8 minute read

T 4 Elogio di Claudio (Consolatio ad Polybium 7) LAT IT 147 ONLINE T 5 Otiosi e occupati (De brevitate vitae 14) LAT IT

hac potestate et cotidie apud me causam dico. Cum sublatum e conspectu lumen est et conticuit uxor moris iam mei conscia, totum diem meum scrutor factaque ac dicta mea remetior; nihil mihi ipse abscondo, nihil transeo. Quare enim quicquam ex erroribus meis timeam, cum possim dicere: [4] «Vide ne istud amplius facias, nunc tibi ignosco. In illa disputatione pugnacius locutus es: noli postea congredi cum imperitis; nolunt discere qui numquam didicerunt. Illum liberius admonuisti quam debebas, itaque non emendasti, sed offendisti: de cetero vide, non tantum an verum sit quod dicis, sed an ille cui dicitur veri patiens sit; admoneri bonus gaudet, pessimus quisque rectorem asperrime patitur».

questa facoltà e ogni giorno faccio il processo a me stesso. Quando il lume è stato già portato via e mia moglie, che conosce le mie abitudini, s’è taciuta, io passo in rassegna l’intera giornata e peso tutte le mie parole e le mie azioni; non mi nascondo nulla e nulla sorvolo. Che ragione avrei, infatti, di aver paura dei miei errori, dato che posso dire: [4] «Cerca di non farlo più. Per ora ti perdono. In quella discussione sei stato un po’ troppo aggressivo: d’ora in avanti non metterti più a discutere con gli ignoranti; non vuole imparare, chi non ha mai imparato. Quello là l’hai redarguito con più libertà di quanto avresti dovuto, e così non l’hai corretto; l’hai soltanto offeso: in seguito, guarda non solo se è vero quello che dici, ma se la persona con cui parli sa accettare la verità; l’uomo virtuoso è contento di essere ammonito, mentre i non virtuosi sopportano assai male una guida».

(trad. di N. Sacerdoti)

T 4

Elogio di Claudio Consolatio ad Polybium 7 ONLINE

T 5

De brevitate vitae 14

LATINO ITALIANO

Otiosi e occupati

Nel De brevitate vitae, Seneca confuta l’idea, diffusa tra la gente comune come tra gli uomini dotti, che la vita concessa all’uomo sia breve: in realtà, non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus (I, 3). Due sono dunque gli antagonisti di tutto il dialogo: da una parte gli occupati, che vivono sempre affaccendati, correndo affannosamente da un impegno all’altro, tormentati dall’ansia e in balìa delle passioni; dall’altra gli otiosi, cioè coloro che si dedicano alla salute dell’anima, e che riconoscono nei grandi maestri del passato la loro guida morale. Tra gli occupati, di cui il trattato fornisce lunghi e vivaci cataloghi, ai parr. 3-4 vengono presentati i clientes, che fin dal mattino vagano da una casa all’altra per ottenere qualche piccolo compenso dai loro patroni. All’opposto, ai parr. 2 e 5, viene celebrato il rapporto fra maestro e discepolo: un rapporto che non ha mai fine, e che ci consente di spingere il nostro spirito verso pensieri non caduchi, ma eterni e infiniti. Come nella tradizione diatribica, cui ampiamente attinge, Seneca non elabora un discorso dottrinale, ma preferisce muoversi sul piano concreto degli esempi e con la forza persuasiva delle immagini.

