Costituzione e cittadinanza, dizionario ragionato per lemmi e questioni

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p. baserga

Costituzione e Cittadinanza dizionario ragionato per lemmi e questioni

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Indice

Costituzione e Cittadinanza

I lemmi

Consulenza alla progettazione: Fabio Cioffi

Cittadinanza Condizione della donna Costituzione Democrazia Diritti umani Federalismo Lavoro Legge Organizzazione delle Nazioni Unite Parlamento Partiti politici Razzismo Società multietnica Stato Terrorismo Totalitarismo Unione europea Welfare (Stato sociale)

Dizionario ragionato per lemmi e questioni

Testi Paolo Baserga

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Le questioni A che cosa serve il volontariato? Abolire la pena di morte? Che cos’è la libertà? Come contrastare il bullismo? Come costruire la pace? È ancora attuale la Costituzione italiana? È possibile sconfiggere la povertà? La mafia, le mafie: come combatterle? Perché si ricordano la Shoah e le foibe?

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La Costituzione italiana La legge fondamentale dello Stato I principi fondamentali La parte I: diritti e doveri dei cittadini La parte II: ordinamento della Repubblica Il Parlamento, il presidente della Repubblica, il Governo, la Magistratura Le Regioni e gli enti locali

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Indice delle voci di glossario

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Risorse on line Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America Dichiarazione universale dei diritti umani Dichiarazione del Millennio Statuto albertino Statuto dei lavoratori

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Coordinamento editoriale: Beatrice Loreti Editing e redazione: Libra Progetto grafico e impaginazione: Studio Ampa Art director: Marco Mercatali Responsabile di produzione: Francesco Capitano Foto: Shutterstock, Marka Copertina: Adami Design © 2010 Eli -La Spiga Via Soperga, 2 Milano Tel. 022157240 info@laspigaedizioni.it www.laspigaedizioni.it Eli Via Brecce – Loreto Tel. 071750701 Info@elionline.com www.elionline.com ISBN 978-88-468-2811-8 Le fotocopie non autorizzate sono illegali. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione totale o parziale così come la sua trasmissione sotto qualsiasi forma o con qualunque mezzo senza previa autorizzazione scritta da parte dell’editore. Stampato in Italia presso Tecnostampa – Recanati 10.83.086.0 La casa editrice La Spiga e l’ambiente La casa editrice La Spiga usa carta certificata FSC per tutte le sue pubblicazioni. È un’importante scelta etica, poiché vogliamo investire nel futuro di chi sceglie ed utilizza i nostri libri sia con la qualità dei nostri prodotti sia con l’attenzione all’ambiente che ci circonda. Un piccolo gesto che per noi ha un forte significato simbolico. Il marchio FSC certifica che la carta usata per la realizzazione dei volumi ha una provenienza controllata e che le foreste sono state sottratte alla distruzione e gestite in modo corretto.

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Cittadinanza Il concetto di ““cittadinanza “cittadinanza”, ”, oggi, non ha più solo una valenza giuridica o anagrafica, come aveva fino a poco tempo fa. I cambiamenti che caratterizzano la nostra epoca ci obbligano a rimettere in discussione le nostre idee e a porci nuove domande: essere “cittadini” significa

semplicemente essere cittadini di uno Stato? La cittadinanza è qualcosa che ha a che fare solo con il luogo in cui si nasce, oppure con la comunità civile in cui si vive? Gli stranieri sono cittadini? Esistono “diritti di cittadinanza” universali? Le risposte sono tutt’altro che scontate.

Stati assoluti del Seicento e Settecento: gli individui sono sudditi e appartengono al sovrano, cioè allo Stato VISIONE TRADIZIONALE

cittadinanza come appartenenza a uno Stato

è la visione ancora oggi più diffusa ) resistenze ad allargare l’ambito della cittadinanza

negli Stati liberali dell’Ottocento, il “cittadino” appartiene (per nascita) a una nazione, a uno Stato-nazione

concetto elaborato già dagli antichi Greci e Romani

NUOVA VISIONE

cittadinanza come appartenenza a una comunità politica

cittadino non come “oggetto” interno a uno Stato, ma come “soggetto” portatore di diritti

