xFare+Verde n.64

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Anno XIV - Numero 64 Gennaio Aprile 2009 Euro 2,50 Spedizione in abbonamento postale D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N46) Art 1, comma 2 - DCB Roma

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Imballaggi che non diventano immondizia Se ne parla, ma finalmente si comincia anche a praticare: il riutilizzo degli imballaggi è il primo passo per affrontare seriamente il problema dei rifiuti, in modo veloce ed economico. In Piemonte, nel Lazio

e nella sede nazionale di Fare Verde è possibile acquistare detersivi alla spina. >> a pagina 4 efficienza energetica

Consumi elettrici ridotti del 90% con i semafori a led: a Roma dimostriamo che il nucleare non serve di massimo de maio

>> a pagina 3

rifiuti

Incenerimento dei rifiuti e raccolta differenziata: sistemi a confronto tra chimica e economia di roberta aloi

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Abruzzo, è tempo di risorgere

Inviateci le foto del vostro gruppo locale: info@fareverde.it

editoriale di Giampaolo Persoglio

“E abbiamo capito subito che da questa tendopoli usciremo diversi, io credo migliori”. Dice Cristina, mamma di 2 figli, una delle tante e dei tanti che vivono nelle tende, vicino a quel che rimane della loro città. Noi abruzzesi siamo un popolo più abituato a dare che a ricevere, in noi c’è un pudore, una voglia di non apparire, di non chiedere, di non pesare sugli altri che ci fa essere timidi, guardinghi, scontrosi per chi non ci conosce. Il nostro carattere riflette i paesaggi e i colori della montagna, ma anche la durezza della pietra, assieme al suo candore. Chi è stato in Abruzzo e l’ha conosciuto insieme ad un abruzzese saprà che la Majella per noi è la montagna Madre e il Gran Sasso al tramonto ha il profilo di una donna addormentata, sono le raffigurazioni per noi più dolci e rasserenanti, da questi baluardi abbiamo sempre attinto sicurezza e protezione, e sono state per noi sempre simboli sufficienti a soddisfare le nostre vite, a procurarci gioie, tanto da rendere il dolore di doverle abbandonare triste e feroce. Le montagne ci hanno dato sostentamento e anche isolamento, hanno difeso nei secoli i nostri antenati, Popoli che mai hanno vinto ma che mai sono stati vinti. Questa terra che ci ha nutriti però spesso ha chiesto un tributo di vite difficile da capire, come difficile da capire è, adesso come in occasione delle precedenti tragedie, l’attaccamento di chi non ha voglia di andare

PUNTO VERDE a cura di sandro marano «Con usura nessuno ha una solida casa di pietra squadrata e liscia per istoriarne la facciata, con usura non v’è chiesa con affreschi di paradiso harpes et luz e l’Annunciazione dell’Angelo con le aureole sbalzate, con usura nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine non si dipinge per tenersi arte in casa ma per vendere e vendere presto e con profitto, peccato contro natura, il tuo pane sarà staccio vieto arido come carta, senza segala né farina di grano duro, usura appesantisce il tratto, falsa i confini, con usura nessuno trova residenza amena. (…)» Ezra Pound, Canto 45° Non è certo un caso se in Abruzzo si sono sgretolati edifici di recentissima costruzione come l’ospedale dell’Aquila, mentre hanno retto sia i paesi costruiti al tempo dei Borboni - come ha notato Vittorio Sgarbi nel corso di una trasmissione televisiva dedicata al sisma - sia gli edifici costruiti nel tanto vituperato Ventennio come l’ex GIL e le case dell’INCIS. Che il terremoto sia “reazionario”? O piuttosto, come ci suggerisce la poesia di Pound “Contro l’usura”, c’è lo zampino del profitto ad ogni costo che costruisce anche dove non si dovrebbe e con materiali scadenti?

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via, perché ritiene che le radici, la cultura, la tradizione, il senso di appartenenza siano dei valori che vengano prima di ogni altra cosa. In questo momento di immane tragedia la gente si trova a chiedere aiuto e chi riceve questi appelli deve capire che sono degli squarci drammatici nell’orgoglio di anime ferite nel profondo, che stanno donando a chi è preposto a riceverle la cosa più importante che si ha: la fiducia. La politica nei nostri cuori ha perso, soprattutto negli ultimi anni, ogni residua moneta di credito; chi aveva il dovere di governare la regione con coscienza e lungimiranza, badando al forte legame della gente con il proprio territorio, ha miseramente fallito tradendo le speranze e tentando di svendere il nostro patrimonio ai signori del petrolio. Ma lì, prima ancora che nell’esperienza presente del terremoto, si è scoperta una Regione unita, gente che mai forse prima si era sentita davvero “popolo”, coesa intorno a dei valori e ad una identità che, costruita negli anni, ha creato la consapevolezza, all’interno come all’esterno, di essere la “Regione dei Parchi”, la “Regione Verde”, la “Regione dove il cibo è buono”, la Regione dove l’equilibrio con la Natura è possibile, crea ricchezza non solo economica, ma fa aspirare a quella “qualità della vita” che va al di là di quanti soldi si posseggano. Chi non aveva chiaro questo concetto ha capito che la maggioranza della nostra gente rifiuta la possibilità della ricchezza economica del petrolio in nome di una ricchezza che arrivi dalla terra e dalla tradizione, dalla civiltà contadina e pastorale, che come non mai ha fatto sentire la sua voce ed il suo peso. Chi è adesso preposto al Governo, Nazionale e Regionale, non può, in questa vicenda così drammatica, trascurare la lezione che in questo momento si fonde con il grido di dolore di chi ha perso tutto, la speranza di ricominciare a ricostruire la propria vita nei luoghi dove questa vita si è creata e sviluppata. Questa gente non ha bisogno delle “New Town”, ha bisogno di amministratori, politici e poi imprenditori che si prendano la responsabilità di una ricostruzione saggia, attenta agli sprechi, il più possibile rapida e orientata alla sicurezza ed alla sostenibilità ambientale. Le famiglie non hanno bisogno di allargare gli spazi delle proprie mura domestiche, hanno bisogno al contrario di ricreare quel focolare di intimità e di ricordi, di far ripartire l’orologio da dove si era fermato e di poter continuare a vivere vicino alle tombe di tutti i cari che in questi giorni hanno perso la vita. Mai come in questo momento la tradizione si può sposare con l’innovazione, con la tecnologia utile che ci può permettere di costruire case con materiali tradizionali ma con strutture portanti adeguate a sostenere gli effetti di nuovi sismi, con innovazioni capaci di rendere più efficienti a livello energetico le case ed a ridurre quanto più possibile gli sprechi. Il Governo e chi lo rappresenta si renda conto che gli spot pubblicitari sono dannosi più che inutili, che la gente è attenta e sospettosa, che tra le pietre e i monti c’è un popolo che attraverso internet, i blog, l’associazionismo, condivide certe idee e sarà pronto a farle valere nelle sedi e nei momenti opportuni. L’informazione globale e diffusa sta facendo conoscere a tutti un popolo orgoglioso e forte, che non si lamenta, che non vuole essere assistito ma che chiede di essere aiutato a ripartire. Forse, mai come questa volta, dalle macerie potremmo veramente riuscire a costruire qualcosa di Migliore.

xFare+Verde Idee e fatti per vivere l’ambiente Bimestrale di Fare Verde ONLUS Registrazione del Tribunale di Roma n. 522 del 24 ottobre 1995 Spedizione in abbonamento postale D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N46) Art 1, comma 2 - DCB Roma Direzione e redazione: Via Ardeatina 277 - 00179 Roma e-mail: info@fareverde.it tel./fax: 06 700 5726 Direttore Responsabile: Gloria Sabatini Progetto grafico: Massimo De Maio Impaginazione: Dreamers Lab via del Teatro Valle, 51 - 00186 Roma Stefania Giuseppetti s.giuseppetti@dreamerslab.it Tel. 06 6878 262 Prestampa, stampa e confezione: Arti Grafiche srl - Pomezia (RM) Tel. 06 91629844 Alla redazione di questo numero hanno collaborato gratuitamente: Giancarlo Terzano, Gianpaolo Persoglio, Marina Mele, Mario Testa, Massimo De Maio, Milton Menoncin, Paolo Giordano, Roberta Aloi, Sandro Marano, Teodosia Maiorca, Valentino Valentino Per collaborare a xFare+Verde: Gli articoli vanno corredati di eventuale materiale iconografico (foto, disegni, ecc.) e forniti su file a info@fareverde.it Non si assicura la pubblicazione di articoli inviati a mezzo fax o posta. Le immagini (solo in bianco e nero) vanno salvate in formato Jpeg (.jpg) ed inviate a mezzo posta elettronica a info@fareverde.it Non si assicura la pubblicazione di immagini fornite in digitale di scarsa qualità (sono richiesti almeno 300 dpi di risoluzione e 10 cm di base). Fotografie e materiali iconografici inviati a mezzo posta vanno indirizzati a: Dreamers Lab - Stefania Giuseppetti via del Teatro Valle, 51 - 00186 Roma Si ringrazia in particolar modo quanti comprando il giornale o, meglio ancora, sottoscrivendone l’abbonamento ci aiutano a continuare su questa strada. Per chi crede che l’ambiente abbia bisogno di impegno concreto ed un progetto nuovo, l’abbonamento a xFare +Verde é un gesto coerente e conveniente. Abbonamenti: Abbonarsi per 5 numeri (a luglio/agosto non usciamo) costa solo 10 Euro da versare sul CCP n. 95 40 5007 (causale: abbonamento xFare +Verde) L’abbonamento è gratuito per chi si iscrive a Fare Verde ONLUS Per iscriversi a Fare Verde ONLUS o abbonarsi a xFare+Verde: info@fareverde.it www.fareverde.it tel./fax 06 700 5726


usare razionalmente l’energia

di massimo de maio

Italia paese tecnologicamente avanzato? A guardare l’uso che facciamo dell’energia, non sembrerebbe. E non si tratta solo di cambiare le lampadine in casa, eliminando quei filamenti che fanno più calore che luce. La lunga catena dell’inefficienza parte nelle centrali termoelettriche, corre lungo le linee ad alta tensione e si propaga in mille tecnologie obsolete ed inefficienti, come gran parte di quelle utilizzate in edilizia. Così si continua a disperdere in sprechi evitabili il 46% dei nostri consumi elettrici e a cementificare il nostro bel Paese con case che consumano fino a 10 volte più energia di quella che basterebbe per riscaldarle e raffrescarle. In Italia facciamo un uso dell’energia indegno di un paese tecnologicamente avanzato. Già nel 1999 uno studio commissionato dall’ANPA (già APAT, ora ISPRA) al prof. Florentin Krause individuò un potenziale di riduzione dei consumi energetici del 46% a parità di servizi finali. Nel 2007 Greenpeace ha commissionato al Politecnico di Milano un analogo studio che ha confermato il dato di Krause. Nel nuovo studio, il Politecnico ha individuato un 20% di riduzione di consumi che è addirittura economicamente conveniente: se attuato, produrrebbe in 10 anni circa 65 miliardi di euro di risparmio. In edilizia il potenziale di riduzione dei consumi è elevatissimo: in Italia le case consumano mediamente 170 kWh al metro quadro all’anno. Nella città di Bolzano non si possono costruire case che consumano più di 50 kWh/m²/anno, mentre le tecnologie per costruire case che consumino 15 kWh/m²/anno sono già disponibili e sono state già applicate con successo in migliaia di nuove costruzioni e ristrutturazioni in Austria, in Germania, e in Italia nell’area dell’Alto Adige. Ad Hannover è stato realizzato un intero quartiere ad altissima efficienza energetica, con case che consumano meno di 15 kwh/m²/anno. Nelle vicinanze, l’azienda Solvis ha uno stabilimento completamente autosufficiente dal punto di vista energetico ed interamente alimentato da fonti rinnovabili. Si tratta del primo stabilimento industriale ad emissioni zero. Un risultato che non si sarebbe potuto ottenere se la Solvis non avesse ridotto drasticamente i propri consumi. A Bolzano la ristrutturazione dell’edificio destinato alla sede dell’Assessorato provinciale all’ambiente ha permesso di abbassare la bolletta energetica da 90.000 a 4.000 euro l’anno. Abbiamo, quindi, la possibilità tecnica di ridurre di 10 volte i consumi di case, edifici pubblici, capannoni industriali, esercizi commerciali. Sia in fase di nuova costruzione, che di ristrutturazione. Si tratta del modo più veloce ed economico di affrontare la crisi energetica. Veloce, perchè possiamo affrontare a partire da oggi stesso il problema energetico senza aspettare vent’anni per la costruzione di una centrale nucleare. Economico perchè rispetto alla costruzione di nuove centrali, gli interventi per l’efficienza generano sul lungo periodo risparmi invece che costi. Si consideri anche l’assenza di costi per la gestione di scorie, lo smantellamento delle centrali, la bonifica di siti inquinati dagli impianti. Le case ad alta efficienza rappresentano il primo passo verso una ristrutturazione necessaria e improcrastinabile del nostro modello di produzione e consumo dell’energia. Il futuro, infatti, non è quello della produzione dell’energia in grossi impianti centralizzati, ma quello della produzione distribuita sul territorio. I grossi impianti sono inefficienti sia nel momento della produzione che in quello del trasporto lungo le linee dell’alta tensione, dove parte dell’energia viene persa. Si tratta di un cambiamento epocale che dobbiamo sostenere con tutte le nostre forze: la produzione dell’energia deve passare dalle mani di pochi poteri forti alle mani di cittadini e piccole e medie imprese: un popolo non è veramente libero se non ha il controllo dell’energia di cui ha bisogno per vivere. E l’indipendenza energetica non si ottiene con il nucleare che, anzi, ci trasformerebbe in una colonia energetica francese, sia a causa della tecnologia che dovremmo acquistare da loro per costruire le centrali, sia a causa dell’uranio arricchito che dovremmo comprare sempre oltralpe o comunque dall’estero. Grazie alle tecnologie per l’efficienza energetica e alla produzione di energia con piccoli impianti alimentati da fonti rinnovabili, possiamo trasformare le nostre case e i nostri capannoni in milioni di piccole centrali distribuite sul territorio e connesse in rete sul modello di internet. Esistono già edifici che producono più energia di quanta ne consumano e immettono in rete le eccedenze. Ed esistono anche le nuove norme per il conto energia che favoriscono simili impianti. Secondo un rapporto commissionato dal ministero dell’energia della Gran Bretagna, la generazione distribuita in Inghilterra produrrebbe una quantità tale di energia da rendere inutili 5 centrali nucleari. Il domani appartiene a chi sarà capace di produrre l’energia nello stesso luogo in cui viene consumata, con fonti inesauribili e senza emissioni. L’efficienza energetica in edilizia è una componente essenziale per la realizzazione di questa vera e propria rivoluzione.

