xFare+Verde n.70

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Dossier Green Economy analisi di una realtĂ emergente. pagina 10

Osteopatia Il trattamento osteopatico e le reazioni pagina 20

â‚Ź 2,50 #70/maggio - ottobre 2011

Referendum In manifestazione con Paolo nel cuore. pagina 6

bimestrale di ecologia senza compromessi

Una vittoria piĂš importante di quello che appare. pagina 5

13 giugno 2011: sconfitto il nucleare. E ora...

in cammino verso il futuro


alcuni dei partecipanti al campo estivo nazionale di volontariato - Tagliacozzo (AQ) 2011

Inviateci le foto del vostro gruppo locale: info@fareverde.it

comunità

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7 buoni motivi per sostenere FARE VERDE non accettiamo sponsorizzazioni per preservare la nostra libertà di opinione ed espressione, non accettiamo denaro da aziende. Viviamo solo con le quote versate dai nostri soci e i contributi di Amministrazioni Pubbliche (quindi, fondi dei cittadini) che condividono i nostri progetti. siamo volontari per l’ambiente E’ una scelta culturale di impegno disinteressato per l’ambiente, ma è anche un modo per evitare che il denaro e l’economia siano l’unica misura della qualità della nostra vita. Pensaci, il nostro lavoro non retribuito crea servizi senza figurare nei conti del PIL!

riduciamo gli sprechi energetici realizziamo progetti per ridurre i consumi energetici a parità di servizi, dimostrando sul campo che il nucleare non serve.

puliamo il mare d’inverno puliamo le spiagge a gennaio, quando non servono ai bagnanti e il problema dell’inquinamento del mare non fa audience...

proponiamo il vuoto a rendere sugli imballaggi per ridurre i rifiuti, nonostante lo strapotere economico delle lobby degli imballaggi e degli inceneritori.

xFare+verde: la nostra rivista, dal 1995 senza pubblicità abbiamo scelto di non avere neanche una riga di pubblicità, per garantire l’indipendenza editoriale della nostra rivista.

promuoviamo il compostaggio dei rifiuti “umidi” perchè la frazione organica, nonostante sia il 30% dei rifiuti, è la meno sponsorizzata.

Fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. Perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno concreto. Da subito. Da tutti.

Essere sempre dalla parte dell’ambiente, senza padrini, senza padroni è una scelta che ci costa. Dal 1986 la paghiamo in termini di impegno personale e in termini economici. Da oggi puoi pagarla anche tu, iscriviti subito a Fare Verde. Cerca il coupon nella rivista o vai su www.fareverde.it


Referendum: vittoria e nuove prospettive.

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Gli italiani hanno detto NO al nucleare. Un’altra volta, dopo il 1987, e stavolta ci auguriamo in maniera definitiva. Noi, l’abbiamo combattuta da sempre, la battaglia contro le centrali atomiche. E non solo per via delle paure legate ai possibili incidenti; con il nucleare, abbiamo messo sotto accusa un sistema economico drogato di energia, e abbiamo messo in discussione l’imperativo stesso della “crescita, costi quel che costi”. Questi temi hanno cominciato a far breccia tra gli italiani, che, con il voto referendario, mostrano di aver compreso che qualità della vita e quantità dei consumi non vanno di pari passo. Vinta la battaglia contro le centrali, dobbiamo ora riprendere il cammino per la riduzione dei consumi, attraverso l’efficienza energetica ed una maggiore sobrietà, e per un modello distribuito e diffuso di energie, fondato il più possibile su piccole sorgenti rinnovabili locali. E NO hanno detto alla mercificazione di un bene essenziale quale l’acqua. Sappiamo, come ambientalisti, che sullo sfondo ci sono altri problemi, legati alla risorsa acqua. A partire da quelli della qualità e dell’uso sostenibile e rinnovabile di un bene che con il passare degli anni rischia di essere disponibile, anche in Italia, in quantità sempre minori; e ci dispiace che il dibattito sui referendum raramente abbia fatto emergere tali aspetti, tutto concentrato invece sul chi doveva gestire il servizio idrico, come se l’affidamento al privato o al pubblico fosse in sé, per dogma, garanzia di buona o cattiva gestione, cancellando ideologicamente tutte le esperienze già note. Ma era proprio l‘ostinazione ideologica contenuta nella legge Ronchi, volta a imporre la privatizzazione quale unica via, che non ci convinceva. A noi, che nella politica continuiamo a credere, l’idea che il pubblico debba irrimediabilmente coincidere con carrozzoni clientelari, sprechi e cattiva gestione (che pur ci sono, e intendiamo combatterli anziché tollerarli) non ci sta bene. E la vittoria referendaria deve valere non solo come punto di arrivo di una battaglia contro il profitto e l’invadenza del mercato, ma anche come punto di partenza per una nuova gestione del pubblico, efficiente, seria e responsabile. Ma ci piace sottolineare anche un altro aspetto, dell’esperienza referendaria. Ed è quello della grande mobilitazione delle associazioni, dei comitati, della gente, a difesa del loro territorio e dei beni co-

muni. I referendum sono stati una loro conquista, ottenuta prima raccogliendo le firme in mezzo alla gente, poi convincendo gli elettori a recarsi alle urne, per sconfiggere il principale nemico, l’astensionismo. Una conquista ottenuta con esigui mezzi finanziari, con limitato accesso ai grandi mezzi di comunicazione (ad eccezione di internet), contro le resistenze ed i sabotaggi dei principali partiti politici e dei grandi gruppi economici, ma con grande passione e volontà. Allo squallore della politica istituzionale, gli italiani hanno dato una bellissima risposta di partecipazione. Una mobilitazione, peraltro, che ha unito gente di diversa estrazione, politica e culturale. I 25 milioni di italiani che hanno votato contro il nucleare e la privatizzazione dell’acqua, sono cittadini di varie tendenze e appartenenze, elettori di destra, di centro o di sinistra, come anche di nessuna di queste categorie, che anche stavolta sono apparse alquanto inadeguate a rappresentare gli schieramenti. Alla politica delle tifoserie ed alle contrapposizioni viscerali in nome di ideologie antiche si è sostituito il confronto sui veri problemi dell’oggi. Ora, ci auguriamo che questo spirito referendario, fatto di voglia di partecipazione e di indipendenza rispetto ai partiti, sopravviva al voto di giugno. Un monito ai politici del Palazzo e le lobbies di affari che li corteggiano, che fuori esiste un Popolo in grado di reagire e mobilitarsi, a difesa del proprio futuro. Un grazie speciale, infine, ai nostri militanti, che nella battaglia contro il nucleare hanno dato un generoso contributo, spesso protagonista. Per Fare Verde, che mosse i suoi primi passi partendo proprio dalla tragedia di Chernobyl, questa battaglia ha avuto anche un significato speciale, di sentimenti, legato al ricordo delle nostre origini. E vedere le nostre bandiere partecipare, spesso in prima fila, in tutti i cortei, nei presidi, nelle biciclettate, nei convegni, nei volantinaggi, nei fantasiosi flashmob … (… per terre, per mari e per cieli, stavolta è proprio il caso di dirlo …), può renderci orgogliosi del cammino compiuto dalla nostra piccola comunità. E ci piace pensare che chi, 25 anni fa, ha aperto il nostro cammino, ed ora non può seguirci che dall’alto, abbia avuto un sorriso di piena soddisfazione.

Punto Verde

di Sandro Marano

Un canto brasileiro << Io non ti voglio più vedere mi fai tanto male con quel sorriso professionale sopra a un cartellone di sei metri od attaccata sopra a tutti i vetri. Non ti voglio più vedere cara mentre sorseggi un’aranciata amara con l’espressione estasiata di chi ha raggiunto finalmente un traguardo nella vita. Io non ti voglio più vedere sul muro davanti ad un bucato dove qualcuno c’ha disegnato pornografia a buon mercato.

Oh no, non ti voglio vedere intanto che cucini gli spaghetti con pomodori peso verità tre etti mentre un imbecille entrando dalla porta grida un evviva con la bocca aperta… Oh no! Ah, ma è un canto brasileiro…>>

(da Ma è un canto brasileiro di Battisti - Mogol) Nel 1973, in concomitanza con la prima crisi energetica mondiale, esce “Ma è un canto brasileiro” di Battisti-Mogol.

Il testo di Battisti tuttavia non se ne cura, piuttosto punta il dito contro la pubblicità, contro i suoi effetti deleteri e, in particolare, contro la mercificazione del corpo femminile. Le masse sono succubi della pubblicità, che è il vero motore dell’attuale modello di sviluppo e dei suoi falsi bisogni. La canzone comincia con la voce in sordina, quasi bisbigliata, per poi continuare con parole e musica e con un crescendo fino al ritornello, che pare forse alludere a quel che di utopistico presenta questa forte denuncia.

editoriale

di Giancarlo Terzano


sommario

3 Referendum: vittoria e nuove prospettive 5 Una vittoria più importante di quello che appare 6 In manifestazione con Paolo nel cuore 7 25 anni di impegno contro il nucleare 8 Foto ricordo di una storica vittoria

#70/maggio-ottobre 2011

10 Dossier. Green Economy: analisi e casi di una realtà emergente 20 Il trattamento osteopatico e le reazioni 21 Recensione: Le voci del bosco 22 Campo estivo a Tagliacozzo: volontari in pineta ed in Piazza tra i bambini 23 Campo estivo nel Parco della Murgia

xFare+Verde Idee e fatti per vivere l’ambiente Bimestrale di Fare Verde ONLUS Registrazione del Tribunale di Roma n. 522 del 24 ottobre 1995 Spedizione in abbonamento postale D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N46) Art 1, comma 2 - DCB Roma

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Alla redazione di questo numero hanno collaborato gratuitamente: Emanuela Guerra, Giancarlo Terzano, Gianpaolo Persoglio, Massimo De Maio, Patrizia Forte, Sandro Marano, Salvatore Pignalosa, Silvano Olmi, Simone Cretella, Vito Mazzilli e tutti i volontari che hanno contribuito alla splendida vittoria del 12 e 13 giugno 2011

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Una vittoria più importante di quello che appare.

