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Costume e società

È GIUSTO DIRE PADRONE O PROPRIETARIO DI UN PET? A MOLTI PERALTRO NON PIACE NÉ L’UNO NÉ L’ALTRO TERMINE. LA SITUAZIONE POI SI COMPLICA ULTERIORMENTE QUANDO DOBBIAMO DEFINIRE GLI ANIMALI DAL PUNTO DI VISTA GIURIDICO

LESSICO ANIMALE

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Lorena Bassis

Giornalista

Negli anni è cambiato il modo con cui gli individui vivono il rapporto con gli animali da compagnia. Se in passato veniva facile definirsi padroni o proprietari di un pet, come se si trattasse di un qualsiasi oggetto di uso comune, oggi occorre rivedere il linguaggio. Con un cane o un gatto si innesca un rapporto profondo che cresce e si sviluppa con il tempo. L’animale dona emozioni e non può essere messo sullo stesso piano di un’automobile o di un appartamento. Trovare la definizione giusta non è però così facile. Vediamo perché.

Cosa sono io per te?

In passato chi decideva di prendere un cane diventava inevitabilmente il suo «padrone». Essere padroni però vuol dire comandare ed esercitare un dominio assoluto. E chi ama il suo animale non vuole collocarsi in questa posizione di superiorità nei confronti dell’amato pet. Più spesso, oggi, si utilizza la parola «proprietario», anche se non piace a tutti perché lascia sempre intendere di poter disporre in modo pieno ed esclusivo di qualcosa che si considera di proprietà. Ma un pet non è un oggetto da poter utilizzare per soddisfare le proprie necessità. Ecco che allora si scatena una frenetica ricerca per trovare il modo più consono per definire l’umano che convive con un pet. Qualcuno ama farsi chiamare «mamma» o «papà». Il che potrebbe anche andar bene tra le mura domestiche, ma suscitare disapprovazione quando ci si trova fuori casa perché è altresì poco apprezzato umanizzare gli animali. Se poi l’animale combina qualche guaio è l’umano che ne risponde, allora si potrebbe anche ricorrere al termine tecnico di «responsabile». Sono solo delle idee come quella di essere un «leader» per il pet o il suo «conduttore». O forse sarebbe preferibile uti-

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lizzare l’espressione «compagno di viaggio», perché in fondo è poi così che vanno le cose. Con il pet si condividono tanti momenti della nostra vita, tanto che quel cane o quel gatto diventano davvero parte della famiglia. Ma non è finita. Nonostante la lingua italiana abbia una capacità espressiva e argomentativa che poche altre lingue vantano, non manca chi sostiene che il nome più corretto per definire chi ha un cane sia il termine inglese «adopter», cioè adottante. D’altra parte gli anglicismi fanno parte del nostro modo di parlare. E allora il nostro lessico è in via di estinzione? Chi può dirlo?

Gli animali nel codice civile

Che si tratti di un cane, di un gatto, di un pesce rosso o di qualsiasi altra specie, non fa alcuna differenza.

Il Codice Civile classifica tutti gli animali da compagnia come res, ossia «cose».

E così, giuridicamente parlando, il nostro amato pet viene messo sullo stesso piano di un televisore, di un divano, di un’automobile. Ma chi può guardare negli occhi un cane e dire che si tratta di una cosa? Nella precedente legislatura ci sono stati diversi tentativi di introdurre nell’ordinamento giuridico italiano la soggettività degli animali.

Ovvero, riconoscerli come esseri senzienti in grado di provare sensazioni essendo dotati di sensi. Non solo semplici res. Ma in realtà sono stati fatti pochissimi passi in avanti. «Abbiamo una popolazione che ha un forte sentimento animalista e non possiamo permetterci di avere ancora dei codici prodotto di una mentalità ferma al periodo della seconda guerra mondiale», ha sottolineato Michela Brambilla deputata di Forza Italia e presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali.

Si tratterebbe dunque di portare l’Italia sullo stesso piano di altri paesi che sotto questo punto di vista sono più avanzati, come per esempio, Germania, Austria e Svizzera.

A OGNI CARATTERE IL SUO ANIMALE

Se da un lato è difficile trovare il modo più adatto per indicare il rapporto tra l’umano e il suo animale, dall’altro molto spesso i pet vengono invece utilizzati nella lingua italiana per esprimere meglio un concetto, un’idea. Quante volte abbiamo sentito, per esempio, dire a una persona invadente che è «curiosa come una scimmia», oppure a un perditempo che è «lento come una lumaca». Anche le condizioni atmosferiche coinvolgono i pet quando si dice che c’è un «freddo da lupi» o che abbiamo «la pelle d’oca». L’elenco potrebbe andare avanti all’infinito parlando di «specchietto per allodole» o «di una questione di lana caprina». Gli animali sono sempre in primo piano anche nelle favole di Esopo e di Fedro per indicare questa volta gli istinti degli esseri umani. Ecco che allora la persona sagace e beffarda sarà una rappresentata da una volpe, quella sleale e feroce da un lupo, il vanitoso da un cervo e gli stupidi dai caproni.

È ancora una cosa, ma non è pignorabile

Gli animali, pur continuando ad avere la stessa identità giuridica di sempre - nel nostro diritto civile restano «res», cose -, oggi è quantomeno vietato il loro pignoramento. Dopo anni di lunghe battaglie è stata approvata la riforma dell’articolo 514 del Codice di procedura civile che ne autorizzava il sequestro. La riforma - in vigore dal 2016 - dichiara “assolutamente impignorabili gli animali di affezione o da compagnia tenuti presso la casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti, senza fini produttivi, alimentari o commerciali” e “gli animali impiegati a fini terapeutici o di assistenza del debitore, del coniuge, del convivente o dei figli”.

Quella del pignoramento è stata una pratica che in passato aveva trovato applicazione più di quanto si possa immaginare.

Diversi sono stati i casi di persone che, travolte da problemi finanziari, si sono viste portar via l’amato animale esattamente come si trattasse di un soprammobile o di un gioiello. ●

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