Semafori a LED a Roma, per ridurre del 90% i consumi di elettricità Più verde nei semafori di Roma. Con questo nome, Fare Verde ha presentato al Comune di Roma un progetto di risparmio energetico che punta alla sostituzione delle normali lampade ad incandescenza dei semafori cittadini con LED a bassissimo consumo. Grazie a questa tecnologia, è possibile risparmiare più del 90% di elettricità: un moderno semaforo a LED ha, infatti, una potenza di 7 W contro gli 80W di un semaforo tradizionale. L’utilizzo di questa tecnologia sui 23mila semafori romani consentirebbe quindi di ridurre i consumi di elettricità da 14.000.000 a 1.200.000 KWh, con il conseguente abbattimento delle emissioni annue di anidride carbonica dalle attuali 10.000 tonnellate a circa 800 t. Un grande beneficio per l’ambiente, ma anche per le finanze del Comune. Il passaggio ai semafori a LED consentirebbe infatti un consistente taglio della bolletta elettrica, con i consumi che passerebbero dagli attuali 1,7 miliardi di euro a circa 150mila euro annui. A tale risparmio vanno poi aggiunti i minori costi di gestione: una lampada a LED ha una vita utile di 15 anni rispetto alle 6.000 ore di una lampada tradizionale, così la città di Roma risparmierebbe altri 900.000 euro all’anno sui costi di manutenzione. Ulteriori vantaggi consentiti dai LED sono la maggiore sicurezza, la maggiore luminosità, il minore ingombro, la riduzione delle opere civili per l’interramento in sicurezza, la telediagnostica. La proposta di Fare Verde è stata accolta dal Presidente della Commissione Ambiente del Comune di Roma, Andrea De Priamo, che l’ha trasformata in una proposta di delibera comunale, approvata poi all’unanimità del Consiglio Comunale. Entusiasta dell’enorme potenziale di risparmio energetico anche il consigliere comunale Lodovico Todini, che ha presentato un apposito emendamento al bilancio comunale per sostenere il progetto. Il 13 febbraio 2009, in occasione della Giornata Nazionale del Risparmio Energetico, Fare Verde aveva, infatti, chiesto che il progetto per l’introduzione dei semafori a LED venisse sostenuto dall’intero Consiglio Comunale e reso operativo nel minore tempo possibile. Positiva la risposta degli Assessori competenti Fabio De Lillo, per l’ambiente, e Sergio Marchi, per la mobilità. Quest’ultimo ha dato per certa la realizzazione del progetto annunciando che potrà far parte di un più ampio intervento, già programmato, su traffico e mobilità. Fare Verde proporrà l’adozione dei semafori a LED anche nel resto d’Italia, dove è presente con propri gruppi locali. La proposta farà parte della più ampia campagna “Energie nuove per l’Italia” a favore dell’efficienza energetica e contro il ritorno al passato nucleare. Altro che nucleare! Mentre il Governo, credendo ancora di essere negli anni ’60, imbocca la via atomica per affrontare nel peggiore dei modi il nodo energetico, grandi prospettive si aprono sul fronte del risparmio d’energia grazie alle più moderne tecnologie. E’ il caso dei LED, la nuova tipologia di lampade a bassissimo consumo di energia, dall’elevata luminosità e con una durata di funzionamento da 10 mila a 100 mila ore, che consentono una fortissima riduzione dei consumi energetici, delle emissioni di Co2, nonché dei costi, di elettricità e di manutenzione. I LED offrono una luce bianchissima, con minimo abbagliamento e più preciso controllo del fascio luminoso. Sono ad accensione immediata, producono poco calore, e a fine ciclo di vita si esauriscono lentamente piuttosto che bruciare all’istante. Non emettono UV, sono poco ingombranti e richiedono poca manutenzione.

LED: Light Emitting Diode La luce dell’avvenir

Sono già molte le amministrazioni virtuose che stanno passando ai LED per le loro necessità di illuminazione. Tra esse, il Comune di Torraca, in provincia di Salerno, ai confini con la Basilicata, che per primo ha sostituito l’intero impianto di illuminazione comunale con le lampadine a LED riuscendo a ridurre del 60% i propri consumi energetici. L’energia necessaria, inoltre, viene prodotta da tre impianti fotovoltaici, che generano un utile per le casse del Comune di 45/50 mila euro annui. Un progetto innovativo, quello di Torraca, che ha coniugato il ricorso alle fonti rinnovabili con tecnologie a maggior efficienza, che limitano gli sprechi e valorizzano al meglio l’energia prodotta in maniera pulita. Un progetto – e anche questa è una nota positiva – tutto “made in Italy”, realizzato grazie ad una piccola azienda locale, la Elettronica Gelbison, che ha saputo usare i fondi stanziati per il Sud da Sviluppo Italia in maniera efficace e moderna.

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COMPRARE SFUSO, UN PO’ PER VOLTA senza imballo e senza rifiuti La soluzione al problema dei rifiuti non è poi così difficile: basterebbe cominciare con il riutilizzo dei contenitori e degli imballaggi. Lo sapevano anche le nostre nonne, che avevano la terza elementare... ma, nell’era di internet è possibile riacquistare la memoria e il buon senso? Pare di sì. Molti centri commerciali in Piemonte e nel Lazio, grazie ad adeguate politiche regionali, hanno cominciato a vendere detersivi ed altri prodotti sfusi e alla spina. È un sistema talmente sempice che persino presso la sede nazionale di Fare Verde, i soci possono trovare detersivo alla spina e riutilizzare più volte i propri flaconi di plastica rigida. Provare per credere. di mario testa

I detersivi alla spina a disposizione dei soci nella sede nazionale di Fare Verde sono quelli di AQ System, una piccola azienda che segue i dettami della decrescita felice: creare occupazione riducendo i consumi. Sono biodegradabili, superconcentrati, ottenuti da materie prime esclusivamente vegetali e vengono trasportati in taniche anch’esse rese vuote e riutilizzate più volte.

Tra le soluzioni al problema rifiuti vengono nominati termovalorizzatori (ma chiamiamoli pure inceneritori, così come vengono chiamati in tutto il mondo), discariche, raccolta differenziata. Eppure la soluzione non sembra così difficile. Basterebbe non produrne. Mia nonna di rifiuti ne produceva veramente pochi: faceva il sapone in casa (non produceva flaconi di detersivi); faceva la conserva di pomodoro l’estate (non produceva bottiglie e barattoli di alluminio); andava a comprare il latte da ‘Ntoni con il suo pentolino (non produceva bottiglie e cartoni); faceva il pane e la marmellata in casa (non produceva carta e barattoli di vetro); qualche vicino le portava il vino, altri l’olio e lei li versava sempre nelle stesse bottiglie che poi lavava e riutilizzava (non produceva bottiglie di vetro). Quindi la soluzione mia nonna l’aveva trovata un bel po’ di anni fa, e pensare che nonna aveva la terza elementare… In Italia tra i primi ad accorgersi del problema e cercare di porvi rimedio sono stati i cittadini piemontesi. La Regione Piemonte, anche al fine di dare attuazione agli indirizzi ed obiettivi stabiliti dalla Comunità Europea relativamente alla prevenzione ed alla minimizzazione della produzione dei rifiuti e per ottemperare a quanto previsto dagli articoli 180 e 196 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n.152, ha approvato, con D.G.R. 5 febbraio 2007 n. 19-5209, le “Linee programmatiche per la gestione dei rifiuti urbani”, che tra l’altro indicano un obiettivo di riduzione dei rifiuti urbani prodotti sul territorio piemontese pari a circa il 10% del quantitativo totale dei medesimi rifiuti stimato al 2012. Tale riduzione è approssimativamente quantificabile in circa 200.000 t/anno. Le azioni di prevenzione e minimizzazione da attuare devono essenzialmente consentire di ridurre i quantitativi delle frazioni organiche contenute nei rifiuti urbani e dei rifiuti prodotti nelle attività della distribuzione commerciale ed in quelle della ristorazione collettiva. Dal 2005 l’Assessorato Ambiente ha attivato specifici progetti di riduzione della produzione di rifiuti di imballaggio (che rappresentano circa il

Punti vendita di detersivi alla spina nella regione Lazio: L’angolo della nonna

il sapone fatto in casa Ingredienti: 15l di acqua 1kg di idrossido di sodio, nota anche come soda caustica 5l di olio 1kg di farina 1pizzico di sale Preparazione: Versare l’idrossido di sodio nell’acqua che è stata messa in una bacinella di plastica dura, facendo attenzione a non toccare con le mani la soda caustica e non venirne a contatto in nessun modo perchè ustiona (usare guanti e mascherina). A questo punto aggiungete prima l’olio e poi la farina e il pizzico di sale continuando a girare con un mestolo di legno. Una volta che il composto è diventato omogeneo versarlo in delle forme di legno o plastica dura e riporle i un luogo asciutto e sicuro. Lasciare riposare per almeno 2 mesi.

Panorama a Roma, via Tiburtina 757; Ipermercato Auchan a Roma, centro commerciale Porta di Roma; Panorama a Roma, centro commerciale I Granai, via Rigamonti 100; Panorama a Roma, centro commerciale Roma Est; Leon a Rieti, via della Scienza; Leon a Latina, via Scrivia; Superstore Pam a Frosinone, via A.Fabi 177; Crai a Roma-Aranova, via Silicua 128; Coop a Colleferro, 49 km della via Casilina; Superstore Sidis a Cassino, centro commerciale Gli Archi; Crai a Roma, via Padre Lino Da Parma 7; Coop a Civitavecchia, via Maronecceli; Maxi Sidisa Formia, via Vitruvio 48/50; Maxi Sidis a Fondi, via F.Evangelista; Léon a Pomezia, via Copernico 13; Centro market – Coppetelli, a Cisterna di Latina, via Filippo Corridoni 70; LéonTivoli, via Tiburtina Valeria km 35; Maury’s a Viterbo, Strada stratale Cassia km 86,400; Maury’s di Tivoli, Via Maremmana Km 0,800; Leon di Infernetto, V.le di Castel Porziano, 302; Standa di Roma XX Municipio in c.so Francia 124; Maury’s di Civitavecchia, Str.Mediana ang. V. delle Vigne. Frascati, Standa V. Tuscolana Vecchia 109 Ariccia, Standa, V. Del Crocifisso Anzio, Standa, V. Nettunense Km 35,5 Vermicino, Leon, V. Del Fosso Di San Matteo,35 Pontecorvo, Izzi, V. Melfi Di Sopra Ceprano, Izzi , V. Caragno, 2 Rieti, Coop, Via Molino Della Salce Cittaducale, Micros, V.Le Scienze 16 (Santa Rufina) Roma Trastevere, Standa, V. Le Trastevere, 62 Info su: www.detersivisfusi.it - www.regione.lazio.it Altri rivenditori: http://millebolle.iport.it/lazio.html www.lympha.eu www.aqsystem.it/mappa_rivenditori

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40% dei rifiuti urbani annualmente prodotti in Piemonte), intervenendo principalmente sulla Grande Distribuzione Organizzata. Infatti il Piemonte è stata la prima regione nel 2006 a sovvenzionare un progetto per la vendita alla spina di detersivi. Da qui i prodotti in listino si sono moltiplicati e nei supermercati sono nate zone riservate, come gli Ecopoint della Crai, dove si può acquistare caffè, pasta, riso, cereali, legumi, spezie o caramelle senza imballaggio e nella quantità desiderata. Conviene perché si risparmia e si inquina meno: “senza la tradizionale confezione sulla merce si può risparmiare dal 20% al 70%”, assicurano i responsabili della Crai. Anche altre catene della grande distribuzione, come Auchan, hanno aderito al progetto della Regione Piemonte, così si sono potuti risparmiare più di centomila flaconi in un anno, cioè 6,11 tonnellate di plastica per le confezioni, e 3,41 tonnellate di cartone per l’imballaggio. Il meccanismo è semplice: il cliente acquista la prima volta al prezzo di 50 centesimi il flacone, che riutilizzerà ogni volta che ha bisogno di rifornirsi del prodotto, vi incolla il tagliando di acquisto e paga alla cassa. Questa pratica di civiltà è arrivata lo scorso anno anche nella Capitale, in un grande ipermercato romano, Panorama di via Tiburtina. All’inaugurazione era presente l’Ass. della Regione Lazio Zaratti: “Ridurre imballaggi e risparmiare energia utilizzando i detersivi alla spina non solo è possibili, ma è doveroso. Con questa iniziativa iniziamo un percorso virtuoso per utilizzare meno energia, meno acqua e meno risorse ambientali”. Oggi i distributori di detersivi alla spina costituiscono una realtà sempre più diffusa. Fra gli ultimi arrivati c’è il “dispenser” di Trastevere, il primo nel centro storico, che è andato ad aggiungersi agli oltre trenta già presenti nel Lazio. Numeri che testimoniano, ad un anno di distanza dall’avvio dell’iniziativa, l’ampiezza ed il successo del fenomeno. Per realizzare un singolo contenitore di detersivo del peso di 75grammi si utilizzano 239 litri di acqua, 1.46kWh d’energia e si emettono in atmosfera 133,9 grammi di anidride carbonica. Questo sistema di vendita alla spina quindi consente di abbattere questi consumi Riutilizzando il contenitore decine e decine di volte inoltre la produzione di rifiuti è pari a 0.

E noi di Fare Verde? Anche noi nella sede nazionale, dal 25 marzo 2008, abbiamo inaugurato una piccola bottega con detersivi alla spina, prodotti per la depurazione dell’acqua del rubinetto, commercio dell’equo-solidale e pannolini lavabili per bambini. Quindi, ad eccezione dei prodotti del commercio equo, sono presenti molte soluzioni per la riduzione a monte dei rifiuti. La nostra idea è quella di fare diventare la sede un luogo dove fare informazione sulle buone pratiche per ridurre la nostra impronta ecologica e offrire la possibilità, attraverso la nostra piccola bottega, di mettere in pratica i comportamenti virtuosi suggeriti da Fare Verde. Per quanto riguarda i detersivi alla spina abbiamo scelto quelli di AQ system, che sono detersivi alla spina ecologici e concentrati circa 4 volte, questo significa che si avrà un risparmio anche nei trasporti. In sede disponiamo di 3 dispenser da 20 litri con erogatore (pavimento, piatti, lavatrice). AQ system invia tramite corriere il detersivo con taniche di plastica da 20l con le quali si riempiono i dispenser in metallo per la distribuzione alla spina. I nostri soci acquistano il detersivo riempiendo una bottiglia di plastica da 1 litro. La stessa bottiglia verrà utilizzata per le prossime ricariche, mentre AQ system ritira presso di noi le taniche vuote tramite corriere. Tanica che viene nuovamente riempita per una successiva spedizione. Ecco come si crea un circolo virtuoso che riduce al minimo l’utilizzo degli imballaggi di plastica per i detersivi. Il problema rifiuti quindi ha una prima soluzione semplicissima: la riduzione, cosi come faceva mia nonna.


Vivere in città decrescita come un contadino in pratica La frattura tra città e campagna è definitiva? Oppure c’è ancora un modo per ricucire il rapporto con la propria terra anche vivendo in contesti urbani? Vivere in un quartiere popolare di Milano un pezzetto di autoproduzione in armonia con il mondo contadino è allo stesso tempo un gesto rivoluzionario e conservatore che permette di ribellarsi al mondo delle merci e riscoprire la sapienza dei nostri nonni. di massimo de maio Quando impasto il mio pane fatto in casa, quando rompo la cagliata per autoprodurmi del formaggio fresco, sento che nelle mie mani rivive il saper fare di mio nonno fornaio e di mia nonna contadina. È come se ristabilissi un contatto con loro saltando a pie’ pari la generazione dei miei genitori. Quella degli anni sessanta, del boom economico e delle merci a buon mercato per tutti. Anche la mia compagna, quando cuce recupera il saper fare della nonna sarta saltando la generazione delle nostre mamme, assidue frequentatrici di saldi di fine stagione. In fondo, non ci vuole molto. Per autoprodurci parte del nostro cibo impieghiamo meno di un pomeriggio passato in un centro commerciale e spendiamo un terzo dei soldi necessari per comprare merci analoghe di peggiore qualità. Vivere in un quartiere popolare di Milano un pezzetto di autoproduzione in armonia con il mondo contadino è allo stesso tempo un gesto rivoluzionario e conservatore. Rivoluzionario, perchè permette di ribellarsi al mondo delle merci, conquistando una nuova forma di libertà: quella dai centri commerciali. Conservatore, perchè permette di non abbandonare all’oblìo la sapienza dei nonni, ristabilendo un legame umano e diretto con i contadini di oggi. Pomeriggio di sabato, ore 18:00, inforco la mia bicicletta e comincio a pedalare in direzione nord. Dopo dieci minuti mi lascio alle spalle gli ultimi scampoli di cemento e lo sguardo si allarga sorvolando i campi fino a scorgere le cime prealpine. Sono fortunato. Oggi ha piovuto, l’aria è tersa e in cielo c’è qualche nube. La presenza delle nuvole è segno che oggi in questa pianura, che è tra i quattro posti più inquinati del mondo, il cielo è un po’ più pulito. Solitamente l’inquinamento impedisce alle nubi di formarsi e dona a Milano quel tipico cielo grigio uniforme. Mentre le pedalate sembrano alimentare anche i miei pensieri, sono giunto al bivio per Bollate. Ancora cinque minuti e sarò alla cascina. Nelle borse sistemate a cavallo della ruota posteriore ci sono sei bottiglie di vetro. Le uso ormai da un paio d’anni per trasportare il latte che l’azienda agricola “Furia” mi vende alla spina, direttamente, senza intermediari. Sono sempre le stesse, lavate e riusate qualche centinaio di volte. Due anni di rifiuti evitati. Ecco, dopo la curva c’è il sottopasso e poi sono arrivato. Lego la bici alla cancellata: siamo ancora troppo vicini a Milano, meglio non fidarsi. Il mio velocipede l’ho legato sotto una bandiera gialla della Coldiretti che sembra indicare un presidio di “resistenza contadina” al globale che avanza. A quando, mi chiedo, il latte cinese? Entro nella casetta di legno che i signori Fortini hanno costruito per metterci i distributori automatici di latte crudo alla spina. Fino all’anno scorso avevano un solo distributore. Adesso ne hanno due e quando vengo a prendere il latte c’è sempre qualche altro cliente prima di me. Aspetto il mio turno, poi la figlia della signora Fortini mi aiuta a riempire le mie bottiglie. Scambiamo come sempre qualche chiacchiera. Lei si lamenta del fatto che i fratelli la lasciano sempre da sola e che spesso non ce la fa a servire i clienti. Bene, penso, il popolo che beve latte sano, economico e ecologico si ingrossa sempre di più! Poi penso alla panna del latte non pastorizzato che sto acquistando, mi guardo la pancia e penso che lo stesso popolo si ingrassa sempre di più! Già che ci sono, compro anche delle uova fresche di giornata. Sono di dimensione e colore diverso e mi chiedo come facciano al supermercato a vendere uova tutte perfettamente uguali. Per ridurre i costi e aumentare i profitti avranno standardizzato anche i culi delle galline?

