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Wang Shu e Lu Wenyu
Quarantena e apertura. Città ed edifici nell’Era PostPandemica. Quasi mezzo anno dopo che la pandemia e la lotta per il Covid-19 hanno terrorizzato il mondo, crediamo che la gente si sia resa conto che questo subdolo virus difficilmente scomparirà presto, che il centro della trasmissione sta cambiando nei diversi continenti del mondo, e che in un’epoca di frequenti comunicazioni dobbiamo imparare a coesistere con il virus. Se anche fossimo fortunati e il virus scomparisse improvvisamente a un certo punto di quest’anno, basterà ricordare la Sars del 2003, e poi il Mers e l’H1N1, per accorgerci che in meno di vent’anni il mondo ha visto il succedersi di quattro pandemie associate a infezioni respiratorie. Questa volta in particolare, in quanto epidemia globale, le misure adottate da vari Paesi, come l’isolamento delle città o addirittura l’isolamento dell’intero Paese, e la diffusa insoddisfazione e la lotta a queste restrizioni condotte dai governi, ci costringono a pensare a un possibile cambiamento a lungo
termine del nostro stile di vita. Non dobbiamo optare per una limitazione temporanea, ma per un possibile cambiamento a lungo termine! Nella sua sostanza, l’architettura ha maggiormente a che fare con questo cambiamento a lungo termine che potrebbe modificare lo stile di vita delle persone; con il potenziale impatto delle restrizioni di viaggio che abbiamo appena sperimentato in tutto il mondo sulla pianificazione urbana e sui prototipi di design, ma anche con il cambiamento del modello di spazio residenziale e comunitario a fronte dell’isolamento domestico che abbiamo appena vissuto. In che modo l’architettura risponde a questi cambiamenti? Crediamo che sia molto utile riflettere attentamente sullo stile di vita personale di ciascuno di noi dopo lo scoppio del virus.
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Abbiamo volato da New York a Pechino il 19 gennaio. La sera del 20 abbiamo cenato con degli amici e, scherzando, sostenevamo che bevendo liquori cinesi si potesse evitare il nuovo tipo di polmonite che si diceva fosse apparso a Wuhan. In realtà, già il 10 gennaio erano emerse alcune notizie sul nuovo tipo di polmonite, ma in generale la gente pensava che si trattasse di un’altra malattia leggendaria, un po’ lontana dalla loro vita. Le persone intorno a noi non si sono quindi fatte prendere dal panico. La vita procedeva normalmente. Il 20 gennaio il signor Zhong Nanshan, un noto medico
cinese, ora chiamato anche “dottor Fauci della Cina”, ha annunciato pubblicamente sul canale televisivo nazionale che il nuovo virus si trasmetteva tra gli esseri umani, il che ha portato ad uno stato di allarme tra la gente comune. Solo il 22 gennaio, quando il governo di Wuhan ha annunciato che il giorno dopo avrebbe bloccato la città, la popolazione si è resa conto che qualcosa di grosso stava per accadere, perché Wuhan è una grande città che conta dieci milioni di abitanti. Si diceva che quella notte, come la sera dell’isolamento di Milano un mese dopo, centinaia di migliaia di persone si siano allontanate da Wuhan. Tre giorni dopo, Hangzhou, la città in cui viviamo, una città di dieci milioni di persone a 1.000 chilometri da Wuhan, è stata la seconda città della Cina a dichiarare l’isolamento, e nel giro di una settimana tutte le città cinesi sono state chiuse. Hangzhou è stata rigorosamente e completamente chiusa per un mese. Alla fine di febbraio, il nostro studio è tornato alla normalità, ad eccezione di alcuni assistenti che avevano trascorso la Festa di Primavera nella loro città natale fuori Hangzhou e non sono potuti tornare al lavoro prima di aver concluso l’isolamento domiciliare di quattordici giorni obbligatorio al loro ritorno. In effetti, abbiamo potuto comprendere l’efficacia dell’isolamento da ciò che avevamo visto e sentito dai media e per via della successiva pandemia globale, dal momento
che nessuno intorno a noi si è ammalato. Ma anche così, il panico ha messo radici nella mente di tutti. A febbraio, camminando lungo il famoso Lago dell’Ovest di Hangzhou, si vedevano poche persone nella strada che un anno prima aveva ospitato più di cinquanta milioni di visitatori. Un piccolo numero di pedoni indossava delle mascherine ed era visibilmente in preda al panico per gli incontri reciproci.
