FARCORO 2-2022

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n. 2 / 2022

Primo Piano

Concorso Corale Nazionale Giuseppe Savani

Analisi

Lorenzo Perosi

Dossier

Parole in Musica


FarCoro

n. 2 / 2022

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% CN/BO

Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 01 DI SANDRO BERGAMO

FARCORO Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori Maggio-Agosto 2022 Edizione online: www.farcoro.it Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - CN/BO.

La lettera del Presidente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 02 DI ANDREA ANGELINI

Primo Piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 04 Giuseppe Savani Prima edizione del Concorso Corale Nazionale DI ANDREA ANGELINI

Aerco Academy Formazione di qualità per i direttori (e non solo) di domani DI ANDREA ANGELINI

DIRETTORE RESPONSABILE Sandro Bergamo direttore@farcoro.it

Dossier: Parole in musica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 Le parole prima della musica DI MAURO ZUCCANTE

REDAZIONE Luca Buzzavi lucabuzzavi@gmail.com Michele Napolitano napolitano.mic@gmail.com Silvia Perucchetti silviaperucchetti@yahoo.it Silvia Vacchi cod0408@gmail.com Matteo Unich matteounichconductor@aol.com GRAFICA E IMPAGINAZIONE Ufficio Comunicazione AERCO Valentina Micciancio webmaster@aerco.emr.it STAMPA Tipolitografia Tipocolor, Parma SEDE LEGALE c/o Aerco - Via Barberia 9 40123 Bologna Contatti redazione: direttore@farcoro.it +39 0510067024 I contenuti della Rivista sono © Copyright 2009 AERCO-FARCORO, Via Barberia 9, Bologna - Italia. Salvo diversamente specificato (vedi in calce ad ogni articolo o altro contenuto della Rivista), tutto il materiale pubblicato su questa Rivista è protetto da copyright, dalle leggi sulla proprietà intellettuale e dalle disposizioni dei trattati internazionali; nessuna sua parte integrale o parziale può essere riprodotta sotto alcuna forma o con alcun mezzo senza autorizzazione scritta. Per informazioni su come ottenere l’autorizzazione alla riproduzione del materiale pubblicato, inviare una e-mail all’indirizzo: farcoro@aerco.it.

IN COPERTINA Coro Artemusica diretto da Debora Bria, Vincitore del Gran Premio alla Prima edizione del Concorso Corale Nazionale Giuseppe Savani.

Scrivere per la musica: un grandissimo divertimento DI ANDREA BASEVI E ROBERTO PIUMINI

Suono e parola tra prima e seconda pratica DI DARIO TABBIA

Il testo nel Canto Gregoriano Due contributi a cura di allievi della Scuola di Canto Gregoriano – AERCO DI ALESSIO ROMEO E CORA CANINI

Il Personaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 Il canto popolare e la sua elaborazione per coro Intervista a Daniele Venturi DI SILVIA VACCHI

Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 Lorenzo Perosi Missionario della musica corale DI FRANCESCO BARBUTO

Storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 Ignazio Donati Un compositore dalle Marche a Ferrara e Casalmaggiore DI RICCARDO RONDA

Didattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Il Relational Singing Model

Didattica musicale, canto e costruzione del gruppo DI GIORGIO GUIOT

AERCO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 50 anni portati bene L’Assemblea AERCO a Ferrara DI MIRCO TUGNOLO

Voci del Mondo Una scommessa ecologica che evoca il Mediterraneo DI ELENA BACARELLA

Radio AERCO

DI GIANLUIGI GIACOMONI

Un coro poliedrico e trasversale Intervista a Daniele Sconosciuto, neo direttore del Coro Giovanile AERCO A CURA DI SANDRO BERGAMO


Editoriale

SANDRO BERGAMO Direttore Responsabile

Diceva Andrea Zanotto, in un’intervista rilasciata una ventina d’anni fa, che alla parola chiediamo così poco, da lasciarne stravolgere il significato. Anzi: da farle perdere il significato. Quello che il poeta lamentava, lo possiamo verificare ogni giorno: nell’informazione, nella politica, nella pubblicità le parole vengono adoperate con disinvoltura, piegate alla necessità del momento, strumentalizzate per ogni evenienza; buttate lì, si consumano in rapidi fuochi, quando non in subitanee esplosioni, che durano una stagione, un giorno, un istante e poi scompaiono. Nemmeno il mondo della cultura si sottrae a questo scempio, popolato com’è da personaggi dediti più alla mondanità che allo studio, maschere della commedia dell’arte più che intellettuali. E noi che cantiamo, riusciamo ancora a conservarlo, il valore della parola? In fondo, siamo agevolati. Nel canto, non solo parola e musica formano un tutt’uno, ma l’una arricchisce il senso dell’altra. Il canto gregoriano, da questo punto di vista, resta un’esperienza insuperata. Autentica esegesi del testo, come spiegano Alessio Romeo e Cora Canini negli interventi che chiudono il dossier dedicato alle parole del canto, guida a comprendere più profondamene il significato dei passi biblici utilizzati dalla liturgia, offrendone un’interpretazione teologica. L’altra grande stagione dove la parola e la musica vivono un rapporto strettissimo è quella del madrigale, di cui

Coro

tratta Dario Tabbia nel suo contributo. La musica nasce dalle parole, dalle immagini che queste suscitano, ma anche dai suoni stessi della parola, che ha una sua intrinseca musicalità: il compositore è chiamato ad estrarla, in un procedimento che richiama quello michelangiolesco di fronte al marmo. La parola può avere tante sfumature, o addirittura tanti significati: nessuno, però, arbitrario e la musica ne sottolinea l’uno o l’altro. Temi che troviamo anche nell’intervento di Mauro Zuccante, soprattutto nel suo rapporto con l’amato Pascoli, tante volte presente nei suoi lavori; e, a parti invertite, incontriamo in un poeta come Piumini, chiamato a scrivere per la musica e comunque musicato da molti compositori, tra i quali Andrea Basevi, che ne cura l’intervista. Il coro, lo abbiamo ricordato molte volte anche nelle pagine dalla nostra rivista, è luogo dove si sperimentano buone pratiche sociali, si costruiscono relazioni positive, si sviluppano personalità positive e responsabili. Se riuscissimo anche a farne il luogo dove si fa buon uso del bene prezioso della parola e del suo significato, avremmo davvero chiuso il cerchio. *** Mentre scriviamo, dobbiamo registrare una risalita rapida, improvvisa, (inattesa?) dei contagi. La parola quarantena non si pronuncia, se non sottovoce, ma aleggia. Quando queste righe si leggeranno, forse sapremo già com’è andata a finire. Ma, a proposito del significato delle parole: il nostro è un cantare da amatori, i nostri sono cori amatoriali. E qui ci sarebbe da scrivere un dossier, sul concetto di amatorialità: una parola che, buttata lì, diventa sinonimo di passatempo, disimpegno, superficialità. Un lusso dei tempi facili, insomma, da accantonare quando i problemi costringono a pensare alle cose serie. Si farà quel che si deve, seguendo le indicazioni che verranno date: nella speranza, però, che chi deve prendere le decisioni, di fronte ai problemi sociali e psicologici creati dall’isolamento, sappia che l’incontrarsi di persone che amano il canto vale e va preservato almeno quanto ritrovarsi al bar o in pizzeria.

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La lettera del Presidente Il brainstorming di AERCO La fucina delle nuove idee arriva da Sasso Marconi

Scrivo queste poche righe all’indomani di una giornata che, a mio parere, reputo una delle più interessanti degli ultimi anni di vita dell’Associazione. Probabilmente ognuno di noi avvertiva il bisogno di riunirsi dal vivo, di scambiarsi un saluto senza l’interferenza di uno schermo. Ci voleva però un pretesto per muovere e convogliare in un unico luogo i componenti del Consiglio Direttivo, della Commissione Artistica, della Redazione di FarCoro e dello staff. Ecco che a supporto dell’occasione è giunto Il brainstorming, ovvero quella tecnica espressiva in grado di far emergere idee creative volte alla risoluzione di un problema o all’ideazione di un progetto. Il termine brainstorming deriva dall’unione delle due parole brain (cervello) e storm (assalto) e significa letteralmente ‘tempesta di cervelli’. È una tecnica molto utilizzata sia in campo educativo che in campo lavorativo. Viene utilizzato per trovare soluzioni a problemi complessi considerati fino a quel momento irrisolvibili. La nascita del brainstorming risale al 1938, anno nel quale il pubblicitario Alex Faickney Osborn ideò una nuova modalità di discussione di gruppo. La discussione è guidata da un moderatore, o team leader, allo scopo di stimolare la creatività. Questa tecnica creativa iniziò a diffondersi a partire dal 1957, grazie al libro Applied Imagination scritto proprio da Alex Osborn. Il brainstorming, un po’ come il coworking, è uno strumento per creare collaborazione e sinergia tra membri di uno stesso team: infatti, la condivisione

libera di spunti e idee è in grado di generare nuovi pensieri creativi scaturiti dall’associazione di numerose idee di diverse menti pensanti. Scelto un luogo adatto (l’Agriturismo Rioverde di Sasso Marconi), inviate le convocazioni, preparato con doviziosa meticolosità l’incontro, arriva il gran giorno! I componenti della Redazione di FarCoro, capitanati dal suo eclettico direttore Sandro Bergamo decidono di incontrarsi un po’ prima per programmare le prossime uscite della Rivista. Partecipo anch’io alla seduta e, se il buongiorno si vede dal mattino, questa apertura dà la certezza che il resto del meeting non sarebbe stato assolutamente tempo sprecato.

Si discutono le idee

Tempo un paio d’ore e la redazione sforna un piano editoriale per tutti i numeri, sino alla fine del 2023. Segue, alle ore 13, quella che in termini attuali viene definita una sobria colazione di lavoro, consumata all’esterno del fabbricato, sotto ad un grande gazebo, al riparo dalla calura estiva. A dire il vero, il clima ci ha aiutato non poco: dopo alcune settimane in cui la colonnina di mercurio se ne stava beatamente oltre i 32°, la giornata di ieri era piuttosto fresca e ventilata. L’incontro a tavola si rivela una vera panacea per consolidare i rapporti personali che due anni di pandemia avevano se non offuscato, perlomeno relegato a quella sintesi relazionale che solo il monitor può offrirti. Non mi si fraintenda, non denigro la tecnologia che tutto sommato ci ha permesso di traghettare AERCO a tempi migliori e senza la quale, forse solamente 10 anni fa, avremmo assistito alla sua dipartita. Ma, comunque…. in medio stat virtus!

La redazione di FarCoro al lavoro La 2

| LA LETTERA DEL PRESIDENTE

seconda

parte

della

giornata

è

dedicata


A tavola per la colazione di lavoro completamente all’esercizio del brainstorming, consistente in diverse fasi. Dapprima tutti i gruppi sono riuniti insieme e ciascuno lavora singolarmente rispondendo, per iscritto, ad alcune domande che il questionario pone. Di seguito si tratta invece di scrivere, negli appositi box, i suggerimenti che si desiderano dare a tutti gli altri gruppi di cui ogni componente non fa parte. Per esempio, un membro del Consiglio Direttivo verga idee per la Commissione Artistica, per la Redazione e per lo Staff, escludendo il proprio. Raccolti tutti i questionari, questi vengono divisi in tante strisce collazionate per gruppi omogenei (tutte le strisce del CD, della CA, della Redazione e dello Staff) e consegnate al responsabile di ognuno. Il grande giardino dell’Agriturismo Rioverde Silvia Biasini dirige O Sacrum Convivium

(con la presenza di numerosi gazebo) permette a questo punto di riunirci per gruppi e di discutere le idee e le proposte che vengono dagli altri gruppi. Segue anche una discussione interna per capire se le idee proposte possano essere accolte e mediate con quelle che ogni gruppo partorisce. Per finire ci si riunisce ancora tutti insieme per leggere una sintesi di quanto è emerso durante la giornata. Come ho ricordato all’inizio è stato un vero e proprio esercizio intellettuale che ha coinvolto la totalità dei convenuti e che ha estrapolato dalla mente di ciascuno preziosi apporti e suggerimenti. Non sono mancate ovviamente alcune critiche che però il brainstorming ha permesso di recepire in termini costruttivi e non polemici. Come avevamo aperto il pomeriggio con O Sacrum Convivium di Giovanni Molfino, diretto da Silvia Biasini, prima di salutarci, da cantori che siamo, abbiamo intonato un’evergreen di Bepi de Marzi: Improvviso, diretto dalle esperte mani di Edoardo Mazzoni. I risultati delle proposte verranno presto codificati e tradotti in progetti a beneficio di tutta la coralità associativa!

ANDREA ANGELINI Presidente AERCO

Questionario brainstorming 9/7/2022

IL BRAINSTORMING DI AERCO |

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Primo Piano

Giuseppe Savani Prima edizione del Concorso Corale Nazionale

DI ANDREA ANGELINI Direttore Artistico del Concorso e Presidente AERCO

Dolci armonie nella Città del Pio “Questo era il tempo in cui Carpi trionfava nella sua vita di magnifici tripudi, le vie invase da un popolo festante, sonore di musiche e di canti, platee vivide di balli all’aperto, con le fronti delle case tutte dipinte, con maestri d’arte e di sapere intenti al lavoro od al piacere, e nobili signori e, signore dei signori, un principe umano dalla mente aperta ad ogni bellezza… Trasformata la città, eretti edifici, fatte sorgere le ardite e morbide absidi di S. Nicolò dovute alla maestria architettonica di Baldassarre Peruzzi, glorificate nella costruzione del Duomo le linee bramantesche, fatto dell’antico Castello una reggia di principesca bellezza, costretti, con l’esempio, i cittadini a costruire quella mirabile galleria arcata che è il portico di piazza, fatto un fronte di palazzi che le età vili e bottegaie hanno variamente contaminato e rovinato, promosso il gusto dell’arte e delle lettere, coltivato il libro, ingentilite le leggi, e tutto attraverso violenze guerresche all’infuori di una brevissima sosta di pace, Alberto Pio avrebbe avuto il diritto di poter morire in placidi tramonti carpigiani con minore amarezza di quella in cui morì, lontano dalla patria, a Parigi, con la visione della signoria dei suoi finita, e spenta

Corale Giuseppe Savani

Coro G.P. da Palestrina di Carpi

con essa la grandezza che alla patria egli aveva dato”. Chi scrive così non è un Carpigiano. Gino Piva era nato infatti a Milano nel 1873 e morirà in provincia di Venezia nel 1946: un personaggio particolare, sindacalista, politico, giornalista, poeta, chiamato, non so perché, a inaugurare la nuova sede della Biblioteca comunale nei locali del Castello, con un discorso che poi verrà pubblicato nel 1914 a Carpi con il titolo L’aureo tempo di Carpi. È l’“aureo tempo” di Alberto III Pio (1475-1531), l’ultimo signore di Carpi. Camminare ora, nel 2022, per le strade del centro di Carpi è molto piacevole: con un immaginario viaggio nel tempo pare quasi di vedere il giovane Giuseppe Savani (nato nel 1855, pochi anni prima del menzionato Gino Piva), raggiungere trafelato la locale Scuola di Musica in cui lo attende per le lezioni Aniceto Govi, impareggiabile maestro con cui il nostro Giuseppe studia violino, viola, mandolino, clarinetto, chitarra, fisarmonica, pianoforte, timpani, grancassa. Per rendere omaggio al musicista, stravagante solo

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Cori partecipanti

Officina Musicale di Rio Saliceto

in apparenza, fortemente convinto della funzione socializzante della musica ed amante della pace, dal 3 al 5 giugno 2022 l’Associazione Emiliano-Romagnola Cori, ha portato in scena all’Auditorium San Rocco e al Teatro Comunale il Primo Concorso Corale Nazionale Giuseppe Savani. La manifestazione, organizzata da AERCO e patrocinata dal Comune di Carpi, Provincia di Modena, Regione Emilia-Romagna e con il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, è iniziata venerdì 3 giugno con il Festival non competitivo.

Corale Giuseppe Savani (Carpi, MO) Coro G.P. da Palestrina (Carpi, MO) Officina Musicale di Rio Saliceto (Rio Saliceto, RE) Coro Libere Note (Ravenna) Coro Voci nel Frignano (Pavullo nel Frignano, MO) Gruppo Vocale Iter Novum (Trissino, VI) Coro Artemusica (Valperga, TO) Na’ara Vocal Ensemble (Firenzuola, FI), Coro Giovanile Emil Komel (Gorizia) Bologna SO.W.L. Singers (Bologna) Corale EsseTi Major (Scandiano, RE)

Giuria Eriks Ešenvalds (Lettonia), presidente Walter Marzilli Francesco Grigolo Elide Melchioni Marialuce Monari

Coro Libere Note

All’interno dell’Auditorium San Rocco si sono esibite tre corali all’insegna della buona musica e dell’amicizia. Il Coro Savani e il Coro G.P. da Palestrina di Carpi, insieme all’Officina Musicale di Rio Saliceto hanno proposto brani tratti dalla tradizione popolare, dalla polifonia classica fino a brani moderni e contemporanei. Sabato 4 giugno, sempre all’Auditorium San Rocco si è tenuto il concerto del Coro Giovanile Libere Note di Ravenna e del Coro Voci nel Frignano di Pavullo del Frignano. L’incontro tra la delicatezza delle voci bianche e le melodie tratte dal repertorio popolare

Da sx: Gianpaolo Violi (direttore Corale Savani), Giulio Pirondini (direttore Coro G.P. Palestrina), Mirco Medici (direttore Officina Muisicale Rio Saliceto)

CONCORSO CORALE NAZIONALE GIUSEPPE SAVANI |

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del coro modenese è risultato fresco e piacevole. Domenica 5 giugno all’interno della splendida cornice del Teatro Comunale si è svolto il Concorso vero e proprio che ha visto la partecipazione dei cori: Gruppo Vocale Iter Novum (Trissino, VI) diretto da Serena Peroni; Coro Artemusica (Valperga, TO) diretto da Debora Bria; Na’ara Vocal Ensemble (Firenzuola, FI), direttore Edoardo Materassi; Coro Giovanile Emil Komel (Gorizia), direttore Mateja Cernic; Bologna SO.W.L. Singers, direttore (Michael Brusha); Corale EsseTi Major (Scandiano, RE), diretto da Matteo Grulli. La giuria composta da prestigiosi musicisti che operano con successo da anni all’interno del mondo corale, Eriks Ešenvalds (dalla Lettonia), presidente, Walter Marzilli, Francesco Grigolo, Elide Melchioni e Marialuce Monari, ha valutato le performance delle compagini corali, cogliendone gli aspetti caratteristici, l’originalità, l’interpretazione. Vincitore del Gran Premio, con un trofeo e 3.000 euro è risultato il Coro Artemusica diretto da Debora Bria, mentre ha conquistato il podio di miglior direttore Serena Peroni. Ogni coro partecipante ha ricevuto una borsa di studio relativamente al punteggio ottenuto con relativo diploma nella fascia oro, argento e bronzo.

Coro Voci nel Frignano di Pavullo del Frignano

Mauro D’Orazi, Presidente dell’Unione Terre D’Argine (MO), premia Debora Bria.

L’appuntamento canoro è per il prossimo anno, con l’augurio che la brillantezza delle voci, giovanili e la forza di quelle più mature possano farsi eco tra i vicoli e i palazzi della ‘Perla del Rinascimento’. Marialuce Monari, membro della Commissione Artistica di AERCO e della Giuria del Concorso, premia Serena Peroni.

Teatro Comunale di Carpi Vincitore del Gran Premio: Coro Artemusica diretto da Debora Bria

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CONCORSO NAZIONALE

CORALE Giuseppe S AVA N I

A Carpi, dal 2 al 4 Giugno 2023 AERCO - Via Barberia, 9 - Bologna (BO) - Tel. +39 051 0067024 - ufficio@aerco.emr.it - www.aerco.it

www.concorsocoralegiuseppesavani.it


Primo Piano

AERCO Academy

Formazione di qualità per i direttori (e non solo) di domani DI ANDREA ANGELINI

La formazione è stata sempre uno dei punti salienti dell’attività di AERCO e sin dal suo inizio, 50 anni fa, l’Associazione ha organizzato corsi sul territorio regionale. Chi mi ha preceduto alla presidenza ha reputato impraticabile poter elevare la qualità dei cori senza offrire la possibilità a direttori e coristi di acquisire almeno delle minime competenze di alfabetizzazione musicale. La stessa Regione Emilia-Romagna ha sostenuto questo processo generale di formazione, dapprima attraverso la legge 13/1999 e poi, esperimento quasi unico nel Paese, con la legge 2/2018, dedicata quasi esclusivamente alla coralità amatoriale e a quella bandistica.

