SPECIALE in questo numero, il documento di fare verde sull’energia nucleare, realizzato nell’ambito della campagna “energie nuove per l’italia” nucleare
Anno XIII Numero 63 Settembre Dicembre 2008 Euro 2,50 www.fareverde.it info@fareverde.it b
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Il “rinascimento nucleare” del Governo italiano Costi elevatissimi, tempi biblici, problema scorie irrisolto. Vi spieghiamo perché il ritorno del nucleare in Italia sarebbe una follia.
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Niente scorie per i nostri figli.
Inviateci le foto del vostro gruppo locale: info@fareverde.it
editoriale
Diciamoci la verità: convenzioni e bei discorsi a parte, in pochi pensano davvero alle generazioni future. Ci pensano i buoni ecologisti, il cui orizzonte va ben oltre il loro tempo, nella consapevolezza che bisogna preservare la natura e gestirne le risorse nel rispetto della loro rinnovabilità. Ci pensa il buon cristiano, che sa di dover essere un custode del Creato. E come lui i buoni credenti delle altre religioni, che sanno riconoscere nella natura lo spirito del sacro, da rispettare e preservare. Ci pensano le persone generose, che non agiscono mosse solo dal loro tornaconto personale. E quelle responsabili, che sentono di dover rispondere, in coscienza, delle loro azioni. Ci dovrebbero pensare i politici, che dovrebbero farsi carico anche delle conseguenze lunghe delle loro scelte immediate. E’ questa lungimiranza che caratterizza i veri statisti, a differenza dei tanti apprendisti stregoni prestati alla politica.
Di noi, così facili a giudicare gli errori del passato, chissà cosa penseranno le future generazioni. Alle quali lasciamo, primi nella storia umana, un pianeta ben peggiore di quello ricevuto. Non bastavano il pianeta riscaldato, l’estinzione di specie animali e vegetali, l’inquinamento di terra, aria e acque, e gli altri amari effetti della nostra “civiltà”. Ai posteri si vogliono lasciare anche rifiuti radioattivi per millenni, addossando alle generazioni future i costi ed i rischi di un’avventura i cui beneficiari sono unicamente gli spreconi del presente. Un gesto di irresponsabilità pura, che la dice lunga sulla miopia di chi ci governa. Che nel 2010 non riesce a proporre di meglio che soluzioni da anni ’60, vecchie di almeno 50 anni. Che ignora lo sviluppo delle rinnovabili, l’efficienza energetica, la possibilità di un sistema distribuito di energia. Che pensa ancora di poter vivere nello spreco ipotecando il futuro dei suoi nipoti.
Mostra purtroppo di non pensare alle generazioni future chi, oggi, propone in Italia di ritornare al nucleare. Senza preoccuparsi di ciò che lascerà ai nostri figli, e a chi verrà dopo, per tantissime generazioni: scorie radioattive che richiedono, nella migliore delle ipotesi, centinaia di anni per abbassare la loro pericolosità. Vere e proprie bombe ambientali: basta un’infiltrazione di acqua per causare un disastro ambientale. Non esistono, oggi, in tutto il mondo, depositi ritenuti sicuri per garantire nei secoli lo stoccaggio dei rifiuti. E, in attesa di portarli, come qualcuno fantasiosamente propone, sulla Luna o su un altro pianeta, si accantonano dove si può, confidando che chi verrà dopo troverà la soluzione. Un’eredità pesante, per continuare a sostenere gli sprechi e le assurdità di un sistema che, grazie alla sola efficienza energetica, potrebbe vivere allo stesso modo, senza alcuna rinuncia, con la metà degli attuali consumi, ma che preferisce “buttare acqua nel secchio bucato”.
Chi governa ha la responsabilità del futuro. E nell’affrontare i problemi dell’oggi, deve saper guardare anche al domani. Non si chiedono palle di vetro per prevedere il futuro, ma lungimiranza e senso di responsabilità. E’ eticamente inaccettabile che si imbocchi la via del nucleare, consci già da ora che non si sa come gestirne le scorie. Consolati dall’irresponsabile spensieratezza che il problema si può scaricare sulle generazioni future, che hanno la sola colpa di non esser oggi qui presenti, per poterci bloccare. Ai posteri vorremmo lasciare un mondo vivibile. Senza scorie nucleari e altri inquinamenti. Ma soprattutto vorremo lasciare un insegnamento: che di ogni azione bisogna esser responsabili, e che il conto non va scaricato sugli altri. Siano le generazioni future, siano le popolazioni di paesi del Terzo Mondo, siano gli animali o le foreste, che non riescono ad aver voce. Non vogliamo scorie per i nostri figli. Non vogliamo il nucleare oggi.
PUNTO VERDE a cura di sandro marano «La sventura dell’umana esistenza comincia allorché l’oggetto della conoscenza scientifica è assunto come l’Essere in sé e quanto non è scientificamente conoscibile è considerato come non esistente. La scienza diviene allora superstizione scientifica…» Karl Jaspers, Piccola scuola filosofica Contro l’arroganza dello scientismo è necessario far valere il carattere
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relativo delle verità scientifiche. E’ difficile, però, sradicare la superstizione scientifica, oggi così radicata nelle masse e perfino in uomini di elevata cultura. “E’ solo questione di tempo, di maggiori fondi per la ricerca!” Così suona il moderno pregiudizio. Contro questo autentico male dello spirito è forse preferibile lasciar parlare i fatti. A Chernobyl si è fusa un’illusione: quella che la tecnologia possa risolvere tutti i nostri problemi!
Colbert, ministro delle finanze della Francia di Re Sole, fece piantare foreste di alberi per rinnovare le piante che lo sviluppo economico del suo paese sacrificava. Da intelligente uomo di Stato, guardava al suo presente, ma con un occhio rivolto anche al futuro della sua patria. Scajola ed i fautori del nucleare forse pure passeranno alla storia. Ma non certo per la lungimiranza del Colbert. Si addice loro più il confronto con gli sciagurati abitanti dell’Isola di Pasqua, che in nome delle loro statue di pietra ridussero la loro isola ad una landa desolata, priva di alberi. Distruggendo, con il loro territorio, la loro stessa civiltà ed il suo futuro.
