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T 21 Il furore di Medea (Medea 116-178) IT

– Più vero sarebbe stato il verso seguente, ugualmente di Omero: ... dove io la città distrussi e gli abitanti uccisi –.3

[6, 1] E avrebbe gabbato Ercole che è niente affatto scaltro, se non ci fosse stata lì Febbre che, abbandonato il suo tempio, era venuta, lei sola, con lui: tutti gli altri dèi li aveva lasciati a Roma:4 «costui – disse – racconta solo menzogne. Te lo dico io, che son vissuta con lui tanti anni:5 a Lione è nato, vedi un concittadino dell’uva “Marcus”.6 Ti dico che è nato a sedici miglia da Vienna,7 è un Gallo genuino.8 E così – ciò che doveva fare un Gallo – ha preso Roma. Te l’assicuro che è nato a Lione, dove Licino9 ha dominato come un re per molti anni. Tu poi, che hai calpestato più luoghi di un mulattiere che non si ferma mai, dovresti sapere che ci sono molte miglia tra lo Xanto10 e il Rodano!». [2] Si riscalda a questo punto Claudio e si adira brontolando a più non posso. Quello che diceva non lo capiva nessuno. Poi ordinava di condurre Febbre al supplizio con quel suo gesto della mano ciondoloni – ma ferma per quest’unica operazione – con cui soleva decapitare le persone. Aveva dato ordine di tagliarle il collo: c’era da credere che fossero tutti suoi liberti,11 tanto nessuno si curava di lui. [7, 1] Allora Ercole: «ascoltami – gli disse – finiscila di farneticare! sei venuto in un luogo dove i topi rodono il ferro.12 Presto, la verità, che non ti debba spogliare delle tue stravaganze». E per essere più terribile, diventa attore tragico13 e dice [...]

(trad. di G. Roncali)

3. dove... uccisi: Odissea IX, 40. 4. tutti... a Roma: spunto di carattere encomiastico: tutti gli dèi, tranne Febris (cui era dedicato un tempio sul Palatino), sono rimasti in Roma a celebrare Nerone, il nuovo imperatore. 5. che... tanti anni: Claudio non aveva mai goduto di buona salute. 6. Marcus: Marcus era chiamata in Gallia una qualità di vite, da cui per altro, secondo la testimonianza di Columella (III, 2, 25), si estraeva un vino mediocre. Evidente l’allusione all’ebrietas di Claudio, denunciata anche da Svetonio (Claudius 5 e 33). 7. Vienna: Vienne, nell’attuale Delfinato, anch’essa un importante centro vinicolo (e per questo nominata). 8. Gallo genuino: «probabile gioco fra il valore di germanus (= genuino, purosangue), che è qui il significato più ovvio, e Germano (= nativo della Germania). Claudio si può definire Gallus germanus, essendo nato nella Gallia Narbonese, divenuta provincia romana (Provenza) prima delle guerre di Cesare» (Focardi). 9. Licino: schiavo di Cesare, divenuto in età augustea procuratore della Gallia Lugdunense; era proverbiale per la sua rapacità e per le immense ricchezze accumulate. 10. Xanto: fiume della Troade. 11. liberti: di cui Claudio era notoriamente alla mercé. Nel finale della satira, l’imperatore viene non a caso posto alle dipendenze di un liberto, come «addetto alle istruttorie». 12. i topi rodono il ferro: detto proverbiale. 13. diventa attore tragico: seguono versi in senari giambici, di evidente tono parodistico.

T 21

Medea 116-178

LATINO ITALIANO

Il furore di Medea

La tragedia, ispirata all’omonimo dramma di Euripide, ha inizio con un monologo di Medea (vv. 1-55): dopo aver saputo delle nozze fra Giasone e la giovane figlia di Creonte, la maga, in preda al furore, invoca gli dèi inferi e le Erinni perché diano morte alla nuova sposa, maledice l’antico amante augurandogli di vivere esule e ramingo nel mondo, sogna d’incenerire la città di Corinto insieme all’Istmo, così che i due mari si confondano, mentre già rivolge in mente la vendetta estrema e più atroce, l’eccidio dei figli. A lei si contrappone il coro, che intona un epitalamio rivolto agli dèi sùperi (vv. 56-115). Dopo questa sorta di prologo, viene introdotta la scena qui presentata, protagoniste Medea (espressione furente della passione più incontrollata) e la sua nutrice (che rappresenta la voce, inascoltata, della ragione).

