Post Olympic City_Booklet

El eonor a Schi avi

PO ST O LY M PIC C ITY

A tutti gli instancabili sostenitori.

Politecnico di Milano Scuola di Architettura e SocietĂ Corso di laurea magistrale in Architettura AA 2012-2013 Sessione di laurea: 28 Aprile 2014 Post Olympic City Relatore: Matteo Umberto Poli Candidata: Eleonora Schiavi

INDICE:

00 Abstract

4-7

I FASE ANALITICA 01 Una nuova archeologia olimpica

10-15

02 Figli del Mega evento

16-21

03 Una progettualità mancata: Atene 2004

22-27

04 Vecchi e nuovi landmark

28-37

II FASE PROGETTUALE 05 Convivenza tra paesaggio e architettura dell’abbandono

40-45

06 Progettualità evolutiva

45-55

07 Strategie di progetto

56-69

08 Olympic Nord

70-81

09 Olympic Sud

82-93

bibliografia/sitografia

94-95

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A B S T R AC T

Post olympic city

P

ost Olympic city. Distese di cemento, edifici in stato di abbandono, barriere, inutilità, White Elephant. E’ questa la situazione ricorrente dei siti olimpici. A distanza di qualche anno dall’evento restano sul terreno delle città ciccatrici urbane, luoghi senza più un significato, l’evento è concluso e la loro funzione con esso. La grande spesa economica di realizzazione ora appare ingiustificata, i costi di mantenimento infrastrutturale gravano sulle città.

E’ un fallimento su grande scala e di certo non si può parlare di giochi sostenibili.

Zooming su Atene, condizione attuale, tram X96, fermate dalla 2nd alla 6th Glyfada, lo sguardo si ferma su un vecchio aeroporto abbandonato (ne è stato costruito uno più grande per le Olimpiadi del 2004). Tre chilometri e mezzo di cemento, edifici abbandonati, aerei arrugginiti sono elementi di un vuoto impenetrabile, un luogo senza funzione. Si notano degli spalti, campi da gioco “mangiati” dalla sabbia del mare. Un ex viale olimpico sembra un appendice della costa, si riconosce la sua natura formale solo grazie alla geometrica e parallela disposizione dei grandi lampioni. Un circuito per il Kayak vuoto richiama alla mente il film Lord of Dogtown, sembra un concatenarsi di piscine tonde vuote. Gli skaters hanno saltato le recinzioni, la generazione contestatrice oltrepassa le barriere, rioccupa e ridà funzione all’abbandono.

M1 fermata Irini, sito olimpico nord, si trovano di nuovo barriere che rendono il sito inaccessibile, scalinate arrugginite, transenne abbandonate nei limitrofi spazi residuali. Stadi bianchi vuoti, dalle enormi dimensioni mostrano un deperimento evidente. Le piscine sono racchiuse nei propri recinti, vuote. Deve aver appena piovuto, un filo d’acqua stagnante fa galleggiare i fogli e le bottiglie di plastica.

La fontana spenta rivela i cinque anelli olimpici anneriti dal tempo. La base è una vasca piena di rifiuti.

L’hangover olimpico grava sulla città greca.

L’ambizione dellla tesi è quella di mettere in luce le problematiche conseguenti il mega evento, prendere atto dell’esistenza di architetture dal forte valore simbolico, valutare quale siano le azioni 6

Abstract

possibili per risemantizzare i luoghi dell’abbandono, per integrarli nel tessuto urbano.

Lo scopo finale è quello di realizzare un progetto che coscientemente ammetta l’esisitenza di una nuova archeologia post olimpica, che mantenga la potenzialità iconica di questi Landmarks urbani.

Ho voluto eliminare le recinzioni che non permettono l’accesso, permettere all’uomo di vivere questi spazi, renderli usufruiti e usufruibili.

Ho creduto che la via per realizzare ciò fosse quella di prendere coscienza che l’architettura, una volta messa in opera, inizia a deperire.

L’invecchiamento è un processo innarrestabile, è un ciclo vitale che non si può fermare. La mancata funzionalità dei grandi elefanti bianchi olimpici ha accellerato questo processo, ma escluderli dalla vita quotidiana, nasconderli dietro cancelli è un gesto a mio avviso sbagliato. I terraines vagues hanno in sé un grande potenziale, possono essere il punto di partenza per una nuova progettualità.

Ripensare, risemantizzare, convivere sono le parole chiave riccorenti nei due progetti per Atene. La natura è lo strumento privilegiato per realizzare l’obbiettivo, il giardino in movimento la via possibile per ammettere il naturale evolversi dell’architettura.

Il risultato finale è un nuovo modo di convivere con l’abbandono che recupera il valore del tempo.

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I

FASE ANALITICA

01 UNA N U OVA A RC H E O LO G IA OLIMPICA

Post olympic city

2

013, un lavoro fotografico di Jon Pack e Gary Hustwit dal titolo “The Olympic City” esplicita e conferma una condizione ricorrente dei siti olimpici.

Due città mi spingono ad ampliare la ricerca: Sarajevo e Atene.

Un viaggio nei Balcani mi porta nella capitale della Bosnia Erzegovina.

Città distrutta dalla guerra, ha dimenticato i suoi paesaggi urbani, il politico agire del restauratore ha scelto di ricordare solo alcuni luoghi della città. Un esempio di oblio: Il monte Trebevic.

Voglio andare a vederlo. Una pista da Bob e un trampolino per il salto con gli sci sono diventati macerie tra le erbe alte, tra gli alberi ricresciuti dopo il recente disboscamento. Erroneamente penso sia solo a causa della guerra.

Ad Atene sono stati costruiti per i giochi del 2004 due siti, un nuovo aeroporto, nuovi trasporti per raggiungerli.

Il vecchio aeroporto è oggi abbandonato, il deperimento delle strutture olimpiche è evidente, le barriere fisiche non permettono di entrarvici. Gli stadi nel sito Nord si possono vedere solo da lontano, le enormi strutture bianche sostengono costruzioni orfane di funzione.