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Il “rinascimento nucleare” di Scajola: costoso, dai tempi lunghi, inutile. L’industria nucleare è in crisi da anni. Quella francese, in particolare, ha bisogno di nuovi ordini per andare avanti. Con la proposta dell’attuale Governo di ritornare al passato nucleare, l’Italia rischia di asservire il suo sistema energetico a interessi economici che non sono i suoi, di sprecare una montagna di denaro, di perdere tempo prezioso e di non cogliere la vera sfida degli anni a venire: usare l’energia con più razionalità e produrla con piccoli impianti alimentati con fonti rinnovabili e distribuiti sul territorio. Lo scenario più adatto all’Italia è quello di una moltidudine di piccoli impianti che si scambiano energia elettrica all’interno di una “smart grid”, una rete intelligente. Vorremmo che fosse solo uno bluff per far vedere che il Governo fa qualcosa per affrontare la crisi dei prodotti petroliferi, una di quelle dichiarazioni che i politici spesso fanno, accontentandosi delle ricadute mediatiche dell’effetto-annuncio. O magari una spregiudicata manovra ricattatoria, per convincere i petrolieri ad abbassare il costo del petrolio e ridurne le speculazioni. Tuttavia, l’insistenza con cui il Governo Berlusconi, dall’inizio del suo mandato, propone il suo “rinascimento nucleare”, ci obbliga ad affrontare seriamente l’argomento. Delineandone i punti interrogativi, i tanti nodi irrisolti, le superficialità che accompagnano il progetto. A lanciare il sasso (un macigno!) è stato il ministro alla Sviluppo Economico Scajola, che, appena pochi giorni dopo la sua nomina, ha annunciato l’intenzione dell’Italia di riaprire la stagione nucleare. Il proposito è di quelli che colpiscono in profondità. Senza dibattito alcuno, si intende rivedere la direzione strategica di abbandono del nucleare fondata sul risultato referendario del 1987. Un vero e proprio blitz, quello di Scajola, che annulla un pronunciamento popolare e rischia di ributtare l’Italia dentro al tunnel nucleare con superficialità proprio ora che sarebbe il caso di puntare con decisione sulle rinnovabili e sul risparmio energetico. La decisione pone innanzitutto un problema politico. E’ impensabile che scelte strategiche come il ritorno al nucleare, che interessano l’intera nazione, possano esser prese senza un largo confronto. Il Governo sostiene che la decisione deve essere bipartisan, con il consenso anche dell’opposizione parlamentare (un gioco facile, viste le posizioni sostanzialmente affini di molti esponenti del PD in materia di energia). Ma questo non basta. La decisione è di quelle che impongono qualcosa in più e chiedono il coinvolgimento dei cittadini. Tanto più considerando che esiste l’esito referendario del 1987, in cui l’80% degli italiani si schierò contro il nucleare. Certo, quella referendaria è una scelta rivedibile: la politica ha il diritto di ripensare le scelte del passato, ed il rifiuto, 20 anni fa, del nucleare non può essere inteso come un dato intoccabile. Ma, appunto, ci vuole una riflessione profonda, con il confronto di tutte le parti ed un nuovo coinvolgimento popolare. Il che, finora, non è avvenuto. Neanche indirettamente. Nell’ultima campagna elettorale, quando gli italiani venivano chiamati a decidere il loro futuro, il tema è stato assente: tra le tante lusinghe dei competitori, nessuno ha promesso ai suoi elettori una bella centrale nucleare. Nei programmi elettorali, l’argomento era assente o quasi: nei 12 punti del Si può fare di Veltroni, neanche un accenno al nucleare, mentre il PdL si limitava a promettere la “partecipazione ai progetti europei di energia nucleare di ultima generazione”, vale a dire addirittura meno della situazione esistente, in cui, tramite l’ENEL, l’Italia gestisce nell’Europa dell’Est centrali antiquate di seconda generazione. A dir il vero, pruriti atomici erano nell’aria: nell’autunno 2007, quando le elezioni erano ancora lontane, vari esponenti del centrodestra (Urso, Casini, Fini) avevano lanciato una campagna pro-nucleare, con convegni e raccolta di firme, ma al momento delle elezioni, quando il politico dovrebbe stipulare il suo “contratto con gli elettori”, il tema era saggiamente sparito. L’assenza di un vero confronto sull’argomento nucleare non solo (e non è certo poco!) priva di legittimità democratica la decisione, ma impedisce anche un serio approfondimento sui vari punti dolenti. Si va avanti a furia di spot, senza contraddittori, con superficialità e bugie che i media purtroppo amplificano e consolidano. Attraverso interventi a senso unico su stampa e tv gli italiani vengono convinti sulla bontà dell’energia atomica, sulla sua convenienza economica, sulla sicurezza, cercando di creare un clima di fiducia in un’opinione pubblica che non ama complicarsi le cose, e che preferisce sentirsi assicurare che potrà tranquillamente continuare nei suoi consumi d’energia, magari anche a prezzo più basso. I sondaggi (sulla cui attendibilità, per altro, è sempre bene serbare dubbi!) danno così un crescente favore nei confronti dell’energia atomica, frutto di una campagna di informazione pilotata
che fa leva sull’illusione della gente di pagare meno. Se invece di assistere ad uno spot, gli italiani assistessero ad un serio confronto a più voci, si renderebbero conto che il “rinascimento nucleare”, come qualcuno ama definirlo, è tutt’altro che auspicabile, e che dietro lo sbandierato ottimismo di Scajola l’avventura nucleare nasconde rischi, costi, tempi lunghi e problemi insoluti che sconsiglierebbero l’imbarco sul Titanic atomico e indurrebbero a puntare con decisione su soluzioni energetiche pulite e durature.
di giancarlo terzano
IL “RINASCIMENTO NUCLEARE” ITALIANO Scajola ha aperto la campagna dell’atomo, prontamente seguito da altri esponenti politici e del mondo scientifico e industriale. Ad oggi, non è ancor chiaro, però, con quali modalità si proporrà il rinascimento nucleare italiano. Entro fine 2008 era prevista la Conferenza Nazionale Energia e Ambiente, che avrebbe dovuto sciogliere i dubbi, ma l’appuntamento anche stavolta è stato rinviato. Intanto, ENEL ha presentato un suo piano, nel quale prevede la costruzione di 4 o 5 centrali da 1.000/1.800 MW, per una potenza complessiva, nel 2020, di 6.000 MW, pari al 10% dei consumi nazionali. Il costo preventivato è di 3 / 3,5 miliardi di euro a centrale, per un importo complessivo di circa 14 miliardi di euro. Una cifra notevole, tanto più per un ente, l’ENEL, indebitato per 60 miliardi (è troppo da maligni pensare che la società intenda sanare i suoi debiti proprio grazie agli aiuti pubblici per il nucleare?). Ancora più ambizioso è il progetto di Edison, che punta a 5 / 10 centrali, per un costo compreso tra i 20 e di 40 miliardi (ma che l’agenzia di rating Moody’s ritiene più credibile debba essere portato a 30/70 miliardi). Come soluzione per reperire i fondi, si pensa ad un consorzio tra gli operatori energetici, eventualmente con la partecipazione di grandi consumatori quali l’industria siderurgica, del cemento, della carta. Oppure ad un consorzio pubblico-privato. Non mancano idee più fantasiose, come quella del pirotecnico ministro Brunetta, che di nuove centrali ne vorrebbe 50 in tutt’Europa, e che ha proposto di utilizzare le riserve auree depositate presso la BCE, quale garanzia: un’idea poco in linea con gli ordinari strumenti di politica monetaria, che però rivela l’intento di coprire con denaro pubblico l’avventura nucleare. Quello nucleare è un business altamente costoso, che può ripagarsi solo in tempi molto lunghi. Ma servono aiuti di Stato, stabilizzazione dei prezzi, sicurezza sul monopolio. Proprio il contrario dell’attuale sistema, fondato sulle liberalizzazioni. In un libero mercato, il nucleare non trova investitori. Lo insegna l’esperienza degli Stati Uniti, dove il mercato dell’energia è liberalizzato e le centrali sono gestite da privati, e dove dal 1984 non si costruiscono nuove centrali, proprio perché economicamente non conveniente. Negli ultimi anni ha provato a rilanciare il settore Bush, con un bando per la promozione di nuovi impianti che però è andato deserto, e si è dovuto ricorrere nel 2005 a promettere vari incentivi, come tassi agevolati, garanzie sugli eventuali ritardi e un incentivo diretto di 1,8 cents per Kwh (Energy Policy Act, 2005). E’ solo grazie a tali aiuti governativi che, nel 2007, sono state avanzate 4 nuove domande di ammissione, le prime dopo oltre 30 anni. Anche in Italia, il nucleare potrà affermarsi solo tramite l’intervento pubblico. Un’idea che violerebbe le regole del libero mercato, ma che consentirebbe di scaricare parte delle spese sui cittadini e favorire i profitti per le imprese. Del resto, l’Italia è il paese dove la maggior parte dei contribuiti alla rinnovabili, i cosiddetti CIP6, è finita agli inceneritori. Nulla di sorprendente, quindi, se anche il nucleare finisse per godere degli incentivi all’energia verde. Poca chiarezza c’è anche sulla tecnologia degli impianti da realizzare. Con una notevole dose di leggerezza e approssimazione, si promettono gli impianti più moderni, più sicuri, più efficienti. Il richiamo, soprattutto nelle rassicurazioni dei politici, è spesso al nucleare di IV generazione, da cui si attendono meraviglie. In realtà, allo stato attuale, l’unica tecnologia praticabile è quella