Il proliferare di corsi a livello provinciale e centrale ha posto l’esigenza di mettere un certo ordine ad una calendarizzazione che si stava rivelando un po’ dispersiva e frammentata. Da qui l’idea di fondare una vera e propria Accademia capace di intercettare le necessità formative di chi, oggi, si occupa di canto corale, sia come direttore, cantore, manager e preparatore vocale. La direzione artistica dell’accademia è stata affidata al sottoscritto e alla prof.sa Silvia Biasini, entrambi in rappresentanza della Commissione Artistica AERCO. La sede dell’Accademia, all’inizio, era stata pensata presso

Petra Grassi durante una lezione di tecnica della direzione corale 8

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Masterclass con Vytautas Miškinis

la Scuola di Musica della Fondazione C. e G. Andreoli di Mirandola, che dispone di locali moderni e funzionali costruiti dopo il terremoto del 2012. Purtroppo, la recrudescenza della pandemia a Ottobre 2020 non ha permesso, dopo un timido avvio, la prosecuzione delle lezioni in presenza che sono pertanto continuate solamente in modalità online. Nel frattempo, l’intensificarsi dei rapporti con l’Amministrazione Comunale di Parma ha permesso il ‘trasferimento’ dell’Accademia presso la Casa della Musica della città emiliana. Questa nuova sede ha indubbiamente il vantaggio di essere più facilmente raggiungibile rispetto a quella di Mirandola.

Masterclass con Dario Piumatti

La proposta didattica per l’anno accademico 2021/2022 è stata varia e flessibile: infatti, parallelamente ad un percorso triennale per coloro che vogliono acquisire competenze più specifiche abbiamo pensato anche ad un corso annuale che comunque comprende materie caratterizzanti per il direttore di coro, quali tecnica della direzione, vocalità, lettura della partitura. Queste tre materie sono state svolte sempre in presenza, da Settembre 2021 ad Aprile 2022. Gli iscritti hanno poi dovuto seguire altre materie complementari online; queste ultime includono Composizione ed Arrangiamento, Ear-Training, Introduzione al Canto Gregoriano.

Masterclass con Dario Piumatti

AERCO ACADEMY |

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Masterclass con Denis Monte

L’anno accademico è stato organizzato per weekend, ovvero tutte le lezioni in presenza si sono svolte in dieci fine settimana (dal sabato mattina alla domenica pomeriggio). L’aspetto originale ed interessante ha riguardato le masterclass domenicali tenute da docenti di chiara fama, italiani e stranieri, che hanno trattato un po’ tutti gli aspetti della problematica corale. Fra i vari temi, vorrei qui ricordare la Coralità Giovanile e Scolastica, la Polifonia Rinascimentale e Barocca, il Canto Popolare, il Repertorio della tradizione Russa, il Coro con Orchestra Barocca, la Coralità del XIX e XX Secolo, il Repertorio Contemporaneo, le Strategie per l’inclusione… Infine sono state organizzate, fuori calendario, due masterclass veramente interessanti, la prima con il compositore e direttore inglese John Rutter e la seconda con il compositore lettone Eriks Ešenvalds. Come ricordato in premessa la nostra idea di Accademia è anche quella di formare coristi più preparati, tramite corsi di alfabetizzazione musicale ma anche attraverso seminari più specifici (come quelli sul Canto Gregoriano e sulla 10

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Lezione con Manolo Da Rold


Polifonia Rinascimentale). Questa parte di formazione è stata realizzata prevalentemente online, con il supporto delle delegazioni provinciali AERCO. Uno degli aspetti formativi che maggiormente differenzia la nostra Accademia dalle altre presenti sul territorio nazionale è la possibilità di studiare a fondo il Canto Gregoriano. Si è creata una ‘divisione’ specialistica per questa materia affidata

al M° Luca Buzzavi. Anche questa scuola è suddivisa in un triennio durante il quale ogni partecipante può frequentare corsi online con i massimi docenti del settore, seminari in presenza e la Scuola Estiva tenuta presso l’Abbazia del Monte di Cesena. La proposta, rivolta in modo particolare ai direttori di coro, agli organisti e ai cantori, intende affrontare, in modo sistematico e rigoroso, lo studio delle antiche fonti manoscritte del Canto Gregoriano.

Lezione con Daniele Sconosciuto

Franco Bin impegnato alla direzione

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Masterclass con Simon Carrington

Ampio spazio è inoltre riservato alla prassi esecutiva e alle esercitazioni d’insieme in presenza, senza rinunciare però alla modalità di didattica digitale integrata: il progetto si fonda sulla didattica mista, garantendo di seguire gli allievi anche nella modalità a distanza tramite attività suggerite dai docenti che sono opportunamente discusse sia individualmente che in gruppo. La possibilità di partecipare, infine, alla Schola Gregoriana Ecce suggella le tante possibilità che la frequenza offre agli studenti. Alla fine di ogni percorso annuale o triennale gli allievi sono chiamati a sostenere esami dove, davanti ad una commissione, dimostrano quanto acquisito durante i corsi. Il calendario della proposta formativa per l’anno accademico 2022/2023 è allo studio in questi giorni e sarà disponibile da fine luglio sui siti www.aerco.academy e www.aerco.it nonché sui social di AERCO. Per ultimo vorrei ricordare che, grazie ai finanziamenti regionali di cui l’iniziativa è destinataria, abbiamo potuto fortemente ridurre i costi di frequenza per i fruitori.

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Lezione con Daniele Sconosciuto


FUORI e dentro Le righe Settembre, Ottobre, Novembre, Dicembre 2022 La musica corale bolognese riparte con CantaBO, il Festival Corale Internazionale che apre l’autunno, organizzato da AERCO, Associazione Emiliano-Romagnola Cori.


Dossier

Le parole prima della musica DI MAURO ZUCCANTE, compositore Domanda frequente, rivolta a un compositore: «Vengono prima le parole, o viene prima la musica?». Attenzione, non mi riferisco alla sofisticata disputa storica tra l’Artusi e Monteverdi, per cui si discuteva se la musica fosse serva dell’oratione, o viceversa. Mi riferisco alla più banale curiosità che molti hanno, se, all’invenzione di una melodia, fa seguito la ricerca di parole adatte; o, al contrario, se l’atto creativo del musicista consiste nello sprigionare un potenziale musicale, già insito in un testo letterario preesistente. Ogni volta che qualcuno mi rivolge una domanda del genere, rimango interdetto. Per me è ovvio: il punto di partenza è il testo. Riconosco, però, che questa non sia prassi universalmente praticata. Nella musica leggera, per esempio, esistono i parolieri, che hanno il compito di appiccicare versi a motivetti orecchiabili, già inventati da altri. A volte l’esito è demenziale: «Every day every night / Every second of my life / www mipiacitu / tu tu tu tu tu tu / i love you you love me / e mi manchi sempre più / non so che fai, chissà / ci penserai? / tu come stai? / è qualche mese che non ci sei, vedrai / mi scriverai / ma come stai […]»1. Giovanni Pascoli

Ma anche nella musica corale capitano casi analoghi. Il compositore americano Eric Withacre racconta che il testo di Sleep, uno dei suoi brani più gettonati, altro non è che una rabberciatura, per sostituire la poesia che egli, in origine, ha utilizzato. Non si era preoccupato di ottenere il permesso di mettere in musica quella poesia. Sicché, fu raggiunto da diffida. Il compositore, però, non volle rinunciare alle effusioni armoniche del suo brano, alle quali si era ormai affezionato. Ragion per cui, chiese a un amico di accomodarci sopra altri versi2. Ripeto, operazioni di questo tipo non mi sono congeniali. Posso capire che preservare il carattere commerciale di uno standard musicale fortunato sia un valore a cui difficilmente si rinuncia, ma rimango dell’idea che, solo quando i processi generativi si fondano su un principio di verità, nasce un’autentica opera d’arte (per dirla, all’incirca, con Adorno). Un compositore sceglie un testo letterario, o lavora volentieri ed efficacemente su un testo dato, solo se i due linguaggi - poesia e musica - s’incontrano in un univoco e insostituibile afflato espressivo, non inficiato da altri scopi. In un recente articolo, scritto a quattro mani con Valentina Posenato, dedicato a una celebre opera di Schubert, su testo di Goethe, Gesang der Geister über den Wassern, op. 167, D. 714 (1821), per coro maschile e archi, concludevamo dicendo che il capolavoro nasce da un incontro genuino, non artefatto, tra musica e poesia. E il segno di ciò è dato da una sorta di Stimmung3 che si genera tra materia sonora e significato delle parole. 1. Cfr. Gazosa, www.mipiacitu, 2001. 2. Cfr. E. Whitacre, Sleep, Eric Whitacre composer, conductor, speaker, https://ericwhitacre.com/music-catalog/sleep, 2022. 3. Disposizione d’animo, ma anche intonazione, accordatura. Termine (pressoché intraducibile) in uso nella critica letteraria tedesca e nella pratica musicale.

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Pier Paolo Pasolini

Nel mio piccolo, sono fedele al principio che ho appena sopra enunciato: compongo musica su un testo preesistente; e aggiungo che - salvo qualche rara occasione - traggo ispirazione dalla grande letteratura. Non sono presuntuoso. Non reputo le mie prove compositive eccellenti e, pertanto, meritevoli di accompagnare solo testi di livello magistrale. Figuriamoci! Trattasi di ragioni più prosaiche. La mia indole mi porta a prediligere, nel quotidiano, la lettura di pagine di buona letteratura e poesia. Sono tormentato dall’ansia di sprecare il poco tempo della vita; ragion per cui, evito le letture ordinarie e dozzinali. Insomma, l’estro di tradurre le parole scritte da altri, in suoni e canti scritti da me, il più delle volte, a causa delle mie paturnie, coincide con le pagine di grandi autori. Ecco, di seguito, una carrellata di alcune mie opere corali, dove il pallino dell’ispirazione musicale è stato mosso da letteratura e poesia. Dai tempi liceali, mi sono portato dietro l’idea di mettere in musica il Cantico delle creature di San Francesco. Gli ideali di comunione e di fratellanza con il Creato nutrivano, allora, il mio immaginario. Ma quell’ardore adolescenziale non era sufficiente per esprimere uno stile musicale convincente; a maggior ragione di fronte a un testo che si presenta in una forma così particolare: enumerativa. «Laudato si’ mi’ Signore, per questo, per quello, per quest’altro, e così via». Il rischio di cadere nell’effetto filastrocca era dietro l’angolo. Solo col passare degli anni, con lo studio e con l’acquisizione consapevole di alcuni modelli musicali storici, ho avuto modo di concepire un adattamento corale del Cantico delle creature (Laudes creaturarum, 2008), a mio giudizio, valido. Nella fattispecie, ho considerato la mera natura del testo francescano, cioè di lauda monofonica tardo medievale in volgare. Quindi, la mia versione corale altro non è che un brano dall’ossatura filiforme, monodica, che si dipana

con libera semplicità, salvo qualche rigonfiamento sonoro (polifonia), in corrispondenza di alcune parole chiave. Ma, in sostanza, la scrittura simula più o meno fedelmente, la continuità di un canto monodico, svincolata da schemi e figurazioni simmetriche. Sarò grato, finché campo, alle mie ‘profe’ del Liceo. Sì, perché - nonostante la negativa e rozza opinione comune - nella scuola italiana s’incontrano insegnanti assai capaci e generosi, che sanno suscitare curiosità e animare passioni negli studenti. Tutti ne abbiamo incontrato, ammettiamolo. Bene, ho ancora in orecchio la voce coinvolgente e la sincera commozione della ‘‘profe’ ’ di letteratura, quando leggeva Pascoli. Attraverso quel trasporto emotivo ho potuto cogliere quanto rilevante fosse la dimensione musicale, nei versi pascoliani. «Cerco sempre di intonare le mie liriche come se dovessero essere cantate […]», confidava Pascoli a un’amica. Perciò, più tardi, come compositore, alle prese con la trasposizione musicale dei testi poetici di Giovanni Pascoli, non credo di avere compiuto un’opera di invenzione, ma di svelamento. Mi spiego. Il flusso poetico del verso pascoliano scorre in un alveo fonico già predisposto al canto. Non è solo questione di rime e di regolarità di accentuazioni metriche. C’è una complessa sinfonia verbale di suoni ed echi, che alcuni critici hanno definito “fonosimbolismo”. C’è una corrente sotterranea di assonanze, consonanze, ripetizioni, onomatopee, che alludono alla corrispondenza tra il respiro poetico e quello musicale. Il giovane Pier Paolo Pasolini chiamava «musica delle parole» il poetare pascoliano. Fides (1995) è stato il mio primo modo di contagiare i più giovani del canto ammaliatore della poesia di Pascoli. Ma non è bastato. Ho realizzato un intero ciclo di 12 quadri per coro a cappella, che ho intitolato Calendario pascoliano (2012). Un percorso poetico-musicale agreste, scandito dallo scorrere delle stagioni (le stagioni della natura e della vita), su testi tratti dall’opera Myricae. […] «Ogni anno a te grido / con palpito nuovo. / Tu giungi: sorrido; / tu parti: mi trovo / due lagrime amare / di più.» […]4 Pascoli mi ha illuminato sulla successiva generazione di poeti italiani. In particolare, intorno all’ideale sinestetico; alla compenetrazione, cioè, di sfere sensoriali differenti, in cui le allusioni sonore giocano un ruolo preminente. Ecco, quindi, l’idea di una collana di pezzi, per coro e chitarra, sulle liriche di dieci poeti italiani del XX secolo:

4. Cfr. G. Pascoli, In campagna, Canzone d’aprile, da Myricae, (1891 - 1903)

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da Pascoli, per l’appunto, a Dino Campana, Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Ungaretti, Trilussa, Aldo Palazzeschi, Diego Valeri, David Maria Turoldo, Pierpaolo Pasolini, per finire con Pierluigi Cappello. Il titolo, naturalmente, Novecento (2020). Componimenti brevi, alcuni fulminei, ma pienamente compiuti nel definire un preciso moto dell’animo, per concorso di parole, immagini e suoni. Una citazione, tra le altre. […] «Jo ti recuardi, Narcís, ti vèvis il colòur / da la sera, quand li ciampanis / a súnin di muàrt.»5 La raccolta Novecento si chiude con un brano sui versi di Pierluigi Cappello. Ho conosciuto tardi questo straordinario poeta. Appena in tempo per affezionarmi alla sua persona, alla dolcezza del suo sorriso, alla precisione dei suoi ceselli poetici, poco prima che, ahimè prematuramente, ci lasciasse. La notizia della sua morte mi ha così scosso da farmi sentire complice di un senso di colpa nei suoi confronti. Per ammenda, ho voluto mettere in musica un’intera sua raccolta, come se volessi fare giustizia del destino, che si è accanito con tanta ingenerosità sulla sua mite esistenza. Ho impiegato qualche anno, ma alla fine ho musicato tutte le poesie di Ogni goccia balla il tango (un titolo che è già musica). Ho denominato le mie composizioni Canzoni di Pierluigi Cappello (2018 - 2020), per voci e pianoforte. Sono canti su rime rivolte ai bambini, ma che stupiscono anche l’adulto, il quale coglie come, nella descrizione del microcosmo di un giardino, trapelino squarci di natura universale. «Anche un bambino capisce che la poesia non è solo un gioco con le parole, e che lì dentro c’è qualcosa di più, che ha a che fare con i suoi sensi, la sua immaginazione e la sua anima», sostiene Cappello. E infatti, dietro l’apparente leggerezza, si cela la profondità e - come già accennato - tanta musicalità: «I bambini sono molto sensibili agli aspetti sonori, e dunque ai versi ben

scolpiti. Bisogna avere una cura quasi maniacale, e le rime devono essere sorprendenti e concrete», dice ancora il poeta. «Laggiù o per di là / si sente venire / un ta-tatatà: / è il picchio ad aprire / uno strano concerto» […]6 Quando ho messo mano alle canzoni di Fabrizio De André, a più riprese negli anni, per farne degli arrangiamenti per coro e pianoforte (1999 – 2019), ho avuto la sensazione di lavorare non su un materiale musicale, ma poetico. Cerco di spiegarmi. Sul piano musicale molte canzoni del cantautore genovese non fanno altro che riproporre degli standard. Tolte le parole, rimangono vuoti contenitori ai quali, francamente, si può rinunciare senza perdere granché. Diversamente, i testi vantano qualità e originalità, che superano di gran lunga il livello al quale ci hanno abituato le canzonette. Pertanto, nel rimaneggiamento corale, poco contano gli inevitabili tradimenti della veste musicale originale, perché è il testo letterario l’aspetto fondante delle canzoni di De André. E allora, da compositore, ti rendi conto che non stai semplicemente trascrivendo una ballad da un organico all’altro, ma stai lavorando su un testo tutt’altro che convenzionale; un testo personale che esige una cornice musicale altrettanto originale. Non stai arrangiando, stai componendo. […] «Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte / c’erano solo cani e fumo e tende capovolte / tirai una freccia in cielo / per farlo respirare / tirai una freccia al vento / per farlo sanguinare / la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek.» […]7 La mia lingua madre è il veneto. Perciò, se l’interlocutore me lo consente, mi esprimo preferibilmente in dialetto. Si sa, è questione di familiarità, praticità e immediatezza.

5. Cfr. P.P. Pasolini, Il nini muart, Poesie a Casarsa (1942). (traduzione: Il fanciullo morto […] Io ti ricordo, Narciso, avevi il colore / della sera, quando le campane / suonano a morto). 6. Cfr. P. Cappello, Picchio rosso, Ogni goccia balla il tango (2014).

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7. Cfr. F. De André, Fiume Sand Creek, Fabrizio De André (L’indiano) (1981).


Ma non solo. Nel proferire nella lingua madre, il suono delle parole sembra aderire più compiutamente e convincentemente al moto emozionale che intendiamo esprimere. «Ci sono due strati nella personalità di un uomo; sopra, le ferite superficiali, in italiano, in francese, in latino; sotto, le ferite antiche che rimarginandosi hanno fatto queste croste delle parole in dialetto. C’è un nòcciolo indistruttibile di materia apprehended, presa coi tralci prensili dei sensi; la parola del dialetto è sempre incavicchiata alla realtà, per la ragione che è la cosa stessa, appercepita prima che imparassimo a ragionare»8. Bene, questo «nòcciolo di materia primordiale» è diventato il tema di un lavoro musicale, sui generis, per coro e strumenti, che ho realizzato proprio su testi di Luigi Meneghello. In appendice al romanzo Pomo pero (1974), lo scrittore vicentino ha pubblicato Ur Malo, una serie di 21 nonsense, affastellamenti di parole, espressioni gergali, esclamazioni, apparentemente sconnesse, ma, in realtà, raggruppate per assonanze ed equivalenze sillabiche, componimenti anche complessi. Come in una sorta di gramelot, l’orecchio coglie accenti e sonorità che determinano la qualità sonora inconfondibile della lingua veneta.

«cao schèo cóa rua / bao déo pria pua / ua / spéo mua crèa scróa / pie bróa stua pao / ióa / brao bua scóa stria / fia*»9 Credo sia stata un’avventura musicale tra le più divertenti e appaganti che ho vissuto; un’avventura che mi ha permesso di apprezzare l’inscindibile legame che c’è tra espressione verbale e musica; un’avventura che mi ha insegnato come la musica non sia altro che l’amplificazione dei gemiti primari attraverso cui ci esprimiamo e comunichiamo. Ho intitolato quest’opera To Biio, ovvero A Luigi (2008), accostamento anglo-veneto in omaggio alla cittadinanza multipla di Meneghello.

8. Cfr. L. Meneghello, Libera nos a Malo (1963), cap. 5. 9. Cfr. L. Meneghello, N. 6 - Sostantivetti maschili e femminili con un aggettivo, Ur Malo, Pomo Pero (1974) - * macchina, saltuariamente automobile, costruita dalla Fabbrica ltaliana Automobili di Torino (sic!). 10. «Biio» in veneto significa Luigi.