Latte crudo in bottiglie riutilizzabili La vendita di prodotti liquidi per la pulizia cresce del 20% all’anno, un po’ più difficile è quella dei generi alimentari come il latte crudo. In Italia sono circa 1000 i distributori automatici, 360 in Lombardia. Copiati da quelli esistenti in Svizzera e Austria, sono nella maggior parte dei casi sistemati all’esterno delle aziende agricole, ma anche davanti ai supermercati, e vendono dai 70 ai 200 litri al giorno. La latteria sociale di Lagundo (BZ), invece, ha iniziato la vendita del latte in bottiglie di policarbonato con vuoto a rendere nel 1996 ed oggi vende circa 800 litri al giorno; La cauzione iniziale per la bottiglia è di 80 centesimi, quindi dalla seconda volta in poi il cittadino non paga più niente per l’imballaggio. Vengono servite dalla latteria di Lagundo tra le 800 e le 1000 famiglie e quasi la totalità delle bottiglie vengono restituite; quindi grazie alla latteria Lagundo più di 500 bottiglie di latte al giorno non finiscono nel cassonetto. In queste piccole realtà dell’alto Adige i cittadini hanno risposto dal primo giorno con molto interesse e continuano a farlo anche oggi perchè preferiscono pagare del buon latte a 1 euro a litro piuttosto che a 1.40euro a litro ... e la natura di suo ringrazia ..... Anche a Roma c’è chi gira per i mercati con un distributore montato su un furgone, è Biolà: appuntamenti fissi, quotidiani per chi arriva con la sua bottiglia vuota. Per maggiori informazioni sul latte crudo a Roma e nel resto d’Italia: Biolà (Roma): www.biola.it, 338 25 65 400 o 06 6674653 Coldiretti: www.coldiretti.it/Distributori latte Coldiretti.pdf Mappa dei distributori di latte alla spina in tutta Italia: www.milkmaps.com

Riparto per tornare a casa. Venti minuti e sono in cortile a legare di nuovo la bici alla rastrelliera. Questa volta, niente bandiere. Il tessuto urbano non resiste al globale che avanza. Anzi, vengo raggiunto dalla palla della bimba sudamericana che gioca da sola in cortile. Penso alla sua famiglia, sradicata dalla propria terra e catapultata in qualche impresa di pulizia a fare uno di quei lavori “che gli italiani non vogliono più fare”. Forse perchè precarizzati, sfruttati e sottopagati? Bando ai cattivi pensieri. Sono contento e sorrido alla inconsapevole bimba. Anche oggi ho risparmiato i soldi della palestra, che qui a Milano si chiama “Fitness club”, costa un botto e richiede fisico ed abbigliamento adeguati nonché una certa predisposizione ad ingurgitare acqua colorata “per reintegrare i sali minerali”. Sono le 19:00, metto su la pentola, ci verso quattro dei sei litri di latte che ho comprato e accendo il fuoco. D’estate ho circa cinque minuti di tempo prima che il latte raggiunga i trentasette gradi. Ne approfitto per mettermi comodo e bere un po’ di succo di mela fatto in casa che ci hanno regalato alcuni amici di Trento. Scambio qualche parola con Emanuela che sta finendo di cucirsi una gonna. Il gatto che sonnecchia come sempre sul divano apre un occhio per scrutarci, quasi come per assicurarsi che tutto vada bene, poi subito lo richiude. Ritorno alla pentola, controllo la temperatura del latte con il termometro ad alcool: ci siamo. Verso il caglio e dò una mescolata. Ho circa venti minuti per la formazione della cagliata. Sistemo sulla spianatoia farina, zucchero, uova fresche, il barattolo del sale e l’ingrediente segreto: lo strutto che ha fatto mia madre regalandomene un vasetto. La farina, invece, è quella di Maurizio, uno straordinario contadino “colto” con i tratti somatici e i capelli biondi e lunghi di uno svedese, che ha fondato più di vent’anni fa una cooperativa agricola biologica tra Cremona e Mantova e ora rifornisce i Gruppi d’Acquisto come quello di cui facciamo parte. La pastafrolla ha bisogno di essere impastata poco, così, quando la cagliata è pronta per essere spezzata, è pronto anche il panetto che da lì a poco si trasformerà in biscotti di varie forme e in una base per una crostata. Lascio riposare il panetto di pastafrolla e torno alla pentola con il latte, che ora ha la consistenza di un budino. Rompo la cagliata con una frusta da cucina, con un colino la separo dal siero e la verso nelle fuscelle. In un paio di formette più piccole aggiungo del peperoncino per fare dei tomini più sfiziosi. Lascio sgocciolare il formaggio fresco nelle fuscelle e torno alla mia pastafrolla. Taglio via un pezzo dal panetto, lo stendo, ritaglio i biscotti che posiziono in una teglia imburrata e con la parte restante ci faccio la base della crostata, che preparo con la marmellata fatta in casa regalatami da un giovane e simpaticissino assessore di un paesino in provincia di Bologna. Anche lui convinto autoproduttore, per qualche anno ha vissuto in un casolare senza riscaldamento sul Mugello. Guarnisco la crostata con delle fette di mela. Utilizzo una delle mele acquistate tramite gruppo d’acquisto da una cooperativa di giovani contadini biologici di Novara che ha recuperato diverse varietà destinate all’estinzione dall’agricoltura industrializzata e votata alla monocoltura. Tra queste c’è anche una straordinaria varietà di mele di origini celtiche. Sono da poco passate le 20:00, inforno i prodotti che serviranno per la prima colazione di una settimana intera e passo all’impasto del pane. Stasera sono pigro. Userò l’impastatrice elettrica al posto delle braccia e il lievito di birra al posto di quello naturale: ci verso circa mezzo litro d’acqua tiepida, il lievito di birra preventivamente sciolto in una parte dell’acqua, la farina e, in alto, distante dal lievito altrimenti mi blocca la fermentazione, un po’ di sale. Avvio la macchina e mi riposo un po’. Nel frattempo Emanuela, ha finito di cucire la cerniera alla gonna, ha preparato la cena e ha messo mezzo litro di latte nella yogurtiera con un po’ di yogurt tenuto da parte dalla precedente “produzione”. Durante la notte qualche milione di fermenti lattici lavorerà per noi e a colazione nei prossimi giorni avremo anche dell’ottimo yogurt sano, economico ed ecologico. Prima di sedermi a tavola tiro fuori dal forno biscotti e crostata. La casa si è riempita del profumo della pastafrolla fatta con lo strutto e la ricetta di mamma. Dopo cena tiro fuori l’impasto del pane dalla macchina e lo metto a riposare in una grande ciotola coperta da uno straccio umido. Lo cuocerò domattina, con calma, in modo che possa lievitare bene. È ancora presto ed è una bella sera d’estate. Usciamo a bere una birra con degli amici. Come fanno tanti altri milanesi il sabato sera.

Tutti i vantaggi dellA autoproduzione urbana del fine settimana

Nella foto in alto, beni fatti in casa tra il sabato sera e la domenica mattina. I beni fotografati, se paragonati ad analoghe merci industriali, presentano i seguenti vantaggi: • Zero imballaggi, zero rifiuti • Zero additivi alimentari (normalmente 5kg a testa/anno ingeriti con cibi prodotti industrialmente) • Ingredienti di qualità: farina biologica macinata a pietra, mele da agricoltura biologica, uova di giornata da galline allevate a terra, strutto fatto in casa, marmellata fatta in casa e latte fresco non pastorizzato munto poche ore prima dell’impiego • 254 Km totali percorsi dagli ingredienti utilizzati contro i 1.500 km percorsi in media solo da un vasetto di yogurt prima di arrivare nelle nostre case • Minor costo: costo complessivo degli ingredienti utilizzati: 7,80 euro costo di analoghe merci industriali già pronte: 25,50 euro • Sostentamento delle economie locali, biologiche e di qualità attraverso il riconoscimento di un prezzo più equo ai produttori rispetto a quello riconosciuto dalle grande catene di distribuzione • Relazioni comunitarie: conoscenza diretta del contadino e dell’allevatore, ingredienti e beni donati, trasmissione e condivisione del saper fare tra familiari e amici • Miglior sapore dovuto alla freschezza degli ingredienti

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Incenerimento rifiuti o raccolta differenziata. Sistemi a confronto Bruciando i rifiuti distruggiamo risorse naturali preziose che potrebbero essere recuperate e reintrodotte nei processi produttivi come “materie prime” ad un loro secondo, terzo o ennesimo ciclo di utilizzo. Bruciandoli, i rifiuti non spariscono, ma si trasformano in qualcos’altro più difficile e pericoloso da smaltire rispetto al rifiuto “tal quale”. Bruciando i rifiuti si ottiene una quantità di energia nettamente inferiore a quella che il loro riciclaggio consente di risparmiare rispetto alla produzione ex-novo dello stesso oggetto o materiale. di Roberta Aloi

PREMESSA Un futuro migliore per i posteri è possibile solo se ciascuno di noi si impegna a rispettare adesso la natura nelle sue mille sfaccettature. Bruciando i rifiuti si rischia di perdere e non sfruttare delle ricchezze ricavabili da questi, e si introduce in aria, nel terreno, ovunque intorno a noi, delle sostanze che sappiamo per esperienza essere tossiche (sostanze che possono presentare dei pericoli per la salute delle persone), cancerogene (sostanze che possono causare il cancro), mutagene (sostanze che possono modificare il dna) e teratogene (sostanze che possono causare variazioni rispetto al normale nell’embrione). Così, anche se ci si sbarazza di un problema, se ne creano tanti altri per noi e per i posteri. 1) COSTI E TEMPI DI REALIZZAZIONE Per poter realizzare un impianto di incenerimento che sfrutti anche il calore e quindi un TERMOVALORIZZATORE sono necessari più di sette anni e un investimento di circa 357 milioni di euro. Un termovalorizzatore che utilizza rifiuti raccolti in modo indifferenziato è infatti costituito da un punto di raccolta di rifiuti che deve, se fatto con criterio, avere un sistema per depurare l’aria ricca delle sostanze che si producono durante il deposito, un sistema che solleva i rifiuti e li ripone sulla griglia di combustione, la camera di combustione, un sistema di recupero del calore e un sistema di depurazione dei fumi di scarico.

in cui si muore all’età di 40 anni come durante il medioevo. Un termovalorizzatore, per non produrre inquinanti, dovrebbe essere condotto a temperature elevate ed anche così si formerebbero le nanoparticelle; anche una discarica di tipo tradizionale dovrebbe essere ampliata prevedendo un sistema di recupero dell’umido con produzione del compost, un sistema di recupero del vetro, della carta e altro. 3) SCELTA DELL’ALIMENTAZIONE La plastica - La plastica non può essere smaltita in discarica in quanto non è biodegradabile al 100% e non può essere bruciata. Se viene incenerita o utilizzata nella combustione di un termovalorizzatore, soprattutto quella che contiene polimeri a base di cloro, può dar vita alle diossine. Le diossine si formano da composti aromatici clorurati e ossigenati e, durante la combustione delle materie plastiche, le macromolecole delle quali queste sono formate vengono scisse fino ad essere delle molecole costituite da pochi atomi di carbonio e queste si possono riaggregare dando origine alle diossine, allo stesso modo si possono formare gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici). Per non dimenticare gli effetti che può causare la diossina si deve ricordare che queste si sono formate durante l’incidente di Seveso (1976) da una ditta che produceva triclorofenolo. La nube di diossina si è diffusa in quasi tutto il nord Italia e anche in Svizzera e molti sono stati gli effetti mutageni che si sono verificati negli anni successivi.

Figura 1: Termovalorizzatore

Cl

SISTEMA DI RECUPERO CALORE O SUA TRASFORMAZIONE IN ENERGIA ELETTRICA

Cl

OH

Cl

O

Cl

Cl

O

Cl

2

DEPOSITO RIFIUTI

SISTEMA DI SOLLEVAMENTO RIFIUTI

CAMERA DI COMBUSTIONE

Cl CENERI

triclorofenolo

diossina

Qui sopra è riportata la reazione che dal triclorofenolo porta alla diossina, mentre sotto viene riportata la molecola del benzopirene che si forma in genere durante la combustione di sostanze che contengono carbonio. SISTEMA DEPURAZIONE DEI FUMI

Una discarica invece è un sistema di smaltimento rifiuti più semplice. E’ realizzabile in meno di un anno e il suo costo è molto inferiore, circa 19 milioni di euro. E’ costituita da un sistema di raccolta dei rifiuti che è separato dal terreno da un sistema impermeabile, un sistema di raccolta delle acque di scolo, un sistema di recupero dei gas che si formano durante il deposito.

IPA

Figura 2:discarica RECUPERO GAS

RACCOLTA RIFIUTI E SMALTIMENTO RECUPERO ACQUE DI SCOLO

2) CONDIZIONI DI UTILIZZO Per essere vantaggioso, qualsiasi impianto di trasformazione dei rifiuti deve non immettere in aria, e in generale nell’ambiente, inquinanti in quanto questo, oltre ad aumentare il rischio d’infrazione con sanzioni soprattutto amministrative (il motto della nuova legge quadro sui rifiuti è “chi inquina paga”) ma anche penali, porta a vivere in un mondo

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Entrambe queste molecole sono molto solubili in sostanze grasse e quindi possono essere ritrovate con facilità in alimenti grassi. Dall’aria le molecole si depositano sui terreni e sui terreni brucano le mucche che producono latte alla diossina oppure si depositano sugli alimenti come le olive e l’olio ne è ricco. Un’altra grande parte ce la respiriamo tal quale e si deposita nei nostri tessuti adiposi. Si può concludere quindi che il miglior modo per smaltire la plastica è recuperarla ottenendo da questa nuovi materiali. Non si ottengono diossine dal recupero della materia plastica in quanto le temperature alle quali avvengono tali trasformazioni sono molto più basse e permettono solo di variare la viscosità del polimero o il suo stato fisico e non permettono la crackizzazione. L’ umido - Questo contiene molta acqua e non è conveniente bruciarlo proprio per questo motivo. L’acqua aumenta la portata (la quantità materia per unità di superficie) dei fumi e conseguentemente aumenta i costi per la depurazione dei gas di scarico. Essa ruba calore in quanto una parte dell’energia necessaria per bruciare è utilizzata per produrre il vapore. Al contrario della plastica, l’umido è biodegradabile e può finire in una discarica, ma meglio sarebbe utilizzarlo in un impianto di com-


postaggio ottenendo così un ottimo ammendante riutilizzabile poi nei campi. I metalli - Nei rifiuti urbani il metallo più comune che possiamo trovare è il ferro, che fonde a temperature di oltre 1000 ° C e resta non combusto in un inceneritore la cui temperatura di processo è di circa 900 ° C. Inoltre esso anziché essere bruciato dovrebbe essere recuperato e non bisogna dimenticare che l’estrazione dei minerali oltre a causare depauperamento nell’ambiente delle risorse naturali e deturpare il paesaggio è anche un’attività lavorativa altamente rischiosa. Non può essere smaltito in discarica in quanto anche se il suo ossido non è tossico o nocivo altera il sistema biologico presente nel luogo dove viene deposto.

5) LE SOLUZIONI ALTERNATIVE La soluzione ottimale per investire in termini ambientali sui rifiuti è quella della raccolta differenziata in cui la parte indifferenziata si utilizza in un impianto come quello riportato sotto.