ideale ripreso dagli illuministi del Settecento contro l’assolutismo ) rivoluzioni americana e francese

cittadinanza europea: prime aperture nel Trattato di Maastricht del 1992

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Cittadinanza

La cittadinanza come appartenenza a uno Stato Nella visione tradizionale, la cittadinanza è la condizione (uno status giuridico, nel linguaggio della legge) di chi appartiene alla popolazione di un certo Stato ({ Stato). Da tale condizione discendono diritti e doveri per il “cittadino” riconosciuti dall’autorità. È lo Stato, inoltre, a definire i modi di acquisizione della cittadinanza, cioè le condizioni in base a cui un individuo può divenire cittadino di quello Stato. Secondo questa idea di cittadinanza, l’elemento centrale è l’autorità dello Stato: è esso a decidere chi sono i propri cittadini e a dettare per loro le norme in base alle quali possedere o acquisire la cittadinanza. Perciò tale concezione è detta “verticale”. Essa, però, è insoddisfacente, perché parla solo della cittadinanza come “appartenenza” (a uno Stato) e nulla dice sul contenuto effettivo della cittadinanza.

La concezione “orizzontale” della cittadinanza

le leggi ({ Legge) –, ma sostanziali, che dipendono cioè dalla realtà. Su questo tipo di cittadinanza orizzontale si basava l’antica concezione greca e romana, illustrata da Aristotele e Cicerone, per la quale il cittadino è colui che partecipa attivamente alla vita politica della comunità in cui vive, che i Romani chiamavano civitas, “ città ” ({ p. 8). Era una visione adeguata alle ristrette dimensioni degli Stati di allora, che coincidevano con la pólis, la città-Stato, come veniva considerata inizialmente anche l’antica Roma. Una concezione in parte simile a quella greco-romana fu proposta nel Settecento dai filosofi dell’ Illuminismo ({ p. 147). Essi intendevano spezzare i vincoli (giuridici e formali) che legavano gli individui all’autorità degli Stati assoluti ({ Assolutismo, p. 30) di allora, perché quell’autorità era sentita troppo soffocante. In un regno assolutistico, gli individui sono sudditi e “appartengono” al sovrano, cioè allo Stato.

Una concezione molto diversa è quella che definisce il “cittadino” come colui o colei che è legato ad altri individui da comuni vincoli di identità: identità politica, sociale, etnica, linguistica, religiosa ecc. Questa è una visione “orizzontale”, in quanto non dipende dall’esistenza di uno Stato che detti le proprie condizioni di cittadinanza. Il cittadino è colui che viene unito ad altri cittadini da una serie di requisiti non formali o giuridici – cioè stabiliti dal-

Un busto raffigurante Cicerone, uno degli uomini più importanti dell’antichità.

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diventare “cittadini”; anche se di fatto questa cittadinanza era limitata a chi possedeva la virtù rivoluzionaria e faceva quindi parte della nuova comunità politica. Perciò la famosa Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 ({:) si chiamò così: dell’«uomo» in generale e del «cittadino» in particolare; e quei «diritti» erano i diritti politici che scaturivano dalla nuova idea “orizzontale” di cittadinanza.

La cittadinanza per gli Stati-nazione Dopo la Rivoluzione francese si affermarono in Europa, nel corso del secolo XIX, gli Stati liberali ({ Liberalismo , p. 30). Essi elaborarono un ideale in parte diverso: dalla comunità politica dei “cittadini” – in teoria, larga quanto il mondo – si passò all’idea di nazione ({ p. 8), ristretta a coloro che erano nati in uno stesso territorio e che condividevano una medesima identità etnica, linguistica, culturale e religiosa. La cittadinanza caratterizzava chi apparteneva (per nascita) alla comunità, ma non più alla comunità politica in generale, bensì alla comunità nazionale. Negli Stati liberali, il vero soggetto politico, cioè l’elemento più importante, era la nazione; chi ne faceva parte contava solo in virtù di tale appartenenza: dirsi cittadino italiano o francese o inglese, nella visione degli Stati liberali, significava solo far parte di quella particolare comunità nazionale. Gli Stati liberali, dunque, mantenevano una visione verticale della cittadinanza, in cui erano le leggi a dettare le condizioni per essere dentro quella comunità o fuori di essa. Spesso, però, anche coloro che erano dentro non lo erano pienamente: le leggi affermavano sì che tutti i cittadini erano uguali di fronte a esse, ma poi il suffragio ({ p. 15), cioè la possibilità di votare alle elezioni ({ p. 30), veniva concesso esclusivamente a una minoranza di individui. Solo questi erano considerati (per censo, istruzione ecc.) veri “cittadini”; gli altri erano cittadini di quella nazione soltanto in teoria, visto che