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Uno studio condotto dal Consiglio Mondiale dell’Energia(WEC) ha mostrato che in tutto il mondo i tempi di costruzione per i reattori nucleari sono aumentati da 66 mesi a 116 mesi tra il 1995 e il 2000. Calcolando anche le fasi progettuali e autorizzative, per costruire una centrale occorrono non meno di 11 anni. Anche per questo in futuro il nucleare non sarà competitivo con soluzioni più economiche e veloci come i programmi di efficienza energetica E le fonti rinnovabili dei reattori di III generazione, come l’EPR. Nati a fine anni ‘80, sulla scorta degli incidenti di Three Miles Island e Chernobyl, tali reattori sono detti anche evolutivi in quanto costituiscono una semplice evoluzione di quelli della II generazione (cui apparteneva l’impianto di Chernobyl). Per la IV Generazione, di cui si promette maggiore efficienza e sicurezza, nonché la possibilità di recuperare le stesse scorie, bisognerà attendere almeno 25-35 anni. Il premio Nobel Rubbia consiglia di aspettare, per non investire su una tecnologia che appena entrata in funzione sarà già obsoleta. I soggetti interessati (ENEL, Edison, ENEA) premono invece per la III generazione: meglio far subito, altrimenti l’affare potrebbe sfumare! Così preferiscono venderci una tecnologia che ha gli anni contati. Ma, al quel punto, non è detto che si passerà alla IV generazione: già oggi si preferisce allungare la vita degli impianti (fino a 50-60 anni), anziché costruirne di nuovi, per ottenere il massimo beneficio dall’investimento. Sicché è facile prevedere una lunga vita per le centrali di III Generazione, nonostante il prossimo passaggio a tecnologie più moderne! TEMPI Il rilancio del nucleare nasce dalla necessità – ci dicono – di assicurare la diversificazione delle fonti energetiche e di ridurre così il peso degli idrocarburi e delle importazioni. Ciò al duplice scopo di alleggerire la bilancia energetica nazionale (dipendiamo per l’85% del fabbisogno dall’estero) e di contribuire al rispetto degli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra. Ben venga, dopo anni di totale disattenzione della classe politica sulle politiche energetiche (anni durante i quali le emissioni, anziché diminuire, sono gravemente aumentate, così come è aumentata la nostra dipendenza dall’estero) la volontà di farsi carico del problema. Quella nucleare, però, è una soluzione dai tempi lunghi, mentre i problemi d’approvvigionamento e diversificazione appartengono già al presente. Scajola ha fretta, vuole posare la prima pietra entro la fine delle legislatura e indica tempi nell’ordine di 7-8 anni. Tale tempistica non trova però conferme negli addetti ai lavori: l’ENEL spalma il suo piano su 14 anni, l’ENEA preferisce ipotizzare scenari lunghi, prevedendo il pieno regime solo intorno al 2030. L’IEA (International Energy Agency), dal canto suo, prevede un periodo di 7-15 anni per i paesi che abbiano l’intera filiera nucleare, e tempi consistentemente più lunghi per chi, invece, come l’Italia, non ha più la “struttura”. Il precedente della centrale finlandese di Olkiluoto, l’unica in costruzione in Europa, del resto, invita alla calma: tra progettazione e costruzione passeranno 14 anni. Doveva essere un esempio di velocità, oggi, a metà dei lavori, conta già due anni di ritardo e costi aumentati del 50% rispetto al preventivato. Dispiace per gli annunci di Scajola, ma con tali precedenti è da escludere che l’Italia riesca a ridurre i tempi sotto gli standard mondiali, salvo che voglia ricorrere a “italianissime” quanto pericolose “semplificazioni”, magari sui controlli e le garanzie del procedimento!
Nel frattempo, l’emergenza energetica si accentuerà. Con il petrolio che potrebbe arrivare a 200 dollari il barile, e le emissioni di CO2 che anziché diminuire aumentano. Servono soluzioni rapide, non saranno le promesse dei politici a farci uscire dall’urgenza energetica e ambientale. COSTI “Sì, ma con il nucleare l’energia costerebbe meno”. Tale affermazione, divulgata con assoluta certezza dal fronte nuclearista, costituisce, in una società che pone al primo valore la convenienza spicciola ed immediata, l’argomento più usato e convincente a favore del nucleare. Un argomento indubbiamente capace di far breccia nell’animo di tutti i consumatori, da Confindustria alle famiglie, e di creare un clima emotivo di favore verso la svolta nucleare. Intanto, una doverosa premessa sulla questione costi. Per quanto impopolare, è bene ricordare che un più basso prezzo dell’energia costituisce anche un netto disincentivo a forme di risparmio e ad investimenti per migliorare l’efficienza energetica. In fin dei conti, se oggi si arranca dietro il rincaro continuo del prezzo del petrolio, dipende proprio dal fatto che tale fonte è rimasta per anni troppo economica, e ciò ha determinato una sostanziale disattenzione verso tecnologie di risparmio e approvvigionamenti alternativi. L’energia, comunque ottenuta (rinnovabile, fonte fossile, nucleare) costituisce una risorsa limitata, da usare con parsimonia. Più che ridurne i costi, dovremmo cominciare a ragionare in termini di riduzione dei consumi. Risparmieremmo lo stesso i soldi, ma con beneficio dell’intero sistema. I cittadini vanno incoraggiati ad adottare misure di efficienza energetica (e, perché no? di maggior sobrietà) che riducano il consumo, più che il costo dell’energia. E al piagnisteo di Confindustria, che lamenta i costi eccessivi per l’energia per le sue aziende e reclama il nucleare, ci piace contrapporre esempi come quello della tedesca Solvis, che lavorando sulla massima riduzione dei consumi, rappresenta oggi la più grande fabbrica europea ad emissioni zero, completamente alimentata da fonti rinnovabili. Senz’altro una lezione da apprendere, per Marcegaglia e il capitalismo italiano assistito. Fatta questa premessa, va però smontata la stessa tesi che con nuove centrali atomiche pagheremo meno cara l’elettricità. Negli ultimi decenni, il settore nucleare ha vissuto uno stato di stagnazione, proprio a causa della minor convenienza economica. Ancora nel 2003, uno studio del MIT (Massachusetts Institute of Technology) concludeva per la non competitività, in un’economia di mercato, dell’energia nucleare negli USA, il paese al mondo con il maggior numero di centrali. Solo confidando in una sostanziale riduzione dei prezzi e tempi di costruzione e manutenzione, o introducendo una tassa ecologica, sarebbe stato possibile rendere più competitivo il nucleare (MIT, The future of nuclear power, 2003). Oggi, con l’aumento del prezzo del petrolio e la fame di energia, crescono le attenzioni verso il nucleare. A crescere, tuttavia, sono anche
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ISCRIZIONE 2008 I nostri consumi hanno raggiunti livelli non più sopportabili per la biosfera. Il riscaldamento del pianeta è l’effetto più evidente dell’impatto che le attività umane hanno sull’ambiente, i rifiuti sono una “emergenza permanente” in molte parti d’Italia, l’approvvigionamento di energia da fonti fossili diventa sempre più costoso e difficoltoso, le multinazionali manipolano pericolosamente le specie viventi, ... Di fronte alla catastrofe ambientale che abbiamo provocato, e che stiamo rendendo ogni giorno più drammatica, c’è una sola risposta possibile: ridurre i nostri consumi. Da subito, da tutti.