Come architetti, la nostra prima conclusione è che il concetto di pianificazione urbana e progettazione devono cambiare – non importa quanto sia larga la strada, la pavimentazione deve essere altrettanto larga. Nel frenetico sviluppo delle città cinesi degli ultimi due decenni, si è prestata troppa attenzione al traffico automobilistico ma non abbastanza al sistema dei marciapiedi; soprattutto nella trasformazione della città vecchia, quando lo spazio stradale è stato fissato, la priorità è sempre stata quella di allargare la strada del traffico, anche annullando o comprimendo i marciapiedi fino a meno di un metro. Credo che, almeno, la pandemia ci abbia fatto capire quanto siano necessari dei marciapiedi sufficientemente larghi. Il modello del viale parigino con grandi marciapiedi è destinato ad essere riproposto nelle città di tutto il mondo. Il problema in Cina è che questo modello non dovrebbe essere solo un landmark del centro urbano, quanto piuttosto un prototipo di-
stribuito in modo uniforme, a beneficio di tutti i cittadini che vivono nei dintorni. Dovrebbe essere in grado di dare alle persone l’opportunità di una vita pubblica all’aperto relativamente sicura di fronte alla diffusione dell’epidemia.
Una discussione su una scala minore dovrebbe interessare il modo di vivere della comunità. In passato siamo stati piuttosto critici nei confronti del modello di comunità chiusa tipico dello sviluppo immobiliare urbano in Cina, che distrugge lo spazio stradale e interrompe i collegamenti diretti tra comunità residenziali e spazi pubblici urbani. Tuttavia, in questo isolamento, la chiusura della comunità facilita per ovvie ragioni la gestione e i servizi del governo. Di conseguenza, è necessario esplorare un modello più equilibrato tra apertura e chiusura della comunità. L’isolamento di Wuhan è stato molto più severo di quello di Hangzhou, e alcune comunità non hanno permesso ai residenti di uscire dagli edifici per più di due mesi. Naturalmente, il servizio alla comunità in stile cinese è molto forte. Cibo e verdure fresche potevano essere consegnati direttamente in ciascun appartamento. Ma anche così, due mesi di isolamento in un’unità residenziale all’interno di un grattacielo sono stati molto difficili. È necessario esplorare un prototipo di scala e di spazio equilibrato tra la privacy di ogni famiglia e la natura pubblica
della comunità che garantisca una minima qualità di vita. Guardando alla storia delle città cinesi, assumere il cortile come principio ordinatore e come prototipo spaziale è stata una scelta saggia. L’avere sperimentato numerose epidemie negli ultimi millenni aveva reso queste città in un certo senso sospese tra la chiusura e l’apertura. Ogni cortile era in realtà una piccola società di dimensioni limitate, in cui diverse famiglie o decine di famiglie vivevano insieme. Sotto una pandemia, questo modello insediativo permette un isolamento dalla città, mentre all’interno del cortile l’unità di vicinato tiene lontana la solitudine.
Naturalmente, la situazione degli appartamenti nei grattacieli moderni è molto diversa. In Cina, sia a Wuhan che a Hangzhou, l’epidemia si è quasi conclusa in due mesi a causa delle severe misure di blocco. I problemi dei grattacieli non sono stati completamente rivelati. Gli ascensori e le scale sono risultati essere i luoghi più vulnerabili. È difficile immaginare come sarebbe stato se l’isolamento fosse durato più a lungo, dal momento che la gente aveva troppa paura per usare gli ascensori o anche le scale, per non parlare della trasmissione aerea che può avvenire attraverso l’aria condizionata e i tubi dell’acqua che corrono su e giù!