Quei pochi alberi che si differenziavano dalla distesa di cemento, non sono mai stati in grado di produrre ombra, ma oggi ancora meno, stanno morendo.

Niente di molto distante dall’immaginario del monte Trebevic, tra uno e l’altro c’è solo un intervallo temporale di 12 anni.

Forse, guerra o meno, a Sarajevo le attrezzature olimpiche avrebbero subito un ciclo vitale molto simile. Devo chiaramente ricredermi sulla mia posizione iniziale, il conflitto ha accellerato una inevitabile condizione di rovina.

Sembra che la maggior parte delle olimpiadi abbia lasciato dietro di sé grandi architetture vuote, numerosi parcheggi inutilizzati, pavimentazioni calpestate solo per poco.

Architetti auto celebrativi sono , come sosteneva Rem Koolhaas nel saggio Bigness , “artefici di un esperimento parzialmente riuscito, i cui risultati stanno impazzendo e perciò screditati.” 1 1R. Koolhaas, Junkspace, Bigness, pg 19, Quodlibet, 2001, Macerata.

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Una nuova archeologia

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Post olympic city

Le mega-strutture sono esempi fallimentari di White Elephant dai costi di manutenzione elevatissimi, scatole vuote che iniziano a deperire. Fruite per due settimane e poi abbandonate.

Le architetture e i siti olimpici sono cicatrici nei paesaggi, rovine e scarti di un immediato presente . L’insieme di quelli che Bert Flymbjerg definisce “ new political and physical animals” 2produce rifiuti e scarti che attendono di ottenere un nuovo significato.

Nel manifesto del terzo paesaggio Gilles Clément parla di delaissé come di “ ciò che resta sul territorio, dopo un uso e prima di un’altro uso”. 3 Il rifiuto non è più un eccezione, ma fa capo ad un paesaggio specifico, ad una archeologia contemporanea. Siamo orami abituati a questo immaginario, dalle fabbriche abbandandonate, ai grandi edifici incompiuti, l’abbandono e il deperimento sono come Folly: elementi di un contesto paesaggistico percettivo. Le attrezzature dei giochi estivi quanto invernali ormai ne fanno parte.

Nel caso olimpico gli stadi, i palazzi, i viali e le piazze sono dei veri e propri spazi in attesa, non hanno più una funzionalità in grado di attribuirgli un significato fisso.

Grazie alla loro instabilità i White Elephant posso assorbire e essere assorbiti , sono elementi aperti ad una qualsivoglia trasformazione.

Serve dunque una progettualità in grado di cancellare l’idea dell’invecchiamento come tabù da nascondere con materiali in grado di eliminare lo scorrere del tempo, una progettualità che sia consapevole della transitorietà e del naturale declino dell’architettura contemporanea.

L’ambizione della tesi è dunque sia analizzare e mettere in luce la problematica del lascito post olimpicio, sia sostenere che le architetture derivanti dal mega evento possano, grazie anche al loro stato attuale di abbandono, ammetere un nuovo significato, una nuova progettualità.

2 B. Flybjerg, Magaproject and risk: An anatomy of ambition,Cambridge University,2005 3 G. Clément, Manifesto del terzo paesaggio, pg 83, Quodlibet,”Macerata,2005 14

Una nuova archeologia olimpica

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02

FIGLI DEL M E G A E V E N TO

Post olympic city

W

hite Elephant, in inglese è un’espressione generalmente utilizzata per dare un nome a quelle opere il cui costo di mantenimento supera le reali possibilità economiche del proprietario.

Riferendosi alle costruzioni olimpiche sembra essere un termine perfetto.

Decido di rendere esplicito ciò che questa espressione sottende.

L’allusione alle grandi dimensioni è subito evidente, bisogna capire quale sia l’implicazione economica e per quale motivo essi siano oggi completamente inutilizzati.

Le strutture olimpiche nascono dalla mentalità consumistica che caratterizza il mega-spettacolo.

Le olimpiadi sono sicuramente l’evento sportivo più influente al mondo, simulano una crescita economica non reale, una crescita della città che non sembra portare reali benefici. La geografia dei luoghi durante l’evento muta. E’ necessario in poco tempo realizzare villaggi olimpici, per i giornalisti, centri stampa, trasporti pubblici, strutture sportive, impianti, collegamenti specifici tra di loro.

Il dispendio economico giustifica i costi di realizzazione?

I dati economici diventano un metodo di analisi utile e necessaria. Lo scenario che ci propongono è tutt’altro che rassicurante.

Negli ultimi anni i costi di realizzazione del mega evento hanno oscillato dai 3,5 miliardi di $ di Atlanta 1996 ai 52 miliardi di $ delle recenti olimpiadi di Sochi. La vantata crescita economica da parte del CIO sembra essere fittizia. Il Gdp dei paesi ospitanti cresce durante l’evento per poi diminuire subito l’anno succesivo. Il costo di costruzione degli stadi supera in media il 50 % dei costi stimati.

L’ effetto boomerang olimpico è inevitabile. Gli stati si trovano ad affrontare debiti altissimi derivanti dall’evento. Il fatto che le città si ritrovino costellate di contenitori vuoti contrasta con l’idea di investimento.

Forse parlare di giochi sostenibili, come succede spesso in architettura, fa parte di quelle espressioni linguistiche ambigue che subiscono una mancata teorizzazione.

Peter Hall sostiene che questi processi di “ricostruzione” di aree 18

Figli del megaevento

Costi totali US $ Miliardi Atlanta Nagano Sydney Salt Lake Atene Torino Beijing Vancouver Londra 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012

50 45

Sochi 2014

WINTER

40

Londra

35 30

SUMMER

25 20 15 10 5 0

Fonte: Olympic Cities + Research effect

I grafici riflettono la grande spesa di realizzazione delle olimpiadi, nei vari anni, divise in estive e invernali. Si evidenzia anche l’ Hangover post olimpico attraverso l’analisi del Gdp annuo negli anni pre durante e post evento.