Nota metrica:

senari giambici. medea, nutrix me. Occidimus, aures pepulit hymenaeus meas. Vix ipsa tantum, vix adhuc credo malum. Hoc facere Iason potuit, erepto patre patria atque regno sedibus solam exteris 120 deserere durus? Merita contempsit mea qui scelere flammas viderat vinci et mare? Adeone credit omne consumptum nefas? Incerta vecors mente non sana feror partes in omnes; unde me ulcisci queam? 125 Utinam esset illi frater! Est coniunx: in hanc ferrum exigatur. Hoc meis satis est malis? Si quod Pelasgae, si quod urbes barbarae novere facinus quod tuae ignorent manus, nunc est parandum. Scelera te hortentur tua 130 et cuncta redeant: inclitum regni decus raptum et nefandae virginis parvus comes divisus ense, funus ingestum patri sparsumque ponto corpus et Peliae senis

medea, nutrice medea Sono perduta, il suono dell’imeneo ha raggiunto le mie orecchie. A stento ancora io stessa posso credere a una simile sventura. Ha potuto far questo Giasone? Dopo avermi strappato al padre, alla patria e al regno, con duro cuore abbandonarmi sola in un luogo straniero! Ha disprezzato i miei meriti lui che pure aveva visto esser vinti dal mio delitto le fiamme e il mare? Egli crederà che fino a questo punto sia consumata tutta la mia capacità di compiere delitti? Incerta, forsennata, dalla mia mente folle sono trascinata per ogni dove; con che cosa potrei vendicarmi? Oh, se egli avesse un fratello! Ha una moglie: contro costei si estragga la spada. Questo è abbastanza per le mie sventure? Se le città pelasghe, se le città barbare conoscono un crimine che le tue mani ignorano, questo ora si deve preparare. Ti esortino i tuoi delitti e tutti ritornino: il celebre tesoro del regno rubato, e il piccolo compagno dell’empia vergine diviso a pezzi dalla spada, l’assassinio compiuto davanti al padre e il cadavere disperso nel mare e le membra del vecchio Pelia cotte in un calderone di bronzo; quanto spesso ho

118-119. erepto... regno: allusione alle vicende precedenti, narrate fra l’altro nelle Argonautiche di Apollonio Rodio: per amore di Giasone, la donna giunge ad addormentare il drago che custodiva il vello d’oro, a organizzare la fuga dal regno del padre Eeta e a uccidere il fratello, inviato dal re all’inseguimento dei fuggiaschi (vedi vv. 131-133). Dopo varie avventure, Medea e Giasone giungono infine a Corinto, dove si svolge l’azione della tragedia. 125. Utinam... frater!: per poterlo uccidere, compensando l’assassinio del proprio fratello.

131-133. et nefandae virginis... cor-

pus: il corpo del fratello di Medea era stato fatto a pezzi e disseminato per rallentare la corsa degli inseguitori, obbligati dalla pietas a recuperarne i miseri resti. La nefanda virgo è naturalmente lei stessa, Medea. 133-134. et Peliae... membra: altro orrendo delitto perpetrato dalla maga: Pe-

decocta aeno membra: funestum impie 135 quam saepe fudi sanguinem, et nullum scelus irata feci: saevit infelix amor. Quid tamen Iason potuit, alieni arbitri iurisque factus? Debuit ferro obvium offerre pectus – melius, a melius, dolor 140 furiose, loquere. Si potest, vivat meus, ut fuit, Iason; si minus, vivat tamen memorque nostri muneri parcat meo. Culpa est Creontis tota, qui sceptro impotens coniugia solvit quique genetricem abstrahit 145 natis et arto pignore astrictam fidem dirimit: petatur, solus hic poenas luat quas debet. Alto cinere cumulabo domum; videbit atrum verticem flammis agi Malea longas navibus flectens moras. 150 nu. Sile, obsecro, questusque secreto abditos manda dolori. Gravia quisquis vulnera patiente et aequo mutus animo pertulit, referre potuit: ira quae tegitur nocet; professa perdunt odia vindictae locum.

