TEMU
AZIMUT|BENETTI
Giovanna Vitelli: «È la tecnologia il fattore abilitante»
CLIMATE
EDIZIONI ECOMARKET SPA Poste Italiane S.P.A. –Spedizione in abbonamento postale –D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N.46) Art. 1, Comma 1 Lom/Mi/1769
E SHEIN
best practice da emulare 26
Il ceo detta la rotta per ampliare il perimetro 12
Le
DAMIANI
CHANGE
la
cavalca i nuovi dettami
50
Come
moda
stagionali
16 Cover: DIOR ANNO 55 - N° 1- 12 EURO Primavera 2024
TEMPO
Imboccare nuove strade senza incertezze STRATEGI A, INNOVAZIONE E MERCATI
IL
DELLE DECISIONI
Features Contents
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MARCO MARCHI E LO SVILUPPO
SOSTENIBILE DI LIU JO
Le strategie, i numeri e gli obiettivi del marchio di moda premium da 500 milioni di fatturato, raccontati dal suo fondatore e presidente
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SFILATE DI MILANO: ECCO LO
SCHEMA PER PIACERE A TUTTI
Come accaduto alla fashion week uomo, a dominare sono state le collezioni basate sulla solidità e poco inclini al rischio. Tutto per rassicurare buyer e consumatori finali
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GIOVANNA VITELLI RACCONTA LE SFIDE DI AZIMUT|BENETTI
Nelle parole della presidente la realtà del primo produttore mondiale di superyacht. «La nostra forza? - dice -. Non smettere mai di innovare».
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SHEIN E TEMU: CAMBIERANNO LA MODA ONLINE
Prezzi stracciati, shopping experience innovativa e analisi dei dati sono i segreti per conquistare clienti-ambassador nel mondo dei più giovani e non solo
7 L'EDITORIALE INTERVISTE
10 MARCO MARCHI/LIU JO
«Per la moda premium un 2024 di opportunità all'insegna della fiducia nel consumatore»
12 GUIDO DAMIANI /DAMIANI
«Damiani punta a distinguerci. Nuove acquisizioni? Siamo pronti»
14 EDGARDO OSORIO/AQUAZZURA
Verso un brand lifestyle: nuovi orizzonti per il made in Toscana di Aquazzura
16 GIOVANNA VITELLI/AZIMUT
«Innovazione e "su misura" negli yacht: così navighiamo più veloci dei competitor»
STRATEGIA
18 I BUYER ALLA FASHION WEEK
Savoir-faire con iniezioni di glamour: è lo schema di Milano per piacere a tutti
22 WHITE
Tra gli espositori c'è fiducia, sperando in un inverno meno hot
26 LE PIATTAFOME CINESI
Temu e Shein: due fenomeni "attivanti" nel bene e nel male
30 FARFETCH
Il ballo dei manager: come cambia l'organigramma nell'era Coupang
31 MADE IN ITALY ALLA PROVA DEI BILANCI
Per Moncler ricavi vicini ai 3 miliardi Otb cresce a doppia cifra nel 2023
INNOVAZIONE
33 REGOLAMENTO ECODESIGN
Una sfida e una chance se la filiera fa quadrato
42 DESIGNER TO WATCH Largo alla Next Gen
3
PRIMAVERA 2024
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Features
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TESSUTI E FILATI: TRA NUOVE LEGGI E SOSTENIBILITÀ
In vista dell’introduzione del passaporto digitale, per la filiera del monte la tracciabilità diventerà sempre più un fattore competitivo
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USA: LA MODA EUROPEA È PRONTA A INVESTIRE
Nonostante un 2024 incerto, gli Stati
Uniti restano al centro delle strategie retail con le mega operazioni firmate Lvmh, Kering e Prada. E non solo
50
I CAMBIAMENTI CLIMATICI INFLUENZANO LO SHOPPING
Il rialzo termico sta cambiando le scelte del consumatore. Le aziende devono attrezzarsi, modificando pesi e tessuti e addirittura creando collezioni ad hoc
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I BUYER ITALIANI FANNO I CONTI CON IL CARO PREZZI
Si chiude una stagione invernale penalizzata anche dal fattore clima, ma che ha visto i listini elevati tenere banco fra i dettaglianti
Contents
44 PARLANO TESSITORI E FILATORI Sfide sostenibili, nuove leggi, AI: l'impatto sul tessile
50 GLOBAL WARMING E ABBIGLIAMENTO
Climate change? Innovazione, capi ultralight e transeasonal per salvare il business
MERCATI
54 INTERVISTA A GIOVANNI BIANCHI Lubiam: adesso tocca alla donna
56 LA MODA OLTREOCEANO
Stati Uniti: perché vale la pena di provarci
60 CHINA RESTART
Turisti cinesi in Italia: il vero business è soddisfare le aspettative di una domanda “superiore”
65 VENDITE DONNA FW23/24
Giustificare i prezzi alti: per chi vende le griffe è sempre più difficile
70 INTERVISTA/ALESSIA XOCCATO
«Il comfort non basta. Per la donna Xacus servono camicie speciali»
73 UPCOMING TRENDS Hints of Tomorrow
85 LUCIO DI ROSA/FASHION MATCHMAKER
«Abbinare bene luxury e celebrity fa decollare la brand consideration»
86 MICHELLE HUNZIKER
«Autentico e naturale: Goovi è molto di più di un wellness brand»
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PRIMAVERA 2024
Il tempo delle decisioni
L’eterno tergiversare del nostro sistema produttivo d’eccellenza tra moda, lusso e lifestyle sta giungendo a un bivio ineludibile. Il capitalismo mignon all’italiana - contraddistinto da deficit manageriali, carenza di grandi capitali e pressoché totale assenza di economie di scala - quando confrontato con il gigantismo dei colossi, siano essi d’Oltralpe, d’Oltreoceano o del Regno di Mezzo, si trova messo sempre più in un angolo. Urge il coraggio di cambiare. Il mercato è ormai a forma di clessidra. Mentre nel quadrante alto vi sono spazi di manovra sempre più ampi nella caccia ai super-ricchi del pianeta, che vanno però serviti con proposte dal valore indiscutibile, chi si trova schiacciato nella parte mediobassa soffre una rapida e pericolosa erosione dei margini. Non è un caso se marchi un tempo blasonati o quanto meno rilevanti come Trussardi, Stefanel, Les Copains, Antonio Marras o lo stesso Piombo finiscano sotto la curatela del fast fashion nelle sue varie emanazioni, si chiamino esse Oniverse, Ovs o Miroglio. Chi non riesce ad agganciare in modo strutturato un mercato del lusso che necessita sempre più di una certa massa critica fa fatica, soprattutto in scenari di rallentamento come quelli odierni, a giustificare price point elevati. E allora rischia di cadere preda di offerte premium convincenti come quella di Liu Jo (vedi l’intervista
a Marco Marchi), che di fatto si vanno a sostituire agli entry price o alle ex seconde linee dell’alto di gamma. In basso incombono poi Temu e Shein (vedi l’inchiesta dedicata), fagocitatori rapaci degli stessi modelli di business una volta egemoni sul mercato di massa, quali Zara, Zalando o H&M. Gli imprenditori italiani non possono allora più permettersi di tergiversare. Una via è cercare aggregazioni. L’altra, specializzarsi. In un mercato che premia icone, best seller e singoli prodotti di grandissima tendenza, essere posizionati troppo ampiamente, in una value proposition diluita, può risultare fatale. Meglio concentrarsi su punti di forza difficilmente replicabili e crescere con il massimo della potenza tecnologica, per poi raccogliere capitali e scalare rapidamente. L’unicità dei nostri manufatti rende percorribile questa strada, ad altri ancora preclusa. Ma vanno abbandonate antiche certezze, fastidiose sicumere e caduche rendite di posizione.
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Marc Sondermann m.sondermann@fashionmagazine.it
EDITORIALE
Direttore Responsabile
INTERVISTA
Marco Marchi
Liu Jo
«Per la moda premium un 2024 di opportunità all'insegna della fiducia nel consumatore»
«Per l’imprenditore, dati i prezzi saliti alle stelle, i brand premium possono diventare un’alternativa alle griffe del lusso: «Ma perché ciò accada serve la capacità di raccontarsi al mercato, di trasmettere sicurezza e trasparenza». Un percorso intrapreso dal marchio di Carpi, pronto con la collezione FW24 ad abbassare i prezzi, senza impattare sulla qualità: «Un segnale di realismo, stimolerà la relazione con la nostra community»
Una società rinnovata e più internazionale, nei messaggi e nel posizionamento. E anche nella struttura, perché prosegue nella sua trasformazione, avendo recentemente acquisito il controllo diretto di un business importante come quello della moda maschile, entrando in maggioranza nelle società che lo gestisce. A governare l’evoluzione di Liu Jo c’è sin dalla sua nascita (datata 1995) il fondatore e amministratore unico Marco Marchi, che con la sua strategia ha proiettato l’azienda verso il traguardo di 500 milioni di fatturato nel 2023: un record a livello europeo nel segmento della moda premium. «Stiamo continuando a investire perché il brand non smetta mai di proiettare un'immagine positiva, creativa e innovativa, puntando sulla forte presenza internazionale», dice l’imprenditore, non intenzionato a farsi condizionare dalle previsioni macro-economiche: per lui il 2024 non sarà solo l’anno dell’incertezza ma anche dell’azione.
Molti prevedono l'inizio di una nuova era per la moda premium, diventata oggetto delle attenzioni di un consumatore più aspirazionale. È d’accordo? Sicuramente in questa fase ci aiuta il fatto che il numero degli “orfani del lusso” è in continuo aumento. Mi riferisco a quella fascia di consumatori scoraggiati dai forti aumenti dei prezzi adottati negli ultimi anni dalle griffe e che ora guardano con attenzione i brand con un value for money più “inclusivo”, ma con un appeal distintivo, perché se non c’è quello non può esserci desiderabilità. Una situazione che rappresenta per le realtà del segmento premium un'opportunità e non intendiamo lasciarcela scappare. Certo sappiamo che per cogliere questa opportunità, sono necessarie caratteristiche precise, che fortunatamente fanno parte di Liu Jo, entrata nella fase 2.0.
Quali sono queste caratteristiche?
DI ANDREA BIGOZZI
Marco Marchi ha fondato Liu Jo a Carpi nel 1995. Sotto la sua guida il brand è cresciuto fino a raggiungere 500 milioni di ricavi diventando una realtà di riferimento nello scenario della moda contemporary premium.
Nel 2019 Marchi ha ampliato il suo progetto imprenditoriale con la creazione della holding Eccellenze Italiane - la cui prima acquisizione è stata Blumarine
nella strategia aziendale. L’obiettivo per il futuro è portare avanti progetti che abbiano un impatto ambientale sempre minore. Questo non solo nel rispetto della normativa sul tessile della Comunità Europea ma della sensibilità del consumatore - specie quello più giovane, attento al tema - , che sceglie di premiare un brand in base a quanto sia in linea con i propri valori e convinzioni. Il punto finale è il value for money, che per noi significa usare materiali di alta qualità che durino nel tempo, offrire prodotti a un prezzo calibrato alla ricerca e l'innovazione che offriamo e che possa far superare quella fase bulimica di promozioni e svendite che ha contribuito a complicare la gestione di rimanenze e capi in eccesso.
La prima è poter contare su uno storytelling corretto, che possa essere raccontato e trasferito al consumatore non soltanto sul mercato dome-
«Le borse sono strategiche: fanno posizionamento, in più sono inclusive e non risentono del clima. Non smetteremo mai di investire su questo segmento»
stico, ma anche su quello internazionale. Questo approccio alla comunicazione è cominciato con la campagna SS24 Liu Jo The New Glam, studiata per coinvolgere e attivare una comunità globale, senza però tradire i codici intrinsechi del brand che sono lo stile mediterraneo, la vestibilità inclusiva, l’immagine in bilico tra la seduzione e la gioiosità. Poi c’è la sostenibilità, che conquisterà uno spazio sempre maggiore
Crescita di percezione da parte del consumatore, crescita di posizionamento nel mondo come emblema dell’italianità, crescita in termini di sostenibilità: questo percorso virtuoso impatterà anche sui risultati economico-finanziari? È un iter che sta dando risultati molto confortanti in termini di scelta e di preferenza del marchio, ancor più che in termini di volumi. Sappiamo che quello dell’abbigliamento premium è un mercato in grossa evoluzione, quindi per noi è importante non perdere di vista la crescita sostenibile nel lungo termine. Per quanto riguarda il breve periodo, sappiamo che il 2024 sarà un anno complesso per il settore moda, per una serie di ragioni che si stanno sommando tra loro in un diabolico incastro di effetti negativi: le guerre, la crisi di Suez, che impatta sulle forniture, il fattore climatico che ha condizionato in maniera significativa il sell-through dell’abbigliamento, soprattutto per quanto riguarda l’inverno e, non ultimo, l’aumento dell’inflazione. Siamo consapevoli che la crescita globale si sta indebolendo e la domanda contraendo, ma restiamo ottimisti, anche perché per il momento i dati che raccogliamo sono estremamente positivi. Abbiamo un piano per affrontare il 2024
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1. Un look maschile della PE24. Il progetto uomo sarà sviluppato dalla nuova Joint venture formata dal gruppo di Carpi e l'ex licenziatario Co.ca.ma.
2. La campagna manifesto Liu Jo The New Glam
3. Un momento dell'evento Liu Jo Pets dedicato agli amici a quattro zampe svoltosi a febbraio a Milano
e forse anche una parte del 2025 con grande attenzione, cercando di proteggere la distribuzione che deve essere attenta, non bulimica.
Cosa prevede questo piano?
Essenzialmente una forte dose di sano realismo: in un mondo in cui i prezzi si impennano, gli stipendi invece non crescono. Data la situazione, l’azienda ha deciso di intraprendere un percorso di sensibilità e umiltà: la collezione FW24, attualmente in campagna vendita, uscirà sul mercato con una riduzione dei prezzi. Una decisione che potrà sicuramente influire sulle marginalità, ma a nostro avviso in questo momento è molto più importante avere un atteggiamento responsabile. Vogliamo essere un punto di riferimento per la nostra community di consumatori, costi quel che costi.
È una strategia di pricing che riguarderà tutto il mondo Liu Jo?
Assolutamente sì. New Glam rappresenta a 360 gradi un universo fatto di abbigliamento e accessorio, ma non solo. È chiaro che questa strategia deve essere comune, per dare solidità a una visione di brand che non può essere valida per alcune categorie di prodotto e non per altre.
A proposito di accessori, è un business che sta andando molto bene…
È un pezzo importante del nostro turnover: vale il 16% delle vendite totali ed è in costante crescita. Si tratta di un segmento strategico nel mondo del lusso come nella moda premium. La borsa è un elemento del guardaroba naturalmente democratico e inclusivo, che rispetta le diversità e unicità dei Paesi dove siamo presenti. Può essere indossata a tutte le latitudini, con qualsiasi clima e in più è capace, anche da sola, di caratterizzare il posizionamento di un brand. Per tutte queste caratteristiche non smetteremo mai di comunicare e di dare a quest’area creativa gli strumenti necessari per poter stupire.
Cosa vi aspettate invece dall’uomo, che avete da poco internalizzato?
Sta diventando sempre più importante. Abbiamo lanciato questo progetto in licenza, raggiungendo i 60 milioni, e la proiezione è di arrivare a 90 in tre anni. Visto il successo e il potenziale, abbiamo condiviso con il nostro partner la volontà di creare insiene una joint venture che ci vedesse con un ruolo di maggioranza. Così facendo, la collezione maschile di Liu Jo entra a far parte di un progetto più ampio che potrà sfruttare sinergie industriali e di finanza, ma anche commerciali e di comunicazione. Ci aspettiamo, infatti, una notevole spinta del menswear verso i mercati internazionali e un potenzia-
€500 milioni
Il 2023 Liu Jo ha toccato il traguardo del mezzo miliardo di ricavi. Nel 2024 l'obiettivo è una crescita sostenibile
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mento della sua immagine, perché sarà sempre più parte integrande del nostro storytelling.
State attraversando una “rivoluzione”: la distribuzione seguirà il cambiamento?
Credo che l’operazione mista a livello distributivo, che Liu Jo porta avanti da sempre, sia la scelta migliore. Ci sono aree dove il retail diretto diventa indispensabile per una serie di elementi economici e strategici, ma ce ne sono altre in cui è preferibile l’attività del multimarca qualificato, che grazie a un rapporto intimo con il consumatore svolge un ruolo da consulente. Rinunciare a questo patrimonio non avrebbe senso: il mix dei canali è il giusto compromesso per un’azienda che ama l’abbigliamento. Anche sul fronte dello sviluppo dei nuovi mercati si prospetta una fase di “azione”? L’anno prossimo Liu Jo compirà 30 anni, un traguardo importante a cui ci avviciniamo con un’ambizione: essere presto un attore di riferimento anche in aree dove il brand al momento non è presente. Penso alla Cina, da cui anni fa siamo usciti, ma che vogliamo riapprocciare, unitamente a tutto il Far East. Sono in corso dei contatti e valutiamo una serie di opportunità: si tratta soprattutto di individuare il momento giusto per entrare in azione. Parallelamente, stiamo monitorando con attenzione un’operazione di ottimo successo fatta in Messico, che potrebbe rivelarsi la porta d’accesso per gli Usa. Sono in arrivo altre novità per le licenze? Liu Jo sta investendo in termini di risorse e di obiettivi sulla linea beauty, lanciata un anno fa con Rougj. Siamo partiti dal make up e a breve usciremo con lo skincare. È un progetto ambizioso, che sta crescendo e prevediamo di sviluppare in maniera significativa nei prossimi due-tre anni. La fase uno ha avuto una distribuzione selettiva nelle farmacie e ci stiamo preparando alla fase due, che coinvolgerà profumerie e grandi catene. Abbiamo a cuore anche la licenza Liu Jo Pets. Portiamo avanti l'iniziativa come un’opportunità per legarci ai nostri consumatori, che apprezzano le attenzioni dimostrate verso i loro amici a quattro zampe considerati, a tutti gli effetti, parte della famiglia.
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INTERVISTA
Guido Damiani Damiani
«Damiani punta a distinguersi. Nuove acquisizioni? Siamo pronti»
La maison di gioielli basata a Valenza festeggia nel 2024 100 anni di storia, registrando un forte apprezzamento dei suoi prodotti, specie sui mercati del Far East e Middle East e tra le generazioni più giovani. «Per loro la gioielleria è un’estensione della moda», dice il presidente, che anticipa un piano di importanti investimenti soprattutto nella distribuzione e nella manifattura»
Guido Damiani si appresta a celebrare i primi 100 anni di Damiani in un momento che sta condizionando i parametri e le strategie di tutte, o quasi, le imprese del settore lusso. E nel quale lui, in quanto presidente, è pronto insieme ai fratelli Silvia e Giorgio a far crescere la maison di Valenza con una serie di novità e importanti investimenti. «L’anniversario per il centesimo compleanno - sottolinea - rappresenta per noi un’occasione per testimoniare l’eterna vitalità di Damiani, che anno dopo anno si rinnova. Festeggeremo, certo, ma soprattutto penseremo al futuro. Siamo all’attacco, stiamo facendo grandi investimenti».
Nel 2024 Damiani compie 100 anni. Com’è cambiato il mondo della gioielleria rispetto al passato?
E come si prepara il futuro?
Arriviamo in ottima forma all’appuntamento con il centenario. C’è stato un forte apprezzamento dei prodotti, ottenuto soprattutto grazie all’efficacia della nostra strategia, che premia lo sviluppo della distribuzione e il potenziamento della manifattura. L’azienda va bene (l’ultimo bilancio consolidato ha toccato i 300 milioni di euro, ndr) e continua a crescere. Anche se ci sono rallentamenti all’orizzonte, come evidenziato anche dalle recenti trimestrali dei diversi gruppi multinazionali del lusso, continuiamo a essere positivi e molto fiduciosi, specie a medio e lungo termine. A renderci ottimisti è anche il fatto che la gioielleria unbranded sta finalmente perdendo peso e questo ovviamente avvantaggia un marchio come il nostro, che investe costantemente non solo in manifattura ma anche in pubblicità, apre negozi monomarca nelle vie dello shopping più prestigiose al mondo e ha stretti rapporti con le celebrity internazionali. Aspetti che i consumatori dimostrano di apprezzare: in particolare i giovani, che considerano la gioielleria una naturale estensione della moda, e i mercati come Asia e Medio Oriente, che hanno un forte rispetto dei nostri valori, del Made in Italy, del savoir-faire, del design, della cultura del bello e sono pronti a pagare per possederli.
