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T 11 Il potere corruttore della folla (Epistulae ad Lucilium 7, 1-5) LAT

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TESTO CRITICO

ad studia revocare (De tranquillitate animi 3, 6), sibi applicare (De tranquillitate animi 24, 2), suum fieri (Ep. ad Luc. 75, 118), in se recedere (De tranquillitate animi 17, 3; Ep. ad Luc. 74, 29), ad se recurrere (De brevitate vitae 18, 1), secum morari (Ep. ad Luc. 2, 1 [T10]): Seneca dispone di tutto un vocabolario per indicare le diverse forme che devono assumere la cura di sé e la sollecitudine con la quale si cerca di avvicinarsi a se stessi (ad se properare: Ep. ad Luc. 35, 4). Anche a Marco Aurelio preme molto occuparsi di se stesso: né libri né scritti devono trattenerlo dalla cura diretta che deve riservare al proprio essere: «Non andar più oltre vagabondando. Non hai più tempo, ormai, per rileggere i tuoi appunti, né le imprese degli antichi Romani e dei Greci, né gli scritti che avevi serbato per i giorni della vecchiaia. Affrettati, dunque, abbandona ogni inutile speranza, e, se hai cura del tuo bene, aiutati da te stesso, fin che ti è possibile» (Ricordi III, 14).

(M. Foucault, La cura di sé, Feltrinelli, Milano 1985, pp. 49-50)

T 11

Epistulae ad Lucilium 7, 1-5 LATINO

Il potere corruttore della folla

Come già nell’epistola prima, Seneca entra subito in tema. Lucilio gli ha chiesto che cosa si debba specialmente evitare, per conseguire la saggezza; ed egli risponde con una sola parola: turbam, la folla. Ma come sempre l’autore-maestro si pone subito allo stesso livello del destinatario-discepolo, confessando la propria fragilità. Il saggio stoico deve dunque evitare di «mescolarsi» tra gli uomini, per sfuggire al pericoloso «contagio» delle torbide energie che la folla esprime. Deve guardarsi dall’assistere a spettacoli, e soprattutto ai violenti e sanguinari combattimenti circensi; per avvalorare questo ammonimento, l’autore ricorre a un esemplare aneddoto tratto dall’esperienza personale.

[1] Quid tibi vitandum praecipue existimes quaeris? Turbam. Nondum illi tuto committeris. Ego certe confitebor inbecillitatem meam: numquam mores quos extuli refero; aliquid ex eo quod composui turbatur, aliquid ex iis quae fugavi redit. Quod aegris evenit quos longa inbecillitas usque eo adfecit ut nusquam sine offensa proferantur, hoc accidit nobis quorum animi ex longo morbo reficiuntur.

[1] Mi chiedi che cosa soprattutto ritieni di dover evitare. La folla. Non ti potrai mai affidare ad essa senza pericolo. Io confesserò almeno la mia debolezza: non riporto mai [a casa] i buoni costumi che ho portato fuori; qualcosa si turba di ciò che avevo messo in ordine, qualcosa di ciò che ho messo in fuga ritorna. Quello che capita ai convalescenti, che un lungo stato di debolezza ha fiaccato fino al punto da non poter esser portati in alcun luogo senza danno, lo stesso succede a noi, i cui animi si riprendono da una lunga malattia.