Confronto tra indice di crescita GDP e costi dell’evento % , US $ Milioni 11

50

10

45

9

40

8

35

7

30

6

25

5

20

4 3

15

2

10

1

5 0

-1

%

Barcellona 1992

Atlanta 1996

Sydney 2000

Atene 2004 19

Torino 2006

Beijing Vancouver US $ Milioni 2008 2010

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urbane siano dei “ great planning disasters”. E’ difficile dargli torto.

Immensi Playground, arene e piazze televisive a distanza di poco tempo giacciono inutilizzate. Ciò riflette una mancata progettualità in grado di pensare ad un riuso e un riciclaggio di questi spazi. L’utilità pubblica è inesistente, lo spazio urbano è manipolato per emozionare gli spettatori. Terminati i giochi la funzione per la quale erano stati creati smette di esistere. Il rischio è che diventino una bancarotta a grande scala. Pensato così, il grande evento non risulta essere un motore di sviluppo o un’opportunità riqualificatrice per le città ospitanti.

Analizzata la situazione generale, Atene è la città dove l’evento olimpico sembra essere una vera opportunità mancata.

Nonostante non sia stata una delle città con il costo di costruzione più elevato, appare come quella che ha maggiormente subito il contraccolpo. I debiti ammontano a 12 miliardi di $, i costi di mantenimento dei siti e delle infrastrutture costano allo stato 700 milioni di $ annui. Ad un anno dall’evento la Grecia è stata messa sotto osservazione della Commissione Europea per il deficit eccessivo.

Dopo tre settimane dall’evento i siti olimpici erano già stati chiusi, recintati e abbandonati a se stessi. La costruzione di un nuovo aeroporto ne lascia uno completamente abbandonato, è una cicatrice di 3,5 chilometri che certo non aiuta a risollevare il lungo mare antistante.

Preso atto di ciò non intendo programmare una strategia per le Olimpiadi future, ma cercare di ridare un ruolo a quelle che precedentemente ho definito nuove archeologie urbane, perché credo che la mancata progettualità possa essere lo spunto per risemantizzare i grandi elefanti bianchi abbandonati, abbattendo le barriere in cui essi ora giacciono si può forse ridargli una dignità e costruire uno spazio spazio urbano che sia in grado di giustificare la spesa di mantenimento infrastrutturale.

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Figli del mega evento

Debiti post olimpiadi per le cittĂ $

Salt lakee 2002 625 milioni Montreal 1976 1,4 miliardi

LLondra 2012 1,04

Sydney 2000 1,5 miliardi

Torino 2006 1,7 miliardi

Vancouver 2010 1,8 miliardi Atlanta 1996 2,0 miliardi

Beijing 2008 2,5 miliardi

Atene 2004 12 miliardi

Analisi dei debiti. Per le olimpiadi invernali la cittĂ piĂš indebitata, ad oggi, sembra essere Vancouer., per le olimpiadi estive invece Atene detiene ad oggi il primato di indebitamento statale.

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03 U NA P RO G E T T UA L ITA’ M A N C ATA : AT E N E 2 0 0 4

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er poter parlare di progettualità, capire le esigenze, ridare un significato, è necessario prendere atto di quale sia la situazione attuale di Atene.

Il caso della crisi post- olimpiadi non è di certo trascurabile.

L’indebitamento, del quale già abbiamo parlato, sembra derivare da un superamento del budget da parte dello Stato del 60%. Il governo Greco si è trovato a dover affrontare un deficit statale che dal 2004 si è sempre posizionato sull’asta del 3%. L’infrastruttura di collegamento tra i due grandi contenitori vuoti costruiti per l’evento è costata 4,6 miliardi di $ e ad oggi questa spesa pare ingiustificata.

Per i casi di Sydney e Barcellona, l’investimento sull’ infrastruttura olimpica, sembra motivato da interventi progettuali, architettonici e urbanistici in grado di offrire alle due città spazi socialmente utili, usufruibili anche negli anni successivi lo spettacolo, profittevoli.

Atene si ritrova con piscine vuote, scalinate arrugginite, stadi senza spettatori, mq di pavimentazioni che iniziano a sollevarsi.

Analizzando le componenti che costituiscono i progetti delle ultime edizioni olimpiche si nota subito quanto Atene abbia puntato sul realizzare dei siti che sarebbero stati utili al Business event, espressione del suo carattere commerciale e mediatico. E’ un progetto che non si confronta con la città, un contenitore asettico che potrebbe essere stato costruito in qualsiasi altra parte del mondo.

Lo spazio destinato all’auto e all’edilizia domina il grafico, quello del verde e degli spazi pubblici è praticamente inesistente.

Parlo di progettualità mancata perché, al di là dei meri dati economici, la geografia della città greca a seguito dei giochi è cambiata, in questo caso in peggio. Vista dall’alto due spazi grigi sembrano porte di accesso alla città, passandoci di fianco sono spazi fantasma, senza connotazione alcuna.

Eppure i problemi urbanistici della città sono tanti ed investire per migliorarli sarebbe stata una mossa in grado di risollevarla, non trascinarla verso la crisi attuale.

Ho sempre pensato che lo spazio pubblico di qualità potesse essere uno dei motori che regalano energia alle città. Basti pensare ai 35 24

Una progettualità mancata: Atene 2004

Atlanta 287.791 mq 0% acqua 8% pedonale

5% verde

Atene: 384.650 mq

12% costruito

4% acqua

75% spazio auto

8% pedonale Sydney 642.479mq 18% acqua 4% pedonale

7% verde 35% verde

12% costruito 5% costruito

75% spazio auto

30% spazio auto Beijing 699.00mq 12% acqua 2% pedonale

Analisi svolta sullo studio delle componenti di progetto di ciascun sitoolimpico. Il grafico di Atene rivela l’eccedenza di spazio destinato alle auto. La più bilanciata invece è Sydney, non a caso la città con le migliori condizioni post evento.

40% verde

4% costruito

42% spazio auto

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milioni di visitatori annui di Central park, ai 15 milioni di Hyde park per capire quale grande opportunità essi siano.

Atene riflette nella sua città la bassa presenza di luoghi simili. La città soffre di una crisi economica quanto di una crisi dello spazio pubblico. Gli olympic park circondati da transenne fanno parte di questa condizione.