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Dossier

Scrivere per la musica: un grandissimo divertimento ANDREA BASEVI E ROBERTO PIUMINI Roberto Piumini è, tra gli autori italiani, uno dei più frequentati dai compositori. Andrea Basevi, in particolare, ha attinto più di chiunque altro alla sua opera. Per il suo tramite, abbiamo chiesto allo scrittore e poeta cosa rappresenti per lui la musica e quanto influisca nella sua opera sapere che, probabilmente, ciò che sta scrivendo assumerà anche una veste musicale. Caro Roberto, volevo farti molte domande e tu se vuoi, puoi fare un discorso generale sul tuo rapporto con la Musica. Vorrei sapere se nel tuo cammino dove hai incontrato tanti compositori, hai agito secondo quello che ti domandavano o se hai avuto richieste specifiche, pur lasciando libera la tua vena creativa. In una mia operina sul tuo testo Totò Sapore, hai anche impersonato il Re Borbone, cantando e recitando, come ti sei trovato nel doppio ruolo di autore e cantante? Una delle bellezze della tua poesia è che è già musicalissima e la fatica per il compositore è quella di abitarla nel modo migliore (questa non è una domanda ma una verità), quindi come vivi il fatto che i tuoi testi vengano musicati? Uno dei miei rimpianti esistenziali è non aver imparato la musica, sia come ascolto avvertito, che come possibilità espressiva. L’unica mia produzione-esecuzione musicale, durata qualche mese, fu un giro di tre accordi alla chitarra, su cui improvvisavo nenie per mio figlio Michele, divenuto poi, lui sì, un ottimo musicista dilettante. Sicché sono cresciuto ascoltando musica “da lontano”, e non praticandola, eccezion fatta per la partecipazione, in 18

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Andrea Basevi

due periodi diversi, a due cori misti di discreto livello, in una modesta parte di baritono. In alcuni spettacoli con parti musicali, su testi poetici miei, mi permetto tutt’oggi di partecipare come cantante, prendendomi, naturalmente, qualche licenza poetico-tonale d’autore. Resta il fatto che, o per una forma di nostalgia operativa, o più probabilmente perché la mia formazione letteraria è stata (via racconti parentali e l’ascolto infantile della radio) di tipo orale più che libresco, la mia scrittura ha acquisito una predisposizione all’oralità, alla lettura a voce, sia nella prosa che, in modo evidentemente maggiore, nella poesia. Oltre che nei testi, questa oralità è testimoniata dalle numerosissime occasioni, in incontri, spettacoli, manifestazioni, in cui leggo i miei testi, da solo o con musicisti ed altri attori. La predisposizione orale, incrociandosi con la dimensione espressiva del


teatro (questa invece realizzata per alcuni anni, lungo la disordinata sequenza di impegni di vita) ha fatto in modo che, quando si è presentata l’occasione di scrivere “per” la musica (originariamente una serie di canzoni di Bruno Lauzi, un progetto poi non realizzato, e più tardi in canzoni per bambini e adulti, con Giovanni Caviezel, o per la televisione e la radio, nei programmi Albero Azzurro, Radicchio e il Mattino di Zucchero) ho trovato non solo facilità metrica ed espressiva, ma anche grandissimo divertimento e grande soddisfazione. Altrettanto è accaduto quando ho scritto per altri musicisti, su loro proposta o per iniziative private, editoriali o di spettacolo. Oltre ad Andrea Basevi, al quale mi lega una collaborazione trentennale, sono una ventina i musicisti con cui ho collaborato lungo gli anni, in ambiti musicali diversi, dalla canzone al teatro, dalla classica alla corale. Come autore e lettore di pezzi narrativi, ho partecipato anche a pubblicazioni e spettacoli di jazz per ragazzi. Riguardo al metodo, nelle occasioni più creative (tolte quelle in cui la catena di montaggio musicale era stringente, come ne “L’albero azzurro”) ho quasi sempre preferito scrivere su brani musicali dati, adeguandomi al ritmo e alla melodia dei pezzi, per evitare, in un testo scritto prima della musica, i rischi della regolarità metrica. Nonostante la carenza originaria a cui accennavo all’inizio, le occasioni di incontro e gioco con la musica, i musicisti, i momenti espressivi musicali, non mi sono mancate, e hanno costituito una buona parte della mia esperienza complessiva d’autore. Alla fine di questa intervista elenco le composizioni che ho scritto su testo di Roberto Piumini ad esclusione delle molte canzoni che non fanno parte di lavori più lunghi. Molto del materiale musicale non pubblicato è reperibile sul mio sito https://sites.google. com/site/andreabasevi/home dove si può anche vedere ed ascoltare. Altro materiale è reperibile su YouTube.

Roberto Piumini

Composizioni di Andrea Basevi su testi di Roberto Piumini Opere liriche e teatro da camera: Il ragazzo col violino operina per voci bianche, violino e pianoforte ed. Rugginenti 2000 I capelli del diavolo operina da Grimm per voci bianche, flauto e pianoforte ed. Rugginenti 2003 Il circo di Empoli opera per bambini per voci pari, cori e orchestra, commissione Centro Busoni 2003 Il Malafiato opera per bambini per voci pari, cori e orchestra, commissione Istituto Vittadini 2004 nuova versione con flauto e piano 2011 I musicanti di Brema opera per bambini per voci bianche 8 ruoli, coro e orchestra, commissione Filarmonica Romana 2005 eseguita anche a Venezia e con il titolo “L’orquestra dels animals” a Barcelona e a Manresa. Omi e Cic operina per voci bianche e pianoforte ed. Amazom 2008 Totò Sapore opera per bambini voci, coro voci bianche, flauto, chitarra e pianoforte 2009 In tasca a Blù operina per voci bianche e pianoforte ed. Amazom 2011 Foody come natura vuole per due voci, coro voci bianche e orchestra giovanile, commissione Regione Liguria per Expo2015, ed Sillabe

Fiabe musicali: Le sette serenate fiaba con canzoni ed. Fabbri 2003 Cappuccetto rosso fiaba per voci bianche e strumenti 2002 Cappuccetto e il lupo da Rohal Dahl, fiaba per voci bianche e strumenti 2006 Cantate il dono d’essere bambini cantata sui diritti dei bambini per voci bianche e sei strumenti, commissione Festival de Musique Sacrée de Nice 2009 Sotto lo stesso cielo per voce recitante e orchestra giovanile, commissione Ecce Gratum 2011 La ballata della Genesi per coro di voci bianche e pianoforte, commissione Torino Spiritualità 2011 Paolofischio fiaba per voce recitante, coro misto, coro voci bianche e pianoforte Commissione del Maggio Musicale Fiorentino 2012 Si fa sol in compagnia per voce recitante, voce cantante, coro voci bianche e strumenti, commissione Festival Mito 2013 L’Operina della luce per voce recitante, ballerina, flauto, clarinetto basso, marimba, commissione Gog, ed. Sillabe 2013 All’acquario con Sciolì per voce recitante, voci bianche, flauto, violino, cello e piano ed Sillabe 2015

SCRIVERE PER LA MUSICA: UN GRANDISSIMO DIVERTIMENTO |

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Dossier

Suono e parola tra prima e seconda pratica DI DARIO TABBIA Docente di Formazione corale e Direzione di coro al conservatorio di Torino

“All’inizio fu la Parola, e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio” Giovanni (1,1) Se esaminiamo le fonti disponibili relative alle cosmogonie più antiche non possiamo che restare stupiti dall’incredibile concordanza delle stesse sulla creazione dell’universo. Tutte concordano nel riconoscere un evento sonoro alla base della creazione stessa e, in particolare, un suono parlato, o gridato, o cantato. Solo nel corso della creazione, il cui processo si presenta come una materializzazione progressiva dei raggi del suono primordiale, i suoni acquistano un significato preciso e rappresentano parole e frasi semanticamente determinate e, infine, cose tangibili. L’essenza di tutte le cose è quindi sonora e il mondo non appare altro che musica pietrificata. Per il poeta filosofo Anandavardhana (sec. IX) il puro suono ha un grado di essenza maggiore della parola detta e rappresenta l’anima della poesia. La frase va pronunciata correttamente, con la giusta intonazione poetica, ma essa è altresì un mezzo per dire qualcosa di più profondo, perché l’ineffabile può essere comunicato solo attraverso il tono fondamentale che pervade l’intera poesia e che desta in noi ciò cui la parola allude. Il rapporto fra suono e parola è quindi alla base stessa della creazione e pertanto anche della storia dell’uomo. Quanto esposto finora lascia anche intendere quanti siano i possibili legami che il linguaggio crea con la scienza: filosofia, linguistica, fisica, fonetica e così via. Tuttavia nessuno specialista giunge a conoscere tutto del linguaggio: le sue definizioni non sono che un semplice frammento della verità globale. 20

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Umanesimo e Rinascimento Per comprendere il complesso rapporto fra musica e poesia che avvenne fra il XV e il XVI secolo è necessario ricordare quali avvenimenti rivoluzionari avvennero in quel tempo. Nasce innanzitutto un nuovo concetto di scienza che affonda le sue origini non più nei testi sacri ma nel grande libro della natura. Liberi da vincoli teologici, i nuovi scienziati percorreranno strade nuove che indurranno le principali corti italiane a diventare centri innovativi per la cultura e per l’arte. Il rinnovamento culturale vedrà l’uomo al centro del progetto esistenziale, arbitro della propria vita (“Libero e sovrano artefice di se stesso” affermò Pico della Mirandola nel suo “De hominis dignitate”). Tuttavia quella che sarà la rivoluzione più importante sarà quella legata al recupero della filosofia neoplatonica e che vedrà la imitatio naturae come vera fonte di ispirazione per tutti gli artisti. In altre parole nel Rinascimento nasce la convinzione che l’arte (qualunque essa sia) debba cercare di aderire alla realtà circostante come una sorta di calco perfetto. Compito dell’artista è quello di riprodurre ciò che è estraneo alla coscienza nel modo più fedele possibile, affidando al simbolo il compito di esprimere i concetti più profondi. Questo porterà la musica a stabilire legami strettissimi con la retorica che resteranno anche nei secoli successivi. Già Guido d’Arezzo (ca. 992-1050) aveva affermato nel Micrologus l’importanza di sottolineare l’intimo legame fra testo e musica: “Sarà inoltre opportuno che l’effetto del canto vada ad imitare il senso degli avvenimenti, cosicchè i neumi siano gravi nelle cose tristi, giocondi nelle tranquille ed esultanti in quelle prospere”. Questi concetti vengono portati avanti per tutto il Quattrocento per giungere ad una autentica esplosione di trattati che esplorano i rapporti fra il testo e la sua realizzazione musicale. Fra i tanti teorici ecco la testimonianza di Niccolò Vicentino (1511-1576) ne “L’antica musica ridotta alla moderna prattica”:


“La musica fatta sopra le parole, non è fatta altro se non per esprimere il concetto, et le passioni et gli affetti di quelle con l’armonia; et se le parole parleranno di modestia, nella composizione si procederà modestamente et non infuriato; et d’allegrezza non si faccia la musica mesta; et se di mestizia non si componga allegra”.

Anche Gioseffo Zarlino (1517-1590) concorda nelle sue Istitutioni armoniche: “Non sarà lecito al Musico di accompagnare queste due cose, cioè l’Harmonia e le Parole insieme, fuor di proposito”

Es. 1 Jacob Arcadelt: madrigale Da bei rami scendea SUONO E PAROLA TRA PRIMA E SECONDA PRATICA |

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Sarà proprio nel madrigale cinquecentesco che musica e poesia troveranno un connubio ideale e mai più superato. L’idea di trovare un modo di tradurre in musica il testo poetico condusse inevitabilmente agli inizi a soluzioni molto semplici se non addirittura ingenue. Basti pensare alla corrispondenza delle cadenze musicali alla struttura in rima delle poesie: nell’esempio riportato si noterà come alla rima baciata scendea-sedea corrisponde la stessa cadenza in sol, mentre quella grembo-nembo viene realizzata usando la stessa armonia di do. La stessa armonia viene quindi usata per sottolineare l’assonanza della rima poetica. Allo stesso modo ecco comparire i primi disegni musicali che nei tempi moderni sono stati denominati madrigalismi. Si tratta di melodie il cui andamento grafico sul pentagramma tende a ricordare la parola in questione. Furono pertanto esplorate anche le possibilità pittoriche e figurative che i segni sul pentagramma erano in grado di offrire. Ecco così che una serie note ascendenti poteva associarsi a parole come “levarsi” o “sorge” mentre se discendenti potevano descrivere “terra”, “pianto” e così via. In un primo periodo addirittura termini come “notte” venivano realizzati annerendo le figure musicali, incuranti che l’effetto derivante fosse quello di velocizzare il passo in questione.

Es. 3 Claudio Monteverdi: madrigale Ch’io t’ami 22

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Es. 2a Luca Marenzio: madrigale Dolorosi martir

Es. 2b Luca Marenzio: mottetto Estote fortes

Es. 2c Cipriano De Rore: madrigale Ben qui si mostra ‘l ciel

Oltre a una melodia che si svolge per gradi congiunti (curvilinea) troviamo anche esempi di linee spezzate, come nel seguente esempio che si trova nel madrigale “Ch’io t’ami” di Claudio Monteverdi:


In realtà questo procedimento rientrava perfettamente nell’ideale estetico della imitatio naturae di cui si è accennato. Non solo musica quindi, ma anche disegno rafforzativo dell’immagine poetica stessa. Il tutto con lo scopo di coinvolgere l’esecutore al massimo grado di comprensione del testo consentendogli pertanto una immedesimazione totale con la scrittura poetico-musicale.

I testi poetici All’inizio della sua fortuna il madrigale rinascimentale trovò il suo poeta preferito in Francesco Petrarca. La sua poesia affascinò i musicisti rinascimentali per la naturale musicalità dei suoi versi e le sue opere furono musicate innumerevoli volte. Ma fu in realtà Pietro Bembo a riproporre una lettura nuova dell’opera del poeta in una chiave che rappresentò la vera svolta nel modo in cui leggere i versi del Petrarca. Bembo si accorse che la naturale combinazione metrica unita al suono naturale di certe parole creava effetti di gravità, allegrezza, mestizia indipendentemente dal significato semantico delle parole stesse. La regolare successione di accenti tonici rendeva di per sé il verso allegro o triste, fino a intuire una sorta di fonosimbolismo del linguaggio nel quale è il suono delle parole a rendere l’immagine del testo. Basti pensare al celeberrimo “Chiare, fresche e dolc’acque” dove i suoni vocalici congiunti all’articolazione delle consonanti rievocano i suoni dello scorrere delle acque in un torrente. Chiunque in quel periodo si accingesse a scrivere versi lo faceva seguendo lo stile del Petrarca e dei suoi seguaci

e questo fenomeno circolò anche fuori Italia. Tuttavia, nel corso del ‘500 i musicisti scelsero altri poeti a base delle loro composizioni. Questo si spiega con il crescente entusiasmo e del successo che i compositori ottennero nel riuscire a tradurre con artifici musicali quelli retorici del testo poetico. Il musico si sentiva pronto a nuove e sempre più appassionanti sfide: non più un semplice motivo-parola, ma una azione completa se non addirittura a una vera e propria scena rappresentativa. Ecco perché il teatro musicale nasce come esasperazione espressiva del madrigale. Il compositore necessita quindi di testi più “forti” , più intensi, più emozionanti. I nuovi poeti avranno i nomi di Ariosto, Tasso, Guarini, Rinuccini. La principale differenza fra gli argomenti e i sentimenti rinascimentali rispetto a quelli barocchi è l’intensità esasperata dei secondi rispetto ai primi. Non si tratta quindi di testi diversi, ma di maggiore intensità degli stessi: dal punto di vista compositivo questo provocherà innanzitutto una maggiore attenzione alla armonia rispetto alla melodia. Mentre quest’ultima otterrà una libertà sempre maggiore al fine di avvicinarla il più possibile alla naturale declamazione del testo, la componente armonica diventerà uno strumento formidabile per la velocità con la quale riesce a rappresentare una emozione. La melodia, nel suo sviluppo orizzontale, necessita ovviamente di un tempo maggiore rispetto al fulmineo impatto che un accordo può suscitare nelle orecchie dell’ascoltatore. È fondamentale ricordare che, al tempo, i poeti erano abituati a declamare in presenza della corte le loro opere e l’ascolto di queste letture non può non aver a sua volta

Es. 4 Claudio Monteverdi: madrigale Si ch’io vorrei morire SUONO E PAROLA TRA PRIMA E SECONDA PRATICA |

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condizionato i musici presenti che, a loro volta, cercarono tecniche compositive in grado di rendere l’idea di un tono declamatorio, non privo di enfasi retoriche. L’improvviso innalzarsi o inabissarsi della melodia non sarà più associato al significato della singola parola, ma a indicare un infervorarsi del tono declamatorio o l’improvviso sussurro con il quale viene enfatizzato il verso. Allo stesso modo la scelta delle tessiture (voci che declamano in acuto o al grave) suggerirà l’enfasi oratoria con la quale leggere il testo. Nel seguente celebre madrigale di Monteverdi appare chiaramente come la tessitura delle voci suggerisca quasi non solo l’espressione ma anche il volume della declamazione stessa (vedi Es. 4). Nel corso dei decenni questo sarà ancora più evidente quando la melodia si arricchirà di ampi intervalli, quasi a suggerire un piano subito o una esclamazione improvvisa:

Es. 5 Sigismondo D’India: madrigale “Ferir quel petto, Silvio?”

Il linguaggio usato dai compositori nel corso del XVI secolo si arricchirà di sempre più ardite soluzioni melodiche e armoniche pur di soddisfare le esigenze espressive dei testi poetici fino ad arrivare nei primi decenni del ‘600 a una grandissima libertà compositiva. Punto di svolta nella interpretazione musicale fu sicuramente l’avvento della celebre seconda prattica, così come la definì Monteverdi all’interno della famosa disputa con l’Artusi. Come è noto la rivoluzione del rapporto fra musica e testo avvenne rovesciando l’importanza fra le due forme di espressione. Se per molta parte del ‘500 fu la musica a essere protagonista delle attenzioni del compositore, ora le sue cure furono rivolte a mettere l’harmonia al servizio della parola. Nel 1600 viene dato alle stampe il trattato sotto forma di dialogo “L’Artusi overo le imperfettioni della moderna musica”. Da quello che si legge attraverso il dialogo di due gentiluomini, appare chiaro che il primo impatto con la materia sonora avvenga solo grazie alla percezione sensoriale dell’udito che la riceva e la valuta, mentre all’intelletto, attraverso l’analisi della forma e delle proporzioni, spetta il compito di confermare la bontà dell’impressione ricevuta. Ma la parte più interessante è quella dove si discute delle cosiddette imperfettioni della musica moderna: “Heri (...) fui da alcuni Gentiluomini invitato a sentire certi madrigali nuovi (...) Fu taciuto il nome dell’autore: era la tessitura non ingrata, se bene (...) introduce nuove Regole, nuovi modi e nuova frase nel dire, sono però aspri, e all’udito poco piacevoli, né possono essere altrimenti; perché mentre si trasgrediscono le buone regole (...)”. A questo punto vengono proposte alcune battute dei madrigali in questione a dimostrazione della avvenuta trasgressione delle buone regole fra le quali, in particolare, l’uso libero e spregiudicato delle dissonanze usate senza preparazione. Pur senza nominarlo è noto che il compositore in questione fosse Claudio Monteverdi. La risposta del compositore avvenne 24

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per bocca del fratello Giulio Cesare Monteverdi nella “Dichiarazione della Lettera stampata nel Quinto Libro de’ Madrigali” (1603). In essa si dichiara ufficialmente: “Prima pratica intende che sia quella che versa intorno alla perfezione dell’armonia, ciè che considera l’armonia non comandata ma comandante, e non serva ma signora dell’oratione (...): Seconda prattica (...) intende che sia quella che versa intorno alla perfezione della melodia cioè che considera l’armonia comandata e non comandante e per signora dell’armonia pone l’oratione”. Questa nuova poetica della musica determinerà un cambiamento irreversibile nel rapporto testo-musica non solo nella forma del madrigale. L’idea veramente rivoluzionaria consiste in una nuova estetica che ribalta il concetto del “bello” in arte. Quello che sarà apprezzato a partire dai primi anni del ‘600 non sarà più l’ordine del contrappunto, l’esattezza della forma o delle proporzioni, ma ciò che più si avvicina al realismo dell’emozione umana, senza finzioni e senza ipocrisie. Non poteva che essere Monteverdi l’autore dei “Madrigali guerrieri e amorosi” celebrati nell’Ottavo Libro. Sentimenti e situazioni come odio, rancore, guerra, dolore troveranno finalmente spazio e voce e per farlo sarà necessario ricorrere a dissonanze mai udite prima, senza preparazione al fine di renderle ancora

più aspre ma, finalmente, vere e credibili. Quello che Monteverdi rimproverò all’Artusi non furono le critiche, ma l’aver pubblicato quegli esempi privi del testo. Sarà la situazione poetica aspra e drammatica a giustificare una scrittura musicale innovativa e spregiudicata. Senza quelle parole non ci sarebbero quelle armonie, quel ritmo, quella tensione musicale. La nuova estetica sarà “il brutto è bello” perché “bello” corrisponderà alla verità poetica, a ciò che si avvicina davvero alla realtà dei sentimenti quotidiani. Tutto questo determinerà un cambiamento radicale nella scelta dei testi: non più solo singole liriche o componimenti sciolti ma interi passi tratti dalle Commedie o Poemi quali ad esempio, “Il Pastor fido” del Guarini o la “Gerusalemme liberata” del Tasso. Al compositore serve più spazio di quello offerto da una singola poesia: ora gli necessitano vere e proprie scene e questo nuovo tipo di letteratura ne offriva in abbondanza. Ecco allora che la scrittura tende a caricarsi di colori nuovi, la scrittura diventa più cromatica e meno diatonica al fine di rappresentare al meglio queste grandi scene liriche, quasi una sorta di “Teatro prima del teatro”. Nascono madrigali in più parti che descrivono più momenti della stessa azione fino ad arrivare a una anticipazione di una scena lirica vera e propria come avviene nel “Combattimento di Tancredi e Clorinda” nell’Ottavo libro di Monteverdi.