Quid... existimes: l’interrogativa indiretta (Quid... existimes) regge l’infinitiva oggettiva tibi vitandum (esse), costruzione perifrastica passiva (tibi è dativo d’agente). – Turbam: va sottinteso un verbo come (tibi) respondeo. – tuto: avverbio di modo. Lett. «al sicuro», avendo cioè la certezza di poter uscire indenne dal contatto con la folla. – committeris: passivo con valore più riflessivo che mediale; è implicita una sfumatura potenziale («potrai affidarti»). Nel contesto, non è un indicativo presente (committe ˘ris) ma un futuro semplice (committe ˉris). – Ego: con valore enfatico. Come sempre, Seneca si pone allo stesso livello del discepolo. – certe: con valore restrittivo. – inbecillitatem: con valore morale, diversamente dal successivo (longa inbecillitas), che sta a indicare una debolezza di ordine fisico. – mores: il complesso delle tradizionali virtù romane, fondamento dell’agire sia pubblico sia privato. – extuli refero: da ex + fero e re + fero (figura etimologica). – aliquid... composui: sono le passioni umane: il sapiens stoico sa di non poterle sradicare dal proprio animo, ma soltanto di poterle governare. – aliquid ex iis: sono i vizi. Si noti l’anafora (aliquid... aliquid) e il parallelismo delle due costruzioni (ex eo... ex iis; quod composui... quae fugavi; turbatur... redit). – fugavi: metafora tratta dal linguaggio militare: è solitamente usato con riferimento ai soldati (qui = vizi, passioni) messi in fuga. – Quod... evenit: proposizione relativa con valore prolettico. – ut nusquam... proferantur: proposizione consecutiva: è retta dalla relativa quos... adfecit. – accidit nobis: si noti la costruzione chiastica con il precedente aegris evenit. – ex longo morbo: il nesso vizio-malattia è presente in numerosi passi di Seneca.

[2] Inimica est multorum conversatio: nemo non aliquod nobis vitium aut commendat aut inprimit aut nescientibus adlinit. Utique quo maior est populus cui miscemur, hoc periculi plus est. Nihil vero tam damnosum bonis moribus quam in aliquo spectaculo desidere; tunc enim per voluptatem facilius vitia subrepunt. [3] Quid me existimas dicere? Avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior, immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui. Casu in meridianum spectaculum incidi, lusus expectans et sales et aliquid laxamenti quo hominum oculi ab humano cruore adquiescant. Contra est: quidquid ante pugnatum est misericordia fuit; nunc omissis nugis mera homicidia sunt. Nihil habent quo tegantur; ad ictum totis corporibus expositi numquam frustra manum mittunt. [4] Hoc plerique ordinariis paribus et postulaticiis praeferunt. Quidni praeferant? Non galea, non scuto repellitur ferrum. Quo munimenta? Quo artes? Omnia ista

[2] Dannosa è la compagnia di molti: non c’è nessuno che non ci raccomandi un vizio, o non ce lo imprima a forza o non ce lo attacchi a nostra insaputa. Per certo, quanto maggiore è la folla a cui ci mescoliamo, tanto più vi è di pericolo. Ma niente è tanto dannoso ai buoni costumi, quanto starsene seduti a qualche spettacolo: allora infatti attraverso il piacere più facilmente si insinuano [in noi] i vizi.

conversatio: da converso, are (intensivo di converto) che significa «volgere intorno»: indica l’«uso frequente di una cosa», le «relazioni» che si istituiscono con qualcuno. – nemo non: la doppia negazione equivale, ma enfaticamente potenziata, a un’affermazione. – aut commendat aut inprimit aut... adlinit: si noti la climax ascendente, ritmicamente sottolineata dall’anafora della congiunzione aut. Commendare significa semplicemente «raccomandare»; inprimere vale invece «premere», «imprimere», «improntare», e dunque indica un’azione più risoluta, che vuole «lasciare un segno»; adline ˘ re, infine, significa «intaccare», «spalmare addosso», «attaccare» come un contagio, che avviene subdolamente, senza che il contaminato ne sia consapevole (nescientibus). – Utique: con valore asseverativo. – quo... hoc: «quanto più... tanto più». – populus: si noti il valore spregiativo del termine, che qui vale «folla», «massa». – periculi: genitivo partitivo retto da plus. – tam damnosum: sott. est. – desidere: il verbo va qui inteso nel suo doppio valore, letterale (lo «starsene seduti») e morale («essere inattivi», «oziare»: desidia vale infatti «inerzia», desidiosus «pigro»). – facilius: comparativo dell’avverbio facile.