[1] Soli omnium otiosi sunt qui sapientiae vacant1, soli2 vivunt; nec enim suam tantum aetatem bene tuentur: omne aevum3 suo adiciunt; quicquid annorum ante illos actum est, illis adquisitum est. Nisi ingratissimi sumus, illi clarissimi sacrarum opinionum conditores nobis nati sunt, nobis vitam praeparaverunt. Ad res pulcherrimas ex tenebris ad lucem erutas alieno labore deducimur4; nullo nobis saeculo interdictum est, in omnia admittimur et, si magnitudine animi egredi humanae imbecillitatis angustias libet, multum per quod spatiemur temporis est. [2] Disputare cum Socrate licet, dubitare cum Carneade, cum Epicuro quiescere, hominis naturam cum Stoicis vincere, cum Cynicis excedere5. Cum rerum natura in consortium omnis aevi patiatur incedere, quidni ab hoc exiguo et caduco temporis transitu6 in illa toto nos demus animo quae immensa, quae aeterna sunt, quae cum melioribus communia? [3] Isti7 qui per officia8 discursant, qui se aliosque inquietant,

[1] Soli fra tutti raggiungono la vita serena coloro che si dedicano alla saggezza, solo questi vivono veramente; perché non solo amministrano bene la loro vita, ma aggiungono l’eternità al tempo della vita stessa; tutti gli anni che li precedono, sono già una conquista per loro. Se non vogliamo essere del tutto ingrati, dobbiamo riconoscere che i più illustri fondatori di grandi dottrine sono nati per noi e per noi hanno organizzato la vita. È la fatica altrui che ci porta alle verità più alte tratte in luce dalle tenebre4; nessuna epoca ci è preclusa, per tutte ci è aperto l’accesso, e se la grandezza del nostro spirito ci porta a superare i limiti della debolezza umana, abbiamo da percorrere un vastissimo spazio di tempo. [2] Ci è possibile discutere con Socrate, dubitare con Carneade, raggiungere con Epicuro l’atarassia, superare con gli stoici la natura umana, tenercene fuori coi Cinici5. Dato che la natura ci permette di partecipare di ogni età, perché, staccandoci da questo breve e caduco periodo di tempo6, non ci abbandoniamo con tutto il nostro spirito a pensieri infiniti, eterni, a quei pensieri che ci accomunano ai migliori? [3] Costoro7 , che corrono affannosamente da un impegno all’altro, che tormentano se stessi e

1. vacant: il verbo vaco (della prima coniugazione) è qui usato con il significato di «avere tempo libero» (in opposizione a occupatum esse). Al pari del sostantivo otium (e dei suoi derivati), è impiegato, da Cicerone in poi, per definire l’area semantica delle attività intellettuali. 2. Soli... soli: l’anafora sottolinea il concetto, ribadendo l’opposizione (trattata nei paragrafi 12 e 16 ) tra otiosi e occupati. 3. aetatem... aevum: i due termini, che in latino possono anche essere equivalenti, sono qui collocati in antitesi: da una parte il tempo dell’uomo (aetas), limitato e suddiviso in anni; dall’altra la dimensione universale e astratta del tempo (aevum), che precede e segue la vita dell’uomo, e non ha limiti. 4. Ad res... deducimur: costruisci deducimur alieno labore ad res pulcherrimas, erutas ex tenebris ad lucem. La metafora allude al passo lucreziano (III, 1 ss.) in cui Epicuro è rappresentato come colui che poté per primo illuminare le menti dell’uomo (O tenebris tantis tam clarum extollere lumen/ qui primus potuisti).

5. Disputare... dubitare... quiescere...

vincere... excedere: i verbi esprimono con accurata precisione il carattere delle singole scuole filosofiche cui Seneca allude: la dialettica socratica, lo scetticismo di Carneade (il fondatore della terza Accademia, che partecipò insieme a Critolao e a Diogene alla celebre ambasceria in Roma del 155 a.C.), l’atarassia epicurea, l’intransigenza morale degli stoici, l’anticonformismo dei cinici (il più famoso dei quali – Diogene – viveva com’è noto in una botte). 6. exiguo... transitu: con probabile riferimento all’Apologia di Platone (41a-41b). 7. Isti: sono gli occupati. Il dimostrativo è qui usato con valore spregiativo. 8. officia: non con il significato di «doveri» ma di «incombenze», «occupazioni»: ad essi vengono contrapposti i vera officia del par. 5.