Gesualdo da Venosa Al termine di questo rapido excursus sul rapporto testomusica nel madrigale cinquecentesco non è possibile ignorare l’opera di Gesualdo da Venosa. L’arditezza delle sue composizioni da moltissimo tempo infiamma e divide gli studiosi più esperti. Molti sono stati i tentavi di “spiegare” uno stile che non ebbe seguaci, né poteva averne. L’errore più grossolano consiste nel vedere nella sua opera una anticipazione della atonalità moderna, un precursore dei tempi, un geniale e folle sperimentatore che aveva già intuito la disgregazione tonale come mezzo espressivo. In realtà la tradizione sulla quale si costruisce la tecnica cromatica di Gesualdo è quella del contrappunto modale, né poteva essere diversamente. I suoi madrigali, come affermò Carl Dahlhaus, “Sono delle opere innegabilmente compiute, non dei tentativi e si pongono a conclusione di un periodo, non ai suoi inizi”1. Gesualdo porterà alle estreme conseguenze la tecnica di Claudio Monteverdi, dipinto di Bernardo Strozzi, ca. 1640

1. Carl Dalhaus, “Il cromatismo di Gesualdo” in “Il madrigale fra Cinque e Seicento” a cura di Paolo Fabbri, Ed. Il Mulino, 1988

SUONO E PAROLA TRA PRIMA E SECONDA PRATICA |

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usare le alterazioni come intensificazione espressiva della parola stessa. I compositori già da molto tempo avevano usato i segni di diesis e bemolle in accordo con la tensione espressiva richiesta dalla parola e della tensione del tono muscolare ad essa sottinteso. Si poteva realizzare la parola “piango” con uso di bemolle a indicare una tristezza, una malinconia, un indebolimento dovuto allo sconforto, ma anche musicarlo con un diesis per sottolineare quanto bruciante fosse ancora la causa di questo pianto. Ecco allora che possiamo individuare nelle alterazioni cromatiche una anticipazione delle indicazioni dinamiche sulla partitura: con la nuova estetica legata alla teoria degli affetti e alla seconda prattica le alterazioni non indicano più solo un innalzamento o abbassamento semitonale nella melodia, ma un modo di cantarla, suggerendo all’interprete l’intensità con la quale porgere il testo. In Carlo Gesualdo il cromatismo viene spesso usato come intensificazione di un concetto per renderlo ancora più vivido e drammatico. Nell’esempio

Es. 6 Gesualdo da Venosa: madrigale Io pur respiro. 26

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seguente tratto dal madrigale “Io pur respiro” (“Sesto libro di madrigali a 5 voci”) basta leggere il passo “O dispietato core?” privo delle alterazioni (correggendo solo il si in si bemolle) scoprendo che è perfettamente in linea con la scrittura della prima pratica. Inserendo le alterazioni di Gesualdo lo stesso frammento acquista una potenza espressiva sconvolgente perché lascia intuire il modo con il quale esso deve essere restituito all’ascoltatore. Il rapporto fra testo e musica rimane a tutt’oggi vivo e in continua trasformazione e come ogni cosa è stato modificato dalle esigenze sociali e culturali delle varie epoche. Da sempre alla base della composizione vocale continuerà a evolversi, in una metamorfosi interminabile che non finirà mai di affascinarci ed emozionarci.



Dossier

Il testo nel Canto Gregoriano

Due contributi a cura di allievi della Scuola di Canto Gregoriano – AERCO

DI ALESSIO ROMEO

Uno sguardo al Proprium Missæ Nello studio della musica vocale, la disamina approfondita del testo impiegato va considerata premessa irrinunciabile alla comprensione dell’oggetto musicale e lo è tanto più nel caso del canto gregoriano, non solo in virtù dello stretto rapporto tra parola e musica, ma innanzitutto in considerazione della sua collocazione liturgica. Infatti, a dispetto dell’abitudine oggi assai diffusa di considerare gli inserti musicali della liturgia mero intermezzo, la mole di studi che ha seguito la renaissance gregoriana dei monaci benedettini di Solesmes ha invece messo in luce la funzione eminentemente esegetico-liturgica dei canti gregoriani. Detto altrimenti, il repertorio gregoriano – specialmente i canti del proprium missae appartenenti al cosiddetto “fondo primitivo” – non si limita ad amplificare o adornare il testo sacro, ma mira, attraverso strategie testuali, compositive e di fraseggio, a darne interpretazione. In questa prospettiva ci si rende dunque conto che lo studio dei testi impiegati e degli atteggiamenti con cui gli anonimi estensori dei canti vi hanno lavorato assume una importanza capitale poiché, come ricordano Rampi e De Lillo, «la composizione testuale equivale a una sorta di predisposizione tesa a realizzare una efficace presentazione con gli strumenti

propri dell’arte retorica» e «il testo biblico, considerato a partire dalla sua materialità, subisce un primo fondamentale orientamento di carattere letterario che produce ripercussioni significative – diremmo anzi decisive – in ambito compositivo» [F. Rampi-A. De Lillo, Nella mente del notatore, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2019, pag. 20]. Per tale motivo in questa sede ci si soffermerà proprio sui procedimenti di composizione testuale, esponendo in modo sintetico gli atteggiamenti fondamentali cui possono essere ricondotte le tecniche di elaborazione delle fonti del canto gregoriano. Sarà tuttavia opportuna un’ultima avvertenza preliminare. Nonostante la visione ravvicinata e assai circoscritta a cui ci si atterrà in questo contesto, ogni canto andrebbe studiato non solo a partire dalla sua specifica collocazione nella messa del giorno cui appartiene, ma anche in considerazione del suo Tempo liturgico. È sempre bene, infatti, tenere in debita considerazione il fatto che ciascun canto è posto in relazione a un progetto complessivo e che, se lo spostamento di sede di taluni canti dovuto alla plurisecolare stratificazione del rito, all’inserzione di nuove festività e alla mutata organizzazione dell’anno liturgico ne rende talvolta più arduo lo studio, è sempre necessario farvi riferimento. La fonte principale del repertorio gregoriano è il salterio; nondimeno sono presenti anche altri fonti, tanto dell’Antico quanto del Nuovo Testamento. A partire dalla fonte scelta, il progetto testuale può per semplificazione essere ricondotto a quattro tecniche fondamentali, che

Communio Oportet te Oportet te fili gaudere, quia frater tuus mortus fuerat, et revixit, perierat et inventus est.

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Bisogna che tu gioisca, figlio, poiché tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.


saranno trattate in modo specifico. Tecnica assai comune è l’estrapolazione di una porzione di testo al fine di metterne in rilievo il significato. Ciò è particolarmente vero per gli estratti di parabole o narrazioni evangeliche, di cui esempio è il communio Oportet te. Un altro esempio, la cui fonte questa volta è tratta dal salterio, è un altro communio, quello della Missa ad noctem Natalis, che intona un versetto, il terzo, estrapolato dal salmo 109. Missa ad noctem Natalis, versetto terzo, dal salmo 109

In splendoribus sanctorum, ex utero ante luciferum genui te.

Tra gli splendori delle santità, ti ho generato dal mio ventre prima dell’alba.

Il salmo, indirizzato al re degli ebrei, era stato interpretato fin dai primi secoli del Cristianesimo in senso cristologico, e certo la scelta di un testo già fortemente connotato da preesistenti interpretazioni pone in rilievo la lettura figurale. Non a caso la stessa porzione di testo era già stata intonata nel graduale Tecum principium, secondo la prassi della ruminatio tipica della lectio divina. Altra tecnica frequente è l’aggiunta o l’omissione di porzioni testuali. In molte di queste occorrenze risalta in modo ancora più evidente la funzione liturgico-esegetica del canto gregoriano. In questi casi si ha l’impressione, infatti, come notano Rampi e De Lillo, che «la liturgia stessa osi in qualche modo ‘forzare’ lo ‘sta scritto’ al fine di ottenerne una comprensione più profonda» [cit., ibidem], dal momento che tendono a chiarire il significato di una lettera altrimenti di più incerta interpretazione. Un esempio assai noto è l’antifona Quinque prudentes virgines, il cui testo è tratto da Mt. 25, 4.6. Il confronto tra la fonte e il testo renderà chiarezza della minima quanto cruciale aggiunta, messa in rilievo dal corpo in grassetto – in corsivo nella fonte le porzioni di testo estrapolate: Antifona Quinque prudentes virgines

Quinque autem ex eis erant fatuæ, et quinque prudentes: sed quinque fatuæ, acceptis lampadibus, non sumpserunt oleum secum : prudentes vero acceperunt oleum in vasis suis cum lampadibus. Moram autem faciente sponso, dormitaverunt omnes et dormierunt. Media autem nocte clamor factus est : Ecce sponsus venit, exite obviam ei.

Quinque prudentes virgines acceperunt oleum in vasis suis cum lampadibus: media autem nocte clamor factus est. Ecce sponsus venit : exite obviam Christo Domino.

Se le omissioni sono spinte dall’esigenza di contenere la lunghezza del testo e di porre attenzione all’esempio virtuoso delle prudentes virgines, non c’è dubbio invece che l’aggiunta conclusiva di Christo Domino assuma un significato decisivo dal punto di visto esegetico, esplicitando in modo evidente l’interpretazione della parabola e la conseguente lettura: lo sposo non può che essere Cristo, e la lampada la luce della fede. Benché esuli dalle strette finalità del presente contributo, è opportuno notare come le aggiunte siano generalmente poste in grande rilievo nel contesto musicale: in questo caso per mezzo di un neuma assai articolato posto sulla seconda sillaba di Christo:

IL TESTO NEL CANTO GREGORIANO |

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Il termine centonizzazione ha origine dal sostantivo medievale cento, -onis, usato per indicare un panno formato da pezzi di stoffe differenti cuciti insieme, ed è tradizionalmente impiegato negli studi gregoriani a proposito di tecniche modali e compositive– si pensi ai graduali in II modo sul La – non meno che testuali, al punto che non è errato affermare che tale pratica si configurasse quale vera e propria forma mentis degli estensori dei canti. Dal punto di vista testuale, la centonizzazione mira essenzialmente a ricondurre al testo musicato tutti gli aspetti fondamentali della fonte scelta. Un esempio assai evidente è il communio domenicale della quinta settimana di Quaresima, incentrato sulla resurrezione di Lazzaro, tratta da Gv 11.1-44. L’estensore del testo ha estrapolato alcuni passi tratti dai versetti 33, 35, 43, 44 e 39, riuscendo così a esporre in una sintesi di estrema efficacia gli eventi: Communio domenicale della quinta settimana di Quaresima, alcuni passi tratti dai versetti 33, 35, 43, 44 e 39.

Videns Dominus flentes sorores Lazari ad monumentum, lacrimatus est coram Iudaeis et clamabat: Lazare, veni foras. Et prodiit ligatis manibus et pedibus, qui fuerat quatriduanus mortuus.

Il Signore, vedendo le sorelle di Lazzaro piangenti vicino alla tomba, iniziò a piangere davanti ai Giudei e disse ad alta voce: “Lazzaro, vieni fuori!” E lui, che era morto da quattro giorni, uscì con le mani e i piedi legati.

L’ultima tecnica individuabile, spesso coesistente con altre già viste, è la rielaborazione della fonte. Un simile atteggiamento può per certi versi destare stupore, trattandosi di modifiche talvolta consistenti rispetto al testo sacro. Si prenda a titolo di esempio l’introito domenicale della seconda settimana di Avvento, Populus Sion, il cui testo originario è tolto da Is. 30, 19-20: Populus Sion , Introito domenicale della seconda settimana di Avvento 19Popolus enim in Sion habitabit in Jerusalem: plrans neququam plorabis, miserans miserebitur tui : […] 30Et auditam faciet Dominus gloriam vocis suae, et terrorem brachii sui ostendet in combination furoris, et flamma ignis devorantis ; […]

Popolus Sion, ecce Dominus veniet ad salvandas gentes; et auditam faciet Dominus gloriam vocis suae, in laetitia cordis vestri.

Se per economia di spazio si è omessa la trascrizione integrale del passo originario, la porzione di testo presentata è sufficiente a rendere conto del lavoro operato. La modifica stupisce soprattutto considerando che il passo originario invoca la vendetta divina contro l’Assiria in protezione di Israele, ma nel testo cantato i cambiamenti sono tali da indurre a una modifica radicale del significato. L’omissione di qualsiasi riferimento alla vendetta divina e l’inserimento di ad salvandas gentes indirizza il testo verso un messaggio di salvazione, rafforzato dall’ecumenismo di ad gentes. Al di là della vistosa virata nell’orientamento esegetico del testo, una scelta simile si spiega anche tramite una visione di insieme, rendendo opportuno il richiamo alla necessità prima accennata di accostarsi a ogni singolo canto considerandone non solo la collocazione nel giorno, ma nel Tempo: Popolus Sion è infatti l’antifona di introito della seconda domenica di avvento, e si configura quale complemento dei canti della domenica precedente, i cui testi rivolgevano a Dio a partire dagli universi qui te expectant, tutti coloro che attendono la sua venuta. L’osservazione degli esempi proposti rende evidente, in conclusione, come nel canto gregoriano i meccanismi di selezione e le tecniche di elaborazione testuale delle fonti siano già a tutti gli effetti un atto del processo compositivo e, ancor prima, del progetto esegetico complessivo degli anonimi estensori dei canti. Lo studio degli aspetti più strettamente musicali è dunque pienamente possibile solo a partire dalla completa comprensione dei procedimenti di selezione testuale adottati, senza la quale l’intendimento dei canti si rivelerebbe irrimediabilmente incompleto. 30

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DI CORA CANINI

A proposito di Inni Il presente contributo si configura come una sintesi delle lezioni dedicate all’innodia tenute dal prof. Angelo Corno per la Scuola di Canto Gregoriano – AERCO. I testi dell’Ufficio si basano sul Corpus Antiphonalium Officii contenente i testi dagli Antifonali medievali destinati al canto. Solo uno dei manoscritti dell’Ufficio risale all’epoca antica dei sei antifonari della messa: Compiègne (seconda metà del secolo IX) che include sia il testo della messa che quello dell’Ufficio senza notazione musicale. I volumi contengono: i codici di cursus romano; i codici di cursus monastico; i testi; le fonti e il loro riordino. L’antica tradizione ebraica comprendeva due momenti di preghiera giornaliera. La preghiera degli apostoli, corrispondeva alle ore degli olocausti mattutini e serali. Le tradizioni corrispondono nei due momenti di preghiera comunitaria quotidiana.

Clemente Alessandrino parla di tre momenti di preghiera da aggiungere a quelli tradizionali. Corrispondono alla divisione della giornata di lavoro del mondo greco-romano: terza, sesta, nona; un’allusione alla Trinità. Stabilisce un rapporto tra la rinascita del giorno e una celebrazione di preghiera. Tertulliano sostituisce gli olocausti con l’orazione come sacrificio spirituale. La Traditio Apostolica giustifica le tre ore diurne in riferimento ai tre momenti della Passione di Cristo. L’ora mattutina assume un significato risurrezionale rendendo il Mistero Pasquale un’unità inscindibile. Origene parla di un’orazione continua e aggiunge alle tre ore diurne una veglia notturna. Cipriano aggiunge che l’orazione deve essere protratta anche di notte. Per anticipare la beatitudine eterna bisogna sempre rimanere nella luce di Cristo. Agostino stabilisce una stretta connessione tra sacrificium vespertinum e munus matutinum del salmo 140 con la morte e la risurrezione di Cristo. A partire dalla Traditio Apostolica si pone il valore di uno schema per ogni celebrazione per guidare i fedeli ad una piena partecipazione. Le Constitutiones Apostolorum offrono uno schema ben definito per le due ore principali: Vespro e Ufficio

A PROPOSITO DI INNI |

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Mattutino, perfettamente simmetrici. Iniziano con un salmo, seguono orazioni, monizioni, preghiera dei fedeli, benedizione e congedo. Le ore più antiche e importanti sono il Vespro e l’Ufficio Mattutino. Dalle fonti non si conoscono bene gli schemi dell’Ufficio romano antico. Il Vespro era costituito da cinque salmi, Magnificat, oratio. L’Ufficio Mattutino è costituito da Miserere, Psalmus matutinus (variabilis), Psalmus matutinus 62 e 66, Canticum V.T., salmi Laudate, Benedictus, oratio. Il Magnificat ha valore purificatorio. I tre salmi Laudate daranno il nome alle Laudes diventando la triade inseparabile dell’Ufficio Mattutino. La salmodia dei Vespri rispondeva al criterio del currente psalterio. Il tema vespertino è rappresentato dal salmo 140,2 per l’offerta dell’incenso che si compiva al tempio di sera. Il tema lucernario è preso dal salmo 109. Il Benedictus trova la propria collocazione alle Lodi, il Magnificat al Vespro, il Nunc dimittis a Compieta. San Benedetto segue il rito romano, ma la Regola non parla del Nunc dimittis. Benedetto prevede che si preghi sette volte al giorno e una volta nella notte. Introduce l’inno Deus in adiutorium che apre la preghiera delle ore, mentre sceglie il versetto Domine labia mea aperies per aprire le vigilie. Si ha l’impiego del versus, preso dal salmo del giorno, esaltandone il tema dominante, collocato dopo gli inni del Vespro e dell’Ufficio Mattutino, come conclusione del primo e secondo notturno e dopo la lettura breve delle ore minori e della Compieta. Ai versus seguono i responsoriola, che sono gli stessi versus con una risposta più estesa. Distribuisce i 150 salmi lungo l’arco di una settimana in quanto nucleo centrale della Liturgia delle Ore. Il Vespro all’epoca di Benedetto è sostanzialmente quello dell’attuale Vespro nel rito romano. Se si sostituisce il