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Quella del 13 giugno 2011 è stata una vittoria molto più grande di quello che il pur lusinghiero dato referendario riesce a rappresentare. Negli anni a venire le statistiche ricorderanno il dato dell’affluenza alle urne e la schiacciante percentuale dei Si. Ma oltre il freddo dato numerico c’è molto di più. C’è un mutamento culturale tanto profondo da far presagire un vero e proprio cambio di epoca. Per decenni ci hanno detto che una economia che non cresce non funziona. Generazioni di Italiani hanno digerito questo dogma e l’hanno posto alla base delle loro convinzioni. Senza distinzione di orientamento politico e culturale. Fa niente se nella crescita dei nostri consumi c’è una quota impressionante e crescente di sprechi, se per produrre una quantità sempre maggiore di merci avveleniamo terra, aria, acqua, cibo. Per accedere all’era del benessere bisognava consumare sempre di più. E per garantire negli anni a venire il costante aumento di tutti i nostri consumi, e quindi il nostro “benessere”, ci hanno ripetuto fino allo sfinimento che non si può fare a meno del nucleare: una tecnologia che riesce a produrre una quantità impressionante di energia da una piccola quantità di materia. Fa niente se poi produce scorie pericolosissime e difficilissime da smaltire. Non a caso, il maggior argomento dei nuclearisti durante tutta la campagna referendaria è stato la possibilità di avere grandi quantità di energia a “buon mercato” per sostenere una crescita irrefrenabile, illimitata e costante dei consumi. E per sostenerne la convenienza economica hanno perfino truccato i conti, come nella migliore tradizione delle economie in cui la finanza conta più delle persone. Ma il 12 e 13 giugno è accaduto qualcosa di straordinario: la maggioranza assoluta degli Italiani ha rinunciato a questa mirabolante prospettiva di “benessere” e “abbondanza” energetica. 27 milioni di pazzi? No. Gli Italiani, rinunciando per sempre all’opzione nucleare, hanno detto chiaramente che

I referendum del 12 e 13 giugno 2011 cambiano tutto: si torna a partecipare, ad essere artefici del nostro destino fuori dalle segreterie dei partiti e da categorie politiche senza alcun senso. Nelle piazze, ai mercati, tra la gente comincia a farsi strada un modello nuovo: distribuito, democratico, popolare, comunitario. per loro benessere e qualità della vita dipendono da altro: da aria, acqua, terra, cibo non contaminati, e da tecnologie innovative che ci consentono di far fronte alle nostre necessità senza sprecare risorse naturali non rinnovabili. Di questo si può essere convinti perchè rispetto al 1987 non abbiamo parlato solo di paura nucleare, abbiamo parlato anche di efficienza e energie pulite, snocciolando i dati di una rivoluzione energetica già in atto. Ma il 12 e 13 giugno gli Italiani hanno detto anche altro. Fermando il processo di privatizzazione dell’acqua hanno detto chiaramente che il mercato non può invadere qualsiasi aspetto delle nostre vite. Per decenni ci hanno detto che il mercato era il modo più efficiente per creare “benessere” e “ricchezza”. Il mercato è nella nostra cultura. Il Mediterraneo per millenni è stato solcato da mercanti e Marco Polo è giunto fino in Cina per motivi commerciali. Ma mai le logiche mercantili hanno raggiunto il livello di invadenza degli ultimi decenni. Toccando l’acqua, il mercato ha passato il limite e gli Italiani con il voto referendario hanno costruito un argine per contenerne le fuoriuscite dal suo alveo naturale. Il voto del 12

e 13 giugno non può essere compreso senza fare riferimento alla grande diffusione che stanno avendo pratiche come le Banche del tempo, i Gruppi di acquisto, l’Open Source, lo scambio non mercantile di beni e conoscenza: forme nuove di soddisfacimento dei bisogni umani fuori dalle logiche del profitto e che riportano gli scambi mercatili ad una loro dimensione fisiologica e non patologica. Sono queste le nuove forme di una economia diffusa, partecipata, vicina ai bisogni della gente e lontana dalle speculazioni finanziarie, ricollocata nel territorio in cui viviamo, capace di produrre relazioni e socialità. Infine, ha vinto la piccola scala contro le grandi concentrazioni di potere economico, politico, mediatico e industriale: il popolo dei referendum assomiglia più ad internet che alla televisione. A ben vedere, la vittoria del 13 giugno rappresenta un primo passo verso una svolta epocale che mette definitivamente in discussione l’attuale modello di produzione e consumo e, insieme ad esso, l’attuale organizzazione economica e sociale. Sta a noi, ora, completare l’opera.

speciale referendum

di Massimo De Maio


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In manifestazione con Paolo nel cuore.

speciale referendum

di Massimo De Maio

25 anni fa un gruppo di giovani sfilava per le strade di Montalto di Castro. A Chernobyl era esplosa una centrale e manifestavano contro il nucleare. Sui loro manifesti avevano scritto “A Chernobyl si è fusa un’illusione”. Tra di loro c’era un giovane Paolo Colli. Paolo e gli altri dicevano che Chernobyl non era un “incidente di percorso”, ma era la diretta conseguenza di un sistema, fondato sul primato dell’economia, sul profitto e sugli egoismi dell’individuo, che nella natura vede solo una risorsa da sfruttare. Opponendosi al nucleare, si ribellavano ad un modello disumano di produzione e consumo. Paolo credeva nelle cose che diceva e si comportava di conseguenza. Incarnare le idee in cui si crede era il suo stile e uno dei migliori insegnamenti che ci ha lasciato. Il suo cammino, iniziato dalle strade di Montalto lo porterà lontano. Ha lavorato sodo per conquistarsi la sua credibilità, per farsi spazio in un mondo ambientalista composto in gran parte da persone con percorsi politici e culturali del tutto differenti dal suo. Le notti passate “a studio” a leggere

e scrivere e le giornate passate a costruire Fare Verde, con mille iniziative in giro per l’Italia, non si contavano. Mai il tempo per una pizza, un cinema, una serata rilassata. Era sempre di fretta. Sembrava quasi consapevole del fatto che avrebbe avuto meno tempo di altri. “L’ambiente non può attendere” disse a Berlusconi al suo primo mandato. Era il 1994 e fece arrabbiare parecchi suoi amici. Poi se la prese con Matteoli. Che più tardi ricambiò: da Ministro dell’Ambiente faticò a firmare il decreto di riconoscimento di Fare Verde. Era il 2003. Paolo non la mandava a dire. Qualche suo amico politico se la prendeva, come quando Paolo con i ragazzi di Fare Verde decise di boicottare la Francia per gli esperimenti a Mururoa. Lui rispondeva con una risata. Alza-

va le spalle andava avanti. Non c’era modo di fermarlo. Paolo non conosceva il compromesso. “Se c’è un prezzo da pagare, facciamo da soli” ripeteva a chi gli chiedeva perché non sfruttasse le sue numerose amicizie politiche non per sé, sarebbe stato impossibile, ma per Fare Verde. È lui che ci ha insegnato a non accettare sponsor privati: “se ti pagano, come fai a criticarli?”. Paolo ci ha insegnato a vivere da uomini liberi. In una riunione del direttivo di Fare Verde propose di rinunciare al riconoscimento faticosamente ottenuto dal Ministero dell’Ambiente dopo 7 anni di trafile burocratiche. Doveva essere un gesto di protesta contro le politiche del Ministro. Non arrivammo a tanto. Ma deliberammo che non ci sarebbe stata alcuna collaborazione con un Ministero di cui non condividevamo le scelte. Questo vizio non ha abbandonato Fare Verde. Anche oggi, con l’ultimo Ministro la tradizione continua. Siamo ecologisti “romantici” diceva alle assemblee. Qualcuno se ne accorse, e definì addirittura Fare Verde come una associazione “Amish”. Paolo ci ha insegnato a spendere una parte del nostro tempo e delle nostre risorse in volontariato, per agire in prima persona in difesa della Natura, ma anche per costruire relazioni umane non mediate dal denaro. Volontariato per Paolo non significava mancanza di serietà, puntualità e professionalità. “Il campo non è una vacanza” era il monito per chi preparava zaino e sacco a pelo per andare una settimana in un rifugio senza elettricità e senza acqua corrente, a svolgere un servizio antincendio a difesa dei monti di Formia. Tra gli ambientalisti italiani che hanno avuto il piacere di conoscerlo era stimato e apprezzato per la sua radicalità costruttiva, la sua tenacia, la sua onestà intellettuale, la sua coerenza e la sua competenza in tema di rifiuti. Con Michele Boato lavorò alla campagna “risorse e rifiuti”, producendo uno dei primi studi sull’impatto am-


bientale del consumo di acqua minerale in bottiglia. All’ARPA Lazio, di cui fu vicedirettore, con Bruno Placidi, produsse uno studio per un progetto-pilota da realizzare con la Provincia di Roma: il latte della centrale di Roma in vuoto a rendere per bar, alberghi e ristoranti. Il vuoto a rendere era uno dei suoi punti programmatici. E poi la battaglia per liberare le nostre spiagge dai bastoncini cotonati nettaorecchie, con l’approvazione di una legge che metteva al bando quelli non biodegradabili, e le campagne per il compostaggio. Da Montalto di Castro Paolo è arrivato in Kosovo. Prima con aiuti umanitari, erano i primi mesi dopo la guerra, poi con l’educazione, la formazione e il sogno di superare il pregiudizio etnico esacerbato da una guerra cruenta e sanguinaria. Centinaia di bambini serbi e albanesi hanno frequentato i corsi di lingua italiana e di educazione ambientale organizzati da Fare Verde in Kosovo. Altrettanti sono venuti in vacanza in Italia dove, con giochi, animazione e socializzazione, si confondevano fino a non farci capire più chi fosse il serbo e chi l’albanese. In Kosovo Paolo ci è andato per 6 anni consecutivi, molte volte all’anno. Dopo 6 anni una leucemia ce lo ha portato via. Aveva 44 anni. È morto il 25 marzo 2005. Era Venerdì Santo. Non sapremo mai se l’uranio impoverito con il quale è stato bombardato il Kosovo ha contribuito a scatenare la malattia di Paolo. Ma sappiamo per certo che l’uranio impoverito è una delle pericolose scorie che ci lascia il nucleare “civile”. È anche per questo che torneremo sulle strade di Montalto con i nostri striscioni e con Paolo nel cuore. È anche per questo che ci batteremo con tutte le nostre forze per fermare il nucleare. Tra Montalto di Castro e il Kosovo c’è la vita di Paolo. Troppo breve e troppo intensa. Dopo Paolo c’è il suo esempio da seguire. Avanti, amici. L’ambiente non può attendere.

1986 Nel suo primo anno di vita, Fare Verde si schiera subito e con convinzione contro il nucleare. Al referendum invita i cittadini italiani a votare SI, ponendo come motivazioni temi ancora attuali e validi anche per la campagna referendaria del 2011.

