8 minute read

T 8 Malattie del corpo e malattie dell’animo (Saturae III, 60-118) LAT IT

T 5 T 6

Manilio

Il proemio Astronomica I, 1-37

Le influenze zodiacali sulle diverse regioni del corpo

Astronomica II, 448-465 ONLINE

ONLINE

T 7

T 8

Saturae III, 60-118

LATINO ITALIANO

Nota metrica:

esametri.

Persio

O curas hominum, o quantum est in rebus inane! Saturae I

ONLINE

Malattie del corpo e malattie dell’animo

Il poeta si rivolge a un giovane dedito a una vita di ozi e di piaceri, esortandolo ad affidarsi per tempo alle cure della filosofia, intesa come medicina dell’anima. Non vale curarsi quando la malattia è ormai degenerata: dobbiamo prendere coscienza di ciò che è bene e di ciò che è male prima che i vizi annientino la nostra volontà.

60 Est aliquid quo tendis et in quod dirigis arcum, an passim sequeris corvos testaque lutoque securus quo pes ferat atque ex tempore vivis?

Helleborum frustra, cum iam cutis aegra tumebit, poscentis videas; venienti occurrite morbo 65 et quid opus Cratero magnos promittere montis?

Discite o miseri, et causas cognoscite rerum: quid sumus et quidnam victuri gignimur, ordo quis datus aut metae qua mollis flexus et unde,

Ma c’è qualcosa che ti interessa al mondo e a cui tendi l’arco, oppure vai dietro ai corvi tirando sassi e zolle come ti capita, senza chiederti dove vadano i tuoi piedi, vivendo così alla giornata? Puoi ben vedere che è inutile chiedere l’elleboro quando già la pelle si è ammalata e gonfiata; la malattia va affrontata sul nascere, altrimenti a che serve promettere mari e monti a Cratero? Istruitevi, o infelici, e rendetevi conto dell’origine delle cose! Che cosa siamo, per quale ragione veniamo generati alla vita, qual posto ci è dato nel mondo, come e da qual punto possiamo più agevolmente girare attorno alla meta, quale

63. Helleborum: erba dotata di virtù medicinali; veniva usata fra l’altro per curare l’idropisia. 65. Cratero: noto medico vissuto ai tempi di Cicerone (ad Att. XII, 13, 1) e di Orazio (Sat. II, 3, 161). 68. metae: la colonnetta conica intorno alla quale giravano i carri durante le corse del circo.

quis modus argento, quid fas optare, quid asper 70 utile nummus habet, patriae carisque propinquis quantum elargiri deceat, quem te deus esse iussit et humana qua parte locatus es in re?

Disce nec invideas quod multa fidelia putet in locuplete penu defensis pinguibus Umbris 75 et piper et pernae, Marsi monumenta clientis, maenaque quod prima nondum defecerit orca.

Hic aliquis de gente hircosa centurionum dicat: «quod sapio, satis est mihi; non ego curo esse quod Arcesilas aerumnosique Solones 80 obstipo capite et figentes lumine terram, murmura cum secum et rabiosa silentia rodunt atque exporrecto trutinantur verba labello, aegroti veteris meditantes somnia, gigni de nihilo nihilum, in nihilum nil posse reverti. 85 Hoc est quod palles? cur quis non prandeat hoc est?».

His populus ridet multumque torosa iuventus ingeminat tremulos naso crispante cachinnos.

«Inspice, nescio quid trepidat mihi pectus et aegris faucibus exsuperat gravis halitus, inspice sodes».

misura dobbiamo dare alla ricchezza, che cosa è bene desiderare, a che può servire una ruvida moneta, quanto dobbiamo dare alla patria e ai cari parenti, come volle la divinità che tu fossi, con quale funzione sei stato collocato fra gli uomini? Questo impara; e allora non proverai più invidia per i molti orci che puzzano nella dispensa arricchita dalle cause sostenute in difesa di grassi umbri, e per il pepe e i prosciutti regalati da qualche cliente marsico, o per le sardelle salate che ancora empiono fino all’orlo il barile! A questo punto, qualcuno della razza caprina dei centurioni potrebbe dire: «Quel che io so mi è più che sufficiente; non m’interessa affatto diventare sapiente come Arcesilao o come quei poveri Soloni, che vanno sempre con la testa bassa e gli occhi ficcati per terra, masticando fra sé e sé, in un rabbioso silenzio, continui borbottii, mentre, sporgendo il labbro, vi appendono le parole come se volessero pesarle a una bilancia, e meditano le fantasie del famoso vecchio malato, che cioè nulla nasce dal nulla e nulla può ridursi a nulla. È questo che ti rende così pallido? È questo il motivo per cui qualcuno salta addirittura il pasto?». A sentir ciò la gente ride e i giovanotti nerboruti, arricciando il naso, raddoppiano le loro tremule sghignazzate.

74-75. Umbris... Marsi: popolazioni centro-italiche. 77. gente hircosa: che puzza di capra. 79. Arcesilas... Solones: Arcesìlao, fondatore della media Accademia, visse nel III secolo a.C.; Solone è il legislatore ateniese vissuto tra il VII e il VI secolo a.C. I due nomi sono citati a casaccio dal centurione. 83-84. gigni... reverti: principio basilare della fisica epicurea. Il «famoso vecchio malato» è Epicuro.

90 Qui dicit medico, iussus requiescere, postquam tertia conpositas vidit nox currere venas, de maiore domo modice sitiente lagoena lenia loturo sibi Surrentina rogabit.