In una capitale dalla densità altissima, in cui governa la Polykatoka, una ripetizione e accumulazione casuale di blocchi residenziali che richiamano le case Domino Lecorbuseriane, il verde pubblico è solo 1,8%, gli spazi residuali il 23 %. La politica anti urbanistica degli anni ’40 e ’50 del novecento ha lasciato alla città un’assenza di strategie urbane, una necessità di rinnovamento dello scenario pubblico, una voglia di creare nuove narrazioni.

Gli obbiettivi dei progetti futuri dovrebbero mirare a creare spazi pubblici di qualità, dare maggior rilevanza alle esigenze dei cittadini, eliminare la dominanza dell’auto, spezzare la supremazia del blocco residenziale diffuso, rivalutare i luoghi dell’abbandono, della dimenticanza.

Si deve partire dalle condizioni attuali per immaginare una città futura.

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Una progettualità mancata: Atene 2004

Studio sull’uso del suolo di Atene

4% Industria

1,5 % Agricolo 1 % Commerciale

6% Altro 37% Residenziale

13% Trasporti

14,5% Aree sport

23% Aree dismesse Studio dati della città di Atene Densità 740 p/sqm

450 automobili ogni 1000 abitanti Verde urbano %

Scarsità acqua %

> 75 %

1,8 %

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Una progettualitĂ mancata: Atene 2004

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04 VECCHI E N U OV I L A N D MA R K

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d Atene nell’unitarietà della sua composizione urbana caotica, si notano delle eccezioni, dei simboli architettonici in grado di differenziarsi dal resto, di emergere con la loro immagine. Sono dei Landmark, dei segni allusivi che dialogano con le differenze.

Scostandosi dal luogo comune, diventano entità assestanti. Viviamo nella città diffusa e questi esempi costruiti ci aiutano ad orientarci, a non sentirci persi.

Parlo ad esempio di segni lasciati dalla storia, come il Partenone, il tempio di Efeso, lo Zappeidon, il tempio di Apollo, il Karameikos, la Stoa. Essi si trovano in isole a sé stanti, in spazi verdi verticali o orizzontali riconoscibili immediatamente sia in una cartografia, sia camminando per la città. La loro diversità li esalta, li pone fuori dal tempo, li miticizza.

L’attitudine attuale di abbellire gli spazi urbani con grande opere architettoniche e ingenieristiche ne crea altrettanti, da una valenza completamente differente. Figli di progettualità recenti, non hanno una rilevanza storica, non sono documenti in grado di farci conoscere usi e costumi di società antiche, ma la loro forma risulta in ogni caso riconoscibile rispetto alla ripetitività. Sono altrettanto isole nella città con un loro personale significato.

Nella capitale greca, le strutture olimpiche con la loro eccentrica grandezza prendono parte a questo immaginario iconico.

Kevin Lynch sosteneva che : “ La città è un segno urbano identificabile in grandi archi di tempo, che ogni cittadino percepisce in modo piuttosto frammentario associando ai vari luoghi esperienze e significati soggettivi”. L’architettura antica o recente diviene dunque un simbolo fondamentale della città, la racconta, la definisce attraverso immagini universalmente condivise, è generatrice di esperienze e sensazioni. E’ come quando si pensa a Parigi e la si associa alla Tour Eiffel, al museo del Louvre, alla Défense. La figuratività è la stessa ma ogni persona ha un ricordo personale legato e questi simboli architettonici.

L’immaginario collettivo però li estrapola dal contesto, li pensa come semplici oggetti. Nell’architettura contemporanea questa 32

Vecchi e nuovi Landmark

Bigness , vecchi e nuovi Landmark della cittĂ .

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attitudine è spesso visibile anche nelle volontà progettuali stesse. Le architetture vogliono far parte di un paesaggio natural-artificiale che tiene sempre meno conto delle relazione e delle esigenze della città.

Si vogliono distinguere per forma e dimensione. Conseguenza: una serie di geometrie frattali e informali.

I siti olimpici di Atene riflettono questa immagine, attualmente giacciono abbandonati in quanto inutili alla città. Gli stadi, i palazzetti e le piscine hanno esaurito la loro funzione emozionale nel tempo finito dell’evento sportivo. La mancata progettualità post-evento e i costi di mantenimento eccessivo hanno fatto si che lo Stato decidesse di recintarle, di non renderle più visitabili e utilizzabili. Si può vederle solo percorrendo con l’auto le due strade che le costeggiano o fermandosi davanti alle transenne che circondano i due grandi vuoti.

Ma tutt’ora queste architetture tracciano relazioni a distanza con fatti (urbani e paesaggistici) più lontani. Non sono escluse dalla città, ma ne prendono parte in quanto Landmark contemporanei.

Credo che la loro forza attrattiva, data anche dalle grandi dimensioni, dovrebbe essere un punto di forza non uno svantaggio per la città.

Attualmente rinchiusi nei loro recinti ed abbandonati sembrano luoghi non raggiungibili, vuoti urbani, distese di cemento simbolo della crisi economica e degli spazi pubblici. Servirebbe perciò una progettualità in grado di riconferire dignità, capace di interagire con l’aspetto simbolico che queste strutture portano con sé.

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Vecchi e nuovi Landmark

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Post olympic city

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Vecchi e nuovi Landmark

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II

FASE PROGETTUALE

05 CONVIVENZA TRA PA E S AG G I O E A RC H I T E T T U RA D E L L’ A B BA N D O N O

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C

onsapevole dell’esistenza di una nuova archeologia post olimpica, delle implicazioni economiche che l’abbandono porta agli Stati ospitanti, della forza allegorico-evocativa che i grandi stadi vuoti esercitano sulla città, ho voluto pensare ad una nuova progettualità per i due terrains vagues olimpici che caratterizzano Atene.

Quello che davvero ora chiede la capitale greca sono spazi pubblici, nuove narrazioni in una città costruita con disordine. E’ necessario che le due cicatrici post evento vengano curate, che si realizzi un progetto capace di riconnotare e ridefinire questi due spazi urbani, di interagire a lungo tempo con le architetture abbandonate e svolgere una funzione sociale. Le infrastrutture devono essere reinterpretate in modo che costruiscano un paesaggio distinguibile dal macchinoso ripetersi di residenze, uno spazio che non sia più chiuso in se stesso ma aperto a relazionarsi con ciò che lo circonda e con ciò che esso stesso include.