2006 Festeggiando i 20 anni dalla nascita dell’associazione e dal disastro nucleare, Fare Verde ribadisce la sua posizione e la necessità di usare razionalmente l’energia. 2011 In occasione del referendum sul nucleare l’associazione, che è tra i promotori del Comitato referendario, sceglie ancora una volta di votare SI contro il nucleare, sicura ormai, che le alternative ci sono e funzionano.

speciale referendum

25 anni di impegno per fermare la follia nuclare

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foto ricordo di una storica vittoria

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Creatività e partecipazione hanno sconfitto le grigie multinazionali dell’energia Da una parte milioni di euro spesi per una campagna, quella degli scacchi, che doveva convincere gli Italiani della bontà del nucleare. E invece è stata condannata come pubblicità ingannevole. Dall’altra, pochi spiccioli raccolti facendo collette ai banchetti e volantini fotocopiati. Da una parte il grigio del cemento e la nera morte atomica. Dall’altra, colori, passione, creatività, ottimismo solare. Fu così che un giorno di giugno, il Popolo vinse i potenti signori del denaro. E il nucleare fu sconfitto. Per sempre.

Flashmob teatrale a Tarquinia (VT): in alto, “questo nucleare non s’ha da fare”; in basso, “fai come Giulietta, il 12 e 13 giugno dì di Sì”.

Dall’alto verso il basso, catena umana a Termoli, punti informativi in Molise e a Pontecorvo (FR); biciclettata antinucleare a Campobasso.


Attivisti di Fare Verde presidiano le centrali nucleari dismesse, per ricordare che alla follia atomica l’Italia ha già dato. E continua a dare. Dall’alto, in senso antiorario, manifestazioni e catene umane a Borgo Sabotino, Sessa Aurunca (Centrale del Garigliano) e Montalto di Castro.

Impegno senza confini: il messaggio referendario portato da Fare Verde Bari per cieli, per vette e per mari...

Dimmi Sì!

parole e musica di Salvatore Pignalosa Fare Verde Pomezia (RM) Ci sarai, dimmi si voterai, dimmi si ed ai 4 referendum dirai si rifiutiamo il nucleare sono certo che fa male senza scorie madre terra, questo si vieni all’aria aperta con tuo figlio e troverai prati verdi e sani dove correre potrai porta a casa il sole che la luce ti darà l’acqua calda poi abbonderà

In alto, attacchinaggio in provincia di Frosinone. In basso, manifestazione davanti alla RAI di Bari per protestare contro l’inutile blackout informativo sui referendum.

Ci sarai, dimmi si voterai, dimmi si ed ai 4 referendum dirai si rifiutiamo il nucleare sono certo che fa male senza scorie madre terra, questo si voglio risparmiare e gli sprechi non farò l’energia pulita inventerò latte della mucca senza fine io berrò ed il contadino abbraccerò Ci sarai, dimmi si voterai, dimmi si ed ai 4 referendum dirai si rifiutiamo il nucleare sono certo che fa male senza scorie madre terra, questo si basta radiazioni, se le prende chi guadagna! è ora di finir ‘sto magna magna forza riattiviamo i cervelli della gente che potrà decider, finalmente! Ci sarai, dimmi si voterai, dimmi si ed ai 4 referendum dirai si rifiutiamo il nucleare sono certo che fa male senza scorie madre terra, questo si

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Green economy: analisi e casi di una realtà emergente

di Giampaolo Persoglio

Migliorare i processi produttivi, orientandoli al rispetto dell’ambiente. E’ la sfida della nuova “economia verde”, che supera la tradizionale conflittualità tra produzione e risorse ambientali, muovendosi nella consapevolezza del limite. Un’operazione che apre nuove prospettive alle aziende e che costituisce un’opportunità preziosa, tanto più in tempi di crisi.

In uno scenario economico attuale caratterizzato da una crisi che si protrae oltre le previsioni, è necessario adottare uno sguardo attento alle opportunità che la sfida ambientale comporta. Il rapporto tra economia e ambiente è stato caratterizzato da una conflittualità dovuta da un lato dallo scarso interesse delle teorie economiche moderne nei confronti dell’ambiente e delle sue istanze, dall’altra da una visione che ha posto in antitesi la sostenibilità ambientale con lo sviluppo economico. A partire dagli anni ‘70, in seguito alla prima crisi petrolifera, il rapporto tra economia e ambiente si è giocoforza fatto più stretto, costringendo la prima a valutare con attenzione le implicazioni sottintese alla scarsità delle risorse e alle problematiche legate ai limiti dello sviluppo. Ad oggi questa correlazione rivela di essere profondamente stretta, in quanto le conseguenze dello sviluppo hanno creato esternalità negative nei confronti dell’ambiente, comportando costi economici ingenti e spesso dif-


ficilmente quantificabili. Si è scoperto quindi che i due approcci sono quanto mai dipendenti tra loro, creando discipline di studio attinenti all’economia ambientale, volte a capire come questo rapporto possa portare ad un equilibrio tra le due istanze. L’obiettivo, perseguito negli ultimi anni, è stato quello di comprendere come limitare le esternalità negative e fare sì che l’ambiente potesse rappresentare una opportunità più che un limite, creando di fatto il concetto di sviluppo sostenibile, ovvero la “possibilità di garantire il soddisfacimento dei bisogni attuali senza compromettere la possibilità delle generazioni future di far fronte ai loro bisogni” (definizione della World Commission on Environmental and Development, 1987). Un contributo critico e più radicale è arrivato da economisti come Serge Latouche, il quale ha intrapreso un’analisi in questo ambito affermando che, a causa della limitatezza delle risorse disponibili sul Pianeta, perseguire lo sviluppo tout court sia incompatibile con il concetto stesso di sostenibilità.

Sulla base di questo assunto l’unica speranza di raggiungere un equilibrio tra economia e ambiente sarebbe insita nel concetto di de-crescita, ovvero di porre limiti allo sviluppo mettendo fortemente in discussione le basi stesse del processo industriale e post industriale che vedono nel paradigma - materia prima – produzione – consumo – rifiuto - l’essenza stessa della loro azione. La proposta derivante da questo approccio consta nel ritorno ad una economia dove le merci, scambiate mediante un processo di economia libera, non soppiantino i beni, cioè i prodotti e i servizi realizzati attraverso l’autoproduzione e veicolati per mezzo di processi di scambio-baratto. Di conseguenza viene messa in discussione la valenza del PIL come misuratore attendibile del benessere di un Paese, in quanto i “beni”, così come definiti poc’anzi, non rientrano nel sistema di misurazione tradizionale del valore economico della produzione di un Paese. E’ chiaro che da un punto di vista prettamente economico questo paradigma esula da un contesto aziendale e si sposta su un piano più prettamente sociologico se non filosofico, imponendo un limite (ed in un certo

senso demonizzando) la funzione delle aziende come motore primo dello sviluppo e concentrando l’attenzione sugli stili di vita e di consumo delle singole persone. Obiettivo di questa analisi è, pertanto, quello di comprendere se e come sia possibile trovare un equilibrio tra il mondo della produzione (inteso come ciclo produzione-vendita-consumo) e l’ambiente inteso come summa delle necessità e dei limiti della biosfera. O se tale equilibrio sia utopistico e ogni sforzo sia destinato a fallire. Lo sviluppo sostenibile oggi Andiamo quindi di seguito ad analizzare come si identifica e si estrinseca il concetto di sviluppo sostenibile: al giorno d’oggi è un paradigma con il quale la società nella sua interezza deve confrontarsi. All’aumentare della coscienza civile, sensibilizzata dagli eventi disastrosi che si sono susseguiti durante gli anni, si è moltiplicato l’impegno dei governi, soprattutto nei Paesi sviluppati, per creare una rete di regole e leggi a favore della difesa dell’ambiente inteso come bene comune. Le imprese hanno visto quindi paventarsi davanti a loro due nuove minacce da tradursi in opportunità: da una parte

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un mercato in cui i consumatori sono diventati maggiormente consapevoli, attraverso la pressione esercitata per mezzo di associazioni o di azioni personali, di poter imporre di fatto alle aziende di adottare principi produttivi, pratiche, prodotti, che siano rispettosi per l’ambiente. Dall’altro lato i Paesi, attraverso l’azione legislativa, obbligano le imprese ad effettuare ingenti investimenti in tecnologia e processi per poter adeguarsi alle normative vigenti. Tali leve hanno creato nuovi scenari competitivi ai quali le imprese più attente e innovative hanno saputo rispondere con prontezza per ribaltare o confermare, dove possibile, le posizioni di leadership nei rispettivi settori. La sostenibilità sta assumendo la funzione darwiniana di “selezionare la specie”, ovvero di proporre al mercato aziende capaci di innovare e rinnovarsi per poter sopravvivere nel nuovo scenario competitivo. Vedremo di seguito quali saranno le direttrici attraverso le quali questo processo sta prendendo piede, quali sono le best practices con cui le aziende rispondono a questi stimoli, quali sono le linee guida che le aziende seguono per ottenere la leadership nei propri mercati di appartenenza. Lo stato dell’arte La presa di coscienza del problema ambientale nel suo rapporto con l’attività produttiva è evoluta negli ultimi anni in modo da distinguere le attività di “greening” da quelle di vera e propria global sustainability. Con “greening” si definisce una attività di facciata utile per dare all’azienda una immagine di sostenibilità o quantomeno di aderenza a pratiche compatibili con il rispetto dell’ambiente. Spesso accade che tale attività si riveli necessaria per poter riparare ad un danno di immagine conseguente ad un incidente ambientale, oppure per rinnovare la propria brand awareness (cioè la notorietà del marchio), percepita come poco verde. Un esempio lampante di questo ultimo caso è rappresentato dalla comunicazione che

negli ultimi anni ha visto protagoniste le case automobilistiche: impelagate in una crisi strutturale, cercano di trovare maggiore appeal nei confronti della clientela giocando tutte le carte possibili di marketing puntando sulle caratteristiche “verdi” dei propri modelli: consumi, emissioni di CO2, finanche comunicazione riguardo i propri processi produttivi sostenibili. Questo esempio diviene emblematico per spiegare la differenza con l’approccio rappresentato dalla “global sustainability”. Se il greening rappresenta uno svecchiamento ed una cura di immagine per un modello di business obsoleto (vuoi per scelta vuoi per difficoltà strutturali al cambiamento), la sostenibilità è rappresentata da una ridefinizione del paradigma stesso, da un ribaltamento delle dinamiche di un settore in cui la strategia di innovazione stravolge le regole del gioco e pone il competitor su di un piano potenziale di leadership duratura. Nel campo dell’automotive tale esempio è rappresentato, negli ultimi anni, dalle iniziative delle aziende che hanno investito pesantemente nell’auto elettrica. La Tesla Motors è una società partecipata dai capitali di Google che ha deciso di entrare nel mercato dell’auto con un model-

lo sportivo unicamente alimentato ad energia elettrica, dotato di un pacco batterie formato da 6381 stilo agli ioni di litio che permette al veicolo di poter percorrere, a velocità codice, ben 350 km, ovvero più del triplo degli altri modelli elettrici timidamente proposti al mercato dalle case automobilistiche storiche (esempi sono la Mitsubishi iMiev, la Peugeot iOn, la Nissan Leaf e la Renault Fluence). Sulla scia della Tesla sono entrati altri produttori che hanno seguito la strada dell’innovazione rappresentata dall’auto elettrica, dall’americana Fisker che proporrà sul mercato una gamma completa di modelli (attualmente è in vendita la berlina sportiva Karma ma sono in arrivo una berlina media e una due volumi compatta) e la cinese BYD (Build Your Dreams), di proprietà del magnate Wang Chuan-Fu e finanziata con i capitali di Warren Buffet. La necessità di adottare la tecnologia elettrica è data dall’impossibilità di poter perseguire, attraverso il motore termico, una politica di riduzione dei consumi e delle emissioni, di superare cioè i limiti intrinseci di efficienza energetica del motore a scoppio. Con l’auto elettrica si ribalta il modo di concepire, costruire e commercializzare un’auto, si reinventa la mobilità, si propone al