Contro questa visione nacquero i progetti della Rivoluzione americana (1776) e di quella francese (1789). Soprattutto la seconda volle creare una nuova identità collettiva, che unisse tutti gli individui in una comunità civile (e quindi in una cittadinanza) di tipo nuovo: per essere “cittadini” (i rivoluzionari francesi si chiamavano l’un l’altro “cittadino tal dei tali”, come noi oggi diciamo “signor tal dei tali”) bisognava aderire al nuovo ideale politico (all’epoca si chiamava “virtù”), sostenuto dai tre valori fondanti di libertà, ugua‑ glianza, fraternità. Dunque, la nuova cittadinanza scaturita, almeno inizialmente, dalla Rivoluzione francese non guardava più alle norme giuridiche (non era cioè una cittadinanza verticale), ma ai contenuti dell’essere cittadino: era una cit‑ tadinanza di tipo orizzontale, che legava ogni individuo l’uno all’altro e non più allo Stato, cioè al sovrano. Teoricamente tutti gli uomini potevano acquisire la “virtù” necessaria a 5

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Cittadinanza

nella pratica venivano esclusi dalle decisioni politiche. Gli Stati-nazione ottocenteschi avevano, insomma, una visione “artificiale” della cittadinanza.

La cittadinanza nella mentalità corrente Eppure la visione ottocentesca di cittadinanza è giunta fino a noi. Secondo la mentalità oggi corrente, il cittadino è colui che è soggetto all’autorità di uno Stato, in quanto appartiene alla comunità politica di cui quello Stato è la manifestazione. «In tutti i paesi del mondo si continua a diventare cittadini dentro e attraverso una storia e una cultura di tipo nazionale» (G.E. Rusconi). Anche le Costitu‑ zioni del Novecento ({ Costituzione), come quella italiana, non hanno portato modifiche a questa idea tradizionale che identifica il cittadino come chi appartiene a un certo Stato secondo le norme stabilite dalla legge ({ Cittadinanza italiana , p. 8). Che questa sia la visione oggigiorno dominante è dimostrato anche dalle resistenze poste all’allargamento della cittadinanza agli stranieri: è difficile allargare i confini della cittadinanza, se si identificano i confini nazionali come limiti “naturali” di una comunità. Diventerebbe più facile se il limite di una comunità

(ovvero ciò che la distingue) fosse considerato il fatto di vivere al suo interno e di partecipare alla sua vita politica, economica e sociale. Ma questo è un passaggio “culturale” necessario, ma ancora molto difficile da compiere.

La cittadinanza europea Una novità è venuta dall’Unione europea ({ Unione europea). Il Trattato di Maastricht ({ Trattato sull’Unione europea , p. 128) del 1992 considera cittadino dell’Unione «chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro» (art. 17). Dunque, in apparenza, non c’è alcuna innovazione rispetto alla visione tradizionale: la cittadinanza europea ({ p. 8) si costituisce come somma delle cittadinanze nazionali e a partire da esse. In realtà, però, il trattato apre qualche breccia: per esempio, consente ai cittadini europei residenti in uno Stato diverso dal proprio, di votare alle elezioni comunali e alle elezioni europee nello Stato in cui risiedono. 6

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una sorta di “contratto di cittadinanza”. Esso, però, avrà valore reale solo quando includerà tutti coloro che risiedono legalmente sul territorio dell’Unione, siano cittadini europei o extraeuropei.

I nuovi “diritti di cittadinanza” La visione tradizionale della cittadinanza come “appartenenza allo Stato” oggi ci appare insufficiente, soprattutto perché sta prendendo piede l’altra concezione, quella secondo cui la cittadinanza è partecipazione a una comunità politica. Nel campo dei diritti umani ({ Diritti umani), nel mondo di internet e delle organizzazioni internazionali si afferma sempre più il principio per il quale l’individuo è anzitutto un soggetto portatore di valori sociali, in grado d’interagire da protagonista con lo Stato e la società, non semplicemente un oggetto interno a un ordine statale, a esso subordinato. Nascono da qui i nuovi “diritti di cittadi‑ nanza”: non semplicemente i diritti (un po’ astratti) garantiti dalle varie Costituzioni e Carte internazionali (libertà di pensiero, di parola ecc.), ma quei diritti e prestazioni sociali che tutelano il cittadino in modo sostanziale. Appartenere oppure no a un certo Stato, in quest’ottica, perde valore; contano di più le possibilità concrete (da tutelare e da promuovere) che permettono agli individui di esprimersi, di lavorare, di associarsi, di far sentire la propria opinione, di istruirsi, di essere curati quando si ammalano ecc. Questi sono i nuovi “diritti sostanziali” che scaturiscono da una visione aggiornata di cittadinanza, che rende concreta l’idea univer‑ sale di dignità dell’uomo. Nella società globalizzata in cui viviamo, appaiono in crisi le appartenenze tradizionali (allo Stato, alla nazione): la dimensione puramente territoriale della cittadinanza deve potersi fondere con una dimensione più ampia, adeguata a un mondo sempre più multiculturale ({ Società multietnica).

In primo piano, la bandiera europea.

È una prima, timida, affermazione dell’idea orizzontale di cittadinanza, intesa come appartenenza a una comunità politica. Proseguendo lungo questa linea, il cittadino europeo è colui che sceglie di appartenere a una certa comunità politica: si instaura, così, 7

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Cittadinanza

DIZIONARIO Città/cittadino/cittadinanza I termini “cittadino” e “cittadinanza” hanno, in italiano, due diverse sfumature di significato, proprio come ce le ha la parola “città” da cui derivano. In frasi come “La metropolitana attraversa tutta la città” e “Allo stadio era radunata l’intera città”, il termine “città” esprime due concetti differenti: nel primo caso indica un luogo fisico, fatto di abitazioni ed edifici; nel secondo si riferisce a coloro che vi abitano. Tale ambiguità mancava nella lingua latina, che usava due termini diversi: urbs per intendere la città come luogo fisico e civitas per indicare la città come comunità di individui. Il vocabolo urbs sopravvive nella lingua in termini di uso tecnico (urbano, inurbamento, urbanistica ecc.). Da civitas derivano invece le parole “città”, “cittadino” e “cittadinanza”. Esse presentano due livelli di significati: a. la città come luogo fisico, cittadini come coloro che vi abitano e cittadinanza come insieme dei cittadini; b. la città come comunità di persone, per cui “cittadinanza” indica l’appartenenza a tale comunità, mentre “cittadini” sono coloro che ne fanno parte.

Cittadinanza europea Il Trattato di Maastricht nel 1992 ha istituito la cittadinanza europea, sotto la forma di una “cittadinanza duale” o duplice: è considerato cittadino dell’Unione «chiunque abbia la cittadinanza di uno stato membro» (art. 17 del Trattato). In questo modo la condizione di cittadino nazionale viene collegata inscindibilmente a quella di cittadino europeo. Apparentemente non vi è una vera innovazione: il punto di partenza rimane quello delle singole cittadinanze nazionali. Ma alcuni elementi della nuova cittadinanza europea superano la visione tradizionale della cittadinanza. In particolare il Trattato consente ai cittadini europei, resi-

denti in uno Stato diverso da quello di cui abbiano la cittadinanza nazionale, di votare alle elezioni comunali locali e alle elezioni europee nello Stato in cui risiedono.

Cittadinanza italiana Per la legge n. 91 del 1992 (che sostituisce la legge n. 555 del 1912) la cittadinanza italiana si acquisisce automaticamente: a. per filiazione (ius sanguinis o “diritto di sangue”, in virtù del quale il figlio nato da padre italiano o madre italiana è cittadino italiano, ovunque sia nato); b. per nascita sul territorio italiano (ius soli o “diritto di suolo”, se i genitori sono ignoti o apolidi, cioè privi di cittadinanza, oppure se i genitori stranieri non trasmettono la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di appartenenza o se il minore è stato rinvenuto in una condizione di abbandono sul territorio italiano); c. per adozione durante la minore età della persona. Secondo la medesima legge, la cittadinanza italiana si può acquisire su domanda: a. per beneficio di legge, se si è nati nel territorio italiano da genitori stranieri e qui si risiede legalmente e ininterrottamente fino alla maggiore età, oppure se si è maggiorenni, nati in un altro Stato e riconosciuti da genitori italiani; b. per matrimonio con cittadino/a italiano/a, in presenza di tutti i seguenti requisiti: residenza legale in Italia per un periodo di almeno 2 anni dopo il matrimonio; iscrizione/ trascrizione del matrimonio in Italia sui registri di stato civile; assenza di condanne penali nei casi indicati dalla legge; assenza di impedimenti connessi alla sicurezza nazionale.

Nazione La parola designa un gruppo umano unito da comuni origini, che abita un comune territorio e ha un’iden-

tità culturale comune in cui si riconosce. L’idea di nazione nacque già nel Settecento, ma gli illuministi non la enfatizzarono, diversamente dai romantici ottocenteschi. Mentre gli illuministi avevano infatti valorizzato ciò che unisce gli uomini (per loro l’uomo è un “cittadino del mondo”, secondo l’ideale del cosmopolitismo), i romantici sottolinearono le diversità che sussistono tra gli individui, tra i gruppi umani e quindi tra le singole nazioni. Per loro la nazione è un’unità di etnia, lingua, usanze e religione; è una sorta di organismo vivente, che comprende la totalità di un popolo animato dal proprio peculiare “spirito” e che abita in una zona delimitata da precisi confini. Teorico di questa idea di nazione fu il filosofo tedesco J.G. Fichte (1762-1814) nei suoi Discorsi alla nazione tedesca (1807-08). Di conseguenza, nell’Ottocento nacque il nazionalismo, una visione che sosteneva il diritto delle nazioni di organizzarsi liberamente in Stati nazionali. Ogni popolo doveva avere il proprio Stato. Scaturirono da questa idea le varie lotte di liberazione, i “risorgimenti” nazionali: quello italiano portò la penisola a unirsi politicamente e a conquistare la libertà dai dominatori austriaci. Successivamente, il nazionalismo si unì all’idea di aggressione ed espansione a danno di altre nazioni. L’idea di nazione fu allora sottoposta a critica: lo storico francese Ernest Renan (Che cos’è una nazione?, 1882) sottolineò che il concetto romantico di nazione era in gran parte un’astrazione, visto che in realtà in ogni nazione sussistono elementi, spesso forti, di diversità locale ed etnica. In sostanza, furono gli Stati europei dell’Ottocento, per giustificare se stessi, a “creare” in qualche modo la nazione, secondo il motto attribuito a Massimo D’Azeglio all’indomani dell’unità italiana (1861): «L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli Italiani».

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1. Quale visione di cittadinanza avevano gli antichi Greci e Romani? 2. Quale idea di cittadinanza, invece, caratterizzava gli Stati assolutistici del Sei-Settecento? 3. Esponi il nuovo concetto di cittadinanza elaborato dall’Illuminismo e sostenuto poi dalla Rivoluzione francese. 4. Quale idea di cittadinanza si affermò negli Stati liberali ottocenteschi? 5. Quale novità è stata introdotta dal Trattato di Maastricht del 1992? 6. Illustra in breve la nuova visione di cittadinanza che si sta affermando di recente.

che viene conferito a coloro che sono membri a pieno diritto di una comunità. Tutti quelli che posseggono questo status sono uguali rispetto ai diritti e ai doveri conferiti da tale status [...]. La spinta in avanti lungo il sentiero così tracciato è una spinta verso un maggior grado di uguaglianza, un arricchimento del materiale di cui è fatto lo status e un aumento del numero di persone cui è conferito questo status». Ora rispondi in breve sul tuo quaderno alle domande seguenti. - Che cosa può significare che la cittadinanza è uno status? Cerca sul vocabolario il significato di questa espressione. - L’autore parla a un certo punto di «arricchimento del materiale di cui è fatto lo status». Che cosa può significare? Da quali “materiali” è costituita la cittadinanza? - Marshall parla poi dell’«aumento del numero di persone cui è conferito questo status». In Sudafrica, per esempio, gli abitanti di colore fino a pochi anni fa non avevano lo stesso status di cittadini degli abitanti bianchi; poi, nel 1993, ottennero la piena equiparazione dei diritti. Svolgi una breve ricerca in proposito.

Produzione

Melting Pot Europa, per la promozione dei diritti di cittadinanza si occupa di tutte le questioni relative ai dispositivi normativi in materia di immigrazione in Italia e in Europa (dalla regolamentazione dei flussi, ai diritti politici, al lavoro). Vai all’home page: www.meltingpot.org. Cittadinanza attiva è dal 1978 un movimento che promuove la partecipazione dei cittadini e tutela i diritti dei cittadini e dei consumatori: collegati al sito www.cittadinanzattiva.it. Nella pagina iniziale di Portale Europeo per i giovani (http://europa.eu/youth/active_citizenship/ index_eu_it.html) puoi trovare una serie di collegamenti utili per reperire documenti, progetti e indirizzi di organizzazioni, da usare come strumenti per partecipare attivamente alla vita sociale. Un’informazione esauriente sulle norme di cittadinanza attualmente in vigore in Italia: http://www. ital-uil.it/areadiritti/cittadinanza/norme_cittadinanza_italiana.htm. Un’opportunità molto interessante per una cittadinanza attiva e responsabile è il Servizio civile volontario. Prendi informazioni alla pagina web: http://sociologia.tesionline.it/sociologia/articolo. jsp?id=2463, con la normativa aggiornata all’8 luglio 2008.

SITOGRAFIA

Sui problemi generali della cittadinanza: J. Habermas, Cittadinanza politica e identità nazionale. Riflessioni sul futuro dell’Europa [199], in Id., Morale diritto politica, Einaudi, Torino 1992; E. Grosso, Le vie della cittadinanza, Cedam, Padova 1997; Id., La titolarità dei diritti politici, Giappichelli, Torino 2001. Sulle dinamiche psicologiche della partecipazione in vari momenti di vita pubblica: T. Mannarini, La cittadinanza attiva. Psicologia sociale della partecipazione pubblica, Il Mulino, Bologna 2009. Sulle questioni aperte della cittadinanza oggi: P. Morozzo della Rocca, Immigrazione e cittadinanza, Utet giuridica, Torino 2008; A. Bosi (a cura di), Città e civiltà. Nuove frontiere di cittadinanza, Franco Angeli, Milano 2009 (raccolta di saggi di vari autori sul tema della cittadinanza nella nostra società multiculturale); AA. VV. (a cura di G. Salerno e F. Rimoli), Cittadinanza, identità e diritti. Il problema dell’altro nella società cosmopolita, Edizioni Università di Macerata, Macerata 2009.

BIBLIOGRAFIA

7. Illustra in un tuo scritto: - la visione tradizionale della cittadinanza come appartenenza a uno Stato; - il motivo per cui a molti questa visione appare insoddisfacente; - il tuo parere in proposito. 8. Rifletti sulla definizione di cittadinanza data dal sociologo Thomas H. Marshall (in Cittadinanza e classe sociale): «La cittadinanza è uno status

ATTIVITÀ

Conoscenze

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Condizione della donna Una delle più lunghe “battaglie” culturali e sociali dell’umanità è quella che riguarda l’emancipazione della donna dal suo millenario ruolo di subordinazione rispetto all’uomo. Oggi siamo persuasi che la conquista della parità effettiva tra

uomini e donne sia uno dei maggiori segni di civiltà che dovrebbero contraddistinguere un paese o una società. Ma anche se negli ultimi decenni sono stati fatti progressi importanti, siamo ancora ben lontani dall’aver raggiunto l’obiettivo finale.