L’importante è eliminare quei confini reali che non permettono di usufruirlo, che respingono la presenza dell’uomo. Se così non succede il mantenimento da parte dello stato delle spese derivanti da questi due distese di cemento rimarranno sempre ingiustificate.

La popolazione continuerà a rigettarle, e farne un emblema della sua rabbia. Icone della crisi economica, del fallimento dello Stato, i grandi stadi stanno cercando un significato e affrontare il problema aiuta a mettere in luce la grande problematica aperta della mancata progettazione Post-evento.

Viste le enormi dimensioni dei due siti olimpici, le geografia dei luoghi deve riordinarsi. La potenza delle mega strutture come Landmark architettonici va considerata, non si può pensare di eliminarli, bisogna lasciare che compiano il loro ciclo vitale. Non mi interessa l’accanimento terapeutico per tenerli in vita come sono, non voglio agire politicamente, non credo che sia profittevole perpetuare la condizione presente nel futuro.

Per questo non ho voluto consolidare le strutture olimpiche, non di certo perché le voglia svalutare. Ma penso che non potranno mai più svolgere la funzione per le quali sono state create.

42

Convivenza tra paesaggio e architettura dell’abbandono

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Post olympic city

Ricostruirle sarebbe solo giustificabile per un altro mega evento, ma una volta finito la loro condizione attuale si ripeterebbe. Forse prendere atto dell’ odierno deperimento è l’unico modo per conferirgli una dignità.

Per non essere visti come scarti e rifiuti della città, le strutture olimpiche devono però cercare di svolgere un ruolo totalmente diverso da quello precedente. Devo riuscire ad includere di nuovo la presenza dell’uomo, svolgere una funzione nuova, creare uno scenario per una città che ha bisogno di spazi pubblici in grado di tessere relazioni umane.

L’idea è quella di cancellare ed aggiungere segni e significati ad un palinsesto esistente, prendendo atto della sua matericità, della sua allegoria, della sua natura finita.

Lo strumento che ho deciso di utilizzare è la natura. Con la sua capacità dinamica, con il suo infinito evolvere, è in grado di ammettere l’abbandono, di arricchirlo e di comprenderlo in tutte le sue forme, dal deperimento alla rovina. Non elimina, dunque, il forte potere iconico dei grandi stadi. Le varie essenze sono in grado di esaltarli e allo stesso tempo includerli nel loro processo vitale.

E’ una natura familiare al concetto impressionista, in movimento, non uniforme, non perfetta. La sua forza sta nell’essere capace di trasmettere sensazioni, creare percezioni visive, illustrare il correre del tempo.

Il paesaggio fa da cornice ad azioni quotidiane, attimi inaspettati, azioni ripetute. Accoglie l’uomo con la sua suggestione, l’abbandono con il suo eterno modificarsi.

E’ questo un atto di rinaturalizzazione, rigenerazione in grado di riciclare due spazi in attesa.

L’obbiettivo è quello di convivere con l’abbandono, di saper prevedere quello che succederà nel futuro, immaginarlo e creare le condizioni adeguate per le quali questi spazi possano ridivenire dei fulcri per la città, spazi realmente utili ed usufruibili.

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Convivenza tra paesaggio e architettura dell’abbandono

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P RO G E T T UA L ITA’ E VO LU T I VA

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L

e architetture olimpiche, lontane dall’essere in uno stato di stasi od equilibrio, sono in continua trasformazione, rispondono alle condizioni esterne mutevoli.

Realizzare un progetto in grado di risemantizzare questa archeologia post-olimpica significa anche sostenere che l’attuale deperimento le renda aperte al cambiamento.

Il valore suggestivo dell’abbandono è indiscutibile, un valore ben espresso nella storia dell’arte. Nei capricci Piranesiani la rovina era qualcosa di sublime, di allegorico, agiva come una suggestione coniugata con la natura.

Nell’arte contemporanea esistono casi di recuperi di architetture recenti indeterminate. Gordon Matta Clark, per esempio, attraverso il suo lavoro Day’s end esprime la grande potenzialità del riuso, rimette in luce qualcosa di dimenticato, lo apre a nuove interpretazioni, a nuove suggestioni.

La mia volontà progettuale, quindi si costruisce intorno al grande valore della rovina.

Non vuole cristallizzare l’architettura in un tempo finito, al contrario vuole prendere atto dell’inevitabile trasformazione dei materiali nel tempo e sostenere nello stesso momento il suo potenziale attrattivo ed emozionale.

Riappropriarsi degli spazi abbandonati deve essere, a mio parere, un’azione che non cancella l’esistenza dell’abbandono stesso, ma deve includerlo in una progettualità in grado di accettare il suo naturale evolversi. Deve, come sosteneva Sottsass, “ abituarsi a disegnare l’oscura incertezza piuttosto che presumere il disegno della certezza.”

L’architettura in opera è soggetta ad un degrado irreversibile, dal deperimento prima o poi si passerà inevitabilmente alla condizione di rovina. Mi chiedo allora se non valga la pena esaltare questo status, enfatizzare il suo aspetto scenografico, sottolineando il ruolo attuale degli stadi come Landmark della città di Atene.

Credo che attualmente serva una volontà di realizzare progetti che siano in grado di ammettere la trasformazione, per poter così 48

ProgettualitĂ evolutiva

Previsione evolutiva sulle strutture olimpiche

Ingiallimento policarbonato

Colatura

Fessurazione

SITUAZIONE ATTUALE 2014

Mancanza Degrado attuale

Corrosione

Perdita di parti

PREVISIONE FUTURA1 2030

Distacco

Deposito superficiale Deperimento

Degrado da infestanti Resti di calcestruzzo

PREVISIONE FUTURA2 2070 Rovina

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adattarsi nel tempo, per evolvere e cambiare insieme a ciò che li circonda.