SVILUPPO SOSTENIBILE: “possibilità di garantire il soddisfacimento dei bisogni attuali senza compromettere la possibilità delle generazioni future di far fronte ai loro bisogni” (definizione della World Commission on Environmental and Development, 1987)

Sostenibilità e business Si può arrivare a questo punto ad affermare che la sostenibilità rappresenti una grande opportunità di business. La strategia di innovazione pone le aziende in posizione di vantaggio competitivo, le ricadute in immagine sono assolutamente positive, ma abbiamo anche evidenze empiriche che il rapporto costi-benefici sia a favore di questi ultimi? Dapprincipio è opportuno considerare l’impatto di una politica imprenditoriale improntata alla compliance con le normative ambientali. La non compliance crea evidenti esternalità negative legate ai costi da sostenere per le sanzioni a cui far fronte, per i costi di ripristino dell’ambiente corrotto, per i danni di immagine e quindi di profitto causate da minori vendite. Al con-

trario la compliance proattiva, quella cioè che tende a prevenire e a implementare attività anche più stringenti rispetto alle norme, permette non solo di annullare il rischio di sanzioni, ma anche di attivare best practice prima dei concorrenti, sviluppare tecnologie e procedure nuove, addirittura trarre profitto dalla cessione di know how specifico. Già Porter aveva teorizzato in tal senso, affermando che le normative ambientali impongono innovazioni che alla lunga offrono benefici maggiori rispetto alle restrizioni date dalle regole. Un caso emblematico in questo senso: Patagonia è leader del mercato dell’abbigliamento tecnico da outdoor, i suoi prodotti si pongono nella fascia alta, la politica dell’azienda è stata da sempre improntata ad evidenziare l’attività a favore dell’ambiente (produzione di capi solo con cotone biologico, versamento del 2% dei profitti a favore di associazione e iniziative ambientali, attenzione alla durata del capo

di abbigliamento); ciascuna di queste attività implica un aggravio dei costi di produzione, una diminuzione delle economie di scala, compensate dalla possibilità di proporre al consumatore un prodotto premium price. Tale politica aziendale, insita nell’anima stessa dell’azienda sin dalla sua fondazione, ha da sempre generato profitti e permesso al brand di primeggiare nelle classifiche di percezione di prestigio e di immagine positiva tra i consumatori. Inoltre le tecnologie implementate da Patagonia hanno permesso di anticipare i regolamenti americani sull’utilizzo di prodotti chimici per il trattamento dei tessuti: già da alcuni anni Patagonia ha sviluppato la tecnologia Gladiodor® per eliminare i cattivi odori nei capi di abbigliamento di intimo tecnico, realizzata solo con materiali naturali e biologici. Le aziende concorrenti usavano un trattamento chimico il cui processo di produzione rilasciava residui inquinanti per le acque e tale pratica è stata proibita da

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cliente un modello in cui l’auto viene concessa in comodato d’uso e si paga un canone per l’utilizzo del pacco batterie, la componente che incide maggiormente sul costo dell’auto e che determina la maggiore differenza con i modelli dotati di motore a scoppio. In questo modo un settore statico e caratterizzato da forti barriere all’ingresso viene permeato da una rivoluzione che pone nuovi parametri per conseguire il vantaggio competitivo. Un’attività così fortemente capital intensive come quella della produzione di auto ha visto all’improvviso l’ingresso di competitors provenienti da settori completamente diversi e l’ingresso di ingenti capitali investiti principalmente in ricerca e sviluppo. Tale esperienza rappresenta l’espressione archetipica della teoria schumpeteriana dell’evoluzione economica dinamica. Non è un caso infatti che tale rivoluzione nel settore si stia concretizzando in un contesto di recessione in cui la forte spinta in corso potrà avere la funzione di veicolare una fase di espansione, di far crescere e consolidare la posizione dei player innovativi e, come è probabile, di causare l’uscita dal mercato dei player che non sapranno governare il cambiamento.

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“Bisogna rendere la rete elettrica europea intelligente in tempi strettissimi realizzando una rivoluzione infrastrutturale in grado di abbattere i consumi, ridurre le emissioni di anidride carbonica, creare occupazione e favorire la competitività delle imprese. Dobbiamo agire subito, non possiamo mancare di approfittare delle opportunità offerte dalla piena realizzazione di una smart grid”

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alcuni anni dalle autorità della California e poi dal resto degli stati Usa, costringendo i produttori ad adeguarsi alla direttiva, o acquistando la tecnologia dalla Patagonia o sviluppandola ex novo con un conseguente aggravio di costi e dilazione del time to market dei prodotti. Volendo schematizzare in maniera analitica gli impatti dell’adozione di processi e prodotti innovativi ecofriendly, possiamo usare i risultati di alcuni studi recenti (Hamschmidt & Dyllick, 2006) i quali hanno evidenziato come le performance aziendali siano state incrementate attraverso le due principali direttrici: aumento dei profitti e diminuzione dei costi. Gli incrementi dei profitti sono realizzati da tre principali driver: 1) migliore accesso a determinati mercati 2) differenziazione dei prodotti 3) vendita di tecnologie. Per migliore accesso a determinati mercati intendiamo la possibilità, ad esempio, di diventare fornitori della Pubblica Amministrazione lì dove tale opportunità sia vincolata all’adozione di specifiche certificazioni ambientali o dove vengano richiesti requisiti spe-

green economy

cifici. Oppure la possibilità di inserirsi in settori con forti barriere all’ingresso rappresentati dall’avere o meno tecnologie abilitanti. Un esempio di differenziazione dei prodotti è data dalla già citata Patagonia che, nel 1990, ha rivoluzionato il mondo dei tessuti tecnici da outdoor producendo il Synchilla®, un pile interamente realizzato a partire dalle bottiglie di PET riciclate. Ma sono un esempio anche i prodotti alimentari biologici, scelti da una clientela attenta alla qualità e alle proprietà nutrizionali dei cibi, la quale è disposta a pagare un prezzo maggiore a fronte di un marchio che certifichi la provenienza e la filiera di produzione biologica. Negli ultimi anni il mercato dei cibi biologici ha triplicato la propria quota attestandosi a circa l’11% di tutto il mercato alimentare mondiale (fonte Commissione Europea, dipartimento agricoltura). Un esempio lampante di vendita di tecnologie innovative è rappresentato dalla Novamont, gli inventori del mater-bi, la plastica biologica creata attraverso l’utilizzo dell’amido di mais. Creata da una intuizione del grup-

po Ferruzzi-Montedison negli anni ’80, tale tecnologia negli ultimi anni ha conosciuto una ampia diffusione, amplificata dalle normative europee che limitano o proibiscono del tutto la distribuzione di sacchetti di plastica PE nei supermercati. Le proprietà del mater-bi non si limitano solo alla produzione di shopper biologici e biodegradabili (utilissimi pertanto anche nella raccolta e smaltimento della frazione umida dei rifiuti) ma è possibile sostituire con esso praticamente tutti i prodotti attualmente realizzati in plastica, rendendo questa tecnologia appetibile potenzialmente per qualsiasi settore merceologico. La riduzione dei costi invece si realizza attraverso l’implementazione di processi eco friendly che aiutano a diminuire i costi evitando sanzioni o costi di ripristino. Si crea il cosiddetto effetto spillover: gli investimenti in tecnologie e processi rispettosi dell’ambiente che interessano il territorio e la popolazione creano vantaggi per la comunità, eliminano i costi di campagne di immagine “riparatorie”, diminuiscono i costi di comunicazione e promozione del proprio brand (in un certo senso il brand si promuove da solo). Inoltre una predisposizione all’abbattimento dell’inquinamento è indice di una attenzione generale all’efficienza e agli sprechi, promuove una cultura al risparmio delle risorse e di conseguenza all’abbattimento dei costi. In sintesi possiamo dire che l’eco-efficienza comporta un risparmio di costi e benefici per l’ambiente. Infine è utile sottolineare che, per le aziende orientate al rispetto per l’ambiente, l’accesso ai capitali sia facilitato, soprattutto verso i fondi etici o green (es. Banca Etica), in quanto esse risultano potenzialmente più al riparo da responsabilità ambientali e crac finanziari da esse derivati. Evidenze empiriche dimostrano che il mercato dei capitali di solito reagisce positivamente alle implementazioni ambientali da parte delle aziende.