DI ANDREA BIGOZZI
A metà degli anni ’90, ancora giovane, Guido Damiani assume la direzione dell’azienda, portando il Gruppo Damiani da meno di 50 milioni di euro di fatturato a 300 milioni (esercizio 22-23). Sotto la sua guida aprono i primi negozi monomarca in Italia e prende il via l'espansione internazionale, con oltre 60 boutique dirette nelle principali vie dello shopping globale
«Abbiamo già sperimentato modelli di orologio-gioiello, ora siamo pronti a considerare l’ingresso nell’orologeria»
Le strategie per il futuro, quindi, passano da Oriente?
Vediamo grandi opportunità di mercato in Asia e Far East: Cina, Corea e poi Giappone, dove da sempre siamo molto conosciuti con il brand Damiani e che pensiamo sia pronto ad amare anche gli altri brand del nostro portfolio. Un focus è anche sul Medio Oriente: non è un caso che abbia deciso di trasferirmi a vivere con la mia famiglia a Dubai, per poter presidiare al meglio un’area dal grande potenziale e instaurare relazioni dirette con i clienti, molto attenti e interessati al mondo del gioiello. Nei prossimi mesi abbiamo in programma nel Golfo una serie di store opening strategici tra Bahrain,
Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Ma gli investimenti saranno anche altrove: abbiamo scelto di celebrare questo anniversario per ricordare a tutto il mercato cosa c’è dietro al brand Damiani.
Fra i main target su cui puntare per la crescita, oltre alle nuove generazioni e ai nuovi mercati c’è anche il consumatore maschile?
I marchi del settore hanno per la maggior parte una linea di prodotti pensata interamente per l’uomo. Il mercato è ancora piccolo ma in crescita e, anche in questo caso, le novità arrivano da Oriente. Per esempio in Giappone, la percentuale di clienti uomini è già considerevole e penso che lo stesso fenomeno possa presto verificarsi anche in Cina. In Europa ci vorrà più tempo perché ciò accada: è un mercato più conservativo. Ma una cosa è certa, il gioiello da uomo non sarà più un’eccezione per pochi. Oggi incide per un 4/5% circa sul nostro giro d’affari nell’alta gioielleria, ma penso che in cinque anni potremmo triplicare le performance e sul piano generale non ho dubbi: tra 20 anni, forse 30, la gioielleria maschile equivarrà a quella femminile per valore del business.
Difficile parlare di consumatore maschile e di gioielli senza pensare agli orologi. Avete pensato di entrare nel settore?
Gioielli e orologi sono certamente mondi vicini tra loro, condividono la fascia di prezzo e la logica distributiva. In passato abbiamo già sperimentato qualche modello di orologiogioiello, ma si trattava di progetti spot. Ora invece ci siano convinti a prendere più sul serio l’ipotesi di entrare nel mondo dell’orologeria, che riteniamo di conoscere bene attraverso Rocca. Penso che entro un paio di anni ci saranno interessanti novità su questo fonte.
Altri progetti di brand extension?
Fortunatamente arriviamo da un biennio in cui, dato l’incremento degli ordini, abbiamo avuto poco tempo per approfondire questo
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tipo di iniziative, dovendo privilegiare aspetti più core, legati al potenziamento della manifattura. L’idea di aprirci al mondo lifestyle c’è da tempo, ma dobbiamo essere cauti e farlo con i progetti giusti. Vediamo delle opportunità nel portare sul mercato, per esempio, un profumo a marchio Damiani, ma siamo anche consapevoli dei rischi legati a questo genere di operazioni. Il primo fra tutti quello di “sporcare” il nostro brand, legandolo a prodotti con un pricing accessibile e a una distribuzione mass market.
È il fatto di tenere in così seria considerazione il valore del marchio che vi ha portato a costruire intorno al gruppo un portfolio che spazia dai gioielli al retail monomarca e multimarca, fino al design con Venini? Oltre a Damiani e Salvini non vanno dimenticati Bliss, Rocca, Venini e Calderoni, brand specializzato nella fornitura di diamanti naturali di alta qualità. Siamo grandi, considerando la realtà italiana, ma piccoli se confrontati con i big player francesi e svizzeri. Peraltro negli anni tutte le acquisizioni siglate non sono state solo volte a far crescere il gruppo sul piano dimensionale, ma a costruire una realtà diversificata, con possibili sinergie tra i marchi.
Il piano di acquisizioni proseguirà?
Sarà sempre in un’ottica strategica?
Il nostro obiettivo è, in effetti, consolidarci come un gruppo indipendente nel settore: per questo siamo sempre interessati a realizzare operazioni strategiche con altre realtà, che si tratti di marchi, produttori di eccellenza o retailer. Certo, le acquisizioni di brand sono le più difficili da finalizzare, perché le possibilità sono davvero poche. Sul mercato si trovano soprattutto piccole etichette con poca visibilità globale, spesso troppo legate alla figura del proprietario-fondatore, e non è quello che cer-
chiamo. In attesa del giusto affare, rivolgiamo quindi le nostre attenzioni a operazioni legate alla produzione, per stare al passo con una domanda che cresce. Ma a Valenza, che è il distretto dell’alto di gamma, in questo momento non è facile fare affari: qui recentemente i grandi colossi del lusso, come Lvmh e Richemont, hanno acquisito manifatture e trasferito produzioni e questo ha reso più difficile per una realtà come la nostra, che siano i più piccoli dei grandi, intavolare certe trattative con imprenditori locali, che in questo momento aspirano a valutazioni considerevoli per le loro attività. Ma sono certo che vivremo presto una normalizzazione e che Damiani siglerà altre joint venture e acquisizioni, anche di minoranza, con i produttori radicati sul territorio. Anche perché restiamo un’azienda familiare e questo rappresenta un elemento chiave di vicinanza e comprensione verso le piccole-medie imprese del settore.
Le cose sembrano più facili quando si tratta di rilevare il controllo di una gioielleria…
È vero: negli ultimi anni abbiamo siglato tre partnership con noti retailer italiani, Bruno
I fratelli Damiani: Giorgio, Silvia e Guido
«Damiani è l'ultimo marchio italiano di gioielli e con rilevanza internazionale rimasto indipendente. Ai nostri clienti piace che dietro l’azienda ci sia una famiglia e non una multinazionale»
1. Un momento della lavorazione artigianale di un gioiello Damiani. 2. La modella internazionale Bianca Balti indossa una parure di diamanti firmata della maison 3. La nuova boutique Rolex e Rocca inaugurata in Galleria Vittorio Emanuele a Milano
Maria Zimmitti di Siracusa, Floris Coroneo a Cagliari e Scintille di Reggio Calabria più recentemente, che hanno portato alla nascita di altrettante nuove boutique con insegna Rocca. In molti di questi casi si è trattato di vere alleanze e non di acquisizioni, perché le vecchie proprietà sono rimaste alla guida di queste attività e il gruppo ha messo a disposizione tutta la sua esperienza e managerialità. Si è trattato di operazioni win-win, fatte con l’ambizione di crescere insieme. Penso che proprio in ambito distributivo questa sia la strada migliore, se non l’unica, per continuare a essere competitivi sul mercato.
Dunque per voi il network dei negozi resta centrale. Non vedete opportunità maggiori nell’e-commerce, visto anche l’investimento fatto in LuisaViaRoma? Continueremo a potenziare i nostri monomarca in giro per il mondo e a espandere anche all’estero la rete distributiva Rocca, con cui abbiamo appena inaugurato un bellissimo store Rolex in Galleria Vittorio Emanuele. Parallelamente, certo, portiamo avanti gli investimenti nel canale online, che cresce come è inevitabile che sia e che è un’opportunità, perché ci consente di intercettare un cliente che non osa entrare in una gioielleria. Ma anche in questi casi l’acquisto si conclude sempre con una telefonata, perché rispetto ad altre tipologie o fasce di prodotto, quando si tratta di alta gioielleria si chiedono servizio e informazioni, ma le persone vogliono soprattutto essere rassicurate. Alla fine acquistare un gioiello è questione di feeling, più che di tecnologia.
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INTERVISTA
Edgardo Osorio
Fondatore e direttore creativo
Verso un brand lifestyle: nuovi orizzonti per il made in Toscana di Aquazzura
Di origini colombiane e globetrotter, ma radicato a Firenze, Edgardo Osorio ha le idee chiare sul futuro del marchio, pronto a sperimentare nuove linee di prodotti. Naturalmente artigianali e di lusso, perché oggi «la qualità vince sulla quantità»
DI ANGELA TOVAZZI
Lei è di origini colombiane, ha vissuto a Londra e Miami, ma quando ha lanciato Aquazzura, nel 2012, ha scelto Firenze come base per la sua casa di moda… Ho sempre vissuto in giro per il mondo e tuttora viaggio moltissimo, non potrei stare fermo in un unico luogo. Ma non avrei potuto fondare Aquazzura in nessun altro posto se non a Firenze. Appena vi ho messo piede la prima volta mi sono sentito immediatamente a casa, me ne sono subito innamorato. Innanzitutto per l’arte e la storia che vi si respira a ogni passo. È un museo a cielo aperto e una costante fonte di ispirazione per la ricchezza di bellezze che la popolano. E poi Firenze e la Toscana tutta sono la patria della pelletteria artigianale. Volendo creare un prodotto di lusso ed esclusivo, non avevo dubbi che avrei dovuto stabilire il mio brand qui e iniziare a collaborare con i migliori artigiani del settore. Qui c’è gente con esperienza quarantennale che ha una vera e propria passione per questo mestiere. Dei veri e propri artisti. Le sue sono scarpe a “Km zero”, realizzate nel distretto fiorentino della pelle, dove molte griffe del lusso stanno investendo. Quali saranno le sfide per una produzione artigianale dal grande savoir-faire come quella di Aquazzura? Finalmente dopo un periodo di consumismo sfrenato, dettato anche dalla moda del fast fashion, i clienti stanno privilegiando sempre più il lusso, scegliendo la qualità sulla quantità. Tante persone preferiscono investire in un pezzo ben fatto, che durerà per tantissimi anni e che si potrà magari tramandare di madre in figlia, come una bella borsa, piuttosto che acquistare tanti capi che la stagione successiva verranno buttati via, incrementando questa cultura dello spreco, responsabile in gran parte anche dell’inquinamento. Questo porta anche una grande opportunità lavorativa e cioè il fatto che tanti giovani stanno riscoprendo quei mestieri legati appunto all’artigianato che purtroppo negli ultimi anni erano andati a sparire. Credo sia compito delle aziende del lusso spingere le nuove generazioni a non abbandonare, ma anzi a coltivare, questi lavori, che sono il fulcro del made in Italy e dell’artigianalità che da sempre contraddistingue la moda italiana in tutto il mondo.
Dopo le scarpe sono arrivate le borse, i gioielli, una collezione home: quale il prossimo step?
Il mio sogno è sempre stato quello di trasformare Aquazzura in un brand lifestyle. Vorrei quindi continuare ad ampliarlo, introducendo nuove linee, come candele e fragranze per la casa.
Sarà presente alla prossima edizione della design week milanese: ci dà un assaggio di quello che vedremo?
Sono lieto di annunciare che per il prossimo Fuorisalone presenteremo la nuova linea di Aquazzura Casa. Non posso anticipare nulla, perché la collezione verrà svelata per la prima volta alla stampa e al pubblico a partire dal 16 aprile. Ma siamo molto contenti di come sta andando la linea, anche per quanto riguarda l’espansione wholesale e retail.
Quali sono i mercati che vi stanno dando maggiori soddisfazioni?
Aquazzura fin dagli inizi è sempre stato molto bene accolto dal mercato mediorientale e da quello Usa. Per il 2024 abbiamo un importante programma di sviluppo retail in tutto il Middle East, con l’apertura di vari store nelle principali città della regione. Inoltre, puntiamo molto sul mercato asiatico. Abbiamo già avviato una boutique a Taipei nel 2023 e completeremo il 2024 con altri opening in Asia, che daranno inizio a un piano di espansione per i prossimi anni.
1. Un ritratto di Edgardo Osorio. Studi al London College of Fashion e alla Central Saint Martins, dopo esperienze in diverse fashion house nel 2012 ha fondato Aquazzura 2. Un’immagine della Resort 2024
3. Pochette e sandali della Anemone Collection. Tra le clienti del brand ci sono star di Hollywood, regine e principesse, come Kate Middleton e Meghan Markle
Siete presenti in oltre 300 wholesaler a livello globale, avete una decina di monomarca e vendete anche online: dal suo osservatorio come stanno cambiando i consumi nel settore delle calzature di lusso?
Come dicevo, i clienti sono sempre più attenti alla qualità, senza dubbio. In ambito calzature si predilige sempre più il comfort, infatti c’è stato un ritorno ai tacchi bassi e flat, ma senza rinunciare all’eleganza. Per la Resort 2024 ho disegnato il Mocassino Brandi, che è già diventato un must, dalle linee raffinate ma contemporanee, perfetto in ogni occasione, e per la sera ho introdotto per la primavera-estate tantissimi sandali e pump con tacco kitten, che rende la scarpa comoda, ma al contempo sexy. Questi sono modelli che piacciono tantissimo, soprattutto alle ragazze più giovani.
Come vede Aquazzura tra dieci anni? Vorrei che diventasse sempre più un lifestyle brand. Con collezioni uomo, beauty, eyewear, profumi. Mi piace l’idea che il nostro cliente possa vivere il mondo Aquazzura a 360 gradi.
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INTERVISTA
Giovanna Vitelli
Azimut|Benetti Group
«Innovazione e "su misura" negli yacht: così navighiamo più veloci dei competitor»
Superyacht uguale super-ricchezza da esibire? Non solo, non più. Come sottolinea la presidente di Azimut|Benetti, numero uno mondiale nel suo settore, soprattutto i nuovi clienti hanno esigenze più complesse: lifestyle esclusivo, contatto con la natura, elevati requisiti ambientali. I pilastri strategici sono design, innovazione e attenzione alla sostenibilità, al centro degli investimenti del gruppo, che stanzierà 150 milioni di euro nel prossimo triennio
DI ALESSANDRA BIGOTTA
Come nella moda di alta gamma, così nel mondo dei superyacht, di cui il Gruppo Azimut|Benetti è il primo produttore mondiale, fondamentale è puntare un approccio "su misura" al cliente, come sottolinea la presidente Giovanna Vitelli in questa intervista, in cui descrive una realtà storica ma tuttora in forte espansione, stabilmente al vertice della classifica di riferimento del settore, il Global Order Book curato dalla rivista Boat International. Negli ultimi cinque anni l’azienda - fondata nel 1969 dal padre di Giovanna, Paolo Vitelli, e che mantiene il suo status di impresa privata familiare, gestita insieme ai due soci di minoranza Pif (fondo sovrano dell’Arabia Saudita) e Tip (Tamburi Investment Partners) - ha visto il valore della produzione salire da 700 milioni a 1,3 miliardi di euro, con un ebitda che nell'esercizio chiuso il 31 agosto scorso ha messo a segno un +50%. Risultati raggiunti puntando su un'alchimia di heritage, innovazione, design, servizio iper-personalizzato e, non ultima, sostenibilità, una leva per conquistare soprattutto i nuovi armatori.
Siete leader mondiali nell’ambito dei superyacht, primi produttori privati a livello globale nel vostro settore di riferimento: quali sono le sfide più importanti del lusso?
Innanzitutto saper accogliere i newcomer. Nello yachting i nuovi armatori sono molto attenti al tema del lifestyle a bordo, ma anche dell’assistenza e della customizzazione della barca. Il nostro compito è tenere sempre alta l’attenzione all’esperienza del cliente, che richiede una maggiore personalizzazione e cura dei prodotti ed è ogni giorno più interessato al tema della sostenibilità e del contatto con la natura. Da sempre investiamo in innovazione, design e tecnologia, in modo da offrire soluzioni nuove e all’avanguardia e soddisfare le aspettative degli armatori. Credo che le sfide più importanti siano proprio queste, nel lusso in generale e nella nautica in particolare: riuscire a offrire prodotti realmente “su misura”, che permettano
anche un contatto autentico con la natura e abbiano un impatto ambientale ridotto.
Nel 2023 avete avuto una crescita a doppia cifra, ancora più significativa in un periodo come questo… Stiamo celebrando uno dei nostri momenti più alti: il portafoglio ordini del gruppo è completo fino al 2027 e il fatturato è passato da 700 milioni a 1,3 miliardi di euro. Penso che la ragione di questa crescita sia da ricercare nella costante capacità di innovare, che ci ha permesso di continuare a introdurre inedite soluzioni tecnologiche e di design. Una tensione verso l’innovazione che da sempre è parte del dna del gruppo ed è radicata anche nella capacità di anticipare le necessità degli armatori e di guidare i trend di settore. Lo
abbiamo fatto con l’Oasis Deck® di Benetti: una vera rivoluzione della beach area, che per la prima volta trasforma la terrazza di poppa in un’oasi sul mare. A questo si affianca la solidità di Azimut|Benetti Group, che ci permette di pianificare investimenti importanti per lo sviluppo industriale e l’efficientamento dei siti produttivi, con un conseguente aumento della capacità di output e un miglioramento della qualità dei nostri prodotti.
Come è cambiata la geografia dei vostri clienti?
La strategia del gruppo è presentarsi in modo equo nelle macro-regioni, ossia Americhe, Europa e area Apac. Questo ci ha permesso di rispondere in maniera reattiva alle diverse esigenze, anche nei momenti più difficili. Il
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1. Lo yacht Azimut Magellano 25M: l'interior design project è firmato da Vincenzo De Cotiis
2. L'Azimut Seadeck 7, parte della prima serie di motoryacht ibridi per famiglie, a contatto con la natura 3. Il Benetti B.Yond 37M, premiato come modello più green nella sua categoria
Covid per la nautica è stato un momento di crescita senza precedenti e Azimut|Benetti ha quasi duplicato il fatturato. Oggi l’export per noi rappresenta il 98% del fatturato totale e vogliamo mantenere questa percentuale in maniera solida, con una certa attenzione anche alle micro-aree degne di nota, come Emirati Arabi, Baleari e Monaco, dove stiamo cercando una presenza sempre più diretta con l’apertura di uffici. Il Middle East continua a essere un mercato molto importante per la rilevanza che ha nel segmento dei superyacht, ma senza nulla togliere al Mediterraneo e agli Stati Uniti, che sono e continueranno a essere cruciali.
Come accontentate i clienti più giovani e sensibili a temi come la sostenibilità? Attualmente la sfida principale è soddisfare i desideri della nuova clientela e fidelizzarla al brand. La strategia per affrontarla, che include un approccio integrato basato sul prodotto, sull’assistenza e sui servizi, non può non partire dalla sostenibilità. Per questo oltre la metà della flotta Azimut è costituita da Low Emission Yachts, che garantiscono una riduzione delle emissioni fino al 30%, e nella primavera 2024 il brand presenterà Seadeck, la prima Serie ibrida e la più efficiente mai realizzata dal Cantiere. Inoltre, Benetti propone la quasi totalità della gamma anche in versione ibrida e il B.Yond 37M è stato premiato come modello più green della categoria per la riduzione delle emissioni di Co2 fino al 24% e di NOx fino all’85%.
Gli yacht, la moda, il lifestyle: in cosa si somigliano di più?
Yachting e moda rappresentano entrambi l’eccellenza del Made in Italy e hanno molti punti in comune, cercando di rispondere in maniera puntuale alle esigenze del mondo del lusso, sempre più eterogeneo per età,
provenienza geografica e gusti. Per entrambi cura artigianale del prodotto, sostenibilità e customizzazione sono fondamentali, come lo è l’offerta di una vita sì di agio e comfort, ma anche di comunione autentica con il mondo naturale, un tema presente alle ultime sfilate e alle presentazioni dei nostri più recenti progetti. Nella storia del gruppo contiamo sinergie proficue con la moda, come la collaborazione con Loro Piana Interiors per i tessuti a bordo del Magellano 25M di Azimut e del Motopanfilo 37M di Benetti, decorato con materiali e tessuti della famosa maison. Inoltre, con il nostro design hub puntiamo ad arricchire il mondo dello yachting della creatività di molte firme provenienti da altri ambiti, come nella recente collaborazione con Matteo Thun e Antonio Rodriguez per la nuova Serie Seadeck di Azimut.
Avete quattro marchi, ossia Azimut, Benetti, Lusben e Yachtique: in cosa si differenziano?
La forza del gruppo risiede nella coesistenza di questi quattro brand. Da un lato Azimut e Benetti, marchi con cui siamo conosciuti in tutto il mondo, rispettivamente per la produzione di motoryacht fino ai 38 metri e per i superyacht dai 34 agli oltre 100 metri. Dall’altro Lusben e Yachtique, che rientrano nella nostra strategia di sviluppo di servizi al cliente. Grazie a Yachtique, lo styling lounge interno al gruppo che nel prossimo triennio espanderà le proprie sedi in Toscana, consigliamo e accompagniamo gli armatori nelle
scelte di arredo, fino all’acquisito di pezzi d’arte e antiquariato. Questo è un momento di grande crescita anche per Lusben, il brand che si occupa delle attività di refit, per il quale abbiamo stanziato un investimento di 15 milioni di euro volto all’ampiamento del cantiere di Livorno - una delle tre sedi, oltre a Varazze e Viareggio -, al fine di poter ospitare yacht oltre i 100 metri di lunghezza e diventare così uno dei tre principali player nel segmento dei superyacht.
Con quale stato d’animo affrontate il 2024?
I risultati ottenuti finora sono per noi fonte di soddisfazione, ma questo non significa non continuare a migliorarci. Per l'anno in corso abbiamo pianificato investimenti volti allo sviluppo di nuovi prodotti e tecnologie, oltre a un programma di ammodernamento delle nostre strutture e dei processi interni ai cantieri, per far fronte alle future sfide e opportunità emergenti nel mercato. Si inserisce in questo piano il progetto Avigliana 4.0, che riguarda l’headquarter di Azimut dove abbiamo aumentato la capacità produttiva, per consentire la costruzione di imbarcazioni di dimensioni superiori e dove stiamo implementando la digitalizzazione della produzione, al fine di ottimizzare l’intero processo e renderlo più efficiente.
A proposito di digitale, come può rivoluzionare il vostro settore? Stiamo esplorando una nuova frontiera in ambito tecnologico. Attualmente i nostri uffici tecnici impiegano sistemi di progettazione integrata con oculus e realtà virtuale, così da perfezionare l’ergonomia e gli spazi. Anche nelle vendite la realtà virtuale è vantaggiosa, perché ci permette di far provare al cliente l’esperienza della barca in qualsiasi situazione e contesto. La digitalizzazione è ormai una realtà anche a bordo delle nostre imbarcazioni: Azimut ha recentemente annunciato la prima collaborazione al mondo tra la nautica e Google, per portare a bordo degli yacht l’intelligenza artificiale, nell’ottica di una gestione smart della barca.
Qual è lo yacht che non è stato ancora inventato e che vorreste realizzare? Siamo pronti a lanciare sul mercato una nuova linea di yacht firmata Azimut: la Serie Seadeck, costruita con materiali riciclati, riciclabili oppure naturali, come il sughero al posto del teak oppure il Pet 100% riciclato, che va a sostituire il Pvc. Questa è la direzione futura del nostro settore: materiali ecosostenibili, propulsioni sempre meno inquinanti o ibride e nuovi sistemi di alimentazione, come il biodiesel proveniente da materie prime rinnovabili e sviluppato da Eni Live (Eni Sustainable Mobility), con cui abbiamo stretto una partnership lo scorso anno per la fornitura del biocarburante nel settore della nautica.
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VALORI TANGIBILI IN PASSERELLA
Non è il momento della creatività folle Il punto con i retailer internazionali
Savoir-faire con iniezioni
di
glamour:
è lo schema di Milano per piacere a tutti
Come è già accaduto durante la fashion week maschile, a dominare la scena milanese sono state collezioni basate sulla solidità e l’eccellenza del made in Italy. Applausi per Bottega Veneta e Ferragamo. Prada? Una certezza. Quanto a De Sarno da Gucci, sta acquistando sicurezza. Certo, non è il momento per fare grandi colpi di testa: ma in un’atmosfera definita da qualcuno «molto borghese»(a volte fin troppo), ben venga la fantasia esuberante di Francesco Risso per Marni
DI ALESSANDRA BIGOTTA
Pochi colpi di scena e tanta concretezza: in passerella a Milano Moda Donna si è vista una moda più propensa alla sobrietà che alla creatività folle, specchio dei tempi attuali e, in quanto tale, apprezzata dai buyer internazionali alla ricerca di certezze, valori e di quel bel vestire di cui si sente più che mai il bisogno, nella moda sia maschile che femminile. «A Milano ho trovato coerenza e autorevolezza - sottolinea Simon Longland di Harrods - con un focus sulla sartorialità, l’abbigliamento monocromo e sugli spezzati, uno più bello dell’altro». Tra le collezioni preferite da Longland - e non solo - spicca Bottega Veneta: «Matthieu Blazy ha fatto un
ottimo lavoro nel mettere in risalto le eccezionali doti artigianali del marchio, sfoggiando una grande versatilità nel mix di pezzi strutturati e morbidi». Secondo Jodi Kahn di Neiman Marcus quelle presentate da Blazy sono state «opere d’arte, tra cui le gonne patchwork in pelle e camoscio e i capispalla d’effetto». «C’è una frase di Sabato De Sarno, direttore creativo di Gucci, che riassume efficacemente ciò che si è visto in questi giorni - osserva Alix Morabito di Galeries Lafayette - ossia la capacità degli stilisti, stavolta particolarmente evidente, di rendere straordinario l’ordinario: così ha fatto anche Maximilian Davis da Ferragamo, che ha punta-
SIMON LONGLAND HARRODS
Director of Buying, Fashion
«Uno dei temi clou della stagione è senza dubbio la sartorialità: le collezioni presentate a Milano hanno puntato su tagli netti e linee pulite, che comunicano un’idea di raffinatezza e sicurezza. Mi ha colpito la coerenza di temi con le sfilate della moda maschile di gennaio: un elemento distintivo per Milano».
to su una proposta decisamente credibile di ready-to-wear». Su De Sarno si erano concentrate molte aspettative alla vigilia della fashion week, che in linea di massima non sono state deluse: abbandonate le timidezze della prima collezione donna, il designer è apparso più sicuro. «Bellissimi il cast e lo styling - afferma Marta Gramaccioni di LuisaViaRoma -. Sabato De Sarno ha ribadito la sua visione netta e pulita della donna, ma introducendo alcune sostanziali novità come una palette colori più ampia e un bel lavoro sugli accessori, in primis la borsa a mezzaluna e le rivisitazioni della Jackie». Borse che hanno colpito anche Astrid Boutrot di
18 STRATEGIA BUYER ALLA FASHION WEEK
FERRAGAMO
GUCCI
The Webster. «Sono la quintessenza del lusso», sottolinea la buyer, tornando tuttavia anche a parlare di Maximilian Davis da Ferragamo: «Trovo che Davis stia migliorando continuamente e ho apprezzato che stavolta abbia portato in scena sia la vestibilità degli abiti in maglia compatti, sia la sensualità degli stivali alti fino alla coscia». C’è poi Prada, una certezza incrollabile: «Un marchio le cui collezioni, di stagione in stagione, sono curate nei minimi dettagli - osserva Katie Rowland di Mytheresa -. Anche stavolta abbiamo trovato pezzi intellettualmente ed emotivamente stimolanti, ma indossabili senza sforzo. E che dire dei cappelli? Li ho trovati incredibili».
JODI KAHN
NEIMAN MARCUS
VP of Luxury Fashion
«Milano è conosciuta come la culla degli accessori e anche questa volta è stata all’altezza delle aspettative: fra i must have dell’autunno-inverno 2024/2025 ci saranno le mini-bag e il braccialetto di Prada con dettagli in pelle di serpente».
«Prada non si discute - aggiunge Liane Wiggins di Matches -. Le silhouette pulite, presentate soprattutto all’inizio dello show, erano eccezionali e i tocchi di colore, inaspettati, hanno dato un tocco in più. Di forte impatto musica e allestimento, con la passerella di vetro sopra la riproduzione di una foresta, con tanto di ruscello che scorreva». Solidità, eccellenza del made in Italy, tagli impeccabili, sicurezze: Milano Moda Donna è stata tutto questo, anche con sfumature nostalgiche e atmosfere spesso «molto borghesi», come fa notare Alix Morabito di Galeries Lafayette. Ma qualche collezione ha graffiato più di altre: vedi Tom Ford nell’era di Peter Hawkings,
KATIE ROWLAND
MYTHERESA
Buying Director RTW, Kidswear, Fine Jewellery and Watches
«Penso che tra i brand giovani visti a questa tornata della Milano Fashion Week un posto di rilievo spetti a Feben: il marchio disegnato dalla stilista di origine etiope, ma basata a Londra, ha presentato una collezione molto forte, grazie anche all’assistenza stilistica di Katie Grand».
GALERIES LAFAYETTE
Buying & Merchandising Director Womenswear, Lingerie and Kids
«La settimana della moda ha dato direttive chiare su quelli che potrebbero essere i futuri best seller, dai furry coat agli stivali alti, fino al trench e al cappotto lungo, possibilmente doppiopetto come il caban. Tornano in auge gli abiti e una maglieria d’impronta cozy».
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ALIX MORABITO
MOSCHINO
MARNI
BOTTEGA VENETA
una delle preferite di Nicholas Atteshlis di Zalando («Un ready-to-wear tagliente ed elegante, simbolo di glamour e lusso») e di Giuseppe D’Amato di Rinascente: «Hawkings ha fatto leva, come anche Stefano Gabbana e Domenico Dolce da Dolce&Gabbana, su un immaginario molto forte, che ho ritrovato anche sulla passerella di Versace - afferma D’Amato -. Poi come non citare Marni? Il ritorno in pedana del marchio, in occasione del trentennale, è stato semplicemente grandioso, grazie ai look estremi ideati da Francesco Risso». Allo stilista va il merito, secondo il Buying and Merchandising Director del department store italiano, di aver portato alla ribalta la necessità, anche in una fase di mercato come questa, di un’iniezione di creatività in passerella. «Un unico aggettivo basta a definire Marni ed è indimenticabile», sintetizza Alix Morabito di Galeries Lafayette, che su questa lunghezza d’onda dice di aver trovato «adorabile» il debutto, lungi dalle fantasmagorie cui ci aveva abituato Jeremy Scott, di Adrian Appiolaza da Moschino, brand ammiraglio del Gruppo Aeffe che deve ritrovare una sua identità dopo un anno a dir poco difficile. A margine dello show Appiolaza ha detto che, nei due mesi in cui ha lavorato alla collezione, si è immerso negli archivi del fondatore per trasporre il suo mondo nella realtà di oggi, quindi con meno teatralità e più contemporaneità. «Si apre un nuovo capitolo per il marchio, dove sembra di sentire ancora il tono di voce di Franco Moschino» sintetizza Morabito. Fra gli altri due debutti più in vista alla Milano Fashion Week (Walter Chiapponi
da Blumarine e Matteo Tamburini da Tod’s) l’ingresso di Tamburini nella scuderia di Diego Della Valle viene giudicato da Marta Gramaccioni «tranquillo e ben riuscito», mentre la sfida di Chiapponi da Blumarine appare più complessa. «Il designer vuole riavvicinare il marchio allo spirito della fondatrice Anna Molinari - riflette la Buying Director di LuisaViaRoma - e con questo show ha dimostrato che le strade per farlo sono molteplici. Resta da capire su quali spunti si vorrà concentrare per il futuro». Non molte le segnalazioni di nomi emergenti, il che non sorprende in un’epoca più conservatrice che sperimentatrice, anche per la moda. Se
Buying and Merchandising Director
«Una bella settimana della moda, quella di Milano, con una forte componente di creatività, a mio avviso maggiore rispetto a una stagione fa. E’ emersa l’immagine di una donna forte e sicura di sé e il concetto di glamour è stato ridefinito, alternando in pari misura eleganza e sensualità».
Buying Director
«Da Milano porto con me una bella notizia, il ritorno che definirei prepotente di Moschino, grazie al bel lavoro fatto in poco tempo dal nuovo direttore creativo Adrian Appiolaza: ho riscoperto l’identità unica e provocatoria di questa maison, che Appiolaza ha riportato a galla in maniera genuina, fresca e giovane. La sua sfilata è stata un’emozione davvero forte e spero che possa continuare su questa strada».
20 STRATEGIA BUYER ALLA FASHION WEEK
TOD’S
PRADA
TOM FORD
MARTA GRAMACCIONI LUISAVIAROMA
GIUSEPPE D’AMATO RINASCENTE
LIANE WIGGINS
MATCHES
Head of Womenswear
«Tod’s, Ferragamo, Gucci e Max Mara sono state le mie collezioni preferite, ma per gli accessori sono imbattibili Bottega Veneta e Prada, di cui mi hanno conquistata gli stivali. L’attenzione di Bottega Veneta per le texture è in linea con una donna che cerca pezzi emotivi, in grado di raccontare una storia».
Katie Rowland di Mytheresa cita Feben, marchio supportato da Dolce&Gabbana disegnato dall’omonima stilista di origini etiopi basata a Londra, Liane Wiggins di Matches ha trovato interessanti l’outerwear di Durazzi Milano e le proposte di Act N°1. Non una buyer, ma una giornalista di spicco come Cathy Horyn, fashion critic at large di The Cut, segnala come «il più originale della fashion week» Sunnei, un marchio non al debutto (è nato nel 2014), ma certo fuori dal coro. «Spesso nel fashion c’è più pathos che grandi vestiti - osserva Horyn -. Ben vengano lo humor e la meravigliosa collezione disegnata dai fondatori Loris Messina e Simone Rizzo». Di
Sabato De Sarno da Gucci Cathy Horyn riconosce l’ottima fattura delle collezioni, ma essendo una “fustigatrice” abituata a non fare sconti a nessuno critica la mancanza di «luminosità» dello show in passerella. Un giudizio forse condivisibile, ma il punto di vista dei compratori intervistati è un altro: sfilata che forse non scatena tante emozioni, ma prodotto dai grandi contenuti, che potrebbe avere buone prospettive a livello di vendite. Certo, il compito affidato al neo-direttore creativo, più propenso alla comfort zone che ai colpi di scena, è da brividi: riportare sulla traiettoria della crescita un marchio che punta a sfondare il tetto dei 10 miliardi di euro.
ASTRID BOUTROT
THE WEBSTER
Women’s Buying Director
«Se qualcuno mi chiede quale sia il mega-trend della prossima stagione, ho la risposta pronta ed è relativa a un colore, il rosso sangue che, dal Rosso Ancora di Gucci in là, si è impossessato di molte passerelle, come quelle di Ferragamo con la regia stilistica di Maximilian Davis e Bottega Veneta. I modelli di cui non si potrà fare a meno? Il Power Coat e le borse in formato big».
NICHOLAS ATTESHLIS
ZALANDO
Senior Brand Partnerships Lead for Designer Category
«Un ready-to-wear tagliente ed elegante era quello che avrei voluto vedere alla fashion week milanese e che sono riuscito a trovare nella collezione di Peter Hawkings per Tom Ford. Promuovo anche la prima prova di Adrian Appiolaza da Moschino, un esordio riuscito ».
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BLUMARINE
GENNY
SUNNEI
DAL TORTONA DISTRICT
Le novità di prodotto, il sentiment, i progetti Parlano gli espositori italiani ed esteri
Al White c’è fiducia, sperando in un inverno meno hot
In un’edizione che ha visto crescere i visitatori esteri i brand, sia emergenti che consolidati, parlano di bilancio positivo anche se chi fa ordini ha meno voglia di rischiare
DI ELISABETTA FABBRI
In una edizione che sconta un calo di visitatori italiani, a fronte di un aumento di quelli dall’estero, gli espositori di White si dichiarano nel complesso soddisfatti. Complice il fatto che l’appuntamento fieristico nel Tortona district continua a puntare sullo scouting di marchi originali e a sperimentare, proponendo anche un suo “fuori salone” (in febbraio alla sua seconda edizione). «Sono soddisfatto del riscontro. Abbiamo visto buyer anche da Kazakistan, Giappone e Svizzera», dichiara l’imprenditore marchigiano Tarcisio Galavotti, proprietario di Cigala’s, marchio che nel 2024 compie 10 anni. Il core business è nel mondo dei pantaloni e del denimwear ma da un paio d’anni sta sperimentando altrove, come dimostra la Red Capsul, che include tute intere e trench in velluto, abiti chemisier e giacche dal taglio formale in denim e maglieria in cashmere. «La collezione per il prossimo inverno - racconta - cavalca il quiet luxury e introduce materie prime pregiate come i velluti in mischie che contengono cashmere. Il denim, invece, è in cotone rigenerativo». Tutti italiani i fornitori tra cui Duca Visconti di Modrone, Olimpias, Berto e Candiani, come specifica Galavotti, che per quest’anno vede i presupposti per superare i 3,2 milioni di euro di fatturato realizzati nel 2023 (soprattutto in Italia). «I problemi in Mar Rosso non ci toccano - dice interpellato sul tema -. Anzi, potrebbero avvantaggiarci, visto che chi ha ordinato merce proveniente dalla Cina vede ritardare le consegne. In realtà ogni anno c’è un motivo per preoccuparsi. Stavolta i buyer lamentano il caldo anomalo di quest’inverno: hanno venduto poco o nulla i capi in tessuto pesante». Avant Toi, marchio della genovese Liapull, compie
invece 30 anni e in una delle aree Loft del Superstudio più, allestita tipo mostra di pittura contemporanea, vuole ribadire che il marchio è “arte da indossare”. Per il compleanno celebra il jeans (che deriva da Genova, dove il denim è nato) con una limited edition di capi in denim e maglia, in tessuto infeltrito o lavorato a trecce e a punto pelliccia e successivamente dipinto. A ispirare la collezione fall-winter sono le tinte della natura primitiva dell’Africa. I materiali principali sono il cashmere e la seta. «Il bilancio di questa edizione è positivo: abbiamo incontrato asiatici, giapponesi e cinesi, ma anche europei e nord europei - dice Giulia Marini, che si occupa di marketing e business development nell’azienda di famiglia -. Invece non abbiamo visto gli statunitensi, che per
1. Una proposta Cigala’s X Red Capsul 2. Avant Toi punta sul concetto di “arte da indossare”
noi rappresentano un mercato importante. Per quest’anno ipotizziamo di mantenere le posizioni in Europa e Usa e di crescere in Asia, dove siamo entrati di recente. In genere, l’alta gamma non risente eccessivamente della situazione economica, inoltre le nostre proposte sono “no logo” e senza tempo». Nogoon è invece un giovane marchio di maglieria artigianale in filati pregiati di Varese lanciato da Simona Lavelli, che ha anche un passato come designer di calzature donna. Le sue creazioni, in alpaca e lana certificate sostenibili e in tonalità personalizzabili, sono realizzate in Italia con telaio a mano. «Sono partita nel 2019 e non inseguo le tendenze ma realizzo quello che mi sento - racconta Lavelli -. Se mi chiedi del sentiment di mercato, non penso che ci sia un momento più “buono” di altri. Non si può mai sapere cosa succederà: in qualunque momento si può accendere una scintilla che ti fa progredire. Quella del White, per me, è comunque un’esperienza positiva che va al di là del business, perché ho potuto incontrare altri designer, con cui ho legato senza rivalità». Il marchio di borse Gab’s, di proprietà dell’azienda cesenate Campomaggi e Caterina Lucchi ha scelto il White per presentare Gab’s Pop, una capsule collection che punta a entrare nei negozi di abbigliamento,
22 STRATEGIA TRADE FAIR
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non solo in quelli di pelletteria. In pelle e nylon, gioca con i colori accesi, i disegni e le geometrie. «Immagino un 2024 difficiledice Alessia Cusanno, international sales manager - forse anche più del post Covid. I clienti sono titubanti, si lamentano di un inverno non andato bene come pure dei saldi. Comprano con meno fiducia, frenati da un mix di fattori tra cui le guerre e il clima. Mi aspetto comunque di riuscire a mantenere le nostre quote di mercato, anche grazie agli investimenti negli Stati Uniti, mercato su cui siamo positivi». «Qui ho incontrato molti buyer interessati dall’Italia ma anche da Danimarca e Hong Kong. Il pezzo che più ha incuriosito è una rivisitazione del bomber, a cui si può sovrapporre un collare imbottito», spiega Amalija Orehovskij, designer del
1. Un look Nogoon 2. L’outerwear Prototype: AM
3. Alcune proposte della capsule Gab’s Pop
marchio Prototype: AM, dalla sezione Secret rooms, dedicata ai talenti emergenti. Il suo è un outerwear con silhouette sperimentali in nylon idrorepellente e imbottiture in viscosa (animal free). «Esclusività - precisa la stilista con radici bielorusse e ucraine - significa no produzioni di massa: produciamo in piccole quantità a Berlino e per le proposte che vanno per la maggiore ci rivolgiamo a un produttore in Polonia». Nella collettiva di brand spagnoli, invece, Chie Mihara punta su novità di stagione come i mocassini e gli stivaletti con suola bold, ideali per chi cerca un’alternativa alle sneaker, ma anche sulle Mary Jane dal tacco medio largo e sulle ballerine appuntite. In più il marchio esordisce nell’abbigliamento con una collezione di 50 pezzi in lana, cotone e tessuti tecnici ingualcibili che include maglieria, gonne, pantaloni e capispalla. «I dettaglianti - dichiara Carmen Garcia, responsabile del business development - parlano di una stagione invernale difficile, a causa delle alte temperature. Sono titubanti nel lanciarsi a fare ordini ma, di regola, poi sono contenti perché il prodotto è fuori dall’ordinario e con una sua nicchia di mercato». Italia, Francia e Germania sono i mercati principali oltre a Usa e Giappone. «Io scommetto sul recupero del Giappone e mi auguro che la tendenza al rallentamento dell’Europa si fermi», conclude Garcia prevedendo per il 2024 una crescita dei ricavi del 10%, dai 14 milioni di euro del 2023.
