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T 8 Taedium vitae e commutatio loci (De tranquillitate animi 2, 13-15) LAT

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Beata est vita conveniens naturae suae De vita beata 3

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T 8

De tranquillitate animi 2, 13-15 LATINO

Taedium vitae e commutatio loci

Il trattato De tranquillitate animi si apre con una lunga pagina in cui Anneo Sereno, l’amico cui erano già stati dedicati il De constantia sapientis e il De otio, espone la propria condizione attuale, quella di un uomo che si è avviato alla pratica della virtù, e nondimeno continua a oscillare fra diversi stati d’animo, perennemente ansioso e scontento di sé, incerto fra ciò che è bene e ciò che è male, tanto da essere costretto a confessare di trovarsi in una strana condizione: nec aegroto nec valeo («non sono malato e non sto bene»). Il capitolo introduttivo dell’opera termina dunque con una richiesta di aiuto: «se conosci qualche rimedio che possa arrestare questo mio continuo ondeggiare, ti prego, considerami degno di esserti debitore della mia serenità» (1, 18). Seneca dà subito una risposta di carattere generale, osservando che quello di cui Sereno sente la mancanza, e a cui aspira, è la tranquillitas, che sarà appunto oggetto della sua trattazione. Per giungere a questo fine, occorre però innanzi tutto rendersi consapevoli di ciò che turba concretamente l’animo umano, esposto ai tormenti dell’insoddisfazione perenne, della noia, della mutevolezza dei desideri, dell’avvilimento interiore (la displicentia sui), dell’apatia. Seneca si concentra in particolare sul motivo della noia, il taedium vitae di cui avevano già parlato Lucrezio e Orazio, e lo fa con acutezza di sguardo e profondità di indagine psicologica, giungendo a enunciare sentenze che toccano il lettore per la loro bruciante verità esistenziale. Nel passo che segue, l’attenzione si volge a un motivo tradizionale della poesia classica, la commutatio loci, la smania di mutar luogo nell’illusione di poter sfuggire a se stesso. Sed quid prodest, si non effugit?, annota, con la consueta lucidità sentenziosa, Seneca (par. 14).

[13] Inde peregrinationes suscipiuntur vagae et invia litora pererrantur; et modo mari se modo terra experitur semper praesentibus infesta levitas. «Nunc Campaniam petamus». Iam delicata fastidio sunt: «Inculta videantur, Bruttios et Lucaniae saltus persequamur». Aliquid tamen inter deserta amoeni requiritur, in

[13] Per questo si intraprendono viaggi per ogni dove e si attraversano lidi inospitali; e l’incostanza, sempre nemica delle cose presenti, mette alla prova se stessa ora per mare ora per terra. «Ora andiamo in Campania». Ma già i luoghi raffinati vengono a noia: «Andiamo a vedere posti selvaggi, esploriamo i boschi del Bruzzio e della Lucania». Ma in mezzo ai luoghi desolati, si cerca qualcosa di piacevole, nel quale gli occhi abituati al lusso si ricreino dal lungo squallore di luoghi aspri. «Andiamo a Taranto e al suo porto [tanto] decantato, ai suoi inverni dal clima così mite, alla sua regione abbastanza ricca anche per la popolazione di un tempo». Per troppo tempo le orecchie sono state lontane dagli applausi e dalle grida; è bello ormai godere anche del sangue umano: «Or-

mai volgiamo la rotta verso Roma». Inde: «per questo», cioè (come si ricava dal passo precedente) per vincere il tedio dell’anima. – peregrinationes... pererrantur: l’allitterazione fa risaltare il motivo della commutatio loci. – vagae: dal verbo vagor della prima coniugazione: indica un andare quae là, un vagabondare senza meta e senza scopo. – invia: invı˘us, a, um («inaccessibile», «impraticabile», «impenetrabile») è aggettivo composto dal prefisso privativo in e dal sostantivo vı˘a. – experı ˉtur: presente indicativo dal verbo expe ˘ rı˘or (expertus sum, ı ˉri). – praesentibus: dativo neutro plurale del participio sostantivato, retto da infesta. – Campaniam: dove si trovavano, fin dall’epoca della tarda repubblica, celebri località di villeggiatura. – petamus: con valore esortativo, come gli altri congiuntivi che seguono (videantur... persequamur... petatur... flectamus). Chi parla è la persona inquieta e insoddisfatta, che spera di trovar rime-

quo luxuriosi oculi longo locorum horrentium squalore releventur: «Tarentum petatur laudatusque portus et hiberna caeli mitioris et regio vel antiquae satis opulenta turbae». Nimis diu a plausu et fragore aures vacaverunt, iuvat tam et humano sanguine frui: «Iam flectamus cursum ad urbem». [14] Aliud ex alio iter suscipitur et spectacula spectaculis mutantur. Ut ait Lucretius:

Hoc se quisque modo semper fugit.

