PERCORSO ANTOLOGICO
T 17 T 18
Un’altra nascita ci attende
Epistulae ad Lucilium 102, 21-30
L’epoca della mia prima giovinezza: gli studi filosofici
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Epistulae ad Lucilium 108, 1-7; 13-29
T 19 Il progresso delle scienze Naturales quaestiones, VII, 25, 1-5 LATINO ITALIANO
Come Immanuel Kant nelle celebri pagine conclusive della Critica della ragion pratica («il cielo stellato sopra di noi, la legge morale dentro di noi»), nel passo seguente Seneca connette lo spettacolo del cielo stellato con la coscienza dell’interiorità. L’osservazione del mondo fisico è parte dell’indagine filosofica, e finisce per avere una forte impronta etica, separandosi, secondo un modello culturale molto diffuso, dalle competenze tecniche. In queste righe del VII libro delle Naturales quaestiones, dopo aver a lungo confrontato le diverse teorie sulla natura delle comete, e aver concluso che si tratta di corpi astrali come i pianeti, Seneca sostiene una posizione piuttosto originale nel mondo antico: mentre per un poeta-filosofo controcorrente come Lucrezio la conoscenza era già stata formulata una volta per tutte nei testi di Epicuro, per Seneca l’indagine scientifica è un processo dinamico, aperto e progressivo. Il concetto verrà ribadito poco più avanti, verso la fine dell’opera: Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet, «Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla gente dell’evo futuro» (VII, 30, 5; trad. di D. Vottero). Interessanti anche spunti antiantropocentrici (Neque enim omnia deus homini fecit, «Poiché Dio non ha fatto tutto per l’uomo» (VII, 30, 3) e di un relativismo quasi copernicano (Fuerunt enim qui dicerent nos esse quos rerum natura nescientes ferat, nec caeli motu fieri ortus et occasus, nos ipsos oriri et occidere: «Vi furono infatti di quelli che sostennero che siamo noi ad essere trasportati a nostra insaputa dalla natura e che le albe e i tramonti non dipendono dal movimento del cielo, ma che siamo noi stessi a sorgere e a tramontare» (VII, 2, 3). [25, 1]
Si quis hoc loco me interrogaverit: «Quare ergo non, quemadmodum quinque stellarum, ita harum observatus est cursus?», huic ego respondebo: multa sunt quae esse concedimus, qualia sint ignoramus. [2] Habere nos animum, cuius imperio et impellimur et revocamur, omnes fatebuntur; quid tamen sit animus ille rector dominusque nostri1, non magis tibi quisquam expediet quam ubi sit: alius illum dicet spiritum esse, alius concentum quendam, alius vim divinam et
[25, 1] Se a questo punto qualcuno mi domandasse: «Perché dunque non è stato osservato anche il corso delle comete così come lo è stato quello dei cinque pianeti?», gli risponderei: molte cose vi sono delle quali noi ammettiamo l’esistenza senza conoscerne l’essenza. [2] Tutti riconosceranno che noi abbiamo un’anima, che è guida suprema nello spingerci e nel distoglierci dall’agire; nessuno tuttavia ti spiegherà quale sia la natura di quest’anima, che ci dirige e ci governa1, così come non ti chiarirà quale sia la sua sede: uno dirà che essa è soffio vitale, un altro che è una specie di armonia, un altro che è energia divina ed è una parte della divinità, un 1 rector dominusque nostri: concetto presente anche altrove in Seneca: Ep. ad Luc. 92, 33; 114, 23; De clementia I, 3,
5. Si ricordi Sallustio, Bellum Iugurthi num: 1, 3.
179 © Casa Editrice G. Principato