Gli strumenti di management In conseguenza a quanto precedentemente affermato la sostenibilità può rappresentare una sfida vincente per le imprese a patto che il business comprenda la sostenibilità come elemento fondante e non marginale, in cui l’ambiente non venga visto solo come risorsa da sfruttare ma come elemento da rispettare e il cui valore venga anche economicamente quantificato. Possiamo tracciare una mappa degli elementi che possono caratterizzare questo modello di business virtuoso. INNOVAZIONE: le tecnologie sono amiche dell’ambiente. Nel mondo della produzione energetica lo sfruttamento delle risorse rinnovabili della terra è possibile solo con l’implementazione di strumenti innovativi: il fotovoltaico, le turbine eoliche, lo sfruttamento della geotermia, dei movimenti delle maree, le biomasse. Ciascuna di queste tecnologie sta vivendo un momento di grande espansione, la curva di esperienza sta rapidamente evolvendo comportando una progressiva diminuzione dei costi. Se fino a 3 anni fa 1 kw di fotovoltaico costava, chiavi in mano per l’utente finale, circa 7.000 euro, ora siamo ad appena 3.500. La ricerca italiana si sta concentrando sulla produzione di pannelli solari biologici sfruttando le proprietà delle piante di mirtillo, con un incremento nell’efficienza del pannello senza avere i problemi di smaltimento di alcuni materiali pericolosi (telloruro di cadmio) a fine vita dell’impianto. Sempre nel campo energetico, la Siemens ha sviluppato e sta diffondendo la tecnologia delle “smart grid”. Una smart grid è una rete cosiddetta “intelligente” per la distribuzione di energia elettrica, ovvero un sistema fortemente ottimizzato per il trasporto e diffusione della stessa evitando sprechi energetici: gli eventuali surplus di energia di alcune zone vengono infatti redistribuiti, in modo dinamico ed in tempo reale, in altre aree. Una tecnologia che rende maggiormente fruibili

grosse quantità di energia proveniente da fonti rinnovabili che, in quanto intermittenti, necessitano di tecnologie avanzate per poter bilanciare la domanda e l’offerta energetica durante l’arco della giornata. A conferma della validità di tale tecnologia si è pronunciato recentemente (dichiarazione del 12 aprile 2011) il commissario europeo all’energia Oettinger: “Bisogna rendere la rete elettrica europea intelligente in tempi strettissimi realizzando una rivoluzione infrastrutturale in grado di abbattere i consumi, ridurre le emissioni di anidride carbonica, creare occupazione e favorire la competitività delle imprese. Dobbiamo agire subito, non possiamo mancare di approfittare delle opportunità offerte dalla piena realizzazione di una smart grid”. Il primo passo è la creazione di standard tecnici comuni già nel giro del 2012. Poi, nella tabella di marcia esposta dal Commissario, occorrerà capire come difendere i dati che viaggiano in rete, studiare un piano di incentivi agli investimenti, favorire un’ulteriore liberalizzazione del mercato e fornire sostegno alla ricerca e all’innovazione. Nel 1973 l’ing. Mario Palazzetti, capo del centro ricerche Fiat, ha creato il microcogeneratore. Partendo dallo schema di funzionamento di una au-

tomobile (in cui il motore fornisce la propulsione, i servizi elettrici e il riscaldamento dell’abitacolo), ha modificato un motore di una Fiat Ritmo per l’utilizzo con gas (metano o gpl) collegandolo ad un alternatore per la produzione di energia elettrica e ad un sistema di tubazioni a scambio di calore per la produzione di acqua calda, utilizzabile per fini igienici e per alimentare i termosifoni. Il motore, girando a regimi stabili, offre un’efficienza maggiore rispetto ad un motore termico deputato all’autotrazione (ricordiamo che l’efficienza dei migliori motori odierni va di poco oltre il 30%) e, combinando la produzione di elettricità con quella di acqua calda, si raggiunge una efficienza globale del 94%. Tale tecnologia, brevettata in Italia, non è mai stata commercializzata e diffusa nel nostro Paese, mentre all’estero, soprattutto in Germania, è attualmente utilizzata e permette a numerosi condomini di gestire in autosufficienza il riscaldamento e l’illuminazione. Ad oggi il brevetto è utilizzato da 2 produttori, guarda caso entrambe case automobilistiche (Volkswagen e Mitsubishi) che producono sistemi di diverse taglie per le esigenze di condomini di svariate dimensioni. Tali motori sono alimentati perlopiù a gas e sono tarati per funzionare anche con il metano derivato dalla digestione dei rifiuti umidi. Oggi l’ingegner Palazzetti è il promotore dell’Associazione “Imprenditori per la decrescita”, un pool di industriali e professionisti che vogliono sfruttare idee innovative per perseguire l’efficienza energetica e consumare di meno, per fornire prodotti e servizi che siano utili per l’ambiente e per il proprio portafogli. PASSARE DA UNA LOGICA DI PRODOTTO AD UNA DI SERVIZIO Uno dei trend degli ultimi anni è quello di sostituire la fornitura di prodotti con quella dei servizi. Secondo questo schema l’oggetto è una commodity a disposizione dell’utente, quello che

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l’utente paga è il suo utilizzo/consumo/usura. Questo modello di business è l’unico realmente preso in considerazione nei progetti di lancio dell’auto elettrica. Da due anni la Renault ha deciso di investire pesantemente nello sviluppo di tale soluzione per la propulsione, realizzando, attraverso pesante immissione di capitali, modelli di auto, impianti, processi innovativi. Per risolvere lo spinoso problema del costo e della durata del pacco batteria, tecnologia che tutt’oggi arriva ad assorbire fino al 30% del costo dell’auto elettrica, ha deciso di partecipare al business di Shai Agassi, il fondatore della società Better Place (www.betterplace.com) che realizza le infrastrutture per la sostituzione rapida delle batterie per la nuova generazione di auto elettriche. La Better Place ha creato un modello, applicabile in fase di startup soprattutto ai Paesi di piccole dimensioni

(i primi progetti difatti coinvolgono Israele e Danimarca), per realizzare delle stazioni di servizio che in soli 3 minuti sostituiscono il pacco batteria dell’auto. Visto dalla parte del cliente il sistema è assolutamente semplice: attraverso la lettura di una card l’autista del veicolo ha accesso alla piattaforma dove avverrà l’operazione. Il sistema, totalmente automatizzato, preleva la batteria esaurita e la sostituisce con una carica, addebitando l’importo sul conto dell’utente. Ogni batteria permette al veicolo un’autonomia di circa 160 km e il veicolo è dotato di un sistema di navigazione satellitare che “guida” l’utente verso la stazione più vicina nel momento in cui la batteria scende sotto una determinata soglia di carica. Il 1 aprile di quest’anno è stata inaugurata nella città di Ekron, in Israele, la prima stazione di servizio Better Place, la previsione è che questa sia la prima di 200 stazioni, il numero suf-

ficiente per poter garantire pienamente la mobilità ai futuri acquirenti dei modelli Renault dotati del sistema di cambio rapido di batterie. Attualmente la Renault Fluence è il primo e unico modello in commercio che adotta tale sistema ma, se le previsioni della Casa Francese sullo sviluppo dell’auto elettrica si verificheranno, ad essa seguirà una gamma completa di automobili per soddisfare tutte le esigenze della clientela. Con il miglioramento della tecnologia delle batterie, che permetterà una maggiore autonomia al veicolo, il modello w potrà essere divulgato anche a Paesi più grandi con reti viarie maggiormente diffuse. Questo modello prevede la possibilità di acquistare la vettura o di pagare un canone di affitto a lungo termine il cui costo però non include il pacco batterie: tale costo viene affrontato attraverso il servizio di sostituzione. In questo modo l’utente paga effettiva-


KEVLAR: fibra sintetica aramidica sviluppata sulla base dello studio circa la struttura della tela dei ragni. La sua caratteristica principale è la grande resistenza meccanica alla trazione, tanto che a parità di peso è 5 volte più resistente dell’acciaio.

ne dell’oggetto piuttosto che l’oggetto stesso, rendendo in qualche modo maggiormente sostenibile il ciclo economico, in quanto il prodotto che veicola il servizio può essere ripristinato, aggiornato e riutilizzato nel ciclo di fornitura. E’ il caso delle batterie usate da Better Place, ma anche del servizio di stampa offerto dai produttori di fotocopiatrici (Xerox e Oki per prime) che offrono in comodato d’uso la macchina facendo pagare i materiali di consumo e il numero di copie eseguite. Lì dove il prodotto è soggetto ad una usura che ne pregiudica il suo ripristino se non con costi insostenibili, è possibile implementare cicli di produzione che prevedano il riciclo della materia prima, sia finalizzata al suo utilizzo originario, sia utilizzabile per scopi e prodotti diversi. L’azienda americana Interface, produttrice di pavimenti di moquette per uffici e grandi spazi, incentra il proprio modello di business sull’affitto e non la vendita delle superfici calpestabili. L’azienda garantisce al cliente di mantenere sempre in perfetta pulizia ed efficienza i pavimenti attraverso una perlustrazione periodica. Nel momento in cui il prodotto presenta segni di usura viene prontamente sostituito con del prodotto in efficienza. Ed i vecchi moduli di moquette? Invece di essere gettati in discarica vengono riciclati per creare un prodotto rigenerato con le stesse caratteristiche del nuovo. E’ evidente che questo modello produttivo porta a cercare di allungare il più possibile la vita del prodotto, adottando soluzioni tecniche che permettano di riutilizzarlo o di poter riciclare i materiali per una loro efficiente reintroduzione nel ciclo di produzione. DA UNA CATENA DEL VALORE LINEARE AD UNA CIRCOLARE: IL RIFIUTO COME RISORSA Il ciclo di gestione virtuosa dei rifiuti rappresenta un esempio lampante delle possibilità di creare una filiera in cui il rifiuto diviene risorsa, risolvendo

potenzialmente molti problemi legati allo smaltimento della spazzatura e alla gestione sempre più problematica delle discariche. Il rifiuto umido rappresenta circa il 45% del peso della spazzatura domestica e in generale tutto il rifiuto umido creato sommando la produzione civile ed industriale supera il 35% del peso totale dei rifiuti in Italia. Il digestore anaerobico è uno strumento capace di trasformare, attraverso un processo di degradazione della sostanza organica, il rifiuto umido in biogas. Il residuo è un composto chiamato digestato, il quale, ulteriormente processato, può dare vita ad un terriccio fertilizzante ricco di azoto. A partire dalla sostanza organica è anche possibile, attraverso il processo di digestione aerobica, produrre compost, un terriccio ammendante da utilizzare in agricoltura e floricoltura. Il vantaggio di questo secondo processo è che è realizzabile anche sul balcone di casa con un semplice strumento chiamato “compostiera”. Qual è l’applicabilità a livello di business di questa tecnologia? Mauro Mengoli, titolare di una azienda agricola a Castenaso (Bo), ha fatto così: quattro anni fa ha iniziato a costruire il suo impianto a biogas e oggi, a partire da liquami animali e da biomassa vegetale, è in grado di produrre energia elettrica e termica. Accanto ai silos in cui viene conservato il foraggio per le bestie, sorgono tre “fermentatori”: in pratica, due cilindri di cemento da 1.200 metri cubi e uno da mille, chiusi ermeticamente. “Lavorano come degli stomaci”, spiega l’allevatore, che nei fermentatori scarica un mix di letame con scarti della produzione agricola e acqua. Il tutto viene mantenuto in assenza di ossigeno a una temperatura costante di 36-38 gradi centigradi e rimescolato periodicamente. In questo habitat e grazie all’azione dei batteri “metanigeni” (microrganismi naturalmente presenti nei liquami), si avvia la “digestione anaerobica”, processo da cui si ottiene il biogas, una miscela composta in gran parte da metano