Proposta di gestione a freddo dei rifiuti quale parte residua di una graduale strategia verso rifiuti zero Elaborazione di Rossano Ercolini e Pier Felice ferri - Ambiente e Futuro

4) VALORI LIMITE DI EMISSIONE Tutti gli impianti di combustione per poter essere a norma devono rispettare dei valori limite degli inquinanti nelle emissioni. Figura 3: valori limite Sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate (tabella A2) Le emissioni di sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate devono essere limitate nella maggiore misura possibile dal punto di vista tecnico e dell’esercizio. I valori di emissione, che rappresentano valori minimi e massimi coincidenti, sono:

Classe

Soglia di rilevanza espresso Valore di emissione espresso come flusso di massa come concentrazione

Classe I

0.02 g/h

0,01 mg/Nm3

Classe II

0,5 g/h

0,5 mg/Nm3

Fermi restando i valori di emissione sopra indicati, ai fini del calcolo del flusso di massa e di concentrazione, in caso di presenza di più sostanze della stessa classe le quantità delle stesse devono essere sommate. CLASSE I POLICLORODIBENZOFURANI POLICLORODIBENZODIOSSINE

CLASSE II POLICLOROBIFENILI POLICLOROTRIFENILI POLICLORONAFTALENI

Gli impianti di incenerimento di vecchia generazione utilizzavano condizioni di processo tali da richiedere delle temperature di circa 800° - 900° C, temperature ottimali per la formazione delle diossine. Attualmente gli inceneritori lavorano a più alta temperatura e riescono a ridurre in nanoparticelle tutte le sostanze. I valori limite di emissione di tali impianti per le diossine sono così inferiori ma vengono introdotte in aria delle nanoparticelle che non riescono ad essere abbattute dai più sofisticati filtri che la tecnologia conosce. Le discariche, se non presentano dei sistemi per raccogliere i gas che si formano dalle putrefazione, immettono in atmosfera del metano che favorisce l’effetto serra. Esse inoltre devono essere costruite con un sistema di impermeabilizzazione e raccolta delle acque di scolo e anche queste devono essere a norma.

Dopo la prima fase di preselezione i sacchi vengono tranciati e vagliati e se ne ricava una parte fluida che finisce al percolatore e una parte solida che può essere ancora recuperata. Dalla parte fluida si ricava una parte che subisce un processo di biodegradazione con produzione di biogas per la produzione di energia elettrica e una parte solida che costituisce la ricopertura della discarica, dopo biodegradazione, e può essere utilizzata per le opere di ripristino ambientale. La parte solida subisce dapprima una separazione manuale dove la carta viene separata dal resto Tale parte subisce poi un’ulteriore fase di separazione attraverso magneti per i metalli, molini ad aria compressa per i materiali leggeri quali le plastiche e i tessuti e una parte balistica per il vetro. I materiali così ottenuti vengono rimessi in ciclo e gli scarti dalle diverse lavorazione dell’ impianto proposto finiscono in discarica. In questo modo non finisce in discarica l’80 o il 90 % dei rifiuti ma solo una ridottissima parte.

IL TRATTAMENTO MECCANICO-BIOLOGICO Per la prima volta nella storia della normativa dei rifiuti e relativo mondo imprenditoriale, il Decreto Ronchi del 1997 definisce il concetto di ciclo o gestione integrata dei rifiuti. Tale tipo di gestione prevede la riduzione a monte dei rifiuti, il riuso, il recupero e il riciclaggio dei rifiuti e soltanto in ultima battuta consente anche la combustione degli stessi per recupero energetico. Se fosse stato così semplice trasferire alla realtà quanto previsto dal decreto Ronchi, non ci troveremmo nella condizione attuale e cioè nella faticosa battaglia a difesa dei principi della riduzione, del recupero, del riuso e del riciclaggio dei rifiuti. A tutt’oggi c’è ancora chi ritiene aprioristicamente l’incenerimento la soluzione di tutti i problemi connessi ai rifiuti; la raccolta differenziata porta a porta, ritenuta la reale soluzione alla riduzione dei rifiuti fa ancora molta fatica a diffondersi a causa dell’inerzia culturale sia dei politici che della popolazione. In un contesto simile, appesantito dalla grave situazione della Regione Campania, invece di procedere ad una seria documentazione delle soluzioni possibili, soprattutto i mass media hanno divulgato tutto e il contrario di tutto, avvalorando anche la tesi dell’incenerimento. A noi invece preme attirare l’attenzione su di una soluzione, passata per lo più inosservata in questo grande baccano mediatico, detta TMB o anche trattamento meccanico-biologico. Dando per scontata la riduzione a monte dei rifiuti, il riuso, il recupero e il riciclaggio, previsti per legge, riteniamo che si possa evitare di ricorrere alla pratica dell’incenerimento tout court.

Il TMB o trattamento meccanico biologico viene considerato dalla maggior parte del mondo ambientalista la soluzione a minor impatto ambientale, poiché riduce il conferimento dei rifiuti in discarica al minimo indispensabile ed evita il ricorso alla pratica dell’incenerimento. Il TMB è un trattamento a freddo (cioè non si brucia niente) che favorisce un’ulteriore differenziazione dei rifiuti attraverso un sistema di vagli, scivoli, classificatori ad aria compressa, ecc. Può essere un sistema ad intercettazione automatica, integrata da alcune fasi di recupero manuale, ma in ogni caso permette un’ulteriore cernita e rimozione di vetri, plastiche, inerti, ferro, ecc. La parte umida dei rifiuti viene stabilizzata attraverso un processo di fermentazione aerobica, dando luogo alla cosiddetta fos o frazione organica stabilizzata, che viene smaltita in discarica con le rimanenze a cernita avvenuta. Fintanto che l’umanità non riesca ad imitare del tutto i cicli di creazione della natura, ci saranno sempre degli scarti delle nostre attività, che andranno depositati da qualche parte. Anche la migliore raccolta differenziata non può evitare l’evidenza di uno scarto non recuperabile. Questo fatto però non ci deve sottrarre alle nostre responsabilità nei confronti dell’ambiente, ma ci deve invece spronare a fare meglio, sviluppare ancora di più la progettazione di prodotti riciclabili e promuovere i migliori ritrovati tecnologici ed ecocompatibili del momento come gli impianti di trattamento meccanico-biologico, che sono in verità molto più competitivi rispetto alle soluzioni proposte, per quanto concerne i costi di investimento, i tempi di realizzazione e l’impatto ambientale.

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Oro Blu: l’insostenibilità della nostra impronta idrica 140 litri per una tazzina di caffè, 1.000 per un chilo di cereali, 16.000 per un chilo di carne di manzo … non basta chiudere il rubinetto che perde, lo sperpero di acqua avviene con quello che mangiamo, i vestiti che indossiamo, come ci muoviamo … misurando la nostra impronta idrica c’è da restare impressionati di marina mele

Una nuova prospettiva scientifica è stata presentata con il “Case Study: waterfootprint of nations” da A.Y.Hoekstra, A.K. Chapagain, H.H.G. Savenije, M.Mekonen, X. Dong, R. Gautam. Siamo già coscienti dell’elevato consumo pro-capite di acqua da parte dei paesi industrializzati, sappiamo di utilizzare circa 215 litri a testa in Italia solo per le esigenze quotidiane. Ma i ricercatori dell’Università di Twente, Paesi Bassi, in collaborazione con l’Unesco, ci guidano verso un calcolo più preciso del nostro reale consumo di acqua. Gli scienziati hanno scelto il temine “impronta” di un paese per definire il volume di acqua necessario per produrre beni e servizi consumati dagli abitanti. Così possiamo più correttamente considerare che: la tazzina di caffè che beviamo nasconde l’utilizzo di 140 litri d’acqua (produzione, lavaggio, raccolta, trasporto), una fetta di pane bianco con una fetta di pane di formaggio sono “formati” da 40 litri di acqua, un solo chilo di carne di manzo cela un consumo di 16.000 litri di acqua. Esagerato? Un bovino medio vive tre anni prima di essere macellato per ottenere circa 200 kg di carne. In quei tre anni avrà mangiato grano, mais e soia, e fieno naturalmente; avrà bevuto acqua, sarà stata pulita la stalla etc. Dunque non consumiamo solo l’acqua proveniente dalla nostre risorse idriche, ma la importiamo in grande misura celata nei prodotti che arrivano sulle nostre tavole da paesi che da tempo vivono emergenze idriche, accentuate da politiche produttive dettate dalle esigenze del commercio internazionale. Considerando il quantitativo di acqua “virtuale”, il dato relativo al consumo di acqua per persona aumenta di circa 30 volte: i dati della Ricerca stimano in 2 milioni e 332mila litri di acqua il consumo annuo idrico di un italiano. Sul nostro livello Spagna e Grecia. Vincitori di questa triste gara: gli Stati Uniti, con 2.480 mcubi/cap/anno. La tabella che segue indica l’impronta idrica nazionale per persona e la percentuale di incidenza delle principali categorie (consumo domestico / beni industriali / beni agricoli) per alcuni paesi rappresentativi:

beni industriali

beni agricoli

USA

Italia

Tailandia

Nigeria

Russia

Messico

Brasile

Indonesia

Pakistan

Giappone

India

Cina

impronta idrica (m3/procapite/anno)

consumo domestico

Risulta evidente che nei paesi ricchi gli abitanti generalmente consumano molti beni e servizi che immediatamente peggiorano la loro impronta, ed anche la composizione dei beni richiesti (come ad esempio il consumo di molta carne bovina e di riso) incide fortemente sul risultato finale. Alcuni paesi poveri risultano essere grandi consumatori di acqua: avverse condizioni climatiche e tecniche agricole arretrate o inappropriate contribuiscono al triste risultato. Nigeria, Mali, Sudan, Cambogia, Thailandia risultano avere impronte molto negative. Inutile forse sottolineare che il prelievo di acqua in alcuni paesi è stato ed è molto maggiore della ricostituzione delle riserve: centinaia di laghi sono scomparsi, fiumi si sono ridotti in rigagnoli, le falde

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Misura on line le tua impronta idrica

Il sito www.waterfootprint.org merita una visita. Inserendo i nostri dati sul sito abbiamo anche l’opportunità di misurare in via piuttosto puntuale la nostra personale impronta idrica. Senza dubbio meno gravoso risulta l’impatto di chi segue una dieta vegetariana.

si vanno via via impoverendo. Sono queste le basi che determinano nuove povertà, nuove guerre per il controllo delle fonti, argomenti che abbiamo già affrontato su questo giornale. Il “Case Study: waterfootprint of nations” evidenzia la necessità per numerosi paesi di adottare tecniche produttive che portino alla riduzione del consumo di acqua, ricorrano - ove possibile – all’acqua piovana, incentivino migliori sistemi di irrigazione. Nel “PianoB 3.0 – Mobilitarsi per salvare la civiltà”, Lester R. Brown suggerisce l’eliminazione dei sussidi pubblici per l’acqua, che incoraggiano gli sprechi, fino a portare il prezzo dell’acqua al livello di quelli di mercato. I prezzi alti impongono utilizzi più razionali. A livello istituzionale, osserva Brown, le associazioni agricole locali che hanno coinvolto gli utenti nella gestione idrica hanno incrementato la produttività idrica in molti paesi, primo fra tutti il Messico (per produttività si intende il rapporto chilogrammi di cereali prodotti per tonnellata d’acqua – oggi in media un chilo di cereali per tonnellata d’acqua). I dati relativi all’efficienza d’irrigazione dimostrano che sempre una parte di acqua si disperde evaporando, un’altra scorre via e una parte filtra nel terreno. L’efficienza irrigua delle acque di superficie si pone tra il 25 ed il 40% in India, Messico, Pakistan, Filippine e Thailandia; tra il 40 e il 45% in Malesia e Marocco, percentuali certo influenzate dal tipo di suolo, dalla temperatura e dall’umidità. Incrementare l’efficienza dell’irrigazione normalmente significa passare dal sistema a inondazione, o a solco, all’irrigazione per aspersione, che imita la pioggia, oppure a gocciolamento, il sistema più efficiente in assoluto. Il passaggio a sistemi di innaffiatura a bassa pressione comporta una riduzione stimata del consumo idrico del 30%, il sistema a gocciolamento del 50%. Quest’ultimo sistema incrementa i raccolti perché fornisce costantemente acqua e azzera l’evaporazione, richiede però molta manodopera; paesi come Cipro, Israele e Giordania già vi ricorrono massicciamente. Fra i tre più grandi produttori agricoli il gocciolamento è adottato sull’1-3% delle terre irrigate in India e Cina mentre negli Stati Uniti circa il 4%. A fronte dei rapidi sbalzi delle falde idriche indiane, la commissione agricola del Punjab ha raccomandato nel 2007 il rinvio della semina del riso da maggio a fine giugno, primi di luglio, così da sfruttare l’arrivo del monsone e ridurre drasticamente l’utilizzo di acqua sotterranea stabilizzando le falde. Una scelta coraggiosa. La riduzione del consumo idrico a livelli sostenibili rispetto alle reali risorse delle falde acquifere e dei fiumi è oggi un dovere. La scarsità d’acqua è un problema reale su scala globale. Le misure da adottare riguardano ovviamente l’agricoltura, ma anche i processi industriali e gli utilizzi domestici. Indubbiamente la tecnologia può oggi essere d’aiuto, così come si rende indispensabile una veloce diffusione delle conoscenze sui sistemi e le tecniche di irrigazione. Scelte quotidiane si impongono poi a tutti i cittadini. Perché il comportamento virtuoso di ciascuno porta grandi risultati comuni.


Decrescita idrica Se tutti i giorni seguirete questi consigli fatti di piccoli gesti quotidiani potrete risparmiare fino a 150 mila lt (150 metri cubi) per persona all’anno. Quindi una famiglia media di 3 persone può risparmiare circa 450 mila l’anno, in pratica il fabbisogno medio annuo di altre 8 persone. di Teodosia Maiorca LUNEDI Ore 7:00, suona la sveglia: scelgo di fare la doccia anziché il bagno. Ho appena risparmiato 110 lt. Litri risparmiati: in una settimana oltre 600; in un anno 31mila. Ore 13:00, applico un rompigetto al rubinetto. Ho risparmiato solo con l’uso in cucina altri 20 lt al giorno Litri risparmiati: in una settimana oltre 140; in un anno 7.300. Ore 18:00, annaffio le piante con l’acqua delle verdure. Ho risparmiato 10 lt. Litri risparmiati: in una settimana oltre 20; in un anno 1.000. Ore 21:00, ho sete: bevo l’acqua che ho messo in frigo anziché farla scorrere dal rubinetto per farla raffreddare. Ho risparmiato 5 lt perché per ogni minuto esce dal rubinetto circa 1 lt di acqua. Litri risparmiati: in una settimana oltre 60; in un anno 3mila. MARTEDI Ore 7:00, ogni mattina mi faccio la barba, se mi ricordo di chiudere il rubinetto, calcolando che consuma circa un litro al minuto, ho risparmiato minimo 5 lt.. Litri risparmiati: in una settimana oltre 35; in un anno 1.800. Ore 14:00, ho finito di pranzare, devo lavare i piatti. Se lascio le pentole a mollo e non sotto l’acqua corrente risparmio 7 lt di acqua. Litri risparmiati: in una settimana oltre 50; in un anno 2.600. Ore 18:00, quanto mi fa risparmiare lo scarico duale (quello che permette di scaricare parzialmente lo sciacquone del WC)? Oppure potrei mettere nella vaschetta del WC una bottiglia piena di acqua (….così per riempirla servirebbe meno acqua).

Risparmio almeno 18 lt al giorno. Litri risparmiati: in una settimana 125; in anno oltre 6.500. Ore 23:00, questo rubinetto che perde non mi fa dormire! Devo farlo riparare quanto prima, perché un rubinetto che perde 30 gocce al minuto, consuma 4 lt l’ora e quasi 100 lt.al giorno Litri risparmiati: in una settimana 700; in un anno 36.400. MERCOLEDI Ore 7:00, se quando mi lavo i denti, mi ricordassi di chiudere il rubinetto o usassi un bicchiere, risparmierei minimo 5 lt. Litri risparmiati: in una settimana oltre 70; in un anno 3.600. Ore 13:00, devo lavare la frutta, se uso un contenitore anziché l’acqua corrente, risparmio quasi 7 lt di acqua. Litri risparmiati: in una settimana oltre 40; in un anno 2.100. Ore 18:00, ho avuto molti ospiti a pranzo, ora devo attaccare la lavastoviglie. Se la aziono solo quando è proprio piena posso risparmiare fino a 40 lt a lavaggio. Litri risparmiati: in una settimana 120; in un anno 6.200. Ore 22:00 Annaffio le piante di sera, così il caldo non fa evaporare subito l’acqua, le piante stanno meglio, e risparmio acqua. Litri risparmiati: in una settimana 20; in un anno 1.000. GIOVEDI Ore 10:00, devo fare il bucato, meglio impostare la lavatrice a basse temperature perché un lavaggio a 30 gradi consuma 80 lt, mentre a 90 gradi ne consuma 160, quindi posso risparmiare almeno 80 lt! Litri risparmiati: in una settimana 160; in un anno 8.300.