Magnificat con il Benedictus si ha lo schema delle Lodi. All’origine il versus era cantato esclusivamente dal solista con il coro che rispondeva. Più diventerà importante, più sarà ornato. Il responsorio assume il carattere di canto meditativo: la risposta viene generata dall’ascolto della Parola. Entrambe le forme richiedono una risposta, ma, se il versus ne ha bisogno per completare il senso di ciò che viene enunciato, il responsorio, non aggiunge significato, esprimendo consenso ed adesione del popolo, che si unisce al coro per cantare il responsum a latere. La cantillazione è la più antica forma melodica in cui la parola ha la preponderanza sulla musica. Il testo viene suddiviso in unità logiche e sintattiche attraverso la scrittura ecfonetica, per ricordare al cantore formule già note. Rivela la propria struttura, organizzata in incisi verbali ben definiti, assumendo una scansione ritmica adeguata e diventando “vivo”. Viene indicato il profilo melodico sul quale si regge la proclamazione del testo ed assegnate le inflessioni della voce per le cadenze. Le interpunzioni melodiche (pausationes) erano per lo più: flexa, metrum, punctum interrogationis, punctum versus. Talvolta viene associato un lungo melisma posto sulla sillaba finale della penultima distinzione logica della frase: un’antica forma di iubilus che sarà assunta dal solista nel Tractus, nei versetti del Graduale e sulla sillaba finale dell’Alleluia. La salmodia si avvale delle strutture tipiche della cantillazione codificandole in forme e stili diversi e più articolati. Nella salmodia diretta il cantore proclama il salmo dall’inizio alla fine. In alcuni manoscritti viene avvertito del passaggio dalla lettura al canto tramite hic mutas sonum. Nel repertorio della Messa vi sono forme più ornate di salmodia direttanea, senza alcun intercalare: i tractus


nelle domeniche di Quaresima e i cantica che seguono le letture della Veglia Pasquale. La salmodia responsoriale segna un’altra tappa importante dello sviluppo della musica cristiana, a partire da Atanasio (metà IV secolo); prevede l’intervento attivo del popolo nella salmodia. Benedetto usa il termine antiphona per indicare la salmodia responsoriale. La salmodia antifonica all’origine riguardava l’alternanza di timbri vocali. Le comunità monastiche alternavano i versetti dei salmi dividendosi in due cori in posizione frontale. Quando il testo del ritornello sarà ampliato e assumerà un più ricco rivestimento melodico, verrà cantato da tutto il coro soltanto all’inizio e alla fine del salmo diventando l’antifona, inizialmente composta a servizio esclusivo del salmo. La forma antifonica, nella sua forma più elaborata, si trova nei canti della Messa; il contesto celebrativo solenne impone che l’antifona prenda il sopravvento sulla salmodia, mentre nell’Ufficio è relegata ad aprire e chiudere la salmodia, parte sostanziale della celebrazione delle Ore. Il cursus planus porta un caso particolare di cadenza della salmodia. Il cursus è una successione armoniosa di parole e sillabe che i prosatori greci e latini impiegavano alla fine delle frasi per colpire gli ascoltatori. La quantità e l’accento determinano il ritmo. Tra il III e il IV secolo si abbandona progressivamente la quantità della prosodia classica per accogliere l’accento della parola. In questa fase si ha la coesistenza dei due tipi di cursus: metrico e ritmico (tonico). Gli inni ambrosiani (fine IV secolo) sono un esempio dell’innovazione compositiva e musicale introdotta dal Padre della Chiesa di Milano. Ambrogio scelse il dimetro giambico imponendosi in tutto l’occidente come una forma poetica e musicale semplice nella forma, profonda nel contenuto, maggiormente rispettosa del ritmo naturale della parola. L’accento prende il sopravvento sulla quantità. Si contano le sillabe,

non le si misura più. Il ritmo riconosce due piedi: spondeo, formato da una sillaba accentata e una atona; dattilo, composto da una sillaba forte e due deboli. Ogni parola di due sillabe è considerata spondeo. Le parole che hanno l’accento sulla penultima sillaba sono parossitone. Ogni parola di tre sillabe, di cui la penultima è breve, è chiamata dattilo al quale si assimilano tre piedi con sillabe lunghe e brevi diversamente ripartite. I cursus in uso nel V-VI secolo sono: planus, tardus, trispondaicus, velox. Nell’XI e XII secolo furono ridotti a tre rimuovendo il trispondaicus. L’accento tonico ha influenzato la formazione melodica degli inni, dei recitativi liturgici, delle orazioni, dei prefazi, delle cadenze mediane e finali della salmodia semplice a uno o due accenti. Un gran numero di cadenze fu modellato sul cursus planus per la sua armoniosità e gradevolezza, fatto di due curve melodico-ritmiche distinte da una cesura, fu scelto dai compositori gregoriani per adattarlo anche alle cadenze della salmodia dell’introito e del communio. Questa cadenza viene chiamata pentasillabica. Nella salmodia prevale l’integrità del ritmo musicale, ritenuto un principio superiore alla concordanza tra testo e melodia. Ambrogio introdusse un’innovazione significativa dal punto di vista letterario, musicale e teologico per: la scelta metrica del dimetro giambico; lo stile sillabico della melodia; il costante riferimento alla Sacra Scrittura. Il dimetro giambico, ha successioni sillabiche regolari e favorisce la coincidenza dell’accento tonico con l’accento prosodico. La ritmica, dalla quantità, passa all’accento tonico. Ambrogio elabora anche uno schema poetico fisso: 8 sillabe per ogni verso, 4 versi per ogni strofa, 8 strofe per formare un inno: rimanda al giorno senza fine! Gli inni sono isostrofici, isosillabici, isoritmici. La tradizione tramanda che gli inni composti da Ambrogio siano tredici, ma solo quattro sono certamente suoi. Il contenuto è teologico, ma unito a osservazioni tratte dalla bellezza della natura e dalla concretezza della vita quotidiana. La forma innica è un elemento dell’Ufficio Divino che per sua natura esige il canto. Ambrogio fu anche autore della musica dei suoi inni e li insegnò al popolo a cui attribuiva una spirituale potenza contro le passioni. Nell’innodia l’integrità del ritmo musicale legata agli otto gruppi neumatici scelti per ogni verso è ritenuta un principio superiore all’integrità fonetica del testo e della sua legittima accentuazione.

A PROPOSITO DI INNI |

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Il personaggio

Il canto popolare e la sua elaborazione per coro Intervista a Daniele Venturi Giorgio Guiot DI SILVIA VACCHI

Daniele Venturi Daniele Venturi nasce a Porretta Terme (Bologna) nel 1971. Compositore e direttore di coro tra i più noti e apprezzati della sua generazione. Ha studiato composizione con Gérard Grisey, Giacomo Manzoni, Fabio Vacchi e Ivan Fedele e direzione d’orchestra con Piero Bellugi, diplomandosi in Musica corale e direzione di coro con Pier Paolo Scattolin e in Composizione. È fondatore e direttore del coro d’ispirazione popolare Gaudium (1992), dell’ensemble vocale Arsarmonica (2006) e di Voices 20/21 (2020). Ha in catalogo più di centosessanta composizioni

Le elaborazioni di canti di tradizione orale sono al centro dei repertori di moltissimi cori italiani di ispirazione popolare ma, sempre più frequentemente, compaiono anche nei programmi di cori polifonici o ensembles dediti a generi diversi come il vocal pop o il Novecento storico. La qualità dell’elaborazione è sicuramente il segreto della diffusione di molti di questi brani. Abbiamo deciso di parlare di canto popolare e della sua elaborazione con Daniele Venturi, compositore, direttore di coro e didatta che annovera tra le sue passate esperienze anche la ricerca etnomusicologica sul campo svolta nel proprio territorio di origine. Come è nato il tuo interesse per il canto popolare? È cominciato nell’ambiente domestico poiché io vengo da una famiglia di cantori popolari (sono stati importanti soprattutto i miei zii). Ho assimilato il canto fin dalla prima infanzia, molto prima di conoscere la musica e anche prima di conoscere la lingua italiana. Poi c’è stata l’esperienza corale: mio padre e mio fratello cantavano nel coro La Rocca di Gaggio Montano allora diretto da Paolo Bernardini (divenuto ricercatore dietro impulso di Giorgio Vacchi) e a un certo punto, ancora con la voce bianca, entrai a farne parte anche io come tenore primo. Cantavo con la vocalità spontanea che avevo imparato in

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IL PERSONAGGIO


scritte per i più disparati organici e oltre duecento elaborazioni corali di canti popolari. Suoi lavori sono stati trasmessi da enti radiofoniche e televisive quali: Radio 3 Rai, Radio Cemat, Radio Concertzender, Radio Klara, Radio France, Rai 3 televisione italiana, Radio Vaticana e RTVE Radio Clásica. La musica di Daniele Venturi fino al 2020 è pubblicata dalle edizioni Isuku Verlag, Sconfinarte, M.A.P., Feniarco, Taukay, Da Vinci e Stradivarius. Da maggio 2021 le sue composizioni sono pubblicate da Composers Edition. www.danieleventuri.com

famiglia. Era una vocalità caratteristica della mia zona. Non sempre i maestri di coro valorizzano queste particolarità, è più frequente che, alla ricerca del “bel suono” rischino di portare i propri cori ad una certa omologazione. Sono stati importanti anche i primi LP che ebbi occasione di ascoltare in casa: quelli di mio fratello, quasi tutti di cantautori italiani, e quelli di musica corale di mio padre. Si trattava di alcuni dischi del coro della SAT di Silvio Pedrotti e di uno dei primi LP del coro Stelutis “Nella vita di un uomo c’è sempre una canzone”. Fu lì che ritrovai un suono realmente popolare, di forte impatto e risentii canti che conoscevo già a memoria, magari con alcune varianti. Come scegli le melodie su cui lavorare? Segui dei criteri? Ne potrei distinguere due: il primo è sicuramente la mia memoria. Lavoro volentieri su melodie che ricordo da sempre e spesso cerco di creare i controcanti attingendo il materiale tematico da altri temi tradizionali. Il secondo è l’ascolto ripetuto nel tempo e l’inevitabile meccanismo di “filtraggio” che la memorizzazione spesso comporta sui brani che più amiamo. Ti faccio un esempio: per anni ho cercato di elaborare il canto popolare trentino Era sera senza togliergli la grazia e la leggerezza che lo caratterizzava. Una versione l’ho poi pubblicata nel mio volume Cantando un mondo perduto. In generale l’attività di elaborazione di temi popolari mi ha sempre accompagnato ed è stata quasi un “secondo conservatorio”.

Principali pubblicazioni discografiche ed editoriali di Daniele Venturi Quattro lembi di cielo, (CD, Bongiovanni, Bologna, 2009), Cantando un mondo perduto… (Edizioni M.A.P., Milano, 2012), New practical method of functional exercises for choir, (Isuku Verlag, Monaco, 2015), Nuovo metodo per la preparazione del musicista moderno, (Isuku Verlag, Monaco, 2016), Sacred Choral Works, (Isuku Verlag, Monaco, 2016), Puer natus, (CD, Da Vinci Classics, Osaka, 2018), Memorie Corali, (Isuku Verlag, Monaco, 2018), Raccolta di Bassi (Isuku Verlag, Monaco, 2020), Lumen, (CD, Stradivarius, Milano, 2021) e Il respiro del suono (Zecchini Editore, Varese, 2022).

Che atteggiamento hai nell’affrontare l’elaborazione per coro di un canto o di un frammento di tradizione orale?

Di grande rispetto, sicuramente. Ma anche di estrema attenzione al destinatario dell’elaborazione cioè il coro le cui caratteristiche devono sempre essere tenute presenti durante il lavoro di composizione. Perché un brano sia effettivamente eseguibile da un coro amatoriale bisogna rispettarne le caratteristiche (estensione vocale, cantabilità, ecc.) e non dimenticare la propedeuticità: anche un coro amatoriale può eseguire partiture impegnative ma deve esservi condotto con gradualità e sistematicità. Ci sono tematiche o tipologie di canti popolari su cui lavori più volentieri? Amo molto i canti di lavoro e le ballate, ma anche le ninne nanne e le serenate. Trovo interessanti anche i canti a contrasto e quelli, in generale, su cui posso lavorare sull’imitazione vocale degli strumenti. Prediligo melodie molto semplici che, comunque, non modifico mai in nessun modo. Nei limiti del possibile cerco anche di rispettare alcune modalità esecutive chiaramente derivanti da scale non temperate, per esempio con l’uso di glissandi.

IL CANTO POPOLARE E LA SUA ELABORAZIONE PER CORO |

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Ci sono tecniche compositive che ritieni, a priori, più adatte o meno a questo materiale?

sono riuscito ad apprezzarlo altrettanto. E tra i contemporanei chi apprezzi di più?

Forse proprio il contrappunto che deve essere usato con misura: il rischio è quello di appesantire invece che arricchire la melodia originale. Nella composizione di ostinati traggo sempre il materiale tematico dalla melodia principale stessa. Cerco anche di usare, a scopo di elaborazione, alcuni tratti tipici della prassi esecutiva dei gruppi spontanei come la contrapposizione solista coro e l’allungamento delle note finali delle frasi. Mi piace anche utilizzare collegamenti armonici non classici come il quinto grado seguito dal quarto o le quinte parallele. Ma tutto deve essere al servizio di un’idea di elaborazione che vada al di là della armonizzazione. Nelle ballate, per esempio, cerco di lavorare sui caratteri, sui personaggi. Non si può prescindere, in ogni caso, da ciò che ci insegna la pratica dell’accompagnamento che deve, per sua stessa natura, sostenere il tema evitando soluzioni armoniche troppo artificiose. L’uso di dissonanze credo sia giustificato nel canto popolare solo nella misura in cui costituisca una sorta di moderno madrigalismo. In questo ambito quali sono i compositori che ti hanno influenzato di più in passato? Non è facile rispondere. Da ragazzo ho ascoltato quasi compulsivamente tantissima musica. Oltre agli elaboratori della prima SAT ho apprezzato particolarmente alcuni lavori di Paolo Bon come il fortunato Le Roi Renaud. I suoi continui richiami all’arcaico e il frequente uso della modalità sono divenuti parte integrante del suo stile talvolta, va detto, con un po’ di forzatura. Ho apprezzato molto alcune delle elaborazioni per coro di Arturo Benedetti Michelangeli come Serafin. In altre come La mia bela la mi aspeta ci sono oggettive difficoltà esecutive che, per un coro amatoriale, non sono trascurabili. E infine Giorgio Vacchi. Chi, come me, viene dal mondo dei cantori popolari nell’ascoltare le sue elaborazioni ha subito capito che andavano nella direzione giusta. Si può dire che egli abbia scelto nel lavoro di elaborazione, la strada più impervia, cioè quella di amplificare il “clima”, l’atmosfera del canto popolare. Ricordo la suggestione di Addio addio, assai efficace. Giorgio Vacchi vi impiega alcune tecniche, come i glissandi, che amplificano gli stati d’animo già presenti nella melodia. Ho trovato molto interessante anche il primo De Marzi. In un brano come Le voci di Nikolajewka complesso ma ben costruito, abbiamo davvero l’illusione di sentire l’atmosfera del canto popolare nonostante si tratti di musica d’autore. Nel suo secondo periodo De Marzi ha scritto ancora tantissimo ma, forse anche per via dell’inflazionamento che ne è derivato, non 36

| IL PERSONAGGIO

È una domanda impegnativa. Non sempre mi trovo in sintonia con chi scrive musica originale (non elaborazioni di melodie tradizionali) in stile neotonale e con i minimalisti il cui successo, peraltro, non deve stupire. Ripetitività e semplicità sono elementi primordiali a cui anche l’ascoltatore più distratto non può resistere. Non è facile selezionare temi efficaci. In questo senso utilizzare il materiale popolare può essere un’arma in più perché permette di avere come punto di partenza una melodia dotata di carattere e forza. Scegliere la melodia giusta è determinante per evitare di cadere nello stereotipo o, peggio, nel “finto popolare”. Tra gli autori e gli elaboratori contemporanei apprezzo Marco Maiero e Giorgio Susana entrambi di mano assai felice. Se, tra le tue elaborazioni, dovessi sceglierne una che ti rappresenti al meglio? Per quali motivi? Sono legato ad alcuni dei primissimi canti su cui lavorai perché si trattava di melodie che desideravo elaborare da sempre. Le ho scelte perché le conoscevo personalmente avendole apprese in famiglia in forma di variante come nel caso di L’ora che canta il gallo, oppure di È partita una nave. In qualche caso ero rimasto affascinato dall’esecuzione che ne faceva l’informatore. Nella mia pubblicazione più ponderosa ce ne sono anche alcuni come Gli scariolanti che mi sono serviti per saggiare i miei limiti di compositore: riguardandolo molti anni dopo mi rendo conto che è veramente troppo complesso per un comune coro amatoriale. Se dovessi scegliere oggi, nel 2022, un brano in cui ritrovo un buon equilibrio direi sicuramente uno di quelli che ho elaborato per il mio coro Gaudium di Gaggio Montano come O cancellier. Lo conoscevo grazie ad un mio prozio che lo cantava spesso. È evidente che nello scrivere l’elaborazione corale di questo brano mi sia dovuto porre dei ben definiti limiti tecnici nella scrittura corale, dovuti all’eseguibilità del brano da parte di un gruppo di amatori. Vi ho impiegato alcune tecniche che ho usato molto anche in seguito come il pedale o l’utilizzo di doppi solisti. Anche nel brano Al bal dla lavandéra sono presenti tecniche compositive, come l’uso degli ostinati e la contrapposizione solisti e coro, che utilizzo molto volentieri perché rievocano le prassi esecutive dei gruppi spontanei. Analogamente ho fatto su altri due brani che amo molto come Nella città di Genova e Tre marinari. In altri brani contenuti nella raccolta Memorie corali pubblicata nell’anniversario della


Grande Guerra ho, invece, sperimentato una scrittura più articolata, prediligendo, come organico, il coro maschile. Per ciò che riguarda il numero delle voci che utilizzo nelle mie elaborazioni corali generalmente non supero le sei. Anche se, a dire il vero, nell’elaborazione del noto canto Sul ponte di Bassano, contenuta nella mia prima raccolta di elaborazioni, mi sono spinto fino a dodici voci reali, divise in tre cori battenti. Il canto popolare ha ancora un ruolo nella coralità odierna? È chiaro che, dal mio punto di vista, non posso far altro che rispondere di sì. Ho sempre amato il canto popolare e

posso dire che sia stato il mio primo vero apprendistato musicale. Mi rendo però conto che al giorno d’oggi la distinzione tra musica d’autore e musica popolare non è assolutamente chiara non solo al pubblico ma nemmeno a tanti musicisti, addetti ai lavori o politici. Scomparendo, un po’ alla volta, i depositari della tradizione orale tutto diventa più difficile. Erano gli anziani i principali informatori, senza la cui memoria la ricerca etnomusicologica sarebbe stata impossibile. Inoltre, non possiamo nascondere il fatto che il canto tradizionale nasce, per forza di cose, da un territorio e dalla comunità che lo abita con la sua cultura e le sue varianti dialettali diverse, a volte anche soltanto a pochi chilometri di distanza, da quelle dei paesi confinanti. IL CANTO POPOLARE E LA SUA ELABORAZIONE PER CORO |

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Questa ricchezza è alla base di ogni cultura come lo è stata, per esempio, nello sviluppo del cantautorato italiano e delle sue storiche “scuole” genovesi, romane, bolognesi. Questi stili si affermarono durante gli anni 70 e 80 non solo grazie ad alcune forti personalità ma anche perché traevano ispirazione dalle culture territoriali. Attualmente queste differenze tendono a scomparire sempre di più in nome di un’omologazione che non si diffonde solo nella produzione di musica di consumo ma anche in ambiti più di nicchia. Inoltre, il declino della musica dal vivo ha compromesso la vitalità dell’ambiente musicale che è stato una grande palestra e un luogo di scambio e di crescita per tanti musicisti. Oggi è molto diffuso l’orientamento a seguire pedissequamente alcune tendenze. La parola “contaminazione”, per esempio, non è più l’eccezione ma la regola, come se il canto popolare e di tradizione non avesse più un suo reale valore se non, appunto, contaminato con qualcosa di diverso, magari proveniente da un altro lontanissimo luogo del mondo. Anche in ambiti piuttosto specialistici come le associazioni corali regionali sembra che il repertorio di tradizione orale non possa venir proposto al pubblico se non estremamente “caricato” di spettacolarità di vario tipo e di “contaminazioni” (ancora una volta). Anche nella scuola, si sa, la pratica musicale è quasi inesistente anche nella forma che sarebbe più inclusiva cioè quella del canto corale. Nelle scuole il canto popolare italiano è pressoché sconosciuto nonostante la sua grande valenza didattica. Spesso sono proprio gli insegnanti i primi a non proporlo alle proprie classi nella opinabile convinzione che non incontri il gusto dei ragazzi e non sia sufficientemente “inclusivo” per gli alunni stranieri. Non si capisce davvero perché la conoscenza e la riscoperta delle nostre tradizioni orali regionali debba essere contrapposta alle sacrosante esigenze di integrazione che la società contemporanea ci impone. Come docente posso invece dire che i ragazzi sono affascinati da questo inestimabile patrimonio culturale.

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| IL PERSONAGGIO


Analisi

Lorenzo Perosi Missionario della musica corale

DI FRANCESCO BARBUTO Direttore di coro e d’orchestra

Con il 2022, si commemora il centocinquatesimo anno dalla sua nascita. Perché è così importante ricordarlo? Lorenzo Perosi, nato a Tortona, fu un musicista attento, uomo e religioso dalla profonda spiritualità e interprete musicale intelligente. La sua vita fu immersa tra l’arte e la fede. Amò la musica, come i suoi cinque fratelli. Tutti coinvolti attivamente e pienamente. Fin da giovanissimo, si fece “terziario” (chiamato a compiere il suo cammino aderendo pienamente alla spiritualità francescana), e poi entrò anche al Liceo Musicale di Santa Cecilia di Roma e seguì ancora un corso di studi a distanza col Conservatorio di Milano. Fu maestro di canto all’Abbazia di Montecassino; si diplomò al Conservatorio di Milano e continuò a studiare nella città di Ratisbona. Divenne poi maestro di cappella a Imola e l’anno seguente direttore della Cappella Marciana della Basilica di San Marco a Venezia. Dopo essere diventato nel 1895 sacerdote, Papa Leone XIII lo nominò direttore perpetuo della Cappella Musicale Pontificia Sistina, carica che ricoprì fino alla sua morte nel 1956.