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l’unica centrale nucleare in costruzione in europa è quella di Olkiluoto, in finlandia. doveva essere un esempio di velocità e convenienza economica. dopo due anni di cantiere e uno stop per il mancato rispetto degli standard di sicurezza, costi e tempi sono già raddoppiati rispetto alle previsioni.
i suoi costi: impennata dell’uranio, aumento dei costi di costruzione e per la messa in sicurezza nonché la situazione di oligopolio stanno determinando un continuo aumento dei costi complessivi del nucleare. La centrale finlandese di Olkiluoto, che doveva costare 2,5 miliardi di euro, è già a quota 4 miliardi, e i lavori ancora non sono finiti. Una nuova stima del DOE, il Dipartimento USA per l’energia, pubblicata nel 2007, conferma ancora per il 2015 il più alto costo della produzione di elettricità da energia nucleare (63,32 $/kWh) rispetto al carbone e il gas, che può essere compensata solo da incentivi pubblici. In realtà, il costo del nucleare dipende da una serie di fattori. Dipende dal costo della materia prima, l’uranio (e qui, nonostante l’abnorme rialzo del prezzo, il nucleare si rivela più conveniente di gas e carbone, ma non certo delle rinnovabili, in cui la materia prima è del tutto gratuita); ma dipende sopratutto dai costi di costruzione, dalla proprietà sulla tecnologia, dalla manutenzione, dalla definitiva messa in sicurezza (fase, quest’ultima, che si tende a trascurare). Parte di questi costi è di “sistema”, per cui si abbatte se aumenta il numero degli impianti. La Francia, ad es., con i suoi 59 reattori, può permettersi economie di scala (senza dimenticare che l’AREVA, per l’87% a capitale pubblico, è leader mondiale in tutte le fasi del ciclo nucleare, dalla produzione dell’uranio alla costruzione delle centrali, al riprocessamento e la gestione dei rifiuti). L’Italia non ha né un “sistema”, né posizioni strategiche nel settore. E non ha neanche il controllo pubblico del settore, che è poi quello che assicura in Francia un costo dell’energia più basso (la Germania, che pure si affida al nucleare per ¼ dei suoi consumi, ha un costo 2,5 volte superiore a quello francese). Se verranno realizzate le centrali italiane, è altamente improbabile che il costo dell’energia per il consumatore finale si abbatterà. Gli investitori privati intendono fare profitti, e in un regime di sostanziale monopolio non sono costretti a tenere i prezzi più bassi. Favori saranno concessi alle industrie energivore chiamate a partecipare all’investimento (già oggi si parla di tariffe concordate), ma gli utenti normali (i comuni cittadini che si illudono di poter accendere i loro elettrodomestici a prezzi più bassi) dovranno pagare per intero sulla bolletta i costi ed i profitti dell’avventura nucleare. E’ comunque il caso di precisare che per valutare correttamente il calcolo di un kWh nucleare, sarebbe necessario ricorrere alla Valutazione del Ciclo di Vita (Life Cycle Assessment), che tiene in considerazione, appunto, l’intero ciclo, dall’estrazione della materia prima fino allo smantellamento ultimo degli impianti e la sistemazione delle scorie. Bisogna coprire, cioè, un periodo che va dai 100 ai 150 anni, durante i quali sarebbe necessario conoscere quanto costerà, anno per anno, raffreddare, ritrattare, confinare il combustibile esausto anno per anno e quanto, successivamente, il decommissioning, lo smantellamento definitivo della centrale e la bonifica del luogo (Sergio Zabot, Nel calcolo dei costi non sono valutare le ricadute esterne, su Valori, n. 59, maggio 2008). Il caso del Regno Unito mostra la difficoltà di fare previsioni per il futuro. Nel 2006, la Nuclear Decomissioning Authority, incaricata di gestire lo smantellamento delle centrali britanniche più antiquate, stimò un periodo di 130 anni ed una spesa di 53 miliardi di sterline; già nel 2008, la stima è salita a 83 miliardi (circa 104 miliardi di euro) a causa dell’aumento delle spese di ingegneria e per la sicurezza. Di questo passo, prevedere quali cifre potranno esser raggiunte tra 130 anni è pressoché impossibile, ma la tendenza in atto garantisce che si tratterà di cifre astronomiche. Così come andrebbero calcolate le esternalità, i danni collaterali che la produzione di quell’energia può produrre, compresi eventuali disastri (un’eventualità – per inciso – che alcuna compagnia assicuratrice intende coprire). Costi invece del tutto assenti nelle previsioni di chi ci propone il rinascimento nucleare. L’URANIO L’uranio, la materia prima per le centrali, non è infinito. L’ultimo rapporto dell’IAEA, l’International Atomic Energy Agency, stima in 5,5 milioni di tonnellate (MtU) le risorse mondiali disponibili di uranio; con tale disponibilità, allo stato dei consumi del 2006, si potrebbero coprire circa 100 anni (IAEA, Nuclear Technology Review 2008). Un rilancio del nucleare su grande scala, con il numero delle centrali raddoppiate o triplicate, quindi, inevitabilmente ridurrebbe i tempi dell’era nucleare: tra 50 anni, o anche 30, il mondo sarebbe di nuovo di fronte alla situazione attuale, con l’esaurirsi di un ciclo (come oggi quello del petrolio) e l’esigenza di trovare alternative energetiche. L’IAEA stima, sì, che ci siano ulteriori risorse, ma al momento il loro utilizzo è improponibile per le difficoltà estrattive e gli alti costi. Di fronte a tale dato, lascia esterrefatti l’annuncio lanciato da Berlusconi all’ultimo G8 di Toyako. Rilevato il fallimento del vertice in materia di riduzione delle emissioni inquinanti (per la solita ritrosia ad accollarsi le proprie responsabilità da parte degli USA e dei giganti emergenti, Cina e India in testa), il Cavaliere ha spiegato il proposito di “anticipare il passaggio dalla società dei combustibili fossili a quella delle fonti energetiche alternative e basate sul nucleare” attraverso il mega progetto di costruire oltre 1.000 nuove centrali nucleari nel mondo. Il piano, a dir la verità, viene da Sarkozy e Brown che intendono far fruttare la posizione dominante delle loro aziende nazionali, ma, visto che si parla di grossi affari, anche l’Italia spera di rientrarvi.