«Heus bone, tu palles». «Nihil est». «Videas tamen istud, 95 quidquid id est; surgit tacite tibi lutea pellis».

«At tu deterius palles; ne sis mihi tutor; iam pridem hunc sepeli: tu restas». «Perge, tacebo».

Turgidus hic epulis atque albo ventre lavatur, gutture sulpureas lente exhalante mefites. 100 Sed tremor inter vina subit calidumque trientem excutit e manibus, dentes crepuere retecti, uncta cadunt laxis tunc pulmentaria labris.

Hinc tuba, candelae tandemque beatulus alto conpositus lecto crassisque lutatus amomis 105 in portam rigidas calces extendit. At illum hesterni capite induto subiere Quirites.

Tange miser venas et pone in pectore dextram: nil calet hic; summosque pedes attinge manusque:

«Visitami, perché, non so, ho delle palpitazioni nel petto e l’alito dalla gola malata mi vien fuori così pesante... visitami, ti prego...». Questo dice al medico e quello gli prescrive riposo; ma poi, quando, dopo tre notti, s’accorge che il sangue ha ripreso a scorrere regolarmente, stai certo che subito manderà a prendere da chi ne ha più di lui un fiaschetto di dolce Sorrento da bere prima del bagno. «Mio caro, tu sei pallido». «Non è nulla». «Stai comunque attento: tu non te ne accorgi, ma la pelle ti si sta gonfiando e ti diventa gialla». «Ma se tu sei più pallido di me! non farmi da tutore; l’ho già seppellito da un pezzo il mio: ora rimani tu». «Continua pure come ti pare; non dirò più nulla». E così, gonfio di crapula, cala in bagno il ventre biancastro, mentre dalla gola esalano lentamente miasmi sulfurei; ma poi, quando riprova a bere, lo assale un tremito e gli fa cadere dalle mani la coppa di vin caldo; i denti scoperti sbattono insieme, e dalle labbra dischiuse rigurgitano unti i cibi. Quindi le trombe, i ceri, e finalmente il nostro beato eroe giace composto sul cataletto, ben spalmato di grassi unguenti, e stende verso la porta i rigidi calcagni. E così lo portano via, col loro berretto in testa, i Quiriti fatti tali alla vigilia. Toccati il polso, o disgraziato, poni pure la mano sul petto: non scotta, è vero; toccati le estremità dei piedi e delle mani: non sono fredde. Ma se per caso vedi

94. Heus bone: la scena si sposta alle terme, dove inizia un dialoghetto tra l’ingordo e un amico, che inutilmente lo mette in guardia. 103. tuba: veniva suonata ai funerali. 106. Quirites: gli schiavi affrancati per testamento, e dunque divenuti Quiriti, cioè cittadini romani. Durante la cerimonia, sul capo dei liberti veniva posto un berretto chiamato pilleus.

non frigent. Visa est si forte pecunia sive 110 candida vicini subrisit molle puella, cor tibi rite salit? Positum est algente catino durum olus et populi cribro decussa farina; temptemus fauces: tenero latet ulcus in ore putre, quod haut deceat plebeia radere beta. 115 Alges, cum excussit membris timor albus aristas; nunc face supposita fervescit sanguis et ira scintillant oculi dicisque facisque quod ipse non sani esse hominis non sanus iuret Orestes.

del denaro o se la candida fanciulla del tuo vicino ti fa un dolce sorriso, ti batte regolarmente il cuore? Se ti si imbandisce su di un piatto freddo una legnosa insalata di legumi o un panaccio di farina malamente setacciata, provati un po’ a mangiare: nella tua bocca delicata è nascosta un’ulcera putrida, che non puoi sfiorare con bietola plebea. T’agghiacci, se la pallida paura t’ha drizzato tutti i peli del corpo: ed ora invece il sangue ti ribolle come se tu gli avessi posto sotto una fiamma, per il furore gli occhi ti scintillano, e dici e fai cose che lo stesso Oreste, nella sua follia, giurerebbe essere di un folle.

(trad. di E. Barelli)

118. Orestes: figlio di Agamennone e di Clitennestra, che uccise la madre per vendicare il padre e fu poi perseguitato dalle Erinni.

LETTURA e INTERPRETAZIONE

Struttura e sviluppo del testo

Si osservino quattro sequenze fondamentali: 1) ammonimenti del poeta al giovane dissoluto (vv. 60-76); 2) intervento di un rozzo centurione che disprezza la filosofia e rappresenta il punto di vista del volgo (vv. 77-87); 3) un ciclo di brevi scene esemplari riguardanti un uomo ricco e ingordo che cade malato, non sa rinunciare al proprio vizio e infine muore turpemente (vv. 88-106); 4) nuovi ammonimenti al giovane dissoluto: non esistono solo le malattie del corpo ma anche quelle dell’anima – avarizia, lussuria, golosità, paura, ira (vv. 107-118).

Potenza rappresentativa e intransigenza moralistica

L’uso della tecnica dialogica, la tonalità aspra e grottesca delle immagini, la precisione naturalistica dei particolari (si leggano in particolare i vv. 99-102), la densità e la rapidità dei trapassi conferiscono vivacità e potenza rappresentativa alla pagina. Siamo ben lontani dalla bonaria indulgenza della satira oraziana: l’intransigenza moralistica, lo sdegno aristocratico di Persio trapelano dalle caricature stravolte e ripugnanti dei personaggi (la puzza del centurione; l’alito greve dell’ingordo, cui cadono, nel momento della morte, unti bocconi dalle labbra; l’ulcera nascosta nella bocca del giovane al quale è indirizzata la satira).

This article is from: