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Educazione CIVICA Scuola e istruzione

Educazione CIVICA

Scuola e istruzione

▰ Nell’antica Roma L’espressione «scuola pubblica» per la scuola romana è appropriata se con essa intendiamo un luogo di apprendimento collettivo, e non un’istituzione “statale”, con i connessi diritti e doveri. Per lo più le spese venivano sostenute dalle famiglie, come sembra confermare una lettera di Plinio il Giovane (IV, 13). D’altra parte non c’era neppure un obbligo di istruzione: le famiglie più povere si trovavano nell’alternativa tra rinunciare alla formazione culturale dei propri figli o corrispondere stipendi minimi ai maestri; quelle più ricche potevano comunque decidere di provvedere a un’istruzione domestica affidata a precettori privati. I gradi dell’istruzione erano tre: dai sette agli undici anni si frequentava il ludus litterarius, dove bambini e bambine apprendevano dal litterator a leggere, scrivere e far di conto (lo testimonierà ancora Agostino alla fine del IV secolo, in Confessiones I, 13). Il grado successivo, a cui accedeva una minoranza, e certamente in gran parte maschile, era curato dal grammaticus, che impartiva cognizioni linguistiche e letterarie. Al livello superiore accedevano solo pochi privilegiati, tra i diciassette e i vent’anni circa: si trattava di una sorta di college, in cui i giovani della classe dirigente, sotto la guida del rhetor, affinavano le tecniche oratorie e acquisivano un bagaglio culturale sulle cosiddette «arti liberali», tra le quali primeggiava il diritto, e che comprendevano discipline quali filosofia, matematica, geometria, musica, astronomia. Il contesto ordinato e rasserenante evocato dal rilievo di Neumagen [p. 244] non deve trarre in inganno: le “scuole” non erano edifici separati con strutture comode, ma tabernae in cui scolari spesso di età diverse sedevano su sgabelli senza banco, disposti intorno alla cattedra del maestro, e che usualmente solo una tenda separava dal traffico e dal rumore circostanti. Le punizioni corporali erano la norma, i metodi più tradizionali erano poco motivanti, provocando la scontentezza degli alunni, testimoniata da testimonianze letterarie ed epigrafiche. ▰ In Italia, oggi Sostanzialmente la scuola romana rifletteva le grandi disparità della società, cercando di garantire le nozioni minime per affrontare la vita quotidiana. Una delle grandi sfide dell’istruzione moderna è invece quella di superare le differenze socio-economiche, offrendo ai «capaci e meritevoli» un’istruzione accurata fino ai più alti livelli. Nella storia dell’Italia unita in effetti l’obbligo e la gratuità dell’istruzione si affermano fin dall’inizio: la legge Casati del 1859, nata nel Regno di Sardegna, rimase in vigore anche nel Regno d’Italia fino al 1877, quando fu sostituita dalla legge Coppino, che elevò l’istruzione obbligatoria dai due ai tre anni, fino ai nove anni d’età, prevedendo anche delle sanzioni per i trasgressori. L’emergenza era l’altissimo tasso di analfabetismo, in un contesto in cui spesso i bambini aiutavano le famiglie nel lavoro agricolo. Nella Costituzione sono dedicati all’istruzione gli articoli 33 e 34, di cui si commentano qui i passaggi fondamentali: – «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento» (art. 33, primo comma). Il principio di libertà, applicato all’insegnamento, implica sia la cosiddetta “autonomia didattica” nella programmazione del corpo docente, sia la libertà di istituire scuole private «senza oneri per lo Stato», anche se non è chiarissimo se si tratti di oneri relativi alla sola fondazione o anche al mantenimento di tali istituti. In ogni caso è sempre l’articolo 33 a stabilire che le scuole non statali debbono assicurare

«un trattamento scolastico equipollente» rispetto a quello delle scuole statali. – «La scuola è aperta a tutti» (art. 34, primo comma).