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mente l’auto per l’uso che ne fa ed è incentivato, tra l’altro, ad un utilizzo efficiente. Il servizio si sostituisce al prodotto dando intrinsecamente maggiore valore al prodotto stesso, il quale si svincola dal ciclo economico classico materia prima – prodotto – rifiuto. Lo sviluppo economico basato su questo principio fonda la sua stessa essenza sulla vita sempre più breve del prodotto, accelerandone la sua obsolescenza in modo da creare fittiziamente sempre scarsità di offerta, orientando la domanda verso nuovi prodotti e facendo nascere di continuo nella clientela nuovi bisogni. E’ la natura stessa dello sviluppo economico, che nel momento in cui si fonda sulla produzione e distribuzione di prodotti, erode le materie prime disponibili senza preoccuparsi della loro scarsità crescente. Il modello di servizio permette, al contrario, di mettere al centro la funzio-

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(in proporzione variabile tra il 65 e l’80%) e anidride carbonica. Una volta depurato dallo zolfo volatile e dal vapore acqueo che contiene, il biogas viene convogliato ai cogeneratori che producono energia elettrica e termica. Quel che resta dopo l’intervento dei metanigeni è il “digestato” (cioè la materia organica ormai digerita), che non va perso ma sistemato nella vasca di stoccaggio e, in un secondo tempo, sparso sui campi come fertilizzante. Quello di Castenaso è un impianto di piccole dimensioni, da 350 kilowatt elettrici di potenza. L’energia prodotta viene utilizzata da Mengoli per alimentare l’impianto stesso, per l’illuminazione e il riscaldamento di casa e stalla (con un risparmio annuo di 14 mila euro e 3-4 mila euro rispettivamente) e, quella elettrica, in gran parte venduta a Enel. “Con una potenza del genere è possibile raggiungere una produzione vendibile pari a 400 mila euro l’anno, considerando anche gli incentivi pubblici dei certificati verdi. Ma io devo ancora andare a regime” (e ammortizzare l’investimento di 1,1 milioni di euro). In prospettiva, la produzione di energia potrebbe costituire una valida integrazione al fatturato dell’azienda. Se per gli allevatori come Mengoli la produzione di biogas è quasi un “effetto collaterale” dell’attività primaria, iniziano già a esserci agricoltori che stanno convertendo parte dei propri

terreni alle colture energetiche, sperando che questo possa garantire loro un’alternativa di reddito in tempi che si prospettano sempre più bui per il settore. Nel frattempo in altri Paesi europei la digestione anaerobica rappresenta già una realtà: in Germania ci sono già oltre 2.700 impianti di biogas in gran parte legati agli allevamenti. In Europa, a livello di quantità prodotte, a guidare la classifica è il biogas originato dalle discariche: dei 5 milioni di tonnellate equivalenti petrolio (tep) prodotte nel 2005, oltre 3 milioni provenivano dai rifiuti. Il resto è ottenuto dalla digestione anaerobica di fanghi da depurazione di acque reflue e, in parte minore, da altre fonti (liquami, scarti di zuccherifici e distillerie, scarti agricoli, “colture energetiche” come mais e sorgo zuccherino). I principali produttori del continente sono Regno Unito (con quasi 1,8 milioni di tep), Germania (1,6 milioni di tep) e Italia (al terzo posto, ma con 376 mila tep) (dati Consorzio Italiano Compostatori, 2009). Molti dei concetti esposti poc’anzi partono dagli assunti studiati nella “biomimetica”, ovvero lo studio consapevole dei processi biologici e biomeccanici della natura, come fonte di ispirazione per il miglioramento delle attività e tecnologie umane. La natura viene vista come Modello (Model), Mi-

sura (Measure) e come Guida (Mentor) della progettazione degli artefatti tecnici (J. Benius). Tutti i sistemi naturali rispettano alcuni principi fondamentali: - funzionano secondo cicli chiusi: non esiste il concetto di rifiuto - si fondano su interdipendenza, interconnessione, cooperazione, processi che sono alla base di tutti i sistemi viventi - funzionano ad energia solare - rispettano e moltiplicano la diversità. Partendo da questi assunti sono state sviluppate tecnologie che usiamo quotidianamente nella nostra vita ed hanno rappresentato la fortuna delle imprese che hanno puntato su di esse: è il caso ad esempio della Dupont che nel 1965 ha realizzato il kevlar, fibra sintetica aramidica sviluppata sulla base dello studio circa la struttura della tela dei ragni. La sua caratteristica principale è la grande resistenza meccanica alla trazione, tanto che a parità di peso è 5 volte più resistente dell’acciaio. Per le sue caratteristiche di resistenza, il kevlar viene utilizzato come fibra di rinforzo per la costruzione di giubbotti antiproiettile, di attrezzature per gli sport estremi, per componenti per aeroplani e per le vele degli scafi da competizione. Altro esempio noto è il Gore-tex®, il tessuto impermeabile e traspirante inventato dall’omonima azienda partendo dalla struttura della pelle umana, che permette di far traspirare il nostro corpo mantenendo però l’impermeabilità. Il Gore-Tex® è composto da politetrafluoroetilene (PTFE) espanso termomeccanicamente. Il tessuto vero e proprio è poi costituito da dieci membrane di Gore-Tex® ciascuna delle quali presenta circa 9 miliardi di microscopici fori per pollice quadrato. Ciascun foro è circa 20.000 volte più piccolo di una goccia d’acqua, ma permette il passaggio del vapore acqueo prodotto dalla sudorazione umana, rendendo il tessuto traspirante.


Robert Kennedy - Discorso sul PIL. 18 Marzo 1968, Università del Kansas Conclusioni Sostenibilità come scelta lungimirante. In un mondo che va incontro a crisi sempre più profonde causate da un aumento della popolazione e dei consumi, è necessario ridisegnare le logiche economiche sottese ai prodotti e ai servizi, riconsiderare il modello di consumi, pensare a nuovi modelli di business. E’ necessario farlo ora che abbiamo ancora la libertà di scegliere, attendere vorrà dire essere travolti dall’emergenza e dover agire solo per contenere i danni. La sostenibilità può rappresentare un fattore con un duplice effetto di crescita: - per le aziende è una sfida di business che si gioca nel campo dei processi, dei prodotti e dei servizi, permette di creare nuovi settori e di raggiungere un vantaggio competitivo duraturo che si raggiunge solo con un cambiamento totale della visione, ovvero implementando un modello di business che coinvolga i processi interni, il prodotti proposti, il rapporto con i clienti, le metriche di misurazione delle performances. Una strategia di facciata (greening) non paga. - a livello macro rappresenta una spinta alla crescita di una economia più attenta alle istanze dell’ambiente e quindi dotata di solide basi per poter

affrontare il futuro. I vantaggi della sostenibilità sono ottenibili con una forte spinta all’innovazione tecnologica. Dal cloud computing all’efficienza energetica, le nuove tecnologie ridisegnano di conseguenza i modelli di business: dal “delivery-product” al “delivery-services”, un nuovo modo per creare efficienza, per il fornitore così come per il cliente. La via verso la sostenibilità passa anche attraverso investimenti per il ripristino delle risorse naturali utilizzate: diventa necessario passare da una visione in cui le risorse naturali hanno un valore conseguente solo dal loro inserimento nel ciclo economico di produzione, ad una visione in cui hanno un valore intrinseco legato alla loro funzione nel ciclo di vita biologico ed ai servizi “basilari” che offrono per l’ecosistema planetario (ossigeno, assorbimento di CO2, fissazione dei terreni, ecc.). Le aziende capaci di riunire idea ed azione sono quelle che già oggi maturano performance positive, aumentano la redditività, migliorano la ww e la brand loyalty, rilevano un alto grado di soddisfazione da parte dei propri dipendenti. In sintesi uniscono risultati reddituali e miglioramenti intangibili. Ma, soprattutto, pongono le basi per un successo duraturo nel tempo.

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IMPLEMENTARE NUOVI SISTEMI DI MISURAZIONE DELLE PERFORMANCES In ultima analisi è necessario creare un sistema di valutazione delle performances che vada oltre la teoria attuale, che consideri pertanto dei nuovi assunti: -Mentre lavoro e capitale possono essere tra loro sostituiti e complementari, così non è per le risorse della terra. Esse non sono sostituibili oppure (ad esempio le foreste) la loro rigenerazione può durare molti anni e lo sfruttamento selvaggio può provocare disastri il cui danno non solo non è economicamente quantificabile ma si ripercuote per le generazioni a venire. Il rispetto per le risorse e per la Terra è un assunto basilare per perseguire una politica di sopravvivenza duratura nel tempo. -Spesso la politica di contenimento dei costi in atto nelle aziende non permette di valutare i reali risparmi che si andrebbero a realizzare nel lungo termine. Le scelte in materia di acquisti spesso si operano solo valutando il costo puro immediato e quindi i vantaggi a conto economico per l’esercizio in corso, quando invece affrontare costi più alti in alcuni case permette di dotarsi di strumenti più efficienti. E’ il caso ad esempio dell’illuminazione a led, una tecnologia attualmente costosa che tuttavia permette un eccezionale aumento dell’efficienza nell’illuminazione, abbattendo in consumi elettrici del 95% rispetto alle comuni lampadine ad incandescenza. -Gli sprechi fanno aumentare il Pil ma non aumentano la qualità della vita. Ormai da alcuni anni si sta diffondendo la teoria per cui la misurazione del benessere di un Paese non possa essere calcolata solo in base alla crescita del Prodotto Interno Lordo. Troppi fattori positivi sfuggono ad esso (la felicità delle persone, il livello di sicurezza, la cultura, il tempo da dedicare a sé stessi e ai figli, l’istruzione) senza dimenticare che, al contrario, incidenti, cataclismi, distruzioni sono un motore per lo sviluppo. Un motore che aumenta la circolazione della moneta ma che peggiora il benessere reale.

“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.”


