologicaer

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I nostri vini per il Natale, buoni tutto l’anno

Il cibo detta il vino, il vino lo esalta di Riccardo Lagorio

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l cibo detta il vino, ma è quest’ultimo a esaltare il piatto. Natale. Il pranzo del 25 è importante per la metà della Penisola; l’altra celebra la festa la sera precedente. E non vi è nulla di più complesso che raccontare la tavola degli Italiani durante le festività: risente, più che in ogni altro momento dell’anno, delle variabili locali e persino familiari, che per l’occasione diventano inviolabili. Così i vini per il Natale (ma in verità buoni tutto l’anno), li abbiamo associati ad alcune delle preparazioni più diffuse. Esclusi i brindisi, che per consuetudine vengono fatti con bollicine.

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Come quelle di FAUSTO ZAZZARA, ingegnere abruzzese prestato alla vite (spumantiartigianali.com). La sua bottiglia di Majgual, mai uguale, uva Cococciola, 36 mesi sui lieviti, ricca di sentori balsamici, è minerale e salda. Capolavoro. Se cercate un vino elegante e sensuale, di tutta natura, bisogna salire a Pochi, frazione di Salorno (BZ). Qui vi accoglie ALOIS OCHSENREITER (haderburg. it), nei 13 ettari di una tenuta condotta con metodi biodinamici. Il suo Hausmannhof Riserva 2006 è complesso e bevibile, con accentuati sentori di pietra focaia.

Chi vuole regalarsi un vino rosato stapperà il Brut Rosè della Cantina Scacciadiavoli (cantinascacciadiavoli. it), di uve Sagrantino. Bollicine fini e persistenti, naso agrumato, insolita bocca di pompelmo e ribes. Il 24 dicembre arriva pesce su molte tavole. Specie baccalà, arraganato (con pane, aglio, uva passa, origano e pinoli) o con peperoni cruschi. Due vini di montagna vi disseteranno. Al clamoroso Blanc de Morgex et de La Salle di ERMES PAVESE (ermespavese.it), di colore paglierino leggero, profumato di biacospino e pera Williams, gusto sapido con note di pepe bianco; rispon-

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de l’altrettanto singolare Jera, da uve Fraueler, un ettaro che OSWALD SCHUSTER cura e anima a Vezzano (www.fws.it/ it/befehlhof), in Val Venosta: delicato al naso con note di sambuco, dal leggero finale di pompelmo. Per i brodi e le minestre affidatevi invece a due cavalli di razza: il Pigato di MARIA GIOVANNA GRANA (telefono: 0182 50688), di colore giallo limone, dal naso di frutta matura e foglia di menta, fresco nel finale; e il Riesling che nasce sui terrazzamenti di Markus Fliri (himmelreich-hof.info) a Castelbello, paglierino luminoso con accenti di erbe aromatiche e muschio, dal sapore fresco discretamente morbido. Per assecondare paste robuste e vincisgrassi i migliori vini assaggiati nel 2017 e che vi offro di conoscere sono il Pornassio Superiore del 2013 dell’Azienda Agricola Guglierame (ormeascoguglierame.it), rubino, fruttato e secco al punto giusto, dal finale di mirtillo; e il Vernacolo 2012, Pergola Rosso della Cantina di Michele Massaioli (telefono: 0721 778720), occhio rubino, naso di fragola, schietto e fruttato in bocca. Da ricordo. Una delle migliori sorprese, che potrà accompagnare cappone e bolliti, è il DDR 2009 della Cantina della Volta di Bomporto, nel Modenese (cantinadellavolta.com), un sorprendente Lambrusco di Sorbara Metodo Classico che riposa per 84 mesi sui lieviti. Un’idea innovativa di Lambrusco nata dall’estro di CHRISTIAN BELLEI e un risultato dalla spuma porpora, naso di ciliegia e mora mature, dal palato persistente. Segnatevi questa sfida ben riuscita. Valida alternativa il superlativo Lacrima di Morro d’Alba 2010 di STEFANO MANCINELLI (mancinellivini.it), color viola scuro dal naso di visciola e lampone, sensualmente sapido con fondo un poco speziato. Poi via verso arrosti e abbacchi con vini dal timbro e l’estensione accentuati come il Montevolpe 2011 della Cantina Bertagna di Cavriana, Mantova (cantinabertagna.it) di uve Merlot, Cabernet Sauvignon e Corvina, colore profondo, palato ricco e caldo, morbido e personale, di spezie, terra e resine. O con sotto braccio il Janare Cantone 2012, Piedirosso Sannio DOC de La Guardiense (laguardiense.it), nel Beneventano, dal colore rosso rubino fitto,

