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T 1 La favola del lupo e dell’agnello (Fabulae I, 1) LAT IT

T 1

Fabulae I, 1 LATINO ITALIANO

Nota metrica: senari giambici.

PERCORSO ANTOLOGICO La favola del lupo e dell’agnello

La raccolta di Fedro si apre con una favola memorabile, quella del lupo e dell’agnello. Tema della favola: l’eterna lotta tra il più forte e il più debole, destinato inevitabilmente a soggiacere per legge di natura. Brevità della narrazione e vivacità dialogica rendono piacevole la lettura e conferiscono efficacia alla gnome (la sentenza morale), posta qui in coda all’apologo ma già evidente nella caratterizzazione dei personaggi (la faux improba del lupo, designato come latro). A nulla valgono, contro la brutalità della forza (corrispettivo in natura di quello che è il potere nella storia) le patetiche ragioni della verità.

lupus et agnus

Ad rivum eundem lupus et agnus venerant siti compulsi; superior stabat lupus longeque inferior agnus. Tunc fauce improba latro incitatus iurgii causam intulit. 5 «Cur» inquit «turbulentam fecisti mihi aquam bibenti?». Laniger contra timens:

«Qui possum, quaeso, facere quod quereris, lupe?

A te decurrit ad meos haustus liquor».

Repulsus ille veritatis viribus, 10 «Ante hos sex menses male» ait, «dixisti mihi».

Respondit agnus: «Equidem natus non eram».

«Pater hercle tuus» ille inquit, «male dixit mihi».

Atque ita correptum lacerat iniusta nece.

Haec propter illos scripta est homines fabula, 15 qui fictis causis innocentes opprimunt.

A uno stesso rivo il lupo e l’agnello erano giunti spinti dalla sete; più in alto stava il lupo, assai più in basso l’agnello. Allora quel predone, eccitato dalla scellerata gola, trovò un pretesto di lite. 5 «Perché» disse «mi hai intorbidato l’acqua proprio mentre bevevo?». E il lanuto, tutto spaurito:

«Come potrei, ti prego, fare ciò che lamenti, lupo?

Da te viene l’acqua al luogo dove bevo».

Vinto dalla forza della verità, 10 «Sei mesi fa», disse, «hai sparlato di me».

Rispose l’agnello: «Ma se non ero ancora nato».

E l’altro: «Ma fu tuo padre, per Ercole, a sparlare di me!».

E così lo ghermisce e lo sbrana, infliggendogli un’ingiusta morte.

Questa favola è stata scritta per coloro 15 che con falsi pretesti opprimono gli innocenti.

Novità, ricchezza e varietà nelle favole di Fedro Anche Fedro, come tutti gli autori latini che lo avevano preceduto, si ispira a un modello greco, e in particolare al corpus favolistico attribuito a uno schiavo di nome Esopo vissuto nel VI secolo a.C., dal quale si distanzia però sia sul piano delle scelte espressive che su quello dei contenuti. La novità più significativa riguarda l’uso del verso: le favole greche di Esopo erano quasi tutte in prosa; quelle latine di Fedro sono in senari giambici.

Il passaggio dalla prosa alla poesia nobilitava il genere, conferendogli una maggiore dignità. Ma la novità riguardava anche i contenuti: Fedro non attinge infatti solo al mondo del folclore ma anche a quello della cronaca e dell’attualità romana, affiancando ai tradizionali animali esopici le figure di Pompeo, di Augusto o di Tiberio. Le Fabulae di Fedro risultano perciò molto più ricche e varie di quelle esopiche: presentano infatti apologhi, aneddoti storici e perfino novellette di gusto romanzesco (l’esempio più noto è quello della matrona di Efeso, che troviamo anche nel Satyricon [T4, cap. 5]). La poetica Duplex libelli dos est: quod risum movet/ et quod prudenti vitam consilio monet («Duplice è il pregio di questo libretto: muovere al riso e insegnare a vivere con saggi ammaestramenti»). Così, con un precetto che già Orazio aveva fatto proprio (miscere utile dulci, cioè istruire divertendo), l’autore sintetizza le finalità della sua raccolta nel prologo del I libro.

Nel prologo del II libro, Fedro ritorna sulle finalità del genere favolistico (nec aliud quicquam per fabellas quaeritur/ quam corrigatur error: «non altro si cerca attraverso queste favolette, se non correggere gli errori») mettendo l’accento sugli obiettivi formali del genere: Equidem omni cura morem servabo senis;/ sed si libuerit aliquid interponere,/ dictorum sensus ut delectet varietas,/ bonas in partes, lector, accipias velim,/ ita si rependet illi brevitas gratiam («È mia intenzione conservare con ogni cura i caratteri impressi al genere favolistico dal vecchio Esopo; ma se mi piacerà aggiungere qualcosa di diverso, così che la varietà degli argomenti procuri diletto, vorrei, lettore, che l’accettassi volentieri, tanto più se la varietà sarà compensata dalla brevità»). Brevitas, varietas e ammaestramento morale costituiscono i tratti caratterizzanti delle favole di Fedro. Una visione del mondo amara e pessimistica Nel prologo del III libro, l’autore attribuisce l’invenzione della favola agli schiavi: Servitus obnoxia,/ quia quae volebat non audebat dicere,/ adfectus proprios in fabellas transtulit/ calumniamque fictis elusit iocis («Gli schiavi, che sono soggetti, poiché non osavano dire apertamente ciò che volevano, trasferirono in favolette quel che provavano dentro, salvandosi così dalle accuse con scherzose invenzioni»). La favola è dunque un prodotto delle classi subalterne, che esprimono attraverso di essa, in modo indiretto, la propria insofferenza nei confronti dei potenti. Il travestimento animalesco, la dimensione fantastica dei racconti e la piacevolezza dell’invenzione rendono tollerabili i contenuti. Manca tuttavia in Fedro, come mancava nella tradizione esopica, ogni prospettiva di riscatto: sempre l’agnello sarà preda del lupo, sempre l’asino sarà sottoposto al bastone dell’uomo; e sempre il più debole dovrà soggiacere al più forte.

La visione del mondo di Fedro è amara e pessimistica: i rivolgimenti politici e istituzionali non possono minimamente intaccare la sostanza profonda dei rapporti umani. La storia, nella rassegnata prospettiva degli umili, resta pur sempre

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