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Il trattamento osteopatico e le reazioni.

osteopatia

di Patrizia Forte (Osteopata D.O. MROI)

Ci sono varie tecniche e vari approcci osteopatici il cui intento è sempre e comunque indurre il corpo ad effettuare quel cambiamento che darà il via alla risoluzione e normalizzazione di un problema. Il parametro per scegliere una tecnica di trattamento piuttosto che un’altra è dato si dalle capacità dell’osteopata, ma è dettato soprattutto dalla tipologia della persona e dalla natura del problema. Che vuol dire tutto questo? Facciamo un esempio: una lombalgia è un dolore in sede lombare che può svilupparsi per diverse cause, posso aver fatto semplicemente uno sforzo muscolare, senza aver implicato le articolazioni o i dischi, e così il trattamento sarà rivolto al recupero del muscolo in questione, e più ci sarà precisione nell’individuare il “punto” da trattare, più sarà veloce l’esecuzione del trattamento. In pratica riuscire a capire la dinamica con cui si è creato il blocco muscolare ci consentirà di essere selettivi, di sollecitare solo le strutture necessarie, liberando le quali anche altri muscoli libereranno le proprie tensioni e contratture. Riuscire a fare questa selezione di trattamento significa anche ridurre l’effetto di “indolenzimento post-trattamento” che, se entro certi limiti è fisiologico (è il così detto aggravamento terapeutico) perché indice di una corretta individuazione del problema, oltre certi limiti, ovvero quando è eccessivamente prolungato nel tempo, è spiacevole per il paziente al punto che può disincentivarlo dal tornare dall’osteopata!

Quindi la regola fondamentale per avere una giusta risposta al trattamento è fare “il giusto” e niente di più! Però non sempre è facile capire ciò che in un corpo va indotto al cambiamento e ciò che non lo è! Spesso si arriva dall’osteopata non con una sola sintomatologia: mal di schiena, dolore della zona cervicale, dolore alle spalle, ad un ginocchio, parestesie agli arti (cioè un braccio od una gamba che si addormentano), cefalea etc, in tal caso innanzitutto è impossibile occuparsi di tutto nello stesso momento così come è veramente difficile riuscire ad essere selettivi nell’individuare la causa-zona-struttura da indurre a modificarsi. Perciò in tali casi è facile incorrere in reazioni di indolenzimento che si prolungano nel tempo, ma che sicuramente non sono causa di danno alcuno! Hanno solo bisogno di più tempo per rientrare in un equilibrio! Quando accade questo è sufficiente comunicarlo all’osteopata che in un prossimo incontro saprà tener presente l’accaduto e “ricalibrare” il trattamento! E se il mal di schiena invece è il risultato dell’iperattività del nostro sistema nervoso? Cioè se la mia schiena sta “reggendo troppo” il peso delle cose che “devo” fare? Accadrà ugualmente di trovare dei muscoli particolarmente contratti, ma questa volta la metodica di trattamento prevederà una tecnica che vada ad interferire con chi regola la contrazione: sono tecniche più estese a livello della colonna, dolci che cercano di interferire con l’attività elettrica del muscolo. Anche in questo caso la precisione del livello di trattamento è importante! E non ci saranno reazioni eccessive! Potranno insorgere solo se in sede dello stesso trattamento si daranno sempre stimoli diversi: non posso “dire” al corpo nello stesso mo-

mento di agire sulla sfera nervosa e su quella meccanica ! Non hanno la stessa logica e quindi va in stallo! In sintesi se un soggetto soffre di dolore lombare da stress e contemporaneamente ha cefalea per problemi della meccanica cervicale, prima ci occuperemo di riportare alla normalità un problema e poi l’altro! In fondo per accumulare sintomi diversi ci si impiega del tempo e cercare di cambiare lo stato di cose con l’aiuto dell’osteopatia significa rispettare i tempi di trattamento e di guarigione! Infine: un mal di schiena può essere il risultato di un cattivo funzionamento intestinale ed in tal caso la tecnica osteopatica sarà rivolta ai visceri, con pressioni dolci, ma dirette a influenzare la capacità di scivolamento di un viscere rispetto a ciò che gli sta vicino, o lo stato linfatico-vascolarenervoso del viscere stesso (per capire il senso di questo collegamento, pensiamo al dolore lombare da colica renale: mi fa male la schiena per colpa di uno spasmo dell’uretere!). In questo caso quali reazioni posso avere dopo il trattamento? In genere si tratta di un semplice indolenzimento diffuso nella zona lombare che non dura molto, sempre che come già detto, non vengano sollecitate strutture che non hanno attinenza con il motivo del dolore che intendiamo aiutare a modificarsi! Per concludere: l’efficacia di un trattamento osteopatico è data dalla precisione con cui si scelgono le strutture da trattare, cercando di rispettare la logica che presiede ad una sintomatologia. Facendo ciò si permette al corpo manifestare solo le reazioni necessarie all’effettiva modifica da apportare, indicative tra l’altro di aver individuato correttamente la causa del disturbo. La mano aiuta, il corpo reagisce!

Per sapere qual è l’osteopata più vicino: www.roi.it. Se avete domande scrivete a : patrizia.forte@roi.it oppure info@fareverde.it


Le voci del bosco.

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di Mauro Corona, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, pp. 148, 11 euro

Il libro è stato pubblicato nel 1998, ma io non l’avevo ancora letto. Dopo una settimana passata al campo, nella pineta di Tagliacozzo, senza saper riconoscere gli alberi presenti (a parte i pini!), il libro è passato quindi spontaneamente dallo scaffale, nelle mie mani. E comunque un libro che parla del bosco è sempre attuale. La prima cosa che leggi è la dedica «Noi siamo alberi e gli alberi sono uomini. Ai piromani, perché riflettano”, che dà titolo al libro di comparire tra le recensioni della rivista di un’associazione come Fare Verde, che ancora oggi fa campi antincendio. L’autore è scrittore, alpinista e intagliatore di legno. Non saprei in che ordine. Racconta dei boschi del posto in cui vive, Erto, un villaggio di montagna in Friuli, abbarbicato (erto, appunto) sulla costa prospiciente l’ex lago formato dalla diga del Vajont. Nato nel 1950 e aveva 13 anni quando il monte Toc è precipitato nel lago portandosi via molti alberi e 2000 persone. Mauro Corona conosce il bosco perché lo ha osservato con passione e rispetto, e dice”Quanta gente, che alla domenica va nei boschi a consumare il picnic, non trova il tempo per guardare le piante. Basterebbe che spegnessero le radioline, si sedessero di fronte ad un albero e lo fissassero per dieci minuti soltanto. Sentirebbero qualcosa di buono nascere in loro, come una schietta simpatia che si affaccia improvvisa nei confronti di un amico.” Racconta il bosco attraverso le qualità e caratteristiche dei vari legnami, descrivendo ogni albero attraverso la voci, il comportamento, cioè delineandone vere e proprie personalità che li distinguono nettamente. In modo decisamente diverso dagli erbari e dei trattati di botanica, in cui le specie sono scientificamente ma altrettanto asetticamente presentate, nel libro ogni albero è rappresentato attraverso comportamenti “umani” non tanto per far si che la natura diventi uomo ma al contrario per avvicinare l’uomo alla natura.”Osservando le piante, tutti ci possiamo riconoscere in

una o nell’altra perché anch’esse, come noi, possiedono una personalità, un modo di vivere, un’educazione, una cultura”. E allora il buono e generoso si riconoscerà nel cirmolo, il superbo nel noce, l’elegante nella betulla, il cattivo nel sambuco, il sempliciotto nel faggio, il cocciuto nel carpino, l’effeminato nel frassino, il fannullone nel nocciolo ecc. ecc. Inoltre ogni albero evoca ricordi presenti e passati, aneddoti e riflessioni sulla vita, con il sottofondo onnipresente della tragedia del Vajont che segna il racconto come un’era storica (si parla di un “prima del Vajont” e di un “dopo il Vajont”). Ad ogni albero è legato il ricordo di una persona (il nonno, la zia, l’amico scultore, l’amico alpinista), un’emozione (arrampicarsi sui rami, dormire in una culla di legno, scolpire o tagliare un tronco) e un impiego (le slitte per la legna, gli sci, le tabacchiere, le gerle e tanti altri manufatti importantissimi in un’epoca in cui la natura era materia prima, degna di rispetto e timore). Nel narrare si presentano numerose occasioni in cui affiorano le “tecniche del saper fare” tipiche del mondo contadino e artigiano di alta montagna. Sono malinconici i racconti della perizia dell’uomo nel servirsi delle risorse del bosco - per realizzare oggetti che sarebbero dovuti durare il più possibile proprio per non intaccare di nuovo la natura stessa poiché repentino è stato il suo dimenticarsi tutto “..nel ‘63 esplose il miracolo economico e proprio come una bomba venne a distruggere per dare la possibilità di sostituire. Apparvero la “cucina americana” e i letti di metallo con la radio infilata dentro. Tutti quei nuovi oggetti brillavano in maniera accattivante e la gente scoprì di colpo che le umili cose di legno contenevano ormai da troppo tempo il monotono colore

della consuetudine. (...)Anche mia madre fu attratta come una cornacchia da quel luccichio e, in nome e per conto della modernità, pensò bene di bruciare tutto ciò che sapeva di vecchiume. E mise al fuoco pure i letti (in ciliegio usati da generazioni e generazioni – ndr).”. Le illustrazioni, a differenza di quelle dei libri di botanica, hanno nel tratto e nei soggetti elementi originali. A metà strada tra la copia dal vero (fatta per la paura che i luoghi possano cambiare ahimè irreversibilmente) e l’appunto di chi vuole lasciare ai posteri indicazioni per fabbricare gli antichi oggetti. Infine precisa:“La simpatia che un albero può suscitare in noi e il valore che gli attribuiamo, sono soggettivi e ispirati da motivi personali non scevri di una complicità che nasce da un’inconscia affinità di carattere. (….) Ma gli alberi, in fondo, non hanno nessuna colpa e, se non vengono provocati dall’uomo, che li toglie a volte brutalmente dal luogo di nascita, le loro miserie le tengono ben piantate nella terra. Gli uomini, invece, portano sovente e volentieri la loro cattiveria in giro per il mondo.” Buona lettura, alla scoperta dell’albero che siete!

recensione

letto da Emanuela Guerra


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Campo estivo 2011 a Tagliacozzo (AQ):

volontari in Pineta e in piazza tra i bambini

prendiamo iniziativa

a cura della redazione Il campo estivo di volontariato ambientale 2011 di Fare Verde svoltosi a Tagliacozzo è stato uno dei 3 campi estivi organizzati dall’associazione per l’estate 2011. I partecipanti sono stati complessivamente 32 e si sono avvicendati nella settimana da sabato 6 a sabato 13 agosto. Cinque partecipanti erano bambini al seguito di alcune famiglie di volontari. I volontari di diverse età, anche se in prevalenza giovani, sono giunti a Tagliacozzo in gran parte dalla regione Lazio, in particolare da Roma, Terracina, Formia, Gaeta, Gennazzano, Cave, Manziana. Alcuni volontari erano provenienti da Lombardia, Molise e Calabria. Ai volontari di Fare Verde operativi sui sentieri si sono aggiunte due volontarie in villeggiatura a Sante Marie e a San Donato e Massimiliano Orsini, volontario di Protezione Civile di Tagliacozzo e membro della Scuola di Sci Alpinismo “Rosa dei Venti”, che hanno stabilmente collaborato alla esecuzione dei lavori. La nutrita partecipazione ha permesso di terminare tutte le opere previste un giorno prima rispetto al programma dei lavori ed impegnare i volontari presenti in ulteriori attività di manutenzione della Valle delle Mole. Il campo base è stato allestito presso la sede del NOV PC – Nucleo Operativo Volontari di Protezione Civile di