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In alto: Markus Fliri, dell’azienda agricola Himmelreich-Hof, Castelbello, Alto Adige. In basso: Alois Ochsenreiter, titolare della cantina Haderburg, Alto Adige. profumato di mirtillo e vaniglia, tannini gentili e sapore di grande equilibrio. Spettacolare e territoriale quanto i vini della FAMIGLIA VALERIO (campi-valerio. it), che vengono alla luce in luoghi di forti escursioni termiche. È il caso di Opalia 2013, Tintilia dal colore intenso e di grande longevità, che si esprime con naso generoso di frutti rossi e bocca lunga. Infine i dolci, un’infinita varietà e variabilità di fine pasto che riserva la pausa natalizia. Per il pandoro e gli altri dessert privi di frutta essiccata affidatevi al Quagliano Spumante di SERENA GIORDANINO in Costigliole Saluzzo (telefono: 0175 230529), un vino orgogliosamente contadino a bassa gradazione alcolica, ma ricco di sentori di frutta, tra cui spiccano fragola e lampone, gradevolmente dolce. I dolci

con uva appassita (e i formaggi piccanti) troveranno ottimo abboccamento con il Gefide 1999, il San Martino della Battaglia Liquoroso che ANDREA GUETTA (spiaditalia.it) fa nascere sulle terre moreniche e magre a sud del lago di Garda nelle annate speciali, quando la particolare maturazione delle uve Tocai permette di ottenere un vino dal colore paglierino intenso, profumi di mandorla e albicocca, sapore di frutta candita. Per finire sempre in dolcezza versatevi un bicchiere di Sodali della Cascina Melognis (telefono: 333 6676235). Nasce a Revello, nelle Valli del Monviso, grazie alla passione di VANINA CARTA e MICHELE FINO da uve Barbera e Chatus appassite. Naso di cuoio e frutta matura, grande equilibrio tra acidità e dolcezza. In attesa del 2018. Riccardo Lagorio

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Degustazione: bollicine emiliane di Laura Franchini

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soprattutto in occasione delle festività di fine anno che si indulge con più clemenza sui piaceri della tavola. Piatti particolarmente ricchi ed importanti quelli della tradizione italiana, tavolate imbandite con ogni tipo di leccornia, salata e dolce. Ogni regione ha la sua tradizione, ogni famiglia le sue ricette, i suoi piatti del cuore. Certamente l’Emilia-Romagna è un riferimento importante e costante, con alcune delle preparazioni più amate, e cucinate, durante le feste. Chi non arricchisce, infatti, il suo menu con i tortellini, gli zamponi e i cotechini (questi ultimi immancabili anche per il cenone di Capodanno insieme alle beneauguranti lenticchie)? Sono in tanti invece a preparare i tortelli o i cannelloni “di magro”, tendenzialmente di ricotta e spinaci o ricotta ed erbette, per la cena della Vigilia, quando non si dovrebbe mangiare carne. Spesso troviamo anche le

gustose frittelle di baccalà e i pesci puttanini (avannotti di pesce azzurro in carpione). Accanto alle proposte gastronomiche la regione offre anche una ricca offerta enologica, a partire dal Lambrusco, perfetto sposo della ricca e grassa cucina regionale. Grazie alla sua naturale acidità e all’effervescenza è in grado di ripulire e sgrassare perfettamente la bocca e di non coprire i sapori dei piatti della tradizione. E sono proprio le “bollicine” emiliane le protagoniste di questa degustazione: sei vini prodotti in Emilia, non solo con uve Lambrusco, per dimostrare, una volta ancora, quanto la regione sia in grado di produrre proposte non banali e sfaccettate, adatte ad assecondare gusti diversi. Sei calici in grado di sposarsi perfettamente con le tavolate natalizie, così come accompagnare i brindisi degli auguri. Auguri che con grande affetto vi porgiamo anche da questa rubrica. Buone feste.

“A ben riflettere, si può bere il vino per cinque motivi: primo per far festa, poi per colmare la sete, poi per evitare di avere sete dopo, poi per fare onore al buon vino e, infine, per ogni motivo” Friedrich Rückert

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Il cotechino con le lenticchie è un piatto tipico del cenone di Capodanno, non solo sulle tavole emiliane (photo Š Marzia Giacobbe – stock.adobe.com).