Lorenzo Perosi

Già da queste informazioni biografiche, capiamo e confermiamo la sua intensa attività musicale nell’ambito religioso cattolico. Considerato anche tra i compositori, in particolare di musica corale, più attenti al mondo del Novecento e Contemporaneo, qual è stato il ruolo di Perosi e quale impronta ha lasciato nella Cappella Sistina, come modello musicale da seguire? Perosi lasciò un grande segno, sia perché era una personalità e un maestro musicalmente straordinariamente dotato e preparato, sia perché particolarmente sensibile e appassionato, oltre che continuamente attivo nella musica: soprattutto religiosa corale. Assorbì tutte le abilità e le capacità necessarie per

Ritratto di don Lorenzo Perosi conservato nella Curia di Tortona, sua città natale LORENZO PEROSI |

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intercettare e praticare la musica del suo tempo. Compose moltissima musica per la liturgia, dando così un enorme contributo al repertorio musicale cattolico. Dedito molto alla forma dell’Oratorio e dei mottetti, ha interpretato quello che stava succedendo dall’inizio del Novecento in Italia e in Europa. Uomo aperto e irriducibilmente curioso, pur nelle sue vesti di “povero prete”, fu una personalità così tanto inserita nella società dell’epoca e aggiornato ai suoi tempi. Giacomo Puccini, disse di lui: «C’è più musica nella testa di Perosi che in quella mia e di Mascagni messe insieme.» Perosi fu la guida e l’esponente principale del Movimento Ceciliano: il movimento musicale che riformò la musica sacra nell’ambito della Chiesa Cattolica. Rifacendosi alla figura di Santa Cecilia, patrona della musica, dei musicisti e dei cantanti, fu la risposta alla ormai totale assenza del Canto Gregoriano e della polifonia rinascimentale dalle celebrazioni liturgiche cattoliche della fine dell’800 e del ’900. La musica di Perosi ci svela una pietà solida: uno spazio della vita dell’Uomo alla preghiera e all’aspetto della spiritualità. Una vera proposta di legame con la vita della Chiesa e il vivere con il “sentore di Dio”. Mai esposto, tale da mettersi in mostra, Perosi, pur con la sua grande apertura verso gli altri e verso l’espressione musicale, rimase sempre nell’ombra, riservato e delicato. Proprio questi aspetti della sua personalità, li ritroviamo puntualmente anche in tutta la sua musica religiosa composta. I suoi mottetti, moltissimi dei quali brevi, delicatissimi e leggeri come “acquerelli”, e allo stesso tempo intensi, sono tra le sue composizioni più eseguite ancora oggi dai cori liturgici e non solo. A titolo esemplificativo, prendiamo in considerazione il breve mottetto “Ave maris stella” (fig. 1) da lui composto. Il brano, in Re Maggiore, prevalentemente omonimico, trasmette il proprio inconfondibile stile compositivo e linguaggio musicale di Perosi, miscelando, in modo naturale diversi elementi, oltre all’ispirazione gregoriana. Già nei primi tre accordi delle prime due battute, notiamo ai Contralti e ancor più ai Soprani ampi salti (di terza, di quarta e di sesta) che possiamo definire come: “effetti/affetti”, volti a trasmettere fin da subito molta espressività in sintonia col testo “Ave Maris stella”. Il saluto alla beata Vergine Maria, come “stella del mare”. I Soprani raggiungono sul primo tempo della seconda battuta, la settima dell’accordo di Secondo grado, senza alcuna preparazione, ma appunto direttamente di salto. Questo accordo è di particolare dolcezza, basato sul grado pre cadenzale della battuta successiva, che ne connota ulteriormente il carattere espressivo del soggetto del testo e brano cantato.

Fig.1

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Nella terza battuta (Fig. 2), raggiungiamo il Quinto grado, con la sensibile ai Tenori, che però viene subito abbandonata a favore di un accordo raggiunto per gradi congiunti insieme ai Contralti, più aperto e distensivo e meno convenzionale. Alla quinta battuta (Fig.3) ascoltiamo una dissonanza tra il Do# dei Bassi discendenti e il Re dei Tenori, che nonostante la percussione scritta, trasmette un effetto invece anch’esso molto dolce e distensivo. Nelle due battute successive (Fig. 4), Perosi scrive in modo da tonicizzare il Quinto grado (alla battuta 8), con una soluzione armonica molto interessante. Si porta su un accordo sempre dissonante e comunque ancora dolce sul secondo tempo della battuta 6 con queste note: Si, Fa#, La e Do#, per poi poggiare sull’accordo del primo tempo della battuta successiva (Mi, Mi, Sol#, Do#), prima di raggiungere il V di V, dall’effetto spiccatamente “liturgico”.

Fig.2

Fig.3

Fig.4

Alla battuta 11 (Fig. 5), Perosi ci porta ad una modulazione al tono relativo di Si minore. L’accordo stesso di Si minore è raggiunto alla tredicesima battuta, dopo un breve percorso ancora una volta efficacemente espressivo e funzionale, attraverso le concatenazioni armoniche di due battute:

Fig. 5

V6m di Sim

LORENZO PEROSI |

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Raggiunto il Sesto grado alla battuta 13, il nostro compositore ci porta sul secondo tempo della battuta al grado di V6m discendente in primo rivolto, senza la sensibile perché è concepito sulla scala discendente di Si minore (scala minore naturale). Rievoca l’arcaico “Passo di lamento” e trasmette ancora un gusto musicale modale e liturgico. Alla battuta 15 (Fig. 6), torniamo nuovamente al tono d’impianto di Re Maggiore con il I6 in comune col III6 di Si minore. Ci stiamo avviando verso la fine, con tutto il cadenzale e la coda finale delle ultime 6 battute. Una particolare attenzione la poniamo sul dolcissimo accordo dell’ultimo tempo di battuta 16: il II56, che convalida ancora una volta il tratto distintivo del carattere musicale di Perosi. La lunga cadenza sul V-I delle battute 17-19 (Fig. 7) è volutamente tratta e caratterizzata dalle parole: “porta” (da: porta del cielo) e “nomen” (da: muta il nome di Eva).

Fig.6

Fig.7

La coda finale (Fig. 8) è basata, nelle ultime tre battute sul rapporto armonico della cadenza pagale, cioè IV- I, come la tradizione musicale corale più antica e modale vuole.

Fig.8

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| ANALISI


Consigli per l’esecuzione Il primo suggerimento che ci teniamo a dare, è non lasciarsi condizionare da un’apparente “semplicità” musicale delle composizioni corali di Perosi. Questa semplicità è dovuta dal suo stile di vita francescano altrettanto semplice, ma non per questo “semplicistico”. È una semplicità che vuole arrivare a tutti: a tutti i cantori che vogliono cantare nei cori e soprattutto nei cori liturgico religiosi, in perfetta sintonia anche con le indicazioni sulla Musica Liturgica del “Motu Proprio”, promulgato nel 1903 da Papa Pio X. Si stabiliva, oltre che il recupero del Canto Gregoriano, anche di comporre musiche per coro più semplici e comprensibili a tutti i fedeli. Gusto altamente profondo poetico e semplicità, sono gli ingredienti principali da consumare durante le esecuzioni delle composizioni di Perosi. Durante le prove, è opportuno quindi che si tenga sempre conto: del testo o preghiera religiosa che si sta affrontando e di un modo di partecipare alle prove e allo studio delle parti corali, con particolare sensibilità d’animo e sentore profondo. Seguendo gli aspetti analitici che abbiamo indicato durante questo articolo e il brano scelto, occorre ottenere molta “amalgama” corale, visto che il brano è prevalentemente “omoritmico”. Intonare i salti ampi di intervallo con particolare attenzione all’apertura della bocca e della gola, evitando strozzature posturali della cavità orale o cedimenti d’intonazione, perché i suoni non

siano efficacemente sostenuti e allo stesso tempo lasciarsi andare a questi effetti/affetti, che producono particolari e intensi momenti espressivi. Tutte le dissonanze che incontriamo, occorre intonarle con particolare delicatezza, evitando esecuzioni dure e inutilmente aspre, sia nel modo di sentirle nel nostro ascolto interno sia nell’esporle agli ascoltatori. Il continuo uso di rapporti e concatenazioni armoniche modali e solo velatamente più tonali, ci invita a porci nel modo di cantare, più come si faceva nella musica antica e rinascimentale. Invitiamo quindi a usare un suono vocalico timbrato e scorrevole - che induce oltre modo a rapportarci più strettamente con la “polifonia” - evitando di usare voci e timbri vocalici più pesanti. Lo stretto rapporto tra la musica antica e quella del ’900 (in particolare), è molto usato dai compositori, non solo di musica vocale, di quest’ultimo periodo. È sicuramente anche più utile ed efficace usare il “vibrato” con parsimonia, molto più indicato per parti liriche o brani corali di composizioni di più ampio respiro. Dicevamo prima, che possiamo intendere come metafora, molti mottetti di Perosi come se fossero degli “acquerelli”. Una volta stabilita la giusta attenzione “tecnica e vocalica” sull’affrontare il nostro brano, sarà importante ed efficace, concentrarsi continuamente sull’aspetto dinamico ed espressivo, che connoterà e trasmetterà il più giusto e voluto messaggio religioso liturgico del nostro delicato e sensibile compositore Lorenzo Perosi.

Perosi: Ave Maris Stella Cori - Cori dell’Accademia Filarmonica Romana, dir. Pablo Colino

LORENZO PEROSI |

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Storia

Ignazio Donati Un compositore dalle Marche a Ferrara e Casalmaggiore

DI RICCARDO RONDA Musicista e ricercatore

Ignazio Donati La biografia di Ignazio Donati (1568?-1638), nonostante la relativa fama di questo compositore, risulta oscura e finora indagata per sommi capi. La recente esecuzione dei Salmi Boscarecci e Concertati (Luca Colombo, Ensemble Biscantores, Ensemble UtFaSol), opera di rarissimo ascolto e proporzioni colossali, presso il Venetia Picciola Festival 2022 di Casalmaggiore (CR), di cui mi pregio assieme a Stefano Ghirlandi, Pietro Magnani, Vittorio Rizzi e Giuseppe Romanetti di essere ideatore e organizzatore, mi dà l’occasione di offrire alcuni chiarimenti riguardo al percorso di Ignazio Donati, in particolare considerando il periodo 1612-1623.

Un prologo del tutto personale Molta è la confusione attorno ai natali del Donati: l’ipotesi finora più diffusa in contesto enciclopedico, quella di Casalmaggiore, non trova riscontri né in fonti documentali né nel contesto storico locale. Anzi, numerose sono le smentite: i documenti che l’Archivio Abbaziale di Casalmaggiore restituisce delineano chiaramente una provenienza “estera”, smentendo la pista lombarda. Alle origini di questa erronea credenza parrebbe esservi il musicologo François-Joseph Fétis (1784-1871), autore di una errata lettura dell’incarico di “Maestro di Cappella della Terra di Casalmaggiore”. In esso il riferimento non è alla provenienza del Donati, quanto al sistema di Terre Separate allora esistenti nel Ducato di Milano, enti con ampie forme di autonomia locale di cui Casalmaggiore era esempio. Già solo considerando la cronologia dei primi incarichi (Urbino, Pesaro, Fano) si potrebbero ascrivere le origini del compositore al contesto del centro Italia. Come se non bastasse, lo stesso Donati, nella prefazione alle Messe a 4.5.6 (1622)1, recentemente ritrovata in unico esemplare presso l’Archivio della Cattedrale di Vercelli (ringrazio il maestro di Cappella mons. Denis Silano), si riferisce al Patrizio casalasco Nicolò Cavalli che lo «trasse a servire per Mastro di Capella in così nobile et honorata Terra»2, andando a fugare ogni dubbio. Non conoscendo con certezza la provenienza di Donati anche l’anno di nascita pone qualche problema. L’atto di morte (1638) conservato a Milano, dove il compositore terminò la propria esistenza, ci fornisce qualche indicazione: «die uigentessimo primo Januarij. Porta Orientalis Parochia 1. Quella a 6 voci ripresa con l’aggiunta di un ripieno vocale e strumentale nei Salmi Boscarecci. 2. Ignatio Donati, Messe a quattro, cinque et sei voci.... Vincenti, Venezia 1622, parte del Sesto, pagina non numerata (Dedicatoria a A. M. Cavalli).

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| STORIA


S. Michaelis in Metropolitana. Ignatius de Donatis ann. 70 ex improvisa morte obiit s.p.s.»3, rendendolo, con approssimativo calcolo quasi coetaneo di Claudio Monteverdi (1567-1643). Risulta in questo caso abbastanza curioso notare che, a differenza del primo, cresciuto in un ambiente musicalmente vivace, ma pur sempre provinciale, la prima pubblicazione del Donati, i Sacri Concentus (1612), avvenga alla matura età di 45 anni4! Il contesto in cui Donati assume i primi incarichi (noti) è certamente periferico, per quanto prestigioso: Urbino (1596-98 e poi di nuovo, 1612-1615), Fano (1601-1605), Pesaro (1600, e forse di nuovo in epoca successiva5) e giustifica la produzione di mottetti a poche voci con basso continuo, adatti a cappelle di piccole dimensioni (e certamente

Foto: Ignazio Donati, Sacri Concentus..., Giacomo Vincenti, Venezia 1612, parte dell’Altus, frontespizio (Bologna, Museo della Musica, Z.55) 3. Cit. in Robert L. Kendrik, The Sound of Milan 1585-1650, Oxford University

allineati al gusto dell’epoca6). L’esordio editoriale di Donati, i Sacri Concentus, costituiscono forse l’esempio più studiato (e noto) tra le pubblicazioni del compositore: in essa è teorizzato il Cantar Lontano. Alle fondamenta di questa tecnica sta l’illusione sonora di trovarsi di fronte a più cori, sebbene con mezzi assai ridotti: i concerti qui raccolti, e in particolare alcuni segnalati dall’autore, sono da cantarsi «senza veder batter la battuta»; le voci, tranne quella che ha l’incipit, che rimane in organo, «devono stare lontano [...] in disparte, separate l’una dall’altra, non vedute per la chiesa, a modo di tanti chori». Un coraggioso esempio di illusione barocca! A tale splendida raccolta, che è tra le più interessanti del seicento italiano, sia per stravaganza che per qualità della ricerca espressiva, è stata dedicata una registrazione (Marco Mencoboni/Sacro & Profano, Cantar Lontano). Tra il 1612 e il 1616 non compare nessuna notizia di nuove pubblicazioni a stampa, almeno sopravvissute: mancano del tutto gli estremi bibliografici dell’op. II, di cui non si conserva menzione. È nel 1616 che Donati diventa maestro di Cappella dell’Arciconfraternita e Accademia dello Spirito Santo a Ferrara, istituzione vocata alla “moderna’’ musica7. Donati qui risulta molto prolifico: escono alle stampe un libro di Motetti a Cinque voci (op. III), due libri di Concerti Ecclesiastici (op. IV e V) e un libro di Mottetti concertati fino a 6 voci (op. VI). L’impostazione rimane quella del concerto ecclesiastico a poche voci con basso continuo, con incursioni nello stile concertato. La ricerca espressiva e la necessità comunicativa qui si sviluppa di pari passo con l’affermazione dell’opera e dell’oratorio: a questo proposito spiccano due mottetti in dialogo nell’opera VI, ultima pubblicazione ferrarese (Angelus Gabriel à 5; Mulier da mihi bibere à 4). In essi, destinati probabilmente alle attività devozionali dell’Accademia, ogni voce rappresenta un personaggio (Maria, l’Angelo Gabriele, Cristo, la Samaritana, ecc.), svelando la contaminazione tra i generi. Dell’opera VII, il Primo Libro de’ Motetti a voce sola, raccolta con esplicito intento didattico per apprendere «la maniera di cantar gratiosamente8», non si conosce l’anno di prima impressione. Supponendo che la dedicatoria al patrizio Nicolò Cavalli da Casalmaggiore, lo stesso citato nella prefazione alle Messe (1622) sia stata conservata nella ristampa (1634), questa sancirebbe il definitivo

Press, 2002, p. 428 4. Claudio Monteverdi, di certo precosissimo, pubblicò le Sacrae Cantiunculae

6. Si veda Gabriele Fattorini, Sacri Concerti a due voci, 1600 (prefazione)

(1582), sua prima opera, all’età di 15 anni!

7. In anni successivi ospiterà grandi compositori quali Alessandro Grandi e

5. In mancanza di fonti documentali certe, si fa riferimento alla Dichiaratione

Giovanni Legrenzi

dei Sacri Concentus, 1612

8. Ignazio Donati, Il primo libro de Motetti a Voce Sola, Vincenti, Venezia, 163

IGNAZIO DONATI |

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avvicinamento da Ferrara a Casalmaggiore. È nel 1618 che iniziano i contatti con le Confraternite locali per l’incarico in terra lombarda: in quell’anno viene pattutito un impiego della durata di un quinquennio in cui il Donati dovrà risiedere a Casalmaggiore. L’affare tuttavia non va in porto, o almeno non nei termini sperati. Di Donati non possediamo alcuna notizia tra il 1619 e il 1621. Si dovrà aspettare proprio quell’anno per vederlo approdare nella Terra di Casalmaggiore (terminando il proprio incarico nel 1623, esattamente a 5 anni dai primi contatti) per «insegnare pubblicamente la sua virtù». Casalmaggiore non è sede di vescovato nè ha organi politici pienamente indipendenti: tuttavia in quegli anni sembra svilupparsi nell’ambiente del decurionato cittadino una particolare attenzione alla produzione musicale moderna. Tra il 1621 e il 1623 operano due maestri di Cappella differenti: il primo, Donati, è pubblicamente stipendiato e concorrono al suo salario anche le Confraternite di S. Stefano e San Rocco; il secondo, Orazio Modiana (1595-1630), è maestro di Cappella presso la Confraternita della Morte. Gli organici utilizzati sia dal Donati che dal Modiana, autori di più pubblicazioni musicali durante la permanenza casalasca, sono insolitamente vasti, considerando le dimensioni della città. La richiesta di musica in un contesto provinciale, ansioso di riconoscimenti di autonomia, è enorme: nel giro di due anni escono alle stampe 4 pubblicazioni (escludendo le ristampe di altre opere) di musica sacra dei due maestri di Cappella, secondo i canoni del moderno stile. Donati pubblica nel 1622 una raccolta di Messe a 4.5. e 6, in parte da Cappella (scritte in uno stile più conservatore) e in parte da concerto, secondo la moderna pratica. Modiana, una raccolta di mottetti a voce sola (Primitie, 1623) ove si coglie l’influenza dello stile del Donati e una raccolta di Sacri Concerti (1623) fino a 9 voci (in

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gran parte perduta). Tuttavia è con i Salmi Boscarecci e Concertati (1623), op. IX, che Donati dà alla luce il suo capolavoro. Qui vengono unite le esigenze delle piccole cappelle musicali con quelle delle grandi città: l’opera può essere eseguita con sole sei parti vocali (di grande difficoltà) e continuo; in più si possono aggiungere, a piacere, altre 6 parti strumentali e ancora 6 parti vocali di ripieno, comunque affidate a solisti di una certa bravura. Tale flessibilità era stata pensata da una parte per ragioni pratiche, potendo così decidere quale organico utilizzare a dipendenza dell’importanza dell’occasione e poi per ragioni di mercato, siccome le Cappelle con un organico simile sarebbero state solo una decina in tutta Europa. Al periodo casalasco sono assimilabili altre due stampe: Madre de’ quatordeci figli (1629), un libro di mottetti a 5 voci sviluppati sopra lo stesso basso (chiamato ironicamente «Padre de’ quatordeci figli») e le Fanfalughe (1630), da due a cinque voci, opera che alterna prove di carattere spiccatamente goliardico (Meloni, meloni; Nè carne nè pesce) a madrigali di stampo chiaramente monteverdiano. Donati termina l’incarico casalasco nel 1623: la carriera successiva si svilupperà tra Novara, Lodi e il Duomo di Milano. A parte quest’ultimo caso, già studiato, quelli di Novara e Lodi hanno scarsissima letteratura. Insomma, un autore che meriterebbe adeguato studio, incisioni ed esecuzioni: non di solo Monteverdi vive l’antichista. Foto: Esecuzione dei Salmi Boscarecci di Ignazio Donati al Venetia Picciola Festival - Ensemble Biscantores ed Ensemble UtFaSol diretti da Luca Colombo, Duomo di Casalmaggiore (CR), 23 aprile 2022 (foto di Silvia Perucchetti)


Festival Corale Novembre 2022 Direzione Artistica: Silvia Biasini www.spirituschoralfestival.it

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Didattica

Il Relational Singing Model Didattica musicale, canto e costruzione del gruppo

DI GIORGIO GUIOT Didatta, compositore, direttore dell’Associazione Cantabile di Torino e del coro PoliEtnico Il secondo articolo di questa breve serie di proposte di didattica musicale riguarda il Relational Singing Model, un modello di intervento proposto dall’Associazione Cantabile di Torino grazie a Cristina Meini e Giorgio Guiot e alle loro esperienze maturate negli ultimi anni. Partirò da una descrizione generale del modello, per poi sviluppare alcuni esempi e proposte didattiche per i bambini di 3-7 anni, dalla scuola dell’infanzia ai primi anni della scuola primaria. Il tema è la relazione all’interno di un gruppo. Come svilupparla, rispettando le caratteristiche di ciascuno, e come indirizzare i partecipanti al gruppo al raggiungimento di un obiettivo comune e condiviso. La nostra ricerca è iniziata quasi quindici anni fa, quando abbiamo iniziato a compere alcune esperienze musicali con bambini con disturbi dello spettro autistico. Ci siamo confrontati con lo psicologo Maurizio Arduino, che aveva allora inaugurato una efficace struttura all’interno dell’Ospedale di Mondovì (Cuneo). Il dottor Arduino ci presentò presto una psicologa clinica argentina, Maria Teresa Sindelar, allieva di Stanley Greenspan e Serena Wieder, che stava diffondendo in Europa il modello DIR-Floortime. Trovammo moltissimi punti in comune con l’impostazione del DIR (Developmental, Individualdifferences, Relationship- based model), sicuramente originale rispetto alla tradizione italiana, e presto sviluppammo un protocollo di intervento musicale e molte sperimentazioni, che confluirono nel testo Autismo e Musica (Erickson, 2011). Il libro presenta una introduzione al modello DIR a cura di Teresa Sindelar, una serie di osservazioni e proposte a cura di Cristina Meini, filosofa della mente, e una parte di repertorio di canzoni per bambini adattato secondo i principi del 48

| DIDATTICA

Floortime, repertorio cui appartengono i tre canti che presenterò più avanti. Le esperienze realizzate in molte scuole dell’infanzia e primarie, con un piccolo gruppo di bambini e la presenza del loro compagno affetto da autismo e il loro insegnante di sostegno, ci mostrarono come un laboratorio musicale orientato alle tematiche della relazione e della comunicazione, e basato su precisi principi di organizzazione, fosse risultato molto utile a tutti i bambini e avesse inciso profondamente sulle dinamiche del gruppo.