Sed quid prodest, si non effugit? Sequitur se ipse et urget gravissimus comes. [15] Itaque scire debemus non locorum vitium esse quo laboramus, sed nostrum; infirmi sumus ad omne tolerandum, nec laboris patientes nec voluptatis nec nostri nec ullius rei diutius. Hoc quosdam egit ad mortem, quod proposita saepe mutando in eadem revolvebantur et non reliquerant novitati locum: fastidio esse illis coepit vita et ipse mundus et subiit illud tabidarum deliciarum: «Quousque eadem?»

dio al tedio che la opprime spostandosi in altri luoghi, ora alla moda ora selvaggi (come si ricava dagli esempi che seguono). – videantur: passivo di video (lett. «siano visti»). – Bruttios et Lucaniae: si osservi la variatio, con l’attributo Bruttios e il genitivo Lucaniae. I Bruttii risiedevano nell’odierna Calabria. – amoeni: genitivo partitivo. – in quo... releventur: proposizione relativa impropria, con valore finale. – Tarentum... regio: Tarentum, portus, hiberna e regio sono soggetti del congiuntivo esortativo petatur (= petantur). Altri interpretano gli ultimi tre sostantivi come apposizioni di Tarentum. Taranto, fondata nel 706 da coloni spartani, fu uno dei maggiori centri, economici e culturali, della Magna Grecia. – hiberna: lett. «i quartieri invernali», termine della lingua militare. – caeli mitioris: genitivo di qualità; mitioris è comparativo assoluto. Anche in Orazio (Carm. II, 6), Taranto compare come città dai tiepidi inverni: ver ubi longum tepidasque praebet/ Iuppiter brumas. – regio... turbae: costruisci regio satis opulenta vel antiquae turbae (dativo di vantaggio). – urbem: Roma, per antonomasia. Ad urbem è moto a luogo. – a plausu et fragore: ablativi di allontanamento («sono state lontane dagli applausi e dalle grida») o di privazione («sono state prive degli applausi e delle grida»). – humano sanguine: ablativo strumentale. Evidente allusione agli spettacoli del circo, che Seneca ebbe spesso a criticare.

[14] Si intraprende un viaggio dopo l’altro e spettacoli si alternano a spettacoli. Come dice Lucrezio: «In questo modo ciascuno sempre fugge se stesso». Ma a che gli serve, dal momento che non sfugge [a se stesso]? Egli stesso segue se stesso e gli incombe addosso come insopportabile compagno [di viaggio].

spectacula... mutantur: lett. «si mutano spettacoli con [altri] spettacoli»; spectaculis è ablativo strumentale. – Hoc... fugit: la citazione è tratta dal III libro del De rerum natura (v. 1068 [ vol. I, T9, cap. 11]), ma con l’aggiunta dell’avverbio semper, assente nell’originale. Evidentemente Seneca sta citando a memoria, o forse vuol dare alla citazione una maggiore forza ammonitoria. – si non effugit (sott. se): il gioco di parole istituito con il precedente se fugit accentua l’irrazionalità della scelta: come verrà precisato poco dopo, il male è in noi, non nei luoghi che frequentiamo. – gravissimus comes: predicativo del soggetto (ipse).

[15] Dunque dobbiamo sapere che non è dei luoghi il male di cui soffriamo, ma nostro; siamo incapaci di tollerare qualsiasi cosa, insofferenti a lungo andare della fatica, del piacere, di noi stessi come di qualsiasi altra cosa. Questo ha spinto alcuni alla morte, e cioè il fatto che, col cambiare di continuo propositi, ricadevano nelle medesime condizioni, e non lasciavano spazio al nuovo: la vita, e lo stesso mondo, cominciò a venir loro a noia, e penetrò [in essi] quel pensiero proprio dei piaceri snervanti: «Fino a quando le medesime cose?».

non locorum... esse: proposizione infinitiva oggettiva, dipendente da scire debemus. – infirmi: lett. «deboli», come se mancassero le forze. – ad omne tolerandum: gerundivo con valore finale. – patientes: participio di patior, usato con valore di aggettivo; regge i quattro genitivi che precedono e seguono. – diutius: comparativo assoluto dell’avverbio diu. – Hoc: prolettico del quod che segue. – ad mortem: cioè al suicidio. – mutando: gerundio ablativo con valore strumentale. – et non reliquerant novitati locum: come chi la provato tutto, e non può aspettarsi più nulla dalla vita. – fastidio... illis: è la consueta costruzione del doppio dativo. – tabidarum deliciarum: può essere interpretato come genitivo epesegetico di illud, oppure come genitivo di pertinenza. Tabidus ha il significato di «che consuma, che distrugge poco a poco», come un morbo infettivo (tabes) o un veleno. L’aggettivo ben si presta a dipingere lo stato morale di chi si è abbandonato a una vita corrotta e depravata. – Quousque eadem?: alla domanda non può che seguire il suicidio. Ma Seneca parte da qui per proporre i suoi rimedi: al sentimento della noia viene opposta una vita appartata ma attiva, dedita agli studi.

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