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Spumante Dosaggio Zero “Il Mattaglio” Metodo Classico Cantina della Volta CHRISTIAN BELLEI eredita dal padre FRANCESCO la passione per il Metodo Classico. E l’eccellenza. Una vocazione scritta nel DNA e nei vini di Cantina della Volta, eredi di qualità e successi. Sono uve Chardonnay e Pinot nero per questo calice, coltivate a Riccò di Serramazzoni, a circa 650 metri di altitudine, raccolte a mano. All’analisi sensoriale si presenta di un bel giallo paglierino intenso e brillante, con leggerissimi riflessi verdognoli. Intensa e persuasiva la nota olfattiva, floreale di glicine e acacia, con note fruttate fresche. La sorsata è morbida, la schiuma altrettanto, elegante il perlage, armonia tra sapidità e freschezza, note morbide e alcool, grande equilibrio. Secco, di classe, persistente e tenace, beva piacevolissima. Una bottiglia che sarà il perfetto abbinamento ai tanti brindisi della stagione, alle frizzanti serate dicembrine con gli amici, così come alle lunghe e affettuose cene di famiglia.

Cantina della Volta Via per Modena 82 41030 Bomporto (MO) Telefono: 059 7473312 E-mail: info@cantinadellavolta.com Web: www.cantinadellavolta.com

Lambrusco di Sorbara DOC La Riserva Spumante Brut Paltrinieri Paltrinieri e Sorbara. Un poco come dire Pane e Prosciutto. Con i vigneti in quel lembo di terra chiamato “Il Cristo” e con un tenace attaccamento a tipicità, tradizioni e sapienza produttiva, Cantina Paltrinieri è da tempo un riferimento costante, che con altrettanta costanza miete riconoscimenti tra operatori ed appassionati. Prodotto con metodo Charmat lungo, 10 i mesi di affinamento, questo calice presenta, ancora una volta, le molteplici profondità del vitigno Sorbara. Chiaro, rosato cipria trasparente e brillante, La Riserva porge al naso copiose note elegantissime di fragoline di bosco e lamponi, rabarbaro e pompelmo rosa, fiori di campo. Incredibile la bevibilità e la classe, in una sorsata morbida, dalla schiuma fine e persistente, fresca e sapida con grande armonia. Un calice da tutto pasto, perfetto in abbinamento con la cucina modenese, i piatti di pesce, con tutte le proposte degli aperitivi e i tanti brindisi delle festività.

Soc. Agr. Paltrinieri Gianfranco Via Cristo 49 41030 Sorbara (MO) Telefono: 059 902047 E-mail: info@cantinapaltrinieri.it Web: www.cantinapaltrinieri.it

Brut Millesimato Bianco 2010 Lini910 Un lunga tradizione spumantistica per questa cantina di Correggio, in provincia di Reggio Emilia. Iniziata, come si evince dal nome, nel lontano 1910, questa passione per la produzione di spumanti a Metodo Classico è giunta ora ad investire la quarta generazione di LINI: ALICIA, ALBERTO ed ALESSIO. Prodotto con uve Pinot nero in purezza, vinificate in bianco, questo calice è abbagliante, di colori e sentori. Giallo paglierino chiaro, brillante e limpido, si presenta con un perlage finissimo, costante, deciso ma senza arroganza. Olfattiva convincente di croccanti ricordi di pane e pasticceria, mandorle tostate e crema al latte, vaniglia e biscotti. Armonica la sorsata, dove la freschezza si sposa perfettamente con note morbide e con la schiuma. Lunga e corrispondente, circolare, intensa ed elegante. Calice adatto ad aperitivi, piatti di sushi e tartare di pesce, fragole e ostriche. La sera della Vigilia di Natale, a tutto pasto.

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Lini Oreste E Figli S.r.l. Via Vecchia Canolo, 7 42015 – Correggio (RE) Telefono: 0522 690162 Fax + 39 0522 690208 E-mail: info@Lini910.It Web: www.lini910.it

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Bellei Francesco Cuvée Brut 2010 Francesco Bellei & C.