[3] Cosa credi voglia dire? Ritorno [a casa] più avido, più ambizioso, più bramoso di piaceri, anzi più crudele e più inumano, perché sono stato in mezzo agli uomini. Capitai per caso allo spettacolo di mezzogiorno, aspettandomi scherzi, facezie e qualcosa di riposante, con cui gli occhi degli uomini si ristorano dal sangue umano. Avvenne il contrario: i combattimenti di prima erano stati atti di misericordia; ora, finiti gli scherzi, si tratta di veri e propri omicidi. Non hanno niente con cui proteggersi; esposti ai colpi in tutto il corpo, non spingono mai invano la mano.

Quid... dicere?: la proposizione interrogativa diretta (Quid... existimas) regge un’infinitiva oggettiva (me... dicere). – redeo: sott. domum. – immo vero: la correctio («anzi», «addirittura») enfatizza e rilancia la lunga serie di comparativi utilizzati in funzione predicativa, già ritmicamente incatenati dall’omoteleuto. – inhumanior... inter homines: si noti l’accostamento paradossale (un esempio di figura etimologica), ribadito nella frase successiva (hominum... humano cruore). – meridianum spectaculum: una sorta di intervallo, posto al centro della giornata, tra i ludi del mattino e quelli del pomeriggio. – quo... adquiescant: proposizione relativa impropria con valore finale. – ab humano cruore: complemento di separazione. Cruor è il sangue «che cola, versato, proveniente da una ferita, mentre sanguis = sangue che circola nei vasi sanguigni, umore che sostiene la vita» (Calonghi). – ante: con valore avverbiale. – omissis nugis: ablativo assoluto. – habent: sogg. è gladiatores. – quo tegantur: proposizione relativa finale, dipendente da nihil habent. Il passivo ha valore mediale. – totis corporibus: ablativo di limitazione. Il plurale dilata la superficie corporea esposta ai colpi dei combattenti. – numquam... mittunt: il senso è che ogni colpo inferto produce gravi ferite.

[4] I più preferiscono questo [genere di lotta] alle coppie ordinarie e a quelle a richiesta [del pubblico]. E perché non dovrebbero preferirlo? Non da un elmo, non da uno scudo viene respinta la spada. A che scopo le protezioni? A che scopo le tecniche? Tutte queste cose sono indugi alla morte. Al mattino [i condannati] sono gettati in pasto ai leoni e agli orsi, a mezzogiorno ai loro spettatori. [Gli spettatori] ordinano che chi ha ucciso sia gettato in pasto a chi lo ucciderà e riservano il vincitore per un’altra uccisione; la conclusione è la morte dei combattenti. Si procede col ferro e col fuoco.

Hoc: complemento oggetto: è il tipo di combattimento descritto nel paragrafo precedente. – praeferant: congiuntivo potenziale. – Quo... Quo: avverbi di moto a luogo, qui utilizzati in senso figurato per esprimere scopo. Sottinteso sarà un un verbo come dabis (o dabuntur). – Mane... obiciuntur: lo zeugma sottolinea sarcasticamente il giudizio morale dell’autore: gli spettatori sono equiparati a bestie feroci. – iubent... detinent: soggetto sottinteso è spectatores. – in aliam... caedem: complemento di scopo.

mortis morae sunt. Mane leonibus et ursis homines, meridie spectatoribus suis obiciuntur. Interfectores interfecturis iubent obici et victorem in aliam detinent caedem; exitus pugnantium mors est. Ferro et igne res geritur. [5] Haec fiunt dum vacat arena. «Sed latrocinium fecit aliquis, occidit hominem». Quid ergo? Quia occidit, ille meruit ut hoc pateretur: tu quid meruisti miser ut hoc spectes?