Tagliacozzo. Fondamentale per la riuscita del campo è stato il supporto dei Volontari di Protezione Civile di Tagliacozzo che, coordinati dal Presidente Cristian Rossi, hanno montato e smontato le tre tende ministeriali in cui alloggiavano i volontari, hanno trasportato con mezzi propri e proprio personale volontario le 28 brande messe a disposizione dall’Amministrazione Comunale di Tagliacozzo e, oltre a facilitare la permanenza dei volontari di Fare Verde presso la loro sede di via Guglielmo Marconi, hanno offerto il loro supporto tecnico nel reperimento di materiali utili per la manutenzione dei sentieri e nella manutenzione delle attrezzature. Il lavoro di tutti i volontari coinvolti nel campo ha permesso di realizzare una manutenzione straordinaria del sentiero che dalla Risorgente porta alla sommità del Monte La Difesa, in località “La Croce”. Il sentiero si presentava, infatti, invaso in più punti da alberi caduti nelle passate stagioni invernali. Inoltre, in diversi punti il camminamento si presentava franato o era sul punto di franare. I tronchi rimossi dalla sede del sentiero sono stati sezionati ed utilizzati per consolidare il sentiero verso valle. Ogni pezzo di tronco è stato assicurato con puntelli in ferro e in legno. I nuovi tratti di camminamento, ricostituiti o consolidati, sono

stati riempiti con terra. Nel tratto inziale del sentiero, partendo dalla Risorgente sono stati realizzati alcuni scalini poiché in quel tratto il sentiero si presenta particolarmente scosceso e, nella situazione in cui era, risultava difficile da imboccare. Nel tratto finale dove il sentiero esce dalla Pineta per terminare sulla strada sterrata che porta a “La Croce” è stato, invece, realizzato un deciso intervento di rimozione della vegetazione spontanea che restringeva il passaggio. Contestualmente alle operazioni di manutenzione straordinaria del sentiero che porta a “La Croce”, è stata svolta una azione di ripulitura dalla vegetazione spontanea del piazzale della Risorgente e di tutti i sentieri che attraversano la Valle delle Mole in diverse direzioni. La lunga seduta in cemento che costeggia il piazzale verso la Risorgente è stata liberata da una fitta coltre di vegetazione e di muschio ed è ora nuovamente utilizzabile. Allo stesso modo, sono stati completamente liberati dalla vegetazione i massi che sovrastano la seduta e tutto il muretto in pietra che si affaccia sulla Valle delle Mole, prima ricoperto da edera. Infine, sono stati liberati dalla vegetazione, ed ora sono nuovamente visibili, i ruderi del mulino posto immediatamente sotto il piazzale della Risorgente. Al termine dei lavori di rimozione della vegetazione che ingombrava i sentieri, il piazzale e il mulino, è stata effettuata anche una operazione di rimozione dei rifiuti abbandonati. I lavori sono terminati venerdì 12 agosto. La città di Tagliacozzo ha potuto così offrire ai numerosi turisti che la frequentano nei giorni a cavallo di Ferragosto, un nuova visione di tutta l’area della Valle delle Mole. Allo stesso tempo, gli escursionisti hanno potuto percorrere in maggiore comodità e sicurezza il sentiero montano che porta alla sommità del Monte La Difesa. Nei giorni di lunedì 8, martedì 9 e mercoledì 10 agosto in piazza Duca degli Abruzzi sono stati svolti dalle ore 10:00 alle ore 13:00 alcuni laboratori di educazione ambientale tenuti


da aducatori e animatori del “gruppo scuola” di Fare Verde. Ai laboratori hanno partecipato complessivamente circa 50 bambini gran parte dei quali ha partecipato ad almeno 2 giornate. In concomitanza con i laboratori ambientali e la mattina di domenica 7 agosto è stato allestito un gazebo informativo sulle attività svolte da Fare Verde nel corso del campo estivo. Il punto informativo è stato anche l’occasione per diffondere informazioni sulle tematiche dei rifiuti e dell’energia. Le attrezzature elettriche utilizzate nel corso dei laboratori sono state alimentate con un impianto fotovoltaico ad isola in dotazione a Fare Verde, evitando qualsiasi allaccio alle forniture elettriche comunali o delle aziende distibutrici. La presenza dell’impianto fotovoltaico ha incuriosito alcuni cittadini e passanti offrendo una ulteriore occasione per fare informazione sull’utilizzo razionale dell’energia e la produzione energetica con fonti rinnovabili su piccola scala. Martedì 9 agosto alle 21:30 si è tenuto presso il campo base un incontro tra i volontari di Fare Verde e la Scuola Sci Alpinismo “Rosa dei Venti”. Il direttore della scuola, Fabrizio Pietrosanti con l’ausilio di diapositive e supporti informatici ha illustrato ai presenti le caratteristiche naturali dell’area in cui i volontari erano impegnati. Ne è scaturita una discussione sull’importanza di tutelare e conservare le aree naturali anche per la creazione di nuove economie locali. In particolare, Fare Verde ha offerto la sua disponibilità a partecipare ad un percorso di tutela e conservazione delle aree naturali di Tagliacozzo. Resta da realizzare una adeguata segnaletica dei sentieri manutenuti. Questa attività, pur prevista dal campo estivo di Fare Verde, è stata rimandata, in accordo con la Scuola Sci Alpini-

smo “Rosa dei Venti”, al fine di realizzarla secondo gli standard internazionali ed avviare le pratiche per ottenere dal CAI – Club Alpino Italiano il rico-

noscimento del sentiero che da via III Molini porta alla sommità del Monte La Difesa nonché il suo inserimento nelle carte ufficiali.

Brindisi e Bitonto (BA)

Due campi estivi in Puglia per salvare la Natura dalle fiamme. Dei due campi regionali antincendio in Puglia, il primo campo estivo è stato organizzato nel Parco Regionale “Saline Punta della Contessa” a Brindisi, con il Patrocinio del Comune di Brindisi – Assessorato all’Ambiente. Il campo, che è iniziato il 9 luglio e si è concluso il 30 settembre, ha visto alternarsi nei vari turni circa 40 volontari, sia di Fare Verde che delle associazioni Ekoclub International di Brindisi ed Exuvia – ASICIAO di Oria. Dopo un mese di luglio tranquillo, con solo un focolaio avvistato e prontamente segnalato e spento, il mese di agosto ha visto innumerevoli interventi dal 16 al 21, con pronto intervento dei volontari coordinati dal Corpo Forestale dello Stato e dei Vigili del Fuoco. Alcuni focolai sono stati originati nei pressi dei viottoli utilizzati, abusivamente, trovandoci in “Zona A” del Parco, dai bagnanti per raggiungere la spiaggia con le loro autovetture: probabile l’innesco del fuoco da mozziconi di sigaretta lanciati nelle sterpaglie. Nell’incendio del 21 agosto, estesosi al canneto posto nei pressi delle vecchie “Saline” hanno trovato la morte anche alcuni uccelli ivi nidificanti. Nella zona del Campo, inoltre, sono stati rinvenuti, durante i perlustramenti, dai volontari di Fare Verde, esemplari di “Trampolieri” ed altri uccelli “nidiacei”, consegnati al Centro di Prima Accoglienza della Fauna Selvatica della Provincia di Brindisi. In ogni caso, la presenza dei volontari del “II Campo Avvistamento Antincendio – P.

Colli” e le tempestive segnalazioni ai Vigili del Fuoco hanno evitato danni ancora più gravi alla flora ed alla fauna del Parco medesimo. Il secondo campo estivo antincendio promosso quest’anno si è svolto nel Bosco di Bitonto nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia, dal 15 al 29 luglio. E’ stato rinnovato l’appuntamento del campo antincendio per renderlo stabile riferimento mediante l’insediamento di un campo base presso il “Bosco di Bitonto” località “Murgia della Città” nelle vicinanze della frazione di Mariotto in agro di Bitonto, verso la località di Quasano (fraz. di Toritto). L’intento dell’associazione era quello di far vivere e conoscere il territorio Murgiano e pre – Murgiano e sensibilizzare non solo i volontari direttamente interessati, ma anche i simpatizzanti ed i curiosi che si avvicinano per la prima volta alla scoperta della natura nell’intento di preservare e ristabilire equilibrio dell’ambiente del nostro territorio. È stato svolto un servizio di volontariato per la manutenzione di alcuni sentieri e tutti insieme i volontari hanno passato qualche giorno di convivialità, approfondendo i temi della decrescita e di educazione ambientale. I volontari hanno operato sui territori del Parco ricompresi nei Comuni di Bitonto e limitrofi, muovendosi lungo le strade principali, secondarie, tratturi, mulattiere e sentieri interpoderali, vigilando principalmente su focolai d’incendio.

prendiamo iniziativa

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25 anni avanti

Costruisci con noi un’altra storia. Iscriviti al futuro. Fare Verde onlus è Associazione di Protezione Ambientale riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente ai sensi Art.13 L.349/86 Segreteria nazionale : via Ardeatina 277 - 00179 Roma - tel/fax 06 700 5726 - info@fareverde.it - www.fareverde.it

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25 anni fa nasceva Fare Verde. Da subito si è battuta per fermare il nucleare, riutilizzare gli imballaggi, riciclare i rifiuti e compostare quelli organici, uscire dal consumismo e recuperare l’equilibrio tra noi e l’ambiente che ci circonda. 25 anni dopo è possibile usare bastoncini nettaorecchie biodegradabili, mettere al bando i sacchetti di plastica, acquistare latte e detersivi alla spina, installare pannelli fotovoltaici sul proprio tetto, usare pannolini lavabili, fare la spesa dal contadino, condividere un’auto invece di comprarla, fare la raccolta differenziata porta a porta in migliaia di Comuni italiani, compostare i rifiuti umidi in giardino, usare lampade che consumano un decimo di quelle di 25 anni fa. Il mondo sta cambiando nella direzione che Fare Verde immaginava un quarto di secolo fa. Ma non basta. Produciamo ancora troppi rifiuti, sprechiamo ancora troppa energia e c’è chi dopo 25 anni vorrebbe ritornare al nucleare. Per questo serve ancora il nostro impegno. E la nostra visione, di 25 anni avanti.


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