Francesco Bellei & C. Via Nazionale 130/132 Cristo di Sorbara 41030 Bomporto (MO) Telefono: 059 902009 E-mail: info@francescobellei.it Web: www.francescobellei.it

È SANDRO CAVICCHIOLI l’enologo e il deus ex machina dell’attuale produzione della Francesco Bellei. Un produzione e un’esperienza orientata al Metodo Classico, con proposte sempre attuali, moderne e costanti nella qualità. Un calice convincente, fresco e dalla bolla suadente il Brut 2010. Prodotto con il 50% di uve Pinot nero e il rimanente Chardonnay, si presenta di un limpido giallo paglierino, con riflessi dorati. Al naso è intenso con classe, di pasta di mandorle e ricordi fragranti di lieviti, frutta matura e leggere spezie a contorno, vaniglia del Madagascar. Morbida la sorsata, col sostegno di una buona spalla acida, perlage elegante, presente ma non pressante. Rotondo con carattere, è certamente adattissimo agli innumerevoli brindisi degli auguri. Si presta ottimamente ad accompagnare il rito dell’aperitivo così come i piatti di pesce, i fritti misti e i prosciutti crudi, anche ben stagionati.

Spumante Metodo Classico Pas Dosé Belmount Boni Luigi

Boni Luigi Via San Rocco 1195 41028 Pazzano di Serramazzoni (MO) Telefono: 0536 952338 – 348 5501488 Ufficio: 0536 579943 E-mail: info@boniluigisrl.it Web: www.boniluigisrl.it

Nel cuore del Frignano, sui primi appennini modenesi, troviamo questa realtà, vocata alla produzione di vini a Metodo Classico. È LUIGI BONI, il titolare, ad intuire le potenzialità dei terreni, di tipo “marnico”, limosi, argillosi e sabbiosi, naturalmente carenti di magnesio e molto calcarei, adattissimi alla valorizzazione dei vitigni adatti alla spumantizzazione. Il Belmount viene prodotto con uve di Chardonnay per il 35%, di Pinot nero per il 50% e il rimanente 15% di Pinot bianco. Al calice si presenta di un brillante giallo paglierino, limpido. L’olfattiva è sorprendente di note di pane croccante e frutta secca, mandorle e arachidi, cocco e noci brasiliane, con punte vegetali. Fresco, secco e piuttosto lungo nella sua espressione gustativa, armonico con una giusta sapidità, circolare nei frutti con punte di mela verde. Una bolla piena e affascinante, che si presta perfettamente ai tanti brindisi augurali delle festività.

Spumante Metodo Classico Malbolle 2015 Podere Il Saliceto

Podere il Saliceto Via Albone 10 41011 Campogalliano (MO) Telefono: 349 1459612 – 347 0477360 E-mail: podereilsaliceto@katamail.com Web: www.podereilsaliceto.com

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Siamo a Campogalliano, in provincia di Modena, a ridosso del fiume Secchia. In questi terreni alluvionali, ricchi di potassio e decisamente vocati alla viticoltura, GIAN PAOLO ISABELLA e MARCELLO RIGHi, giovani e entusiasti titolare della cantina, dal 2004 si dedicano alla produzione di vini tipici, netti e soprattutto di grande qualità. Non fa eccezione questo Metodo Classico, prodotto con uve di Malbo Gentile in purezza. Calice trascinante, fresco, giovane e diretto. Il colore è rosso ramato, non troppo intenso e brillante, mentre l’olfattiva è piena e non banale. Sono note fruttate di piccoli frutti rossi e pepe rosa, vegetali di erbe di campo e ruta, mineralità e scorza di agrumi. Ampia la sorsata, dalla schiuma avvolgente, persistente e aggraziata, freschezza bilanciata con sapidità e grado alcolico. Una bolla che convince nel tutto pasto e che si presta perfettamente ad antipasti vari, a fritti di pesce, ai piatti della tradizione emiliana.

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TECNOLOGIE

Il Caseificio Palazzo festeggia i 60 anni di attività e sceglie il gestionale CSB-System

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al 1957 la famiglia Palazzo, oramai giunta alla terza generazione, dedica il suo impegno quotidiano alla lavorazione di prodotti caseari tipici pugliesi che sono l’espressione autentica della cultura gastronomica della Murgia barese. Da sempre attenta ai valori nutrizionali così come alla sostenibilità ecologica della filiera di produzione, con il marchio Murgella produce formaggi di qualità utilizzando materie prime locali, selezionate e garantite. «All’inizio della nostra storia il Caseificio Palazzo era un piccolo laboratorio a conduzione familiare. Anche oggi, però, che i no-

stri prodotti sono distribuiti e amati in tutto il mondo — spiega con orgoglio CLAUDIA PALAZZO — certi valori, per noi, restano gli stessi. Il sessantesimo anno di attività — prosegue Claudia — è un traguardo importante che celebriamo con una grande crescita e la presentazione di prodotti innovativi, nuove linee biologiche e importanti certificazioni di qualità. Un’evoluzione che abbiamo voluto, pianificato e che non ci ha colti impreparati nemmeno dal punto di vista del controllo e dell’ottimizzazione dei processi aziendali. Nel 2016, infatti, i tempi erano maturi e abbiamo deciso di procedere all’acquisto ed imple-