Cura della reazione, alternanza degli andamenti, utilizzo dello sguardo e dei gesti, precisa organizzazione ritmicomelodica dei canti , erano gli elementi che costituivano l’attività del laboratorio e che portavano non solo il bambino “speciale”, ma tutti i bambini a sentirsi coinvolti e partecipi. Nacque così il Relational Singing Model, proposta di intervento con un retroterra teorico molto radicato nella ricerca e declinato a seconda delle necessità del gruppo per il quale viene applicato. A oggi ha avuto applicazioni in molte esperienze didattiche, nella pratica della musica di insieme e in numerosi contesti clinici (dalle attività sullo spettro autistico alla terapia famigliare, come raccontato ne Il pentagramma relazionale). Il RSM ha un sito dedicato (www.relationalsinging.it) e una bibliografia essenziale che è presentata in coda a questo articolo.

TRE BREVI CANZONI Le tre brevi canzoni che vengono proposte sono tratte dal repertorio di Autismo e Musica. Sono melodie rivolte alla prima infanzia, che potranno essere utili anche in situazioni particolari. Ad esempio, sono state proposte per favorire per lo sviluppo della relazione con persone affette da ritardi medio-gravi, o con disturbi del linguaggio o, come illustrato nel libro Il pentagramma relazionale, all’interno di contesti particolari quali le sedute di terapia famigliare. È utile ricordare alcune caratteristiche che contraddistinguono questi canti, e che devono essere tenute in considerazione nella proposta didattica ai bambini più piccoli: • i canti sono molto brevi. Possono eventualmente essere ripetuti con alcune varianti (inserimento di gesti suono, modifica delle modalità di esecuzione); • le melodie percorrono un ambito limitato alla quinta, eventualmente con qualche nota aggiunta a causa di progressioni o imitazioni (nel canto popolare, ad esempio, con la frequente presenza della dominante inferiore per avviare la frase musicale); • sarà opportuno seguire le indicazioni che provengono dalla cosiddetta ergonomia vocale, e che contraddistinguono lo stile del canto popolare nella maggioranza delle tradizioni musicali: procedimenti di discesa per scala, salti melodici verso l’acuto. Il mio stile di composizione delle melodie infantili comprende alcune particolarità: • l’utilizzo del pentatono, anche se non in modo rigoroso, con frequenti progressioni o imitazioni; • l’utilizzo della melodia per creare attese, conferme e punti di interesse; • l’utilizzo del testo con parole pensate per lo sviluppo

delle dinamiche relazionali (saranno presentati alcuni esempi nelle schede didattiche legate a ciascun canto).

MANI MANI Descrizione • canto di andamento allegro, con la presenza di gestisuono e movimenti del corpo Obiettivi • stimolare al movimento coordinato con un ritmo • stimolare alla consapevolezza del movimento del corpo nello spazio • ricercare il controllo del movimento fine • stimolare all’attività di gruppo, all’intesa oculare spontanea e all’imitazione dei gesti Movimenti • battito delle mani • battito delle mani sulle gambe (alternato, sulle due gambe “qua e là”) • piccolo movimento dei piedi • movimento di rotazione di un piede, a formare un cerchio • slancio delle braccia verso l’alto, ripetuto più volte, distendendosi al massimo • afflosciarsi del corpo verso il basso, in corrispondenza del glissato discendente Proposte • tutti i bambini in cerchio, cantando • libera deambulazione dei bambini nella stanza, cantando • un bambino interpreta i movimenti previsti dal testo, mentre gli altri lo accompagnano con il canto • un bambino esegue tutto il canto (o una parte) da solo • gioco a coppie, i bambini uno di fronte all’altro (possono battere le mani tra di loro e realizzare il glissato discendente in modo sincrono, tenendosi per mano) Osservazioni • gioco adatto alla prima parte di un incontro musicale, per l’attivazione di ciascun bambino e del gruppo. • a movimenti decisi e organizzati nella prima parte del canto, in modo maggiore, seguono movimenti più liberi e di ampiezza inferiore. In questo caso si utilizza il modo minore ricercando una maggiore intimità. Al ritorno del modo maggiore, quasi una esplosione di vitalità, ritorneranno movimenti ampi decisi e condivisi. • Il glissano finale prevede che tutti i bambini si inchinino in avanti. Non sarà più possibile vedere i compagni, quindi l’ultima frase “tutti a testa in giù” sarà cantata sulla fiducia che i compagni canteranno le stesse parole nello stesso momento... Per la mia esperienza questo punto della canzone (che ripeto all’inizio di ogni incontro, per molti incontri successivi) è l’indicazione della maturazione dell’insieme e del senso del gruppo. IL RELATIONAL SINGING MODEL |

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CANZONE DOLCE MANI MANI, BATTI LE MANI (battito delle mani seguendo il ritmo della canzone) BATTI SULLE GAMBE QUA E LA’ (battito delle mani sulle gambe, alternando destra e sinistra) MUOVI I PIEDI LENTAMENTE (piccoli movimenti con battito dei piedi, alternando destra e sinistra) GRANDI CERCHI DISEGNAR! (con un piede –o entrambidescrivere dei cerchi per terra) BRACCIA IN ALTO, SPINGI FORTE (slanciare entrambe le braccia in alto) SPINGI UN PO’ PIU’ IN SU, SPINGI UN PO’ PIU’ IN SU! (insistere, se si parte da seduti ci si può alzare in piedi) UUUUHHHH (glissato vocale discendente, il più lungo possibile, accompagnato dalla discesa progressiva del corpo) TUTTI A TESTA IN GIU’! (inchinati, oppure curvi, oppure buttandosi a terra)

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Descrizione • canto di andamento lento e dolce Obiettivi • rilassamento con l’andamento cullante e dolce • collegamento tra la dolcezza di diverse sensazioni (morbidezza, golosità) e la dolcezza delle parole e degli atteggiamenti • stimolare a una respirazione ampia e profonda • stimolare all’apertura della bocca e all’emissione di suoni lunghi • stimolare il contatto oculare spontaneo Movimenti • piccoli movimenti per accompagnare il testo, lenti e dolci, da realizzare singolarmente o in coppia Proposte • tutti i bambini in cerchio, cantando • suddivisione a coppie, come momenti “di coccola”. Sono possibili diverse modalità: seduti, un bambino sdraiato e l’altro in piedi, tutti e due a terra... • il conduttore canta la canzone a un bambino singolo (come gesto consolatorio o come piccolo premio in qualche occasione particolare) Osservazioni • canto adatto alla parte centrale di un incontro, quando si riscontra la necessità di un rilassamento generale • è utile per recuperare eventuali momenti di crisi o di stress • va evitato con bambini per i quali possa risultare una proposta troppo coinvolgente a livello emotivo


UNA CANZONE DOLCISSIMA MORBIDA COME UN BIGNE’ PIU’ DEL GELATO, DEL CIOCCOLATO, UNA CANZONE PER TE!

DANZA ANTICA Descrizione • canto di andamento allegro, organizzato come danza in cerchio Obiettivi • stimolare al movimento coordinato con un ritmo • stimolare alla consapevolezza del proprio movimento nel gruppo • cantare una melodia di media difficoltà, muovendosi • saper ritornare al proprio posto nel cerchio • stimolare alla scelta di un compagno nel gruppo, all’intesa oculare spontanea e all’imitazione dei gesti Movimenti • camminare per cercare un compagno • saltare insieme al compagno • restare su un solo piede • piegare le ginocchia • camminare in cerchio dando il braccio al compagno

Proposte • tutti i bambini in cerchio, cantando • la persona che inizia il gioco sceglie un compagno; la prima coppia rimane al centro del cerchio, svolgendo i movimenti mentre tutti cantano • al termine delle parole “lelele” e prima di “questa”, i bambini che erano al centro ritornano al loro posto iniziale, e tutti cantano • al termine del canto, i due bambini che erano al centro invitano altri due bambini. Si formano così due coppie al centro del cerchio e si ripete la canzone da capo. Il prossimo passaggio prevede quindi 4 coppie, poi 8, e così via. • Quando tutti i bambini saranno coinvolti nel gioco, si potrà riprendere più volte la canzone cambiando ogni volta le coppie Osservazioni • Gioco adatto allo sviluppo della socialità, che invita i bambini a cambiare continuamente il compagno di gioco e stimola quindi alla conoscenza e alla fiducia • Per alcune età, è opportuno stimolare l’incontro tra maschi e femmine, invitando a formare coppie di sesso opposto così come nella danza popolare • Si osserverà come questa dinamica non risulti sempre naturale e debba talvolta essere incoraggiata: così come si potrà constatare sul campo l’eventuale esclusione di qualche bambino dal gioco... • La melodia della danza antica è molto semplice, ma IL RELATIONAL SINGING MODEL |

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basandosi sul principio della imitazione e della progressione porta talvolta a cantare gradi secondari della scala. L’obiettivo è di educare i bambini alla pratica completa degli intervalli • Ciascuna frase termina con un semplice lololo, oppure lelele e infine lululu, in rima con il verso precedente. Questa scelta nasce dalla necessità di includere anche persone con difficoltà logopediche e relazionali, che (per la mia esperienza) potranno accettare di unirsi al coro in momenti molto semplici e -in un certo senso- prevedibili.

Tutti i bambini in cerchio, cantando. In centro solo le coppie che realizzano il canto con i movimenti) DAI GIOCHIAMO INSIEME, PRENDI LE MIE MANI (si forma la coppia/si formano le coppie e ci si dà le mani) FAI UN SALTO INSIEME A ME, LE LE LE LE LE (si fa un salto insieme, e poi si torna a cantare dandosi le mani) ALZA UN POCO IL PIEDE, PIEGA LE GINOCCHIA (si eseguono i movimenti, sempre dandosi le mani -giocare con l’equilibrio?) SOTTO BRACCIO PASSERO’, LO LO LO LO LO (si ruota rimanendo sottobraccio, e sul “lo lo lo” si torna velocemente al posto originario) QUESTA DANZA ANTICA, BALLA IN GIROTONDO (tutti in cerchio, dandosi le mani e cantando) TUTTI SU, TUTTI GIU’, LU LU LU LU LU (mani in alto, mani in basso, e sul “lu lu lu” riparte la caccia a un nuovo compagno) (dopo che tutti i bambini sono stati coinvolti nel gioco a coppie, si può ripetere la canzone più volte chiedendo di cambiare sempre il compagno)

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Qualche considerazione conclusiva Le tre semplicissime canzoni presentate in queste pagine illustrano una metodologia di lavoro e un modello nato da precedenti esperienze musicali a contatto con l’autismo, e mirano a sviluppare la relazione e la partecipazione a un gruppo di bambini di scuola dell’infanzia o di primi anni di scuola primaria. Più che ai contenuti di ciascuna canzone, ho voluto porre l’attenzione su considerazioni relative alla forma ritmicomelodica e all’ambito intervallare: l’attenzione e la relazione con le persone saranno incoraggiate dalla disposizione degli intervalli, da una occasionale sosta sulla dominante per stimolare la curiosità e l’aspettativa della conclusione, dall’utilizzo di un testo cui anche i bambini con difficoltà logopediche possano ambire ad unirsi. La proposta di nuove canzoni non cela alcun desiderio di soppiantare il repertorio del canto infantile tradizionale! Sarà invece prezioso proseguire la ricerca all’interno di tale repertorio, per valorizzare i tantissimi e preziosi spunti provenienti dal canto antico. Senza dimenticare, però, che la conformazione socio culturale del nostro paese si sta continuamente modificando e che sarà importante fornire a tutti i bambini elementi che possano far sentire loro a casa. Sarà quindi importante rivolgersi anche al canto infantile di altre culture, o tentare semplici operazioni di contaminazione (come in fondo ho tentato di fare io stesso, utilizzando modalità espressive non precisamente connotabili come occidentali).

Per approfondire: Guiot – Meini - Sindelar AUTISMO E MUSICA, Centro studi Erickson, Trento, 2011 Giorgio Guiot INSIEME Canto, relazione e musica in gruppo, Centro studi Erickson, Trento, 2021 Meini – Ruggiero IL PENTAGRAMMA RELAZIONALE, Franco Angeli 2017 David Huron Sweet Anticipation: Music and the Psychology of Expectation, MIT Press 2006

www.relationalsinging.it Il sito del canto per relazione, modello proposto da Cantabile www.musicapercrescere.it Il sito dei materiali didattici di Giorgio Guiot e di Cantabile Torino www.giorgioguiot.it Il mio sito web personale

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50 anni portati bene L’Assemblea AERCO a Ferrara

DI MIRCO TUGNOLO

La grande “Sala delle Carte Geografiche”, all’interno del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, ha ospitato l’annuale assemblea di AERCO, l’8 maggio scorso: è stata l’occasione per rendicontare l’attività associativa del 2021 e programmare il 2022. Alla presenza di oltre 30 cori associati, membri del Consiglio Direttivo e della Commissione Artistica, il neosegretario Mauro Vignolo ha iniziato i lavori assembleari ringraziando per la fiducia rimposta nella sua persona e per le funzioni che andrà a ricoprire. La prima parte della mattinata è stata dedicata alla presentazione dei progetti realizzati nel 2021. Il Presidente Andrea Angelini ha sottolineato la buona tenuta dell’Associazione che, con i suoi 244 cori iscritti, è riuscita a realizzare tutte le manifestazioni in programma nonostante la situazione pandemica avesse fortemente minato le possibilità di concretizzare i concerti e le rassegne corali. Angelini ha voluto quindi presentare al meglio tutta la macchina organizzativa di AERCO, partendo dal Consiglio Direttivo composto dai 9 delegati provinciali,

Assemblea AERCO nella Sala delle Carte Geografiche

dalla Commissione Artistica presieduta dal Gianluigi Giacomoni, dal Comitato Editoriale di “Farcoro” diretto da Sandro Bergamo per poi arrivare allo staff tecnicooperativo composto dal Direttore Generale Mirco Tugnolo, il collaboratore di segreteria Gian Marco Grimandi, il project manager Francesco Leonardi e la webmaster-grafica Velentina Micciancio. Relativamente alle attività svolte nel 2021, grande spazio alla formazione e ai numerosi corsi attivati durante l’anno. Sedici i corsi organizzati dalle delegazioni provinciali, la Scuola di Canto Gregoriano diretta da Luca Buzzavi e infine l’Accademia per Direttori di Coro con le sue lezioni e masterclass che hanno visto docenti di fama nazionale e internazionale.

Da sinistra: il segretario AERCO Mauro Vignolo e il Presidente AERCO Andrea Angelini

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Capitolo importante quello delle Rassegne Corali. Sono stati 27 i concerti in programma nella rassegna regionale “Voci nei chiostri”, mentre “CantaBo” ha portato a Bologna i “King’s singer” con una masterclass e un concerto memorabile. Il “Concerto del Ringraziamento” a favore degli operatori sanitari, ha visto la nascita del Coro


Regionale. Composto da coristi provenienti da molte province emiliano-romagnole e uniti sotto la direzione di Tim Sharp (USA), il coro ha eseguito il “Gloria” di Vivaldi. Il 2021 è stato l’anno del 50° anniversario della fondazione di AERCO. Un convegno ne ha celebrato la nascita e ripercorso la sua storia. È stato inoltre organizzato un concorso di composizione che ha visto partecipare e vincere musicisti provenienti da diverse nazioni, anche extra europee.

contemporanea. Il concerto ha visto la partecipazione del Coro Femminile dell’Accademia “Veneziani” di Ferrara, diretto da Teresa Auletta.

Il concorso internazionale per direttori di Coro “Romano Gandolfi”, realizzato a Parma, ha dato il suo premio, dopo innumerevoli prove selettive, a Luca Scaccabarozzi. Importante è stato anche il sostegno, non solo economico, per la realizzazione della rivista associativa “Farcoro”, sempre più apprezzata anche al di fuori dei confini regionali. La seconda parte dell’Assemblea ha assunto una piega più tecnica con la presentazione del bilancio consuntivo 2021 e quello preventivo 2022. Entrambi i documenti sono stato approvati all’unanimità dall’Assemblea. Infine, è stato presentato il sondaggio realizzato nel mese di febbraio e fortemente voluto dalla Commissione Artistica, al fine di mappare il mondo della coralità di AERCO. Sono stati quindi raccolti dati che ora forniscono informazioni sulla composizione dei vari cori, sull’età anagrafica dei suoi cantori, sul repertorio proposto o oggetto di studio, sulla formazione dei direttori e sul loro percorso di aggiornamento. Tanti sono stati gli interventi dei rappresentanti dei cori presenti in sala. Molti sono stati gli spunti per poter organizzare al meglio nuovi eventi o per cercare di inserire ancora di più la coralità nel mondo della scuola.

Le Assemblee sono un momento fondamentale della vita associativa, e il loro andamento rappresentano, molto spesso, lo stato di salute dell’Associazione stessa. La coesione tra il Direttivo e gli Associati, sono un sintomo che AERCO è sulla strada giusta, con 50 anni di storia e una struttura molto forte, riconosciuta in tutti gli ambienti istituzionali.