empiamente sparso sangue funesto, eppure non ho compiuto nessun delitto con ira: ad infuriare è solo il mio amore infelice. Che cosa, tuttavia, poteva Giasone, posto sotto l’arbitrio e il comando altrui? Avrebbe dovuto offrire il petto alla spada – pazzo dolore, parla meglio, ah meglio. Se può, viva mio, come fu un tempo, Giasone; se no, viva comunque e memore di me mi risparmi, in grazia dei miei servigi. La colpa è tutta di Creonte, che senza conoscere freni a causa dello scettro regale scioglie i matrimoni, e strappa la madre ai figli e rompe la fede nuziale annodata da un così stretto pegno d’amore: si assalti solo costui, paghi il fio che deve. Renderò la sua casa un cumulo di alta cenere e il capo Malea, che costringe le navi a un lungo giro, vedrà levarsi dalle fiamme un nero vortice di fumo. nutrice Taci, ti scongiuro, e affida i tuoi lamenti nascosti a un segreto dolore. Chiunque sa sopportare in silenzio con animo paziente ed equilibrato gravi ferite, sa anche rendere il contraccambio: l’ira che si nasconde sa nuocere; gli odi confessati perdono l’occasione per la vendetta.

lia, zio di Giasone, non aveva restituito al nipote il regno, come era stato invece pattuito nel caso il giovane si fosse impadronito del vello d’oro. Medea, allora, aveva indotto le figlie di Pelia a bollire in una caldaia il corpo del padre, facendo loro credere che in tal modo il vecchio avrebbe magicamente riacquistato la giovinezza. A causa di questo misfatto, i due amanti erano stati poi costretti a fuggire in Corinto. 143. Creontis: il re di Corinto. 149. Malea: promontorio dirupato sul mare e battuto dai venti, dunque pericoloso per le navi; costituisce la punta sud-est del Peloponneso, dove si chiude il golfo Laconico.

155 me. Levis est dolor qui capere consilium potest et clepere sese: magna non latitant mala. Libet ire contra. nu. Siste furialem impetum, alumna: vix te tacita defendit quies. me. Fortuna fortes metuit, ignavos premit. 160 nu. Tunc est probanda, si locum virtus habet. me. Numquam potest non esse virtuti locus. nu. Spes nulla rebus monstrat adflictis viam. me. Qui nil potest sperare, desperet nihil. nu. Abiere Colchi, coniugis nulla est fides 165 nihilque superest opibus e tantis tibi. me. Medea superest, hic mare et terras vides ferrumque et ignes et deos et fulmina. nu. Rex est timendus. me. Rex meus fuerat pater. nu. Non metuis arma?

me. Sint licet terra edita.

170 nu. Moriere. me. Cupio. nu. Profuge.

164. Colchi:

gli abitanti della remota Colchide, patria di Medea, dove era custodito il vello d’oro. edea È lieve il dolore che sa prendere una decisione e tenersi nascosto; le grandi sventure non restano occulte. Mi piace andare all’assalto dei miei nemici. nutrice Ferma la folle violenza, tu che da me fosti allattata; è molto se lo stare tranquilla e in silenzio ti può difendere. medea La fortuna teme i forti, affligge gl’ignavi. nutrice Il valore si fa apprezzare solo se trova l’occasione di manifestarsi. medea Il valore non può non trovarla. nutrice In una situazione di disgrazia nessuna speranza mostra una via di salvezza. medea Chi non può sperare nulla non deve disperare di nulla. nutrice I Colchi sono lontani, nulla è la fede verso di te del tuo sposo e di tanta potenza niente ti rimane. medea Rimane Medea, qui vedi il mare e la terra e la spada e il fuoco e gli dèi e i fulmini. nutrice Un re è da temersi. medea Era re anche mio padre. nutrice Non temi le armi? medea No, siano pure spuntate dalla terra. nutrice Morirai. medea Lo desidero.

nutrice Fuggi!

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