mentazione del gestionale CSB-System dell’omonima azienda veronese. Già da qualche anno eravamo in contatto con loro: ci incontravamo alle fiere di settore, ricevevamo regolarmente gli inviti per partecipare ai loro seminari nazionali e internazionali, ci aggiornavano sulle novità del sistema». Il progetto in sintesi Attualmente il Caseificio Palazzo utilizza i moduli Gestione Raccolta Latte, Acquisti, M-ERP per la Produzione, incluso gestione serbatoi, cagliate, filatura e confezionamento, Vendita con picking tramite terminalini, Controllo Qualità,

Con il marchio Murgella il Caseificio Palazzo produce formaggi di qualità con materie prime locali, selezionate e garantite.

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Gestione giri, Gestione rappresentanti, EDI da e verso fornitori/clienti e vettori, magazzini e centri di costo, Contabilità generale ed analitica. Il progetto include 18 postazioni di lavoro tra uffici e stabilimento, di cui due CSB-Rack a muro in sala produzione. Raccolta Latte tramite terminalini con il CSB-System La lavorazione del latte, raccolto in zona, e la formazione della cagliata mediante siero innesto permettono di ottenere il tipico prodotto pugliese, ricco di principi nutritivi e dalle specifiche caratteristiche di fragranza, morbidezza e bontà. L’ampia gamma dei prodotti Murgella copre l’intera linea a pasta filata e non solo: dalle mozzarelle alle scamorze, dalla burrata al caciocavallo silano DOP, dal cacioricotta alla stracciatella, fino alla ricotta. La Raccolta Latte è suddivisa per giri; ogni giro è assegnato ad un camion aziendale. Una volta raggiunta la stalla conferente, la soluzione CSB-System consente all’autista di inserire su terminalino mobile i litri, la data e la stalla e di stampare off-line lo scontrino per il conferente. Al rientro in caseificio, il rilevamento del latte in ingresso è registrato nell’apposito modulo della Gestione Prodotti Agricoli (GPA) suddiviso per giro camion, e quindi conferenti, e assegnato ad un tank di stoccaggio (centro di costo di conferimento), dal quale verrà poi prelevato per la produzione. Questa fase è gestita con CSB-Rack, PC industriale situato in sala produzione. Controllo Qualità come processo trasversale Minimo due volte al mese, per ogni conferente viene inviato un campione di latte ad un laboratorio esterno, dal quale si riceve successivamente un file che riporta i risultati delle analisi chimico-fisiche svolte sul latte raccolto. Il contenuto di questo file viene importato direttamente nel CSB-System e fornisce le informazioni necessarie per la valutazione dei fornitori e la determinazione del prezzo del latte alla stalla. Ad inizio mese, e relativamente al mese precedente, infatti, l’ufficio contabile di Palazzo, attraverso uno specifico programma parametrizzabile, calcola premi e penalità per conferente, a partire dal prezzo di contratto concordato e dai

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In alto: Claudia Palazzo con Guido Girardelli della CSB-System. In basso: fase di picking con soluzione M-ERP. relativi dati qualità, elaborando così automaticamente la fattura proforma per conferente. Il modulo Raccolta Latte prevede inoltre delle statistiche di consegna configurabili direttamente dall’utente per periodo, per conferente, per gruppo di conferenti, per giro camion di raccolta, per costi di raccolta. I vantaggi dell’M-ERP nella Gestione Serbatoi In generale, l’obiettivo dell’M-ERP è fornire delle soluzioni semplici affinché gli operatori in produzione, spesso poco avvezzi all’uso del computer, possano registrare i dati e alimentare le informazioni a sistema senza ricorrere a moduli cartacei. La miscelazione del latte necessario per la pastorizzazione e il carico in produzione avvengono

in maniera intuitiva con funzionalità M-ERP all’interno di CSB-System. Per ogni lavorazione è possibile gestire un lotto e la movimentazione del latte tra i vari serbatoi (centri di costo). Gli operatori al quadro dispongono in tempo reale di tutte le informazioni circa il latte contenuto nei serbatoi, compreso il giro di conferimento e la tracciabilità delle lavorazioni precedentemente effettuate. Pianificazione e Produzione di freschi e cagliate con M-ERP Sulla base degli ordini di vendita, della disponibilità delle componenti e delle esigenze commerciali, il modulo Pianificazione della Produzione del CSBSystem elabora il piano di produzione sulle diverse linee in impianto. L’operato-

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per rappresentanti e buoni/premi di fine anno. «I nostri prodotti sono molto apprezzati anche all’estero» spiega Claudia. «Grazie al CSB-System noi oggi siamo in grado di emettere fatture, ddt ed etichette SSCC nella lingua richiesta dal cliente». Tramite EDI integrato nel gestionale, inoltre, il Caseificio Palazzo gestisce in tempo reale il complesso scambio dati con la GDO con invio automatico di bolle e fatture secondo i tracciati definiti dal partner commerciale, eliminando doppi inserimenti e ridondanza di dati.

Monitor di visualizzazione e gestione delle cagliate. re può associare ogni lavorazione a una specifica linea di impianto gestendo e analizzando in maniera ottimale i tempi di produzione in impianto e monitorando eventuali anomalie in produzione; nello specifico, il caseificio pugliese dispone di tre linee di polivalenti e tre di filatura. Attraverso un’interfaccia grafica utente, il CSB-System propone per ogni lavorazione una lista delle componenti utilizzabili con la loro disponibilità. Di default viene proposta la quantità in litri massima lavorabile ma l’operatore può modificarla a seconda del tipo di lavorazione che si vuole intraprendere. I componenti di produzione, caglio, fermenti e sale, sono caricati nel magazzino materie prime e poi nel lotto di produzione. Gestione efficiente degli Acquisti per una rintracciabilità garantita Il modulo Acquisti del CSB-System rappresenta la base d’inserimento di tutte le informazioni riguardanti la rintracciabilità dei componenti (sale, fermenti, cagliate, panna) e del conferente latte nonché degli imballaggi. Di conseguenza, le sue statistiche forniscono uno strumento utile per il controllo dei costi d’acquisto. «Anche per questo processo — interviene VITO LOCOROTONDO, responsabile qualità dell’azienda pugliese — abbiamo scelto di dotarci di terminalini per poter garantire flessibilità e mobilità agli operatori impegnati nel ricevimento merci».

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Evasione ordini con procedura Pick-by-Scan Il Caseificio Palazzo Spa vanta una rete logistica efficiente e tempestiva, oggi potenziata grazie alla procedura d’evasione ordini Pick-by-Scan introdotta con il CSB-System. I dati degli ordini inseriti nel gestionale sono inviati ad apparecchi mobili per la rilevazione dati con funzione di lettura tramite scanner. I dipendenti passano con scanner il codice a barre dell’articolo da evadere, prelevano la quantità indicata sull’apparecchio di Presa Mobile dei Dati (PMD) e confermano il processo premendo un tasto. Grazie ai terminalini on-line su CSB-System si evita il passaggio da un formato di dati all’altro con vantaggi evidenti quali l’elaborazione rapida e senza errori delle informazioni, il controllo costante sullo stato della preparazione ordini grazie al collegamento al sistema di gestione del magazzino, l’ottimizzazione delle sequenze di lavoro, carico e scarico istantaneo del magazzino. Anche la compilazione degli inventari è semplificata grazie all’applicazione M-ERP su terminali mobili con conseguente riduzione dei margini di errore degli operatori. Meno lavoro e maggiore sicurezza con l’EDI Il modulo delle Vendite supporta, oltre alla gestione dei contratti con la GDO, anche la gestione degli agenti/rappresentanti con statistiche sulla scontistica

Anche la Contabilità è CSB-System Per sfruttare a pieno i vantaggi di un software integrato, l’azienda barese ha deciso di sostituire il sistema contabile in uso con quello del CSB-System. Tutte le funzioni di gestione merci sono direttamente integrate nel modulo Contabilità, per eseguire in maniera trasparente il controllo automatico delle fatture e delle registrazioni e gestire i pagamenti anche elettronici con Riba, Rid, senza tralasciare statistiche e stesura dei bilanci. «Siamo orgogliosi che i nostri formaggi siano l’autentica espressione della cultura del nostro territorio e della storia della nostra famiglia» conclude Claudia Palazzo. «Per questo motivo siamo costantemente impegnati nella miglioria degli standard qualitativi e del packaging. Anche la scelta di un gestionale come il CSB-System, utilizzato da grossi gruppi industriali in Italia e all’estero, testimonia i continui sforzi della nostra azienda per garantire ai nostri clienti una filiera rigorosamente controllata e certificata».

Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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LIBRI Viaggio a 360º tra i vigneti di ieri e di oggi

Olio: cucina, degustazione, salute, arte, mito e letteratura

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lio extravergine di oliva nell’arte, nella mitologia greca, nella cultura latina, negli affreschi e tra le pagine della letteratura, nelle canzoni popolari. Ma, soprattutto, olio sulla tavola degli Italiani, nelle cucine di case e ristoranti e sugli scaffali delle botteghe. Conservato in bottiglie di vetro scuro, per non alterarne la qualità, e da degustare con una tecnica semplice ma fondamentale per imparare a distinguerlo, riconoscerlo e sceglierlo. Il libro “Olio. Lo straordinario mondo dell'olio extravergine di oliva”, di LUCIANA SQUADRILLI e SIMONA COGNOLI, accompagna i lettori in un viaggio a 360° in questo mondo dalla storia millenaria partendo proprio dal momento dell’assaggio. Perché per un consumatore non professionista e non molto esperto è questo il passaggio fondamentale per potere capire cosa acquistare, per potere scegliere il prodotto migliore tra i tanti proposti da un mercato sempre più globale e dove si

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rischia di trascurare la qualità e — di conseguenza — il sapore e il gusto. Con i loro pratici consigli, le autrici consigliano per esempio di non degustare l’olio con il pane ma utilizzando — in mancanza dell’apposito bicchiere per l’assaggio professionale — anche un semplice bicchierino da caffè appena scaldato con il palmo della mano. “Non ingeritelo subito, spiegano, ma prendetevi del tempo per annusarlo, prima, e poi spargerlo su tutto il palato e in gola. Solo così potrete sentirne il sapore e coglierne le sfumature aromatiche, dopo aver verificato che non presenti alcun tipo di difetto”. Assaggiare, però, non basta. Occorre anche saper leggere le etichette e Squadrilli e Cognoli aiutano il lettore a capire come fare. E poi via con un viaggio nelle regioni d’Italia, alla scoperta delle tantissime varietà di olive e di olio che caratterizzano le varie zone della penisola. Ma prima, una tappa anche nelle cucine per capire dove e come

LUCIANA SQUADRILLI E SIMONA COGNOLI (A CURA DI) Olio. Lo straordinario mondo dell’olio extravergine di oliva Edizioni LSWR 160 pp. – € 15,90, e-book € 10,99

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conservare l’olio, in quali contenitori e per comprendere come scegliere una determinata tipologia in base al piatto da portare in tavola, anche con l’aiuto di grandi chef e cucinieri italiani e con le loro ricette. Le autrici dedicano spazio anche alla storia dell’olio, partendo dalla cultura dei fenici per arrivare fino ai nostri giorni, che vedono sempre più numerose strutture alberghiere, termali e agrituristiche offrire trattamenti, percorsi di bellezza e di benessere incentrati sull’olio extravergine di oliva. Un capitolo viene dedicato all’olio e alle sue applicazioni terapeutiche, perché i suoi composti chimici lo rendono adatto ai fini cosmetici e per essere utilizzato nei medicinali. Le sue proprietà, inoltre, sono un valido supporto per contrastare le infiammazioni, l’invecchiamento, per curare l’epidermide e per i trattamenti delle unghie e dei capelli. Col passare dei secoli l’olio è anche riuscito a entrare nella religione e nella mitologia. Tanti gli esempi riportati dalle autrici partendo sempre dalla cultura greca fino ad un’analisi della presenza dell’olio nella Bibbia. Basti pensare alla colomba che porta un ramoscello di ulivo

a Noè. Simbolo di pace e abbondanza, l’olio è un elemento costante nelle pitture che traggono ispirazione dai racconti mitologici per giungere, poi, fino alle tele di Vincent van Gogh o Auguste Renoir. Anche la narrativa italiana gli ha dato ampio spazio: si pensi alla storia delle raccoglitrici di olive di Nedda nel racconto di Giovanni Verga o alle passeggiate del commissario Montalbano di Andrea Camilleri tra gli ulivi siciliani. Più inattesa, ma davvero affascinante, la ricognizione del ruolo dell’olivo nell’ambito musicale: dai canti popolari che un tempo accompagnavano la raccolta delle olive nelle campagne ai suoni contemporanei, dalla possibilità di favorire lo sviluppo delle piante con i suoni fino all’uso del legno d’olivo per la realizzazione di strumenti musicali. Le autrici • LUCIANA SQUADRILLI, laureata con lode in Scienze della Comunicazione all’Università La Sapienza, è una giornalista professionista specializzata in enogastronomia e assaggiatrice di olio extravergine. Ha all’attivo diverse docenze presso importanti istituti nazionali e ha