E allora voglio rendere esplicito ciò che sostiene Gilles Clément: “Appena terminate le costruzioni dell’uomo entrano in un processo di degrado irreversibile. La loro capacità di evolvere le condanna, presto o tardi, alla rovina.[...] La natura, al contrario, non termina mai nulla. Si fa carico degli uragani, interpreta le ceneri di un fuoco, inventa un processo di vita sulle basi, ogni volta rinnovate, di uno sconvolgimento.” 1 Con il suo carattere essenzialmente dinamico, il suo essere il terreno dei cambiamenti permanenti, la natura è perfetta per il mio scopo.

Scelgo di utilizzare nel progetto piante autoctone, in modo da realizzare aree boschive in grado di riparare gli spazi dell’abbandono.

Nel loro naturale ambiente saranno in grado di crescere senza difficoltà, con il minimo delle cure. Per gli spazi che si trovano vicino ai White Elephant ho deciso che le erbacee perenni e biennali fossero le essenze migliori per creare le naturali condizioni atte ad accogliere il deperimento e le rovine successive. “Le biennali e perenni sono vagabonde, si spostano continuamente, lasciano i loro semi dappertutto. ”2Non a caso queste erbacee crescono spontaneamente nelle macerie. L’uso da parte dell’uomo di questi spazi le aiuta a svolgere il loro lavoro. Il solo calpestarle incentiva la loro prolificazione, il loro ruolo progettuale di arricchire siti abbandonati.

In questo scenario futuro le architetture, o le parti che rimarranno di esse, assumono il concetto di scultura, non più funzionali riacquistano un significato, viene esaltato il loro potere allegorico, vengono poste fuori dal tempo.

Le attrezzature olimpiche sono così testimonianza e non più assenza.

La mia intenzione è quella di realizzare le condizioni per le quali la vegetazione spontaneamente attacchi l’architettura.

Questo tipo di rinaturalizzazione diviene, quindi, una cornice flessibile che non contiene trasformazioni programmate, ma è libera di essere aperta a cambiamenti spontanei.

Un progetto in evoluzione, che recupera il valore del tempo.

1G. Clément, Il giardino in movimento, pg 21, Quodlibet, Macerata, 2011 2 ibidem, pg 54 50

ProgettualitĂ evolutiva

Previsione evolutiva delle essenze del parco White Elephant

SITUAZIONE ATTUALE 2014

Prato

White Elephant

PREVISIONE FUTURA1

Arbusti

2030 Prato armato

White Elephant

PREVISIONE FUTURA2

Alberi

2070 Arbusti Prato armato

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Post olympic city

Previsione evolutiva della natura

Prato

SITUAZIONE ATTUALE 2014

Giovani alberi

Arbusti

Prato armato

PREVISIONE FUTURA1 2030

Alberi

PREVISIONE FUTURA2

Prato armato

Arbusti

2070

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ProgettualitĂ evolutiva

Essenze scelte AGROSTIS Familia : Poaceae erbacea perenna

ALLIUM GIGANTEUM

ANGELICA ARCHANGELICA

Familia : Amaryllidaceae erbacea perenna

Familia : Apiaceae erbacea biennale

CYANUS SEGETUM

DACTYLIS GLOMERATA

GERANIUM spp.

Familia : Astenaceae erbacea perenne

Familia : Poaceae erbacea perenne

Familia : Geraniaceae erbacea perenne

PAPAVER RHOEAS

RAPHANUS RAPHANISTRUM

RUMEX ACETOSELA

Familia : Papaveraceae erbacea perenne

Familia : Brassicacae erbacea biennale

Familia : Polygonaceae erbacea biennale

STIPA spp.

VERBASCUM

VERONICA SPICATA

Familia : Poaceae erbacea perenne

Familia : Scrophulariaceae erbacea perenne

Familia : Scrophulariaceae erbacea perenne

ARBUTUS ANDRACHNE

CERCIS SILIQUARUM

QUERCUS SUBER

Familia : Ericaceae

Familia : Fabaceae

Familia : Fagaceae

JUNIPERUS DRUPACEAE

PISTACIA LENTISCUS

PHOENIX DACTYLIFERA

Familia : Cipressaceae

Familia : Anacardiaceae

Familia : Aracaceae

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Post olympic city

54

ProgettualitĂ evolutiva

55

07

S T R AT E G I E DI P RO G E T TO

Post olympic city

D

ue sono i siti olimpici abbandonati ad Atene. Uno il sito Nord, dove si trovano lo stadio olimpico, il velodromo, i palazzetti e le piscine. E’ il sito di maggior rappresentanza del business event.

Per la realizzazione del sito Sud, prospiciente il lungo mare, il CIO ha voluto utilizzare un’appendice dell’aereoporto, che proprio a causa del rinnovamento infrastrutturale realizzato per i giochi, ora giace abbandonato. Qui si trovano campi da gioco con le rispettive tribune e le vasche per il Kayak, ora vuote e riutilizzate dagli skaters. L’ attuale stato di abbandono e deperimento come già sappiamo le ha chiuse all’interno di recinti invalicabili.

L’obbiettivo del progetto è quello di eliminare queste barriere, di utilizzare il naturale come strumento in grado di bilanciare le distese di cemento, di riportare un dialogo con l’uomo che le frequenta.

Il disegno si avvale della natura mantenendo comunque le dissonanze create dagli edifici.

La convivenza con l’abbandono si realizza con operazione progettuali ben precise.

Ridefinire l’accessibilità del parco.

Per poter includere la presenza dell’uomo, rendere gli spazi usufruibili, è necessario eliminare le barriere fisiche nelle quali i due siti ora stanno. Lo spazio dedicato all’auto deve diminuire, i parcheggi devo essere ripensati. Si devono costruire dei nuovi percorsi pedonali e ciclabili, si deve ammettere la presenza dell’uomo e permettergli di poter attraversare i due parchi. La metropolitana, i tram e i bus devono essere coinvolti nel progetto, si deve pensare a percorsi che siano in grado di collegarli direttamente con le due aree, devono diventare dei veri e propri spazi pubblici, nei quali le esigenze dell’uomo e della città siano soddisfatte.