L’istruzione inferiore, «obbligatoria e gratuita», si presenta come un diritto-dovere per bambini e bambine che risiedano in Italia, a prescindere dalla loro condizione di italiani o stranieri, regolari o irregolari. Il testo del 1948 fissava l’obbligo a otto anni di istruzione, già stabilito dalla riforma

Gentile del 1923; a partire dal 2007 l’obbligo è stato innalzato a dieci anni, prevedendo comunque il conseguimento di un diploma di scuola superiore o di una qualifica professionale entro il diciottesimo anno di età (è il cosiddetto «obbligo formativo»). – «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» (art. 34, terzo comma). Pietro Calamandrei, nel suo noto Discorso sulla Costituzione del 1955, esordì mettendo in relazione quest’enunciato con l’articolo 3: «il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo», proprio perché con esso la Repubblica si impegna a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» che impediscono «il pieno sviluppo della persona umana»; nel caso specifico, quindi, a garantire che il diritto-dovere all’istruzione sia sostanziale e non puramente formale. Occorre ricordare che il nostro ordinamento, sulla base dell’articolo 30 della Costituzione (secondo comma: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli») prevede anche la possibilità di assolvere all’obbligo scolastico per mezzo dell’istruzione parentale, o home education. Le famiglie possono avvalersene dichiarando annualmente la propria capacità tecnica ed economica a impartirla; in tali casi l’alunno/a viene annualmente sottoposto/a, presso una scuola statale o paritaria, a un esame che ne accerti l’idoneità ad affrontare l’anno scolastico successivo.

La figura del maestro Centro ideale della scuola è la figura del maestro, un uomo colto e moralmente ineccepibile, dotato di autorevolezza e di prestigio, «austero ma non arcigno, cordiale ma non in misura esagerata, per evitare, nel primo caso, l’antipatia e, nel secondo, la mancanza di riguardo» (II, 2, 5). Emergono, nei passi dedicati alla figura del praeceptor, la passione pedagogica di Quintiliano, la sua profonda umanità, il suo innato senso dell’equilibrio e della misura [T3 ONLINE].

La scuola immaginata da Quintiliano non è fondata sul primato della tecnica ma dell’uomo. Il maestro a cui l’autore pensa è paragonato ora a un buon padre (II, 2, 4), ora a una tenera nutrice (II, 4, 5), ora a un agricoltore che segue con animo trepido le sue pianticelle (II, 4, 9-11). Il perfetto oratore Quintiliano eredita da Cicerone una concezione umanistica della retorica: l’oratore deve essere «completo» (perfectus), cioè istruito in tutte le discipline, e «onesto» (bonus), così che «da lui pretendiamo non solo un’eccellente capacità professionale, ma anche tutte le virtù dell’animo» (prohoemium I, 9).

Ciceroniana è anche l’identificazione fra ratio e oratio: la parola eloquente deve infatti essere posta al servizio del bene e del vero, due nozioni che non potremmo conoscere senza studi adeguati. Come era accaduto con Cicerone, anche nell’Institutio oratoria gli studi retorici non sono considerati da un punto di vista strettamente tecnico ma inseriti in una concezione più vasta della cultura che comprende il diritto, la storia, la filosofia, le lettere: in tal modo l’opera di Quintiliano supera i confini di un mero trattato sulla formazione del retore per diventare un’opera di natura pedagogica sulla formazione dell’uomo e del cittadino. Il modello ciceroniano nella nuova situazione politica Il rilancio del modello ciceroniano è destinato tuttavia a scontrarsi, nella pratica, con la nuova realtà sociale e istituzionale del principato. La figura dell’oratore si era imposta in un ambito di libertà politica e di forte conflittualità civile: la democrazia ateniese del

V-IV secolo; la Roma del II-I secolo a.C. La grande oratoria greca si era spenta inevitabilmente con la fine delle poleis; quella romana in età augustea. Si è visto

Scena di scuola, rilievo funerario da Neumagen, ca 200 d.C. Treviri, Landesmuseum.

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