GEORGIA PIZZI
HARVEY NICHOLS CONSULTANT
«Un salone imperdibile per l’affordable luxury»
«White è la prima fiera a livello europeo in grado di presentare collezioni ben fatte per l’affordable luxury», dice Georgia Pizzi, Harvey Nichols consultant, sottolineando di aver apprezzato stavolta la maggiore pulizia nel layout. A colpire la sua attenzione sono stati, tra gli altri, le sciarpe made in Italy di LarioSeta, le borse in pelle intrecciata BiMor («Che tra l’altro, grazie a un ottimo rapporto qualità/prezzo, garantiscono una discreta marginalità»), Osci Lab per i montoni e capispalla in pelle dal bel fashion twist e, nella maglieria in cashmere puro o in mischia con la lana In Bed With You, «un marchio che incontra i gusti di aree come l’Apac, Hong Kong e Dubai». Nella lista di Georgia Pizzi non possono mancare inoltre i piumini e l’outerwear di Puntododici (nella foto), direttamente dal Veneto, e i cowboy boot del marchio spagnolo Toral. «Ho trovato interessante l’idea di tenere aperto oltre l’orario canonico del salone il Padiglione Visconti, ammettendo anche il pubblico finale e presentando una selezione di proposte vintage - osserva la consulente di Harvey Nichols - in un momento in cui i retailer che vogliono dedicare un’area al second hand sono sempre di più». «Torno da White soddisfatta - conclude -. L’unica cosa che suggerirei agli organizzatori sarebbe valutare una suddivisione per categorie merceologiche, per venire incontro soprattutto ai department store internazionali e ai loro buyer, per lo più specializzati in settori specifici». (a.b.)
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NUOVI
PLAYER AVANZANO
Al centro un cliente-ambassador ingordo di sconti L’analisi degli esperti di e-shopping
Temu e Shein: due fenomeni «attivanti» nel bene e nel male
Uno è un marketplace, l’altro è un digital native brand della moda. Spopolano fra i giovani, ma non solo, e gli specialisti delle vendite online li osservano per capirne i meccanismi. Da emulare o da cui prendere le distanze
DI ELISABETTA FABBRI
Sono le star delle vendite online del momento e fanno discutere per la velocità con cui si stanno imponendo sui mercati occidentali. A sorprendere sono soprattutto le loro strategie di marketing, messe in campo per conquistare nuovi consumatori e fidelizzarli. Ora ci si chiede: Temu e Shein stanno cambiando la direzione del mercato della moda online? Inoltre, potrebbero avere qualcosa da insegnare ai marchi del lusso? Si tratta di due business diversi ma per molti aspetti simili. Diversi perché Temu, che ha declinato l’invito di Fashion a intervenire, è una piattaforma che vende online milioni di prodotti, tra cui l’abbigliamento. Non gestisce alcuna produzione e nemmeno possiede dei marchi: l’offerta arriva da venditori indipendenti di terze parti. Shein è invece un brand nativo digitale di moda e lifestyle, prodotto on-demand da una rete di fornitori, prevalentemente in Cina. Fondata nel 2022, Temu ha sede a Boston ma fa parte di Pdd Holdings, società cinese che lo scorso anno ha spostato la sede in Irlanda ed è quotata sul Nasdaq. Shein è nata nel 2008 da un’iniziativa dell’imprenditore cinese Chris Xu, che è il principale proprietario, e ora punta alla quotazione (New York o forse a Londra, ma in lizza ci sarebbero anche Hong Kong e Singapore, dove è stata spostata la sede). Di questo e-tailer si dice che sia l’ultra-fast fashion, perché propone circa 6mila nuovi item al
giorno, in un catalogo di circa 600mila proposte e gli analisti stimano che alla fine del 2023 abbia raggiunto i 35 miliardi di dollari di ricavi (erano 8,4 miliardi nel 2020) e i 3 miliardi di utili. Il gmv del 2023 supererebbe i 40 miliardi di dollari. Quello della startup Temu - nel 2023 la app con più download negli Usa - è ipotizzato dagli analisti a 15 miliardi di dollari.
Ad accomunare le due realtà delle vendite digitali, oltre alle radici cinesi, i prezzi estremamente bassi e la shopping expe-
Prezzi stracciati e shopping experience innovativa per conquistare nuovi utenti
rience innovativa che, orientata soprattutto alla generazione Z e Y, parte da concetti familiari ai consumatori asiatici, che ora sembrano piacere anche su scala globale. L’esperienza include i gruppi d’acquisto per condividere gli sconti, i capi free per influencer e micro-influencer, oppure i crediti per chi porta nuovi clienti sull’app fino al gaming, per aggiudicarsi nuovi coupon, che si tratti di una ruota virtuale da girare, di un albero da scuotere o di un video postato ad arte su YouTube, che ci ritrae mentre scartia-
mo l’ultimo acquisto online (in gergo haul, “bottino”). Il cliente è sempre al centro. Viene incoraggiato a scrivere recensioni, a produrre contenuti digitali ed è proprio lui, che compra un completo per 24 euro, l’ambassador, al posto delle celebrity (e a tutto vantaggio dei costi di acquisizione di un nuovo utente).
«La missione di Shein è rendere la bellezza della moda accessibile a tutti - dichiara Christina Fontana, ex-Alibaba, che dal settembre 2023 è responsabile di Shein per l’Emea -. Risparmiando sui costi a vari livelli, riusciamo a mantenere i prezzi accessibili. Con la nostra catena di fornitura digitalizzata possiamo testare i nuovi prodotti lanciandoli in piccoli lotti iniziali di 100-200 articoli, valutare il feedback dei clienti in tempo reale e rifornire solo i prodotti richiesti. I fornitori producono ciò che i clienti desiderano e la sovrapproduzione è minima». Ai consumatori del globo (il marchio è attivo in 150 mercati) piacciono l’ampio assortimento e la convenienza, grazie al modello commerciale ondemand. «Per quanto riguarda i clienti in Italia - specifica Fontana - al momento notiamo che apprezzano molto le proposte di tendenza e considerano importanti la qualità e la durata». Interpellata sulle strategie di marketing che si stanno rivelando più efficaci, la manager risponde: «Pur essendo Shein un’azienda digital-first, abbiamo
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Capacità di engagement globale a confronto (app scaricate)
Fonte: SensorTower, Similarweb e Goldman Sachs
visto che i consumatori apprezzano molto i nostri pop-up offline, che hanno riscosso un enorme successo. Per loro sono un’opportunità di toccare e percepire i nostri prodotti. In più permettono di interagire e di dialogare direttamente con gli ambassador locali. L’anno scorso abbiamo ospitato oltre 30 pop-up in Europa e in particolare a Milano, Roma, Torino e Napoli». Con la filosofia di incontrare i clienti dove si trovano, Shein è anche presente sulla maggior parte dei social media, compresi Instagram e Tik Tok. A proposito delle prossime sfide Fontana afferma: «Continueremo a migliorare i nostri sforzi di localizzazione, per garantire un’esperienza personalizzata e su misura per i nostri clienti in tutto il mondo, assicurandoci di soddisfare le loro esigenze e tenendo conto dei loro gusti specifici».
«Temu ha messo il marketing al centro: usa una strategia quasi di bombardamento dell’utente, che riesce a targhetizzare tutti, grazie all’intelligenza artificiale e all’app», osserva Gionata Galdenzi, nuovo ceo di Venistar, digital fashion company specializzata nello sviluppo di piattaforme digitali per moda, lusso e design. «Arriva benissimo a una generazione e a un tipo di pubblico che cavalca i social - aggiunge il manager, con un passato di e-commerce manager di Aeffe (marchi Moschino, Alberta Ferretti, Philosophy e Pollini) -. Il prezzo è un tema che lo accomuna a Shein, che si rivolge a un target di spesa bassa e stimola l’acquisto attraverso i social. Le nuove generazioni possono comprare tanti outfit e postare migliaia di foto e video». Difficile, però, pensare ad aziende dell’alto di gamma che seguono la strada di queste due realtà di origine cinese: «Mettono al centro la qualità e rischiano di più di sbagliare con i consumatori - spiega Galdenzi -. Devono lavorare sul marketing con budget consistenti e fare attenzione alla tipologia di prodotto, alle quantità e ai contenuti. In tutto serve la cura del dettaglio. Lo dimostra il caso della pubblicità di Balenciaga con scatti di bambini, salita alle cronache come fetish e prontamente ritirata dalla maison con tanto di scuse. Gli utenti di Temu e Shein penso siano molto meno attenti». «In più tra il loro pubblico funziona bene la gamification, che è pres-
1. Lo scorso autunno Shein ha realizzato il suo primo pop-up in un negozio Forever 21 negli Usa. Non solo: ha rilevato un terzo di Sparc, jv che include Authentic Brands Group e Simon Property Group, già principale partner operativo di Forever21. Sparc è diventata a sua volta socia di minoranza di Shein 2. e 3. Temu fa leva sull’acquisto d’impulso e attrae i visitatori con la gamification
Marketing ma anche logistica e analisi dei dati, tra i punti di forza dei due operatori di origine cinese
sante: ti propone offerte da accettare nel giro di 30 minuti, oppure ti esorta a invitare gli amici per ottenere dei crediti - nota Andrea Carta, ex-Farfetch che da gennaio è senior business development manager di Retex, tech company che si occupa di innovazione nei processi retail, nonché casa madre di Venistar -. In Asia ha avuto successo e lo stesso è capitato in Occidente, tra chi è molto attento al fattore prezzo. Nel lusso attecchisce meno». Un’altra differenza riguarda i resi: con i piccoli prezzi hanno una bassa incidenza, mentre nel lusso sono problematici e servono molti controlli (da cui talvolta si scopre che i capi restituiti sono stati palesemente indossati). Non a caso alcune piattaforme hanno iniziato ad applicare delle commissioni sui resi, che per Temu e Shein sono gratuiti. Certo è che questi e-tailer dinamici sono stati abili a imporsi, in un momento di rallentamento del mercato e mentre il fashion e il lusso non hanno un operatore di settore leader, come osservano i due manager.
«Oltre al marketing hanno come punti di forza la logistica e l’analisi dei dati - nota Galdenzi -. L’utilizzo delle informazioni derivanti dai dati e la cultura del dato sono talvolta un aspetto debole di alcuni operatori della moda. I numeri esterni e interni si riflettono su tutti gli aspetti dell’attività, dal design in avanti, ma vanno studiati e compresi a fondo, per farne un uso intelligente. E non è cosa da tutti». Un’altra sfida per i fashion brand è far capire al consumatore che un business responsabile ha un impatto sul valore del bene. «Oggi il tema del prezzo batte quello della sostenibilità - ammette Galdenzi -. I giovani sembrano poco attenti alla durabilità e alla qualità. Preferiscono poter cambiare spesso look, approfittando delle occasioni online». «Noi ci occupiamo di lusso, ma è evidente che le persone adesso vogliono contenere le spese e chiudono gli occhi su tanti concetti», ribatte Simone Bittoto, ceo e founder di Eurostep, che realizza progetti e-commerce customizzati. «Temu è abile ad attrarre chi compra - prosegue -. Al primo acquisto ti invoglia a comprare una seconda volta con gli sconti e cerca di farti agire subito: più che gaming si potrebbe parlare quasi gambling, perché crea il bisogno di un acquisto compulsivo e la merce è quasi regalata, così sottrae utenti alla
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mom% growth Jul 23 Aug23 Sep23 Oct 23 Nov 23 Dec 23 Temu 19% 10% 11% 10% 10% 6% Amazon 2% 0% -3% 5% -1% -1% Shein 0% -1% -3% 4% 2% -10% AliExpress -4% -1% -8% 4% 10% -7% 2 3
Fashion e-commerce: trend dei ricavi a confronto
Valori
Fonte: ECDB (*): valori stimati
concorrenza. D’altro canto, non ha un prodotto di punta da pubblicizzare, né può fare leva sui servizi o su valori come l’etica, l’inclusività, la responsabilità o il servizio». Il marketplace di Pdd Holdings sembra muoversi per fare massa critica anche se in perdita, pensando che poi il breakeven arriverà: «Un approccio possibile solo se alle spalle c’è una forza finanziaria che tante aziende della moda non possono permettersi», sostiene il ceo di Eurostep. «Shein ha un approccio diverso - precisa -. È l’ultra fast fashion acquistato soprattutto da giovani e giovanissimi, ma con clienti insospettabili anche in altre fasce di età, che accettano di buon grado di trasformarsi in micro-influencer, pur di ottenere sconti e privilegi». A giudicare dai numeri di questi e-commerce, si tratta anche di consumatori insensibili ai concetti della moda sostenibile, che senza problemi comprano su canali con nomea di “scorretti”. Temu e Shein, ora l’uno ora l’altro, vengono a più riprese citati dai media per l’eccesso di offerta, la vendita di prodotti di scarsa qualità, talvolta contenenti sostanze tossiche o recanti false indicazioni. Si parla pure di violazione di copyright e di prezzi bassi, che celerebbero produzioni non sostenibili e che non rispettano i diritti umani. Nel caso di Temu c’è persino chi lo accusa di nascondere, all’interno dell’app, uno spyware, che metterebbe a rischio la sicurezza dei dati sui nostri dispositivi. Lo shopper online sembra anche ben disposto al baratto: ottenere merce quasi regalata in cambio di un’enormità di dati. Così si spiega anche la capacità sorprendente di questi operatori di saper mostrare prodotti che hanno una valenza per il cliente: di fatto sono “spioni” abili e graditi ai consumatori. «Da questi operatori il lusso dovrebbe imparare la capacità certosina
Da questi e-commerce il lusso dovrebbe imparare l’abilità di capire le esigenze del consumatore
di capire il consumatore, di entrare nella sua testa e comprenderne le esigenze - sostiene Bittoto -. Poi occorre farlo sentire parte di un’audience elitaria e va uniformata la sua esperienza su tutti i canali. Pensare solo di migliorare ossessivamente il prodotto e non essere cliente-centrici non è più perdonabile».
«Realtà come Shein e Temu sono in antitesi con il lusso. Hanno modelli di business e valori diversi ma sono “attivanti”: si può prendere spunto dalle loro pratiche e dalle tecnologie utilizzate ma anche agire per prenderne le distanze», dichiara Federico Betti, team leader del business development di Alpenite, attiva nella consulenza per la trasformazione digitale. La loro agilità nel catturare le tendenze in tempi brevissimi e la capacità di analizzare gli insight, per adattare velocemente l’offerta potrebbero essere uno spunto per il lusso, così da «potenziare la sua sensibilità verso l’esterno ed essere più reattivo». Un altro “modello” è il loro utilizzo dei social o di altri canali di engagement, per rendere la conversazione con gli e-shopper più
Sotto un pop-up store Shein aperto a Torino, in piazza Carlo Felice, nel marzo 2023. Obiettivo: far immergere i fan nell’universo del marchio digital-first, fatto di moda, beauty e lifestyle
immediata, anche attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale. «Le strategie di Temu e Shein - aggiunge l’esperto di Alpenitesono anche di stimolo a differenziarsi: dalla personalizzazione del prodotto, all’esperienza immersiva in tutti i touch point, fino a una comunicazione mirata a diffondere le pratiche sostenibili ed etiche del brand o a valorizzarne l’heritage, per esempio creando un museo digitale. In questo senso vedo i due mondi nettamente distinguibili». «Con l’AI - aggiunge - si possono creare esperienze molto personalizzate. I concierge digitali, per esempio, riescono ad accogliere lo shopper online e guidarlo, illustrando tutta l’offerta. Non si tratta del mero customer service e nemmeno dei chatbot basici del passato, che il più delle volte portavano a richiedere l’aiuto del sales assistant umano. Una chat attivata dall’open AI ora può permettere l’interazione con il cliente, fornendo risposte human friendly e di valore».
Secondo Betti, non è detto che i due etailer rampanti riescano a mettere in crisi i rispettivi competitor e ipotizza, dopo il boom, una loro evoluzione verso modelli alternativi, forse non legati al retail puro, dove «potrebbero mettere a disposizione altri asset». C’è anche chi si aspetta che, raggiunta una certa massa critica, cambino pelle e che, per fare accettare un prezzo più alto, facciano leva sul greenwashing. L’ascesa di TikTok Shop nel video-commerce (ora risulta leader in Usa per capacità di fidelizzare) fa inoltre intendere che ci sarà spazio per ulteriori new entry. «I giochi sono tutti da vedere e capire la regia non è facile - dice l’esperto di Alpenite -. Però fanno sul serio, hanno piani di più lungo periodo. Sfruttano un vantaggio di costo, grazie a prodotti creati da manodopera a buon mercato, ma il servizio è carente. Per ricevere un pacco di Temu servono anche due settimane, contro la possibilità di consegna immediata dei più noti marchi del fast fahion e di Amazon». Di certo al momento c’è ancora tanta curiosità tra i consumatori, creata dall’advertising. La sola Temu pare abbia speso decine di milioni di dollari, per farsi pubblicità durante il Super Bowl, oltre a circa 15 milioni di dollari in omaggi e coupon, distribuiti in occasione dell’evento americano. A intralciare i piani di espansione potrebbe arrivare l’Ue con norme per la protezione dei mercati o altro. La Francia sembra già sul piede di guerra, mossa da intenzioni ambientaliste.
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zara.com hm.com shein.com Zalando
2.1 3.1 1.4 6.3 2.6 2.5 3.5 7.1 8.4 4.4 4.8 8.9 5.3 6.3 13.8 11.9 5.4 6.1 26.2 11.1 5.7 6.8 11.5 6.0 7.3 12.3 36.5 48.0 2018 2019 2020 2021 2022 2023(*)
2024(*)
in miliardi di dollari
luisaspagnoli.com
Il rilancio di Farfetch con la ricetta di Bom Kim: per restare nel lusso l’uomo chiave è Stephen
Eggleston
Dopo l’uscita di José Neves e di altri otto top executive, l’imprenditore coreano di Coupang ridisegna l’organizzazione interna del marketplace, le cui priorità sembrano essere recuperare il rapporto coi wholesale indipendenti, di cui si starebbe occupando il direttore commerciale, e disfarsi degli asset no-core del gruppo.