58

Strategie di progetto

Ridefinire l’accessibilità del parco

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Post olympic city

Aprirsi alla città rivalutando spazi vuoti limitrofi alle aree di progetto.

Esistono, vicino ai siti olimpici, spazi residuali che hanno, in quanto vuoti, un potenziale inespresso. Vicino al sito olimpico Nord si trovano prati abbandonati, non curati, piazzali di cemento inutilizzati, una via d’acqua non valorizzata. Il sito olimpico Sud si rapporta con incroci che portavano all’aeroporto completamente privi di funzione, terreni abbandonati che dividevano lo scalo aereo dalle unità abitative, un lungo mare completamente dimenticato. Questi elementi sparsi circondano i luoghi di progetto, dimenticarli sarebbe un errore.

Si è pensato di comprenderli nella volontà rigeneratrice in modo che la città interagisca con il rinnovamento, si metta in discussione ripensando a quei luoghi ora senza significato.

Rinaturalizzare.

La natura, per i motivi in precedenza illustrati, diviene lo strumento ideale per questo tipo di progettazione. Gli alberi ridefiniscono confini, sottolineano percorrenze rigeneratrici di spazi, offrono ristoro, fanno da legante tra le aree messe in discussione, creano rapporti ecologici ed ambientali.

Le piante erbacee accolgono l’abbandono architettonico, realizzano un vero e proprio giardino in movimento. Queste essenze vogliono che l’uomo viva attraverso il paesaggio esperienze con la nuova archeologia post-olimpica, realizzano il naturale evolversi delle parti.

Coinvolgere l’uomo.

Eliminare le barriere significa anche poter attraversare e vivere i luoghi. Un elemento che permetterà di realizzare questa ambizione è la realizzazione in entrambi i due parchi di una piastra attrezzata.

Attraversando i due siti interamente, collega le parti, diviene 60

Startegie di progetto

Rinaturalizzare

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Post olympic city

l’elemento nel quale si esprime la socialità, svolge la funzione ludica.

In entrambi i casi queste due diagonali si scostano dagli edifici, diventano due elementi a sé stanti che non dipendono da nulla e che rendono le attuali cicatrici urbane aperte all’uomo, vivibili e utili alla città. Le attrezzature come coperture, suoli calpestabili, playground, piattaforme eventi, sono volutamente concentrate in queste diagonali, in modo che diventino le spinte generatrici di un parco senza confini stabiliti. Altri percorsi permettono invece di rapportarsi con l’abbandono, sono percorsi che si differenziano volutamente dalla linearità delle due piastre. Sentieri di convivenza, permettono all’uomo di vivere l’abbandono, di prendere parte alla solidale trasformazione della natura e dell’architettura.

L’utilizzo da parte dell’uomo permette di rigenerare e ridare significato agli spazi residuali, riempire di usi, di emozioni e di percezioni le attuali scatole vuote.

Svolgere funzioni .

Per riattivare il sito ho pensato fosse necessario ammettere delle funzioni in grado di attrarre la presenza dell’uomo in esse.

I percorsi permettono di camminare, di attraversare, di vedere, di collegare.

Le piscine, lo skate park, i playground sono elementi per lo svago.

L’azione dello stare è interpretata da piastre tra le erbacee, da piattaforme di sedute ed alberi, da coperture che proteggono dagli agenti esterni.

Nel progetto viene anche inclusa la possibilità di ospitare spettacoli, concerti o mercati. Per il sito olimpico sud il lungo mare viene risollevato, una piattaforma sull’acqua vuole divenire un punto attrattivo per la costa.

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Stategie di progetto.

Coinvolgere l’uomo: piastre attrezzate

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Post olympic city

Coinvolgere l’uomo:nuovi percorsi

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Strategie di progetto

Piastre di progetto

1

2 1 Copertura e sala d’attesa 2 Piastra eventi 3 Playground 4 Cafe

3

5 Sedute

4

6 Piscina 7 Giardino sull’acqua 8 Piattaforma sul mare

5

6

7

8 65

Post olympic city

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Strategie di progetto

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Post olympic city

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Strategie di progetto

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O LY M P I C NORD

Post olympic city

P

osizionato tra i nuovi grandi nodi stradali e collegato alla metropolitana M1 Osaka costruita per i giochi, il sito olimpico Nord sembra essere una porta tra centro città e periferia. Due grandi centri commerciali si affacciano su di esso, forse si era pensato che potessero essere dei fulcri commerciali che aiutavano il business dei giochi del 2004.

Ad oggi un disordinato disporsi di architetture e materiali duri del suolo appare come un immenso parcheggio. Le fontane sono spente, le piscine sono vuote, manca l’ombra, più della metà del suolo è recintata, cartelli vietano l’accesso. La costruzione per le olimpiadi delle strade che lo collegano alla città ha lasciato dietro di sé parti di terreni completamente abbandonati, inutili ai cittadini. Il paesaggio, costeggiando il sito in auto, riflette il senso di desolazione che le due cicatrici post olimpiche già trasmettono dall’alto.

Una via d’acqua dolce si affaccia sul caotico disporsi delle abitazioni, sembra dimenticata, la mancanza di un percorso che la costeggi la sottovaluta.

Il progetto vuole rimettere in discussione questa distesa di cemento, rigiustificare la spesa annuale di mantenimento dell’area da parte dello stato greco.

L’idea è quella di “bucare” la pavimentazione, di far sì che la natura si riappropri di questi spazi.

Ho voluto ripensare l’accessibilità, creare una percorrenza privilegiata in grado di connettere la stazione della metropolitana con una fermata per gli autobus spostata all’interno del parco stesso.

I parcheggi sono ripensati come cerchi puntuali, dispersi che permettono di raggiungerlo in auto da tutte le strade.

Nel progetto una piastra diagonale taglia il sito, permette di dimenticare i cancelli di accesso, di vivere lo spazio nella sua interezza. Sulla nuova linea attrezzata si vanno a posizionare tutte le funzioni utili alla socialità; da una piscina ad una piastra eventi, da luoghi dello stare con panchine ed alberi a spazi gioco per i bambini.

