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Apotheca & Storia
LA LEBBRA
Storia di una delle più antiche malattie
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Giusi Sanci*
La lebbra, conosciuta come morbo di Hansen, è una delle malattie più antiche note nella storia umana. È stata endemica in Europa :ino :ino al XVI secolo, e continua ad essere diffusa ancora oggi in molte parti del mondo. Capire in che modo abbia potuto radicarsi e diffondersi può aiutarci ad identi:icare i meccanismi che permettono ancora oggi di contagiare migliaia di persone ogni anno in tutto il mondo. Analizzando circa novanta scheletri umani risalenti ad un periodo compreso tra il IV e il XIV secolo, e provenienti da diversi Paesi europei, i ricercatori sono riusciti ad evidenziare dieci nuovi genomi batterici medioevali, ovvero una varietà di ceppi di Mycobacterium leprae, che corrisponde a quasi tutti quelli attualmente conosciuti, oggi diffusi in Asia, in America Latina e nel continente Africano. A certi:icare l'ampia diffusione della malattia in tutta l'Europa medioevale, lo studio ha rivelato inoltre la presenza di genomi batterici diversi anche in scheletri provenienti dallo stesso contesto cimiteriale. Questi nuovi dati infatti suggeriscono che già nell'antichità la lebbra doveva essere diffusa in tutta l'Asia e l’Europa, e che potrebbe avere avuto origine nell'Eurasia occidentale. Dal lavoro di analisi degli scheletri è stato anche possibile identi:icare il più antico genoma di Mycobacterium leprae :inora sequenziato e risalente al V secolo. Conosciuta :in dai tempi antichi e descritta nella Sacra Bibbia, si manifestò con carattere epidemico a focolai nell'Alto Medioevo. La malattia continuò a manifestarsi nei secoli successivi, ed è stata legata sempre alla povertà e a condizioni igienico-sanitarie precarie. Colpisce la pelle e i nervi periferici e se non viene trattata può rivelarsi molto pericolosa e causare disabilità permanenti. La lebbra è una malattia infettiva cronica causata da
un batterio, il Mycobacterium leprae, simile al bacillo che causa la tubercolosi . Ad identi:icarlo nel 1874, fu un medico norvegese, Gerhard Henrik Hansen Armanuer (1841-1912) e in suo onore, viene a n c h e chiamato bacillo di Hansen. Se non adeguatamente trattata può causare disabilità permanenti, in quanto il batterio colpisce i nervi periferici degli arti superiori, inferiori e dell’apparato oculare (neuriti, anestesia, paralisi). Si manifesta in individui sensibili, ossia nelle persone che, per la loro speci:icità genetica e immunologica, non sono in grado di controllare ed eliminare l’infezione dopo il contatto con il batterio. La trasmissione avviene principalmente attraverso le vie aeree superiori, da persona a persona, attraverso la convivialità con pazienti infettivi non trattati. Il periodo di incubazione va dai due ai sette anni. Sembra che la malattia esistesse in Oriente dai tempi antichi. Nel secondo millennio prima di Cristo, tracce di lebbra possono essere trovate nei corpi esumati in Cina e nelle mummie dell’antico Egitto. Nel Levitico del Vecchio Testamento esiste una dettagliata descrizione dei sintomi. La malattia è anche segnalata in età romana imperiale come dimostrato da Aulo Cornelio Celso nel suo trattato De Medicina. La lebbra, per i suoi caratteri di malattia ributtante, appariva come malattia carica di mistero con origine soprannaturale. La malattia ricopriva il corpo di piaghe, attutiva la sensibilità, alterava la :isionomia del volto e mutilava gli arti. A partire dal VI secolo dopo Cristo, la malattia aveva fatto certamente la sua comparsa nell’Europa occidentale. A partire dal X secolo vari autori tentarono una classi:icazione ed una interpretazione della malattia, e nel XII secolo, Figura 1. Lebbroso con campanella. alla vigilia delle crociate, l'Occidente fu devastato da Manoscritto sec. XIV questa epidemia, che venne considerata una
*Farmacista
punizione divina. Il contatto con la cute dei malati veniva evitato in quanto il contagio era considerato molto probabile. Inizialmente la separazione dal mondo dei sani avvenne per adunate spontanee, per raduni di lebbrosi che si aggregavano per spontanea solidarietà. Successivamente essi vennero espulsi dalla comunità, banditi dalla società e con:inati con la forza. Ai lebbrosi veniva data una tunica ed una campanella che doveva avvertire della loro presenza quando per motivi eccezionali venivano fatti uscire dai lebbrosari. Nel 580 la prima casa di segregazione per lebbrosi fu aperta a Châlous. Il Re Longobardo Rothari ordinò che i lebbrosi venissero espulsi dalla comunità. Pipino il Breve, Re dei Franchi, decretò che la lebbra fosse considerata motivo di divorzio. L’aspetto delle vittime era spaventevole. In assenza di rimedi per la malattia non vi erano alternative rispetto alla segregazione di questi disgraziati in case per incurabili, chiamati poi Lazzaretti, forse in ossequio al culto che voleva come protettore dei lebbrosi il Lazzaro risuscitato dal Sepolcro (Giovanni, 11,1-44) o il Lazzaro coperto di piaghe leccate dai cani (Luca, 16,19-21). Nel tredicesimo secolo sembra vi fossero 19.000 luoghi di segregazione per lebbrosi in Europa, la maggior parte dei quali ubicati fuori le mura della città. Il re franco Luigi VIII (1187-1226) istituì 2000 luoghi di segregazione gestiti da medici, pie donne e religiosi. La decisione di con:inare i lebbrosi in luoghi segregati o in isole tentava di conciliare le istanze di carità cristiana di non abbandonare i fratelli colpiti dalla malattia, con le esigenze di sanità pubblica e di ordine pubblico della collettività, privilegiando queste ultime. L’assistenza ai lebbrosi veniva concepita come opera di carità e dovere cristiano da parte di religiosi e laici. Tra questi Santa Elisabetta, canonizzata nel 1235, quattro anni dopo la sua morte. Figlia del re Andrea II di Ungheria, si dedicò :in dalla prima giovinezza a opere di carità a favore dei poveri e dei malati di lebbra. Per questo fu venerata come Santa protettrice dei lebbrosi. L’assistenza ai lebbrosi da parte degli uomini di fede e del clero religioso si ispirava all’insegnamento di Cristo ed alla sua dedizione per l’umanità sofferente e malata. Nel corso dei secoli vi furono religiosi che dedicarono la propria vita all’assistenza e alla cura dei lebbrosi. Tra i più noti Raoul Follereau ed il beato Giovanni Beyzym. Va precisato che, a chi sul piano sanitario si occupava attivamente di questa patologia, veniva riconosciuta una sorta di specializzazione, oltre che un ruolo sociale particolare. Non si trattava di una posizione di preminenza nell’ambito medicoscienti:ico, quanto piuttosto dell’inserimento, con la creazione dei lazzaretti, nell’apparato che esercitava forme forti di controllo sociale della malattia. A parere di Foucault i lazzaretti furono visti come il male minore in quanto luoghi di segregazione sociale e reclusione. Da questo punto di vista vorremmo ricordare che se già nel 549 il Concilio di Orléans stabiliva che ciascun vescovo dovesse occuparsi dei lebbrosi della sua diocesi, e nel 583 il Concilio di Lione interdiceva la libera circolazione dei lebbrosi fra la popolazione sana, a distanza di sessanta anni, l’Editto di Rotari ordinava di riunire tutti i lebbrosi del Regno Longobardo con lo scopo di isolarli. In questo editto si prescriveva anche la rottura del :idanzamento, nell’eventualità che uno dei due promessi fosse colpito dal contagio. Nel 757, con i Capitolari di Pipino, si andò oltre: si autorizzava la dissoluzione del matrimonio in caso di lebbra di uno dei coniugi. Nel 789 Carlo Magno, con un editto, disponeva l’espulsione di tutti i lebbrosi dai centri abitati. In seguito nei secoli XIII e XIV la questione divenne ancora più ideologica. Si diffuse massicciamente il pregiudizio che questa malattia fosse associata alla devianza, pertanto chi ne era colpito andava escluso, socialmente, in luoghi protetti: i lazzaretti. Questi luoghi avevano un loro santo protettore: S. Lazzaro. La sua immagine campeggiava sulla porta d’ingresso, pertanto l’eponimo lazzaretto deriva da tale protezione. In osservanza alla teoria miasmatica, dovevano essere collocati a qualche chilometro dalla città, sotto-vento, in modo che le brezze, specialmente nelle stagioni estive, non convogliassero i miasmi e gli ef:luvi, sprigionati dal morbo, verso la città. Come è ovvio questi
Figura 2. Dieci lebbrosi. Mosaici del Duomo di Monreale (PA).
Figura 3. Affresco del monastero di Visoki Decani, sec. XIV. Peć, Kosovo.