A cominciare da New Guards Group la cui cessione sarebbe tra i compiti affidati a Stephanie Phair, attuale presidente dell’incubatore di marchi
Bom Kim, fondatore e amministratore delegato di Coupang prova a rimettere in moto Farfetch. L’imprenditore coreano, che a fine dicembre si è reso protagonista del salvataggio del marketplace del lusso a rischio bancarotta, ridisegna l’architettura aziendale e l’organizzazione interna della società, che al suo interno ha anche il multimarca Browns e l’incubatore di brand Ngg, per affrontate le sfide in un mercato globale, dove il marchio Farfetch. La prima mossa di Kim è stata una ristrutturazione manageriale: fuori il fondatore e ceo José Neves (che resterà come consulente e nel frattempo ha fatto sapere che intende occuparsi attivamente della sua fondazione a Porto) e con lui anche altre otto figure chiave nella storia di Farfetch. Tra gli addii di peso quello della veterana Elizabeth von der Goltz, responsabile del merchandising e ceo di Browns, come pure Kelly Kowal, a capo di Farfetch Platform Solutions, la business unit con cui Farfetch è partner dei marchi del lusso per le soluzioni e-commerce, che proprio recentemente sta perdendo clienti importanti come Neiman Marcus. Nella ridimensionata squadra di vertice voluta da Bom Kim (che tiene per sé la funzione di ceo) fi-
gurano manager già da tempo in Farfetch con ruoli di rilievo. Tra questi spicca il nome di Stephen Eggleston (da oltre otto anni in azienda), che resta direttore commerciale. A lui sarà affidato un ruolo cruciale: preservare e rinsaldare il rapporto di collaborazione tra il marketplace e il mondo del lusso. Un compito non facile, reso ancora più complesso dalla scarsa conoscenza del settore da parte di Coupang,
nota come l’Amazon della Corea del Sud. La strada da seguire per Eggleston sarà quella di tornare a fare affidamento sulle boutique indipendenti per fornire ai clienti della piattaforma prodotti di lusso, come era stato agli esordi dell’attività imprenditoriale di Neves. Anche perché i grandi gruppi non sembrano più interessati a fare affari direttamente con Farfetch: recentemente Kering ha chiuso a ogni ipotesi di collaborazione futura con il marketplace. Del team di executive ad interim di Farfetch fa parte Stephanie Phair, in Farfetch da diversi anni e attualmente anche presidente di Ngg. Per lei potrebbe profilarsi un incarico davvero strategico all’interno della definizione del nuovo percorso da seguire, ovvero quello di occuparsi della cessione degli asset no-core di Farfetch, prima fra tutti Ngg, per la cui vendita secondo i ben informati sarebbe già scesa in campo la banca d’affari Rothschild, che avrebbe già le prime manifestazioni di interesse, tra cui quella di Style Capital
IL BALLO DEI MANAGER: COME CAMBIA L’ORGANIGRAMMA
NELL’ERA COUPANG
GABRIELE MAGGIO ALLA GUIDA DI ELISABETTA FRANCHI: OBIETTIVO, POTENZIARE IL BRAND NEL SEGMENTO LUSSO
In passato ha lavorato con Stella McCartney Moschino, Bottega Veneta e Gucci e ha anche esperienze con Prada e Armani. Ora il futuro di Gabriele Maggio è alla guida di Elisabetta Franchi, marchio impegnato a rafforzare la sua posizione come primaria realtà nel segmento lusso, come dimostrano altre scelte strategiche come quella di affidarsi, nelle campagne pubblicitarie, alla direzione creativa di Carine Roitfeld o di accrescere ulteriormente il posizionamento retail come sta per accadere a Milano, dove il brand si prepara a inaugurare un nuovo
monomarca più grande e in una location più esclusiva come via Della Spiga. «La nomina di Gabriele Maggio è un altro traguardo nella storia dell’azienda - ha commentato Elisabetta Franchi -. La sua carriera distintiva e la profonda comprensione dell’industria del lusso lo rendono il partner perfetto per guidare il marchio verso il prossimo livello di successo e desiderabilità». Sotto la guida di Maggio, Elisabetta Franchi mira a rafforzare la sua posizione come marchio di moda di lusso, innovare la sua strategia di prodotto ed espandere la sua presenza a livello globale, con l’obiettivo di accrescere le vendite, che pre-Covid avevano raggiunto quota 129 milioni di euro. Attualmente il marchio è presente in 78 Paesi attraverso 85 negozi monomarca e in selezionati punti vendita multibrand in tutto il mondo.
30 A CURA DI ANDREA BIGOZZI STRATEGIA CAREERS
OUT
Jose Neves
IN
Elizabeth von der Goltz
Bom Kim
Stephanie Phair
Stephen Eggleston
RIVETTI AZIONISTA DIRETTO CON IL 4% Moncler sfiora i 3 miliardi di fatturato
Il Gruppo Moncler chiude un 2023 da record: i ricavi sono saliti del 17% a cambi costanti (+15% a cambi correnti), a quota 2,98 miliardi di euro, con il marchio del Galletto che ha raggiunto i 2,57 miliardi, in aumento del 19% a cambi costanti e del 17% a cambi correnti. La controllata Stone Island ha superato i 411 milioni di euro (+4% e +2% a cambi correnti). L’ebit di gruppo è passato da 774,5 a 893,8 milioni di euro, con un’incidenza sui ricavi del 30%, dal precedente 29,8%. Il risultato netto è stato di 611,9 milioni di euro, dai 606,7 milioni dell’analogo periodo del 2022, che includevano un beneficio straordinario di 92,3 milioni di euro. Lo scorso febbraio si è appreso che la famiglia Rivetti è diventa azionista diretta del gruppo, con una quota di quasi il 4% (prima era socia ma indirettamente, attraverso Double R). Un passaggio che fa pensare a una prossima vendita di un pacchetto di titoli. Carlo Rivetti continuerà a collaborare con il management team di Moncler, come consigliere del board e nel ruolo di presidente del cda di Stone Island che ha fondato e ceduto nel 2020.
MAISON MARGIELA CRESCE DEL 23% Otb: un 2023 di crescita a due cifre
Il Gruppo Otb - a cui fanno capo Diesel, Jil Sander, Maison Margiela, Marni, Viktor&Rolf, una partecipazione in Amiri ma anche le aziende Staff International e Brave Kid - archivia il 2023 con ricavi netti pari a 1,8 miliardi, in aumento del 10,4% sul 2022. Nell’anno il brand più dinamico è stato Maison Margiela che, come spiegano dall'azienda, ha messo a segno un +23% a cambi costanti, grazie anche al +72,4% realizzato fra Cina e Corea. Diesel ha risentito positivamente del riposizionamento del marchio e dell’apertura di 15 store nel mondo, chiudendo l’esercizio con un +13%. Incremento a due cifre anche per Jil Sander (+17,3%), che nei 12 mesi ha avviato 18 nuovi store fra Europa, Stati Uniti e Asia. Marni, che con la FW24 torna nel calendario delle sfilate milanesi, ha realizzato un +8,6% sull’anno prima, anche per effetto dell’apertura di 16 nuovi store. Nel corso del 2023 il canale diretto ha registrato un +33,8% e, includendo l’e-commerce, ha superato il 50% dei ricavi totali. Otb ha totalizzato 348 milioni di ebitda, dai 314 milioni precedenti (+10,8%) e 140 milioni di risultato operativo (dai 134 del 2022, +4,5%).
TAGLI AL PERSONALE DA NIKE A VF, DA MACY'S A NORDSTROM Negli Usa scattano i piani di cost-cutting
AD ALBA
Miroglio a un passo dalla Trussardi
Mentre scriviamo sembra ormai cosa fatta: la maison Trussardi passa al gruppo piemontese Miroglio guidato da Alberto Racca. Così avrebbe deciso il Tribunale di Milano mentre la casa di moda del Levriero controllata dal fondo QuattroR si trova in procedura di composizione della crisi. A passare di mano sarebbero il marchio, alcuni negozi e un numero non ancora stabilito di dipendenti. Nella posta in gioco non ci sarebbe il Palazzo Trussardi di piazza della Scala a Milano, che dovrebbe essere riconsegnato alla famiglia Trussardi. Il Gruppo Miroglio controlla già nove marchi con Miroglio Fashion (tra gli altri, Motivi e Elena Mirò, Fiorella Rubino, Diana Gallesi e Oltre), oltre a quattro stabilimenti produttivi, 36 società controllate e 1.100 negozi.
GLI USA TRAINANO I RICAVI Mytheresa in chiaroscuro nel quarter
In attesa di un quadro più chiaro in merito alla crescita economica e ai consumi statunitensi (vedi a pag. 56), diversi gruppi americani della moda e note insegne del retail a stelle e strisce hanno deciso di ridimensionare l'organico. Gli annunci sono iniziati nel corso del 2023 e sono proseguiti nel nuovo anno con quello di Nike, tra i più recenti. Nell’ambito di un più vasto piano di contenimento dei costi annunciato sotto Natale (fino a 2 miliardi di dollari di risparmi in tre anni), il gruppo dell'Oregon si prepara a un taglio del 2% del personale. Si tratta di più di 1.500 posti di lavoro, per il gigante americano dell'abbigliamento sportivo, che pare soffra delle pressioni sulla domanda di sneaker. I tagli non dovrebbero riguardare i dipendenti dei negozi retail e dei centri distributivi. La catena di negozi Macy's sta invece eliminando circa 2.350 posti di lavoro e chiudendo cinque negozi. I licenziamenti rappresentano il 3,5% della forza lavoro permanente di Macy's e il 13% del personale aziendale. La ristrutturazione di VF Corporation è più contenuta. La società che controlla marchi come Vans, Timberland, The North Face e Supreme e che nel quarter terminato in dicembre ha accusato un -16% dei ricavi, ha annunciato lo stop a 500 posti di lavoro dipendente a livello globale. Lululemon invece ha tagliato 120 posti in NoMad dopo aver chiuso le vendite di attrezzature per l'esercizio fisico a casa, di cui c'era stata molta domanda durante la pandemia. Dei deparetment store di lusso Nordstrom si sa che ha licenziato un numero imprecisato di dipendenti del reparto tech, tra cui ingegneri software e program manager. All'inizio del 2023 aveva annunciato che avrebbe chiuso le sue attività canadesi con un conseguente eliminazione di circa 2.500 posti di lavoro. In agosto è invece emerso che Neiman Marcus ha eliminato un numero imprecisato di ruoli aziendali, che riguardano meno dell'1% della sua forza lavoro. Si è trattato di un riallineamento a quanto annunciato un anno fa, quando circa 500 persone, pari a quasi il 5% della forza lavoro, avevano perso il posto.
Nel secondo trimestre terminato a fine dicembre Mytheresa (nella foto, un look Loewe X Mytheresa) ha registrato un crescita dei ricavi dell'8,3% a cambi costanti a 197 milioni di euro, che beneficiano del +17% segnato negli Usa.Il gmv della piattaforma di luxury e-commerce ha raggiunto i 219 milioni (+5,9% a cambi costanti). I top customer sono cresciuti del 15,6% con il valore medio degli ordini che ha raggiunto i 672 euro. Tuttavia nel quarter l’ebita retificato è sceso a 7,9 milioni, da 17,7 milioni e l’ebitda margin adjusted è risultato del 4%, contro il 9,3% precedente. La perdita netta è peggiorata da 500mila a 5,4 milioni di euro. La società stima che il fiscal year che si concluderà a fine giugno, vedrà un aumento del gmv e delle vendite nette tra il +8% e il +13%. L’adjusted ebitda dovrebbe aumentare fra il +3% e il +5%.
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CURA DI ELISABETTA
STRATEGIA NEWS
A
FABBRI
PROGETTARE IN MODALITÀ GREEN
L’Ue dà un’accelerata alle norme
Parlano associazioni, imprese, brand e consulenti
Regolamento Ecodesign: una sfida e una chance se la filiera fa quadrato
L’obiettivo dell’Ue è far adottare logiche di progettazione, affinché un capo diventi un rifiuto il più tardi possibile. Un impegno oneroso per le aziende ma inevitabile, per marcare il confine tra moda responsabile e non
DI ELISABETTA FABBRI
Sembra ormai questione di pochi mesi per l’ok definitivo a nuove regole sull’ecodesign, volte a migliorare la sostenibilità ambientale dei prodotti, tra i quali abbigliamento e calzature, considerati «prioritari» dall’Unione europea insieme a metalli, pneumatici, mobili, detergenti, vernici e prodotti chimici. In gennaio l’Envi (la Commissione Ambiente, Salute Pubblica e Sicurezza Alimentare del Parlamento europeo) ha dato il via libera, a larga maggioranza, all’accordo provvisorio raggiunto ai primi di dicembre 2023 tra il Parlamento e il Consiglio Ue sull’aggiornamento delle norme che riguardano la progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili. L’accordo è inoltre già stato approvato dal Coreper. Il nuovo Regolamento ecodesign, che parte da una direttiva del 2009 focalizzata sui prodotti connessi all’energia, ambisce a rendere i prodotti più durevoli e affidabili, nonché facili da riutilizzare, aggiornare, riparare e riciclare. Inoltre punta a ridurre l’uso di risorse, tra cui quelle energetiche e l’acqua. I colegislatori hanno pure concordato di vietare la distruzione di abbigliamento, acces-
sori e calzature invenduti, due anni dopo l’entrata in vigore della legge (sei anni per le medie imprese). Il pacchetto di regole tocca anche aspetti come l’uso di materiali riciclati, la presenza di sostanze potenzialmente nocive e la creazione di un passaporto digitale del prodotto. La filiera italiana della moda è pronta a questo passo? Al momento di andare in stampa il testo è
L’Ue vuole prodotti che durino di più, affidabili, facili da riparare, riutilizzare e riciclare
ancora provvisorio, ma gli addetti ai lavori sembrano non volersi far trovare impreparati, anche se sono tante le domande che si pongono sulla fattibilità del design “eco”. Specie se si ragiona nel breve termine. Guido Bottini, responsabile area Sostenibilità, Economia Circolare e Ambiente di Sistema Moda Italia-Smi, entra nel merito delle criticità: «Il Regolamento è trasversale e solo in alcune parti si occupa
Uno scatto alla scuola di alta formazione nella moda Istituto Secoli
nello specifico di tessile-moda. Come parte di Euratex-European Apparel and Textile Confederation in sede europea abbiamo insistito su alcuni specifici aspetti. Per esempio i requisiti di informazione, per far sì che sia corretta e comprovata lungo la catena di fornitura, perché si deve trattare di trasparenza vera, non fittizia. Ma anche la possibilità di controllo. C’è un problema di sorveglianza del mercato, specie quando si tratta di catene di fornitura lunghe, visto che a tutt’oggi non esiste un’autorità competente a livello europeo». Altro tema caldo è il divieto di distruggere l’invenduto. «Perché - si chiede Bottini di Smi - se un’impresa procede al disassemblaggio per passare al riciclo, per l’Ue compie una “distruzione”, che non è ammessa, ma allo stesso tempo si chiede l’impiego di materie prime riciclate, che sono derivate da disassemblaggio?». «Inoltre - aggiungesi richiede che i contenuti di riciclato nei prodotti rispettino gli stessi limiti previsti dal regolamento Reach (concernente restrizioni delle sostanze chimiche che mettono a rischio la salute e l’ambiente, ndr) dei materiali vergini, ma anni fa i limiti
33 INNOVAZIONE SOSTENIBILITÀ
erano diversi». «Nessuno vuole inquinare - puntualizza l’esperto di Smi - ma volere tutto e subito ci sembra la cosa peggiore. Sarebbe auspicabile procedere a tappe, dandosi delle tempistiche, per esempio dalla fine del 2025 o a partire dal 2026, cominciando a fissare i criteri di performance per la durabilità o l’uso di materiali riciclati». Secondo Bottini sarà importante il momento in cui si farà l’atto delegato, che diventerà veramente vincolante: «Il tessile avrà il proprio e sarà utile per capire specificità e tempistiche. Al momento si sa che la commissione vuole farlo sui “garments” (indumenti): un termine generico che porta a chiedersi se ci saranno le specifiche o se invece i pantaloni saranno considerati alla stregua delle T-shirt». «Le aziende che producono fuori dai confini europei - precisa - stanno cercando di tenere basse le soglie dei vari criteri, mentre noi cerchia-
Gli imprenditori auspicano che si proceda a tappe, con tempistiche definite
mo di fare l’opposto: chi realizza prodotti di qualità, a nostro parere, deve essere premiato. Prima o poi sarà comunque il mercato a costringere a standard specifici, i clienti li imporranno ai fornitori». Tante aziende hanno già iniziato un percorso di sostenibilità, anche se non lo comunicano. C’è poi un problema di costi, specie per le Pmi, che però non devono farli ricadere sul consumatore. «Sarebbe utile che le imprese potessero beneficiare di incentivi finanziari ed economici - afferma Bottini -. Si parla di investimenti per milioni di euro necessari in sette-dieci anni». In merito al timing del Regolamento dice: «Teoricamente l’atto delegato dovrebbe essere pronto quest’anno ma è pre-
sumibile uno spostamento al 2025. Il Regolamento potrebbe essere votato tra febbraio e marzo e il testo si potrebbe avere in aprile. Tuttavia, con le elezioni europee di giugno, viene da pensare che la discussione avverrà da settembre in poi. Come associazione abbiamo chiesto che, in ogni caso, sia previsto un periodo di transizione per le aziende».
«Confindustria Moda sta monitorando attivamente quanto succede in Europa - dice Annarita Pilotti, presidente dell’associazione da gennaio, con l’uscita dalla confederazione di Smi -. Il Regolamento europeo sull’ecodesign dovrà essere applicato dai 27 Stati membri dell’Ue così com’è, senza le declinazioni nazionali previste invece per le Direttive. Per come impostato favorisce le produzioni di lusso, come quelle del Made in Italy, e impone l’abbandono del modello del fast fashion, con produzioni incontrollate, che hanno un impatto ambientale importante in fase sia di produzione che di smaltimento». Confindustria Moda, come spiega Pilotti, sta lavorando su temi specifici e la sfida è quella di introdurre delle sub-regolamen-
1. Una seduta del Parlamento europeo 2. La zip della Giovanni Lanfranchi realizzata in poliammide e interamente recuperabile 3. Alcuni modelli di Principessa Super Bra, best seller di Yamamay progettato in ottica green
tazioni che valgano per singoli settori. «I prodotti del mondo moda - osserva Pilotti - sono molto diversi tra loro e non possono avere i medesimi standard. Parlando, per esempio, di durabilità, al di là dei test come quelli per verificare la resistenza all’abrasione e alla trazione, bisogna tenere conto di aspetti come le modalità d’uso e la tipologia del manufatto».
«L’obiettivo del Regolamento, far adottare logiche di progettazione affinché un capo diventi un rifiuto il più tardi possibile, è ormai ampiamente noto alle imprese tessili e della moda», osserva Aurora Magni, co-fondatrice e presidente di Blumine, società milanese di ricerca e consulenza nata nel 2010, con l’obiettivo di diffondere la cultura della sostenibilità nell’industria tessile e della moda. «L’ecodesign va letto in relazione alle strategie di misurazione dell’impatto ambientale dei prodotti, necessarie per fornire ai consumatori informazioni corrette e veritiere su ciò che acquistano. Quindi è strettamente connesso con la normativa anti-greenwashing votata dal Parlamento europeo in gennaio». «Tutte le caratteristiche di sostenibilità del prodotto - aggiunge - andranno provate e sarà premiante poter contare su fornitori e terzisti, che forniscono informazioni affidabili sul loro apporto in termini di sostenibilità. Oltre a selezionare le aziende più affidabili, il committente può diventare un soggetto di sensibilizzazione e miglioramento delle performance di tutta la filiera. Qualcosa del genere è avvenuto con la sicurezza chimica: la collaborazione tra committenti e fornitori e tra questi ultimi e le aziende di prodotti chimici, oltre al coinvolgimento di laboratori di analisi e certificazione, hanno consentito alla moda italiana, se non di risolvere tutte le criticità legate alla chimica tessile, certamente di migliorare la situazione». «L’ecodesign - sottolinea - è una questione di filiera: può-deve diventare l’occasione per instaurare tra committente e fornitore una relazione di collaborazione effettiva, di condivisione di obiettivi e di linguaggi comuni. In mancanza di una modalità di lavoro collaborativa sarà ben difficile, per un brand, raggiungere gli obiettivi di riduzione del proprio impatto ambientale dichiarati nel bilancio di sostenibilità e nella strategia di comunicazione». Quello dell’ecodesign è un tema caldo anche in Antia-Associazione Nazionale Tecnici Professionisti Sistema Moda
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«C’è grande interesse e sensibilità per la materia, come emerge dai nostri periodici incontri, occasioni anche di confronto fra il monte e il valle sulle best practiceconferma la presidente Chiara Dussini -. Tuttavia, al momento si vedono poche soluzioni pratiche. Di certo il monte sta procedendo a passi veloci, lavorando a livello di materie prime e di filiera. Ne è un esempio MagnoLab: una rete di imprese nata nel 2022, con sede nel biellese, che ha l’obiettivo di realizzare progetti legati alla sostenibilità e all’economia circolare». «Il più delle volte - precisa Dussini - le azien-
Serve un nuovo approccio: dalla logica del profitto a un modello incentrato sul benessere di persone e ambiente
de tendono a muoversi ciascuna seguendo propri principi, anziché ragionare in termini di filiera. Andrebbe inclusa la formazione, per educare gli stilisti e le risorse interne in ottica di progettazione ecocompatibile». «Temo che il Regolamento sarà quasi come essere investiti da un ciclone - prosegue -. Serviranno una rivoluzione culturale e un cambio di approccio, per arrivare a farsi apprezzare dai clienti grazie alle scelte produttive e passare dalla logica del profitto a un modello produttivo incentrato sul benessere delle persone e dell’ambiente». Di certo urge fare altri incontri. «I nostri - afferma la presidente di Antiasono sempre più affollati ed emergono casi esemplari di aziende virtuose, però anco-
IN ATTESA DELLE NUOVE REGOLE Yamamay frontrunner del design “eco”
Yamamay, marchio di lingerie del Gruppo Inticom da 137 milioni di euro di ricavi, ha iniziato a progettare in ottica “eco” in tempi non sospetti. Barbara Cimmino, co-fondatrice del brand e head of Csr & Innovation di Inticom, commenta la transizione chiesta dall’Ue, racconta dei progetti “eco” di successo del brand e anticipa dove sta andando la ricerca.
