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Richard Ingersoll
Per sempre felici e contenti. Molte favole finiscono con l’epigramma: “e vissero per sempre felici e contenti”. Anche se l’idea di “dopo” è probabilmente la prima cosa che la maggior parte delle persone in questo momento ha in mente, perché vorrebbe tornare a una qualche forma di normalità, e i governi in particolare non vedono l’ora di dichiarare la fine della pandemia per salvare le loro economie paralizzate, questo desiderio di dichiarare la fine sembra un po’ una favola. La crisi sanitaria planetaria provocata dal Covid-19, che ha costretto oltre il 50% dei terrestri a vivere in una qualche forma di quarantena, dovrebbe essere considerata come un precursore di altre crisi ambientali più pericolose. I vaccini e le procedure mediche fermeranno la diffusione del contagio, permettendoci di parlare di un “dopo coronavirus”, ma per quanto riguarda il cambiamento climatico siamo molto lontani dal trovare rimedi. Lo scioglimento delle calotte polari, lo scongelamento del permafrost
nordico, l’aumento dei livelli di acidità del pH negli oceani, i continui disboscamenti in tutto il pianeta, gli stermini di massa delle specie biologiche e, naturalmente, la riduzione della capacità di coltivare cibo a causa delle temperature ostili sta cambiando notevolmente la condizione umana. La probabilità di altre pandemie è quindi accompagnata da importanti minacce meteorologiche per le quali non siamo pronti. Il coronavirus ci insegna che abbiamo bisogno di strategie di adattamento per sopravvivere, sia per affrontare situazioni immediate che a lungo termine. La crisi richiede ai cittadini di cambiare il loro stile di vita e ai progettisti di inventare alternative in tema di ordine urbano, costruzione architettonica e arredamento. Così come una persona affetta da diabete deve smettere di mangiare zuccheri e iniziare ad assumere insulina, così le future “vittime climatiche” devono smettere di adottare stili di vita consumistici e trovare invece palliativi tecnici. In architettura, l’attenzione rivolta ai grattacieli bioclimatici sembra sbagliata in quanto, nonostante le loro eccellenti prestazioni termiche, servono a promuovere la globalizzazione e il consumismo. Gli adeguamenti bioclimatici agli edifici ordinari sarebbero più appropriati, così come la ricerca di materiali da costruzione biodegradabili, l’invenzione di metodi di costruzione rapida per le
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emergenze, la pianificazione delle città come spugne urbane, i rifugi portatili per il reinsediamento, la diffusione dell’agricoltura urbana, lo sforzo concertato di utilizzare i rifiuti come risorsa.
Mentre alcune città, come Copenhagen, Nantes, Bristol e Stoccolma hanno avviato eccellenti programmi per guidare i cittadini verso un futuro a zero emissioni di carbonio, esse sono ancora alloggiate in un sistema di economie in crescita, e l’equilibrio dei gas serra tra i loro partner commerciali ci spingerà ben presto oltre il limite massimo per l’aumento della temperatura planetaria fissato a 1,5 gradi. Proprio come le persone hanno imparato a realizzare le proprie mascherine per scongiurare il contagio, così i progettisti devono contribuire ad un adattamento radicale. Il modo in cui ci muoviamo, il modo in cui facciamo shopping, il modo in cui andiamo a scuola, il modo in cui visitiamo i musei, l’uso di bar e ristoranti, il modo in cui giochiamo e andiamo in vacanza. Ogni azione umana deve essere ripensata in termini di sicurezza e flessibilità. Non è più una questione di soddisfazione del consumatore, ma come Richard Neutra aveva predetto molti decenni fa di “sopravvivenza attraverso il design”.
Ci sono soldi per questo? Miracolosamente sono stati trovati miliardi di dollari per scongiurare il fal-
limento di compagnie come Lufthansa in Germania e delle aziende vicine al presidente negli Stati Uniti. Ma importanti stabilimenti automobilistici hanno chiuso in tutto il mondo (Nissan a Barcellona) e la disoccupazione sta raggiungendo un picco vertiginoso. Ora dovrebbe essere il momento di attivare il Green New Deal, pensando al New Deal di Roosevelt degli anni trenta, che manteneva le persone occupate, piuttosto che comprarle con gli assegni di disoccupazione. La profonda crisi economica iniziata dal coronavirus dovrebbe essere affrontata come una crisi ambientale altrettanto profonda, che impone molteplici forme di progettazione e di lavoro per tenerci in vita felici e contenti.
Richard Ingersoll, storico e critico dell’architettura californiano, insegna Teoria dell’architettura contemporanea al Politecnico di Milano.