Con 1.000 nuove centrali, tuttavia, le risorse di uranio basteranno si è no fino al 2040: giusto il tempo di inaugurarle, e si potrà chiuderle per mancanza di materia prima. Un grosso affare per le aziende che le avranno costruite, molto meno per chi le ha commissionate. La limitatezza della risorsa uranio e soprattutto la sua concentrazione nelle mani di pochi produttori (il 92% della produzione mondiale di uranio è concentrato in 8 paesi, Canada e Australia in testa) ne hanno fatto inoltre lievitare enormemente i costi. Negli ultimi 4 anni, l’aumento è stato del 1.300%, passando dai 10,15 $/libbra del 2003 ai 135 di metà 2007, ed è facile prevedere che la tendenza all’aumento continuerà. Dipendere dall’uranio, anziché dal petrolio, evidentemente non salva dalle speculazioni finanziarie. L’Italia, dal canto suo, non produce uranio, per cui la sua dipendenza dall’estero, economica e strategica, per la materia prima continuerà. LOCALIZZAZIONE DEGLI IMPIANTI Dove sorgeranno le nuove centrali? Il problema localizzazione è senz’altro uno dei nodi più spinosi da sciogliere. Agli italiani possono anche far credere che il ritorno al nucleare è indispensabile, ma da qui ad accettarlo sotto casa… il cammino sarà duro. A oltre 5 anni dalle proteste di Scanzano Ionico, non è stato ancora individuato il nuovo deposito di scorie nazionali, che continuano a sostare nei vari depositi provvisori. La protesta delle popolazioni lucane, nel 2003, fece fallire il tentativo di addossare a quel piccolo centro lo scomodo fardello dell’avventura nucleare italiana. Ora lo stesso Governo Berlusconi, che allora ritirò la sua decisione, rilancia, cercando località pronte ad accettare centrali e depositi. Il Governo promette incentivi e agevolazioni ai comuni che ospiteranno gli impianti. Ma insieme alla carota, è anche pronto il bastone, con il pugno duro contro le possibili proteste di cittadini già sperimentato nella questione rifiuti in Campania. Dalla sua, il ministro Scajola ha anche un ultimo regalino del governo Prodi, la possibilità di calare il silenzio sugli impianti in questione. Già dimissionario (e quindi legittimato ai soli atti di ordinaria amministrazione non derogabili) il precedente governo di centrosinistra ha pensato bene di lasciare agli italiani un regolamento sul segreto di Stato che include, tra i segreti nazionali, anche gli impianti civili per la produzione di energia (DPCM, 8 aprile 2008, pubblicato su G.U. 16 aprile 2008, n. 90). Aspettiamo di conoscere i criteri per la scelta dei siti. I posti più a rischio sono quelli che già ospitarono le centrali: Montalto, Caorso, Trino Vercellese. Servono luoghi poco popolati, vicini a corsi d’acqua, sismicamente stabili. Ma bisognerà affrontare le popolazioni locali…
uranio: a che punto siamo?
DOVE IL NOCCIOLO E’ GIA’ ATTIVO e si sta consumando l’uranio disponibile
Verso la penuria Produzione annua di esafluoruro di uranio (UF6), composto-base necessario all’arricchimento dell’U235. In migliaia di tonnellate
Produttori Cameco (Canada e Gran Bretagna) Areva (Francia) Conver Dyn (Usa) Rosatom (Russia) Cina Scorte varie TOTALE PRODUZIONE STIME DOMANDA: 1 Energy Resources Intern. 1 World Nuclear Association
(fonte: World Nuclear Association, 2004)
2007 13,7 14,0 12,0 5,0 1,5 20,1 66,3
2010* 15,5 14,0 14,0 5,5 2,5 20,8 72,3
2015* 15,5 15,0 18,0 10,0 2,5 11,0 72,0
59,0 61,0
62-65 61-64
67-77 70-77
(*) Previsioni Fonte: World Nuclear Association, settembre 2007
L’oligopolio dei produttori Capacità mondiale di arricchimento di uranio. In migliaia di Separative Work Unit (espresse in chili/anno)
Produttori 2002 2006 2015* Areva (Francia) 10.800** 10.800** 7.500 Urenco (Germania, Gran Bretagna, Olanda) 5.850 9.000 >11.000 Infl (Giappone) 900 1.050 1.500 Usec (Usa) 8.000** 11.300 ** >3.500 Urenco-Areva (Usa) – – >4.000 Tenex (Russia) 20.000 25.000 >33.000 Cnnc (Cina) 1.000 1.000 >1.000 Altri 5 300 300 TOTALE 46.555 58.450 >61.800 Domanda stimata (W.N.A.) N.d. 48.428 57.000-63.000 (*) Stime - (**) Mediante diffusione N.B.: la SWU è una complessa unità di misura che mette in rapporto la quantità di uranio trattato e il suo arricchimento (in U235) Fonti: Ocse Nea; Nuclear Energy Data; Usec; WNA Market Report 2007
Paese
% d’energia da nucleare
Argentina Armenia Belgio Brasile Bulgaria Canada Cina Finlandia Francia Germania Giappone India Lituania Messico Olanda Pakistan Regno Unito Repubblica Ceca Romania Russia Slovacchia Slovenia Spagna Sudafrica Sud Korea Svezia Svizzera Taiwan Ucraina Ungheria Usa MONDO
8,6 35 55 3,7 38 12,5 2,2 27 78 28 25 3,3 80 5,2 4,5 2,4 24 31 9,3 17 57 40 24 6,1 40 50 40 22 46 33 19,9 16
Reattori attivi 2 1 7 2 4 17 9 4 59 17 54 14 1 2 1 2 23 6 1 31 6 1 9 2 20 11 5 6 15 4 103 439
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Pochi sanno che il fabbisogno di energia elettrica in Italia potrebbe essere ridotto del 46% a parità di servizi finali, mentre riducendo i consumi del 20% in 10 anni si risparmierebbero 65 miliardi di euro al netto degli investimenti (APAT, 1999 - Politecnico di Milano 2008)
Ecco perchè il nucleare italiano alimenterebbe gli sprechi, non i bisogni. Non ignorando le difficoltà interne, si persegue anche l’opzione “delocalizzazione” all’estero. Lanciata dal ministro Tremonti, che sarà pure un critico della globalizzazione, ma che stavolta non intende rinunciare al vantaggio di esportare rischi e fastidi fuori dei confini nazionali, l’idea è di costruire le centrali in stati vicini: Albania e Montenegro, forse anche Malta, dove si conta probabilmente su procedure più semplici e minor resistenze delle popolazioni locali. Un brutto esempio di sfruttamento, curiosamente in linea con il tanto denigrato effetto nimby (not in my backyard, non nel mio giardino). In realtà, il governo sa bene che se anche i sondaggi possono registrare una percentuale crescente di adesioni al nucleare (frutto – è il caso di ripeterlo - di un’informazione superficiale e pilotata), ben pochi sono coloro che sarebbero disposti a convivere con una centrale vicino casa. La memoria di Chernobyl forse è lontana, ma dubitiamo che gli italiani desiderino vedere dalle loro finestre di casa il poco rassicurante profilo di un reattore nucleare. Del resto, la sfilza di incidenti registrata nei soli ultimi mesi (da quando, a causa del rinato interesse per l’argomento, c’è più attenzione su ciò che succede negli impianti nel mondo) dovrebbe aver ravvivato la memoria sui rischi legati alla vicinanza ad un impianto nucleare. Una nuova Chernobyl, certo, produrrebbe i suoi effetti a grande distanza, superando di gran lunga i confini di regioni e Stati. Ma non ci sono solo grandi disastri: legati al nucleare possono esserci anche contaminazioni minori, che colpiscono innanzitutto le zone e le popolazioni più vicine. L’incidente di Krsko, in Slovenia, ai primi dello scorso giugno, ha messo in allarme innanzitutto le regioni più vicine: il Friuli, la Carinzia, la Croazia, le prime e le più esposte nel caso di contaminazione. Così come per le fuoriuscite di uranio dalla centrale francese di Tricastin nella scorsa estate, sono gli abitanti dei comuni vicini a vivere senz’acqua (proibito berla o usarla per l’irrigazione). Dimostrando tra l’altro la pochezza argomentativa di quanti obiettano che se anche in Italia non abbiamo centrali, tanto le abbiamo ai nostri confini: c’è una grossa differenza tra vivere a 100, a 500 o 1.000 chilometri da un impianto, in quanto gli effetti di un incidente, più o meno gravi, si riverserebbero in primo luogo nel raggio più vicino alla centrale.
Tempi per lo smaltimento delle scorie nucleari:
300 anni
per rifiuti a bassa radioattività
300.000 anni per rifiuti altamente radioattive In tutto il mondo non esistono depositi definitivi per le scorie. Negli USA, il solo progetto per un deposito definitivo Nella Yucca Mountain, in Nevada è costato 7 miliardi di dollari, la realizzazione costerebbe 58 miliardi di dollari. Il progetto è stato bloccato.
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SCORIE E’ uno dei problemi più gravosi ed insoluti. Troppo spesso sottovalutato, in quanto ritenuto non immediato e rinviabile al futuro (il deprecato effetto nimg, not in my generation). Un impianto nucleare produce rifiuti che richiedono tempi lunghissimi di smaltimento, dai 300 anni dei rifiuti a bassa attività ai 300mila delle scorie altamente radioattive. C’è bisogno di siti, quindi, che assicurino un tranquillo stoccaggio attraverso i secoli, al riparo da sconvolgimenti naturali (terremoti, alluvioni…) o umani (guerre, terrorismo). Ad oggi, nessun paese al mondo ha ancora realizzato un suo deposito definitivo. Gli Stati Uniti, che hanno il maggior quantitativo di rifiuti radioattivi, hanno individuato il sito nella Yucca Mountain, in Nevada, a 150 chilometri da Las Vegas. Il sito sarebbe una gigantesca fortezza, un intrigo di gallerie superprotette scavate nella montagna. Il solo progetto è costato 7 miliardi di dollari, la sua realizzazione ne richiederebbe altri 58. Spaventati dai costi, gli americani ancora non iniziano la sua costruzione, e discutono sull’utilità stessa di un deposito unico. In Italia, l’eredità nucleare ci ha lasciato 8mila metri cubi di rifiuti altamente radioattivi, più altri 50mila di scorie “minori” (tra questi anche i rifiuti dell’attività ospedaliera). Quando non finiscono nelle discariche ordinarie (ricordate i camion con rifiuti radioattivi fermati dall’esercito nelle discariche campane?), vengono stoccati in siti provvisori, o portati temporaneamente all’estero (Francia e Regno Unito) per il riprocessamento. Ad occuparsi dei rifiuti è la Sogin, società a capitale pubblico. A pagare il decomissioning, quindi, siamo noi. Nel 1998, l’ENEL, per entrare in borsa, tagliò i cosiddetti rami secchi ed esternalizzò il suo ufficio nucleare. Fu costituita appunto la Sogin, società acquistata al 100% dal Ministero Economia e Finanze, con il compito di smantellare il sistema nucleare italiano. Tra il 2000 ed il 2006 la Sogin ha speso 676 milioni di euro, ottenendo un misero 6% di avanzamento lavori (8% a fine 2007). I soldi vengono direttamente dalla bolletta elettrica degli italiani, componente A2, che ha fruttato nel 2007 520 milioni di euro. Insomma, il costo dell’avventura nucleare del passato è a carico degli italiani, mentre l’ENEL, liberatasi delle passività, punta a nuovi profitti per i suoi azionisti e ha pure il coraggio di promuovere oggi nuove centrali. Come deposito unico, archiviata nel 2003 l’ipotesi di Scanzano, resta ora da individuare il nuovo sito disposto ad ospitare i rifiuti contaminati. Impresa da realizzare quanto prima, anche per evitare possibili disastri, come quello sfiorato nel 2000 a Saluggia, Qui, il deposito provvisorio, che conserva il 65% dei rifiuti nazionali e che sorge in una conca sulla Dora Baltea, fu a rischio alluvione: ancora pochi centimetri, come denunciato all’epoca da Carlo Rubbia, e la Dora avrebbe inondato la struttura, provocando la contaminazione dell’intero bacino del Po fino all’Adriatico. Una catastrofe a livello di Chernobyl, per poco evitata. La consapevolezza del problema c’è. Il grave rischio è che poiché i rifiuti non producono profitti ma alti costi, la soluzione venga rinviata sine die. Un atteggiamento irresponsabile, certo, ma che non può
essere escluso. Visti anche i preoccupanti suggerimenti che i nostri parlamentari ricevono: lo scorso luglio è stato pubblicato, a cura del Servizio Studi del Senato, un dossier dal titolo Energia nucleare: ritorno al futuro?, nel quale, riconosciuta la necessità di un deposito di profondità per conservare adeguatamente le scorie ad alta radioattività, si conclude che “il loro quantitativo non è tale da giustificare, allo stato attuale, l’avvio di un programma per la predisposizione in Italia di un deposito in profondità, con costi dell’ordine di miliardi di euro e tempi di realizzazione valutabili in decenni” e si confida semmai nella soluzione di un deposito geologico internazionale (dossier Energia nucleare: ritorno al futuro?, luglio 2008, pubblicato a cura del Servizio Studi del Senato). Una candida ammissione dei costi e dei tempi che il nucleare richiede, che, invece di far riflettere e raffreddare gli entusiasmi nuclearisti, viene liquidata con una sconcertante accoppiata di effetto nimg ed effetto nimby, che la dice lunga sul senso di responsabilità con cui si intende riavviare l’avventura nucleare in Italia. Se è su queste basi che i nostri senatori formeranno la loro opinione per votare il ritorno al nucleare… RISCHI Incidenti della portata di Chernobyl fortunatamente non si sono più ripetuti. Ma se anche da quel tragico 26 aprile 1986 non si sono verificati disastri, negli anni abbiamo assistito ad uno stillicidio di incidenti più o meno rilevanti in Giappone, Spagna, Gran Bretagna, Francia ecc, fino ad arrivare ai più recenti allarmi di Krsko (SLO) e Tricastin (F). Incidenti non sempre tempestivamente resi noti, anzi, a volte sono strascorsi mesi prima che ne filtrasse notizia. Quello della trasparenza, in effetti, è un aspetto preoccupante. Anche perché resiste tutt’oggi uno sciagurato accordo del 1959, secondo cui l’OMS, l’organizzazione mondiale della Salute, non può pubblicare alcun rapporto sugli effetti sanitari del nucleare senza l’avallo dell’IAEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. I numerosi incidenti stanno comunque lì a dimostrare la possibilità di errori umani e fughe di materiali radioattivi. Seppur non si tratta di nuove Chernobyl, resta il fatto che con il nucleare non siamo nella logica del rischio zero ma in quella della probabilità. L’incidente grave non è escluso, ma rientra nel calcolo delle probabilità statistiche: “una su un milione”, rassicura Roberto Mezzanotte, responsabile scientifico del dipartimento nucleare dell’APAT (Il Sole24ore, 18 luglio 2008). Una lotteria, insomma, o meglio una roulette russa, in cui ad esser fortunati non accadrà nulla, ma a non esserlo … Da valutare, anche il rischio terrorismo. In tempi di guerre globali e attentati internazionali, non è solo roba da Hollywood pensare a spettacolari attacchi contro obiettivi atomici. Una prospettiva terribile, senz’altro facilitata da una proliferazione del nucleare a livello mondiale, con il moltiplicarsi di traffici di uranio e scorie, di depositi più o meno controllati, di mercanti d’uranio. Senza dimenticare le complessità politiche derivanti da una proliferazione mondiale delle centrali nucleari. Una volta riaperta la corsa all’atomo, chi deciderà quali Stati possono parteciparvi e quali no? Chi può dotarsi di tecnologia nucleare (utilizzabile anche per scopi militari, il passo è breve) e chi non può? Il caso Iran è eloquente, e mostra la pericolosità, anche politica e militare, di un “rinascimento nucleare” nel mondo. Il NUCLEARE E’ ECOLOGICO? Ironia della sorte (o, meglio, bugie della politica), negli ultimi anni il nucleare, bestia nera dell’ambientalismo, viene fatto passare per energia pulita. Il fatto che sia carbon free, che non produca gas serra, lo arruolerebbe tra gli strumenti imprescindibili per combattere il riscaldamento del pianeta. Idea portata avanti anche da un ambientalista doc come James Lovelock, l’autore della cd. ipotesi Gaia, che vede nel nucleare la sola salvezza. Si tratta tuttavia di un’illusione e di calcoli errati. Quella nucleare non è energia pulita, e non solo per i problemi legati ai rischi di contaminazione radioattiva. In realtà è proprio l’apporto alla riduzione delle emissioni che risulta modesto. Certo, il nucleare non produce direttamente CO2 (però l’intera filiera sì, per via dei materiali richiesti e dei vari processi di estrazione, produzione, stoccaggio, riprocessamento), ma contribuisce solo in piccola parte ad affrontare il problema delle emissioni a livello mondiale. Secondo un calcolo di Greenpeace, anche raddoppiando entro il 2030 i 439 reattori oggi in funzione nel mondo, si otterrebbe un abbattimento di meno del 5% delle emissioni, con una spesa tra i 1.000 ed i 2.000 miliardi di euro. Un risultato davvero minimo, a fronte di ingenti investimenti che darebbero migliori risultati se dirottati su rinnovabili ed efficienza energetica. Il problema è che il nucleare produce solo elettricità, e non incide nei due grandi settori dei trasporti e del riscaldamento, che determinano insieme, all’incirca, i 2/3 delle emissioni di CO2. Il grande calore prodotto dalle centrali viene poi totalmente disperso (non esiste cogenerazione). Il ridotto apporto del nucleare alla lotta al riscaldamento del pianeta trova conferma, per l’Italia, anche nel Rapporto Energia e Ambiente 2007, pubblicato dall’ENEA, nel quale si prevede (scenario al 2020) un contributo delle centrali atomiche alla riduzione nella produzione di emissioni di CO2 del 6% (e del 10% nel 2040), mentre il solo migliora-
Su 75 centrali nucleari realizzate negli USA: Stima: 45 miliardi di dollari Costi effettivi: 145 miliardi di dollari In India, i costi relativi a 11 centrali nucleari realizzate sono aumentati del 300% rispetto alle stime mento dell’efficienza energetica negli usi finali consentirebbe già nel 2020 una riduzione del 45% delle emissioni e un risparmio in bolletta di 5 miliardi di euro l’anno. Meglio poco che niente? Niente affatto. Perché, a fronte di un così limitato apporto alla riduzione delle emissioni, il nucleare richiede costi enormi. Risorse che invece potrebbero essere dirottate verso soluzioni ambientali ben più efficaci e immediate, con maggior vantaggio nella lotta ai cambiamenti climatici. CONTRO RINNOVABILI E RISPARMIO ENERGETICO Il nucleare, per comune ammissione, è una “tecnologia di transizione”. Cui si ricorre per affrontare l’imminente fine dell’era del petrolio, in attesa che vengano sviluppate quanto prima nuove fonti (idrogeno, le rinnovabili…) in grado di assicurare l’energia di cui il mondo ha bisogno. Il problema è che per realizzarlo sono necessari costi elevatissimi e ciò significa necessariamente distogliere risorse economiche e della ricerca dagli altri settori energetici. La tecnologia nucleare ritarda quindi la transizione verso altre fonti, più pulite. Un errore strategico enorme, una visione gravemente miope. Esemplare è il caso della ricerca scientifica. Da decenni la maggior parte dei finanziamenti finisce alla ricerca atomica (che tra fusione e fissione riceve più della metà dei fondi), riservando solo le briciole ad altre alternative, in particolare alle rinnovabili (appena il 10%). Per non attardarsi su una tecnologia dai decenni contati, altre nazioni, che pur ne dipendono concretamente per il loro fabbisogno, hanno deciso di abbandonarla. Spagna e Germania, soprattutto, che chiuderanno tutti gli impianti entro, rispettivamente, il 2011 e il 2020. Puntando, con maggior decisione, sulle rinnovabili. Già oggi, le due nazioni sono ai vertici mondiali nella produzione di energia rinnovabile da eolico e solare. Assicurandosi non solo energia pulita, ma anche competitività delle loro aziende, un fatturato in continua espansione (oltre 148 miliardi di nuovi investimenti nel mondo nel 2007, il 6% in più del 2006), la possibilità di vendere in tutto il mondo e occupazione diffusa (in Germania sono 130mila gli addetti al settore delle rinnovabili). Valorizzando un settore, quello delle rinnovabili, i cui costi per unità energetica prodotta sono in continuo calo, mentre quelli del nucleare sono in continua ascesa. L’Italia, che nell’ultimo anno ha registrato un calo, in termini netti e percentuali, nella produzione di energia da fonti rinnovabili, non può permettersi ulteriori ritardi nello sviluppo dell’energia pulita. In un appello contro il nucleare promosso da Vincenzo Balzani, ordinario di Chimica all’Università di Bologna, e sottoscritto già da 1.200 docenti e ricercatori universitari, si ricorda come il sole sia una “stazione di servizio” inesauribile, che ogni giorno invia energia in quantità 10mila volte superiore all’intero fabbisogno mondiale (l’appello può essere sottoscritto sul sito www.energiaperilfuturo.it ). Occorre puntare sul sole (come anche sulle altre fonti rinnovabili), senza sprecare risorse e tempo su fonti antiquate e dalla corta durata.
Non serve per ridurre le emissioni Il grafico mostra il confronto tra le emissioni (grammi di CO2 per kWh prodotto) minime e massime stimate per le varie tipologie di fonte energetica rinnovabile e il nucleare.
UNA TECNOLOGIA VECCHIA L’alternativa tra nucleare e fonti rinnovabili non è solo una scelta tra due modi d’approvvigionamento d’energia. Vi è una differenza strategica, che investe il tipo stesso di società ed i rapporti economici e di potere. Con il nucleare non si sceglie soltanto la via più costosa, vecchia, pericolosa, dai tempi lunghi e dalla durata breve. Si sceglie anche la via delle mega strutture, dei grandi finanziamenti, delle opere costose e centralizzate. Si torna al controllo dell’energia in poche mani, ai monopoli o agli oligopoli: si tratti dello Stato, come nel modello italiano pre-referendum o in quello francese, si tratti di società private, il nucleare rimette l’energia, la ricerca, le tecnologie, i proventi, nelle mani di pochi, grandi soggetti. Tutto il contrario delle fonti rinnovabili e del modello distribuito, che consente piccoli impianti locali, collegati in rete, e tecnologie open source. Non è un caso che in Europa aumentino rinnovabili e risparmio energetico e cali il ricorso all’energia nucleare (negli ultimi due anni è diminuita del 6,4%), mentre l’atomo si afferma nei paesi non OCSE, soprattutto in Asia, dove prevalgono modelli energivori e centralizzati. Di mezzo è la stessa libertà, con popolazioni sovrane che producono e controllano l’energia di cui hanno bisogno e popolazioni dipendenti dai colossi dell’industria nucleare e dalle speculazioni. E non è azzardato vedere nelle pressioni pro-nucleare dei giganti della lobby energetica proprio il tentativo di riaffermare il proprio controllo su un terreno che rischiano di vedersi sottratto da sotto i piedi. C’è anche un altro motivo, infine, per cui il nucleare appartiene al passato. Con esso, si rimane nella logica dell’irresponsabilità, del carico sulle generazioni future di impegni assunti da quelle odierne. La soluzione del problema energia, come le scorie o eventuali rischi, vengono messi in carico ai nostri figli e nipoti (non c’è bisogno di andare troppo lontano con la discendenza: i nodi verranno al pettine molto presto!). Per ora si consuma, poi, chi verrà, vedrà come fare. E’ la stessa cultura distruttiva e predatoria che ha caratterizzato la fase fossile e che ci ha portato all’esaurimento di risorse millenarie e al riscaldamento del pianeta. La consapevolezza della limitatezza delle risorse della terra, l’acquisizione del concetto del limite, dovrebbero portarci fuori del nucleare, facendoci carico per l’intero delle nostre scelte, senza il lascito di pesanti eredità ai posteri. I quali, semmai, dovrebbero essere indirizzati verso vie di vera sostenibilità. Insomma, altro che i facili ottimismi di Scajola. Il rinascimento nucleare, come amano chiamarlo, non viene dal superamento dei problemi. Rischi, costi, scorie, scarsità della materia prima, sono ancora i punti deboli di questa tecnologia del secolo passato. Né si tratta di una tecnologia ecologica: ben altri vantaggi si potrebbero ottenere dirottando ricerca e fondi a favore delle rinnovabili vere e dell’efficienza energetica. Si intende tornare al nucleare solo perché il petrolio comincia a scarseggiare, i suoi costi aumentano e non esistono al momento fonti alternative in grado di soddisfare una domanda sempre crescente di energia. Il sistema deve alimentarsi, costi quel che costi. E’ il vicolo cieco della società dello sviluppo. Necessitare di sempre maggiori consumi per alimentare un sistema che, contro ogni limite naturale, insegue la crescita continua e illimitata. Una spirale perversa, che necessita incessantemente di sempre maggiori quantità di energia, proprio come una droga. Ma un vecchio slogan della mobilitazione antinuclearista di 20 anni, purtroppo ancora attuale, ammoniva: per il capitalismo l’energia è la droga, ma il nucleare è l’overdose.