Ore 15:00, posso lavare i piatti con l’acqua dove ho cotto la pasta, ha un elevato potere sgrassante e mi fa risparmiare detersivo ed acqua, almeno 5 lt al giorno. Litri risparmiati: in una settimana 30; in un anno 1.550. Ore 18:00, Ops! Il water perde. Devo farlo subito riparare, se non lo faccio spreco fino ad 80 lt l’ora, oltre 1.900 lt ogni giorno. Litri risparmiati: in una settimana 13.400; in un anno oltre 700.000. VENERDI Ore 7:00, senza una bella doccia non riesco proprio a svegliarmi… però se mentre mi insapono mi ricordo di chiudere l’acqua risparmio 5 lt al minuto Litri risparmiati: in una settimana 80; in un anno 4.200. Ore 10:00, è ora delle pulizie. Se uso l’aceto, sgrasso, pulisco e non devo risciacquare, risparmio almeno 3 secchi al giorno (30 lt) Litri risparmiati: in una settimana 200; in un anno 11.000. Ore 18:00, voglio essere sicuro che non ci siano perdite in casa. Chiudo tutti i rubinetti e controllo il contatore, se gira una perdita ed un forellino da un millimetro, in 24 ore, fa sprecare 2 mila lt. Litri risparmiati: in una settimana 14.000; in un anno 728.000. Ore 20:00, piove! Quando smette posso approfittarne per spazzare il balcone, così risparmio almeno 25 lt di acqua. Litri risparmiati: in una settimana 50; in un anno 260. SABATO Ore 8:00, che barba la barba. Se uso un catino per sciacquare

il rasoio risparmio un litro al minuto. Litri risparmiati: in una settimana 35; in un anno 1.800. Ore 11:00, mentre mi preparo per uscire devo fare attenzione a non buttare ovatta, bastoncini nettaorecchie o carta nel WC, perché rischio di intasarlo e poi tiro lo scarico inutilmente consumando almeno 15 lt d’acqua. Litri risparmiati: in una settimana 75; in un anno 4.000. Ore 18:00, oggi devo tagliare l’erba del giardino, ma non troppo bassa così quando l’annaffio trattiene meglio l’umidità e ho bisogno di meno acqua e posso risparmiare 100lt. Litri risparmiati: in una settimana 100; in un anno 5.000.

Magari non tutti questi consigli potranno essere applicati alla tua vita, però altri potresti usarli più di quanto calcolato. Attenzione! Ricordati sempre che ogni persona dovrebbe consumare al massimo 54 metri cubi d’acqua l’anno, cioè circa 150 litri al giorno.

DOMENICA Ore 9:00, la colazione della domenica è proprio bella, ma quante stoviglie da lavare! Se chiudo il rubinetto mentre le insapono risparmio almeno 5 lt al giorno. Litri risparmiati: in una settimana 35; in un anno 1.800. Ore 12:00, il vialetto di casa è impolverato. Basta spazzarlo, se evito di pulirlo ogni volta con l’acqua risparmio altri 100 lt. Litri risparmiati: in un anno 10.000. Ore 16:00, i bimbi stanno giocando con l’acqua, meglio farli giocare con qualcos’altro altrimenti possono sprecare fino a 60 lt al giorno. Litri risparmiati: in una settimana 60; in un anno 3.000. Ore 19:00, l’automobile deve proprio essere lavata. Se uso secchio e spugna anziché il tubo dell’acqua posso risparmiare circa 130 lt. Litri risparmiati: in una settimana 130; in un anno 6.700.

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9


incendi boschivi: i danni dell’industria del fuoco Gli incendi boschivi continuano a dilagare nel nostro territorio in modo sempre meno controllabile, tanto che questo fenomeno da più parti è stato definito un’aggressione sociale al bosco. Il 2007 è stato da questo punto di vista uno degli anni peggiori. Appare, pertanto, indispensabile la conoscenza approfondita delle reali motivazioni degli incendi, come pure una presa di coscienza dell’opinione pubblica e delle pubbliche amministrazioni che sembrano disinteressarsi del fenomeno prima e dopo l’emergenza. Intervista al prof. Vittorio Leone dell’Università della Basilicata di sandro marano

Abbiamo parlato di incendi boschivi col prof. Vittorio Leone, ordinario di Protezione dagli Incendi Boschivi e docente di Selvicoltura Generale presso l’Università della Basilicata e autore di oltre 140 pubblicazioni sull’argomento, al termine d’una interessante conversazione sul tema “Gli incendi boschivi in Puglia: dove andremo a finire?” tenuta mercoledì 10 dicembre 2008 nella sede di Fare Verde di Bari. D - E’ opportuno parlare di incendi boschivi o, come preferisci qualificarli, di incendi degli spazi rurali in pieno inverno? R - Certamente è bene parlarne al di fuori dei mesi “caldi” e soprattutto al di fuori dei momenti di emergenza, tanto più che non di emergenza si tratta, ma di un discorso strutturale. In Italia si valuta che gli incendi siano in media 15mila l’anno, con 64mila ettari di superficie boscata percorsa, cui si aggiungono 84mila ettari di superficie non boscata: circa quarantadue incendi al giorno, quasi due per ora. Il fenomeno riguarda, infatti, non solo i boschi, ma più propriamente lo spazio rurale e, in particolare, quello abbandonato dai contadini. Il numero medio di incendi è, infatti, passato da 6.426 del decennio 1970/79 a 11.164 del decennio 1990/99 e sono in continuo aumento gli eventi, concentrati essenzialmente nelle regioni meridionali ed insulari, a modesto indice di boscosità; in esse predominano le cause volontarie, che rappresentano oggi circa due terzi del numero totale di eventi registrato. Tra l’altro, il 2007 è stato l’anno peggiore degli ultimi 30. Tra il 1970 e il 2006 il numero annuo di incendi superiore a 10.000 si è verificato ben 13 volte; la situazione più critica si è registrata nel 1985, per numero di incendi (18.664), nel 1993 per superficie boscata percorsa dal fuoco (116.378 ettari), nel 1981, per superficie totale interessata (229.850 ettari) (CFS, 2007) Con questo ritmo di ritorno delle annate disastrose è poco credibile parlare sempre di emergenza; è anche probabile che il 2007 sia il primo di una ulteriore serie di anni difficili, e che in futuro il fenomeno incendi interesserà il territorio nazionale con intensità anche maggiore, poiché le previsioni climatiche non sono incoraggianti. Molto rilevante è poi l’aumento del numero di eventi nell’interfaccio bosco/urbano D - Quali sono i principali danni cagionati dagli incendi boschivi?

Emissioni di CO2 e altri gas per effetto degli incendi Fonte Ministero Ambiente 2007

10

Anno

kt

1990

14.091

1991

3.188

1992

5.285

1993

13.192

1994

5.065

1995

2.689

1996

1.960

1997

7.258

1998

7.605

1999

4.025

2000

8.061

2001

5.040

2002

2.775

2003

6.337

2004

2.267

2005

3.148

2006

2.240

2007

7.323

R - Il danno economico non si limita alla produzione legnosa, ai danni alla funzione ricreativa, alla tutela idrogeologica, al servizio di stabilizzazione offerti dal bosco, ma va riferito all’insieme di servizi e funzioni che il verde esplica, in primis la funzione di assorbimento dell’anidride carbonica che tra l’altro con gli incendi viene rilasciata e reimmessa in atmosfera in quantità impressionanti. Tra le nuove funzioni attribuite alle foreste nell’ultimo decennio c’è infatti quella strategica del contenimento dei gas ad effetto serra, argomento incluso nel Protocollo di Kyoto, strumento della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici, che l’Italia ha sottoscritto. Ogni anno bruciano a livello mondiale più di 50 milioni di ettari di foreste; per fare un esempio specifico, quando nel 1998 il Borneo fu devastato dalle fiamme, furono immesse in atmosfera circa 2,5 miliardi di tonnellate di carbonio, soprattutto sotto forma di anidride carbonica, quantità che corrisponde all’intera emissione di carbonio dell’Europa in un anno. Nel corso di un rogo si liberano nell’aria, in media, tra le cinquanta e le cento tonnellate di anidride carbonica per ettaro, in precedenza conservate nei tessuti vegetali delle piante e nel suolo. Kurz e al. (1992) stimano però le quantità di CO2 immesse in atmosfera a seguito di un incendio boschivo su valori variabili dai 48 ai 215 t ha-1. Un ettaro di bosco assorbe infatti le emissioni di CO2 di 100 automobili medie usate per un anno. Una cifra che rischia di ridursi ad ogni incendio, basta considerare che nel solo 2006 sono andate in fumo circa 2.2 milioni di tonnellate di anidride carbonica e che una tonnellata viene scambiata in borsa per 20 dollari circa. In Europa l’emissione annuale di anidride carbonica conseguente agli incendi boschivi è stimata pari a oltre 11 milioni di tonnellate. Secondo uno studio della Banca mondiale gli incendi boschivi genererebbero 6 miliardi di tonnellate di CO2. In uno studio del 2005 l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura

(FAO) ha invece quantificato le stesse emissioni in 7,32 miliardi di tonnellate di CO2. Nel 2007 dai roghi italiani si sono levate sette milioni e mezzo circa di tonnellate di CO2, quantità equivalente a quella emessa ogni anno dall’industria nella produzione di sostanze chimiche. In altre parole il 5% dell’impegno attuale di riduzione di emissioni nazionali, preso dal nostro paese nel rispetto del Protocollo di Kyoto e delle direttive europee. Inoltre negli incendi della prima parte dell’anno si sono prodotte oltre 7.000 tonnellate di PM10 e più di 1000 tonnellate di diossina, composto cancerogeno. D - Come va affrontato il problema? E’ sufficiente aumentare i mezzi disponibili come i Canadair o si tratta di un radicato luogo comune? R - In materia, malgrado l’entità del fenomeno, c’è molta disinformazione e la politica di controllo degli eventi non guarda al prima e al dopo. Nel parlare d’incendi bisogna affrontare radicati luoghi comuni, il primo dei quali è che si tratta di un fenomeno legato ai moderni modelli di vita, quindi alla maggiore mobilità, al turismo e al tempo libero. Si tratta di un’interpretazione incompleta, che induce ad un’analisi parziale del fenomeno, visto essenzialmente in termini di comportamenti negligenti. Il fuoco è, infatti, uno strumento tradizionale di gestione degli ecosistemi mediterranei, il cui uso remoto è documentato in agricoltura, in selvicoltura, nella pastorizia, oltre ad essere testimoniato da usi rituali; il passaggio da strumento di gestione dello spazio agricolo ad elemento di offesa ed alterazione è quindi intuibile. Gli incendi appaiono oggi sempre più esplicitamente il sintomo di problemi socio-economici, legati ad una complessa serie di circostanze e, almeno nel nostro paese, non sono una calamità naturale, né una fatalità, ma piuttosto un fenomeno dovuto a comportamenti sociali, volontari o involontari. Agli incendi si oppone tuttora un meccanismo difensivo d’attesa, preordinato ad intervenire con iniziative di contrasto sull’evento in atto, come i Canadair, vere e proprie star mediatiche. Questa impostazione è inevitabilmente condannata all’insuccesso anche in vista del numero crescente d’eventi. Per cogliere la complessità di tale attività, si ricorda che l’incendio è l’atto finale della complessa interazione tra fattori predisponenti (condizioni ambientali, climatiche e vegetazionali) e cause determinanti (azione dell’uomo volontaria o involontaria, che innesca l’incendio). Il fattore determinante è quasi sempre d’origine antropica. Trascurabili sono le cause naturali: l’autocombustione è, comunque, assolutamente indipendente dalle elevate temperature estive, che non possono innescare alcun fenomeno di combustione ma soltanto favorirne la propagazione, trattandosi di fattore predisponente e non determinante. Nel nostro paese, infatti, circa il 99% degli incendi nasce dall’azione dell’uomo. D - Come va letto questo dato che indubbiamente è oltremodo allarmante? R - L’incidenza percentuale delle cause volontarie di incendio va letta in una duplice prospettiva: da un lato il fuoco diventa strumento di alcuni gruppi di interesse, che ovviamente traggono più risorse dal fatto che il «bosco non ci sia più», mentre dall’altro la «cultura della distruzione» sta diventando un indicatore del livello di tensione: molti attori sociali hanno compreso quanto l’ambiente sia vulnerabile e al tempo stesso quanto il minacciarlo o distruggerlo renda visibili soprattutto quanto la televisione o i mass-media costituiscono cassa di risonanza. D - Tu hai parlato di “industria del fuoco”… R - Una cospicua aliquota d’incendi volontari sembra legata ad interessi concreti, a vantaggi reali o presunti che l’autore spera di ritrarre. Tra tali motivazioni una appare diffusamente segnalata in Italia: l’incendio causato per creare posti di lavoro (nelle attività d’avvistamento, d’estinzione, nelle attività successive di ricostituzione), nota come industria del fuoco o industria degli incendi. L’impostazione della lotta antincendio, basata su interventi di solo contrasto al momento dell’emergenza, ha comportato una diffusa politica di assunzioni a tempo determinato, caratterizzata da turni minimi e ricorso a mano d’opera precaria e poco qualificata, con una finalità spesso più assi-


In Europa l’emissione annuale di anidride carbonica conseguente agli incendi boschivi è stimata pari a oltre 11 milioni di tonnellate. Secondo uno studio della Banca mondiale gli incendi boschivi genererebbero 6 miliardi di tonnellate di CO2 stenziale che produttiva; ciò ha talvolta indotto l’insorgenza di un ciclo vizioso, dove l’incendio volontario può costituire lo strumento per mantenere o motivare occasioni d’impiego.

Un ettaro di bosco assorbe le emissioni di CO2 di 100 automobili medie usate per 1 anno. In Italia nel solo 2006 sono andate in fumo circa 2.2 milioni di tonnellate di anidride carbonica e una tonnellata viene scambiata in borsa per 20 dollari circa. Emissioni di CO2 e altri gas per effetto degli incendi 2005 kt CO2 eq.

2006 kt CO2 eq.

2007 kt CO2 eq.