Cosa ne pensa del Regolamento Ecodesign in dirittura d’arrivo?
La via indicata dal Textile Pathway è intelligente e di spinta verso l’innovazione. Noi ci impegniamo a innovare sia nei materiali che nella costruzione dei prodotti, riducendo gli impatti e tenendo una vista lunga sul fine ciclo di vita e sono certa che tanti prodotti in cantiere piaceranno, perché sapranno armonizzare performance, estetica e sostenibilità. La transizione che vuole l’Europa avrà però successo se, con la market surveillance, le merci da altri Paesi del globo saranno prodotte in conformità alle richieste Ue. Chi investe tanto in R&D e qualità deve avere la garanzia di poter competere, senza essere penalizzato da costi eccessivi e burocrazia inutile. Per essere pronti a questi 16 provvedimenti legislativi è necessario cominciare ad anticipare gli investimenti.
Su quali punti avete delle perplessità?
Siamo preoccupati per la quantità di test in più da realizzare. I retailer dovranno avere tutte le informazioni nei sistemi aziendali, per garantire al cliente finale un green claim solido e robusto, derivante da misurazioni corrette secondo standard internazionali. Non tutti i capi di abbigliamento, poi, sono ugualmente durevoli per loro stessa natura. Esiste un trade off tra i requisiti di durabilità e il tema del riciclo, da considerare con estrema attenzione, per non limitare i consumi e l’avvio dell’industria del riciclo. Auspichiamo che si trovi un equilibrio tra una vita più lunga dei capi e l’uso di materiali riciclati, per mantenere alta la qualità dei prodotti. Infine, le tecnologie per riciclare sono in fase di sviluppo e molte saranno create solo nei prossimi anni.
Principessa Super Bra, linea di reggiseni in cinque misure che copre 35 accoppiate taglia/coppa, sembra andare nella direzione dell’Ue...
Lavoriamo con i principi di ecodesign da anni e siamo stati dei veri frontrunner
di questo modo di costruire i prodotti. Nel 2023 abbiamo celebrato i 10 anni del legging Sculpt, del quale nel tempo abbiamo misurato e compensato le emissioni di CO2 e nel 2023, per migliorarne ulteriormente gli impatti, abbiamo realizzato la Pef: un esercizio utile in prospettiva futura e rispetto a tanti nuovi ragionamenti che stiamo sviluppando in ambito progettazione. Principessa Super Bra, oltre ad essere prodotto in un impianto dove vengono misurati gli impatti, porta a realizzare meno prodotti, pur garantendo un’eccellente copertura della popolazione. In più riduce i resi nell’e-commerce e le rimanenze nei negozi fisici. Da tre anni è il nostro best seller assoluto.
L’iniziativa ha avuto un seguito?
Sì, con lo sviluppo della serie Adaptive per l’intimo, l’athleisure e i costumi da bagno: poche misure, grande inclusività sulle taglie e ottimi sell through. Oltre a caratteristiche di confortevolezza e qualità riconosciute dai clienti.
Dove state incentrando la ricerca nell’ecodesign?
Dopo il calcolo delle emissioni Scope 3 i nostri obiettivi di riduzione delle emissioni dipendono quasi esclusivamente dai materiali, quindi da scelte della filiera di monte. L’aspetto della manutenzione del prodotto è sempre più importante e i clienti sempre più esigenti: dobbiamo bilanciare cosa si aspetta il consumatore a livello di durabilità del prodotto con le indicazioni di manutenzione, a partire dai lavaggi, che non siano troppo impattanti per le emissioni e i consumi di acqua. Nel 2024, ad esempio, abbiamo incrementato notevolmente le indicazioni di lavaggio in lavatrice, anche per la corsetteria, rispetto al tradizionale lavaggio a mano
Pensa che imprenditori, professionisti e consumatori siano pronti al nuovo Regolamento?
Il framework non è del tutto definito e le regole sono numerose, ma chi vive la sperimentazione come una sfida sarà pronto. Chi aspetta l’ultimo istante per una compliance solo formale, non avrà il tempo di rivedere processi e prodotti e cambiare la cultura dei propri team, così da preparali al nuovo modo di progettare e produrre. Si tratta di decidere se accettare la sfida e considerarla una grande opportunità di miglioramento non solo in chiave ambientale, ma anche per la società, le catene di fornitura e la tutela dei clienti.
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Barbara Cimmino
ra in numero limitato. La ricerca, in ogni caso, va avanti e credo che le soluzioni si possano trovare, se produttori e fornitori ragioneranno insieme». «Viene però da chiedersi quanta volontà ci sia di investire - aggiunge la presidente di Antia -. Le nuove generazioni, stando alle statistiche, sono interessate all’ecosostenibilità, ma i ricavi di Shein sembrano raccontare tutta un’altra storia».
«La sostenibilità e la possibilità di progettare in modo green è nella visione delle aziende della moda italiana da circa 15 anni ma c’è stata un’accelerazione negli ultimi cinque - osserva Matteo Secoli, presidente di Istituto Secoli, scuola di alta formazione nella moda -. In parallelo anche noi abbiamo integrato nuovi profili tra i docenti, modificato la didattica e introdotto tecnologie come quelle per la progettazione in 3D o il body scanning». Tra gli studenti ci sono un grande interesse e una certa sensibilità alle tematiche ambientali ma, secondo Secoli, bisogna far capire che i capi che si indossano non possono essere prodotti dai bambini. «Cambiare la cultura è complesso - afferma -. La generazione attuale è la prima che si cimenta con le tematiche della moda responsabile e penso che si procederà più velocemente con quella successiva. Più in generale, si tratta di una questione di consapevolezza: bisogna essere consci delle scelte che si fanno, posto che l’impatto zero è, di fatto, un obiettivo irrealizzabile». Se l’Italia riuscirà a or-
1. Il denimwear in canapa di Gimmi Jeans 2. Il fondatore del brand coltiva la materia prima nel vicentino: il suo sogno è una moda tutta a chilometro zero
ganizzarsi, per eccellere nel rispettare le nuove regole, e a difendere i brand seri in fatto di sostenibilità, allora aumenterà il suo margine di competitività rispetto ad altri sistemi Paese, nel parere di Secoli. C’è un tema positivo di affinamento del pensiero: «Non credo che l’ecodesign sia irrealizzabile - sostiene -. I designer che stanno uscendo dalla nostra accademia lo affrontano in corsa, ma entro cinque o dieci anni lo avranno integrato. In generale adesso c’è un atteggiamento scettico, anche perché scaricherà una serie di pro-
Si sta per arrivare a una legge più precisa e le imprese del made in Italy si distingueranno per le competenze
blematiche su chi produce i brand. Alcuni aspetti della sostenibilità andranno a impattare su filati e tessuti. Ci si può aspettare una maggiore complessità nel lavorare i materiali e non si sa ancora a quanto si dovrà rinunciare in termini qualitativi, dal colore alle performance. Tuttavia non percepisco una grande resistenza al cambiamento, visto ormai come un qualcosa di ineludibile. Andremo ad adottare una legge più precisa, che procurerà diseguaglianze tra concorrenti. Noi avremo competenze che altri non avranno e che li porterà ad adottare le strategie di sostenibilità». «I nostri clienti si stanno muovendo
a macchia di leopardo, in attesa di capire i dettagli del Regolamento - dichiara dal monte della filiera Gaetano Lanfranchi, ceo della Giovanni Lanfranchi, uno dei maggiori produttori europei di cerniere con sede a Palazzolo sull’Oglio (Bs) -. I più integralisti stanno studiando proposte monopolimero interamente recuperabile, come materia prima. In quest’ottica abbiamo sperimentato con Radici Group una cerniera in poliammide. Il prototipo è stato realizzato nel colore nero, ma pensare di svilupparlo in una serie di nuance sembra davvero impegnativo». Un’ipotesi meno radicale, secondo Lanfranchi, è una cerniera dove è facile separare le parti tessili da quelle metalliche. Il metallo è il materiale ideale per i cursori, per via della sua resistenza (al contrario della plastica) e rappresenta la parte che vale di più in una zip (normalmente si tratta di leghe che contengono ottone, acciaio, rame, alluminio, zinco e magnesio). «Se si brucia la parte tessile, non è difficile da recuperare - spiega l’imprenditore -. I nostri clienti si stanno già organizzando in consorzi, per separare i materiali e ottimizzarne il recupero. In prospettiva l’acciaio si candida a essere il metallo più sostenibile, perché non deve essere galvanizzato, è anallergico ed eterno. Sicuramente però inciderà sul prezzo di una cerniera». Nel parere di Lanfranchi, uno dei migliori sistemi per l’ecodesign è realizzare capi riparabili: «Noi diamo la possibilità ai clienti maggiori di portare a riparare le lampo. Per fortuna succede di rado: evidentemente le nostre cerniere rispettano già il requisito di durevolezza». «Vorrei pure - aggiunge - che si vedesse la sostenibilità non come a un qualcosa da inserire in un cartellino: dovrebbe riguardare i processi, più che limitarsi ai materiali. Un poliestere può avere anche l’etichetta Global Recycle Standard-GRS (certificazione per i prodotti realizzati con materiali riciclati, ndr), ma se poi è fatto in Bangladesh, che standard produttivi rispetta? Con la trasparenza sulla carbon footprint credo che ci saranno delle sorprese. In Francia è già partita la necessità di rendicontare e ora ci contano i grammi». A proposito di cerniere, tra i giovani imprenditori sensibili ai concetti della sostenibilità c’è chi, come Francesco Vantin, ha bisogno di quelle in puro cotone. Il motivo è che il suo progetto di denimwear made in Veneto, a marchio Gimmi Jeans, si basa principalmente sulla canapa: una fibra con proprietà antibatteriche, a-stagionale perché termoregolatrice, con un notevole grado di resistenza agli strappi e alle macchie. Lo stesso Vantin - perito tessile con diploma in stile, confezione e modellistica - la coltiva nel vicentino. La
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Rifò è un caso che fa scuola nella moda circolare Con sede a Prato, realizza, tramite artigiani locali, capi di qualità, a partire da rifiuti e scarti tessili principalmente in cashmere e denim. Nato con un crowdfunding nel 2017, Rifò si è dato da subito la missione di avere un impatto positivo sull’ambiente e sulla società. Il principio base è che le risorse più sostenibili sono quelle già prodotte. I materiali scelti sono naturali, biodegradabili e composti almeno per il 50% da fibre rigenerate. Le collezioni sono a loro volta rigenerabili e biodegradabili.
produzione non necessita di pesticidi e fertilizzanti, in più è a basso consumo di acqua. Si tratta di un quantitativo ancora limitato, utilizzato principalmente per corde, grembiuli e shopping bag, non avendo la finezza ideale per l’abbigliamento (la maggior parte della materia prima è acquistata da fornitori esterni e arriva da Belgio e Francia). Partito quattro anni fa con la produzione di un centinaio di jeans, entro il 2024 Vantin stima di triplicare l’offerta includendo i giubbotti. Nel suo business quasi tutto è a chilometro zero, dal taglio alla confezione, dal lavaggio ai trattamenti fino allo stiro. «Vengo da una famiglia nel tessile da 50 anni e sono cresciuto in campagna, con l’insegnamento di ridurre gli sprechi e riutilizzare - racconta il giovane imprenditore -. Da subito ho pensato a una costruzione e una confezione il più durevoli possibile, in una fibra tra le più resistenti in natura. Inoltre offriamo servizi di riparazione nei nostri due negozi». «Ma c’è tutta una catena produttiva - aggiunge - che deve adattarsi ai concetti della moda circolare: a volte non è semplice far
capire che, per tenere conto del fine vita, i nostri capi devono essere cuciti con il cotone e non con una fibra sintetica. Tanti confezionisti non hanno presente questo passaggio. Anche le cerniere devono essere in cotone. Ci vorrà tempo per informare ogni segmento, ma bisogna pur cominciare e ognuno deve fare la sua parte». Intanto la ricerca e l’aggiornamento in materia di ecodesign prosegue. «Le soluzioni migliori si trovano già in natura: si possono usare le fibre naturali e rendere i capi confortevoli lavorando a livello di modellistica e costruzione, senza l’impiego di fibre elasticheosserva il fondatore di Gimmi Jeans -. Poi bisognerebbe puntare sul second hand e l’upcycling».
Un caso virtuoso è Rifò, che realizza capi rigenerati e si occupa anche della raccolta per il riciclo. Si tratta di maglioni in lana e cashmere e pantaloni in denim. Nel caso dei jeans, il materiale di recupero viene trasformato in filo da Pinori Filati. I maglioni di lana e cashmere usati diventano un nuovo filato grazie a Filpucci. Rifò è anche un modello perché organizza dei
A PITTI FILATI 94 Shima Seiki, Mic e Branchizio uniti per il circular fashion
Lo scorso Pitti Filati 94 ha rinsaldato la collaborazione tra il produttore di macchine per maglieria Shima Seiki, la filatura Mic-Manifattura Italiana Cucirini e il designer bresciano Vittorio Branchizio, noto per le sperimentazioni nel knitwear. Il trio ha lanciato la capsule collection di maglieria WholeGarment Sustainability, composta da outfit (nella foto) che sono una sintesi di abilità creativa, conoscenza dei materiali, tecnologie di ultima generazione - come quelle proposte dalla società di Segrate (Milano) - e filati naturali innovativi e di qualità, forniti dalla manifattura di Vallese (Verona). La tecnologia delle macchine per maglieria WholeGarment è stata pensata per il fashion circolare. Sono assimilabili a stampanti 3D ma per il tessile, permettono di lavorare un capo unico, in tre dimensioni e senza cuciture. Consumano solo il materiale necessario per un singolo capo, senza scarti. E a fine vita il filato potrà essere facilmente sbrogliato per prendere nuova vita.
tour guidati per farsi conoscere e far scoprire le aziende pratesi che si occupano di rigenerare il tessile. Un test diretto che vale più di tante certificazioni, secondo Vantin. «Quello che vorrei io - concludeè una filiera corta in senso estremo: quasi un’utopia visto che l’Italia è scarsa di fibre. Siamo all’inizio di una trasformazione: è sempre la parte più difficile ma allo stesso tempo, per me, molto motivante e appassionante».
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Anemona GR, Ampat WH
ETNIA BARCELONA: PIÙ CHE OCCHIALI, FORME D’ARTE E CULTURA
Fondato nel 2001, il marchio made in Barcelona affonda le radici in una storia lunga tre generazioni, legata alla città catalana nelle atmosfere e in un’idea di libertà che trova nel colore la sua massima espressione. L’indipendenza è un punto di forza per la creatività, il prodotto e il servizio
Colore, qualità e cultura: su queste tre coordinate si sviluppa Etnia Barcelona, marchio di occhiali indipendente, che deve alla propria unicità e al dna legato a Barcellona la sua affermazione internazionale. Sono oltre 15mila i punti vendita di ottica che distribuiscono il brand, presente in più di 50 Paesi, oltre a un flagship nella città catalana e al sito etniabarcelona.com. Un brand, giovane nello spirito ma con alle spalle una lunga storia legata all’eyewear. Tutto infatti inizia negli anni Cinquanta a Barcellona, dove Fulgencio Ramo, nonno del fondatore, apre la sua azienda dopo aver lavorato per anni nel settore. Fulgencio trasmette il suo know how a Josep Pellicer, che con intraprendenza e ambizione si impone negli anni Ottanta come designer, produttore e distributore di occhiali in Spagna. Si arriva così agli anni Novanta, quando David Pellicer, attuale proprietario
di Etnia Barcelona, si unisce al business di famiglia con il sogno di creare un brand che trasmetta ideali di libertà, umanità e rispetto verso tutte le etnie: nasce così nel 2001 Etnia Barcelona, che identificandosi con l’hashtag #BeAnartist invita tutti a esprimere la propria personalità attraverso il design. È l’inizio di un’escalation che porta il marchio a varcare ben presto i confini nazionali, ampliando progressivamente il proprio organico a oltre 650 persone e aggiungendo al quartier generale di Barcellona le filiali di Miami, Vancouver e Hong Kong. Barcellona non è solo il fulcro del business, ma una costante fonte di ispirazione con la sua solarità, multietnicità e apertura verso il mondo. Un punto di forza di Etnia Barcelona è l’indipendenza: tutte le collezioni sono sviluppate dal team di design interno, che segue l’intero processo creativo senza restrizioni o imposizioni di sorta. Al cliente, sempre al primo posto, vengono
garantiti una filiera di valore, attentamente controllata dal design alla produzione, e un ottimale rapporto qualità/prezzo. Naturali e di pregio i materiali, come l’acetato naturale Mazzucchelli e il vetro minerale per le lenti HD. Per andare all’essenza di Etnia Barcelona basta esplorare la nuova collezione SS24, ispirata al mondo subacqueo con i suoi colori, i riverberi della luce sull’acqua, il fascino della flora e fauna marina. Gli occhiali - 22 modelli, di cui 18 da vista e quattro da sole - portano nomi legati a questo immaginario, tra cui Reef, Posidonia, Anemone e Corallo. Atmosfere che, grazie all’intelligenza artificiale, vengono amplificate dalla campagna Underwater, dove l’universo sottomarino è popolato da esseri mistici e forme eteree dai movimenti morbidi e ondulati. Un invito a riflettere sulla possibilità che dalla commistione fra l’ingegno umano e l’AI nasca una realtà sorprendente, permeata da quella creatività che da sempre è la forza motrice di Etnia Barcelona.
ETNIA BARCELONA for
Largo alla fashion Next Gen
A CURA DI ANGELA TOVAZZI
LABEL ROSE
Quella di Francesca Ammaturo è una storia di resilienza, coraggio e determinazione, di cadute e rinascite. Ex ballerina professionista, con anni di gavetta all'estero, si è formata come designer grazie all'esperienza maturata nell'azienda di famiglia, «ma soprattutto a una forte dedizione e ambizione, tanti sacrifici, pianti e duro lavoro», come sottolinea lei stessa, e a un'intuizione, rivelatasi vincente: democratizzare il mercato della pelletteria, con borse dall'estetica accattivante e dal prezzo accessibile, al pubblico tra i 40 e i 70 euro. Risultato: nel giro di tre anni il brand ha costruito una community di 300mila donne sui canali social, in primis Instagram e Tik Tok (dove Francesca "ci mette la faccia"), fidelizzato oltre 100mila clienti finali, ottenuto la fiducia di un centinaio di rivenditori in Europa e un boom del business, che nel 2023 è aumentato del 100% rispetto al 2022, arrivando a 4,4 milioni di euro. Oggi Label Rose conta una ventina di dipendenti, per la maggior parte donne under 30, e guarda avanti: è stato aperto il primo pop up a Roma e un altro sta per arrivare.
Designer Francesca Ammaturo
Distribuzione Diretta
labelrose.it
ZONA20 MILANO
Capi in pelle, signature del marchio, ma anche abiti genderless, capispalla, maglieria in cotoni organici e cashmere riciclato, maxi short: le proposte di Zona20 Milano sono state presentate in anteprima al tradeshow White Milano e si preparano a sbarcare in selezionate boutique internazionali, grazie alla recente partnership con Elisa Gaito Showroom. Per le sorelle Cherie e Zoe Wang, fondatrici del brand, si tratta di uno step fondamentale: «Ci siamo presentate al mercato lo scorso ottobre attraverso il nostro e-shop, che oltre a costituire un'importante vetrina rappresenta uno strumento attraverso cui intercettare i gusti e le preferenze dei nostri clienti». Ora la prova del canale fisico, «facendo leva su valori come inclusività, youngness, creatività e moda unisex», dicono le fondatrici, che per la FW 2024/2025 presentano una sessantina di pezzi, a un prezzo retail compreso fra i 500 e i 2.500 euro.
