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T 19 Il progresso delle scienze (Naturales quaestiones VII, 25, 1-4) LAT IT

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L’epoca della mia prima giovinezza: gli studi filosofici

Epistulae ad Lucilium 108, 1-7; 13-29 ONLINE

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Naturales quaestiones, VII, 25, 1-5 LATINO ITALIANO

Il progresso delle scienze

Come Immanuel Kant nelle celebri pagine conclusive della Critica della ragion pratica («il cielo stellato sopra di noi, la legge morale dentro di noi»), nel passo seguente Seneca connette lo spettacolo del cielo stellato con la coscienza dell’interiorità. L’osservazione del mondo fisico è parte dell’indagine filosofica, e finisce per avere una forte impronta etica, separandosi, secondo un modello culturale molto diffuso, dalle competenze tecniche. In queste righe del VII libro delle Naturales quaestiones, dopo aver a lungo confrontato le diverse teorie sulla natura delle comete, e aver concluso che si tratta di corpi astrali come i pianeti, Seneca sostiene una posizione piuttosto originale nel mondo antico: mentre per un poeta-filosofo controcorrente come Lucrezio la conoscenza era già stata formulata una volta per tutte nei testi di Epicuro, per Seneca l’indagine scientifica è un processo dinamico, aperto e progressivo. Il concetto verrà ribadito poco più avanti, verso la fine dell’opera: Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet, «Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla gente dell’evo futuro» (VII, 30, 5; trad. di D. Vottero). Interessanti anche spunti antiantropocentrici (Neque enim omnia deus homini fecit, «Poiché Dio non ha fatto tutto per l’uomo» (VII, 30, 3) e di un relativismo quasi copernicano (Fuerunt enim qui dicerent nos esse quos rerum natura nescientes ferat, nec caeli motu fieri ortus et occasus, nos ipsos oriri et occidere: «Vi furono infatti di quelli che sostennero che siamo noi ad essere trasportati a nostra insaputa dalla natura e che le albe e i tramonti non dipendono dal movimento del cielo, ma che siamo noi stessi a sorgere e a tramontare» (VII, 2, 3).

[25, 1] Si quis hoc loco me interrogaverit: «Quare ergo non, quemadmodum quinque stellarum, ita harum observatus est cursus?», huic ego respondebo: multa sunt quae esse concedimus, qualia sint ignoramus. [2] Habere nos animum, cuius imperio et impellimur et revocamur, omnes fatebuntur; quid tamen sit animus ille rector dominusque nostri1, non magis tibi quisquam expediet quam ubi sit: alius illum dicet spiritum esse, alius concentum quendam, alius vim divinam et

[25, 1] Se a questo punto qualcuno mi domandasse: «Perché dunque non è stato osservato anche il corso delle comete così come lo è stato quello dei cinque pianeti?», gli risponderei: molte cose vi sono delle quali noi ammettiamo l’esistenza senza conoscerne l’essenza. [2] Tutti riconosceranno che noi abbiamo un’anima, che è guida suprema nello spingerci e nel distoglierci dall’agire; nessuno tuttavia ti spiegherà quale sia la natura di quest’anima, che ci dirige e ci governa1, così come non ti chiarirà quale sia la sua sede: uno dirà che essa è soffio vitale, un altro che è una specie di armonia, un altro che è energia divina ed è una parte della divinità, un

1 rector dominusque nostri: concetto presente anche altrove in Seneca: Ep. ad Luc. 92, 33; 114, 23; De clementia I, 3, 5. Si ricordi Sallustio, Bellum Iugurthinum: 1, 3.