Nel 2000 abbiamo progettato sei edifici per abitazioni alti cento metri ad Hangzhou, con circa ottanta cortili
impilati uno sull’altro. Ogni cortile si sviluppa su due piani, con circa dieci famiglie che vivono insieme. Gli alberi potrebbero essere piantati nel cortile. Nei giorni di pioggia, il cortile pubblico offre uno spazio all’aperto per i vecchi e i bambini. Ogni edificio è composto da dodici cortili, che insieme formano una comunità. Oggi questo progetto sembra davvero perfetto in risposta alla pandemia. Se ci dovesse essere bisogno di rivedere questo prototipo per problemi legati all’emergenza sanitaria, il problema potrebbe essere l’ascensore. I dodici cortili di ogni edificio condividono tre ascensori, il che ovviamente porta a possibilità di infezioni incrociate. Con un progetto estremo in termini di planimetria, ad ogni cortile dovrebbe essere assegnato un ascensore speciale, e l’edificio necessiterebbe di dodici ascensori. Sembra un po’ folle. Forse si potrebbe sviluppare un prototipo di venti famiglie che vivono insieme in un cortile, in modo che un edificio con sei ascensori separati possa funzionare. Naturalmente, non dobbiamo dimenticare i condizionatori dell’aria e i tubi dell’acqua. Dovrebbero essere configurati separatamente per ogni cortile. Guardiamo al futuro, perché no?
Wang Shu e Lu Wenyu sono i fondatori di Amateur Architecture Studio, con sede ad Hangzhou, dove Wang Shu è preside della Scuola di architettura della China Academy of Art.
Lockdown Architecture
A cura di Nina Bassoli Editing di Gaia Piccarolo Traduzioni di Margherita Marri, Language Consulting Congressi
© 2020 Editoriale Lotus srl © Gli autori per i loro testi
Lotus Booklet Extra
A cura di Nina Bassoli Maite García Sanchis Gaia Piccarolo
Progetto grafico Pierluigi Cerri Studio con Roberto Libanori
Lotus Booklet Extra 01 ISSN 9 771124 906004 20311
Editoriale Lotus srl Via Santa Marta 19/A 20123 Milano +39 0245475744 www.editorialelotus.it office@editorialelotus.it
Finito di stampare nel mese di luglio 2020 da Arti Grafiche Fiorin, Sesto Ulteriano (MI)
Librerie Distribuzione Idea Books Via Lombardia 4 36015 Schio vendite@ideabooks.it +39 0445576574
Nella collana Lotus Booklet
1 Umberto Eco, Vittorio Gregotti, Sulla fine del design Introduzione di Gaia Piccarolo Con un testo di Vanni Pasca
2 Giancarlo De Carlo, Pierluigi Nicolin, Conversazione su Urbino Introduzione di Maite García Sanchis Con un testo di Renzo Piano
3 Martin Heidegger, Costruire abitare pensare Introduzione di Nina Bassoli Con un testo di Silvano Petrosino
4 Bruno Zevi, L’ultimo manifesto Introduzione di Pippo Ciorra Glossario di Nina Bassoli, Maite García Sanchis, Gaia Piccarolo
5 Aldo Rossi, Manfredo Tafuri, La città analoga Introduzione di Pierluigi Nicolin Con un testo di Cino Zucchi
6 Richard Sennett, Città aperte Introduzione di Gabriele Pasqui Con testi di Benedetto Vecchi e Luigi Mazza
Lotus Booklet Extra
Lockdown Architecture. Architettura e Pandemia. Quaranta lettere per Lotus A cura di Nina Bassoli