Assaggiare non basta: occorre anche saper leggere le etichette e Squadrilli e Cognoli aiutano il lettore a capire come fare. E poi si va in viaggio nelle regioni d’Italia, alla scoperta delle varietà di olive e di olio che caratterizzano le varie zone della Penisola già curato diversi volumi in ambito enogastronomico. • SIMONA COGNOLI, laureata in Scienze Politiche, è un’esperta assaggiatrice di olio e titolare del progetto Oleonauta che valorizza e promuove le iniziative culturali e commerciali sull’olio extravergine di oliva. Svolge attività di formazione e consulenza per le aziende del settore ed è membro di giuria a importanti concorsi internazionali di olio extravergine

PappaMilano

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fresca di stampa la nuova edizione di PappaMilano, da 16 anni la guida al mangiare bene senza spendere una fortuna, scritta VALERIO MASSIMO VISINTIN, critico gastronomico “in incognito” del CORRIERE DELLA SERA. L’autore, continuando rigorosamente a celare il proprio volto, racconta nel libro tutte le novità della ristorazione meneghina di qualità e a prezzi accessibili. La guida è divisa in tre parti: da un lato quaranta ristoranti strutturati ma a buon prezzo; dall’altro cento locali prêt-à-porter, botteghe raccolte e veloci, divise dalla guida in sei categorie: gastronomie, cucine dal mondo, paninerie, piadinerie, toasterie e

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affini, pizzerie e focaccerie al taglio, specialità regionali, hamburgerie e altri sfizi. Nel mezzo le dieci migliori pizzerie della città, secondo l’autore, il tormentone del momento nella cucina meneghina.

VALERIO MASSIMO VISINTIN PappaMilano 2018. 150 indirizzi per mangiare bene e non spendere una fortuna Terre di mezzo Editore www.terre.it

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Un viaggio nel sake

I

l sake, prodotto da secoli in Giappone, è la bevanda alcolica ricavata dalla fermentazione del riso di cui si conosce ancora molto poco nel mondo occidentale. E sempre il sake è il protagonista di questo libro che si pone a metà strada tra diario di viaggio e manuale d’uso pratico avvicinando il lettore alla cultura del Sol Levante. GAETANO SACCOCCIO parte da Roma con destinazione Giappone e annota le visite ai luoghi di produzione, gli incontri con i produttori, la degustazione dei sake, le riflessioni personali e gli umori di un viaggio alla scoperta di un mondo affascinante. Bello il parallelismo che l’autore sceglie nello spiegare questo percorso, fatto di “cocci sparsi degli appunti di viaggio, delle notazioni prese al volo, dei pensieri sfuggenti, delle impressioni sensoriali, delle osservazioni,

delle voci fuori campo”. Piuttosto che tenerle per sé, Saccoccio le mette insieme e le racchiude in questo piccolo saggio. Un po’ come avviene nella pratica del kintsugi, l’arte giapponese di ricomporre i frammenti di un oggetto in ceramica con l’oro. In questo modo, anche un’imperfezione può diventare “una forma ancora più singolare di perfezione estetica”. L’autore GAETANO SACCOCCIO, classe 1974, laurea in filosofia è un degustatore giramondo, sempre a caccia di locande, vigne, vignaioli, artigiani. Giorni, mesi, anni spesi alla ricerca di storie degne d’essere viste, vissute, raccontate. Natura delle cose (www.naturadellecose.com) è il nome del suo sito, in cui promuove un’educazione consapevole al bere. GAETANO SACCOCCIO Un viaggio nel sake. Collana La terra e la passione Edizioni Estemporanee Illustrazioni di LUCIANO CISI 120 pp. – € 13,00 – Acquisto on-line: edest.it/prodotto/unviaggionelsake

A sinistra: l’arte del kintsugi, letteralmente “riparare con l’oro”. La tecnica permette di ottenere degli oggetti preziosi sia dal punto di vista economico che da quello artistico: ogni ceramica riparata presenta infatti un diverso intreccio di linee dorate unico ed ovviamente irripetibile per via della casualità con cui l’oggetto può frantumarsi (photo © Chawan, Bizen-Yaki–Pinterest.com). In basso: insegna luminosa (photo © Chris Titze Imaging – stock.adobe.com).

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Il profumo della tradizione, il gusto della qualitĂ .

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