provvedimenti rispondevano più all’esigenza di proteggere dal contagio, che all’obiettivo d’investigare il morbo per curarlo. La lebbra era considerata una malattia incurabile anche dalla scienza uf:iciale. Nel caso della lebbra, il sapere del medico era scarso, la conoscenza dei sintomi modesta, le diagnosi relativamente af:idabili. I medici per secoli non visitarono i lebbrosari, li frequentarono solo a partire dal XIV secolo, quando, essendo diminuito sensibilmente il numero dei lebbrosi, vi si concentrarono altri malati, più o meno contagiosi. Le pochissime misure sanitarie adottate erano di tipo igienico-pro:ilattico. Inoltre, essendo opinione comune credere all’ereditarietà della malattia ed alla trasmissione sessuale, il contagio era visto come l’esito e la punizione, come la conseguenza di una trasgressione sessuale, pertanto le misure prescritte erano indirizzate anche a reprimere la sessualità. In sintesi, per quanto riguarda la lebbra, il sapere del medico restava un puro strumento di controllo sociale, inoltre la sua esperienza clinica era molto modesta in quanto non frequentava i lazzaretti che rimanevano, sostanzialmente, luoghi di reclusione e non di cura. Per contrastare la lebbra oltre alle misure segregative, coercitive, si puntava sulla :iamma viva, bruciando le suppellettili ed i vestiti dei malati, sulla ventilazione degli ambienti e sulle misure di pulizia radicale. A partire dall’XI secolo, i lebbrosi divennero un grosso problema di sicurezza sociale, in rapporto alle crociate e con lo sviluppo delle città mercantili. Non era infrequente che gruppi di lebbrosi si unissero in bande, vivendo alla macchia nei boschi, rapinando e saccheggiando pellegrini e mercanti. Con la scusa della lebbra si innescarono altre persecuzioni che attendevano un motivo apparente per diffondersi. Gli ebrei furono vittime di discriminazioni a più riprese, specialmente in Spagna, in Francia ed in Germania. In alcuni casi si trattò di linciaggi della folla, in altri di veri e propri progrom voluti dal potere politico e religioso. A scatenare l’ostilità contro gli ebrei, oltre l’accusa di diffondere il contagio — gli ebrei erano di frequente dediti ad attività lucrose tramite l’acquisto e la vendita di oggetti provenienti da persone colpite dalla malattia — aveva un ruolo l’invidia sociale per le ricchezze che avevano accumulato, con pratiche :inanziarie prossime, non raramente, allo
strozzinaggio ed all’usura. Anche altre minoranze furono oggetto di persecuzione, in particolare ricordiamo i mori in Spagna, i nomadi in Francia e Germania. La lebbra conserverà in Europa, :ino alla :ine della sua endemia nel XVI e XVII secolo, la carica simbolico-esemplare di malattia dell’anima, che nella corruzione del corpo trova la sua più vistosa manifestazione esteriore. Maligno nella costituzione :isica come in quelle psichica, il lebbroso andava sorvegliato e separato dagli altri. Egli era contagioso ed incurabile. La lebbra cominciò a regredire nel XIV secolo, e gli studiosi di epidemiologia attribuiscono tale fenomeno all'arrivo della "morte nera” cioè la peste del Trecento, portata da un agente patogeno più aggressivo, che uccidendo milioni di persone in Europa svuotò anche i lebbrosari. Negli ultimi decenni si è veri:icata una riduzione del numero dei casi, in relazione al trattamento polichemioterapico dei malati ed ai programmi dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Grandi progressi sono stati realizzati negli ultimi decenni attraverso la terapia con dapsone, rifampicina e clofazimina, ed attraverso il rafforzamento dei sistemi di sorveglianza e di individuazione dei nuovi casi. La malattia è ancora strettamente correlata alla povertà. Dal 1981 la malattia è curabile grazie ad un trattamento speci:ico standard, de:inito dall’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS), chiamato polichemioterapia — PCT (associazione di tre farmaci). Dopo l’inizio del trattamento, la persona non è più contagiosa e di conseguenza non è necessario l’isolamento. La lebbra è ancora oggi un problema sanitario importante in vari Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, dove persistono condizioni socio economiche precarie che favoriscono la trasmissione della malattia. Chiaramente, da quando si dispongono farmaci ef:icaci, la strategia principale per il controllo della malattia si basa sulla diagnosi precoce e il trattamento, ma nella storia della lebbra un punto è chiaro: il controllo della malattia, con effetti duraturi, richiede un miglioramento socio-economico della popolazione. A causa delle dif:icoltà di accesso e alla scarsa qualità dei servizi di trattamento, la diagnosi spesso avviene tardivamente, e spesso la persona colpita si presenta con disabilità :isiche irreversibili. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo vi sono più di tre milioni di persone con disabilità gravi causate dalla malattia che richiedono cure quotidiane. Le disabilità, oltre a determinare un importante carico sanitario a lungo termine, tendono a perpetuare il preconcetto e lo stigma e molte persone, dopo il trattamento, permangono isolate, segregate, senza lavoro e senza possibilità di reinserimento sociale. In Italia ogni anno sono diagnosticate da 6 a 9 persone con la malattia. Si tratta di italiani che hanno soggiornato all’estero in paesi con lebbra endemica e/o in migranti provenienti da tali paesi. Dal punto di vista normativo, il controllo della malattia nel nostro Paese si basa principalmente sulla Legge n. 31 del 24 gennaio 1986 e sulle direttive nazionali approvate dalla Conferenza StatoRegioni, emanate dai ministeri competenti e apparse sulla Gazzetta Uf:iciale: DPR del 21 settembre 1994, che ha istituito quattro Centri di Riferimento nazionale per la conferma diagnostica e il trattamento della malattia: Genova, Gioia del Colle (Bari), Messina e Cagliari.
Bibliografia e sitografia
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