Nel pomeriggio Daniele Sconosciuto, neodirettore del Coro Giovanile dell’Emilia-Romagna, ha condotto il gruppo in un breve concerto di polifonia moderna e 50 ANNI PORTATI BENE |

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Voci del Mondo Una scommessa ecologica che evoca il Mediterraneo

DI ELENA BACARELLA Docente Istituto Comprensivo Granarolo dell’Emilia, Membro del Consiglio della delegazione provinciale di AERCO - Bologna

Il progetto “Voci del Mondo”, svolto dall’Istituto Comprensivo Granarolo dell’Emilia (BO), nasce da un’idea dell’Associazione Emiliana Romagnoli Cori e della scuola, in collaborazione con il Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della Musica del Ministero dell’Istruzione. L’attività ha proposto un percorso di scoperta di alcuni ingredienti musicali da unire, miscelare e assemblare, per narrare una storia partendo dal coinvolgimento emotivo e sensoriale offerto dalla sperimentazione di nuovi linguaggi e dall’ascolto di narrazioni del Mediterraneo, dall’ascolto condiviso di brani musicali e da proposte strutturate di esplorazioni musicali attive compiute anche attraverso lo strumentario “ecologico”. Questa nuova frontiera sperimentata già prima della pandemia da Covid19 intende diffondere metodologie

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atte a comprendere che nella diversità delle tipologie musicali proposte durante i laboratori nel primo ciclo di istruzione, è presente un filo conduttore di tipo culturale che accomuna i linguaggi espressivi. L’alto valore educativo e sociale attribuito al consorzio e la natura sperimentale dell’attività, promuove la conoscenza e l’utilizzo dei linguaggi espressivo-artistici in ambito educativo e formativo, in una logica di rete e di sinergia con altre realtà, con i territori, dove l’Associazione Emiliana Romagnoli Cori ha instaurato collaborazioni istituzionali con Istituti Comprensivi, Scuole del II ciclo, Enti Locali, Biblioteche Comunali e Cooperative. La ricchezza del terzo settore in ambito sociale ed educativo, ha permesso di riscontrare l’esistenza di obiettivi e finalità comuni e coerenti con i propri scopi statutari. La musica viene vista quindi non solo come momento di svago, ma di conoscenza dei popoli che l’hanno pensata e creata. L’Istituto Comprensivo Granarolo dell’Emilia con il supporto scientifico e il coordinamento pedagogico e didattico del Ministero dell’Istruzione, sulla base di


modelli già sperimentati durante la partecipazione ai progetti Erasmus plus biennio 2017/2019 - 2017-1-UK01KA203-036723 e biennio 2015/2017 - 2015-1-UK01-KA201013752, svolge pratiche musicali e corali nell’ambito del curricolo verticale di studio in collaborazione con AERCO che ne ha colto i punti strategici con apposita convenzione di rete. Nel corso ad indirizzo musicale si insegnano agli alunni della scuola secondaria di I grado quattro strumenti: oboe, pianoforte, chitarra e tromba. Mentre nella scuola primaria si svolge l’attività di coro e di propedeutica musicale, secondo il DM 8/2011. Presso l’I.C., secondo metodologie innovative quali: podcast, storytelling, cooperative learning, musica d’insieme, si punta alla valorizzazione delle relazioni attraverso il coro, la musicoterapia, le strategie comportamentali in favore di alunni con diagnosi di autismo e con altre certificazioni di

integrazione scolastica e i laboratori d i e d u c a z i o n e ambientale. Il consorzio è impegnato in azioni di formazione del personale docente per la realizzazione di curricoli sostenibili che attraverso la pratica musicale possano favorire una visione olistica dell’individuo. Tra le varie azioni del partenariato strategico guidato da AERCO vi è sicuramente lo sviluppo sociale, l’integrazione e l’inclusione attraverso la formazione musicale. I partner hanno sempre operato per questi obiettivi attraverso progetti scolastici, dove l’aspetto musicale risultasse un mezzo per il benessere sociale. Progetti simili a questi sono stati realizzati negli ultimi 5 anni, non solo a Bologna ma anche a Parma, Modena e a Rimini e hanno riguardato sia la formazione dei docenti che dei discenti. AERCO contribuisce a narrare, a guidare gesti e movimenti musicali, percussioni e materiali sonori quotidiani attraverso un gruppo d i esperti

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qualificati che accompagnano le bambine e i bambini nell’emozionante scoperta della musica d’insieme e del mondo variopinto e complesso delle emozioni, al fine di promuovere la scoperta di strategie di auto-regolazione e di regolazione delle stesse. AERCO integrando la collaborazione e il supporto sui territori vuole realizzare un progetto pilota che si pone due obiettivi: • sviluppare una struttura di ricerca tesa a favorire la transizione verso la sostenibilità in ambito musicale arricchendo i repertori musicali e gli strumenti tradizionali; • creare una struttura in consorzio che realizzi, un living lab e che diventi un punto di riferimento a livello regionale e nazionale successivamente, un contesto dove progettare e sperimentare soluzioni avanzate di sostenibilità circolare in ambito musicale, con un approccio alla ricerca applicata, basato sul discente e con un modello certificato partendo dal recupero e dal riciclo dei materiali. AERCO vuole implementare l’organologia degli strumenti musicali,

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quella branca che studia e classifica gli strumenti musicali. La base per la classificazione degli strumenti prende in considerazione il sistema compilato nel 1914 da Erich Von Hornbostel e Curt Sachs. Con questo sistema, ormai adottato dai musicologi di tutto il mondo, gli strumenti vengono suddivisi e raggruppati secondo il modo in cui il suono viene prodotto. Tutti gli strumenti vengono suddivisi in quattro grandi famiglie: Aerofoni, Cordofoni, Membranofoni, Idiofoni. L’obiettivo di “Voci del Mondo” è quello di raccontare i luoghi dove rilanciare lo sviluppo e l’approfondimento delle opportunità educative e formative in una logica aperta ai territori e alle comunità oltre il tempo scuola, favorendo l’accoglienza dei gruppi target a conclusione dei percorsi scolastici e progettuali significativi, con momenti comuni di restituzione alle famiglie e ai cittadini. Il percorso laboratoriale prevede la scoperta e la conoscenza diretta di vari strumenti musicali appartenenti a collezioni private degli artisti mirabili Danilo Mineo, Reda Zine, Gaetano Alfonsi che hanno curato il format


per AERCO provenienti da diverse aree geografiche del mondo e reperiti durante i viaggi di lavoro. Questa attività permette al visitatore, attraverso l’esperienza diretta, di scoprirne tramite l’attività di manipolazione e di ascolto dei suoni prodotti, tutte le informazioni organologiche, etno-musicologiche inerenti agli strumenti presentati, la natura, l’utilizzo e la storia di quest’ultimi. La guida e la creazione del setting di questo percorso laboratoriale, è predisposta dagli insegnanti e dagli artisti che accompagnano i visitatori in bagni sonori e alla scoperta degli strumenti musicali presentati, sulla base del suono prodotto, della propria storia e della loro evoluzione, delle tecniche di esecuzione, delle caratteristiche timbriche e del ruolo che hanno in una orchestra. Voci del Mondo è un laboratorio di riciclo, costruzione di strumenti musicali e oggetti sonori, rivolti a tutti coloro che ne saranno interessati, bambini, genitori, insegnanti delle scuole del I e del II ciclo, a musicisti, operatori sociali ed educatori che operano nell’ambito socio-educativo, per fornire ai partecipanti strumenti e metodologie ludicodidattico utili alla formazione professionale, e per potere proporre agli alunni e alle alunne modelli alternativi di fare musica oltre alla tradizione che le scuole vantano. Nei vari incontri laboratoriali sono trattati e affrontati tutti gli aspetti relativi a questo tipo di attività con l’intento di sensibilizzare la manualità, la fantasia, e la sensibilità all’ascolto dei partecipanti attraverso la costruzione e l’utilizzo di oggetti sonori e strumenti musicali a partire

dai materiali di recupero (materiali plastici, imballaggi, materiali legnosi, materiali ferrosi e tanto altro), al fine di sperimentare i suoni insiti nei materiali di riciclo utilizzati. Pur nell’omogeneità di alcuni contenuti metodologici e musicali specificamente tratti dall’ambito disciplinare del riciclo, i laboratori sono calibrati in base alle specifiche risorse dei bambini valorizzando alcune condotte musicali specifiche. Particolare attenzione è rivolta ai bambini con bisogni educativi speciali per i quali, utilizzando il canale di comunicazione di tipo prevalentemente non verbale e vocale-sonoro, si cerca di promuovere esperienze non occasionali di esplorazione delle proprie risorse creative ed espressive e di autoregolazione. Ciascuno dei partecipanti crea e costruisce nuovi strumenti musicali prendendo spunto dai principi su cui si basano gli strumenti musicali convenzionali noti. Reperire il materiale di riciclo necessario per la costruzione, prima in casa, e successivamente attraverso la cernita e selezione timbrica dei materiali, permette di costruire vari modelli di strumenti (a percussione, cordofoni, aerofoni) attraverso le varie tecniche di assemblaggio, al fine di ottenere dallo strumento in questione il suono interessato. Nasce così la necessità di costruire un vero strumentario sonoro del tutto ecologico, che permette di sperimentare il suono insito in tutti i materiali e al tempo stesso fare musica secondo una visione del tutto originale e sostenibile.

Backstage Istituto Comprensivo Granarolo dell’Emilia, prodotto per AERCO da Reda Zine, Danilo Mineo e Gaetano Alfonsi.

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Radio AERCO

DI GIANLUIGI GIACOMONI Comunicare significa far conoscere, far sapere si riferisce per lo più a cose immateriali (sentimenti, desideri, idee, pensieri); questo verbo significa anche trasmettere, divulgare, far sapere, rendere noto. E perché quanto comunicato divenga parte di coloro sono stati raggiunti dai messaggi, occorre ricordare ciò che si è ascoltato. Già, ricordare, una delle funzioni più intime e personali dell’uomo a tal punto che gli Antichi credevano che il cuore fosse la sede della memoria (e, chissà, forse hanno ragione). Nel XXI secolo inoltrato abbiamo mille e mille possibilità di farci ascoltare così, da qualche idea davvero interessante e da una prima stesura del progetto fatto da Silvia (Biasini), la commissione artistica tutta e il Presidente Angelini hanno cominciato a riflettere… Nuove tecnologie per dialogare con artisti e cori associati? Ci sono. Una rivista densa di spunti musicologici e di ricerca corale? L’abbiamo. Ideazione e progettazione di corsi, concorsi, master, lezioni, festival, concorsi? Fatto! Una cosa si poteva aggiungere: una Radio podcast che con un click potesse arrivare a tutti, con leggerezza di modi e qualità di argomenti così da far entrare AERCO ovunque ci si trovi. Il progetto editoriale, con una pillola video e circa 30 minuti di podcast audio, si è sviluppato in questa prima fase con interviste ed approfondimenti nell’ambito del canto popolare nazionale ed internazionale, della polifonia, della lirica, delle voci bianche e delle varie tipologie di cori (misti e a voci pari). Però mancava ancora qualcosa; al fine di guidare gli esperti e tutti coloro che sono stati intervistati occorreva 60 | AERCO

una voce importante: avendo incontrato la disponibilità di Valentina Lo Surdo, fra le tante cose, grande divulgatrice e pure musicista, siamo partiti. Il risultato, racchiuso in soli 30 minuti, non è solo il racconto di un’esperienza corale, ma rappresenta un valore aggiunto assai prezioso per tutti gli altri cori che da lontano, attraverso l’ascolto, possono confrontarsi e condividere momenti di riflessione, di studio e di approfondimento. La voce di Valentina è fondamentale nel coinvolgimento degli ascoltatori e nel riuscire a cogliere quella magia che la voce e quindi ogni coro possiede.

Il podcast: backstage e preparazione Comunicare il pensiero musicale e filologico che fa scegliere una certa modalità interpretativa piuttosto che un’altra e che fa chiedere ai coristi mille sfumature di intenzioni ed espressioni vocali, è cosa piuttosto complicata. Le tante interpretazioni ascoltate e a portate in coro, la lettura di manuali di storia della musica e di meravigliose monografie di compositori antichi e viventi rappresentano un bagaglio culturale che, attraverso ore, giorni settimana, mesi di prove e correzioni ogni direttore possiede. Come rendere un servizio ai cori, trasmettendo nei vari ambiti corali impressioni, idee, consigli, avvertenze di coloro che da anni studiano e soprattutto pratico il canto corale? Abbiamo pensato che il mezzo vocale, in questo caso la voce parlata, fosse più efficace di un semplice articolo. Adottando la forma del dialogo, il gruppo di lavoro ha preparato un format la cui variazione è solo nel contenuto. Raccontarsi e raccontare, ecco la formula che si trova nei vari podcast, e rende interessante e salottiero una


AERCO presenta

CHORALNEWS Valentina Lo Surdo incontra Elide Melchioni

conversazione che in realtà è densa di consigli e contenuti musicali, espressi in modo leggero e simpatico. Esempi di musica corale, molto diversa per ogni puntata fa da contrappunto alla narrazione e spazia dal canto polifonico a quello popolare, dal canto a cappella a quello con orchestra e accompagnamento strumentale, dalla monodia a canti la cui origine si perde nella notte dei tempi. Sparring partner degli intervistati è Valentina Lo Surdo di cui riportiamo brevi cenni di una biografia intensa e variegata. Valentina Lo Surdo (Roma, 1976) da 25 anni è interprete di una carriera poliedrica nell’ambito della musica e della comunicazione. Musicista (laureata in pianoforte, per anni ha anche suonato come tastierista rock), conduttrice radiotelevisiva con al suo attivo centinaia di trasmissioni per la Rai (Radio3, Rai5, Raitre, Rai International, Radio Live), giornalista musicale e creatrice di progetti culturali (oltre 700 realizzati), presentatrice di eventi (più di 1000 concerti introdotti accanto ai grandi protagonisti della scena classica e non), trainer internazionale di comunicazione, è attiva anche in qualità di voce recitante partecipando a numerosi spettacoli teatrali, ma anche a spot audio e video come speaker, attrice e doppiatrice.

Con il soprannome Abha è autrice di reportage dal mondo, pubblicati sul suo blog ma anche per Turisti per Caso Italia Slow Tour, Marcopolo, Lonely Planet, La Freccia, L’Espresso, con particolare predilezione per i cammini che compie in solitaria. Nell’ambito della formazione, insegna public speaking e tecniche di comunicazione in Italia e all’estero, ad artisti, manager, politici, liberi professionisti. Il suo primo libro si intitola “L’Arte del Successo“(Edizioni Curci) ed è anche il titolo del suo corso on line di maggiore successo, sintetizzando 15 anni di corsi tenuti insegnando Self Management per Musicisti. È dunque nata RADIO Aerco che… ma forse ora occorre scaricare le puntate perché, come accade per la musica corale, è meglio ascoltare le esecuzioni dal vivo, piuttosto che parlarne. Stay tuned. Podcast AERCO

RADIO AERCO |

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Un coro poliedrico e trasversale Intervista a Daniele Sconosciuto, neo direttore del Coro Giovanile AERCO

A CURA DI SANDRO BERGAMO Qual è stata la tua formazione musicale? Daniele Sconosciuto: Ho intrapreso lo studio del pianoforte da bambino, mi sono innamorato di questo strumento musicale ascoltando i Notturni e gli Studi di Chopin eseguiti da Arthur Rubinstein e Maurizio Pollini, riprodotti dai vinili che mia madre custodisce gelosamente. Ho nitidi ricordi legati alla mia infanzia trascorsa con mio fratello, violoncellista col quale svolgo attività concertistica, e in compagnia dei ‘Grandi’ autori di musica d’arte. Ho studiato presso il Conservatorio ‘Tito Schipa’ di Lecce e mi sono diplomato nell’Istituto Musicale Pareggiato ‘Giuseppe Verdi’ di Ravenna, sotto la guida della Prof. Maria Francesca Baldi. Nel frattempo, ho studiato al DAMS dell’Università degli Studi di Bologna e mi sono laureato in DAMS-Musica con una tesi in Pedagogia Musicale (relatrice Prof. Carla Cuomo) e in Discipline della Musica con una tesi in Paleografia Musicale (relatore Prof. Cesarino Ruini). Mi sono abilitato all’insegnamento del pianoforte al Conservatorio ‘Girolamo Frescobaldi’ di Ferrara e in questa circostanza ho seguito i corsi di direzione di coro per didattica: risale proprio a questo periodo la possibilità che mi è stata offerta di passare da corista a direttore del Coro dell’Arengo, compagine corale che tuttora dirigo. Entrato di ruolo nella scuola ho sentito l’esigenza di completare la mia formazione assecondando quello che sin da giovanissimo rappresentava per me un obiettivo a lungo termine, studiare l’arte della direzione. Mi sono iscritto dunque al corso di Direzione d’Orchestra al Conservatorio ‘Giuseppe Verdi’ di Milano e mi sono diplomato un paio di anni fa sotto la guida del Maestro Vittorio Parisi. 62

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Quando e come è avvenuto l’incontro con il coro? Quali occasioni hanno portato un pianista e musicologo a interessarsi in maniera prevalente a questo mondo? Daniele Sconosciuto: Sin dai tempi della mia adolescenza ho praticato attività corale in ambito parrocchiale: è in quel contesto che ho mosso i primi passi come corista. Era affascinato dalle voci che, pur nella diversità timbrica, davano vita a un insieme omogeneo di suoni. Poi ci sono state le esercitazioni corali in Conservatorio che mi permettevano di alternare la lezione individuale di pianoforte con la lezione collettiva di coro, occasione di socialità e condivisione musicale con dei coetanei. Trasferitomi a Bologna per completare gli studi pianistici e intraprendere gli studi universitari mi sono subito inserito come tenore nel coro dell’Arengo, che avevo ascoltato durante una funzione liturgica. Ero rimasto impressionato dall’armonia e dalla giovialità fra i coristi, avevo intuito che l’ambiente era sereno e c’era affiatamento; mi sono sentito accolto, prima di tutto umanamente. Nel giro di pochi anni ho poi preso in mano il coro assumendo il ruolo di direttore. Infine l’incontro con la Prof. Maria Elena Mazzella, insegnante di Direzione di Coro, mi ha stimolato ad approfondire la tecnica direttoriale e ampliare il repertorio. Sei entrato subito in contatto con l’AERCO o è qualcosa che è maturato più tardi? Nell’associazionismo corale hai trovato stimoli e strumenti o ti sei orientato autonomamente?


Daniele Sconosciuto: L’incontro con l’AERCO è avvenuto cinque anni fa tramite la scuola a indirizzo musicale in cui tuttora insegno pianoforte, l’I.C. di Granarolo dell’Emilia, che era ed è associata ad AERCO. Nella scuola svolgiamo progetti in verticale (infanzia-primaria-secondaria di primo grado) che prevedono percorsi corali per gli alunni più piccoli e in occasione di un concerto, che vedeva coinvolta la nostra assieme ad altre scuole del territorio bolognese, ho conosciuto il Presidente Andrea Angelini, il quale mi ha illustrato le attività di AERCO e condiviso l’obiettivo necessario di fare rete tra i cori della provincia bolognese. Come Coro dell’Arengo ci siamo subito iscritti all’AERCO e dopo poco tempo sono entrato nel Consiglio Direttivo dell’Associazione. Venivo già da un’esperienza molto significativa e performante nell’Associazione ‘Le Muse e il Tempo – Centro di Ricerca, Formazione e Didattica della Musica’ che mi aveva permesso di conoscere e apprezzare la pratica associativa. Ciò mi ha consentito di cogliere i punti di forza dell’AERCO che hanno sicuramente stimolato il mio percorso come direttore di coro, delegato provinciale, direttore organizzativo e responsabile relazioni dell’Associazione, cariche che tuttora ricopro. Con il tuo coro, il Coro dell’Arengo, quali repertori privilegi? Sono scelte che dipendono dalle caratteristiche del coro o da tue personali predilezioni?

Daniele Sconosciuto: Il Coro dell’Arengo nasce dalla consapevolezza e dall’impegno di un gruppo di amici teso a favorire la partecipazione all’azione liturgica attraverso il canto corale; e per questa ragione prediligo il repertorio liturgico e sacro. Negli ultimi mesi il coro ha accolto nuove voci e ampliato il proprio repertorio nella direzione dei compositori contemporanei di musica sacra, ciò è determinato dalla presenza di nuovi coristi e dalla partecipazione sempre più frequente a rassegne corali. Che piano di lavoro ti sei preparato, con il coro giovanile regionale? Daniele Sconosciuto: Come per gli altri cori giovanili nati in seno alle associazioni regionali, anche il Coro Giovanile dell’Emilia-Romagna svolge una prova intensiva a cadenza mensile. Per ottenere dei risultati soddisfacenti nel corso delle poche prove a disposizione, e che ci permettano poi di partecipare a concerti, festival e concorsi corali reputo necessari una preparazione e uno studio da svolgere con largo anticipo rispetto alla prova. Per questo motivo una volta selezionato il repertorio da affrontare, ne approfondisco lo studio inserendo elementi agogici e respiri che saranno poi oggetto di confronto durante la prova con i coristi, predispongo dei file audio in modo che possano prepararsi individualmente e scrivo una scheda esplicativa inerente ai brani che di volta in volta andremo

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a cantare. I coristi arrivano così alla prova consapevoli del lavoro di montaggio che si chiede loro; ed io posso dedicarmi alla crescita musicale del coro che si alimenta attraverso la ricerca della propria identità sonora e della necessaria sinergia fra le voci. Che programmi pensi di frequentare maggiormente, con questo coro? Daniele Sconosciuto: Grazie alla sua poliedricità, penso che questo coro sia nelle condizioni di presentare un vasto repertorio di musica corale, sia a cappella sia in formazione da camera con pianoforte o organo. In questi primi mesi di ripartenza del progetto sotto la mia direzione musicale sto previlegiando repertorio di compositori viventi per dare continuità al lavoro svolto egregiamente dalle colleghe e amiche che mi hanno preceduto, Silvia Biasini e Ilaria Cavalca. Nel prossimo futuro seguiremo sicuramente il filone della musica corale contemporanea rivolgendo al contempo lo sguardo sulla musica Antica, sui compositori romantici e sul Novecento. Perché un coro giovanile regionale? Qual è, secondo te, il compito di queste formazioni?

Daniele Sconosciuto: Il coro giovanile incarna un progetto trasversale e allo stesso tempo unico nel territorio regionale giacché accoglie giovani coristi provenienti da tutta la regione, che fanno già parte di cori aderenti alle associazioni regionali, e i quali avvertono la necessità di arricchire la propria esperienza corale condividendo con altri giovani lo studio e l’ampliamento del repertorio con obiettivo la crescita personale e di gruppo. In quest’ottica la funzione di un coro giovanile regionale è quella di approfondire le proprie competenze musicali, migliorare le performance individuali, sviluppare il senso di appartenenza a un pregevole gruppo corale, mirare alla crescita umana e professionale propria e dei colleghi coristi.

Ildebrando Pizzetti (1880 - 1968) Agnus Dei John Tavener (1943 - 2013) The Lamb

Coro Giovanile dell’Emilia-Romagna 64

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