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Jeffrey Schnapp

Dieci spunti per l’architettura post-pandemica.

Oltre l’automobilità. Così come l’automobile scrisse la sceneggiatura per la città e i piani urbanistici del XX secolo, la mobilità locale sta ora scrivendo la sceneggiatura per i loro discendenti. Camminare, girare in monopattino, andare in bicicletta, potenziati dal trasporto pubblico, fornirà il tessuto connettivo all’interno dei cerchi concentrici del quartiere, della città e della regione. Auto che si guidano da sole? Saranno limitate a circuiti controllati e a bassa densità. Autocarri a guida automatica? Potranno governare il regno delle autostrade. L’auto-mobilità post-pandemica sarà strategica (non universale).

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Architetture per la consegna a domicilio. L’ambiente costruito rimane ancorato a modelli di consegna postale antecedenti al XXI secolo, che prevedono di norma l’uso di buste di carta. La norma attuale è in

vece il pacco, altamente variabile per dimensioni, forma, volume, valore e sensibilità al tempo. Ogni pacco ha bisogno di una stazione di trasferimento sicura, non solo di una cassetta della posta, di una porta di casa o di un portico. Nelle aziende e nelle case, dove si troverà questo luogo di consegna che non necessita di contatto? Che forma dovrebbe assumere? Manterrà la frutta fresca o la pizza calda?

Ritorno in periferia. Le megalopoli sono il futuro, ma i giovani cittadini traslocano sempre di più in periferia rifuggendo dai costi elevati delle abitazioni del centro città e alla ricerca di spazi verdi. Come si potrebbero progettare periferie libere dalle auto e che offrano le stesse opportunità del centro città?

La natura come hot spot. La campagna è almeno tanto adatta al cambiamento tecnologico quanto lo sono i complessi, compressi e intrattabili palinsesti che chiamiamo città. Ed è sempre più cablata. Le fattorie intelligenti sono fatte per restare. Come rinvigorire le interconnessioni città-campagna man mano che l’urbanizzazione avanza e la campagna si fa sempre più smart? Come possiamo fare leva sul potere delle reti di rilevamento e dei sistemi informatici per sostenere una migliore gestione dei paesaggi naturali?

Hub residenziali di microtransito. Mentre i vettori di micromobilità riempiono il vuoto lasciato dalle automobili ad uso privato (condannate all’esilio nelle periferie urbane), dove andranno tutte le biciclette, le e-bike, i monopattini elettrici e i nostri droni terrestri quando siamo al lavoro, a divertirci o a casa? Invece di infilarli tra le auto o di ammassarli, volenti o nolenti, in spazi inadatti, come possono essere inseriti senza soluzione di continuità nell’ambiente fisico su micro, meso e macro scala? Che aspetto ha un parcheggio per un robot o una porta d’appartamento a misura di bicicletta?

Sharing economy. Monopattino, automobili, Airbnb: poco importa, la sharing economy sta vacillando sull’orlo di un abisso. Il rimanere in casa e la proprietà privata sono tornati in voga, ma ora sono collegati in rete. La condivisione si riaffermerà sotto forma di reti locali faccia a faccia e/o virtuali? In che modo l’architettura può favorire una connessione sempre più intensa con i luoghi (interconnessi)?

Not smart enough. Mentre le grandi città del mondo sono costruite su strati e strati di intelligenza ed esperienza umana incrostata, le smart cities sono fondate su una premessa discutibile: che la città sia una specie

di computer i cui problemi sono riconducibili a questioni di hardware e software. Tecnologia ≠ smarts. Come possiamo implementare i sistemi di informazione, rilevamento e governance che saranno parte integrante delle città future in funzione di valori condivisi come la qualità della vita, il senso di comunità e la sostenibilità ambientale? Smart o no, la sfida più faticosa che le future megalopoli dovranno affrontare sarà quella delle infrastrutture costruite con il venerato metodo del mattone e della malta.

La strada come marciapiede (e viceversa). Le automobili private riconquisteranno il terreno che hanno ceduto a seguito della riconversione, ispirata dal Covid-19, delle strade cittadine a spazi per pedoni e biciclette con distanziamento sociale? I superblocchi, la città di quindici minuti, le piste ciclabili, il pedaggio urbano e le zone pedonali sono qui per rimanere. Possano le strade (di nuovo) appartenere alle persone.

Le sedi del telelavoro. L’ufficio in casa oggi occupa una posizione indefinita tra luogo di lavoro, spazio domestico riadattato e discendente del vecchio studiolo, gabinetto o biblioteca. Quale forma potrebbe assumere un nuovo spazio di lavoro pubblico/privato che rifletta le dinamiche peculiari dello smart working in casa?

“Spazi” virtuali site-specific. Mentre le piattaforme online per il lavoro, lo scambio economico, l’interazione sociale e la comunicazione culturale espandono il loro impero, le pressioni verso la de-standardizzazione aumenteranno. Le comunità online cercheranno di forgiare architetture sempre più differenziate con caratteristiche quali la persistenza, la personalità, la reattività in tempo reale e la differenziazione funzionale (tra sale d’attesa virtuali, aule, cliniche, corridoi, cucine, soggiorni e camere da letto). Come far sì che una home page trasmetta la sensazione di sentirsi a casa e una work page quella di essere a lavoro?

Jeffrey Schnapp, linguista, medievalista, storico, designer e scrittore, è direttore del metaLAB (at) Harvard.

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