Un’altra scelta è stata quella di riattivare alcuni campi da tennis e i campi di atletica, di tenere attivo l’unico palazzetto tutt’ora 72

Olympic Nord

Planimetria generale

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Post olympic city

funzionante, quello del basket. Sede delle partite del Panatenaikos, nell’ipotesi progettuale, si distingue dal trattamento del resto degli spazi, si collega al parco, ma può funzionare anche in modo indipendente. Possiede un’accessibilità diretta dalla strada, parcheggi propri e un trattamento del suolo non differente da quello che è oggi.

L’idea è quella di non eliminare le pratiche abitudinarie del luogo, ma di includerle nel parco.

Gli alberi si appropriano di margini che il progetto non aveva mai incluso, creano piccole oasi verdi nella città in grado di rivalutare quegli spazi residuali ora vuoti, di riconvertire il corso d’acqua a corridoio ecologico, di rendere comune ai cittadini la pratica di riappropiazione dei luoghi senza funzione.

Gli stadi, il velodromo, i palazzetti, le coperture, le piscine e gli elementi di puro arredo olimpico, ad oggi abbandonate perché prive di funzionalità, sono, grazie alle scelte progettuali, circondate di erbacee perenni e biennali, in perfetto accordo con la posizione precedentemente presa sulla progettualità evolutiva.

Un percorso formalmente opposto a quello lineare ed attrezzato permette di raggiungere, di vivere e aiutare a modificare il giardino in movimento. Alcune piastre si collegano ad esso per permettere quando lo si desidera di fermarsi e sostare intorno a questo sentiero circondato dagli alberi, di guardare e percepire il deperimento.

Lo scenario futuro prospetta un parco che continua a modificarsi, che convive con l’abbandono e ammette il ciclo vitale naturale di ogni elemento che lo compone.

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Olympic Nord

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Post olympic city

Sezioni

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Olympic Nord

urbane

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Post olympic city

Olympic

Olympic

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Olympic Nord

Nord 2014

Nord 2070

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Post olympic city

80

Olympic Nord

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O LY M P I C SUD

Post olympic city

G

eograficamente opposto il sito olimpico Sud si trova lontano dal centro città, di fronte al mare. Essendo stato per molto tempo l’aeroporto di Atene, le sue dimensioni sono notevoli, 3 km di deserto, una piastra vuota.

Per le olimpiadi si è scelto di costruire qui alcuni campi da gioco e le vasche per il kayak.

Ora, come vale per il sito Nord, è un luogo in cui l’uomo non è ammesso. Alcuni aerei sono ancora abbandonati, le piste compongono incroci e parcheggi ad oggi inutilizzati. Prima questi elementi servivano ad accedere ai terminal, ora sono ricoperti di rifiuti.

Il lungo mare presenta degli spunti interessanti, ci sono dei centri sportivi e un porto per le barche, ma la qualità del suolo è praticamente nulla.

Come nel sito precedente, decido di ripensare la cicatrice urbana.

Essendo il trasporto su tranvia una risorsa per questo sito post olimpico, decido di enfatizzare la sua positività, creo dei percorsi in grado di connettere il parco direttamente con le stazione del tram e simmetricamente coinvolgere anche il lungo mare. Le nuove linee pedonali-ciclabili diventano le percorrenze principali del progetto.

Per questo il loro disegno è sottolineato dagli alberi di agrumi.

Anche qui, in modo analogo al sito nord, la ex pista di atterraggio diviene il percorso lineare attrezzato in grado di togliere i cancelli e ripercorre lo spazio. In questo caso, per non dimenticare la sua vecchia funzione, il disegno originario rimane, ma, per dialogare con l’elemento naturale cardine di questo luogo, diventa una via d’acqua usufruibile dall’uomo. Sopra ad essa sono posizionate piastre ludiche, giardini botanici e spazi per la sosta.

Il confine con la città, nel nuovo progetto, si rompe, gli alberi e i parcheggi si riappropiano degli spazi abbandonati che circondano l’attuale deserto di cemento.

Ogni punto del parco offre spazio di servizio per le auto.

Le alberature autoctone, inoltre, rinaturalizzano il sito, lo circondano

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Olympic Sud

Planimetria generale

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Post olympic city

con un disporsi denso, creano aree boschive che risanano questo grande vuoto.

Intenzionalmente nel disegno alcuni margini di divisione tra spazio abitativo e parco vengono sottolineati con riporti di terra praticabili dall’uomo. Tagliate da percorsi secondari, le piccole collinette non costituiscono una barriera, al contrario permettono sempre una continuità di percorrenza con il tessuto cittadino. Il valore sociale nel progetto è sempre centrale.

In questo ripensamento degli spazi olimpici, si decide di mantenere attiva la vasca per il kayak, non però con la sua originaria funzionalità, ma con l’uso che attualmente ne viene fatto: diviene uno skate park.

Centrale nella progettualità naturalmente diventa il mare, si esalta la sua potenzialità attrattiva. Decido di prolungare due percorsi principali verso l’acqua fino a che non si incontrano. Ne risulta una piattaforma sul mare in grado di creare un lungomare artificiale, un pier atto a risollevare questo tratto di costa.

Il litorale si arricchisce grazie ad un percorso sinuoso che lo attraversa e collega alle attuali attrezzature presenti. Con l’aiuto degli alberi questa percorrenza si riappropria dei luoghi abbandonati, li risemantizza.

I White Elephant, dagli stadi agli aerei alle architetture aeroportuali, esattamente come nel precedente progetto, si trovano circondati di erbacee vagabonde, sempre per lo stesso scopo, sempre per creare le stesse condizioni di convivenza.

L’aeroporto abbandonato crea uno scenario nuovo, alcuni elementi scenografici gli conferiscono un senso teatrale, con un rinnovato significato può davvero essere usufruito e usufruibile.

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Olympic Sud

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Sezioni

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Olympic Sud

urbane

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Post olympic city

Olympic

Olympic

Olympic

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Olympic Sud

Sud 2014

Sud 2030

Sud 2070

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Olympic Sud

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