Neanche la Banca mondiale crede alle stime dei sostenitori del nucleare
e nell’Environmental Assessment Source Book afferma: “Nonostante i minori costi operativi, l’alto investimento iniziale richiesto dagli impianti nucleari preclude la loro scelta come una alternativa economicamente favorevole rispetto a ogni ragionevole assunzione concernente i prezzi del carbone e del petrolio. Gli impianti nucleari sono quindi antieconomici perché in base ai costi attuali e previsti è improbabile che risultino la soluzione di minor costo. Ci sono inoltre evidenze che le cifre usualmente citate dai sostenitori siano sostanzialmente sottostimate, e sbaglino nel valutare i costi del deposito delle scorie, del decommissionamento degli impianti, e altri costi ambientali”.
Fotovoltaico
Idroelettrico
con il nucleare si gioca sempre una partita tra la vita e la morte: l’uranio impoverito usato per bombardare il kosovo nel 1999 è uno scarto dell’industria nucleare civile
Eolico
Nucleare
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Massimo
FONTE: WORLD NUCLEAR ASSOCIATION, 2004
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Centrale Nucleare in supposte - ex art. 15 DDL 1441-ter/2008
Composizione: Centrale Nucleare in supposte contiene: Principi attivi: - uranio 235 ottenuto con processi di estrazione e lavorazione caratterizzati da elevato impatto sull’ambiente e la salute. Si consiglia di usarlo con parsimonia: la sua disponibilità non è infinita e il suo prezzo negli ultimi anni è cresciuto più di quello del petrolio; - acqua in grosse quantità prelevate nella maggior parte dei casi da fiumi e spesso restituita contaminata; - cemento armato in quantità elevate, ottenuto creando cave di enormi dimensioni e arricchendo spesso organizzazioni criminali. Eccipienti: mancanza di una politica energetica basata sulle risorse nazionali (sole, acqua, vento, calore della terra, biomasse disponibili in quantità sufficienti e in modo equamente distribuito dalle Alpi alla Sicilia - capacità degli ingegneri italiani, da Leonardo ad oggi, di sviluppare tecnologie innovative); interesse dell’azienda elettrica di stato francese EDF ad esportare all’estero la propria tecnologia nucleare, utilizzando la leadership raggiunta nel settore. Indicazioni terapeutiche: consumi di energia elettrica superiori fino al 46% rispetto al proprio fabbisogno dovuti ad incapacità cronica di utilizzare l’energia in modo razionale ed efficiente. Controindicazioni: radioattività accertata che può verificarsi per periodi più e meno lunghi in base al tipo di scorie prodotte. Attenzione: ogni centrale nucleare produce scorie di tutti i tipi. Le scorie “di terzo grado” (ad alta radioattività) possono richiedere anche 100.000 anni per abbassare il loro livello di pericolosità. In casi gravi, la radioattività può assumere la forma di una nube tossica e spargersi per molti chilometri intorno alla centrale oppure concretizzarsi in sversamenti di materiale radioattivo in fiumi, laghi e tratti di costa. Forme di radioattività più lievi ma estremamente più frequenti si verificano in un raggio più ridotto intorno alla centrale, ai depositi di scorie e agli impianti per l’arricchimento dell’uranio. Con il manifestarsi di crisi energetiche, le centrali nucleari possono portare alla creazione di mercati caratterizzati da scarsa flessibilità e competizione e, di conseguenza, prezzi elevati in bolletta (poche grosse centrali e pochi operatori possono imporre il loro prezzo senza concorrenza). La centrale nucleare può servire a scopi bellici o diventare bersaglio di attacchi terroristici. L’uranio impoverito ottenuto dai processi per l’ottenimento del combustibile per la centrale (arricchimento) può essere sparso attraverso proiettili letali in zone di guerra creando un numero di morti per leucemia o tumore difficilmente quantificabile (informazione rilevata mediante recenti sperimentazioni effettuate in Iraq e Kosovo). Effetti indesiderati: l’elenco dei seguenti effetti indesiderati si basa su circa 60 anni di sperimentazione effettuata su 439 centrali nucleari attive in 31 paesi (dato aggiorato al 2007):
- occultamento dei costi di gestione delle scorie e della sicurezza dell’impianto; - sperpero di denaro pubblico dovuti agli alti costi di progettazione, realizzazione e mantenimento in sicurezza degli impianti, e di gestione delle scorie; - forte dipendenza dall’estero per uranio arricchito e tecnologia; - insensibilità verso le future generazioni cui si lasciano scorie pericolose da smaltire; - pigrizia mentale, che si manifesta in mancanza di creatività e tendenza a riproporre tecnologie del passato; - cronicizzazione della tendenza allo spreco e dell’incapacità di usare l’energia in modo efficiente; Precauzioni: se Centrale Nucleare in supposte è somministrata nelle vicinanze di centri abitati, si consiglia di: - tenere d’occhio pecore e vitelli. In prossimità della centrale spenta del Garigliano si sono verificati diversi casi di malformazione; - di tanto in tanto evitare di bere e lavarsi, fare il bagno in fiumi vicini alla centrale, mangiare pesce pescato nell’area della centrale. Se le autorità lo riterranno opportuno e se l’area non è coperta da segreto militare, vi informeranno dell’ennesimo “incidente lieve”, ma ugualmente nocivo (vedi recenti incidenti in Giappone, Slovenia, Spagna, Francia, Belgio); - controllare frequentemente i propri valori tumorali. Uno studio condotto in Germania ha evidenziato un aumento dei tumori nelle zone vicine alle centrali. Dosaggio e tempi di somministrazione: per rendere economica la cura, se il paziente è italiano si consigliano almeno 10 Centrali da 1.500 MW corrispondenti ciascuna ad 1/5 dell’energia che un paese come la Gran Bretagna sarebbe in grado di produrre con pannelli solari e altri sistemi di microgenerazione (studio del Governo Britannico, giugno 2008). Una volta iniziata la cura, questa tende a protrarsi indefinitamente nel tempo: pur essendoci molte centrali nucleari chiuse, non esistono al mondo centrali completamente smantellate. Anche dopo l’eventuale smantellamento della centrale, occorre mettere in sicurezza le scorie (tutti i pezzi della centrale sono radioattivi). In tutto il mondo non esistono depositi definitivi per le scorie nucleari. La stessa costruzione della centrale ha tempi difficilmente quantificabili. Tenere fuori dalla portata delle persone di buon senso. Non disperdere dopo l’uso le scorie radioattive nell’ambiente.
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