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L’incontro con Catone e Casella
Lasciamo il peggio dietro nell’imbuto, speriamo che sia ormai tutto passato; vi canto adesso del secondo regno, dov’è che il cuor si purga e divien degno. Tutto è sereno e brillano le stelle, c’è il mare con le onde fresche e belle, io sono più tranquillo, anche il Maestro, lo trovo più sereno e meno mesto. Un uomo si presenta al mio cospetto, barba e capelli lunghi fino al petto, ci chiede con fare prepotente: “Cosa ci fate qui, dannata gente?” Virgilio mi fa presto inginocchiare, chi mai è costui che devo io onorare? “Il nostro viaggio” dice a lui “dal Ciel è voluto” e poi aggiunge che non sono deceduto. A questo punto lui par si è deciso, per esser libero, un dì, questi si è ucciso; in carne ed ossa, dai si fa per dire, egli è Catone e lì andò a finire. Ci invita, allora, a salire sopra il monte, ma di umiltà devo cingermi con fronde e poi lavarmi devo anche la faccia, perché d’Inferno non ci sia più traccia. Quel gran brav’uomo è sparito tosto e il giunco è rinato lì al suo posto; sopra quel verde fitto e rinfrescante, appare una scia di luce accecante. È un angelo e di una nave ha il comando, con un carico di anime sta navigando, Virgilio s’inginocchia e a lui mi tira, perché in ginocchio un angelo si ammira. Nel Purgatorio entran dalla riva e si spaventan nel vedere anima viva, uno di loro, però ha più coraggio, mi viene incontro e offre a me un abbraccio.
In lui riconosco l’amico Casella che mi delizia con la sua musica bella, ma ad un tratto Catone, un po’ scorretto, urla che non è l’ora di far concerto.