CH4

34,16

25,00

N2O

3,47

D - Negli ultimi anni si sta assistendo all’uso del fuoco come strumento di ricatto? R - È spesso citato il rapporto tra incendi e pascolo, motivato dall’uso del fuoco in aree a forte deficit di produzione foraggiera, per eliminare l’infestazione di specie erbacee ed arbustive poco appetite o non utilizzate. Il fuoco rappresenta un’arcaica pratica agronomica, molto discutibile ma a basso costo, in grado di assicurare il controllo delle specie infestanti oppure per stimolare il ricaccio di vegetazione. Oltre alla funzione manifesta di rinettatura del territorio, appare verosimile che l’incendio costituisca una forma d’avvertimento o di minaccia, funzionale all’obiettivo di sottolineare la destinazione agro-pastorale dei terreni legata alla fame di terra della pastorizia vagante. In molti casi il fuoco rappresenta un mezzo d’estorsione o di taglieggiamento, mutuato da realtà urbane a forte carica di violenza dove l’incendio o l’attentato dinamitardo per obbligare a pagare forme non richieste di protezione oppure per lucrare indebitamente sui premi d’assicurazione costituiscono una diffusa realtà. D - Tra le cause volontarie rientra anche la speculazione edilizia? R - La possibilità di eliminare il bosco, motivo dell’esistenza di vincoli, per avviare programmi di edificazione, è stata ripetutamente considerata causa non trascurabile d’incendi. Questa possibilità non sembra invero molto plausibile nel nostro paese, per effetto della normativa abbastanza rigorosa, sancita dall’art. 10 della L. 353/2000, che fa divieto di costruire per dieci anni, con deroga soltanto per eventuali concessioni già assentite prima del verificarsi dell’incendio. D’altra parte non è un caso che ampi progetti di riqualificazione edilizia in aree protette siano spesso segnati da disastrosi incendi che in qualche modo richiamano l’impiego criminoso del fuoco come elemento di taglieggiamento o di ritorsione. D - La maggior parte dei giornalisti si ostina a parlare di piromani… R - In una categoria a parte, tra gli incendi di origine volontaria, devono essere citati i piromani, soggetti affetti da una rara forma di turbe della personalità che causa eccitazione nell’appiccare il fuoco, oppure nel godere gli effetti del sinistro, riportato ed amplificato dai massmedia, in aperta sfida alle autorità nell’evitare di essere identificati. La piromania va considerata un’autentica patologia, all’interno della serie di disturbi del controllo degli impulsi, caratterizzati dall’incapacità di resistere ad una tentazione di compiere determinati atti nocivi al soggetto o ad altri. Il piromane è affetto da un irresistibile attrazione per il fuoco come il cleptomane dalla tentazione di rubare oggetti anche di scarso valore: sono entrambi affetti dallo stesso tipo di disturbo ossessivo compulsivo. In ogni caso il numero di piromani è estremamente ridotto e la presenza dell’infermità deve essere stabilita da uno psichiatra. La realtà è che troppo spesso si utilizza impropriamente il termine come sinonimo di incendiario. D - Quali sono le principali cause involontarie? R - Tra le cause involontarie meritano una particolare attenzione la bruciatura delle stoppie ed il lancio di mozziconi o sigarette, che rappresentano in assoluto le motivazioni ufficiali più rilevanti, sotto il profilo statistico. In Puglia la bruciatura delle stoppie rappresenta la prima delle motivazioni accertate d’incendi involontari. Si tratta di una pratica tradizionalmente diffusa in tutte le aree cerealicole del Mediterraneo, codificata in passato da regole particolarmente severe in termini di data di accensione (dopo il Ferragosto, data stabilita addirittura ai tempi del regno dei d’Angiò, quindi risalente al XIII sec.), orario, modalità di esecuzione, controllo ed assistenza alle operazioni da parte degli esecutori, obbligo di realizzare fasce perimetrali di contenzione. Molte di queste cautele sono state, in parte, attenuate da una

Legenda: CH4

metano

81,75

N2O

protossido d’azoto

2,54

8,30

NO7

ossidi di azoto

CO

monossido di carbonio

2005 kt

2006 kt

2007 kt

PM10

polveri sottili

NO7

0,40

0,30

0,97

NMVOC composti organici volatili non metanici

CO

14,23

10,42

34,06

PM10

2,94

2,15

7,03

NMVOC

2,14

1,56

5,11

SO2

0,16

0,12

0,39

Diossine (g teq)

0,45

0,33

1,08

NH3

0,18

0,13

0,44

SO2

anidride solforosa

NH3

ammoniaca

Fonte Ministero Ambiente 2007

legislazione regionale spesso meno attenta ai problemi del fuoco che a quelli dell’agricoltura intensiva e trascurate da operatori sempre meno attenti. In talune zone, inoltre, la bruciatura delle stoppie può costituire motivo di gravi incidenti stradali, legati all’improvvisa invasione della sede di strade od autostrade da parte di nuvole di fumo. Il lancio di sigarette e fiammiferi rappresenta la motivazione più frequentemente invocata, per incendi d’origine involontaria. In realtà, l’insorgenza di incendio a seguito del lancio imprudente di cicche o fiammiferi è strettamente legata alle condizioni ambientali del momento, all’umidità del materiale, al modo ed all’inclinazione con cui fiammiferi o cicche toccano il materiale stesso. Un insieme di condizioni abbastanza complesso e che non sempre si verifica. D - Tu sei stato tra l’altro l’estensore del Piano di previsione e lotta contro gli incendi boschivi per l’Ente Parco Nazionale del Gargano. Qual è la situazione in due parole? R - Tra Peschici, Vico del Gargano e Vieste sono concentrati la maggior parte degli incendi sul Gargano. Qui l’indice di dolosità è del 90% e più ed è legato soprattutto alla trasformazione del territorio da pinete ad uliveti; notevole l’incidenza dei motivi occupazionali e in certe aree interne, poco interessate dal turismo, di conflitti tra proprietari e allevatori senza terra; circostanza quest’ultima che sembra si stia però fortemente riducendo. D - Quali caratteri, in definitiva, ha assunto il problema degli incendi? R - Anche nel nostro paese, come in tutto il Mediterraneo, il problema degli incendi degli spazi rurali ha assunto caratteri diversi rispetto al passato. Si è accentuata, in particolare, la tendenza ad un aumento degli incendi volontari, realtà ingigantitasi fino a diventare preminente. Il responsabile maggiore dell’impatto sulle aree verdi pertanto non è il turista disattento o il contadino intento a operazioni colturali, che pur rappresentano una frequente motivazione di incendi, ma chi agisce con premeditazione, spinto da volontà che spesso sfuggono alla nostra capacità di interpretazione. D - Si tratta di un fenomeno complesso… R - Certamente, contro il quale occorre mobilitarsi, soprattutto vincendo l’assuefazione e la tolleranza. E’ un fenomeno che mette a repentaglio beni e vite umane, scoraggia gli investimenti in campo forestale e costituisce, in ultima analisi, una grave patologia dello spazio rurale, innescando spesso irreversibili processi di alterazione e di dissesto, il cui epilogo è la desertificazione.

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Nessuna nazione sarà sovrana senza avere il dominio sulla produzione dei semi Le multinazionali dei semi sanno che coloro che controllano i semi, controllano l’intero sistema alimentare. È una questione di potere. L’intenzione di queste compagnie è quella di ridurre sempre più la varietà di semi perché sia più facile la loro manipolazione, e perché si ottengano più profitti creando nel contempo la dipendenza degli agricoltori. di Milton Menoncin L’autore è ingegnere Forestale e Consulente Ambientale in Brasile. L’articolo è basato sui quaderni di vita contadina “SEMI: Patrimonio dell’umanità”. Si ringrazia per la traduzione Sandra Talone

Il Brasile nella classifica della biodiversità strutturale Vegetali superiori 1º Pesci d’acqua dolce 1º Mammiferi 1º Anfibi 2º Uccelli 3º Rettili 5º

I semi nella storia dell’umanità L’evoluzione dell’umanità attraverso i tempi è strettamente legata alla comparsa dell’agricoltura e la donna ha avuto un ruolo fondamentale nella storia. Mentre l’uomo si allontanava per le attività di caccia e raccolta di frutti, la donna rimaneva nel rifugio prendendosi cura dei figli e della preparazione dei cibi. La famiglia viveva, coltivava e si nutriva della diversità biologica esistente nel proprio ambiente. Con il trascorrere del tempo, la donna osservò che molti dei semi appartenenti ai vegetali consumati dal gruppo germogliavano e producevano frutti identici a quelli che il compagno raccoglieva. Nacque allora la coltura di tali vegetali che potevano essere sia alberi che arbusti oppure piante striscianti. Così ebbero inizio l’agricoltura, la frutticoltura, l’orticoltura ed il giardinaggio, tutto attraverso la donna. Le famiglie primitive e successivamente i contadini ed i gruppi di famiglie agricole sono coloro che per primi hanno coltivato, protetto e conservato la biodiversità. Questo stato di cose è perdurato per più di 10mila anni. I popoli preistorici si nutrivano di più di 1.500 specie di vegetali e di queste specie e varietà almeno 500 hanno visto la propria coltura protrarsi lungo la storia. Attualmente ci nutriamo fondamentalmente di appena 30 tipi di vegetali coltivati e tra questi il grano, il riso, il mais e la soia rappresentano più del 85% del consumo di granaglie. Appropriazione del patrimonio genetico dei semi I cambiamenti iniziarono in tempi molto recenti, soprattutto sul nascere del XX secolo. Con la RIVOLUZIONE VERDE, a partire dagli anni ‘70, alcune compagnie iniziarono ad appropriarsi dei diritti sui semi e sulle risorse naturali e genetiche. La proprietà privata di semi costituisce parte di un progetto avente come obiettivo l’assoggettamento degli agricoltori agli agrotossici prodotti dalle stesse società che ambiscono al controllo sui semi e sui cibi. La biodiversità e la sovranità alimentare sono a rischio. Il Brasile è un polo di diversità biologica estremamente importante per il pianeta. Costituisce un patrimonio dell’umanità attualmente eroso dalla modalità di agricoltura aggressiva praticata (uso di agrotossici, monocolture e OGM) e dalla pirateria finanziata dalle multinazionali dei farmaci e dei veleni agricoli, attuate in vari settori della produzione.

Ritornello argentino “En lo puro no hay futuro, señooores La pureza está en la mezcla, señooores En la mezcla de lo puro, señooores Que antes de puro fue mezcla, señooores” Nel puro non v’è futuro, signori La purezza sta nel mescolar, signori Nel mescolar il puro, signori Che prima d’esser puro miscela fu, signori

di marina mele

Alla ricerca di soluzioni La proprietà intellettuale su qualunque forma di vita è inaccettabile, poiché le risorse genetiche costituiscono patrimonio dell’umanità. La bio-protezione dovrà avere normative più stringenti che proteggano le comunità agrarie, indigene e la sovranità delle nazioni. La biodiversità deve essere la base su cui si fonda la sovranità alimentare. Assicurare la diffusione dei semi creoli tra le famiglie, le comunità e le nazioni, deve costituire una priorità per ciascuno di noi ed i nostri governi.

Veneto: mense scolastiche a Km 0 A breve i bambini e ragazzi abitanti in Veneto sperimenteranno gli effetti della nuova legge varata dalla Regione: nelle mense scolastiche (ma anche ospedaliere e di altre comunità) vige oggi l’obbligo che almeno il 50% dei prodotti utilizzati per i pasti sia di origine locale. Prima regione in Italia, il Veneto ha infatti deciso di regolamentare per legge i consumi a “km 0” promuovendo in particolare l’uso di 349 prodotti considerati tradizionali come il radicchio di Chioggia, l’asparago di Bassano, formaggio di Asiago e Treviso, il miele dei Colli Euganei. Compariranno così sulle allegre tavole scolastiche anche una serie di piatti tipici come polenta e osei (polenta e selvaggina), risi e bisi (riso e piselli), baccalà alla vicentina. Frutto di un progetto di legge d’iniziativa popolare promosso da

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I semi appartengono da sempre ai popoli indigeni ed ai contadini, tant’è vero che ancora oggi i discendenti degli Inca del Perù e dell’Ecuador conservano i semi di mais appartenenti a decine di varietà diverse, compresa la varietà di mais nero, che venerano come sacre. I primi italiani ad arrivare in Brasile adoperavano il mais “dente di can” nella preparazione della polenta e di altri sottoprodotti che ne acquisivano un sapore speciale. Attualmente, con le varietà ibride e transgeniche, si è perso il sapore che le varietà creole avevano. Le multinazionali dei semi sanno che coloro che controllano i semi, controllano l’intero sistema alimentare. Trattasi di potere ed il potere riguarda questioni non solo materiali ma anche immateriali, come la tecnologia e la conoscenza, e per tanto investono capitali nella ricerca al fine di manipolare i geni. L’intenzione di queste compagnie è quella di ridurre sempre più la varietà di semi perché sia più facile la loro manipolazione, e perché si ottengano più profitti creando nel contempo la dipendenza degli agricoltori. Nel caso della Soya Roundup ready gli agricoltori del sud del Brasile ne hanno contrabbandato i semi dall’Argentina. Non appena la Monsanto se ne accorse ha esercitato forti pressioni sul governo brasiliano perché liberasse la vendita di soia transgenica permettendogli di riscuotere le royalties su cui vantava diritti. Il passo successivo della compagnia sarà quello di fare approvare nel paese il gene terminator perché il prodotto non possa riprodurre il proprio seme tornando sterile. Quanto sopra costituisce soltanto un esempio della condotta delle corporazioni per assicurare i propri profitti e la propria egemonia. Il 10 per cento delle specie vegetali del pianeta sono considerate come “in pericolo”. Ogni specie vegetale che scompare può implicare direttamente o indirettamente la scomparsa da 10 a 30 specie di animali che da questi vegetali dipendono. Il governo brasiliano affronta enormi difficoltà nel controllo delle frontiere da cui filtrano la maggior parte dei prodotti illegali ed allo stesso tempo non compete con le multinazionali sul campo della ricerca e ciò ci pone in grande inferiorità in questo settore strategico dello sviluppo sostenibile e della conservazione del patrimonio genetico brasiliano. Quando si saranno estinte le varietà tradizionali di semi non ci sarà soltanto l’erosione genetica del patrimonio, ma si sarà persa una parte della storia e della cultura di un popolo. Quando le grandi aziende determinano ciò che un agricoltore deve o non deve coltivare, determina anche ciò che si deve mangiare. I mass media brasiliani sostanzialmente finanziati dalle società, svolgono un ruolo importante in questo progetto di dominio, poiché inducono la popolazione al consumismo. Credo che lo schema sia uguale anche nel resto del mondo.

Coldiretti con 25.000 firme, il nuovo regolamento ha uno spirito certamente meritorio per i seguenti motivi: tracciabilità e qualità dei prodotti, risparmio energetico, riduzione dei trasporti e relativo inquinamento, prodotti di stagione a più buon mercato. Altre Regione hanno guardato con reale interesse alla legge veneta; già in Toscana esiste una legge per favorire i mercati agricoli locali. Ci si augura quindi una rapida e concreta diffusione di questa filosofia di spesa. E ciò che rimane non servito nelle mense scolastiche? A Padova viene recuperato e donato a tre associazione no profit operanti nell’area del Comune. In un mese di attività il progetto “Cibo oltre la mensa” ha evitato che 1.027 kg di ottimo cibo diventassero rifiuto e mediante un progetto di solidarietà sono stati destinati a fasce deboli della società.


Appunti per un turismo responsabile Sobrietà, responsabilità, rispetto: il viaggiatore leggero alla ricerca di equilibrio e armonia Dovremmo, forse, riconoscere che il primo autentico ecologista sia stato proprio il poverello di Assisi che nel Cantico delle Creature loda la bellezza del Creato e, anche se non esplicitamente, ma come naturale conseguenza, invita ogni uomo a rispettare la bellezza della Natura. Un messaggio quantomai attuale, e che deve esser fatto proprio anche nel momento del viaggio, senza che la ricerca di svago e riposo distraggano dai doveri verso l’ambiente. Interessanti, in tal senso, le riflessioni proposte dalla Chiesa Cattolica attraverso il Messaggio pubblicato per la “Giornata mondiale del Turismo”, sempre attuali. Il mancato rispetto del Creato o se preferiamo di nostra sora nostra matre Terra, equivale all’ennesima scelta di ciò che è “male”, ancora una volta dinanzi al bivio delle proverbiali due strade l’uomo, che era stato chiamato a custodire il giardino dell’Eden, dove regnavano armonia, bellezza e dove la regola base era l’equilibrio, rischia di optare per la distruzione creando il deserto: “l’equilibrio ha lasciato il posto al disordine, la pace è assalita da violenza, tortura e guerra, dopo la vegetazione lussureggiante viene siccità e catastrofe, dove c’era la luce, che si alternava alle tenebre per scandire i tempi del lavoro e del riposo, ci sono eccesso, confusione ritmata e caos”. Nel documento non si ha nessuna remora nell’evidenziare sia “le decisioni tardive perfino dei popoli più avanzati in campo di ecologia globale” e sia “la ritrosia di quanti esitano a ratificare protocolli internazionali, mirati alla conservazione dell’ambiente e alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica”. Ma fin qui sembrerebbe che il problema riguardi “i grandi della terra”, “gli stati sovrani”. In realtà, pur se non è il turismo la causa principale dell’inquinamento e del riscaldamento globale, è pur vero che, in questo periodo di ferie, il tema delle vacanze riguardi indistintamente ognuno di noi. Basti considerare che, oggi, circa 900 milioni di persone si recano in viaggio all’estero e questo numero è destinato a crescere vorticosamente, tanto che si prevedono più di un miliardo e mezzo di viaggiatori nel 2020, senza contare coloro che si spostano all’interno dei confini nazionali Ciò significa l’uso di aerei, navi, mezzi di trasporto su ruote o su rotaie, alberghi con aria condizionata, insomma utilizzo di carburanti inquinanti ed emissioni di gas nocivi. Assolutamente nessuno penserebbe di negare il diritto alle vacanze, ma l’invito forte e deciso è per un turismo ecoresponsabile. Il “messaggio” è fermo nel lanciare l’allarme ricordando che non si può per negligenza o, peggio, per scelte dettate da cinico egoismo o da consumismo, causare la progressiva distruzione della Terra. In maniera decisa si sottolinea che non bisogna dimenticare la responsabilità che si ha verso le generazioni future, ma nello stesso tempo c’è una viva speranza per il domani dove solo con l’assunzione delle proprie responsabilità a livello individuale e collettivo si potrà operare “per

ricreare l’armonia possibile dopo il peccato originale e lasciare che il pianeta segua il proprio ciclo vitale, aiutandolo in questo”.

