Anno XIV - Numero 66 Novembre Dicembre 2009 Gennaio Febbraio 2010 Euro 2,50 Spedizione in abbonamento postale D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N46) Art 1, comma 2 - DCB Roma
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Tu risparmi, l’ambiente ci guadagna l’ecologia è l’unica strada per affrontare la crisi. Meno merci, meno sprechi, meno inquinamento significa anche più risparmi per le famiglie: una famiglia
media residente a Roma può risparmiare più di 5.000 euro l’anno mettendo in pratica 15 comportamenti ecologici >> a pagina 8
GLOBALIZZAZIONE
COP 15
I danni della globalizzaazione ad agricoltura e biodiversità
Di ritorno da Copenaghen: resoconto dell’inviato di Fare Verde
di giuliano guglielmo
di MARIO TESTA
>> a pagina 3
>> a pagina 4
Combattere il cancro? Anche la politica può farlo (seriamente) editoriale
“… e nei prossimi tre anni … sconfiggeremo il cancro”. Galvanizzato dalla piazza romana e dal clima elettorale, il Presidente del Consiglio, il 20 marzo scorso, ne ha sparata una delle sue. Che meriterebbe di esser liquidata con un amaro sorriso, se non potesse essere di stimolo per una riflessione più seria. Perché il “male incurabile”, con ogni probabilità, non sarà sconfitto da Berlusconi (tantomeno nei 3 anni promessi), ma la classe politica nel suo insieme, governo e amministratori locali, è tutt’altro che impotente di fronte alle malattie e potrebbe invece far molto per la salute dei cittadini. Secondo dati OMS, il 24% delle malattie ed il 23% delle morti nel mondo possono essere ricondotte a cause ambientali. E la situazione peggiora, salendo al 33%, per le patologie legate ai bambini sotto i 5 anni. Traffico, inquinamento casalingo, elettrosmog, alimentazione, radiazioni, vicinanza ad impianti cancerogeni … E, ovviamente, i cambiamenti climatici, con il loro carico di instabilità cui l’organismo umano non riesce immediatamente ad adattarsi. Un quarto delle malattie, quindi, ha poco di fatalistico o genetico, ma dipende direttamente da fattori umani, che un diverso modo di vita potrebbe prevenire. Risparmiando sofferenze, fisiche e psicologiche, ma anche enormi costi sociali ed economici. E allora, una classe di governo che intenda davvero prendere a cuore la salute dei cittadini (magari anche senza motivazioni empatiche, ma solo per ridurre la spesa sanitaria) può senz’altro fare molto. Intervenendo, a monte, sulla prevenzione della salute collettiva, anziché limitarsi ad intervenire a valle, esclusivamente sulla cura delle malattie. Magari attuando politiche di riduzione dello smog, vera piaga delle nostre città. Nei soli primi mesi di quest’anno, 1/3 dei nostri capoluoghi di provincia ha già sforato il limite di polveri sottili fissato dalla
PUNTO VERDE a cura di sandro marano << Voi non sapete che in America, a primavera, ci sono i treni che passano nelle pianure di meli e peschi e portano le arnie delle api che fanno da ruffiane da fiore a fiore perché i rami non si muovono per fare all’amore e non arrivano a sgocciolare dentro le campanule. Questo è il mestiere che fa Pierino in primavera: porta le arnie in giro nelle campagne e poi aspetta all’ombra che i culi delle api, golose e impazienti, ingravidino i fiori. Ecco perché nascono i frutti, altrimenti non ci sarebbero né mele, né pesche, più niente... >> Tonino Guerra, da “Miele” Ho letto di recente che a causa dell’inquinamento e della siccità c’è stata in Italia una riduzione della popolazione di api e un consistente calo della produzione di miele. Chiusi nelle nostre città di cemento e d’asfalto, lontani dai grandi ritmi naturali, non sappiamo leggere più i segni. Attendiamo i disastri, inseguiamo le emergenze. I poeti, dotati di spirito profetico, inutilmente cantano. Tonino Guerra ha scritto questa poesia nel 1981!
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Inviateci le foto del vostro gruppo locale: info@fareverde.it
di giancarlo terzano
legge (50 microgrammi su metro cubo, da non superare per oltre 35 giorni all’anno). Servirebbero dei seri piani anti-smog, che riducano, ad esempio, il numero delle auto circolanti, la maggiore causa, insieme al riscaldamento, dell’inquinamento cittadino. Un obiettivo tutt’altro che impossibile per città moderne, se si solo si pensa che contro le 76 auto ogni 100 abitanti di Roma (e le 63 di Milano), Londra ne conta 36, Berlino 35, Madrid 32 e New York 20. Ma che in Italia diventa irrealizzabile, con i sindaci che non osano scoraggiare l’uso dell’auto (né promuovere una vera mobilità sostenibile) e il governo che, succube dell’ideologia del PIL, incentiva il numero dei mezzi circolanti, anziché puntare a limitarlo. Oppure intervenendo correttamente sul ciclo dei rifiuti. Promuovendone la riduzione, il riuso, il riutilizzo dei materiali, anziché la dispersione in inceneritori o discariche. Che non soltanto costituiscono uno spreco di preziose risorse materiali, ma costituiscono anche fonti di malattie per le popolazioni più esposte. Una rassegna di studi pubblicati su Environmental Health a fine 2009 ha rilevato che i residenti nel raggio di 3 km da inceneritori sono esposti oltre il 3,5% in più al rischio tumori. Mentre per le discariche, aumenta del 2 e del 6% il rischio di anomalie congenite e basso peso alla nascita. Dati che dovrebbero far riflettere. E invece la nostra classe politica lascia fare. Quasi la metà dei rifiuti prodotti finisce in discarica; mentre, per continuare a spandere nell’aria diossina, polveri sottili e metalli pesanti, gli inceneritori in Italia godono addirittura di incentivi economici, attraverso la truffa dei CIP6. Poi magari ci si interroga sul perché in Italia l’incremento dei tumori sia maggiore della media europea. Da anni, l’ISDE, l’associazione dei medici per l’ambiente, cerca di far comprendere come sia meglio non costruire impianti nocivi anziché intervenire, a valle, sulla cura delle malattie. Ricordando che il tumore che guarisce al 100 per cento è quello che non viene. Ad occuparsi della vera prevenzione è scesa ora in campo anche Minerva PELTI, l’associazione di genitori di bambini oncoematologici, che vuole interrogarsi sulle cause ambientali dei tumori. Un campo d’indagine pressoché vergine, e verso il quale certamente non arrivano gli investimenti sulla ricerca della grande industria. Su queste pagine, già da questo numero, diamo volentieri spazio ai genitori di Minerva PELTI, che aprono un nuovo fronte nella comune battaglia per l’ambiente. Purtroppo, “berlusconate” a parte, ancora per anni si parlerà del “brutto male”. Alla scienza medica auguriamo di trovare cure sempre più incisive contro il cancro. Alla politica, però, chiediamo di non nascondere la testa, come gli struzzi. Sappiamo che l’inquinamento ambientale causa stress genetico e contribuisce alla diffusione dei tumori. E allora, la vera prevenzione da fare è quella primaria, combattendo, alla fonte, quelle che sono cause riconosciute di malattie. Modificando gli stili di vita individuali (come si fa nel caso del fumo), ma anche quelli collettivi, intervenendo contro traffico, pesticidi, elettrosmog, polveri sottili prodotte dagli inceneritori, ogm … Provvedimenti che solo chi ci amministra può adottare, liberandoci dal perverso gioco per cui da un lato si insegue la cura della malattie, dall’altro se ne alimentano le cause. Non crediamo che tra 3 anni il “male inguaribile” sarà stato debellato. Ma se qualche politico sarà andato nella giusta direzione della tutela della salute collettiva, potrà ben meritarsi il nostro plauso per aver evitato anche tante sofferenze.
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I DANNI DELLA GLOBALIZZAZIONE AL SISTEMA AGROALIMENTARE E ALLA BIODIVERSITA’ ITALIANA
di giuliano guglielmo
Il problema che oggi vivono i contadini è che le loro produzioni vengono considerate alla stregua di qualsiasi altra merce, il cui prezzo viene stabilito con una sorta di “asta “ internazionale dove chi riesce a produrre a meno determina il prezzo a cui tutti gli altri si devono attenere. Non importa se dietro a quel valore così basso si nasconde spesso l’utilizzo di pratiche agricole ad alto impatto ambientale e spesso lo sfruttamento di manodopera a basso costo senza il minimo rispetto di normative sulla sicurezza e tutela dei lavoratori. Il territorio italiano, caratterizzato da ambienti, climi, tradizioni e culture estremamente diversificate da regione a regione, è la culla ideale per la produzione di innumerevoli eccellenze alimentari, tra le quali spiccano i numerosi prodotti a marchio DOP, IGP e biologici, che fanno del sistema agroalimentare uno dei fiori all’occhiello dell’economia nazionale. Dietro questi prodotti ci sono centinaia di aziende che, grazie al loro operato, contribuiscono alla valorizzazione dei territori di appartenenza, alla cura del paesaggio rurale, alla valorizzazione e mantenimento dei costumi e delle tradizioni locali. Purtroppo negli ultimi anni sta succedendo qualcosa che sta mettendo a dura prova il sistema agricolo nazionale e che già ad oggi ha causato la chiusura di molte aziende, con le immaginabili conseguenze negative non solo dal punto di vista economico (perdita di posti di lavoro), ma anche di tipo ambientale (abbandono delle coltivazioni e relativi dissesti idrogeologici). Quando si sente parlare di questi problemi sui media non si fa altro che dire “è colpa della crisi”, ma se andassimo davvero a scavare nella vera causa del problema scopriremmo che essa si chiama GLOBALIZZAZIONE DEI MERCATI.
Sempre in riferimento alle scorciatoie poco legali mi salta anche alla mente un imprenditore agricolo il quale, dato il bassissimo costo a cui gli venivano pagati i pomodori, mi ha confidato di esser costretto a coltivare ogni anno su tutti gli appezzamenti senza effettuare rotazione e di sopperire alla progressiva perdita di fertilità dei terreni con l’uso di ormoni! Il sempre più spinto ricorso alla monocoltura, per l’abbattimento dei costi produttivi, porterà pian piano alla perdita della biodiversità tipica del nostro paese sia in riferimento alle diverse tipologie di colture praticate in un medesimo territorio sia in riferimento alla quantità di varietà ortofrutticole coltivate, in quanto le agroindustrie si concentreranno principalmente nella coltivazione delle sole varietà più produttive e remunerative, abbandonando per sempre quelle di minor pregio commerciale, ma di altissimo valore storicoambientale.
Spieghiamolo con alcuni esempi concreti forniti da testimonianze raccolte da chi ogni giorno lavora “con le mani sporche di terra”. Pochi giorni fa sono andato a trovare un mio amico a Latina che coltiva 5 ettari a prugne cercando di ridurre al minimo l’impatto ambientale attraverso concimazioni organiche, l’utilizzo delle api per l’impollinazione e l’uso minimo di prodotti chimici. Mi spiega che negli ultimi anni ha investito notevoli risorse economiche in teli antigrandine, impianti di irrigazione a goccia, macchinari ecc. Ha persino deciso di ricoprire tutta la tettoia del suo capannone con pannelli fotovoltaici. Come ricompensa del lavoro e degli investimenti fatti, proprio nei giorni scorsi è stato definito dall’Organizzazione dei Produttori di cui fa parte il prezzo per l’annata 2009: 20 centesimi al chilo! Mi dice: quest’anno abbiamo lavorato gratis ma se continua così...
Se vogliamo che le cose vadano così non ci resta altro che restare a guardare. Ma se vogliamo che le cose cambino al più presto bisognerà utilizzare tutti gli strumenti possibili, a partire dalla pressione verso il mondo politico, perché i contadini vengano effettivamente riconosciuti non solo come meri produttori di beni ma siano ripagati anche del loro impegno per la tutela del paesaggio e della biodiversità rurale, per il loro ruolo di presidio del territorio (soprattutto nelle aree represse e maggiormente svantaggiate) e di salvaguardia delle tipicità tradizionali locali. Tali esternalità positive prodotte dalle attività agricole non vengono quasi mai remunerate dal mercato, attraverso la sola vendita dei prodotti agricoli, e pertanto andrebbero incentivate pubblicamente. In verità l’attuale Politica Agricola Comunitaria già prevede misure di sostegno di tale tipo ma, negli ultimi tempi si sta spingendo sempre più ad azzerare tali incentivi nell’ottica di equiparare il settore primario a tutte le altre attività economiche che operano in concorrenza perfetta ed i cui profitti scaturiscono, a dir loro, dall’equilibrio tra domanda e offerta di mercato.
Altro esempio: prima dell’Epifania mi sono recato a trovare un altro amico contadino a Suio (LT), zona rinomata per la produzione degli agrumi. Anche qui la musica non cambia. Mi dice che nella zona ci sono 80 ettari di aranceti in stato di abbandono perché, dato il prezzo basso a cui pagano le arance al Mercato Ortofrutticolo all’Ingrosso di Fondi (anche qui 20 centesimi al chilo), per molti non conviene neanche raccoglierle. Cambiando zona i problemi restano gli stessi. Itri (LT): rinomata zona di produzione delle olive da mensa. Tutti gli olivicoltori si lamentano per il prezzo basso delle olive all’ingrosso che in due anni è sceso da 1,50 euro a 1,30 euro al chilo. Ora si teme il peggio visto che già stanno arrivando dal Cile olive uguali alle itrane a 0,99 centesimi franco magazzino!
E’ anche importante che la concorrenza internazionale venga regolamentata imponendo degli standard produttivi, riferiti alle tecniche di produzione, all’utilizzo dei pesticidi, al rispetto di standard ambientali e dei diritti dei lavoratori, uguali in tutti i paesi. Personalmente sarei anche per l’imposizione di una sorta di “carbontax” da applicare alle derrate agricole sulla base della quantità di chilometri che percorrono per arrivare al consumatore finale. In tal modo si spingerebbe i consumatori ad acquistare il più possibile produzioni nazionali, con gli evidenti benefici connessi alla riduzione di emissioni di CO2. Le uniche deroghe le ammetterei per quei prodotti agricoli che rispettano particolari disciplinari e rientrano in progetti di commercio equo e solidale a favore di popolazioni in difficoltà.
Il problema che oggi vivono i contadini è che le loro produzioni vengono considerate alla stregua di qualsiasi altra merce, il cui prezzo viene stabilito con una sorta di “asta “ internazionale dove chi riesce a produrre a meno determina il prezzo a cui tutti gli altri si devono attenere. Non importa se dietro a quel valore così basso si nasconde spesso l’utilizzo di pratiche agricole ad alto impatto ambientale (monocolture su grandi estensioni praticate senza rotazione, enormi sprechi idrici, utilizzo indiscriminato di pesticidi altamente tossici anche per l’uomo) e spesso lo sfruttamento di manodopera a basso costo senza il minimo rispetto di normative sulla sicurezza e tutela dei lavoratori. La morale della favola in tutto ciò è che, continuando così, riusciranno a restare a galla solo le aziende agricole di tipo industriale, che spesso sono anche quelle meno eco-sostenibili, o quelle che praticano “scorciatoie” illegali. In riferimento a ciò può essere menzionato come esempio eclatante il caso Rosarno, alla ribalta delle cronache proprio nei giorni i cui mi accingo a scrivere questo articolo, dove per la raccolta delle arance vengono impiegati veri e propri schiavi, pagati la vergognosa cifra di 15 euro al giorno!
Un altro strumento utile a risollevare il settore agricolo dall’attuale situazione è connesso all’organizzazione della filiera che attualmente pone gli agricoltori in una situazione di continuo svantaggio e ricatto da parte dei grossisti e delle grandi catene distributive. A causa di ciò spesso i contadini non prendono neanche un decimo del valore al quale viene poi venduto il prodotto al dettaglio. Lo strumento attraverso il quale gli agricoltori possono recuperare una notevole fetta del valore aggiunto delle proprie produzioni si chiama “Filiera corta” praticabile con la vendita diretta in azienda, l’organizzazione di Mercati Contadini da parte delle Amministrazioni Comunali in collaborazione con le associazioni di categoria, la vendita on line o attraverso i Gruppi di Acquisto Solidale. Queste strategie di mercato danno anche la possibilità a noi consumatori di acquistare, spesso a prezzi inferiori di quelli della grande distribuzione, eccellenti prodotti locali, di certa provenienza, che hanno percorso pochissimi chilometri per giungere sulle nostre tavole, con gli evidenti vantaggi per la nostra salute, tasche ed ambiente.