Distribuzione
Elisa Gaito zona20milano.it
42 INNOVAZIONE DESIGNER TO WATCH
Designer Cherie e Zoe Wang
MARAGNO
Formazione da stylist allo Ied di Milano, Giulio Maragno si è messo in luce anche come designer di abbigliamento, lanciando sul mercato una collezione espressione di libertà individuale e unicità. Alla fashion week di gennaio, nel calendario di Milano Moda Uomo, lo stilista ha portato un minimalismo sartoriale di lusso, realizzato attraverso tessuti di fine serie di importanti brand italiani: cashmere, lana, seta, canapa, lino. Pezzi upcycling, dunque, genderless, dalle linee morbide, con volumi oversize e colori soft. Dopo aver aperto il proprio e-shop maragnostudio.com, dove le proposte sono disponibili a prezzi compresi tra gli 80-100 euro per gli accessori e i 2mila euro per i cappotti, ora il brand è pronto a iniziare un percorso nel wholesale fisico, partendo dal Giappone.
SLEEP NO MORE - MADE IN ITALY
L'idea è nata durante il lockdown, quando il pigiama era l'indumento principale della giornata. Il background c'era già: una storia di circa 40 anni alle spalle, costruita da una famiglia attiva nel settore serico nei pressi di Como. Le sorelle Martina e Lucia Alai partono da lì per creare un brand di luxury homewear. Segni particolari: stampe e fantasie in 100% seta, per capi eleganti e pratici insieme. Un'intuizione premiata dal mercato e confermata non solo dalle vendite sul loro e-store, ma anche dal feedback di alcuni top shop, come Boutique Adani a Modena, Tessabit a Como, Cuccuini a Livorno, Bugatti Donna a Udine, Nugnes a Trani e Mimma Ninni a Bari. Intermediario per la distribuzione è Studio Zeta Showroom. Prezzi retail intorno ai 350-400 euro.
Designer Lucia e Martina
Alai
Distribuzione
Studio Zeta
Showroom
sleepnomoremadeinitaly.com
Distribuzione Btc Luxury
Fashion
Wholesale amotea.com
AMOTEA
Diletta Amodei, quarantenne romana, ha aspettato di essere mamma di tre figli prima di decidere di realizzare il suo sogno: diventare una designer. Con alle spalle studi all'Accademia di Costume e Moda di Roma, questa possibilità si è concretizzata con Amotea, brand di abbigliamento femminile lanciato nel 2019: un guardaroba che fin dall'inizio ha puntato a unire l'expertise sartoriale italiana con un design contemporaneo e sofisticato. A distanza di circa cinque anni dal lancio, la sua estetica si è progressivamente definita, con capi che celebrano la libertà di espressione, l'indipendenza, l'audacia di un'eleganza non convenzionale. Una mission che ha convinto retailer come Modes, Russo Capri, Cuccuini e Galeries Lafayette. I prezzi medi retail sono intorno ai 600-650 euro. L'atelier di Amotea si trova nella capitale, in piazza di San Lorenzo in Lucina, mentre le campagne vendite sono seguite dall'agenzia milanese Btc Luxury Fashion Wholesale.
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Designer Giulio Maragno
Distribuzione Diretta maragnostudio.com
Designer Diletta Amodei
TRACCIABILITÀ
Come controllare i fornitori La spinta dell'intelligenza artificiale
Sfide sostenibili, nuove leggi, AI: l'impatto sul tessile
In vista dell’introduzione del passaporto digitale, la filiera deve farsi trovare preparata a partire dal monte, certificando anche il primissimo anello della supply chain, che nel caso dei lanifici sono le fattorie. Intanto il salone Milano Unica sceglie di dedicare l’inaugurazione della 38esima edizione a un tema caldo, l’intelligenza artificiale, destinata a rivoluzionare prodotto e processo. Ma il cammino è appena cominciato
DI ALESSANDRA BIGOTTA
Puntare ancora più in alto in fatto di innovazione, performance e sostenibilità: un imperativo per tessitori e filatori presenti alle recenti edizioni di Milano Unica e Pitti Filati, anche alla luce dei cambiamenti legislativi che nei prossimi anni imporranno al tessile-abbigliamento di ricalibrare le proprie regole (si veda anche l’articolo sull’eco-design in questo numero). Negli stand un argomento ricorrente è stato il passaporto digitale, che dal 2030 dovrebbe diventare obbligatorio per i produttori europei, basandosi su informazioni dettagliate a proposito della circolarità e di altri aspetti ambientali, racchiuse in un codice QR che diventerà, appunto, un “passaporto” a tutti gli effetti. «Solo chi avrà una filiera tracciabile potrà ottenerlo - osserva Silvio Botto Poala, ceo di Botto Giuseppe e Figli - e saranno i segmenti premium e lusso, con i quali ci identifichiamo, a dover dare il buon esempio. Per quanto ci riguarda, è da moltissimo tempo che abbiamo imboccato la strada della sostenibilità, ottenendo un ampio ventaglio di certificazioni e spingendoci, soprattutto ora, fino al “monte del monte”, se così si può definire, ossia alle fattorie, per lo più australiane, da cui ci riforniamo». Luoghi in cui Botto Giuseppe e Figli ha incrementato, insieme agli allevatori, pratiche di agricoltura rigenerativa, volte a compensare
le emissioni di Co2 degli animali, ottenendo una certificazione specifica per questo anello della supply chain, la Land to Market. Da Eurojersey il direttore generale Andrea Crespi ricorda che l’azienda è stata tra le prime a misurare l’impatto ambientale dei suoi Sensitive Fabrics, attraverso 16 indicatori che ne scandiscono il ciclo di vita, elencando anche alcune collaborazioni con griffe del ready-to-wear: «Penso a Stella McCartney per quanto riguarda l’activewear, Burberry
La responsabilità sociale e ambientale impatterà sempre più sui conti economici aziendali
per l’active/beachwear, Balenciaga e Prada per i costumi da bagno, Moncler per la linea Day_Namic (baselayer e legging), Lululemon per la gamma Performance, Arena per la nuova collezione Feel: tutti partner selettivi ed esigenti, che non transigono su qualità e trasparenza dei prodotti». «Non esistono fibre più o meno “buone” - chiarisce Crespi -. La differenza la fa il modo di lavorarle, tingerle e gestire l’azienda, gli approvvigionamenti e la filiera. Tra i nostri investimenti
1. Un'immagine prodotta da Microsoft 365 Copilot, assistente per il mondo del lavoro che si avvale di un sofisticato motore di elaborazione basato sull'intelligenza artificiale 2. La primaveraestate 2025 di Vitale Barberis Canonico 3. La fase dell'orditura nello stabilimento Lainière de Picardie di Chargeurs Pcc in Francia: a 120 anni dalla fondazione l'impianto è al centro di un mega progetto di ristrutturazione, che verrà completato entro fine 2024 4. Uno dei capi realizzati dalla stilista Bav Tailor con i tessuti in lana Rws e certificati di Botto Giuseppe e Figli, che l'azienda ha presentato nel suo stand a Milano Unica
del 2023, per esempio, ci sono impianti di ultima generazione per abbattere il consumo idrico, mentre il prodotto viene concepito in funzione della sua durevolezza anche nella parte estetica, scegliendo stampe che non decadano con i trend stagionali». «Ogni azienda dovrà stilare un bilancio sostenibile che include l’interfodera, nostro settore di specializzazione: una consapevolezza che per quanto ci riguarda esiste già da tempo, quindi siamo più che preparati ai cambiamenti in essere e in divenire», dice Giorgio Marcarino, chief commercial officer worldwide di Chargeurs Pcc, parte del Gruppo Chargeurs «Parlare di sostenibilità come di un semplice vantaggio competitivo è ormai riduttivo - osserva -. Presto arriverà a essere un fattore che impatta sui bilanci delle società e sui conti economici, in positivo ma anche in negativo, nel caso le regole non vengano rispettate e scattino sanzioni. Una sfida in cui saranno chiamati in gioco (e in parte è già così, soprattutto in Paesi come la Francia), non tanto i marketing o i design team, ma ceo e cfo». Il 2024 è un anno cruciale per Lainière de Picardie, fiore all’occhiello di Chargeurs Pcc, con 120 anni di storia alle spalle e un nuovo capitolo tutto da scrivere: «Si tratta del più grande impianto produttivo di interfodere in Europa - spiega Marcarino
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- al centro di un mega progetto di ristrutturazione che sarà completato entro fine 2024, in un’ottica di maggiore efficienza, qualità e risparmio energetico». Un ruolo chiave sarà giocato dalla connessione Mes (Manufacturing Execution System), «un software che collega le singole macchine a strumenti digitali di connessione continua - precisa - in modo da misurare l’impatto ambientale della produzione, che può così essere programmata per mantenere un profilo energetico basso abbinato a un’alta efficienza, limitando inoltre rifiuti ed emissioni di Co2».
In un’ottica di upgrading di processo, oltre che di prodotto, che ruolo ha o potrebbe
TECNOLOGIA AVANZATA DAL GIAPPONE
Spiber: con la sua Brewed Protein conquista anche Kering
avere l’intelligenza artificiale? Lo abbiamo chiesto a due tra gli esperti che sono intervenuti alla cerimonia inaugurale di Milano Unica, dove è stata proprio l’AI l’argomento portante: Nicola Gatti (professore ordinario del Politecnico di Milano) e Ottavio Fogliata (founder e ceo di Storykube, startup fondata nel 2022, specializzata in soluzioni basate sull’intelligenza artificiale per
le aziende). «Nel tessile - precisa Gatti - la situazione è molto arretrata rispetto ad altri settori, in un mercato come quello italiano che comunque è in crescita in fatto di AI, ma è ancora ben lontano dall’essere maturo. Esistono ancora poche soluzioni e le realtà del settore ne hanno adottate pochissime». C’è ancora parecchia strada da fare, «tuttavia va detto - afferma il docente del Politecnico - che il tessile potrebbe mutuare da altri comparti manifatturieri diverse soluzioni piuttosto semplici, ma in grado di facilitare molte funzioni. Penso, fra le tante possibilità, alla gestione automatica o semi-automatica degli ordini e ai risponditori automatici alle e-mail dei clienti tramite l’AI generativa». Altri esempi citati da Gatti sono l’analisi del mercato per fare previsioni sulle vendite, ma anche sui trend delle future collezioni. «Una chance viene anche offerta ai team creativi - afferma - grazie agli strumenti di AI generativa, che permettono di realizzare prototipi in tempi brevissimi», abbattendo costi ed evitando sprechi. Infine, a livello di linee di produzione, è possibile usare strumenti di visione artificiale per migliorare il controllo qualità, oppure di manutenzione predittiva per ridurre potenziali stop delle linee. Certo tutto ciò, come sostiene Nicola Gatti, «richiede una customizzazione dei sistemi disponibili sulle strutture specifiche delle im-
Il pionieristico progetto “biosphere circulation” di Spiber, volto a trasformare i tessili a fine vita e i rifiuti agricoli in nuovi materiali, ha attratto l’attenzione nientemeno che di Kering, che con il suo Kering Material Innovation Lab (Mil) ha scelto di supportare gli studi dell’azienda made in Japan. Lo stesso hanno fatto Eileen Fisher Inc., Johnstons of Elgin e Dystar, seguendo l’esempio di altre realtà (Pangaia e Goldwin), che avevano già aderito lo scorso giugno. Obiettivo di Spiber è creare prodotti tessili completamente circolari, frutto di una rigenerazione a fine vita su scala industriale attraverso un processo di fermentazione microbica (brewing). La biotecnologia è il campo d’azione di questa realtà giapponese, fondata nel 2007 da Kazuhide Sekiyama (direttore e ufficiale esecutivo) e Junichi Sugahara (direttore e rappresentante esecutivo), che si occupa dello sviluppo dei materiali proteici Brewed ProteinTM, ossia fibre, resine, pellicole e altri a base vegetale, coltivati in laboratorio e, appunto, prodotti tramite la fermentazione microbica, in grado di offrire soluzioni alternative a una vasta gamma di
materiali convenzionali di origine animale, vegetale e sintetica, utilizzati nell’abbigliamento. Le fibre Brewed ProteinTM, ottenute dagli zuccheri ricavati da prodotti agricoli come mais e canna da zucchero, possono essere filate al 100% o mescolate con cashmere, lana e altri materiali. Il primo impianto di produzione di massa di Spiber è entrato in funzione due anni fa a Rayong, in Thailandia e un altro è in fase di costruzione in Iowa. Ma non si sta parlando solo di teoria: la Brewed ProteinTM è già realtà Per esempio, a Pitti Uomo di giugno 2023 è stata scelta dal Mil di Kering e dalla Fondazione Pitti Discovery come protagonista della settima edizione di S|Sustainable Style, che ha presentato dieci giovani brand tra cui l’italiano Cavia, noto per il riutilizzo e l’upcycling di abbigliamento, che ha usato un filo di proteine fermentate e cashmere. È salita inoltre sulle passerelle della haute couture parigina di luglio, con Yuima Nakazato e la sua collezione Magma (nella foto). Tra gli altri nomi che hanno sperimentato gli avveniristici materiali di Spiber spiccano Woolrich, The North Face, Otenya e lo lo stesso Pangaia.
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prese. Il personale aziendale deve collaborare con chi si occupa di questa customizzazione per “cucire” i sistemi, il che comporta investimenti sia monetari, per acquistare i sistemi di AI, sia di risorse umane». Risorse umane che, nella percezione comune, vengono messe in pericolo dall’intelligenza artificiale. «In realtà - controbatte Gatti - quando l’AI entra in azienda semplifica le operazioni degli addetti e consente di realizzare un lavoro che o non si sarebbe fatto in sua assenza, o sarebbe stato fatto con uno standard di qualità nettamente inferiore». «C’è un detto molto calzante in merito - interviene Ottavio Fogliata di Storykube - ossia che non sarà l’AI a rubare il lavoro, ma chi è capace di usarla: in altri termini, è la skill a fare la differenza. A volte nel tessile-abbigliamento l’intelligenza artifi-
COLLEZIONI SS25
Oltre l’outdoor: la funzionalità è per tutti
Grazie a lavorazioni e trattamenti avanzati, filati e tessuti alzano l’asticella del comfort. E tra le imbottiture ci sono anche quelle che danno una mano per salvare gli oceani Tessuti uguale performance, in qualunque ambito: anche l’abbigliamento più formale, in tessuto o in maglia, esige la sua parte di funzionalità. Basti pensare all’investimento che Zegna Baruffa Lane Borgosesia ha fatto, in sinergia con The Woolmark Company, sui filati H2Dry, un brevetto originale che accresce il comfort della lana Merino. Da alcuni test condotti dall’azienda piemontese su capi realizzati con H2Dry emerge che questi ultimi garantiscono fino a un +7% di traspirabilità rispetto ai filati di riferimento, riducono il sudore residuo sul capo del 10% e abbassano fino a 1,5 gradi il calore sulla pelle. Da Tessuti Marzotto Fabrics, Franco Fabrello (fashion coordinator di Marzotto Wool Manufacturing, di cui Tessuti Marzotto Fabrics è una divisione) mostra, all’interno della collezione SS25
1. Il filato Mazatlan di Zegna Baruffa
Lane Borgosesia: dall'aspetto fresco e lucente, è realizzato in 65% seta e 35% lino
2. Il tema Folk Dandy per la primaveraestate 2025 dei Sensitive Fabrics di Eurojersey punta su disegni tribali declinati in colori naturali, con stampe intrecciate ed effetti tie-dye
ciale viene vista come una minaccia, un po’ come succede con il fast fashion nei confronti del segmento premium o più alto. In realtà il compito dell’AI è riformulare idee che noi non riusciamo a catturare con i mezzi tradizionali: nel caso del prodotto potrebbe aiutare a raggiungere livelli più alti di sostenibilità grazie a materie prime mai progettate prima, oppure nella gestione essere in grado, come già fa, di incrociare una quantità enorme di dati in tempi rapidi in ottica di blockchain, trasparenza e obiettivo zero errori. In sintesi, non bisogna cadere nella trappola di pensare all’AI come automazione, associata ad azioni ripetute e ripetitive: i campi per utilizzarla sono infiniti e siamo solo all’inizio del viaggio, soprattutto per quanto riguarda il tessile».
ispirata al trattato cinquecentesco De Divina Proportione, la gamma B-Dynamic, dove usando esclusivamente pura lana in trama e ordito si ottiene un effetto stretch. Sulla stessa lunghezza d’onda è Vitale Barberis Canonico con il suo Jacquard Natural Stretch, sempre in 100% lana, dove un filato di torsione normale e uno di torsione contraria high twist si uniscono, creando effetti lucido/opachi in disegnature geometriche. Fra i materiali che non si vedono, ma che fanno la differenza, ci sono le imbottiture, anch’esse in evoluzione. La scorsa estate Thermore, leader nei materiali per l’isolamento termico destinati all’abbigliamento, ha lanciato l’imbottitura termica Ocean-cycle certified Thermore Ecodown Fibers Ocean, prodotta nello stabilimento all’avanguardia Thermore di Hong Kong. Ora raccoglie i primi feedback positivi su questo prodotto, realizzato al 100% in materie prime ricavate dalle cosiddette Ocean Bound Plastics, ossia i rifiuti in plastica (principalmente bottiglie Pet) abbandonati su coste e spiagge, che generano l’80% dei residui inquinanti presenti nelle acque. Su un piatto della bilancia la tutela ambientale e sull’altro la performance: «Thermore Ecodown
UNO STUDIO DI TEXTILE EXCHANGE A livello globale per il riciclo tessile si può fare molto di più
Nel 2022 meno dell'1% del mercato globale delle fibre proveniva da materiali riciclati e pre-consumo: lo rivela il decimo rapporto di Textile Exchange, organizzazione no-profit che opera a contatto con tutti i settori della catena di fornitura globale del tessile-abbigliamento. Inoltre tra il 2021 e il 2022 i prodotti tessili riciclati sono diminuiti, secondo lo studio, dall'8,5% al 7,9% del totale, soprattutto a causa del calo della quota di mercato del poliestere riciclato, che viene ottenuto prevalentemente dalle bottiglie di plastica. Textile Exchange fa notare che, al contrario, la produzione tessile in generale è salita da 112 a 116 milioni di tonnellate, una cifra che potrebbe salire nel 2030 a 147 milioni. Si evidenziano dunque una dicotomia e un gap da colmare. Una buona notizia contenuta nel rapporto di Textile Exchange è che nel 2022 la quota di fibre naturali prodotte con programmi basati su elementi di sostenibilità sarebbe leggermente cresciuta. Per esempio, la produzione sostenibile di cotone sarebbe passata dal 25% al 27%, mentre per la lana si parlerebbe di un 4,3%, dal precedente 3%.
Manufacturing
A lato, Thermore Ecodown Fibers Ocean
Fibers Ocean è un prodotto in fibra libera morbidissimo, durevole e che, grazie alla struttura a forma multipla, permette di evitare le problematiche relative al clumping (i classici “grumi”), come del resto accade con gli altri prodotti della famiglia Ecodown Fibers», dicono dall’azienda, italianissima a dispetto del nome (la sede principale si trova a Milano), che anche nel suo best seller Thermore Classic è ora arrivata fino al 75% di fibre riciclate.
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Sopra, Franco Fabrello di Marzotto Wool
CSM è un’associazione autonoma, libera ed indipendente.
CSM è dedicata a tutti gli showroom multibrand di Milano più rappresentativi del fashion e con una forte vocazione internazionale.
CSM ha tra i suoi obiettivi fondamentali l’esigenza, resa ancor più forte dalla recente situazione congiunturale, di fare squadra.
CSM ha concretizzato, grazie alla collaborazione con Confartigianato Moda, importanti attività durante le Fashion Week di Milano:
ARTISANAL EVOLUTION + CSM MEETS SUSTAINABILITY
PERCHÈ SENZA UNA VISIONE COMUNE, NON ESISTE FUTURO!