donna soggetta all’uomo

• in casa • nel lavoro • nella vita politica e civile

OTTOCENTO

svolta in seguito alla rivoluzione industriale

• nasce la questione femminile • nasce il movimento femminista • rivendicazione del suffragio, cioè del diritto di voto

NOVECENTO

le donne diventano protagoniste della vita sociale

DOPO IL 1945

femminismo radicale contro il sistema sociale tradizionale

CONDIZIONE TRADIZIONALE

OGGI

• “pensiero della differenza” • ricerca di “azioni positive” per rendere effettivi i diritti delle donne

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Stereotipi millenari Per lungo tempo la donna è stata assurdamente considerata un essere inferiore, per sua natura meno forte e meno intelligente dell’uomo, incapace di scelte autonome e quindi bisognosa del costante appoggio maschile. Nella Bibbia si legge che Eva, la prima donna, si lasciò sedurre dal serpente, mangiando il frutto proibito e convincendo Adamo a fare altrettanto. Da questa disobbedienza al volere divino scaturì il peccato originale: ecco perché la donna, discendente di Eva, venne ritenuta un demonio tentatore, e perciò condannata all’espiazione, all’inferiorità e all’emarginazione. Questo antico pregiudizio culturale fu molto forte nel Medioevo, epoca in cui la donna veniva considerata il “principio di tutti i vizi”. In quella stessa epoca, però, essa venne dipinta anche come un angelo dalla poesia d’amore cortese e cavalleresca; lo stesso fece la letteratura romantica, che idealizzò la figura femminile, presentandola come la musa ispiratrice dell’uomo. L’ambivalenza tra angelo e diavolo ha contrassegnato la condizione della donna anche sul piano sociale, alimentando pregiudizi condivisi, veri e propri stereotipi culturali molto penalizzanti per l’immagine femminile. Per secoli, le donne sono state relegate al ruolo di “oggetti” passivi di una rappresentazione e di un’interpretazione fornita dagli uomini; un’interpretazione che esse stesse hanno fedelmente custodito e tramandato, benché ciò andasse a loro svantaggio. Hanno educato le loro figlie a essere obbedienti e sottomesse, a subire la volontà del maschio, a vivere nelle ristrette dimensioni del focolare domestico ({ p. 15), escludendole dalla sfera sociale.

Manodopera femminile impiegata nella produzione di macchinari.

no nella Francia rivoluzionaria e nell’Inghilter‑ ra della rivoluzione industriale, all’epoca i due paesi più vivaci intellettualmente, i più sensibili a una critica delle posizioni tradizionali. Fu posta allora, per la prima volta in modo esplicito, la questione dell’uguaglianza giuri‑ dica della donna e dei suoi diritti civili e politi‑ ci. Fu però un breve fuoco di paglia. All’inizio dell’Ottocento, infatti, l’età napoleonica e la Restaurazione (cioè il ritorno all’“Antico Regime” che la Rivoluzione francese si era illusa di spazzare via per sempre) soffocarono questi germi. Il Codice di leggi di Napoleone (1804), per esempio, diede corpo all’idea che la donna fosse una proprietà dell’uomo e che il suo compito primario fosse quello di restare relegata in casa. Il fuoco, tuttavia, soffiava sotto la cenere: la questione dell’emancipazione femminile era destinata a riproporsi ben presto. La miccia di questa svolta fu accesa dalla diffusione in Europa della rivoluzione industriale, che mutò per sempre il ruolo economico e sociale delle donne. Il loro inserimento nel lavoro di fabbrica, infatti, produsse cambiamenti decisivi. Si fece improvvisamente chiara la realtà, e cioè che esse erano sfruttate in tutte le sfere della vita sociale: • nell’industria il lavoro femminile risultava peggio retribuito e più precario di quello maschile; • la famiglia rimaneva vincolata a valori culturali tradizionali e alle regole giuridiche che sancivano il primato del maschio, secondo il modello della famiglia patriarcale;

I cambiamenti della prima società industriale Questa era la situazione quando sorsero, sul finire del Settecento, i primi movimenti di emancipazione femminile. Essi si manifestaro11

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