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Di ritorno da Copenaghen 120 Capi di Stato, 15mila delegati, ma nessun impegno vincolante, nessun taglio alle emissioni di Co2. L’incontro di Copenaghen, nonostante i tanti riflettori, si è chiuso con un solo impegno, teorico, di frenare la crescita della temperatura del pianeta entro fine secolo. Il resoconto dell’inviato di Fare Verde. di mario testa
Da maggio 2009 Fare Verde è entrata a far parte del Forum Nazionale dei Giovani, una piattaforma che racchiude circa 80 associazioni giovanili di tutti i tipi: studenti, scout, associazioni di volontariato, sportive, cattoliche, politiche, ecc. Il Forum Nazionale dei Giovani, riconosciuto con la Legge 30 dicembre 2004, n. 311 dal Parlamento Italiano, è l’unica piattaforma nazionale di organizzazioni giovanili italiane che garantisce una rappresentanza di oltre 3,5 milioni di giovani. Il Forum è suddiviso in commissioni che si occupano e operano in diversi ambiti. La nostra associazione fa parte della Commissione Ambiente, di cui Marianna è un membro e io Vicepresidente. Proprio grazie alla nostra presenza nel Forum mi è stata data l’opportunità di partire per Copenaghen in vista del summit sui cambiamenti climatici del 2009. Sono stato presente, con altri 3 membri della Commissione Ambiente, ai lavori della prima settimana, dal 7 al 13 dicembre. L’evento è stato organizzato dall’UNFCCC, e noi vi abbiamo preso parte, così come era esplicitato sul nostro badge di accreditamento, come delegati italiani dello EYF, European Youth Forum, piattaforma europea di cui il Forum Nazionale dei Giovani italiano fa parte. La COP15 di Copenaghen puntava a definire e firmare un piano ambizioso ed internazionale di efficace risposta al cambiamento climatico entro il 18 dicembre 2009, come deciso alla COP14 di Poznan. In realtà, malgrado la rilevante copertura mediatica e la presenza di numerosi capi di stato e di governo, il risultato della COP15 è stato l’Accordo di Copenhagen, un documento non vincolante di cui i paesi, semplicemente, prendono nota, senza sottoscrivere impegni certi. In particolare l’accordo prevede che: • il cambiamento climatico rappresenta una delle sfide più importanti del nostro tempo. In particolare viene evidenziato il principio della responsabilità comune, ma differenziata, tenuto conto delle capacità rispettive che ogni paese è in grado di mettere in gioco; • si concorda sul fatto che sono necessari tagli consistenti delle emissioni a livello globale, come documentato dal quarto rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), allo scopo di mantenere l’aumento di temperatura al di sotto del limite dei 2° centigradi; • i paesi più sviluppati (Annesso I del protocollo di Kyoto) si impegnano ad indicare entro il 31 gennaio 2010 gli impegni che intendono assumere per la riduzione dei gas serra entro il 2020. • tutti gli altri paesi, ad eccezione di quelli più poveri, sempre per la stessa data, comunicheranno gli interventi di mitigazione, a livello nazionale, che intendono adottare; • i paesi più sviluppati costituiranno un fondo di 30 miliardi di dollari per interventi nei primi tre anni e successivamente per ulteriori 100 miliardi per finanziamenti a favore dei paesi poveri ed in via di sviluppo per interventi volti al contenimento del cambiamento climatico; • è prevista la costituzione di un comitato per esaminare ulteriori fonti di finanziamento per questi progetti.
La prima scadenza dell’Accordo di Copenhagen è stata pertanto rappresentata dal 31 gennaio 2010; una scadenza volontaria, a cui non sono associate sanzioni specifiche, ma che costituisce un importante banco di prova per verificare le volontà dei singoli paesi. La sensazione che si trae dalla lettura degli impegni trasmessi sino ad oggi alla UNFCCC è che la trattativa sia in una fase intermedia, in cui nessuno vuole promettere troppo, o troppo poco, attendendo le mosse degli altri paesi. Una sorta di melina, in cui, ad obiettivi minimi di riduzione delle emissioni, si accompagnano promesse di tagli ulteriori, condizionati, però, ad un accordo complessivo. L’Unione Europea ha confermato il proprio impegno a una riduzione delle emissioni del 20% al 2020, e condiziona un ulteriore taglio del 10% a un accordo globale; il Giappone si dice disponibile al -25%; la Norvegia potrebbe accettare riduzioni del 40%. In questo quadro un ruolo essenziale è giocato da un lato dagli Stati Uniti e dal Canada, e, dall’altro, dai quattro paesi BASIC (Brasile, Sud Africa, India e Cina), caratterizzati da economie in forte crescita. Nel caso statunitense, al momento della COP15 si riteneva possibile una riduzione delle emissioni al 17% al 2020, ma avendo il 2005 come anno di riferimento (riportando i dati al 1990, la riduzione effettiva è pari al 4%), sulla base di quanto previsto dall’American Clean Energy and Security Act (ACES) al Senato. Un accordo complessivo potrebbe però impegnare gli USA a riduzioni ben più consistenti: -30% entro il 2025 (circa 15% rispetto al 1990), - 42% entro il 2030, e addirittura -83% al 2050. E’ da notare che l’impegno americano sarà vincolante solo all’approvazione della legge che, oltre a definire le riduzioni previste, porrà un tetto alle emissioni e garantirà aiuti federali per le centrali nucleari. I giochi di questa partita interna sono ancora tutti aperti. Quanto ai quattro paesi BASIC, questi hanno tenuto un incontro ministeriale a New Delhi il 24 gennaio, al termine del quale è stata confermata l’adesione all’Accordo di Copenhagen. I singoli paesi hanno poi proceduto alla comunicazione di azioni volontarie di mitigazione: • Brasile: riduzione del 36% delle emissioni al 2020 rispetto al livello BAU (business as usual); • Sud Africa: riduzione del 34% delle emissioni al 2020 rispetto al livello BAU; • India: riduzione del 20-25%% dell’intensità delle emissioni di carbonio al 2020 rispetto ai livelli del 2005; • Cina: riduzione al 2020 del 40-45% dell’intensità delle emissioni di carbonio rispetto ai livelli del 2005, con un corrispondente aumento del 15% della produzione di energia senza fare ricorso a combustibili fossili e di 40 milioni di ettari della superficie a foreste e di 1,3 miliardi di metri cubi degli stock forestali. In particolare, sia Cina che India hanno introdotto il concetto di intensità di emissioni, che lega fra di loro gas serra e PIL. In questo modo è possibile conciliare la crescita complessiva dell’economia con riduzioni, anche limitate, nelle emissioni relative di gas serra, anche se queste aumentano in valore assoluto.
Accordi di Copenhagen: impegni confermati e potenziali di riduzione delle emissioni di gas serra
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Fonte: elaborazioni su dati UNFCCC
Paese
Riduzione emissioni al 2020
Annotazioni
Australia
-5% fino a -15% o -25%
La riduzione a -25% entro il 2020 è condizionata a un accordo mondiale di stabilizzazione dei gas serra a 450 ppm CO2-eq o inferiore. La riduzione a - 15% entro 2020è condizionata a un accordo che si avvicini al limite di 450 ppm CO2-eq che coinvolga sia i paesi in forte crescita che i paesi industrializzati
2000
Bielorussia
-5% fino a -10%
La riduzione è condizionata a un accesso ai meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto e al trasferimento di tecnologie, definizione di regole chiare per LULUCF.
1990
Canada
-17,00%
in linea con gli obiettivi degli USA
2005
Croazia
-5,00%
Obiettivo provvisorio, da rivedere con l’accessione della Croazia alla UE
1990
UE e stati membri
-20% fino a -30%
Riduzione a -30% al 2020 rispetto al 1990, in presenza di impegni analoghi da parte di paesi sviluppati e di impegni da parte dei paesi in via di sviluppo in base alle rispettive capacità e responsabilità.
1990
Giappone
-25,00%
Condizionato a un accordo internazionale fra tutte le maggiori economie e le economie in transizione
1990
Kazachistan
-15,00%
-
1992
Liechtenstein
-20% fino a -30%
In presenza di un accordo che coinvolga i paesi sviluppati e in crescita, la riduzione può essere aumentata al 30%.
1990
Nuova Zelanda
-10% fino a -20%
La riduzione delle emissioni è condizionata a un accordo globale per limitare la temperatura a 2 gradi centigradi, con impegni analoghi da parte dei paesi sviluppati, e impegni adeguati da parte dei paesi in via di sviluppo e con maggiori emissioni. Viene inoltre richiesto un set di regole per il settore LULUCFF e il ricorso al mercato internazionale del carbonio.
1990
Norvegia
-30% fino a -40%
La riduzione a -40% è condizionata a un accordo globale indirizzato a mantenere l’obiettivo di 2 gradi centigradi
1990
Federazione Russa 15% fino a -25%
Il range di riduzione delle emissioni dipende dal conteggio del settore forestale russo e da un accordo complessivo che coinvolga i paesi con maggiori emissioni.
1990
USA
Il valore finale di riduzione delle emissioni sarà comunicato al termine del processo di approvazione della normativa, attualmente in corso.
2005
-17,00%
Anno di riferimento
Oltre ai quattro paesi BASIC, hanno comunicato proprie azioni di mitigazione Armenia, Benin, Bhutan, Botswana, Congo, Corea, Costa Rica, Etiopia, Georgia, Giordania, Indonesia, Isole Marshall, Israele, fYR Macedonia, Madagascar, Maldive, Marocco, Messico, Moldavia, Mongolia, Papua Nuova Guinea, Sierra Leone, Singapore. Le riduzioni delle emissioni, siano esse confermate (e quindi non soggette ad ulteriori verifiche o trattative) oppure condizionate, sono comunque insufficienti a rispettare l’obiettivo di contenere entro i 2 gradi centigradi l’aumento previsto delle temperature. Secondo un report di Climate Interactive, rispetto ad uno scenario BAU (business as usual) che prevede addirittura un aumento di 4,8* C al 2100, le sole riduzioni confermate potranno portare a un aumento di 3,9°C e quelle potenziali a 2,9°C (e cioè a una concentrazione atmosferica in CO2e pari a 725 ppm). L’Accordo di Copenhagen ha comunque il pregio, forse inatteso, di costringere i paesi a scoprire le carte, rivelando impegni che potranno essere rivisti, confermati o migliorati nel corso del 2010. Il rispetto della scadenza del 31 gennaio non ha unicamente una valenza formale, ma significa in realtà che il processo negoziale è iniziato con la COP15 di Copenhagen, ed è destinato a continuare durante tutto il 2010, in preparazione della COP16 prevista in Messico a fine anno. E’ però riduttivo concentrare l’attenzione sugli interventi di mitigazione delle emissioni. Nel comunicato successivo all’incontro di New Delhi, i paesi BASIC richiedono che siano attivate le procedure di mobilizzazione dei fondi previsti dall’accordo di Copenhagen: 10 miliardi di dollari per il 2010 (e altrettanti per 2011 e 2012, da aumentare fino a 100 miliardi entro il 2020), da destinare ad azioni nei confronti dei paesi in via di sviluppo, delle isole minori e dell’Africa. Si tratta di numeri impressionanti, che però, in mancanza di dettagli o specifiche, possono nascondere una realtà ben diversa. Non è chiaro, innanzi tutto, se questi importi comprendano o meno le attività di CDM – Clean Development Mechanism, con cui i paesi sviluppati possono acquisire crediti di carbonio grazie a progetti di cattura delle emissioni in paesi in via di sviluppo. In teoria questi dovrebbero essere esclusi, poiché quanto stabilito dall’Accordo di Copenhagen è aggiuntivo rispetto alla situazione attuale, ma non esistono ad oggi specifiche indicazioni in merito. Il problema vero consiste proprio nell’individuare e conteggiare correttamente quanto è nuovo e addizionale, e quanto è invece già presente negli attuali interventi di aiuto allo sviluppo. Molti progetti hanno già di per sé, inoltre, una componente legata al cambiamento climatico, anche se sono indirizzati in modo primario verso la risoluzione di problemi legati all’agricoltura, alla salute, all’educazione. Costruire sistemi irrigui o riorientare le produzioni verso specie resistenti alla siccità costituiscono di per sé forme di adattamento al cambiamento climatico. Come è però possibile costruire una contabilità di questi progetti che impedisca doppi conteggi e consenta di mantenere l’impegno di massima fissato dall’Accordo di Copenhagen? Chi ne sarà responsabile? Come saranno suddivisi gli importi fra i paesi sviluppati? I negoziati che si terranno nel corso dei prossimi mesi consentiranno di affrontare e iniziare a sciogliere questi nodi. Come si vede, la partita è ben più ampia e complessa del semplice negoziato sul contenimento delle emissioni di gas serra e del riscaldamento globale. E noi giovani? Ogni giorno le delegazioni governative dei vari paesi sono state impegnate in meeting a porte chiuse, mentre per i partecipanti accreditati tramite altre istituzioni ed NGO’s (organizzazioni non governative) erano previsti dei Youth Daily Meeting In particolare, ogni giorno come EYF avevamo alcune riunioni che prevedevano: • aggiornamento continuo da parte di tutti sul loro lavoro di networking. • divisione dei compiti e delle sessioni da seguire, per poi rendicontare allo EYF. • scrittura e revisione delle posizioni comuni da prendere in merito agli eventi che si susseguivano (esempio: se partecipare o meno alle azioni promosse dagli altri movimenti giovanili come manifestazioni, proteste pacifiche etc.) • scelta delle persone che ogni giorno avrebbero scritto qualcosa per il sito dello EYF in merito all’evento vissuto con gli occhi dei suoi delegati. Per quanto mi riguarda posso comunque trarre dei punti positivi e dei punti negativi. Tra quelli positivi sicuramente la possibilità di creare un enorme networking con istituzioni giovanili e ong, e prendere spunti per arricchire la nostra piattaforma; il gran numero di strumenti forniti per poter avere voce in capitolo, sia a livello locale che internazionale; l’opportunità di prendere contatti con gli organi istituzionali italiani e la possibilità di essere continuamente aggiornati grazie all’utilizzo di centinaia di computer presenti all’interno del Bella Center. Tra quelli negativi le troppe info in pochi giorni che richiedevano un approfondimento, la dispersione e la cattiva gestione degli appuntamenti e degli spazi per le riunioni. Infine per noi ambientalisti un evento sul cambiamento climatico assolutamente non sostenibile dal punto di vista ambientale.
Obiettivi da raggiungere: 1 nell’era preindustriale la concentrazione di anidride carbonica era inferiore a 300 ppm(parti per milioni) 2 attualmente l’anidride carbonica presente in atmosfera è di circa 430 ppm 3 secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc per contenere l’aumento della temperatura sotto i 2 gradi bisogna fissare la concentrazione a 390 ppm 4 valore che si raggiungerebbe entro fine secolo senza alcun intervento correttivo: 550ppm
550
4
2
430 390
3
300 1
Emissioni di CO2 nel mondo (2006) milioni di tonnellate (fonte Onu e Eea 2009) Giappone 1.273,00
UE - 27 5.045,00 Brasile 352,20
USA 5.975,10
Cina 6.103,49
India 1.510,35
Il summit ha inquinato quanto il Marocco 120 capi di Stato, 30mila accreditati, 15mila delegati, oltre 5mila giornalisti riuniti al Bella Center di Copenaghen. Per trovare un accordo sui cambiamenti climatici e mettere uno stop alle emissioni di CO2 questa ingente “macchina da guerra” organizzativa ha fatto male all’ambiente: si è calcolato che ha inquinato quanto un paese, grande come il Marocco, in un anno. Certo comunque tanti spostamenti andavano fatti in aereo, ogni presidente doveva avere la sua macchina, queste decine di migliaia di persone che ogni mattina entravano al Bella Center dovevano mangiare e aggiornarsi continuamente sulle varie notizie, ma…. Magari gli spostamenti in aereo potevano essere di meno, per lo spostamento dei vari capi di stato si potevano usare utilitarie a metano, si poteva risparmiare una quantità enorme di plastica da imballaggio. Veniamo al mio esempio: il Ministero ha pagato il mio biglietto aereo per Copenaghen. La tratta è stata Roma Fiumicino – Zurigo, ZurigoCopenaghen per complessive 5 ore. Quindi già qualche volo poteva essere risparmiato (su Copenaghen volano low cost dirette 2 ore di volo, prezzo sotto i 70euro contro i 370 del mio). Ma l’apoteosi dello spreco lo si poteva toccare con mano entrando quotidianamente al Bella Center: una quantità spaventosa di carta, dal giornalino quotidiano ai vari depliant e pubblicazioni, ogni mattina riempiva varie aree, quasi tutta carta non riciclata. C’erano dei distributori di acqua alla spina, ma vicino centinaia di bicchieri di plastica (magari si poteva e doveva incentivare a portare una bottiglietta da casa..). Arriviamo al pranzo: si distribuivano bottigliette d’acqua da 50cl e panini confezionati, cioè ogni panino aveva il suo imballaggio di plastica. Comunque ci sono cose positive come l’illuminazione a LED della sala plenaria e di tutta l’area antistante al Bella Center, la pala eolica situata appena fuori che dava ogni giorno energia pulita, le migliaia di persone che prendevano la metropolitana (metropolitana telecomandata, mi ha fatto impressione prenderla la prima volta e stare nel vagone di testa senza nessuno che guidasse…) Sarà stato pure un summit che non ha dato LA RISPOSTA alla domanda che tutto il mondo poneva, e cioè ridurre le emissioni. Ma dalla giornata dei giovani, che è stata l’11 dicembre, io sono uscito con la consapevolezza che tantissimi giovani, cioè futuri governanti e cittadini del domani, hanno voglia di cambiare lo stato delle cose. Non dobbiamo aspettare che Stati Uniti, Cina, Giappone ecc. riducano le loro emissioni per salvare il mondo; sulla terra siamo quasi 7 miliardi di persone e ciascuno di noi ha un impatto, piccolo o grande che sia, ma ha un impatto. Allora non aspettiamo i potenti del mondo, ma cominciamo noi a ridurre il nostro impatto, con piccole azioni. Cerchiamo di non farci abbindolare dalle tante informazioni volutamente sbagliate e confondenti che danno. Di questi tempi si sente dire che serve tanta energia perché la nostra vita possa procedere spedita sulla strada intrapresa. Ma forse ci dovremmo fermare un attimo e chiederci se la strada che stiamo percorrendo sia sostenibile dal nostro pianeta e da noi stessi, che lo abitiamo. Il dopo Copenaghen inizia ora. Buona riduzione a tutti
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ROMA PUNTA SULLE ENERGIE RINNOVABILI E SUL RISPARMIO ENERGETICO Contenimento dei consumi e, soprattutto, un modello di produzione energetica distribuito sul territorio, affidato a piccoli e piccolissimi impianti alimentati da fonti rinnovabili e basato su una “rete intelligente” di scambio energetico: non è una politica applicabile solo su piccola scala, in contesti territoriali limitati. Anche una metropoli come Roma può imboccare la strada che ci porta dritti fuori dal tunnel nucleare e delle fonti fossili. Jeremy Rifkin ci ha spiegato come. di federica bruno
Dal 4 al 7 dicembre 2009 si è tenuto un convegno organizzato dall’Assessorato alle politiche ambientali, da RomaEnergia e dall’Ufficio di Jeremy Rifkin con lo scopo di definire le basi per la preparazione di un Master Plan energetico della Città di Roma. Questa scelta non è casuale o isolata, ma viene preceduta da tutta una serie di azioni, che ribadiscono l’impegno di Roma a tener conto delle linee prioritarie individuate nella “Carta di Aalborg”, approvata nel 1994, contenute nell’Agenda 21. Nel 2004 infatti, Roma sottoscrive anche gli “Aalborg Commitments”, adozione di “Impegni” da parte dei governi locali che hanno come obiettivo lo sviluppo sostenibile locale. A questa iniziativa segue quella del 2009, in cui il Comune di Roma approva formalmente il “Piano di Azione per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto” e che prevede misure di risparmio energetico, produzione e uso di energia da fonte rinnovabile. Nel gennaio del 2008 la Commissione Europea predispone il “Patto dei Sindaci”, iniziativa finalizzata al coinvolgimento attivo delle città europee nel percorso verso la sostenibilità energetica ed ambientale e che prevede l’impegno delle città aderenti a ridurre le emissioni di gas serra di oltre il 20% entro il 2020. Nel giugno 2009 il Consiglio Comunale approva l’adesione del Comune di Roma al “Patto dei Sindaci”, dotandosi anche dell’Agenzia RomaEnergia come principale strumento di pianificazione, coordinamento, progettazione e promozione delle politiche di risparmio energetico della città. Tenuto conto che il maggior quantitativo delle emissioni antropiche, dirette e indirette, di gas serra deriva proprio dalle città, in cui è concentrata la maggior parte della popolazione italiana, il Comune di Roma ha ritenuto necessario l’approfondimento di un Piano settoriale specifico per l’ottimizzazione dei consumi energetici nei settori produttivi della Città. Con queste premesse, il Consiglio Comunale ha approvato l’adozione delle seguenti linee guida per la preparazione di un master plan energetico della città: 1. CONTENIMENTO DELLE EMISSIONI con politiche di contenimento delle emissioni climalteranti nel rispetto dei criteri fissati dal Protocollo di Kyoto. 2. EFFICIENZA ENERGETICA con la promozione di canoni e misure idonee a prestabilire standard avanzati di consumo per Kwh/mq applicabili a tutti gli edifici sia di nuova che di vecchia costruzione. 3. FONTI RINNOVABILI con la progressiva “decarbonizzazione” delle fonti energetiche attraverso la diversificazione delle fonti energetiche, in particolare nel comparto elettrico, con la produzione decentrata e da fonti rinnovabili. 4. UNA ARCHITETTURA ED UNA URBANISTICA SOSTENIBILI attraverso la conversione e l’uso efficiente dell’energia nelle attività produttive, nei servizi e nei sistemi residenziali. 5. IDROGENO con la creazione delle condizioni per lo sviluppo dell’uso dell’idrogeno, inteso come sistema universale di accumulo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili discontinue (sole, vento, idroelettrico, geotermia, ecc). 6. RETI INTELLIGENTI che favoriscano il principio dell’autoconsumo e della messa in distribuzione solo dell’energia autoprodotta in eccedenza. 7. TRASPORTI PIÙ EFFICIENTI E PULITI attraverso una progressiva “carbonizzazione” dei trasporti pubblici con interventi di ampliamento del parco mezzi e infrastrutture basate su biocombustibili, metano e sperimentazione di mezzi a idrometano e idrogeno. E’ anche prevista una progressiva riduzione del traffico veicolare nella città, favorendo il bike/moto/car sharing e il “car pooling” e iniziative che combinano il trasporto pubblico con la bicicletta. 8. APPROCCIO TEMATICO E STRUTTURA PER “ISOLE DELL’ENERGIA” che risponde alle esigenze energetiche del territorio in modo specifico e strutturato con un’impostazione per “isole energetiche” e per settori (ospedali, uffici, scuole, strutture ricettive, fabbriche, case, ville,ecc). 9. SVILUPPO ECONOMICO E CRESCITA OCCUPAZIONALE che viene sostenuto da questa nuova politica energetica, favorendo anche lo sviluppo economico attraverso l’insediamento di nuove filiere industriali delle nuove tecnologie energetiche, in particolare quelle all’idrogeno e ai sistemi di reti intelligenti. A tale sviluppo economico darà il suo contributo anche la valorizzazione del ruolo dell’agricoltura nella sua intera filiera, considerando la produzione di compost di qualità, derivante anche da raccolta differenziata. 10. LEADERSHIP INTERNAZIONALE DI ROMA IN VISTA DI COPENHAGEN: il documento, redatto a pochi giorni dalla conferenza climatica di Copenhagen, ribadiva l’ambizione della città di Roma a posizionarsi nel gruppo delle città più sensibili al tema
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della sostenibilità energetica ed ambientale, considerando con attenzione anche il ciclo della gestione dei rifiuti per una politica complessiva di tutela della biosfera. Sono state previste anche azioni multilaterali insieme alle altre città europee. Gli esiti della conferenza di Copenhagen non dovranno distogliere la giunta comunale della Città di Roma da questi impegni presi e casomai rafforzarli, ottenendo di fatto proprio in questo modo e in questo momento la vera leadership internazionale, tanto desiderata. Aprire alle energie rinnovabili e al risparmio energetico in un’ambiente socioeconomico-politico estremamente confuso e contraddittorio con rigurgiti anacronistici favorevoli all’energia nucleare, ci sembra una azione degna di eroi, che nonostante tutte le condizioni avverse, si battono per un mondo veramente migliore. Non possiamo altro che condividere e sostenere l’iniziativa del Comune di Roma, battendoci da anni proprio per questa apertura all’energia pulita e al risparmio energetico. Per dovere di cronaca ci sembra utile delineare anche la figura di Jeremy Rifkin, laureatosi in economia presso la Wharton School of the University of Pennsylvania ed in Affari Internazionali presso la Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts University, presidente e fondatore della Foundation on Economic Trends (FOET) e presidente della Greenhouse Crisis Foundation. Rifkin è sempre stato un attivista del movimento pacifista ed ambientalista statunitense, ed anche impegnato negli Stati Uniti e in Europa a sostegno dell’adozione di politiche governative “responsabili” in ambiti relativi all’ambiente, alla scienza ed alla tecnologia. Le sue numerose pubblicazioni trattano dell’impatto che i cambiamenti scientifici e tecnologici hanno su economia, lavoro, società e ambiente. In Italia, insieme al Ministero dell’Ambiente, alla Regione Puglia e all’Università dell’Idrogeno, Rifkin ha fatto nascere nel 2008 un progetto triennale dal costo di 5 milioni di euro per la costruzione di distributori di idrogeno, metano e idrometano, una miscela di idrogeno e metano. L’idrogeno,ottenuto da fonti rinnovabili in loco, consente l’abbattimento delle emissioni inquinanti dei veicoli del 20 per cento e di guadagnare in potenza. E’ questa quella che Rifkin chiama la terza rivoluzione industriale: un modello di energia pulita e decentrata che segue il modello flessibile del web. Come le informazioni, l’energia deve essere presa e data in milioni di luoghi, in tutto il mondo, creando un sistema più democratico, più sicuro e più affidabile. La realizzazione di nuove centrali nucleari è un ragionamento che a Rifkin non torna: “Oggi sono in funzione nel mondo 439 centrali nucleari che producono circa il 5% dell’energia totale. Nei prossimi 20 anni molte di queste centrali andranno rimpiazzate. Per avere un qualche impatto sulla riduzione del riscaldamento del pianeta, si dovrebbe ridurre del 20% il Co2, un risultato che certo non può venire da qui. Nel 2025 le scorte di uranio si esauriranno, mentre le riserve idriche utilizzate per il raffreddamento dei reattori iniziano già a scarseggiare”. A ciò si aggiunge il problema delle scorie, che non sappiamo dove stoccare e come trasportare. Gli Stati Uniti hanno investito 8 miliardi di dollari in 18 anni per stoccare i residui all’interno di montagne, che però hanno già cominciato a contaminare l’area circostante. Possiamo quindi ringraziare il Comune di Roma per aver permesso un vero miracolo nel campo delle energie alternative, che in futuro avrà dei risvolti significativi anche in campi apparentemente non correlati, come il famigerato meccanismo dei CIP6, che finora ha dirottato ingenti finanziamenti, originariamente destinati alle energie, alle industrie petrolifere e agli inceneritori di rifiuti, fatti passare per termovalorizzatori e fonti energetiche rinnovabili. Non c’è da stupirsi, se l’Italia è in ritardo sulle energie rinnovabili! Un particolare ringraziamento lo dedichiamo al Presidente della Commissione Ambiente del Comune di Roma Andrea De Priamo, per aver inserito nel masterplan le integrazioni sull’utilizzo del compost di qualità e sulla necessità di un’attenzione al ciclo della gestione dei rifiuti, che spesso vengono completamente dimenticati, quando si parla di energie rinnovabili. Pensare al recupero e al riciclo dei rifiuti è altrettanto essenziale, quanto puntare sulle energie rinnovabili, poiché la tutela dell’ambiente passa attraverso un approccio integrato alle molteplici questioni del vivere e comporta la riduzione, la prevenzione, il recupero e il riciclo dei rifiuti, intesi come materia recuperata ed energia risparmiata in un mondo perso nella frenetica dissipazione consumistica di qualsiasi bene. Queste impostazioni più che promettenti del master plan sull’energia di Roma porteranno anche a riesaminare il reale fabbisogno impiantistico dedicato sia alla produzione di energia che al trattamento dei rifiuti recuperati. Questa azione comporta fatica, comporta coraggio, perché mettersi contro gli interessi di chi non ha realmente a cuore la sostenibilità ambientale è ardua impresa, ma soltanto questo modo di fare politica ridona il valore di legittimità alle Istituzioni e alla gestione della Cosa Pubblica, di cui noi tutti – ambientalisti e semplici cittadini - sentiamo profondamente nostalgia.
IL TMB, UN METODO ALTERNATIVO ALL’INCENERIMENTO DEI RIFIUTI
di roberta aloi
Bruciare e interrare i rifiuti non sono gli unici modi per smaltire quegli scarti dei nostri consumi che proprio non riusciamo ad eliminare o riciclare. Se vengono realizzate politiche efficaci per la riduzione a monte dei rifiuti e se si adotta il sistema di raccolta differenziata domiciliare “porta a porta” spinto a tutte le frazioni riciclabili, ciò che resta da smaltire è veramente poco... e meno pericoloso, perchè le frazioni più problematiche da gestire vengono intercettate dalla raccolta differenziata. Il trattamento meccanico biologico (TMB) può risultare molto utile per incamminarsi verso una politica del “riciclo totale”: è un sistema meccanico che permette di estrarre dalla frazione residua indifferenziata materiali riciclabili che sfuggono alla raccolta differenziata; allo stesso tempo è un sistema biologico che rende stabile la frazione dei rifiuti soggetta a putrefazione, con rilascio di liquidi e gas inquinanti. Il TMB (trattamento meccanico biologico) consiste in una serie di operazioni che permettono di separare i rifiuti organici dagli altri rifiuti. Questo dovrebbe essere associato con la raccolta differenziata porta a porta per mezzo della quale si riesce a recuperare circa il 70% dei rifiuti, e deve essere impiegato solo per il 30 % che rimane indifferenziato. In tal modo si riesce ancora a differenziare o utilizzare fino a che rimane da portare in discarica solo il 15% . Tra i rifiuti che si trovano nell’indifferenziata troviamo cartoni costituiti da parti metalliche o da parti sporche, plastiche sporche o non conformi agli standard richiesti per separare in modo differenziato la plastica, vetro, altri metalli e vari oggetti costituiti da vari tipi di materiali etc ... Tali rifiuti possono ancora essere recuperati. Come? Attraverso i soliti vecchi metodi di separazione fisici che sono stati studiati ai tempi di Galileo e Leonardo e che avvalendosi delle proprietà dei corpi permettono di separare un corpo leggero da uno pesante o uno magnetico da uno non magnetico e ancora di separare un liquido da un corpo solido, mentre la parte organica può essere recuperata con la tecnica del compostaggio in modo aerobico o anaerobico. In altre parole, niente di nuovo. Tuttavia non è eclatante che questi metodi per separare siano molto vecchi, ma che non si vogliano utilizzare sì, forse l’idea di bruciare un rifiuto piuttosto che separarlo dà immediatamente l’idea che sparisce ma così non è, perché la materia non è solo solida, è anche gassosa e la materia solida che viene bruciata si trasforma in gas che contiene sostanze che possono essere tossiche o nocive e che viene da noi respirato e le conseguenze di queste inalazioni forzate Dio solo le conosce, o forse le conosciamo anche noi visto che le sappiamo classificare. L’impianto Un impianto ideale di TMB è costituito da diverse parti: Luogo di ricezione dove vengono separati i materiali ingombranti, i pericolosi e i legni. Questi ultimi, se non trattati, finiscono nella parte dell’impianto dove avviene la decomposizione organica. Primo vaglio, con il quale vengono separati i materiali di grosse dimensioni da quelli di ridotte dimensioni, ad esempio bottiglie di plastica pesante, i metalli, materiale grande non definito e il cartone e la carta dal restante materiale costituito ancora da bottiglie di plastica di ridotte dimensioni e altro materiale leggero. Il sopravaglio, cioè il materiale più ingombrante che si separa dalla parte superiore del vaglio subisce un’ulteriore separazione con un vaglio ad aria e con un sistema a raggi infrarossi . Il sistema ad aria permette di separare il materiale leggero (carta, cartone e pellicola di plastica) presente nel materiale di grosse dimensioni da quello più pesante. Il sistema a raggi infrarossi permette di selezionare i diversi tipi di plastica dividendoli in base al colore. Dopo tale sistema ottico meccanico vi è un sistema magnetico che separa i metalli Il sottovaglio passa anche lui attraverso un vaglio ad aria che separa le bottiglie di plastica di ridotte dimensione e altro materiale dal resto. Il materiale leggero finisce al sopravaglio per ulteriore separazione
Lo scopo di ciò è separare la frazione organica dal resto dei rifiuti. Tramite il filtro e una vite senza fine vengono separati i solidi dai liquidi. La frazione organica liquida finisce in un digestore anaerobico dove avviene la fermentazione che produce biogas. I solidi, insieme alle rimanenze del sopravaglio, vengono trasformati con un sistema aerobico di trattamento della sostanza organica che rimane così stabilizzata.
Schema a blocchi semplificato del Tmb - Trattamento Meccanico Biologico
Biogas
Residuo indifferenziato
Vagliatura
Triturazione e filtraggio
solidi
Digestione anaerobica
liquidi vetro metallo plastica
Digestione aerobica
Il trattamento meccanico biologico sopra descritto permette di separare molti materiali che possono ancora essere riciclati. Questo metodo di separazione può essere confuso con il trattamento biologico meccanico che ha le fasi di separazione meccanica e quella biologica invertite rispetto al trattamento sopra descritto. Quindi i rifiuti prima vengono triturati poi sono compostati e infine sono separati con un vaglio dal quale si ottiene materiale che è utilizzato come CDR. Quest’ultimo metodo non dovrebbe essere quindi utilizzato come alternativa all’incenerimento dei rifiuti visto che uno dei prodotti è l’alimento degli inceneritori. Attualmente in Italia esiste l’impianto di Vedelago (TV) che, pur non trattando la frazione organica dei rifiuti ed utilizzando solo metodi meccanici, riesce a riciclare il 99% dei rifiuti derivanti dalle attività di artigiani e commercianti e provenienti dalla raccolta porta a porta.
Secondo vaglio Quello che resta dalla prima vagliatura passa nel secondo vaglio. Il sopravaglio contiene la maggior parte del vetro e subisce anche questo una separazione ottico meccanica che separa il diverso tipo di vetro. Successivamente il sopravaglio e il sottovaglio vengono uniti e passano attraverso un sistema magnetico che separa i metalli. Triturazione - filtraggio e trattamento anaerobico ed aerobico. Quello che avanza dalla vagliatura viene prima triturato e poi filtrato.
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Tu risparmi, l’ambiente ci guadagna 15 azioni per salvare ambiente e portafoglio Ridurre i consumi è l’unico modo per uscire dalle crisi economica e ambientale in maniera stabile e definitiva. Per decenni siamo stati convinti del fatto che migliori standard di qualità della vita dipendessero da più elevati livelli dei consumi. Il benessere delle persone è stato fatto coincidere con una grande disponibilità di merci e servizi. Ma, all’inizio del terzo millennio questa formula non funziona più. Ora, eliminare gli sprechi non fa bene solo all’ambiente... di marina mele
La guida è scaricabile dal nostro sito www.fareverde.it
Sempre più frequentemente ci ritroviamo a chiedere agli Organismi Internazionali, agli Stati o alle Amministrazioni Locali, provvedimenti legislativi o organizzativi che siano in grado di fornire la ricetta per affrontare una moltitudine di problemi: la salvaguardia dell’ambiente che ci circonda per offrire un domani migliore ai nostri figli; come affrontare questa crisi che prima di averci resi più poveri ci ha reso più insicuri sul nostro futuro o come affrontare il costo crescente della vita e far quadrare i conti a fine mese. Siamo abituati a delegare queste responsabilità ad altri, convinti che ognuno di noi, di fronte a questi temi sia “disarmato”; perdiamo di vista che si può fare qualcosa - ognuno di noi e ogni giorno - ottenendo molto di più di quello che abbiamo e senza rinunce. Molto spesso i piccoli gesti quotidiani, verso l’ambiente e a favore della salute, inglobano un valore economico, un risparmio, la cui percezione ci sfugge ma la cui rilevanza è indiscutibile. Fare Verde ha condotto un’inchiesta volta a valutare l’impatto economico conseguente all’adozione di comportamenti di spesa a basso “impatto ambientale” per una famiglia di 3 persone e un bambino di età inferiore ai 36 mesi, residente a Roma. Ne è nato un opuscolo che contiene consigli e informazioni per mettere in pratica 15 azioni che riducono l’impatto ambientale dei nostri consumi e consentono di ottenere risparmi economici anche significativi. E’ possibile, infatti, soddisfare bisogni ed esigenze personali e familiari di alimentazione, mobilità, igiene, conservazione dei cibi, illuminazione e perfino di svago, eliminando buona parte degli sprechi che caratterizzano il nostro attuale modello di consumo. I consigli riportati non richiedono particolari investimenti: in gran parte consistono in semplici cambiamenti di comportamenti d’acquisto e di consumo e nella sostituzione, nelle normali operazioni di manutenzione, di tecnologie obsolete con tecnologie più moderne ed efficienti. Gli ambiti indagati sono stati 5: Alimentazione; Rifiuti; Elettricità; Mobilità e Riscaldamento. Per ogni ambito sono state individuate alcune abitudini di consumo che, se modificate, potrebbero generare risparmi economici e benefici ambientali. Per ogni azione da sostituire viene riportata quella “virtuosa”, ne viene stimato il beneficio economico e descritto il beneficio ambientale ma, soprattutto, vengono sviluppate le argomentazioni che ci dovrebbero, senza indugio, spingere all’adozione del nuovo comportamento.
ALIMENTAZIONE Acqua del rubinetto invece dell’acqua minerale - in pochi sono a conoscenza del fatto che l’Italia è il paese con il maggior consumo al mondo di acqua minerale in bottiglia. Nel 2006 il consumo pro capite è stato di 192 litri. Consumare acqua minerale in bottiglia costa caro, sia al portafoglio che all’ambiente, con oltre 200.000 tonnellate di plastica prodotta per imbottigliare 11 miliardi di litri d’acqua. Il convincimento collettivo che le acque minerali siano più controllate trae solo in inganno nella scelta di comportamento; la legge impone ai produttori controlli ogni 5 anni e mediamente questi avvengono ogni 2. Il solo Comune di Roma ha effettuato 250.000 prelievi dai propri acquedotti e ha deciso di rendere pubblica la carta di identità della propria acqua. (Risparmio: 250,00 euro/anno) Latte sfuso alla spina invece di quello industriale imbottigliato - è “crudo”, cioè non pastorizzato e tantomeno microfiltrato ma è sicuro come il latte confezionato perché al momento della mungitura viene raccolto in recipienti igienizzati e portato molto rapidamente a 4 gradi. Si conserva 3 giorni. (Risparmio: 87,00 euro/anno) Vendita diretta di prodotti agricoli invece dei centro commerciali - per vendita diretta si intende la distribuzione di prodotti e servizi direttamente ai consumatori. Il rapporto diretto produttore/consumatore valorizza il rapporto con il territorio di origine, garantisce la qualità dei prodotti, consente la riduzione dei tempi di conservazione e riduce i trasporti. (Risparmio: 1.560,00 euro/anno) RIFIUTI Detersivi sfusi alla spina invece di quelli già confezionati - diversi tipi di detersivo (per piatti, per bucato, per la pulizia domestica) possono essere acquistati sfusi invece che in contenitori a perdere. Si risparmia circa il 40% sul prezzo di un prodotto equivalente confezionato in contenitori a perdere. (Risparmio: 130,00 euro/anno) Pannolini per bambini lavabili invece di quelli usa e getta - ogni bambino ha bisogno, nei primi 2 anni e mezzo di vita, di circa 4.500 pannolini che contribuiscono a creare circa una tonnellata di rifiuti. (Risparmio: 500,00 euro/anno) Borse di cotone riutilizzabili invece di quelle di plastica usa e getta(Risparmio: 26,00 euro/anno) ELETTRICITA’ Apparecchi elettronici spenti invece che lasciati in modalità “stand by”- (Risparmio: 70,00 euro/anno) Temperatura di lavaggio a 40° invece che lavaggi a 60/90° - l’80% dell’energia consumata dalla lavatrice serve a riscaldare l’acqua. Un lavaggio a temperatura 90° C comporta un consumo energetico più che doppio rispetto ad un lavaggio a 40° C. Con i nuovi detersivi non è più necessario che la temperatura superi i 60° C per avere un lavaggio ottimale. (Risparmio: 21,00 euro/anno) Frigorifero di classe energetica A++ invece di uno vecchio di 10 anni - Il frigorifero rimane sempre acceso e, di conseguenza, una piccola differenza di consumo tra un apparecchio ed un altro diventa, in un anno, una discreta somma sulla bolletta elettrica. Fino al 31/12/2010 sono in vigore le agevolazioni fiscali per la sostituzione di frigoriferi e congelatori con apparecchi di classe energetica A+ e superiore. (Risparmio: 70,00 euro/anno) 5 lampadine a basso consumo invece di 5 lampadine ad incandescenza - (Risparmio: 144,00 euro/anno) MOBILITA’ Auto in “car sharing” invece dell’auto di proprietà - il car sharing è una modalità di “condivisione” dell’auto che si sta diffondendo soprattutto nelle grandi città dove le amministrazioni incentivano fattivamente l’utilizzo di questo servizio attraverso numerose agevolazioni sui parcheggi e le tariffe, sugli ingressi in aree “riservate” e con l’accesso alle corsie preferenziali. (Risparmio: 1.461,00 euro/anno) Bicicletta per un tragitto di 5-10 km invece dell’auto utilizzata per brevi percorsi - sui percorsi brevi e in zone di traffico congestionato, l’utilizzo della bicicletta risulta economico, salutare ed in grado di far risparmiare tempo. Molte città si stanno attrezzando per garantire ai cittadini un servizio di bike sharing. (Risparmio: 530,00 euro/anno)
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Riscaldamento Mobilità
Elettricità
Rifiuti Alimentazione
Azione Da:
A:
Risparmio annuo 250,00 €
Benefici ambientali
1
Acqua minerale in bottiglia
Acqua del rubinetto
2
Latte industriale
Latte alla spina
3
Negozi e supermercati
Vendita diretta di prodotti agricoli
4
Detersivi convenzionali
Detersivi alla spina
130,00 €
Zero rifiuti, minore consumo di risorse naturali non rinnovabili
5
Pannolini usa e getta
Pannolini lavabili
500,00 €
Zero rifiuti, minor consumo di risorse naturali non rinnovabili
6
Buste di plastica
Borse in cotone riutilizzabili
26,00 €
Zero rifiuti, minor consumo di risorse naturali non rinnovabili
7
Apparecchi in stand by
Apparecchi spenti se non in uso
70,00 €
Minori emissioni di gas responsabili del riscaldamento del pianeta
8
Lavaggi a alte temperature
Lavaggi a basse temperature
21,00 €
Minori emissioni di gas responsabili del riscaldamento del pianeta
9
Frigorifero di almeno 10 anni fa Nuovo frigorifero Classe A++
70,00 €
Minori emissioni di gas responsabili del riscaldamento del pianeta
10
5 Lampadine convenzionali
5 Lampadine a basso consumo
144,00 €
Minori emissioni di gas responsabili del riscaldamento del pianeta
11
Auto di proprietà
Servizio “Car sharing”
1.461,00 €
Minore inquinamento, meno auto parcheggiate per strada
12
In auto per 5-10 km
In bicicletta per 5-10 km
530,00 €
Zero inquinamento, zero consumi di fonti fossili non rinnovabili di energia
13
Valvole convenzionali
Valvole termostatiche
200,00 €
Aria più pulita, minori emissioni di gas responsabili del riscaldamento del pianeta
14
Avvolgibili non isolati
Avvolgibili ben isolati
100,00 €
Aria più pulita, minori emissioni di gas responsabili del riscaldamento del pianeta
15
Termosifoni non isolati
Termosifoni isolati
100,00 €
Aria più pulita, minori emissioni di gas responsabili del riscaldamento del pianeta
87,00 € 1.560,00 €
Zero rifiuti, zero inquinamento derivante dai trasporti, meno energia Zero rifiuti, meno trasporti, meno energia, sostegno economico agli allevatori locali Meno rifiuti, meno trasporti, sostegno alle economie locali, biologiche, di qualità
Somma massima che può risparmiare una famiglia in 12 mesi: 5.249,00 euro RISCALDAMENTO Valvole termostatiche invece delle vecchie valvole sui termosifoni La valvola termostatica è un semplice dispositivo capace di regolare il flusso d’acqua dei radiatori in base alla temperatura impostata su una manopola graduata. Quando la temperatura si avvicina a quella impostata, il flusso dell’acqua viene deviato dal sistema verso gli altri radiatori aperti. (Risparmio: 200,00 euro/anno) Avvolgibili ben isolati invece degli avvolgibili senza isolamento - il cassonetto dell’avvolgibile rappresenta una fonte di dispersione del calore ma, in moltissimi casi, ci sono le condizioni per isolarlo in modo semplice ed economico ottenendo un risparmio del 5-10% dell’energia necessaria per il riscaldamento. (Risparmio: 100,00 euro/anno) Termosifoni ben isolati invece di termosifoni che disperdono calore - i caloriferi installati su pareti esterne o sotto le finestre generano una
L’ambiente ringrazia :-)
forte dispersione di calore che può essere contenuta con il posizionamento, sulla parete dietro i caloriferi, di pannelli in materiale isolante e riflettente. (Risparmio: 100,00 euro/anno) La guida in realtà esplora ciascuno dei temi con dati statistici, schede tecniche, informazioni varie e rimandi utili ad ulteriori approfondimenti per poi concludere con: uno strumento di facile consultazione quale il “calendario della frutta e verdura di stagione” che ci ricorda la stagionalità di quello che mettiamo in tavola e che una spremuta d’arance ad agosto “costa” ben più di quanto paghiamo in negozio; un invito ad autoprodurre una parte di ciò che ci serve perché è facile, salutare e notevolmente più economico.
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La tutela del paesaggio e la Costituzione Il paesaggio è un punto di equilibrio tra uomo e natura, è la natura modificata dall’uomo nel corso della storia. E’ uno spazio delimitato dallo sguardo e dalla volontà dell’uomo, sottratto alla totalità della natura, ma comunicante con essa. Come scrive Georg Simmel nel suo saggio Filosofia del paesaggio il paesaggio è “una visione in sé compiuta, sentita come unità autosufficiente, ma intrecciata tuttavia con qualcosa di infinitamente più esteso, fluttuante” (in Il volto e il ritratto. Saggi sull’arte, ed. Il Mulino 1985). di saNdro marano
Chiunque abbia visitato nel palazzo pubblico di Siena il ciclo di affreschi noto con il nome “L’allegoria del buono e cattivo governo”, dipinti fra il 1337 ed il 1339 da Ambrogio Lorenzetti, avrà potuto constatare e quasi toccare con mano due diversi modi di governare il territorio e le relative conseguenze. Nel primo sono evidenti i risultati dell’operosità umana, della virtù civile e soprattutto della buona amministrazione che creano un bel paesaggio ed uno spazio fertile e ben ordinato. Nel secondo invece balzano agli occhi tra le macerie e l’abbandono delle campagne i segni dell’avidità, il prevalere degli egoismi e la mala amministrazione. E subito il pensiero corre all’Italia di oggi, alle brutte orripilanti periferie, alle speculazioni edilizie, alle campagne abbandonate e ridotte spesso a discariche abusive, a quel saccheggio del territorio iniziato negli anni ‘50 e proseguito ininterrottamente fino ad oggi, che costituisce una vera e propria emergenza nazionale. Un saccheggio inutilmente denunciato da scrittori ed artisti come Guareschi nei suoi racconti umoristici velati d’amarezza o come Pasolini nei suoi scritti lucidi e disperati sulla scomparsa delle lucciole e sulla mutazione antropologica del popolo italiano. L`Italia è un paese straordinariamente ricco di opere d’arte e di una storia che ha lasciato profondi segni nel paesaggio. Prendiamo gli ulivi, “i fratelli olivi che fan di santità pallidi i clivi e sorridenti” (D’Annunzio): non soltanto caratterizzano il paesaggio mediterraneo dalla Puglia all’Umbria, ma rappresentano anche un pezzo di storia e l’identità d’un popolo. La conservazione del paesaggio e dei beni artistici e culturali, insieme alla nostra lingua, costituiscono di fatto l’italianità, ne assicurano la continuità nella storia. Difendere un paesaggio significa difendere una parte della propria vita, la geografia esistenziale di ciascuno di noi. Di qui la sua rilevanza non solo estetica e culturale, ma anche giuridica e politica. La prima legge di tutela del paesaggio fu emanata nel 1922 e porta il nome del filosofo Benedetto Croce, ministro della Pubblica Istruzione nell’ultimo governo Giolitti. Nella sua relazione presentata nel 1920 Croce invocava “un argine alle devastazioni contro le caratteristiche più note e più amate del nostro suolo», in quanto la necessità di «difendere e mettere in valore le maggiori bellezze d’Italia, naturali e artistiche» rispondeva ad «alte ragioni morali e non meno importanti ragioni di pubblica economia”. Il paesaggio, suggeriva il filosofo, “altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari (...), formati e pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli”. E’ da rilevare che questa legge si inseriva in una lunga tradizione di attenzione al patrimonio storico culturale che si era concretizzata in sia pur frammentari interventi legislativi negli Stati preunitari, in particolare negli Stati Pontifici e nel Regno di Napoli. Così, ad esempio, già sotto il re Carlo VII di Borbone nel 1755, mentre da poco era stata scoperta Pompei e fervevano gli scavi, erano stati emanati vari bandi a tutela del patrimonio storico-artistico, e i decreti borbonici del 1841-1843 “vietavano di alzare fabbriche che togliessero amenità o veduta lungo Mergellina, Posillipo e Capodimonte.” Sulla legge Croce si fondò la legge Bottai del 1939 a protezione delle bellezze naturali, di poco successiva e, non casualmente, alla legge per la tutela del patrimonio culturale. La legge Bottai fissava due strumenti per la tutela del paesaggio: l’identificazione delle aree protette “a causa del loro notevole interesse pubblico” e la redazione a cura del Ministero di “piani territoriali paesistici”, da depositarsi nei singoli Comuni. Queste leggi di epoca fascista furono giudicate all’avanguardia da insigni giuristi e furono tenute ben presenti dai costituenti. Con la Costituzione del 1948, infatti, il principio della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico acquista dignità di principio fondamentale dello Stato. Scrive a questo proposito Salvatore Settis, docente di storia dell’arte e dell’archeologia e direttore della Scuola Normale di Pisa, “la legislazione sulla tutela raggiunse in Italia il suo punto più alto con la legge 1089 del 1939, proposta dall’allora ministro Bottai, e rimasta fino ad oggi punto centrale di riferimento, anzi considerata la legge di tutela più organica e avanzata del mondo. Fu una legge approvata dal governo fascista, eppure quando la Repubblica nata dalle ceneri della guerra e dalla Resistenza volle darsi una nuova costituzione, i valori di quella legge furono puntualmente riaffermati dai Costituenti, nell’art. 9 della Costituzione repubblicana…” (Conservare perché, in Patrimoniosos.it). L’art. 9 della Costituzione Italiana, che al secondo comma stabilisce che la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” è, dunque, il punto d’arrivo d’una lunga storia. Non ha mancato di rilevarlo in modo incisivo ed autorevole l’ex Presidente della Repubblica Ciampi, il quale, parlando il 5 maggio 2003 ai benemeriti della cultura, ha dichiarato: “L’Italia che è dentro ciascuno di noi è espressa dalla cultura umanistica, dall’arte figurativa, dalla musica, dall’architettura, dalla poesia e dalla letteratura di un unico popolo. L’identità nazionale degli italiani si basa sulla consapevolezza di esse-
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re custodi di un patrimonio culturale unitario che non ha eguali al mondo. Forse l’articolo più originale della nostra Costituzione repubblicana è proprio quell’articolo 9 che, infatti, trova poche analogie nelle costituzioni di tutto il mondo”. Sennonché, nel dopo guerra in seguito all’incremento demografico e al forte sviluppo delle aree urbane l’urbanistica finì per assorbire i “piani territoriali e paesistici” che la legge Bottai riservava alla tutela dello Stato. L’istituzione delle Regioni nel 1972 attribuì peraltro ad esse il governo del territorio, la redazione dei piani paesistici e la protezione dell’ambiente, lasciando allo Stato generiche funzioni di indirizzo e coordinamento. Inoltre la parola “paesaggio” fu rimossa e sostituita con “ambiente” o “beni ambientali”, senza precisare che cosa li distinguesse dal “paesaggio” e finendo, quindi, come nota Salvatore Settis, per “provocare una strisciante annessione del paesaggio all’urbanistica, ambito controllato da istanze locali e meno soggetto ai principi della tutela” (La lunga guerra tra Stato e Regioni in archeomedia.net). A questo proposito va rilevato che lo spostamento della tutela del paesaggio alla competenza delle Regioni è in stridente contrasto con l’art. 9 della Costituzione, che affida alla Repubblica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione. L’istituzione poi del Ministero per l’Ambiente nel 1985 ha scisso le due nozioni giuridiche, che invece coincidevano quando nel 1975 venne istituito il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. “È in questo quadro - chiosa Salvatore Settis - che si innestò la legge Galasso del 1985, che impose alle Regioni sia l’immediata redazione (spesso disattesa) di piani paesistici o urbanistico-territoriali, sia un controllo sulla gestione delle aree vincolate, affidato ai poteri sostitutivi del Ministero (mai messi in atto). Di fatto, le Regioni hanno sub-delegato ai Comuni le competenze paesaggistiche, cancellando ogni unitarietà nella tutela del paesaggio” (La lunga guerra tra Stato e Regioni in archeomedia.net). La nuova formulazione dell’art 117 seguita alla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 ha assegnato alle Regioni il governo del territorio e “la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali” riservando allo Stato la potestà esclusiva di legislazione su “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. In questo modo non solo è stata rimossa completamente la nozione di paesaggio, ma sono rimasti in piedi la sovrapposizione di competenze e l’intrico di norme fra Stato e Regioni e tra Ministeri differenti, rendendo sempre più incerta la delimitazione fra paesaggio, urbanistica ed ambiente, che sono regolati da diverse normative e ricadono sotto diverse responsabilità. Non a torto insigni studiosi si domandano se “territorio”, “ambiente” e “paesaggio”, siano tre cose o una sola. Può esistere un “territorio” senza ambiente e senza paesaggio e viceversa? Non sarebbe meglio creare un unico ministero per i beni culturali, il paesaggio e l’ambiente? Non sarebbe ora di ricomporre sul piano normativo le tre Italie del paesaggio, del territorio e dell’ambiente? La fotografia della situazione odierna è la stessa di quella denunciata in un articolo del 1987 da Antonio Cederna, archeologo e giornalista che condusse memorabili battaglie in difesa del patrimonio storico ed artistico: “Chi oggi intraprendesse il grand tour potrebbe alla fine scrivere quella “guida dell’Italia alla rovescia”… in cui illustrare i maggiori scempi e disastri: pinete litoranee lottizzate, aree archeologiche insidiate dall’edilizia, mare in gabbia e coste trasformate in congestionati suburbi, fiumi ridotti a cloaca, colline e corsi d’acqua devastati dalle cave, case e industrie costruite in zone franose, preziose zone umide trasformate in campi di patate, monumenti famosi incastonati fra i casamenti della periferia, boschi abbandonati, montagne scorticate e ricoperte da fili e tralicci, pendici di vulcani urbanizzate, parchi nazionali occupati da condomini e tagliati da strade rovinose, scarichi fumanti di rifiuti, la macchia mediterranea privatizzata dal reticolo edilizio, e via dicendo. Un insensato sparpagliamento del costruito elimina ogni distinzione tra città e campagna, annulla ogni identità fisica e storica, un’ininterrotta crosta di cemento e asfalto va man mano sostituendosi alla crosta terrestre” (Territorio ambiente e dintorni in Eddyburg.it). Se poi ci chiediamo di chi siano le responsabilità, la risposta non può che essere questa: le responsabilità sono diffuse. Gli italiani, in generale, non hanno mostrato di amare la propria terra, sono stati e sono artefici e vittime d’un modello di sviluppo fondato sulla crescita indiscriminata, sullo spreco e sul consumo di beni, tra cui spicca il territorio che è certamente “il bene più prezioso perché scarso e limitato” (Cederna). La classe politica, anziché educare e governare il territorio, ha assecondato egoismi, spinte anarcoidi e, in taluni casi, appetiti malavitosi. Gli intellettuali sono stati a lungo succubi di culture e visioni del mondo (marxismo, scientismo, idealismo, un certo filone del cattolicesimo) poco rispettose per il valore in sé della natura. Domina tuttora la convinzione che il progresso si identifichi con l’industrializzazione, che il benessere coincida con la crescita continua della produzione e del consumo di risorse, di territorio, di beni.
“Chi mai direbbe - si chiedeva vent’anni fa Antonio Cederna - che siamo il paese di San Francesco, il santo più immeritato e meno italiano, che ha detronizzato l’uomo dal suo dominio sulla natura e ha predicato la tenerezza, la fratellanza con ogni altra cosa animata e inanimata… e raccomandava di lasciare in ogni orto un pezzo di terra non coltivata perché potessero liberamente crescere le erbacce?” E profetizzava: ”tra poco più di un secolo tutta l’Italia sarebbe ricoperta di una continua, ininterrotta, repellente crosta edilizia e di asfalto, tale da distruggere ogni produttività agricola e cancellare la stessa fisionomia paesistica, naturale, culturale di quello che fu chiamato il Bel Paese” (Territorio ambiente e dintorni in Eddyburg.it). Ovviamente, non tutto è nero. Crescono il bisogno di natura e la coscienza ambientale in larghi strati della popolazione, ci sono associazioni ecologiste che si battono strenuamente per la tutela del territorio e per un modo di vivere all’insegna della decrescita, la magistratura interviene più frequentemente ed incisivamente, la legge Galasso ha esteso il vincolo ambientale a intere categorie di beni (coste marine, fiumi e laghi, boschi e foreste, montagne al di sopra di una certa quota, eccetera), sono stati istituiti nuovi parchi ed oasi protette. In questo quadro l’art. 9 della costituzione lungi dall’essere una mera
dichiarazione d’intenti si pone come “il solido baluardo della cultura della conservazione in Italia. Esso riassume una storia millenaria e la consegna alle generazioni future, e non a caso è stato ed è la bandiera delle battaglie di questi anni contro gli assalti al patrimonio culturale e al paesaggio” (Salvatore Settis, Conservare perché, in Patrimoniosos.it). E’ necessario tuttavia acquisire la consapevolezza che la mancata opera di prevenzione e di tutela si traduce in ingenti costi sociali per la collettività: basti pensare ai danni che ogni anno procura il dissesto idrogeologico, o a quanto ci costa, per citare un disastro recente, l’incendio del parco del Gargano, che ha messo in fuga i turisti. Il turismo di soggiorno ed escursionistico promosso dalle aree protette e dai parchi porta notevoli benefici economici alle popolazioni, senza dire dei benefici non quantificabili in moneta, come il valore della comunione con la natura e l’esperienza di autentica liberazione dall’alienazione urbana. Di fronte allo scempio del paesaggio, appare necessario un intervento serio e ponderato che elimini l’incongruenza dell’attuale sistema normativo. Su questo punto vogliamo richiamare l’attenzione dei politici: il paesaggio italiano è una ricchezza che va strenuamente difesa. Altrimenti, se lo sviluppo continuerà di questo passo, che cosa lasceremo alle future generazioni?
La TAV in Toscana. Tra danni ambientali (che chissà chi pagherà) e nuovi progetti devastanti
di diego verusio
Errare è umano, perseverare è diabolico. Il processo sull’Alta Velocità nel Mugello ha accertato danni ambientali per 740 milioni di euro e responsabilità penali a carico del Consorzio incaricato della realizzazione ma anche degli amministratori tenuti al controllo. Ora, in nome dell’Alta Velocità, si insegue il progetto di una mega stazione sotterranea nel cuore di Firenze, con costi enormi e grande impatto ambientale. L’alternativa tecnica ci sarebbe, ma la politica preferisce non ascoltare. E’ di poche settimane fa la notizia che la Cavet, il consorzio che si occupava della realizzazione dell’Alta Velocità nel Mugello, ha ottenuto la sospensiva del pagamento della somma che il tribunale di Firenze le aveva comminato a titolo di risarcimento dei danni causati nel Mugello. La controllata della Impregilo era stata dichiarata colpevole di inquinamento del suolo per illecito smaltimento delle terre da scavo contaminate. Riassumendo brevemente la vicenda, i lavori iniziarono tra la proteste di cittadini, associazioni ed alcuni comuni delle zone interessate, per la paura che gli scavi ed il tunnel portassero a dissesti idrogeologici. La Giunta Regionale avvallò il progetto, con valutazioni d’impatto ambientale molto superficiali e con i pareri contrari del Consiglio Regionale e di alcune commissioni tecniche interne alla giunta stessa. Tanto che il progetto presentò problemi da subito (parte della galleria realizzata, dovette essere smantellata il giorno dopo l’inaugurazione per le infiltrazioni d’acqua - ci fu anche un servizio de “Le Iene” in proposito-). Alla fine i magistrati contarono complessivi 740 milioni di euro di danni che comprendevano: l’impoverimento delle falde acquifere sotterranee, l’inquinamento dei terreni ed il furto d’acqua. La Cavet è stata condannata solo per gli ultimi due, in quanto il primo reato non è previsto come colposo (già, ma i danni ci sono lo stesso), al risarcimento di 150 milioni di euro a favore di vari soggetti (Ministero dell’ambiente, Regione, Comunità montana, associazioni ambientaliste). Sono state comminate inoltre pene fino a 5 anni di reclusione (per lo più condonate) a 27 soggetti tra cui i vertici del consorzio. In sede di appello la Cavet ha chiesto la sospensione del pagamento stabilita dalla sentenza di primo grado. Non è certo sorprendente che il tribunale del riesame abbia accolto la richiesta del consorzio, ma le motivazioni invece si. I giudici hanno infatti trovato ingiusto accollare il risarcimento danni tutto in capo alla sola Cavet, visto che si ravvisano colpe anche nelle amministrazioni (Regione in primis) che erano adibite al controllo del progetto. Non è un caso del resto che la Corte dei Conti, abbia, sempre in queste settimane, mandato degli inviti a giustificare la propria posizione in merito, a tutti i soggetti politici e tecnici delle amministrazioni coinvolte nella vicenda. (il danno erariale ammonta a oltre 700 milioni di euro). Già allora il Pm, ed anche altri, si erano lamentati del fatto che responsabilità vi erano anche in capo alle amministrazioni rimaste inerti. La paura ora però, è che il processo sia tutto da rifare, e che si traduca in un nulla di fatto. Gli avvocati di parte civile, visto che la parte più sostanziosa dell’impianto accusatorio era stato respinto, temevano che un eventuale riesame avrebbe potuto portare ad una assoluzione della Cavet (quella dei rifiuti è una materia piuttosto controversa che si snoda anche a livello europeo). Lasciando così l’effettività di un danno, ma senza nessuno che lo risarcisca.
E’ con queste premesse che si giunge alla attuale situazione fiorentina, dove le varie proposte per la realizzazione di un attraversamento cittadino della TAV si susseguono, generando una delle questioni più intricate che la città sta affrontando in questi mesi. A pochi giorni dall’inaugurazione della tratta Firenze-Bologna ancora non si sa nulla su quello che sarà il destino della TAV nel capoluogo toscano. Il progetto originario (e per ora non ufficialmente smentito) prevede un sotto-attraversamento di circa 7 km ed una faraonica stazione sotterranea disegnata dall’architetto Foster. Inutile sottolineare quanto possa essere impattante un progetto del genere in una città come Firenze (ma a dire il vero un po’ ovunque, come testimonia il caso di Bologna). Anni di cantieri paralizzanti che moltiplicano il traffico e l’inquinamento (lo smaltimento dei residui degli scavi è previsto per larga parte con trasporto su gomma), vibrazioni che minano la stabilità dei palazzi (come nel caso di Bologna, dove i danni ormai non si contano più), stravolgimenti per le falde sotterranee e pericoli di subsidenza in zone abitate. Il tutto a fronte di un costo enorme: siamo partiti da un appalto di poco più di 600 milioni di euro, per arrivare al costo complessivo stimato di 1,5 miliardi di euro, a lavori ancora da iniziare. La facoltà di Architettura di Firenze, ha da tempo proposto un progetto alternativo che prevede di affiancare (in superficie) ai binari della linea normale, i due binari della linea AV. Questo, oltre a comportare una spesa decisamente più contenuta (circa 300 milioni di euro), sarebbe anche meno impattante. Basti pensare che non ci sarebbero tonnellate di terra da trasportare altrove, nessun impatto sulla falda, il trasporto dei residui dei lavori potrebbe avvenire su ferro, ed in più non ci sarebbero nemmeno troppe conseguenze per il traffico, dato che larga parte del tracciato dei lavori è contenuto all’interno di zone di proprietà delle Ferrovie dello Stato. A quanto fa sapere il sindaco Renzi l’attraversamento di superficie è “tecnicamente fattibile, ma non lo è politicamente”. Questo fa capire molto dell’attuale sistema politico (ma non ci sorprende, anche alla luce delle ultime vicende giudiziarie che hanno coinvolto la precedente giunta comunale in materia di urbanistica e grandi opere). Insomma pare che la vicenda del Mugello non abbia insegnato nulla all’establishment fiorentino, né in ordine al coinvolgimento delle realtà delle associazioni di cittadini, con il quale conduce un gioco di continui rimpalli di responsabilità e di proposte che alla fine lasciano la situazione immutata, né in merito ai controlli ed alla funzione di salvaguardia della “cosa pubblica” a cui l’amministrazione è per definizione deputata.
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Critica politica all’Italia di oggi Personalismo, spettacolarizzazione, interesi privati sono i mali della politica italiana di oggi. Essi impediscono la realizzazione di politiche ambientali, sociali, economiche veramente efficaci e di ampio respiro. Ma i grandi assenti sono soprattutto una visione e un progetto politico capaci di affrontare le sdide epocali che abbiamo di fronte a noi. di gianpaolo persoglio
Nel marasma in cui sta affogando l’Italia di oggi, fatto di polemiche, incroci pericolosi tra pubblico e privato, potere e politica, show e vita reale, la matrice comune che emerge è la sintomatica assenza di quel carattere di cui eravamo storicamente provvisti che prende il nome di Qualità. La politica dal dopoguerra ad oggi non ha fatto altro che far precipitare la virtù ad optional talvolta inutile talvolta dannoso, in un circolo vizioso in cui si sono persi i parametri per poter valutare oggettivamente la misura del vuoto che abbiamo creato. Il governo di oggi guidato da Silvio Berlusconi rappresenta, a mio parere, il massimo dell’espressione della mancanza di idea, progetto, qualità delle persone e delle azioni che hanno governato la Repubblica fino ad oggi. Questa analisi parte dal presupposto che le vicende della sua privata rappresentano solo l’aspetto scenografico della situazione, il carosello mediatico che diventa per tutti più facile da leggere e giudicare, ma appartengono ad un contesto che preferisco mettere provvisoriamente da parte per due motivi fondamentali: per prima cosa ritengo che l’incapacità di governare, l’inazione davanti ai problemi del paese, la mancanza di una visione d’insieme della situazione economica e sociale siano motivi di critica ben più pesanti rispetto ai vizi personali e ai capricci della sua vita coniugale. Il secondo motivo, conseguente al primo, è che una critica pervicace ai suoi “vizi” privati rappresenti quanto di meno costruttivo si possa fare, nonché una comoda occasione di difesa, da parte dell’interessato, circa il voyeurismo e la maliziosità proveniente dai suoi detrattori. Se la critica si abbassa ai livelli dei comportamenti di Berlusconi si fa il gioco del leader, si scende su di un campo in cui il contenuto viene svuotato e si entra in un ambito prevalentemente dialettico e comunicativo in cui il Capo del Governo ha vittoria facile. Un detto recita: non parlare con lo stupido, ti porta al suo livello e ti batte con l’esperienza. Il problema a mio parere è ben più grave, proprio perché, oltre a coinvolgere Berlusconi, coinvolge anche il fronte più massiccio delle critiche che gli vengono indirizzate. Ed è un problema diffuso, come accennavo all’inizio, che coinvolge il livello qualitativo della politica e forse della società tutta, immersa in una involuzione che forse mai la Storia del nostro Paese ha vissuto come accade oggi. Il Mondo sta vivendo una rapida evoluzione in cui i paradigmi dettati dalle ideologie politiche dell’800 e del 900 rappresentano strumenti inadeguati per la comprensione dello stato delle cose ed ancor meno per agire al fine di intervenire su di esse. La velocità di scambio delle informazioni agisce sulla forza stessa dell’informazione, come nei fenomeni fisici (dall’aerodinamica all’ottica) la velocità diventa parametro che incide sulla realtà delle cose modificandola. Le teorie economiche sulla crescita sono messe in seria discussione da economisti, scienziati e soprattutto filosofi, conseguentemente, soprattutto, alla preponderanza che l’economia fine a sé stessa sta avendo sulle nostre vite. La crescita del PIL è vista come parametro fondamentale di benessere, mentre è solo un indice misuratore di merci scambiate; se allarghiamo il concetto l’economia non è più uno strumento per comprendere e regolare le negoziazioni ma diventa un fine basato sul paradigma lavoro-consumo. Il dibattito sulle reali motivazioni che incidono sulla felicità e sul benessere degli individui vive una fase di grande intensità e l’interesse sta tornando centrale sulle relazioni personali, gli scambi sociali non-commerciali, le forme di aggregazione spontanea delle persone, una visione della Natura come ambiente incontaminato coeso con l’uomo stesso, ambiente da proteggere per poterne godere a prescindere dalla sua valenza economica. Si sta risvegliando nelle persone un nuovo Umanesimo che nasce stavolta dal basso, non da intellettuali o opinion leader, ma da una innata propensione dell’Uomo verso ciò che fonda le basi della vita stessa e del benessere, come reazione alle tensioni di un ambiente che seleziona non più individui, ma consumatori, clienti, elettori, ovvero soggetti funzionali ad uno scopo. Se applichiamo quanto detto ai temi di attualità quali l’approvvigionamento energetico, l’alimentazione, l’economia, ci si accorge che le persone sono naturalmente orientate verso concetti di buon senso quali l’efficienza energetica, la qualità dell’aria che si respira e il cibo che si porta a tavola, la conservazione della tradizione e della propria matrice culturale. In una economia che risente pesantemente della stagnazione, gli unici settori in crescita sono quelli legati alle tecnologie per l’efficienza energetiche (esempio le lampadine a led, le bioarchitetture), la produzione di energie rinnovabili (eolico e fotovoltaico con crescite a due zeri), alle produzione agricola biologica e di qualità. Si assiste ad un fervore di iniziative di piccole e medie imprese, di singoli professionisti, di reti di cittadini, di famiglie che si stanno rendendo protagoniste di esperienze imprenditoriali che creano dei “tarli” ad
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un sistema economico gerontologico basato solo su elementi “macro”, per questo inflessibile a prendere in considerazione i nuovi paradigmi che stanno emergendo. Un esempio fin troppo facile è rappresentato dal nucleare: il pensiero standard, basato su una prospettiva di crescita dei consumi e quindi della domanda praticamente inarrestabile, ritiene che il sistema più economico ed efficace per soddisfarla sia quello di realizzare centrali nucleari, affidando la creazione e la gestione delle stesse ad un singolo macrooperatore con un impatto occupazionale limitato e circoscritto ai pochi lavoratori impiegati nelle centrali. Il pensiero nuovo, che poi tanto nuovo non è, vuole invece che prima di tutto si lavori sulla diminuzione della domanda eliminando gli sprechi, attività che, coinvolgendo a più livelli le fonti di consumo (elettricità e riscaldamento domestico su tutti) creerebbe innumerevoli opportunità di lavoro che, partendo dal basso e dalle realtà locali, coinvolgerebbero piccole e medie imprese, artigiani, professionisti con una diffusione eccezionale di tecnologie e pratiche oggi ancora poco applicate. L’esempio potrebbe essere esteso alla raccolta dei rifiuti con la diminuzione degli imballaggi, il riutilizzo e riciclaggio di vetro, plastica e carta, soprattutto lo sfruttamento della ricchezza derivante dai rifiuti umidi che, con la creazione di una filiera apposita, permetterebbe la produzione di biogas e ammendante per l’agricoltura. I media sono pieni di notizie, esperienze, proposte, informazioni su pratiche innovative, proposte su stili di vita paralleli all’economia tradizionale (pensiamo ad esempio ai GAS), basta avere la curiosità di sfogliare e navigare e si percepisce un fermento che nasce e vive a due passi da casa, più vicino di quanto si pensi. Ebbene, queste fibrillazioni innovative, embrioni di nuove forme di organizzazione, socialità ed impresa, segno di una realtà in grandissima espansione e dal peso sempre crescente, rappresentano una dimensione a cui la classe politica è assolutamente impermeabile, chiusa in convinzioni (poche) fortemente radicate e oramai disconnesse con una realtà che avrebbe bisogno, per emergere, di essere conosciuta, condivisa e aiutata. Ne sono sintomo le posizioni assunte dal Governo in merito al cosiddetto “piano casa”, riguardo alle già citate problematiche su energia e rifiuti, all’immobilismo riguardo la crisi economica. Il problema pertanto è qualitativo perché manca informazione, cultura, capacità di avere una visione sistemica dei problemi e delle possibili soluzioni, mancano competenze specifiche nei singoli ministeri, manca la capacità reale di innovare e di sviluppare un pensiero coerente con i tempi. Ancora: chiunque abbia la capacità di fare una analisi scevra da categorie meramente di parte non può non rilevare lacune su temi che dovrebbero essere cavalli di battaglia di un Governo di questo colore politico: la legalità è un tema storicamente di appannaggio della destra, ebbene, per motivi particolari legati alla persona di Silvio Berlusconi, è stata messa da parte per prima con il cosiddetto “lodo Alfano”, poi con il nuovo ddl che limita le intercettazioni telefoniche castrando di fatto l’attività di magistratura e polizia. La stessa proposta sulle ronde dei cittadini toglie ancor di più la responsabilità allo Stato nel mantenere la gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza, creando potenzialmente situazioni paradossali da far west. A questa fervida attività legislativa non è seguita una sola legge o un solo decreto volto a favorire la ripresa economica, anzi, in barba alle promesse di devoluzione, è stata diminuita la capacità economica degli enti locali e quindi la loro possibilità di intervento sul territorio. Il quadro diventa ancora più sconsolante se si pensa che dall’altra parte politica la critica si è concentrata sulle vicende personali con una attenzione spasmodica ai risvolti da rotocalco di gossip. L’opposizione ha, a mio parere, gli stessi tarli del Governo, non avendo neppure lei compreso le evoluzioni in corso, con l’aggravante che tali movimenti arrivano da branche della società per le quali la sinistra dovrebbe avere una maggiore sensibilità all’ascolto. In realtà si conferma nella mia mente l’idea che i parametri politici fin qui in uso siano inutili e che le nuove manifestazioni sociali ed economiche si stiano creando a prescindere da schematizzazioni ideologiche di qualsiasi tipo, superando i confini della “destra” o della “sinistra” e prendendo quanto di buono o di utile ci possa essere nella matrice e nella cultura degli schieramenti, eliminandone il superfluo. Questa analisi spiegherebbe l’astensionismo alle urne, la discesa del consenso per i partiti tradizionali e la crescita di realtà come la Lega, collegata ai localismi, e dell’IdV, orientata alla legalità. Concludo dicendo che le vicende personali di Berlusconi meritano a mio parere un solo commento: rappresentano un clamoroso autogol comunicativo di chi ha messo la propria immagine privata ed il proprio successo personale a garanzia della capacità di governo e della sua affidabilità come personaggio pubblico, per questo motivo è anche abbastanza logico che ne debba pagare le conseguenze. Ma, ripeto, i problemi reali dell’azione di capo del Governo sono più strutturali e soprattutto importanti per le sorti del Paese.
Le tragedie che non fanno notizia E’ nata alla fine dello scorso anno l’Associazione di genitori di bambini oncoematologici, Minerva-PELTI (Prevenzione e Lotta ai Tumori Infantili). Ogni anno in Italia si ammalano di tumore circa 1600 nuovi bambini. Due terzi di questi sono quelli che rispondono “bene” alle cure e se riusciranno a restare in vita per almeno altri cinque anni, passeranno nella schiera dei “sopravvissuti”. Gli altri, circa 500, non ce la fanno e muoiono. Questa è una parte della cruda e triste realtà, italiana e non solo, che viene taciuta, perché troppo forte per essere proposta al popolo consumatore di veline e decoder. Dato ancora più preoccupante è che in Italia il numero di nuovi casi aumenta di quasi il 3% annuo, quando in Europa questa percentuale è dell’1% e negli USA è sotto l’1% ! Una ragione ci sarà e questa deve essere indagata, scovata e per quanto possibile eliminata. Fredde statistiche e numeri scarni che nascondono tragedie capaci di destabilizzare intere famiglie a partire dai genitori dei bimbi sfortunati, per passare a fratelli, nonni e amici e chiunque ne venga in contatto, anche se indirettamente. Noi genitori di questi bambini, abbiamo passato mesi nei reparti di oncologia o di ematologia, ed abbiamo avuto il tempo di riflettere anche sul fatto che forse non si tratta solo di sfortuna, ma che possa e debba esserci qualche causa specifica che ha “aiutato” alle cellule cancerose di crescere e diffondersi in esserini innocenti e vissuti così poco per meritare questa condanna. Ci siamo però resi conto che il lavoro encomiabile e assolutamente forsennato dei “professionisti” che ci ruotavano intorno era doverosamente tutto indirizzato prima alla diagnosi e immediatamente dopo alla cura. Nulla di nulla sulla ricerca di possibili, o anche solo ipotetiche, cause … non è loro compito, loro devono combattere il male e cercare di salvare la vita; non hanno tempo da perdere con queste cose. Chi può dargli torto! A seguito di studi e ricerche, la stessa cosa è stata da noi verificata in altri paesi europei e negli Stati Uniti. Ma come è possibile che la parte più sacra ed inviolabile della vita umana su questa terra, i bambini, vengano colpiti e uccisi e nessuno cerchi di scoprire le cause e faccia tutto il possibile per eliminarle! E’ vero, la cosa non è delle più facili, ma se neanche ci si prova!! Ci si mobilita giustamente per le vittime di un terremoto, catastrofe naturale e per lo più imprevedibile. Ci si “appassiona” con tutti i media ai delitti senza ragione, quelli in cui una mamma uccide il proprio figlio o il fidanzato la propria amata … e tutti corrono dietro a tutti i dettagli e si mobilitano le unità scelte che ricercano tra reperti impercettibili all’occhio umano, fino ad arrivare al DNA del colpevole e così via. Nessuno che abbia il coraggio di interrogarsi e di ribellarsi per la morte di 500 bambini innocenti ogni anno, solo in Italia! E quest’anno saranno di più, sia quelli che si ammaleranno che quelli che moriranno … e il prossimo anno ancora di più se non si riuscirà ad invertire la tendenza e ad eliminare qualcuna delle tante, troppe cause che mettono a rischio la salute dei nostri bambini ! Abbiamo deciso allora di passare all’azione noi genitori. Se il sistema che regna nel nostro mondo moderno non contempla questo tipo di indagine, saranno allora il nostro amore ed il nostro coraggio di genitori a cercare di far entrare uno spiraglio di luce in questo mondo di tenebre.
Lo faremo studiando e cercando, utilizzando soprattutto il buon senso che invece sembra esser stato messo da parte (o al servizio di una parte) da scienziati e ricercatori. Saremo noi genitori che ci rivolgeremo agli altri genitori di bambini malati e attraverso un questionario appositamente elaborato, cercheremo di capire cosa sia successo ai bimbi prima che si ammalassero. Andremo ad indagare anche la vita dei genitori, soprattutto della madre, dagli anni immediatamente precedenti alla nascita sino alla scoperta della malattia. Grossa parte del questionario è dedicata all’ambiente di vita, intendendo esso come luogo o luoghi in cui il bambino ha vissuto la sua breve esistenza e tutto quello che è circostante ad esso. Sono tante le variabili ed il lavoro è sicuramente improbo, ma l’intuizione di un genitore spesso fa scoprire cose che neanche occhi esperti sono in grado di vedere; l’amore farà il resto. Parallelamente a questa raccolta dati, se ne svolge un’altra dedicata alla catalogazione di tutti quegli atti, o spesso reati, compiuti a danno dell’ambiente e che possano originare danni per la salute. La mappatura di questi eventi, ci consentirà in futuro di verificare eventuali sovrapposizioni tra territori contaminati e picchi di insorgenza di malattie oncoematologiche infantili. Il fatto di indagare sulla risposta patologica dei bambini ad un certo fattore di rischio esterno, dà un certo “vantaggio” a noi adulti, in quanto queste povere creature reagiscono in maniera esponenziale alle sollecitazioni tossiche e nocive che ricevono dall’esterno. E’ tremendo pensarlo e dirlo, ma si tratta di “piccole cavie umane” che il nostro mondo moderno ha deciso di sacrificare. Che almeno il loro sacrificio sia utilizzato per evitare che si ammalino altri bambini !! Questo è possibile e noi genitori dedicheremo tutte le nostre energie affinché, magari anche ad un solo bambino e la sua famiglia, venga risparmiato questo calvario.
di francesco pristerà Chi volesse avere maggiori informazioni o sostenerci, può scrivere a minerva.pelti@libero.it
Vogliamo inoltre che venga restituito a tutti i genitori il diritto a proteggere i propri piccoli. Ci hanno abituati ad accettare una distorsione paradossale della sanità, facendoci credere che la prevenzione dei tumori si faccia con la diagnosi precoce!! Questo è assurdo, la prevenzione, quella vera, la cosiddetta prevenzione primaria, si fa evitando di esporsi, o limitando l’esposizione a quanti più possibili fattori di rischio. Molti pensano che ciò sia impossibile perché ce ne sono talmente tanti che non c’è possibilità di sfuggire. Ma la malattia oncoematologica, per svilupparsi, ha bisogno di molteplici fattori e condizioni e questo ci deve far comprendere come l’eliminazione di quanti più fattori sia possibile, ci renda e renda i nostri bambini meno soggetti all’insorgenza della malattia. Questo ai genitori nessuno lo dice o lo insegna ! Ma queste ricerche non producono profitto e quindi meglio orientare tutte le risorse umane e soprattutto economiche verso nuove forme di diagnosi sempre più frequenti e nuovi medicinali sempre più sofisticati e costosi!! Eliminare le cause alla radice (spesso è possibile senza stravolgimenti della nostra troppo comoda vita) farebbe cadere il castello speculativo costruito intorno a questa grande tragedia-businness!! Si potrà cantar vera vittoria in questo campo, da parte della scienza medica e non solo, solo quando si riuscirà a far ammalare sempre meno bambini, non continuare a farne ammalare sempre di più ma avendo la sola consolazione che una buona percentuale può salvarsi !!
Non inquiniamo i nostri figli! Aiutiamoli con l’osteopatia L‘osteopatia è ecologica poichè non prevede l’utilizzo di farmaci: la cura è nelle mani, utilizzate con sapienza Nel numero scorso abbiamo parlato del senso ecologico dell’osteopatia perché ci permette di aiutare il nostro corpo a risolvere dolori che ci affliggono da più o meno tempo riuscendo ad abbandonare l’utilizzo degli antidolorifici. In questo articolo parleremo di come non inquinare i nostri figli con farmaci spesso inutili: gli antibiotici! Certo non intendo dire che non servano a niente, ma che spesso posso essere evitati se solo si cerca di vedere le cose da un altro punto di vista. Spesso i nostri figli, soprattutto nei primi anni di vita, si ammalano spesso: raffreddori continui, tonsilliti ed adenoidi ricorrenti con febbri anche elevate, e poi le temute bronchiti! Secondo i principi dell’osteopatia questi bambini non è che sono più sfortunati di altri ma semplicemente vanno aiutati a reagire adeguatamente ai comuni virus o batteri di stagione! Andiamo per ordine: un bambino che si ammala con troppa facilità è incapace di sviluppare adeguate difese immunitarie, e spesso la causa è un trauma che risale al primo anno di vita od ancora più frequentemente alla nascita. Non ci abbiamo mai pensato ma nascere non è sempre cosi semplice ed anzi spesso è come avere un incidente! Questo esserino che deve uscire da un’apertura non proprio comoda, ricevendo spesso, oltre le spinte della madre, quelle del medico che si appoggia con il suo peso sull’addome della madre che poverina non ce la fa da sola! (anche se a volte un aiuto è necessario). Ed ecco la prima “capocciata” che tira il piccolo ancora ignaro del mondo! Oppure accade che nel tentativo eroico di uscire rimanga intrappolato con la testa nel tunnel di uscita, e lì sempre mani esperte lo afferrano per tirarlo fuori: ed ecco che il piccolo cranio del bimbo esce avendo ricevuto una bella stritolata, una compressione di cui spesso si porta i segni lividi, se non veri e propri
ematomi, e non poche volte deformazioni della testa e del viso . Ma che c’entra tutto questo con i bimbi che si ammalano? E’ semplice: le tonsille, le adenoidi e le mucose di rivestimento delle fosse nasali della faringe e della laringe sono nutrite da arterie che passano attraverso le ossa del cranio, quindi se queste hanno subito un trauma la vascolarizzazione ne risentirà, arriverà meno ossigeno, meno sostanze nutritive, meno anticorpi, cioè meno armi contro virus e batteri. Certo, è un po’ più complicato di questo, però basta già questo per capire che forse più che somministrare farmaci in continuazione in caso di raffreddori e mal di gola ricorrenti è sicuramente più intelligente far funzionare le difese del bambino cercando di rimuovere i traumi che le hanno limitate. E come fa l’osteopata ad intervenire sul cranio del bambino? Utilizza delle leggere pressioni mantenute per un certo tempo sulle ossa che hanno subito le compressioni fino a farle tornare “morbide” come devono essere normalmente. Sono tecniche assolutamente non dolorose per il bimbo che se durante il trattamento piange è fondamentalmente perché non ama sentirsi costretto a stare fermo per un tempo per lui lunghissimo. Così nel giro di qualche trattamento dall’osteopata il bambino non dovrà più ingerire continuamente antibiotici (non inquiniamolo più!), e ciò che conta di più è che gli abbiamo dato la possibilità di difendersi da solo contro i comuni virus e batteri …. Riserviamo gli antibiotici a quei rari casi che realmente lo richiedono e cerchiamo di chiederci sempre perché un problema si ripresenta! C’è sempre un motivo se il corpo non riesce a reagire come dovrebbe, l’osteopatia cerca di capirlo indagando le strutture del nostro corpo e poi cerca di aiutarlo a ritornare alla normalità!
di Patrizia Forte
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fiuggi (fr)
ENERGIE NUOVE PER L’ITALIA L’incontro nazionale di Fiuggi in attesa dell’assemblea di primavera 2010 Sabato 19 e domenica 20 dicembre 2009 si è tenuto a Fiuggi, presso il Convento dei Cappuccini, un incontro nazionale di Fare Verde, dal titolo “Energie nuove per l’Italia”. Un importante momento associativo che precede l’assemblea nazionale dei soci, che si terrà in primavera. Gli incontri e le assemblee hanno sempre un grande valore aggregativo e conoscitivo, ed è per questo motivo che è importante esserci e partecipare. Sono il momento adatto per esporre progetti, problematiche e risultati delle attività che la sede centrale e i gruppi locali svolgono con impegno ed energia in tante regioni d’Italia. Gli incontri hanno quindi un’organizzazione molto informale e familiare, ma ci sono dei momenti e tempi stabiliti per i “lavori” dell’assemblea. Ad accoglierci la mattina di sabato, fra la nebbia, la pioggia e una dolce distesa di neve sulle montagne, il buon Frate Angelo, in tenuta da lavoro, in quanto gestisce e cura la manutenzione di tutta la struttura del convento, l’orto e gli animali. Tanti i temi che sono stati affrontati durante l’incontro che ha visto la presenza, oltre che dei volontari, del direttivo e di referenti dei gruppi locali, anche di alcuni ospiti che hanno presentato le loro idee e i loro lavori, come Mauro Coletta, dell’associazione Fiuggi 010, e Piero Pera, della segreteria della Regione Lazio. Presente anche la neo costituita associazione Minerva PELTI (Prevenzione e Lotta ai Tumori Infantili), associazione di genitori di bambini oncoematologici, che, intendendo fare vera prevenzione, si occupa di risalire alle cause dei tumori infantili approfondendo lo studio dei fattori scatenanti e ambientali e delle correlazioni fra lo stato di inquinamento di un territorio e la percentuale di malati (materie su cui mancano del tutto studi e documentazioni). A presentare l’associazione è stato uno storico volontario di Fare Verde, Francesco Pristerà, che ha fondato Minerva insieme a sua moglie e ad altri genitori con la collaborazione di professionisti e medici. L’auspicio è quello di una stretta collaborazione e sinergia fra le associazioni Minerva e Fare Verde, vista l’importante e ineludibile relazione fra ambiente e salute. Ecco un breve riepilogo di alcuni degli aspetti trattati. La segreteria nazionale Tra le decisioni prese all’ultima assemblea nazionale dei soci di Tagliacozzo nel marzo 2008, la più importante è stata senza dubbio quella di dotarsi di un gruppo di lavoro retribuito che gestisse l’associazione a livello nazionale. La nuova organizzazione è stata definita tra la seconda metà del 2008 e gli inizi del 2009. La segreteria nazionale è stata costituita in modo da garantire sia l’apertura della sede nazionale dal lunedì al venerdì che l’espletamento di tutte le attività burocratiche e organizzative, dalla fattura, alla gestione delle mail, dai rapporti con i gruppi locali alla formulazione e realizzazione di progetti. Ovviamente, le persone coinvolte nella segreteria nazionale non sono dei puri “dipendenti”, ma sono dei volontari che, rispetto agli altri, hanno dato la loro disponibilità a lavorare tutti i giorni della settimana nella sede nazionale e per questo hanno diritto ad una retribuzione. Quindi, fuori dall’ “orario di lavoro” concordato, di sera e di domenica hanno continuato a tagliare l’erba in giardino, pulire e ordinare la sede, allestire stand e punti informativi, partecipare ai campi estivi, … come tutti gli altri volontari di Fare Verde che in tutta Italia donano il loro tempo e il loro impegno. No agli Sponsor Parallelamente alla definizione della nuova organizzazione è stato necessario studiare la strategia che consentisse all’associazione di reperire i fondi necessari per la remunerazione delle persone impiegate. La strategia doveva tenere conto delle scelte di Fare Verde mirate a garantire l’autonomia e l’indipendenza dell’Associazione. Il finanziamento è avvenuto sulla base delle quote sociali e dei contributi raccolti per il 2009 da Enti e Amministrazioni pubbliche disposte a condividere le politiche di Fare Verde, presentando progetti ad hoc oppure partecipando a bandi pubblici. Rimane ferma la decisione di continuare a non avere sponsor privati, in primo luogo sul giornale XFARE+VERDE: una scelta controcorrente, di indipendenza ma anche di stile, di cui FV può andare orgogliosa.
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come Maurizio Pallante, teorico della Decrescita Felice in Italia e Raniero Maggini, vice direttore di WWF Italia. Mario Testa, volontario e collaboratore di Fare Verde si è recato a Copenaghen nella prima settimana di lavori, grazie al Forum Nazionale dei Giovani, di cui è Vice Presidente nella Commissione Ambiente. Purtroppo ci sono stati risultati minimi e i contenuti erano molto politici e poco tecnici, inoltre l’organizzazione logistica del COP 15 ha avuto un impatto sull’ambiente pari a quello del Marocco in un anno. La sede nazionale di Fare Verde L’attuale sede di Fare Verde è in una Casa Cantoniera posta alle spalle del parco dell’Appia Antica, in Via Ardeatina 277. La nuova sede ha avuto bisogno di molti accorgimenti e piccole ristrutturazioni da parte di volontari e può accogliere molte persone, sia fuori che dentro, e per questo motivo è luogo di momenti conviviali e associativi dei volontari che vivono nelle zone limitrofe, ma anche di cittadini che vengono a conoscere l’associazione per la prima volta. Da settembre questi incontri sono anche momenti di approfondimento di temi specifici e tecnici come il funzionamento degli inceneritori o la giornata di formazione organizzata con CO2 Ballance. Progetti del 2009 L’incontro di Fiuggi è stato occasione per riepilogare i progetti messi in atto nel 2009 ma anche quelli che si vorranno attuare nel 2010. Importante il lavoro svolto sulla diffusione dei semafori a led a Roma. Il progetto per l’installazione dei semafori a led è stato presentato e approvato nel 2008 dal Comune di Roma. Il progetto prevede il ritorno degli investimenti già nel primo anno e attualmente assistiamo all’istallazione di questi semafori in molte zone della capitale. A Cave, nel 2009, si è svolta una Campagna Informativa ai cittadini e ai dipendenti comunali per le buone pratiche e per il risparmio energetico; un ottimo esempio da esportare in molti Comuni d’Italia. Ad oggi a Cave si sta lavorando con la scuola e con il Comune per una mensa a rifiuti zero, dove i piatti e stoviglie usa e getta verranno sostituite e lavate da una lavastoviglie con l’ausilio di personale specializzato (una soluzione, è il caso di sottolinearlo, che abbina il vantaggio ambientale con la produzione di nuovi posti di lavoro). Continua l’impegno di Fare Verde anche in progetti di cooperazione. “Energie nuove per la cooperazione”è il progetto attuato nel 2009 a beneficio di un gruppo di ragazzi del Kosovo e italiani, che ha visto la partecipazione del Polo Solare Organico. Gli opuscoli del 2009 Nel 2009 si sono stampati e distribuiti 4 opuscoli: l’opuscolo per Cave, sulla campagna energia, l’opuscolo “Tu risparmi l’ambiente ci guadagna”, per il Comune di Roma, l’opuscolo con Italferro “La storia infinita. Usi, riusi e ricicli per un mondo più pulito” e l’opuscolo “le 4R” con il Forum Nazionale dei Giovani, sulla corretta gestione dei rifiuti. Uno dei principali e più innovativi è forse “Tu risparmi l’ambiente ci guadagna” perché è il frutto di studi e ricerche dell’associazione che ha calcolato un risparmio di più di 5.000 euro per una famiglia di 4 persone con un neonato, che attuino tutti i 15 consigli esposti nell’opuscolo nelle aree dell’energia, alimentazione, rifiuti, elettricità, mobilità, riscaldamento. Si esce dalla crisi consumando meno e informandosi su servizi e materiali alternativi proposti nell’opuscolo del risparmio. Dal 2006 a Norcia si è deciso di aderire al Movimento della Decrescita e nell’opuscolo ci sono molti concetti relativi al risparmio, alla riduzione degli sprechi e dei consumi.
Gruppo scuola Altra importante decisione assunta dall’Assemblea dei soci di Tagliacozzo è stata quella della costituzione di un “Gruppo scuola” che, mettendo a frutto esperienze fondamentali come quelle del Gruppo locale di Pomezia, progettasse e realizzasse percorsi didattici, laboratori e materiali da mettere a disposizione di tutti i gruppi locali di Fare Verde. L’associazione è stata presente nel 2009 in una decina di scuole, un liceo, scuole medie ed elementari. Le scuole superiori sono molto difficili perché hanno bisogno di un programma più complesso che non è stato possibile effettuare in un solo giorno. Nelle scuole elementari c’è stato invece un ottimo riscontro da parte degli alunni e delle loro famiglie, degli insegnanti e anche dei Municipi .
Progettazione 2010 Grazie a 2 bandi del Comune di Roma si porteranno avanti due importanti progetti di audit sull’efficienza energetica nella scuola di Cave e un progetto sull’audit energetico nella scuola di Parco Leonardo a Fiumicino. La questione energetica e del risparmio è infatti sempre al centro delle tematiche di Fare Verde che si pone contro gli sprechi, contro il nucleare per l’efficienza energetica e la produzione distribuita dell’energia da fonti rinnovabili. Il 78% dell’energia contenuta nei combustibili che acquistiamo viene persa. Gli sprechi cominciano dalla produzione, poi sulle linee di trasmissione ed infine negli edifici. Di 100 unità prodotte ne utilizziamo 22. Fare Verde è a favore della produzione distribuita dell’energia da fonti rinnovabili, una rete di piccole centrali (le nostre case e altri edifici) che producono, mettono in rete e ricevono energia. Vicino a queste una centrale più grande per i momenti di fabbisogno più elevato. L’altra tipologia di distribuzione dell’energia, la produzione centralizzata da fonti fossili, che vede un’unica centrale produttrice e distributrice di energia, è un sistema drogato perché gli utenti sono totalmente dipendenti da quell’unica fonte. Affinché questi concetti sull’importanza della riduzione degli sprechi, sull’efficienza energetica, sulla produzione distribuita dell’energia, arrivino alle amministrazioni, Fare Verde organizzerà un viaggio formativo a Bolzano per osservare praticamente i risultati dell’efficienza energetica come quelli in mostra a KlimaHaus, il salone dedicato al risparmio energetico.