di PAOLO GIORDANO

Ma insomma, in conclusione, quali comportamenti deve mettere in atto il turista? Come si può evitare di oltraggiare ulteriormente il pianeta? Per iniziare sarebbe bene spostarsi il più possibile a piedi, prediligendo alberghi e luoghi di accoglienza che siano a contatto diretto con la natura. Evitare di sovraccaricare i mezzi di trasporto (si ridurrebbe l’emissione di anidride carbonica) non portando con sé più bagagli del necessario. Produrre il minor quantitativo di rifiuti e smaltendo gli stessi in modo adeguato, servirsi di materiali riciclabili o biodegradabili. E non solo … preferendo prodotti dell’artigianato del posto ad altri dispendiosi e velenosi, rispettando la legislazione locale e valorizzando la cultura del luogo che stiamo visitando. Ed infine, quale atto di concreta e tangibile partecipazione al risorgere del pianeta, piantando alberi per neutralizzare gli effetti inquinanti dei viaggi. Tali suggerimenti, tutt’altro che irrealizzabili, rappresentano un modo concreto di concepire in maniera diversa il turismo tornando “al senso del limite contro il progresso folle e ad ogni costo, fuggendo l’ossessione di possedere e di consumare. Il senso del limite si coltiva anche quando si riconosce l’alterità tra simili e la trascendenza del Creatore rispetto alle sue creature. Esso si ha quando Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature, non si prende il posto di chi mi sta accanto e si spetialmente messor lo frate Sole, concedono agli altri i diritti che si reclamano per sé. Ciò lo qual è iorno, et allumeni noi per lui. significa che ci si apre alla coscienza della fraternità in Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: una terra di tutti e per tutti, oggi e domani”. de Te, Altissimo, porta significatione. Ogni uomo deve rispondere della qualità del pianeta ed il Cristiano più di ogni altro, poiché il suo dovere Laudato si’, mi Signore, per sora Luna e le stelle: non è solo verso le generazioni future, ma anche in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle. verso Dio “che ha posto l’uomo come guardiano della terra, per farla fruttificare. I nostri fratelli Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento musulmani vedono in lui il “maggiordomo” di Dio”. et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento. Nel concludere non si può che auspicare, unitamente all’augurio del “messaggio”, che si sviluppi una Laudato si’, mi’ Signore, per sor Aqua, cultura del turismo responsabile, che tenga conto la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. anche dei cambiamenti climatici. Ma anche se l’uomo dovesse essere così ottuso Laudato si’, mi Signore, per frate Focu, da non comprendere che rischia di distruggere il per lo quale ennallumini la nocte: pianeta, di sicuro la Terra si ribellerà e, se diventerà ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. un deserto, non sarà solo per l’incapacità dei suoi abitanti di mantenerla viva, bensì sarà il modo con Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, cui essa stessa avrà provveduto a “sbarazzarsi di la quale ne sustenta et governa, inquilini così fastidiosi, inetti e dannosi”. et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. In conclusione essa si rigenererà mentre la razza umana sarà del tutto scomparsa.

PSICOLOGIA DEL TURISTA Il turismo di massa come obbligo sociale: svago, sogno, trasgressione di cui non si può fare a meno Le motivazioni per decidere un viaggio sono molto varie e personali, ma non si possono trascurare i messaggi lanciati con le campagne pubblicitarie ed il richiamo delle mode, vere o artificiali, che nidificano nel subconscio del potenziale vacanziere alimentando il desiderio di recarsi in un determinato luogo. Sono stati diversi negli ultimi anni, ma ben identificabili, i paesi o i luoghi “da sogno” maggiormente premiati dai turisti occidentali: Thailandia, Seychelles, Cuba, Santo Domingo, per i turisti “in economia”; Patagonia, Namibia, Vietnam, San Marteen, Australia, per il turismo elitario. Concorrono a creare l’interesse per tali destinazioni un mix di soggetti come gli Enti del Turismo delle nazioni interessate, le riviste specializzate, le compagnie aeree e, non ultimo, gli operatori turistici. Vecchia storia, quella della struttura nata con il fine di organizzare mezzi di trasporto, cercare alberghi, gestire il tempo libero, condurre in gita gruppi più o meno folti di turisti. Le sue origini risalgono ai pellegrinaggi verso i grandi Santuari d’Europa ed in direzione della Terra Santa. Oggi l’agenzia turistica è divenuta totem e tabù, creatura adorata ed al tempo stesso odiata in eguale misura da chi ad essa si affida e da chi di essa diffida per non dire che ne aborrisce le pratiche omologanti. Nell’ultimo decennio sono nate agenzie specializzate nella vendita di viaggi personalizzati, al di fuori degli itinerari più battuti. Tutto ciò per soddisfare i bisogni dei turisti sempre più esigenti. Una recente ricerca di mercato commissionata in Gran Bretagna ha individuato 4 tipi di turista: i turisti di massa organizzati (coloro che comprano solo viaggi “tutto organizzato”), il turista di massa individuale (è il più libero ed autonomo dal gruppo, ma stabilisce rigorosamente prima della partenza del viaggio l’intero svolgimento), l’esploratore (cerca accuratamente itinerari poco frequentati o insoliti da fare da solo o in gruppi, per questo, il più delle

volte, spende molto di più dei precedenti), infine il cosiddetto vagabondo (evita qualsiasi organizzazione turistica e cerca contatti diretti con la realtà locale, gestisce quotidianamente il proprio tempo libero e decide alla giornata dove recarsi durante il viaggio). Ma la molla che porta a decidere la destinazione e il tipo di viaggio rimane sempre quello che i sociologi chiamano la “giustificazione” sociale, cioè l’accettazione nel proprio contesto sociale dell’azione che sta per compiere. Un operaio che fino a qualche anno addietro fosse andato a fare le vacanze alle Seychelles, sarebbe stato guardato con sospetto o molta diffidenza, oggi non “può fare a meno”, socialmente parlando, di recarsi appunto nell’Oceano Indiano per trascorrere una vacanza. I gusti e le mode di questo settore riflettono in modo fedele virtù e vizi delle società che generano i flussi turistici. Così come la grande maggioranza dei turisti cerca lo svago durante le vacanze, altri cercano la trasgressione agognata e sognata, ma mai realizzata, nei luoghi dove risiedono abitualmente. Da qui il fenomeno del turismo sessuale e di una delle sue derivazioni più degeneri, la pedofilia. Ma la trasgressione non ha solo risvolti sessuali. Bisogna stravolgere anche la propria routine giornaliera, la gestione del tempo libero, delle abitudini, dell’investimento affettivo nei rapporti di amicizia temporanea che si stabiliscono, ecc. Il turismo internazionale è sempre di più la valvola di sfogo per milioni di persone che si sentono “limitate” nelle società di cui fanno parte, dove tutto è organizzato e tenuto sotto controllo, dove l’emozione è programmata e contenuta. Per contro l’immagine che le popolazioni dei paesi scelti dai turisti si fanno è che gran parte degli occidentali sono ricchi sfondati, non lavorano molto, amano dissipare i soldi, vestono in modo indescrivibile e non conoscono alcun tipo di codice morale di comportamento.

di VALENTINO VALENTINO

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LA PAURA E LA SPERANZA Europa, la crisi globale che si avvicina e la via per superarla La paura e la speranza di Giulio Tremonti Mondadori, 2008, pp. 111, euro 16,00 Letto da Giampaolo Persoglio

Come una puntuale Cassandra si sono avverate le (peggiori) ipotesi del ministro Tremonti sulla crisi, finanziaria prima che economica, che ha colpito il mondo in autunno. Nel libro La paura e la speranza, uscito nella scorsa primavera, si faceva cenno alle prime avvisaglie riguardo la crisi dei mutui negli Usa che avrebbero portato, secondo il ministro, ad un crac strutturale nel mondo delle banche, causato dalla diffusione di strumenti di investimento basati sul debito che, se non sorretto da un movimento sempre continuo di capitali, avrebbe creato un buco e poi una voragine che ha fatto recentemente sprofondare nomi di primo piano della finanza mondiale. Una critica diretta a quella che da alcuni anni viene chiamata tecno-finanza, in cui i soldi investiti finiscono in prodotti di dubbia provenienza, dubbia nel senso proprio della parola e che il gioco dei “derivati” fa’ sì che non sia più rintracciabile la matrice reale a cui il prodotto di investimento è collegato. Ma non è questa la sede più appropriata per discutere di temi finanziari, quello che è interessante dell’analisi di Tremonti, rapportata alle tematiche che ci competono e stanno a cuore, è la critica spietata ad un sistema economico finanziario, e più approfonditamente sociale, che ha portato alla situazione attuale di degrado ambientale e più ampiamente della qualità della nostra vita. La Paura Per meglio analizzare la prima parte del libro è necessario tornare vergini rispetto alla percezione del Tremonti ministro dell’economia stile primo e secondo mandato Berlusconi, in cui sulle TV apparivano spot che invitavano ad “acquistare per far girare l’economia”. L’analisi di oggi parte da un auspicio: il ritorno ai veri valori della vita, della famiglia e dell’economia reale, messi in secondo piano dall’idolo al quale tutti si sono immolati, il mercatismo, figlio degenerato del liberismo e della politica di globalizzazione attuata in seguito all’accordo della WTO del 1991. La globalizzazione ha portato, secondo Tremonti, ad aprire le frontiere a merci e prodotti di basso costo e pari qualità, necessari solo a soddisfare bisogni di seconda o terza scelta, vieppiù effimeri, che hanno aiutato lo sviluppo di economie basate sul basso costo dei salari e sullo sfruttamento senza controllo di risorse e fattori produttivi. “Mercatismo e ambientalismo sono infatti termini tra loro incompatibili. Non ci può essere ambientalismo con mercatismo invariato. Non ci può essere ambientalismo con sviluppo forsennato.” E’ la prima affermazione forte che compare già dalle prima pagine del libro ed è pesante perché crea una rottura evidente con la politica di centro-destra degli ultimi anni, quella che, tanto per capire, è auspicata dai vertici dei Confindustria, tale per cui lo sviluppo non può essere bloccato da politiche ambientali coercitive (“le misure pro-Kyoto una palla al piede per l’economia italiana”, come ha recentemente affermato la Marcegaglia). Guardando su scala globale si fa avanti una paura, neppure troppo lontana, che i Paesi in via di sviluppo, seguendo il modello del Nord-Ovest del mondo, rendano il bilancio ambientale insostenibile, a causa della crescente e incontrollata domanda di energia e di materie prime per il soddisfacimento di sempre crescenti bisogni. Il mutamento climatico è diretta conseguenza delle azioni umane, e questa è una affermazione neanche tanto scontata per chi fa parte di una fazione che ha sempre apertamente criticato le voci che vogliono le attività umane responsabili dell’aumento della temperatura. Tremonti chiarisce che è sì vero che il riscaldamento del pianeta è un fenomeno che ciclicamente si ripete nella storia per cause probabilmente astronomiche, ma considera proprio per questo scellerata la scelta delle nazioni di non prendersi carico delle responsabilità industriali, aumentando ed aggravando con l’immissione di gas serra il problema del surriscaldamento. La critica quindi appare chiara ad un sistema socio-economico ed a stili di vita che, se da una parte sono evidentemente causa di disastri ambientali, dall’altra non hanno contribuito a migliorare le nostre condizioni di vita, anzi le hanno sensibilmente peggiorate. Peggiorate perché hanno aumentato i nostri bisogni e le nostre insoddisfazioni, creando, attraverso la logica del mercatismo, un modello unicizzato di uomo-consumatore, adoratore di uno stile di vita unico e globale che ha distrutto i vecchi valori spirituali e morali soppiantandoli con la cultura del consumo, una dimensione materialista e allo stesso tempo globalizzata, unica per qualsiasi latitudine. A questo punto la critica diviene politica, e l’autore punta decisamente contro il pensiero di sinistra che avrebbe favorito questo livellamento e questa distruzione dei valori. La logica comunista, secondo Tremonti, si sarebbe evoluta, sotto la spinta dell’ideologia del progresso e della massificazione, nel nuovo mercatismo, in cui sarebbero state recise le radici delle tradizioni e delle tipicità culturali per essere immolate sull’altare di una nuova “internazionale”, quella dello sviluppo e dei consumi. Il mercato globale quindi come realizzazione dell’utopia comunista del mercato regolato e controllato e spinto fino alle sue estreme conseguenze. La perdita di valori e tradizioni sarebbe la principale causa del declino dell’Europa, sovrastruttura nazionale che, secondo Tremonti, dimenticando la propria origine sarebbe incapace di regolare e governare le forti spinte che arrivano dai paesi emergenti, spinte in termini di immigrazione e invasione di merci a basso costo. Le politiche europee hanno la grave colpa di rendere il mercato interno gravemente penalizzante nei confronti delle imprese degli stati membri, gravandole di leggi e regolamenti che sono invece estranei alle imprese extra UE, facilitate quindi ad introdursi e a conquistare spazi nei nostri mercati. C’è da dire che, in questa prima parte del libro, pur essendo la critica spie-

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tata e diretta verso stili di vita e modelli di sviluppo, rimane sempre troppo circostanziata ed evita di colpire direttamente un qualsivoglia bersaglio. Difatti, in un interessante passo in cui si riferisce al Pil, Tremonti dice che “sta per la verità diventando di moda in Europa una tesi consolatoria secondo la quale il Pil non è un indicatore completo, perché non contiene tante cose belle della vita. […] Bello ma insostenibile, perché il sistema sociale europeo è come una grossa moto, leggera da guidare fintanto che si è in corsa, pesante invece da tenere, fino a diventare insostenibile, se la velocità rallenta progressivamente”. Questa tesi spiega sostanzialmente che il diminuire del Pil coinciderebbe con una crisi per il mantenimento degli alti standard di spesa pubblica dedicata ai servizi sociali, come si farebbero quindi a garantire le spese per l’alto numero di anziani se vengono a mancare i contributi dei contribuenti? L’analisi, per quanto reale, non tiene conto però di come il denaro pubblico viene speso, degli sprechi, dell’evasione fiscale, dell’iniquità delle aliquote per le diverse fasce di reddito. Più in là nel libro, però, Tremonti offre uno spunto interessante e condivisibile, in cui risponde a sé stesso dichiarando che una soluzione efficace e tenuta ancora in poca considerazione sarebbe quella di investire nel volontariato e nella fornitura di servizi sociali da parte dei cittadini che hanno volontà e possibilità di dedicare tempo e risorse per gli altri, per l’ambiente, per chi è in difficoltà. L’intuizione è meritevole di lode, peccato che l’autore non sa o dimentica che intorno a questa idea non nuova esiste e cercano disperatamente di crescere le esperienze delle banche del tempo, dei G.A.S., di chi si dedica internamente alla famiglia, ai propri anziani e a propri figli e che chiedono da tempo di essere riconosciuti come membri attivi della società, anche se non producono reddito e non sono voci nell’attivo del Pil. La speranza In un quadro così fosco e problematico, di speranza sembra essercene poca. Ma non secondo Tremonti, che cerca di dare comunque delle risposte alle domande poste nella prima parte del libro. Di speranza ce n’è poca secondo noi, che leggiamo le proposte dell’autore, il quale propone temi condivisibili, ma senza mai entrare nel merito di ciò che realmente si potrebbe e dovrebbe fare. E’ evidente una buna dose di intenti, ma manca pragmatismo nelle proposte. Assolutamente condivisibili gli auspici di un ritorno ai valori, all’identità, alla famiglia, all’ordine e alla responsabilità. Sono slogan buoni per una campagna politica che vuole recuperare quella matrice della destra “storica” che è evidentemente mancata negli ultimi anni di “melting pot” politico da parte del centro-destra. Il problema è che questo programma rimane sulla carta del libro e litiga con la realtà di una politica applicata dal governo che poco fa per rendere reali le promesse. Il problema si fa più evidente man mano che si prosegue: un altro caposaldo delle speranze di Tremonti risiede nel federalismo, con la devoluzione di molte delle competenze dalla stato centrale agli enti locali; peccato che la cancellazione dell’ICI, per quanto ben accetta dai cittadini, abbia di fatto impedito l’indipendenza economica delle regioni e dei Comuni e quindi tarpato le ali al federalismo fiscale. Ma veniamo a ciò che ci è più a cuore: in merito alle politiche ambientali, l’unica proposta che viene sollevata è quella di introdurre una politica energetica europea che si basi sul nucleare, nessun accenno al risparmio e all’efficienza, niente riguardo al decentramento della produzione, nulla in merito alle fonti rinnovabili. In sostanza nessun programma di sistema sul problema del consumo e del fabbisogno, solo una soluzione, sappiamo quanto poco risolutiva, in merito alla questione dell’approvvigionamento. Nella prima parte del libro era stata così incisiva la critica al modello di sviluppo e dei consumi che ci saremmo aspettati delle soluzioni ad esse relative ed invece anche qui nessun accenno ad una razionalizzazione della produzione magari con un ritorno allo sviluppo delle politiche agricole, nessuna proposta in merito alle opportunità economiche derivanti dalle nuove tecnologie per l’efficienza e il risparmio energetico, nessuna idea nuova circa il sistema di mobilità e trasporti, neppure un accenno alla riduzione dei rifiuti ed allo smaltimento. Per finire neanche un accenno a politiche generali ambientali di recupero e salvaguardia del territorio, né a proposte in merito alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale. Troppe aspettative da parte nostra? Può darsi, il problema però è più strutturale. Se la visione di partenza è stata una visione d’insieme riguardante l’economia, la sociologia e l’ambiente, coinvolgendo la finanza, l’industria, i modelli di sviluppo, le ideologie, gli stili di vita, le speranze e le aspettative di vita, la filosofia e la storia, non è pensabile di non riuscire ad avere una visione strutturale anche delle possibili soluzioni. Il signor ministro dell’economia raccoglie la maggior parte delle responsabilità che un Governo ha nei confronti dei propri cittadini, ha la facoltà e la responsabilità di unire in unico indirizzo tutti i possibili interventi, favorendo e ispirando le attività dei ministeri “satelliti”. Per questo motivo, ad esempio, non è possibile pensare ad una politica energetica che non tenga in considerazione il risparmio e quindi l’impatto nei confronti dei consumi, l’importanza delle fonti rinnovabili in prospettiva dello sviluppo di nuove realtà imprenditoriali, oppure l’impatto che potrebbe avere una nuova politica riguardo il ciclo di produzione e smaltimento dei rifiuti. Sono tematiche sì complesse ma quanto mai drammatiche che andrebbero integrate in un’unica visione programmatica volta ad indirizzare il Paese ed i cittadini verso una nuova dimensione sociale e politica. Se chi ci governa non vede la speranza intrinseca in queste idee nuove allora è certo che nei cittadini non può che vincere la paura di non avere una visione nel domani.