cum bene insanierint9, cum omnium limina cotidie perambulaverint nec ullas apertas fores praeterierint, cum per diversissimas domos meritoriam salutationem10 circumtulerint, quotum quemque ex tam immensa et variis cupiditatibus districta urbe poterunt videre? [4] Quam multi erunt quorum illos aut somnus aut luxuria aut inhumanitas summoveat! Quam multi qui illos, cum diu torserint, simulata festinatione transcurrant! Quam multi per refertum clientibus atrium prodire vitabunt et per obscuros aedium aditus profugient, quasi non inhumanius sit decipere quam excludere! Quam multi hesterna crapula semisomnes et graves illis miseris suum somnum rumpentibus ut alienum exspectent, vix allevatis labris insusurratum miliens nomen oscitatione superbissima reddent! [5] Hos in veris officiis morari putamus, licet dicant, qui Zenonem, qui Pythagoran cotidie et Democritum ceterosque antistites bonarum artium, qui Aristotelen et Theophrastum11 volent habere quam familiarissimos. Nemo horum non vacabit, nemo non venientem ad se beatiorem, amantiorem sui dimittet, nemo quemquam vacuis a se manibus abire patietur; nocte conveniri, interdiu ab omnibus mortalibus possunt.

gli altri, quando ben sono impazziti9, quando hanno bussato ogni giorno a tutte le porte, fermandosi a ogni porta aperta, quando hanno portato i loro saluti10 interessati alle case più lontane, quante persone hanno potuto vedere, di una città tanto vasta e tanto sconvolta da opposte passioni? [4] Quante persone ci saranno che non li ricevono o perché dormono, o perché sono in gozzoviglia, o perché sono villani! Quanti che, dopo averli tenuti a lungo sospesi, passeranno via per una finta fretta! Quante persone impediranno loro di avanzare attraverso l’atrio gremito di clienti, e li eviteranno nascondendosi negli angoli più oscuri della casa, come se non fosse più scortese ingannare che scacciare apertamente! Quanti, ancora assonnati e con la testa pesante per l’ubriachezza del giorno prima, a quegli infelici che interrompono il loro sonno, per attendere il risveglio di un altro, risponderanno con uno sbadiglio sfacciato, sentendo pronunciare mille volte il proprio nome a bocca quasi chiusa! [5] Mentre, possiamo ben dirlo, pensiamo che si attengano a impegni più veri, quelli che desidereranno avere nella loro intimità, ogni giorno, Zenone, Pitagora, Democrito, e tutti gli altri maestri di virtù, oppure Aristotele e Teofrasto11. Nessuno di questi dirà di non aver tempo, nessuno non licenzierà più felice e più benevolo chi viene a lui, nessuno di questi lascerà che qualcuno si allontani da lui a mani vuote; e tutti possono andare a trovarli di notte e di giorno.

(trad. di N. Sacerdoti)

9. cum bene insanierint: espressione-chiave del paragrafo: all’insensatezza dei comportamenti degli occupati si oppone la ratio del sapiens. 10. salutationem: la tradizionale cerimonia mattutina cui erano tenuti i clientes, che si ammassavano, come si dice poco dopo, negli atria delle ricche case dei patroni.

11. Zenonem... Pythagoram... Democritum... Aristotelen et Theophrastum:

Zenone è il fondatore della scuola stoica, contemporaneo di Epicuro; Pitagora di Samo è il grande filosofo del VI secolo cui attinse abbondantemente la dottrina platonica, e intorno al quale fiorirono sette e leggende; Democrito (vissuto fra il V e il IV secolo) fu, insieme con il maestro Leucippo, il fondatore della dottrina atomistica; Teofrasto (vissuto fra IV e III secolo), discepolo prima di Platone poi di Aristotele, divulgatore della filosofia aristotelica, fu in particolare l’autore dei famosi Caratteri.

This article is from: