PERCORSO ANTOLOGICO
T7
Beata est vita conveniens naturae suae
De vita beata 3
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T 8 Taedium vitae e commutatio loci De tranquillitate animi 2, 13-15 LATINO
Il trattato De tranquillitate animi si apre con una lunga pagina in cui Anneo Sereno, l’amico cui erano già stati dedicati il De constantia sapientis e il De otio, espone la propria condizione attuale, quella di un uomo che si è avviato alla pratica della virtù, e nondimeno continua a oscillare fra diversi stati d’animo, perennemente ansioso e scontento di sé, incerto fra ciò che è bene e ciò che è male, tanto da essere costretto a confessare di trovarsi in una strana condizione: nec aegroto nec valeo («non sono malato e non sto bene»). Il capitolo introduttivo dell’opera termina dunque con una richiesta di aiuto: «se conosci qualche rimedio che possa arrestare questo mio continuo ondeggiare, ti prego, considerami degno di esserti debitore della mia serenità» (1, 18). Seneca dà subito una risposta di carattere generale, osservando che quello di cui Sereno sente la mancanza, e a cui aspira, è la tranquillitas, che sarà appunto oggetto della sua trattazione. Per giungere a questo fine, occorre però innanzi tutto rendersi consapevoli di ciò che turba concretamente l’animo umano, esposto ai tormenti dell’insoddisfazione perenne, della noia, della mutevolezza dei desideri, dell’avvilimento interiore (la displicentia sui), dell’apatia. Seneca si concentra in particolare sul motivo della noia, il taedium vitae di cui avevano già parlato Lucrezio e Orazio, e lo fa con acutezza di sguardo e profondità di indagine psicologica, giungendo a enunciare sentenze che toccano il lettore per la loro bruciante verità esistenziale. Nel passo che segue, l’attenzione si volge a un motivo tradizionale della poesia classica, la commutatio loci, la smania di mutar luogo nell’illusione di poter sfuggire a se stesso. Sed quid prodest, si non effugit?, annota, con la consueta lucidità sentenziosa, Seneca (par. 14). [13]
Inde peregrinationes suscipiuntur vagae et invia litora pererrantur; et modo mari se modo terra experitur semper praesentibus infesta levitas. «Nunc Campaniam petamus». Iam delicata fastidio sunt: «Inculta videantur, Bruttios et Lucaniae saltus persequamur». Aliquid tamen inter deserta amoeni requiritur, in
[13] Per questo si intraprendono viaggi per ogni dove e si attraversano lidi inospitali; e l’incostanza, sempre nemica delle cose presenti, mette alla prova se stessa ora per mare ora per terra. «Ora andiamo in Campania». Ma già i luoghi raffinati vengono a noia: «Andiamo a vedere posti selvaggi, esploriamo i boschi del Bruzzio e della Lucania». Ma in mezzo ai luoghi desolati, si cerca qualcosa di piacevole, nel quale gli occhi abituati al lusso si ricreino dal lungo squallore di luoghi aspri. «Andiamo a Taranto e al suo porto [tanto] decantato, ai suoi inver-
ni dal clima così mite, alla sua regione abbastanza ricca anche per la popolazione di un tempo». Per troppo tempo le orecchie sono state lontane dagli applausi e dalle grida; è bello ormai godere anche del sangue umano: «Ormai volgiamo la rotta verso Roma». Inde: «per questo», cioè (come si ricava dal passo precedente) per vincere il tedio dell’anima. – peregrinationes... pererrantur: l’allitterazione fa risaltare il motivo della commutatio loci. – vagae: dal verbo vagor della prima coniugazione: indica un andare quae là, un vagabondare senza meta e senza scopo. – in-
via: invı̆us, a, um («inaccessibile», «impraticabile», «impenetrabile») è aggettivo composto dal prefisso privativo in e dal sostantivo vı̆a. – experıˉtur: presente indicativo dal verbo expĕrı̆or (expertus sum, ˉıri). – praesentibus: dativo neutro plurale del participio sostantivato, retto da infesta. – Campaniam: dove si trovavano, fin dall’epoca della tarda repubblica, celebri località di villeggiatura. – petamus: con valore esortativo, come gli altri congiuntivi che seguono (vide antur... persequamur... petatur... flecta mus). Chi parla è la persona inquieta e insoddisfatta, che spera di trovar rime-
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