ciao paolo Sono passati più di quattro anni da quel 25 marzo 2005. Ho voluto scorrere - ancora una volta con un groppo alla gola - gli innumerevoli messaggi pervenuti all’indomani della prematura scomparsa di Paolo Colli. Ci sono testimonianze, ricordi, semplici attestazioni di stima. Perfino dei versi. Provengono da giovani ed anziani, da italiani e da stranieri, da persone di diverso credo politico e religioso. Tutti insistono sulle qualità umane di Paolo Colli. Spigolo qua e là tra i tanti (tutti significativi): “Ci ha dato esempio di dedizione e di militanza….” “E’ stato bello conoscerti e vedere che esistono ancora persone in cui credere.” “Vorrei essere come te, Paolo… troppo impegnato a spegnere incendi, a raccogliere rifiuti, a sognare un altro mondo per avere il tempo di interessarsi a se stesso.” “…Kosovo had a lost a great bridge maker, a person that always that had sacrificed his body for the right of freedom around globe! “ ”Barche a vela o gabbiani, per l’occhio si scambiano, tra le curve chiare del mare allegro. Voleranno ancora, tutti, con te.” Fondatore di Fare Verde nel 1986, vera anima dell’associazione, Paolo Colli ha legato il suo nome a tutte le iniziative che Fare Verde ha portato avanti nella sua più che ventennale storia: dal Mare d’inverno alla battaglia sui cotton fioc, dai progetti di solidarietà internazionale nel Kosovo e da ultimo in Nigeria ai campi antincendio, dal riconoscimento ministeriale alle campagne nazionali, tra le quali quella per il vuoto a rendere e quella per il compostaggio. Facendo suo il pensiero di Alex Langer, che invitava i movimenti verdi a non appiattirsi sui partiti tradizionali e a cercare una sintesi di valori tanto di destra che di sinistra, Paolo fece in modo che Fare Verde divenisse affatto autonoma dai partiti (tra cui quello di riferimento che era il vecchio MSI) e dai gruppi economici, riunendo intorno ad un’idea forte, da tutt’Italia, una comunità umana. Con un metodo preciso: il dono di sé, il volontariato al 100%, senza compromessi e senza padroni. E con il coraggio di percorrere strade non facili e non troppo battute. Ben presto a Fare Verde si avvicinarono persone d’ogni provenienza politica e culturale accomunate dal metodo del volontariato e dalla critica al modello di sviluppo capitalistico. Nei suoi interventi Paolo era preciso, ricco di dettagli tecnici e attento alle linee guida di una visione dell’ecologia, che non si limiti ad inseguire emergenze e soluzioni provvisorie o pasticciate. Di Paolo mi aveva colpito fin dal lontano 1991, quando l’avevo conosciuto in occasione di una campagna per il vuoto a rendere e per la riduzione dei rifiuti, questo duplice aspetto: lo slancio romantico, il bisogno di darsi da un lato e la preparazione culturale e scientifica, la meditata proposta di soluzioni dall’altro. Sapeva assommare dentro di sé l’amore per la natura vivente e la nobiltà dell’azione, Francesco d’Assisi e Giovanni dalle bande nere. Il vero ecologista, amava ripetere, non è chi vuole tornare indietro, ma chi sa guardare al cuore dei problemi, chi sa proporre soluzioni di ampio respiro, in cui scienza, tecnica ed economia siano dalla parte della natura vivente, affrancate dall’inseguimento del profitto ad ogni costo.

Il 25 marzo 2005, era venerdì santo, paolo colli è scomparso prematuramente all’età di 44 anni. da 6 anni si recava sistematicamente in kosovo per portare aiuti umanitari, formazione e cultura del dialogo tra giovani di etnie separate dall’odio. Un odio esploso in una guerra sanguinosa e non ancora sopito. il kosovo era stato bombardato con gli scarti dell’industria nucleare civile: l’uranio impoverito. Paolo è stato sopraffatto da una leucemia. “Abbiamo dato - diceva in uno dei suoi interventi che mi sono appuntato - uno slogan al nostro agire, che è dare voce a chi non vota, cioè farsi interpreti di tutti quegli interessi che non trovano risposte in questo sistema e che vengono compressi: dagli animali agli alberi, ai mari, ma anche e soprattutto alle generazioni future” Ecologia come questione di civiltà, l’uomo come centro di doveri e non solo di diritti. Ecco, in due parole, l’ideale che Paolo ha perseguito con tenacia nel corso della sua vita, senza risparmiarsi, a volte sacrificando gli affetti più cari, spesso pagando di tasca propria, partendo dal semplice quotidiano per elaborare campagne, interventi, azioni. Ben si adatta alla sua personalità il detto di Ezra Pound: “Ho cercato di non vedere il mare nella mia tazza di the personale.” Fare Verde con Paolo ha perduto un fratello maggiore su cui contare nei momenti difficili, un capo riconosciuto, una guida lungimirante ed intelligente. Il seme gettato, però, non è andato perso. Ciao Paolo.

civitella alfedena (AQ) - Roma

Giovani serbi e kosovaro-albanesi insieme per l’ambiente Sono passati ormai 10 anni, da quando, nel 1999, scoppiò la guerra del Kosovo, che Fare Verde porta avanti progetti di cooperazione nell’area balcanica, allo scopo sia di promuovere una pacifica convivenza tra i diversi gruppi etnici e sia di sviluppare una più diffusa cultura ambientale. Nell’ambito di tale cooperazione, la nostra associazione ha ospitato, lo scorso aprile, 12 giovani di diversa appartenenza etnica per un seminario su tematiche ecologiche e per scambi culturali con loro coetanei italiani. Si tratta dei concorrenti di “CooperaTiVa”, un ironico programma televisivo realizzato nei Balcani la scorsa estate e andato in onda tra l’autunno e l’inverno sulle emittenti nazionali B29 in Serbia e RTK in Kosovo. I partecipanti al progetto “CooperaTiVa”, tutti di età compresa tra i 18 e i 21 anni, provengono da Serbia e Kosovo: 8 di loro rappresentano le comunità di maggioranza serba e albanese e 4 appartenengono alle minoranze (un ungherese e un albanese che vivono in Serbia, e un turco e un serbo che vivono in Kosovo). I ragazzi erano stati selezionati tra circa 200 candidati, partecipando ad una formazione preliminare sulla risoluzione pacifica dei conflitti, dove si erano distinti per la capacità di sviluppare relazioni all’interno di un gruppo interetnico. Il Progetto prevedeva la divisione dei partecipanti in due squadre interetniche, impegnate in un ironico e dinamico “reality show” in 9 episodi. Niente a che fare, fortunatamente, con “il Grande Fratello”: non c’erano telecamere che riprendessero i partecipanti 24 ore su 24 nelle loro banali conversazioni, ma si è trattato di un esperimento di pacifica convivenza trattato con il linguaggio contemporaneo dei media. In ciascun episodio, le due squadre erano in competizione per il superamento di prove finalizzate al coinvolgimento dei giovani in problematiche sociali e ambientali. Le due squadre si sono trovate, quindi, a ripulire una spiaggia in Montenegro, a raccogliere fondi per mandare a scuola i bambini Rom, a realizzare una campagna antifumo o a svolgere attività agricole in un contesto rurale tradizionale. Al termine di ogni episodio, veniva premiata una delle due squadre in base a tre differenti parametri. Il primo era quantitativo e dipendeva dalla prova affrontata: ad esempio, quanti rifiuti raccolti sulla spiaggia oppure quanti soldi raccolti per i bambini Rom. Gli altri due parametri premiavano la creatività dei giovani nello svolgimento della prova e la capacità di fare squadra.

Premio finale per la squadra vincitrice al termine dei nove episodi è stato un viaggio-studio in Italia organizzato da Fare Verde e finalizzato alla formazione dei giovani concorrenti in materie ambientali. L’esperienza in Italia ha avuto come obiettivo quello di consolidare ulteriormente i legami tra i giovani del gruppo interetnico e di dare loro una preparazione di base in modo da poter essere poi coinvolti nei progetti di cooperazione ambientale che Fare Verde svolge in Kosovo. In particolare, l’obiettivo è stato quello di coinvolgere i giovani nelle attività di una area protetta transfrontaliera tra Kosovo, Montenegro e Albania, il “Balkan Peace Park”, e nelle attività per rendere autosufficiente dal punto di vista dell’energia elettrica una scuola tecnico-professionale a Peja/Pec in Kosovo. I giovani hanno quindi partecipato ad un seminario sui temi della tutela ambientale che si è tenuto tra Pescasseroli e Roma e che ha riguardato la conservazione della natura, con riferimento al modello del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise come riferimento di eccellenza per analoghe aree protette in via di costituzione nei Balcani e le problematiche energetiche, che sono state trattate dal Polo didattico dell’ARPA Lazio - Agenzia regionale per la Protezione Ambientale del Lazio. Il tema energetico è stato trattato anche nel corso di una visita alla Scuola Pietro Metastasio di Cave, in provincia di Roma, dove Fare Verde ha contribuito a realizzare un intervento finalizzato alla riduzione dei consumi energetici dell’edificio scolastico. I giovani sono inoltre stati coinvolti in momenti di scambio culturale con loro coetanei italiani sui temi del volontariato e della partecipazione attiva alla vita delle comunità locali di appartenenza. Le attività ricreative, di formazione e di scambio culturale, sono state organizzate da Fare Verde con il contributo del Ministero della Gioventù e dell’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Roma e con la partnership dell’Ente Parco Nazionale dell’Abruzzo, Lazio e Molise e dell’ ARPA Lazio. Il progetto “CooperaTiVa” è stato finanziato da AED - Academy for Educational Development, una ONG statunitense con sede principale a Washington D.C. (USA) ed ha come obiettivo il superamento del pregiudizio etnico, attraverso il coinvolgimento dei giovani in un’esperienza che li rendesse protagonisti del cambiamento e proponesse un modello culturale basato sulla tolleranza e il rispetto delle reciproche identità.

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aiutaci CON IL 5x1000 DELLE dai una mano all’associazione TUE TASSE: non ti costa nulla. delle scelte difficili La scelta di essere sempre dalla parte dell’ambiente, senza padrini, senza padroni, di lavorare per una società equa, solidale, ecologica è una scelta che ci costa. Dal 1986 la paghiamo in termini di impegno personale e in termini economici. Da oggi puoi pagarla anche tu, senza sborsare un centesimo in più.

non accettiamo sponsorizzazioni per preservare la nostra libertà di opinione ed espressione, non accettiamo denaro da aziende. Viviamo solo con le quote versate dai nostri soci e i contributi di Amministrazioni Pubbliche (quindi, fondi dei cittadini) che condividono i nostri progetti.

VERSA IL 5x1000 DELLE TUE TASSE A FARE VERDE Versare il 5x1000 delle proprie tasse a Fare Verde ONLUS anche quest’anno è possibile e non costa nulla, come l’8x1000 destinato alla Chiesa Cattolica o alle altre religioni previste dai modelli dell’Agenzia delle Entrate.

siamo tutti volontari siamo forse l’unica Associazione nazionale che non ha neanche una segretaria da pagare. Dal Presidente al semplice iscritto siamo tutti volontari. E’ una scelta culturale di impegno disinteressato per l’ambiente, ma è anche un modo per evitare che il denaro e l’economia siano l’unica misura della qualità della nostra vita. Pensaci, il nostro lavoro non retribuito crea servizi senza figurare nei conti del PIL!

Basta compilare la scheda del 5x1000 presente in tutti i moduli per la dichiarazione dei redditi (CUD, 730 e modello Unico), con il codice di Fare Verde ONLUS:

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Se non sei obbligato a presentare la dichiarazioni dei redditi, ma percepsci redditi (ad esempio la pensione), puoi sempre consegnare solo la scheda, insieme a quella dell’8x1000.

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Fare Verde è una ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale) ai sensi del del D.Lgs. n° 460/97 ed è Associazione di Protezione Ambientale riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art.13 della Legge 349/86. Le attività di Fare Verde le trovi on line: digita www.fareverde.it La Sede Nazionale è a Roma in via Ardeatina 277 - T/F 06 700 5726

proponiamo il vuoto a rendere sugli imballaggi per ridurre i rifiuti, nonostante lo strapotere economico delle lobby degli imballaggi e degli inceneritori. promuoviamo il compostaggio dei rifiuti “umidi” perchè la frazione organica, nonostante sia in termini quantitativi la più importante, è la meno sponsorizzata. puliamo il mare d’inverno puliamo le spiagge a gennaio, quando non servono ai bagnanti e il problema dell’inquinamento del mare non fa audience...

MODELLO CUD

scheda per la scelta della destinazione del cinque per mille dell’irpef (riservata ai contribuenti esonerati dalla presentazione della dichiarazione dei redditi)

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xFare+verde: la nostra rivista, dal 1995 senza pubblicità difendiamo l’indipendenza editoriale della nostra rivista bimestrale scegliendo di non avere neanche una riga di pubblicità. E ci riusciamo. Dal 1995. Ininterrottamente. ci battiamo per il dialogo interetnico in kosovo ci battiamo perchè sia superato l’odio tra serbi e albanesi in Kosovo. Lavorando sulle nuove generazioni. siamo al fianco dei più deboli, nel sud del mondo abbiamo “adottato” l’Ospedale di Emekuku, in Nigeria e ci battiamo per promuovere un commercio internazionale equo e solidale.

Fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. Quelle che costano caro. è il nostro metodo. Perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno concreto. Da subito. Da tutti.

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ad agosto siamo ai campi estivi antincendio in prima persona ci impegnamo per difendere i nostri boschi dalla piaga degli incendi boschivi. Intervenendo direttamente sul fuoco. Senza delegare. Niente. A nessuno.

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Fare Verde ONLUS via Ardeatina 277 - 00179 Roma - Tel/Fax 06 700 5726 www.fareverde.it - info@fareverde.it


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