La partecipazione di Fare Verde al Forum Nazionale dei Giovani. Fare Verde fa parte della Commissione Ambiente del Forum Nazionale dei Giovani. Si tratta di una piattaforma riconosciuta dal 2004 dal Parlamento Italiano di cui fanno parte quasi 70 associazioni di diversa natura e formazione e Fare Verde ne fa parte dalla primavera del 2009. L’associazione ha partecipato sia alla realizzazione dell’opuscolo sulla corretta gestione dei rifiuti “le 4 R”, che all’organizzazione di un convegno post-Copenaghen tenutosi a Roma il 22 dicembre scorso, che ha visto la partecipazione di importanti figure della scena socio-ambientale
Campagna tesseramento per il 2010 É partita la nuova campagna tesseramento per il 2010, basata sul No al Nucleare e sul risparmio energetico. Supporti e consigli sulla campagna e sulla gestione del tesseramento sono arrivati anche a Fiuggi, dove si è ribadita l’importanza di questo adempimento, necessario per finanziare l’associazione (un’associazione che non vuole né padrini né padroni ha ancor più bisogno delle quote dei suoi iscritti) e per accrescere i suoi contatti. Il motto presente sulle tessere del 2010 è MEGLIO OGGI ATTIVO CHE DOMANI RADIOATTIVO.
Un premio “cittadino modello” a chi parcheggia l’auto davanti alle rampe per disabili. Per educare e far riflettere con ironia sui disagi di chi non può muoversi liberamente Avete mai provato ad utilizzare la mano che non usate, la destra per i mancini e la sinistra per i destrorsi? Ci si sente limitati, impacciati, irritati … si entra in crisi. Un giochetto infantile che ci fa comprendere come la nostra vita cambierebbe completamente se un incidente momentaneo o una malattia seria colpisse la parte “buona” del nostro corpo. E’ anche da giochini come questi che si inizia a cambiare prospettiva sul mondo intorno a noi. Ad un certo punto ci siamo avveduti di come la città di Campobasso (e non perché sia peggio delle altre, ma perché è quella in cui viviamo) sia una vera e propria jungla per chi non è totalmente autosufficiente: madri con le carrozzine, anziani con la spesa, disabili con sedie a trazione. Una volta che si è diventati più attenti al problema della mobilità si scopre che sono tantissime le vittime di questa problematica: giovani, adulti, anziani … bambini. E’ allora che si comprende che non ci si può, e non ci si deve, esimere, in base alle possibilità di ognuno, dal contribuire a migliorare lo stato delle cose. Alla base di questo ragionamento non c’è né pietismo né un atteggiamento compassionevole. Non esistono cittadini di serie “A” e di serie “B”, ma in una società civile ognuno deve profondere il proprio impegno, compatibilmente con le proprie possibilità e capacità. Ognuno ha dei “talenti” che deve valorizzare e mettere in gioco per il bene della collettività. Da un’attenta riflessione abbiamo appurato che come temevamo il cittadino medio anche per recarsi nella camera da letto usa la macchina! Lo fa per comprare il giornale … e si ferma sulla rampa, non un metro avanti o un metro dietro. Se deve fare la spesa posteggia il più vicino possibile all’ingresso del supermercato, lì dove spesso c’è il posto riservato ai disabili. Infine troppo spesso anche l’amministratore o l’alto funzionario, per recarsi presso i propri uffici, fa fermare l’auto davanti al portone dello stabile dove non di rado è il posto destinato ai diversamente abili. Ci siamo allora chiesti come sarebbe stato possibile affrontare tale problematica senza cadere nel ripetitivo, non ottenendo alcun risultato se non quello di rigetto di fronte all’ennesima manifestazione di buoni propositi e lodevoli intenzioni. L’ispirazione è stata fornita da lontano, da un proverbio latino: ridendo castigat mores. In tal maniera si poteva punire il malcostume con ironia, rimproverando con il sorriso. Probabilmente con l’ironia di un volantino provocatorio sarebbe stato possibile rimproverare, con eleganza, i superficiali automobilisti e nello stesso tempo mettere in atto un’azione di denuncia, Quindi Fare Verde Molise, insieme al CDH, Centro Documentazione Handicap, competente “in materia”, ed all’Associazione Malatesta, che si occupa principalmente di mobilità sostenibile e opera per diffondere in città la cultura dell’uso della bicicletta, abbiamo dato vita a questa iniziativa. Con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Campobasso. Il volantino si ispira al principio della raccolta punti, oramai in voga in ogni contesto, compiendo un’ulteriore opera di biasimo anche verso questo malvezzo contemporaneo. L’iniziativa ha avuto notevole eco non solo a livello locale, dove ne hanno parlato sia i giornali che le televisioni, ma anche a livello nazionale: con articoli su quotidiani e settimanali, nonché mediante servizi radiofonici e televisivi Bisogna riconoscere che man mano che si procede con la distribuzione del volantino il senso di sconforto e di avvilimento cresce sempre più, in modo direttamente proporzionale alle quasi 800 segnalazioni consegnate. L’iniziativa oltre al suo scopo principale, cioè di evidenziare con opportuna risonanza l’esistenza del problema legato agli “spazi riservati” ha una serie di finalità: 1) consentire l’interazione sul territorio di più associazioni con importanti ricadute umane e sociali; 2) sensibilizzare tutti verso il problema, sensibilizzando in maniera diretta i trasgressori con la “multa” stessa; 3) monitorare il territorio per verificare: a) i comportamenti dei cittadini b) censire gli spazi riservati e la loro ubicazione c) verificarne la fruibilità Cosa è emerso dall’esperienza? Il disabile (nella peggiore) o un genitore con passeggino (nella migliore) si trovano a lottare contro una serie di avversari di diversa natura, ma di uguale ostinazione. Il primo nemico è l’automobilista incivile che, ostinatamente e sistematicamente, posteggia sia nei posti riservati ai disabili e sia dinanzi alle rampe di scivolo, che permettono alle carrozzelle di transitare sui marciapiedi. Le aree riservate, insomma, sono spesso occupate da autovetture non autorizzate, che espongono (a volte) ogni tipo di tagliando: dal medico
in visita al membro delle forze armate, dal giornalista all’associato del club formiche rosse del Borneo, fino ad una multa vecchia di 15 giorni, ritenendo – scaltramente - che tali titoli abbiano l’equivalenza del contrassegno di “disabile”. Sinceramente è da stabilire se è peggiore chi posteggia e va via, o chi resta con le frecce d’emergenza accese, come se il disabile, che necessita di quel posto, potesse scendere, verificare, sollecitare, reclamare il suo diritto. Il proprietario dell’auto, spesso, è al bar o in un negozio per fare acquisiti o lì a due passi per conversare amabilmente con un amico. Da segnalare furgoni, furgoncini, autocarri e camioncini che, pur di evitare di pagare il ticket durante le ore di lavoro occupano tutti i posti con strisce non blu prediligendo i posti per disabili. Le reazioni sono le più disparate, da chi piega il volantino e lo mette elegantemente in tasca, a chi chiede scusa fino a concludere con l’incivile integrale che accartoccia e butta in terra il foglietto. Una discreto contributo è offerto anche dai giovani che, la sera, animano e ravvivano la cittadina. Ben venga la gioventù con la sua vitalità ed il suo entusiasmo, ma il fatto che, per recarsi nei luoghi di incontro, il popolo della notte debba posteggiare in ogni dove anche nei posti riservati o davanti alle fantomatiche rampe è oltremodo biasimevole. Del resto lo fa solo per non allontanarsi troppo dal luogo di destinazione, poiché in tarda ora di posti auto se ne trovano, ma non vicinissimi ai luoghi di ritrovo, quindi, per non percorrere qualche centinaio di metri i nostri giovani amici (che godono di eccellente salute) posteggiano dovunque capita pur di camminare il meno possibile. Se un ragazzo disabile vuole anch’egli godersi una serata con gli amici, o fare semplicemente una passeggiata, deve affrontare un autentico percorso di guerra facendo lo slalom tra le auto posteggiate e posteggiando il mezzo di cui si serve in posti lontani essendo quelli riservati occupati. Anche se poi potrebbero verificarsi centinaia di altre situazioni (non ultime emergenze) per cui un disabile debba necessariamente uscire in strada. Merita raccontare la frase di un noto cittadino che dopo aver visto un suo amico sanzionato, essendo circa le ore 13.30 ha commentato ironicamente: “ma tanto a quest’ora i disabili dove vanno, mica escono per strada!” Evidentemente per il transito di questa specifica categoria ci sono degli orari prefissati! Delle volte, purtroppo i disabili stessi hanno messo in atto comportamenti poco logici: alcuni di loro (o per lo meno macchine che esponevano il tagliando) hanno occupato lo spazio antistante alla rampe partendo forse dal presupposto che, essendo quelle aree a servizio anche dei disabili, le stesse erano equivalenti a posteggi riservati e pertanto occupabili con autovetture. Poi l’arredo urbano. Uffici pubblici con rampe troppo strette o troppo ripide. Pali di vecchie segnaletiche al centro della rampe. Alcune rampe sono state a suo tempo realizzate all’interno delle strisce blu dei posteggi a pagamento ed ancora non si è provveduto alla loro messa a norma. Per cui le autovetture sono autorizzate a posteggiarvisi dinanzi. Non da è trascurare la viabilità del centro storico cittadino, arroccato, come tutti i borghi medioevali, su di una collina. Esso ha due vie di accesso, che per quanto “anguste” sono totalmente percorribili da mezzi su ruote. Il problema sta nel fatto che non v’è un punto di unione delle due strade e tra esse passa una larga e lunga scalinata che rende estremamente problematico, se non impossibile, il transito a chi ha difficoltà di movimento per buona parte del centro storico: disabili, genitori con carrozzelle, anziani con la spesa. Se un disabile abita sulla collina, se un residente si ammala gravemente, cosa devono fare? L’unica è vendere casa e trasferirsi altrove. Ma anche se un disabile vuole passeggiarvi o se vuole recarsi in visita a degli amici non può assolutamente farlo. La sensazione è che a suo tempo si sia proceduto solo all’applicazione della norma di legge che prevede l’abbattimento della barriere architettoniche, senza però profondervi cuore e cervello, per cui la legge è salva, ma praticamente tutto è quasi come prima con la triste sensazione – per chi deve usufruire dell’intervento - di essere stato preso in giro.
prendiamo iniziativa
campobasso
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In conclusione bisogna constatare che l’articolo 158 del codice della strada è meno comprensivo ed incline all’ironia, poiché prevede oltre alla sanzione pecuniaria anche la decurtazione di due punti sulla patente per coloro che posteggiano “negli spazi riservati alla fermata o alla sosta dei veicoli per persone invalide di cui all’art. 188 e in corrispondenza degli scivoli o dei raccordi tra i marciapiedi, rampe o corridoi di transito e la carreggiata utilizzati dagli stessi veicoli”. La naturale conseguenza è che, dopo le pacifiche segnalazioni effettuate attraverso le varie forme di denuncia non ultima la provocatoria iniziativa del “cittadino modello” si proceda, in modo duro ed inflessibile, a punire i recidivi così come la legge ha inequivocabilmente stabilito.
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Centrale Nucleare in supposte - ex art. 15 DDL 1441-ter/2008
Composizione: Centrale Nucleare in supposte contiene: Principi attivi: - uranio 235 ottenuto con processi di estrazione e lavorazione caratterizzati da elevato impatto sull’ambiente e la salute. Si consiglia di usarlo con parsimonia: la sua disponibilità non è infinita e il suo prezzo negli ultimi anni è cresciuto più di quello del petrolio; - acqua in grosse quantità prelevate nella maggior parte dei casi da fiumi e spesso restituita contaminata; - cemento armato in quantità elevate, ottenuto creando cave di enormi dimensioni e arricchendo spesso organizzazioni criminali. Eccipienti: mancanza di una politica energetica basata sulle risorse nazionali (sole, acqua, vento, calore della terra, biomasse disponibili in quantità sufficienti e in modo equamente distribuito dalle Alpi alla Sicilia - capacità degli ingegneri italiani, da Leonardo ad oggi, di sviluppare tecnologie innovative); interesse dell’azienda elettrica di stato francese EDF ad esportare all’estero la propria tecnologia nucleare, utilizzando la leadership raggiunta nel settore. Indicazioni terapeutiche: consumi di energia elettrica superiori fino al 46% rispetto al proprio fabbisogno dovuti ad incapacità cronica di utilizzare l’energia in modo razionale ed efficiente. Controindicazioni: radioattività accertata che può verificarsi per periodi più e meno lunghi in base al tipo di scorie prodotte. Attenzione: ogni centrale nucleare produce scorie di tutti i tipi. Le scorie “di terzo grado” (ad alta radioattività) possono richiedere anche 100.000 anni per abbassare il loro livello di pericolosità. In casi gravi, la radioattività può assumere la forma di una nube tossica e spargersi per molti chilometri intorno alla centrale oppure concretizzarsi in sversamenti di materiale radioattivo in fiumi, laghi e tratti di costa. Forme di radioattività più lievi ma estremamente più frequenti si verificano in un raggio più ridotto intorno alla centrale, ai depositi di scorie e agli impianti per l’arricchimento dell’uranio. Con il manifestarsi di crisi energetiche, le centrali nucleari possono portare alla creazione di mercati caratterizzati da scarsa flessibilità e competizione e, di conseguenza, prezzi elevati in bolletta (poche grosse centrali e pochi operatori possono imporre il loro prezzo senza concorrenza). La centrale nucleare può servire a scopi bellici o diventare bersaglio di attacchi terroristici. L’uranio impoverito ottenuto dai processi per l’ottenimento del combustibile per la centrale (arricchimento) può essere sparso attraverso proiettili letali in zone di guerra creando un numero di morti per leucemia o tumore difficilmente quantificabile (informazione rilevata mediante recenti sperimentazioni effettuate in Iraq e Kosovo). Effetti indesiderati: l’elenco dei seguenti effetti indesiderati si basa su circa 60 anni di sperimentazione effettuata su 439 centrali nucleari attive in 31 paesi (dato aggiorato al 2007):
- occultamento dei costi di gestione delle scorie e della sicurezza dell’impianto; - sperpero di denaro pubblico dovuti agli alti costi di progettazione, realizzazione e mantenimento in sicurezza degli impianti, e di gestione delle scorie; - forte dipendenza dall’estero per uranio arricchito e tecnologia; - insensibilità verso le future generazioni cui si lasciano scorie pericolose da smaltire; - pigrizia mentale, che si manifesta in mancanza di creatività e tendenza a riproporre tecnologie del passato; - cronicizzazione della tendenza allo spreco e dell’incapacità di usare l’energia in modo efficiente; Precauzioni: se Centrale Nucleare in supposte è somministrata nelle vicinanze di centri abitati, si consiglia di: - tenere d’occhio pecore e vitelli. In prossimità della centrale spenta del Garigliano si sono verificati diversi casi di malformazione; - di tanto in tanto evitare di bere e lavarsi, fare il bagno in fiumi vicini alla centrale, mangiare pesce pescato nell’area della centrale. Se le autorità lo riterranno opportuno e se l’area non è coperta da segreto militare, vi informeranno dell’ennesimo “incidente lieve”, ma ugualmente nocivo (vedi recenti incidenti in Giappone, Slovenia, Spagna, Francia, Belgio); - controllare frequentemente i propri valori tumorali. Uno studio condotto in Germania ha evidenziato un aumento dei tumori nelle zone vicine alle centrali. Dosaggio e tempi di somministrazione: per rendere economica la cura, se il paziente è italiano si consigliano almeno 10 Centrali da 1.500 MW corrispondenti ciascuna ad 1/5 dell’energia che un paese come la Gran Bretagna sarebbe in grado di produrre con pannelli solari e altri sistemi di microgenerazione (studio del Governo Britannico, giugno 2008). Una volta iniziata la cura, questa tende a protrarsi indefinitamente nel tempo: pur essendoci molte centrali nucleari chiuse, non esistono al mondo centrali completamente smantellate. Anche dopo l’eventuale smantellamento della centrale, occorre mettere in sicurezza le scorie (tutti i pezzi della centrale sono radioattivi). In tutto il mondo non esistono depositi definitivi per le scorie nucleari. La stessa costruzione della centrale ha tempi difficilmente quantificabili. Tenere fuori dalla portata delle persone di buon senso. Non disperdere dopo l’uso le scorie radioattive nell’ambiente.
meglio oggi attivo che domani Radioattivo nucleare
contro il sostieni fare verde
Per cure alternative, rivolgersi a Fare Verde Onlus T/F 06 700 5726 - www.fareverde.it - info@fareverde.it Fare Verde Onlus è riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente ai sensi Art.13 L.349/86