dei partem, alius tenuissimum animae, alius incorporalem potentiam; non deerit qui sanguinem dicat, qui calorem2: adeo animo non potest liquere de ceteris rebus ut adhuc ipse se quaerat. [3] Quid ergo miramur cometas, tam rarum mundi spectaculum, nondum teneri legibus certis nec initia illorum finesque notescere, quorum ex ingentibus intervallis recursus est? Nondum sunt anni mille quingenti3, ex quo Graecia «stellis numeros et nomina fecit»4, multaeque hodie sunt gentes quae facie tantum noverunt caelum, quae nondum sciunt cur luna deficiat, quare obumbretur: haec apud nos quoque nuper5 ratio ad certum perduxit. [4] Veniet tempus6 quo ista quae nunc latent in lucem dies extrahat et longioris aevi diligentia; ad inquisitionem tantorum aetas una non sufficit, ut tota caelo vacet: quid, quod tam paucos annos inter studia ac vitia non aequa portione dividimus? Itaque per successiones ista longas explicabuntur. [5] Veniet tempus quo posteri nostri tam aperta nos nescisse mirentur.

altro che è l’elemento più sottile del principio vitale, un altro una potenza incorporea; né mancherà chi dice che è sangue o che è calore2: a tal punto l’anima non è in grado di veder chiaro a proposito delle altre realtà che va ancora alla ricerca di se stessa. [3] Perché dunque ci meravigliamo se uno spettacolo cosmico tanto raro come quello delle comete non è ancora inquadrato nell’ambito di leggi regolari e se non sono ben note le circostanze in cui hanno inizio e fine questi fenomeni, che ricompaiono a distanza di intervalli smisurati? Non sono ancora trascorsi millecinquecento anni3 da quando la Grecia «contò e diede un nome alle stelle»4, ed esistono ancor oggi molti popoli che conoscono il cielo soltanto nel suo aspetto esteriore, che non sanno ancora perché la luna si eclissi, perché si oscuri: anche presso di noi solo di recente5 la ricerca scientifica è giunta a dare una risposta sicura a questi problemi. [4] Verrà il giorno6 in cui il tempo e gli sforzi che vi avrà dedicato un maggior numero di generazioni porteranno decisamente alla luce codeste nozioni che per ora restano celate; l’arco di una sola vita, pur ammettendo che si dedicasse completamente allo studio del cielo, non sarebbe sufficiente a portare a termine una ricerca di tali proporzioni: ma che pensare del fatto che noi dividiamo in parti disuguali fra lo studio e il vizio i così pochi anni che abbiamo a disposizione? E dunque questi fenomeni saranno spiegati attraverso lunghe successioni di studiosi. [5] Verrà il giorno in cui i nostri posteri si meraviglieranno che noi abbiamo ignorato realtà così evidenti.

(trad. di D. Vottero)

2 alius… calorem: rassegna, di spirito dossografico, delle principali definizioni della natura dell’anima elaborate dalle scuole filosofiche dell’antichità: i concetti di spiritus, vis divina, dei pars, calor rimandano al contesto stoico; l’anima come concentus è idea pitagorica; tenuissimum animae è di ambito epicureo; incorporalis potentia va forse messo in relazione con il concetto aristotelico di «entelechìa»; sanguis si trova in Empedocle. 3 anni mille quingenti: la datazione si riferisce all’impresa degli Argonauti, che per primi avrebbero osservato gli astri per orientarsi nella navigazione; curiosamente il diverso contesto suggerisce ben diverso concetto in Medea 309-317, dove il coro osserva che all’epoca della nave Argo nondum quisquam sidera norat, «ancora nessuno conosceva le costellazioni». 4 «stellis… fecit»: citazione dalla nota «teodicea del lavoro» di Virgilio (Georgiche I, 118-159; il verso citato è il 137), passo citato da Seneca anche altrove. 5 nuper: se il primo astronomo romano fu C. Sulpicio Gallo, vissuto al tempo del circolo degli Scipioni, può essere che qui Seneca si riferisca alla passione per gli studi astronomici diffusa in età giulio-claudia, da Ovidio a Germanico a Manilio. 6 Veniet tempus: si osservi il tono profetico con cui viene espressa la certezza del progresso scientifico.

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