[5] Questo succede mentre l’arena è vuota. «Ma ha commesso una rapina, ha ucciso un uomo». E allora? Siccome ha ucciso, ha meritato di subire questa pena: ma tu che cosa hai meritato, infelice, per vedere questo [spettacolo]?

dum vacat harena: proposizione temporale. – «Sed latrocinium... hominem»: viene introdotto un immaginario interlocutore, che sta assistendo agli spettacoli del circo. La sua obiezione coincide con la vox populi, ed esprime un’idea ampiamente diffusa: quelle vittime sono state in fondo dei delinquenti, hanno meritato ciò che subiscono. – aliquis: sott. gladiatorum. – ille meruit... spectes: si noti il parallelismo della costruzione, fondata sull’antitesi ille... tu e sull’anafora ut hoc... ut hoc. Dai due perfetti (meruit... meruisti) dipendono le due proposizioni finali (ut hoc pateretur... ut hoc spectes).

LETTURA e INTERPRETAZIONE

Seneca mette in gioco se stesso

All’inizio Seneca ha dato a Lucilio, con una sola parola, (turbam, «la folla») una risposta di lapidaria concisione, ma proprio per questo tanto più energica e perentoria. Subito dopo, tuttavia, per spiegarsi meglio, mette in gioco se stesso, la sua inbecillitas, la fragilità dell’animo che non può trovare riparo se non in se stesso, nella scelta di una vita condotta secondo i principi della ratio e della natura. Esposto alle forze irrazionali e istintuali del mondo esterno, quest’animo fragile e indifeso vede pericolosamente sbriciolarsi tutto l’ordine che era andato costruendo: quod composui, turbatur (si noti, nell’uso del verbo, la ripresa del sostantivo iniziale, turba). Seneca si spinge anzi fino a enunciare un concetto di impressionante forza sentenziosa: Avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior, immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui (par. 3).

Un aneddoto personale: lo spettacolo del circo

E per rafforzare il suo discorso, ricorre a un aneddoto personale, di quando si era ritrovato «per caso» a uno spettacolo del circo. Nel contesto l’exemplum non è mirato soltanto alla denuncia di uno spettacolo violento e inumano, ma soprattutto di come la forza istintuale delle passioni collettive possa corrompere anche l’animo più puro e forte. All’interlocutore immaginario (uno spettatore del circo) che gli obietta «Ma in fondo si tratta solo di briganti, di assassini», che hanno meritato queste punizioni, Seneca risponde: tu quid meruisti, miser, ut hoc spectes? (par. 5).

Tre secoli dopo, la testimonianza di Agostino

Tre secoli dopo, in un’età nuova caratterizzata dall’affermarsi del cristianesimo, Agostino racconta una storia analoga, quella di un uomo che crede di poter confidare nella purezza dei propri valori morali, e deve invece fare i conti con le derive brutali e irrazionalistiche di una folla che si esalta alla vista del sangue e della violenza. Al culmine dello spettacolo, conclude Agostino, l’amico «non era più quello che era venuto, ma uno della plebaglia tra cui era venuto» [Confronti

intertestuali, p. 166].

Auerbach: all’epoca di Agostino qualcosa è cambiato

Nondimeno, come osserva Auerbach in una memorabile pagina di Mimesis, qualcosa, all’epoca di Agostino, è ormai cambiato: «anche qui sono all’opera le forze dell’epoca: sadismo, ebbrezza del sangue e prevalenza del magico-sensuale sul razionale-etico. Ma [...] a servizio del cristianesimo contro l’ebbrezza magica stanno altre armi oltre l’alta cultura razionale e individualistica antica». Seneca e Lucilio sono insomma soli, aristocraticamente soli, nella loro battaglia contro le energie istintuali della folla, mentre Agostino e il suo amico-discepolo Alipio sentono la protezione di un Dio salvifico e riparatore, di un piano provvidenziale destinato a trionfare sulle forze, ebbre e sanguinarie, del male.

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