CAMERA SHOWROOM MILANO ringrazia
1ST FLOOR
999 SHOWROOM
ARETE’ SHOWROOM
ASESTANTE SHOWROOM
BRERAMODE
BOIOCCHI SHOWROOM
CASILE & CASILE CONTINUO
DANIELE GHISELLI SHOWROOM
DMVB SHOWROOM
ELISA GAITO SHOWROOM
FATTORE K MILANO
GARAGE MARINA GUIDI MANNERS
MANUEL MENCARELLI SWOWROOM
MODERN SWOWROOM
PANORAMA MODA
PERCORSI OBBLIGATI
PROGETTO MILANO
RENZO VESENTINI MILANO
S5 SHOWROOM
SD SHOWROOM
SHOWROOM A. FICCARELLI
SHOWROOM DUNE
SHOWROOM JE T’AIME
SHOWROOM PAPAVERI
SPAZIO 38
SPAZIO COLTRI
SPAZIO LIBERTY
STUDIO 360 SHOWROOM
STUDIO POGGIO
STUDIO TATO SOSSAI
STUDIO ZETA
STYLE COUNCIL SHOWROOM
THE PLACE SHOWROOM
ZAPPIERI
CAMERA BUYER ITALIA W ooo
Parajumpers
GLOBAL WARMING E ABBIGLIAMENTO
Le nuove esigenze dettate dal clima L'evoluzione dell'offerta
Climate change? Innovazione, capi ultralight e transeasonal per salvare il business
Il rialzo termico, con estati sempre più lunghe e inverni miti, sta progressivamente cambiando le modalità di acquisto e, soprattutto, le preferenze di consumo. Le aziende si stanno dunque attrezzando, modificando pesi e tessuti ed escogitando nuove soluzioni stilistiche. Ma c’è anche chi lancia delle collezioni ad hoc
DI ANGELA TOVAZZI
Chi tra gli addetti ai lavori ha visto la serie Tv Extrapolations, otto episodi ambientati tra il 2037 (qui a un battito di ciglia) e il 2070, sarà sicuramente rimasto colpito dall’accento posto dalla regia sugli abiti del futuro, che si troveranno a fare i conti con la progressiva perdita di fibre naturali, tanto che solo le persone più abbienti potranno permettersi di usare capi in cotone, lana e seta, oggi di uso comune. Unica soluzione, andare a caccia di pezzi vintage, oppure ricorrere alla tecnologia, in modo da ricreare quello che è andato irrimediabilmente perduto. Certo, non siamo (ancora) a questo punto, ma già da tempo il mondo della moda è stato chiamato a impegnarsi per contrastare il climate change, in primis attraverso strategie per ridurre le emissioni, ma anche a interrogarsi sulle nuove modalità di acquisto e, soprattutto, riguardo alle preferenze di consumo.
Il clima impatta anche sul business:
-6% le vendite lo scorso settembre a causa del caldo eccessivo
Chi non ricorda le temperature dello scorso autunno? In vetrina nei negozi i nuovi cappotti, berretti e sciarpe e fuori la canicola tipica dell’estate. I metereologi lo hanno classificato come il secondo più caldo di sempre in Europa. Anche questa una delle conseguenze del riscaldamento globale, che ci ha drammaticamente abituati a improvvise piogge torrenziali e tempeste estreme, alternate a periodi prolungati di siccità, con esiti pericolosi per la salute. Ma anche il business ne sta risentendo: nel solo di mese di settembre, quando di solito i consumatori
La giacca Melua è realizzata in taffetà di nylon 15 denari lucido e down proof, con trattamento idrorepellente salutano l’arrivo dell’autunno regalandosi qualche capo della stagione nuova, la spesa è crollata del 6%, con una perdita complessiva di 320 milioni, stando alle stime di Federazione Moda Italia-Confcommercio Spinti dall’ansia da negozio vuoto e preoccupati per l'accatastarsi delle scorte in magazzino, molti retailer hanno cominciato già a inizio stagione a limare i prezzi, nel tentativo di invogliare all’acquisto. Ma forse il problema, più che a valle, va affrontato a monte, nella fase produttiva. E infatti è proprio quello che stanno facendo numerose aziende: una revisione dei loro campionari, a livello potremmo dire “hardware” (nei tessuti) e “software” (nelle soluzioni stilistiche), per rispondere ai capricci del clima, ormai sistemici, e adeguarsi a ritmi stagionali scombussolati. «Sicuramente il cambiamento climatico ha inciso sugli acquisti dei consumatori, che
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Canadian L'outerwear
"3 in 1" è stato uno dei pezzi clou presentati a Pitti Uomo: una giacca imbottita in colori fluo, a cui si può sovrapporre un antipioggia trasparente in pvc. Entrambi da usare anche separatamente
da un lato sono più attenti a performance e sostenibilità e dall’altro evitano spese superflue», dicono dall’ufficio stile di Ciesse Piumini. L’azienda ha «imparato ad adattarsi», con collezioni in gran parte focalizzate su pesi ultralight: «Proponiamo sempre una prima line-up di prodotti 800 fill Power, da utilizzare 365 giorni l’anno, capi realizzati in softshell tessuto tre strati, dotato di membrana antipioggia e antivento, e tessuti in nylon Rip-stop utilizzati per capi outdoor, combinati con insulation 100% sostenibili». La nuova key word, perfetta per tutte le stagioni, per usare un gioco di parole, è “transeasonal”. Un goal che si raggiunge modulando i pesi, ma anche apportando le giuste modifiche sul fronte delle modellature, con qualche “trick” nel segno della versatilità. Alessia Ranallo, marketing coordinator di Canadian, ci mostra una sorta di escamotage sviluppato dal brand per rispondere alle intemperanze climatiche: l’outerwear “tre in uno”. Si tratta di una giacca imbottita, proposta in colori
1. Le giacche e i parka proposti da Moose Knuckles
2. Ciesse Piumini punta su prodotti 800 fill Power ultralight, per un utilizzo 365 giorni l'anno
3. Un'immagine della capsule Suns, in versione maschile e femminile, creata in collaborazione con Fiat 500
Transition (Peserico)
Una nuova label per rispondere al cambiamento climatico: un set completo e coordinato di prodotti dai pesi intermedi, con lane superleggere in baby Alpaca e cashmere 100%, mischie di cotone e maglia e tessuti tecnici
fluo, a cui si può sovrapporre un antipioggia trasparente in pvc. Da indossare anche separatamente, a seconda delle condizioni meteo. Il brand canadese di luxury outerwear Moose Knuckles si è evoluto lavorando giocoforza «sulle costruzioni, come pure sulle occasioni d’uso», come spiega il general manager Marco D’Avanzo. Risultato: «Un progressivo alleggerimento dei pesi, anche del 40% per alcuni capi, calibrando tessuto e piuma delle imbottiture». A restare “importanti” sono solo i dettagli, come le macrocerniere, le borchie e le tasche. Non solo: per temperature più miti il marchio ha ampliato la felperia, punta a espandere la maglieria e scommette su soffici bomber in pelliccia sintetica morbida al tatto e performante (in azienda chiamata “Bunny”), progettata per essere indossata tutto l’anno. Pasquale Vendola, ceo di Suns (marchio di abbigliamento tecnico e sporty chic dal 2018 nella scuderia della pugliese Zero & Company) li chiama «capi furbi»: si tratta di jacket op-
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Brizzi
Il marchio dell'azienda
Tommy & Aly punta sulla capsule B/ Double, cinque modelli di capispalla realizzati in tessuto double, ideale per tutte le stagioni
pure smanicati 100 grammi. Caldi, antivento, antigoccia, sono appealing tutto l’anno e «permettono di fare cassa anche in quei periodi, come quest’anno, quando a gennaio si poteva andare in spiaggia». Bene o male tutti si stanno attrezzando, soprattutto quelle realtà conosciute per i loro capi anti-freddo e a prova di temperature artiche, che devono fare i conti con una colonnina di mercurio in sensibile rialzo. «La parte di collezione che tradizionalmente qualifica Parajumpers come brand tra i consumatori, ossia quella tecnica e performante - spiega Cristina Paulon, head of marketing - è stata affiancata da mezzi pesi e altre categorie merceologiche come overshirt, imbottiti leggeri e giacche sfoderate anche per l’inverno». Unity si
Per adattarsi alle nuove condizioni climatiche alcuni player hanno creato delle collezioni ad hoc
dichiara «in prima linea» sul fronte dell’adattamento all’evoluzione metereologica, visto che ha messo a punto un tessuto a maglia ingegnerizzato, ossia lavorato come si trattasse di knitwear. «A seconda della membrana con cui lo accoppi - informa il senior manager Leo Padulo - presenta pesi diversi, per adattarsi agli sbalzi termici». Qualche azienda si è presa particolarmente a cuore questa sfida generata dal climate change e ha giocato d’attacco, lanciando addirittura una collezione ad hoc. È il caso di Paul & Shark con Club Riviera: «È innegabile che gli inverni stanno diventando progressivamente più caldi – riflette il ceo Andrea Dini -. Le estati
Unity L'azienda ha messo a punto un tessuto a maglia ingegnerizzato, lavorato come il knitwear, perfetto per adattarsi agli sbalzi termici
sono lunghissime e la stagione fredda arriva sempre più in là, con un posticipo ormai di due mesi. Siamo dunque partiti da qui. Cercare di soddisfare le nuove esigenze di questo lasso di tempo, tra settembre e novembre, prima che arrivi il vero freddo». Come? Con una collezione composta da una cinquantina di capi, con giacche in seta, camicie in lino pesante, T-shirt in cotone ricercato: una serie di proposte che sarà distribuita nel network distributivo del brand e che punta al successo soprattutto nei negozi delle località turistiche, che si avvantaggiano di una “bella stagione” sempre più lunga. Anche Peserico, dopo un'indagine condotta tra i suoi clienti, ha preso atto che sul mercato non esisteva un'offerta specifica in grado di rispondere al cambiamento climatico e ha lanciato Transition, nuova label appena presentata
Paul & Shark
Si chiama
Club Riviera la collezione del brand dello squalo, con giacche in seta, camicie in lino pesante e tanta maglieria
Suprema
Dalla scorsa
stagione il brand ha incrementato le proposte con "pesi ponte": capispalla in lana sfoderati, perfetti per la stagionalità ibrida
al trade. «Si tratta - spiega il ceo Riccardo Peruffo - di circa 300 pezzi dai pesi intermedi con la maglieria che fa la parte del leone. Un set di prodotti in consegna nei negozi a fine maggio-giugno e poi tra novembre e dicembre, realizzati con lane superleggere, tanto popeline, cashmere 100%, anche in mischia con materiali tecnici». La campagna vendite ha dato risultati ottimi, confermando che la strada era quella giusta: «La collezione ha generato il 25% del fatturato - informa l’imprenditore -. Certo, si tratta di un assortimento adatto per le realtà distributive più strutturate, come i department store, ma in ogni caso questo è il futuro. Abbiamo offerto un altro argomento di vendita con prodotti transtagionali, a prezzo pieno, non scontato. Un modo per salvaguardare la marginalità dei negozi».
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L’ESTERO NEL MIRINO
Lubiam: adesso tocca alla donna
Forte di un +25% nel 2023, oltre i 50 milioni di euro, l’azienda apre un nuovo capitolo con il womenswear. Si parte con pantaloni e capispalla, pezzo forte della casa di moda
Il 2024 rappresenta un anno spartiacque per Lubiam, una storia iniziata nel 1911 da Luigi Bianchi e culminata in un’azienda votata al menswear, che vende le proprie creazioni sartoriali a marchio Luigi Bianchi e L.B.M. 1911 (oltre alla licenza Gabriele Pasini) in tutto il mondo. La quarta generazione della famiglia è infatti pronta al primo test di una collezione donna a marchio L.B.M. 1911. Una sorta di piccola rivoluzione per la realtà mantovana, come racconta l’a.d. e responsabile ufficio stile Giovanni Bianchi
L’avventura è pronta per iniziare. Quando debutterà il womenswear?
Uscirà nel corso del 2024. Ricalcherà lo stile L.B.M. e sarà focalizzata sulla giacca, che è quello che sappiamo fare meglio. Inizieremo con capispalla e pantaloni e dall’inverno introdurremo i cappotti. Per la prima stagione saranno una cinquantina di pezzi. Vogliamo prima capire se siamo sulla strada giusta. Non intendiamo fare il passo più lungo della gamba e bruciarci questa occasione. La donna non l’abbiamo mai affrontata e vogliamo farla bene.
In quali canali sarà distribuita?
Partiamo con l’Italia e qualche mercato estero, in fase di valutazione. In primis sarà disponibile nei negozi partner che vendono sia uomo che donna, quelli che da anni ci chiedono di diversificare l’offerta con una collezione femminile. Ma poi contiamo di approcciare anche una rete commerciale diversa e forse questo sarà lo step più complesso, perché ci troveremo davanti a tempi e modi di acquisto differenti. Sarà quella la vera sfida.
Un’altra freccia all’arco per il vostro business… Quale l’outlook per il 2024? Siamo ottimisti. Abbiamo chiuso il 2023 con una crescita del 25% (oltre i 50 milioni di euro di fatturato, ndr) e siamo convinti di poter fare bene anche nel 2024 perché venia-
mo da una stagione estiva chiusa in maniera molto positiva e da un autunno-inverno dove le pre-vendite ci hanno dato soddisfazione. La percentuale di crescita dipenderà anche dal contesto geopolitico. Sappiamo che alcuni mercati sono in difficoltà. Dipenderà dall’andamento dei prossimi mesi.
I mercati che si difendono meglio?
Su quali state scommettendo? Italia ed estero sono alla pari per noi. Nel Belpaese le nostre bandierine le abbiamo, al momento stiamo puntando su aree nuove, come gli Emirati Arabi. Stiamo rafforzando il Nord America e il Canada e il Nord Europa, un territorio importante, soprattutto perché è sempre pronto alle
IN VETRINA ALLA FASHION WEEK
L’art-à-porter di Avant Toi debutta nel denim
Dici Avant Toi e pensi a una maglieria artistica, dipinta a mano con pennello o aerografo: capi esclusivi, per i palati più raffinati. Una collezione che, al traguardo del suo 30esimo anniversario, sperimenta nuovi territori e per la prima volta fa un’incursione nel denim. «In occasione della fashion weekanticipa Fiorella Ghignone del brand con il fratello Mirko e designer - presentiamo una capsule di sei capi che mescolano in modo originale il knitwear con il denim, originario di Genova come il brand Avant Toi. Oltre a tre inedite maglie ci sono una shacket (shirt+jacket), un
1. Lo stile L.B.M.
1911 per la SS2024.
2. Giovanni Bianchi, amministratore delegato e responsabilie ufficio stile dell’azienda mantovana
novità. Meno performanti il Centro Europa e la Germania, buona la risposta della Spagna. Quanto all’Italia, dove contiamo 900 clienti su un totale di 1.800, si difende sempre. I buyer esteri vengono con un budget, mentre gli italiani si innamorano del prodotto, comprano di pancia. Saperli emozionare è fondamentale.
Lo sbarco nel retail è nei vostri programmi?
L’idea c’è. E c’è anche l’assortimento, ormai abbastanza completo per essere all’altezza di un monomarca. Vogliamo però fare questo passo con molta attenzione. Oggi il nostro patrimonio sono i nostri negozianti, con cui abbiamo una relazione da 60-70 anni. Discorso diverso è per alcuni mercati, come gli Emirati Arabi, dove la formula retail è pressoché una tappa obbligata. Se decideremo di fare questo passo, inizieremo prima da lì.
Siete neofiti anche sul fronte online. Come va il vostro e-shop?
L’abbiamo lanciato due anni fa. Incide ancora poco sul fatturato, anche se nell’ultimo anno il business è raddoppiato. Vendiamo in tutto il mondo. Anche per noi sta diventando un canale importante.
giubbino e uno spolverino, naturalmente tutti dipinti a mano». La collezione, presentata a Milano presso la showroom aziendale in via Carlo Botta e al White , farà successivamente tappa a New York, Parigi e Shanghai, «piazza strategica di un mercato nel quale stiamo crescendo». Oltre alla Cina, sotto i riflettori c’è anche il Giappone, dove è stata sottoscritta una partnership commerciale con un’agenzia di rappresentanza «per incrementare la presenza in questo importante mercato». Intanto il brand si prepara a festeggiare i suoi primi 30 anni, anche se le modalità sono ancora top secret: «Lo celebreremo in grande stile, come quello di Avant Toi».
54 MERCATI MADE IN ITALY
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DI ANGELA TOVAZZI
NELL’ANNO DELLE PRESIDENZIALI
Investimenti a stelle e strisce Il sentiment di aziende e analisti
Stati Uniti: perché vale la pena di provarci
Sul 2024 gravano molte incognite, dal taglio dei tassi alle presidenziali, e ipotizzare l’andamento dei consumi delle famiglie statunitensi risulta complesso. Ma la moda europea ha deciso di scommetterci, dalla East alla West Coast
DI ELISABETTA FABBRI E ANGELA TOVAZZI
Il 2023 è stato un anno da dimenticare per i maggiori esportatori di abbigliamento negli Stati Uniti. Il valore è sceso del 22% a 77,84 miliardi di dollari, nei dati di Otexa, l’Ufficio del Dipartimento Usa del Commercio per il settore tessile. Un calo così accentuato non si registrava dai tempi della pandemia. Tra i principali partner commerciali, la Cina ha accusato un -10,8% rispetto al 2022, il Bangladesh un -25%, il Vietnam un -22,8% e l’India un -21,4%. L’Unione europea non è ai primi posti tra i fornitori di moda, ma nel 2023 ha visto la sua quota di vendite negli States salire del 2,4% a 3 miliardi di dollari. Ancora meglio ha fatto l’Italia, che ha battuto la crescita europea con un +3,5%, contribuendo al totale con 2,1 miliardi. A essere apprezzato è stato soprattutto il mondo “wool apparel”, che nel 2023 ha raggiunto i 765 milioni di dollari di importazioni dal nostro Paese, in aumento del 13,6% sul
Nel 2023 le importazioni di abbigliamento dall’Italia sono cresciute del 3,5%
2022. Fa ben sperare il fatto che l’import statunitensi di abbigliamento si sia nel complesso ripreso a dicembre, con un +4,2% rispetto al mese precedente, sostenuto dallo shopping per le festività natalizie e dal miglioramento dell’economia. Inoltre nell’ultimo mese dell’anno l’indice di fiducia dei consumatori è aumentato (vedi box a pag.58), suggerendo una mag-
giore propensione alla spesa delle famiglie. Non si sa ancora se l’import potrà proseguire la corsa a un ritmo analogo a quello di dicembre, però gli States meritano l’attenzione dei marchi europei e del made in Italy. Anche perché, secondo una previsione del Fondo Monetario Internazionale di gennaio, si tratta del Paese con la crescita maggiore del Pil nel 2024, tra le economie avanzate (+2,1%). Forse non è un caso che vari gruppi del lusso europei abbiano recentemente incluso gli States nelle loro strategie d’espansione, con investi-
menti miliardari che si stanno concentrando soprattutto sull’iconica e ambitissima Fifth Avenue a New York. A partire dai due principali big rivali Kering e Lvmh, protagonisti di esborsi “monster”: la casa madre di Gucci, Saint Laurent e Balenciaga ha annunciato di aver acquistato per 963 milioni di dollari l’immobile ai civici 715-717, mentre, stando ai rumour, il patron di Lvmh Bernard Arnault avrebbe messo gli occhi sull’edificio all’angolo con la 58esima Strada, che attualmente è parzialmente occupato dal punto vendita dedicato all’uomo di Bergdorf Goodman. Movimenti sono in corso anche al 724 della celebre via dello shopping, dove il gruppo Prada avrebbe sborsato 425 milioni per accaparrarsi l’intero building di 12 piani che ospita il suo flagship. A Soho, altra shopping destination per la moda luxury, è da poco sbarcato Valentino, mentre Gucci ha recentemente svelato il look rinnovato dello spazio in Wooster street. Nella Grande Mela inizierà a breve anche la
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MERCATI OLTREOCEANO
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1. La Quinta Strada, tempio dello shopping a New York 2. Saks Fifth Avenue, fondata nel 1924, è una delle principali destinazioni del lusso nella Grande Mela
ceo dell’azienda veneta, Leo Scordo - per sviluppare ulteriormente quest’area». Il fatto che quest’anno ci siano le presidenziali non preoccupa l’azienda, perché «gli Stati Uniti hanno una propensione al consumo piuttosto elevata, che non riteniamo possa cambiare in modo significativo in funzione dei risultati elettorali». Attualmente il brand conta alcune decine di independent store e una partnership di lunga data con Saks Fifth Avenue, in particolare sulla collezione “Evening-Cerimonia”. Ora l’obiettivo, grazie anche alla partecipazione alla fiera Chicago Collective e sull’attivazione di attività Pr, è «cre-
New York, Los Angeles e Miami sono tra le principali destinazioni per gli opening dei brand italiani
scere ulteriormente con i principali department store». L’assortimento, come sottolinea Scordo, ha tutte le carte in regola per conquistare nuove posizioni, senza dover ricorrere ad alcun “aggiustamento”: «Nelle nostre collezioni, non solo per gli Usa - specifica - alcune categorie sono già settate su taglie grandi, quelle predilette dal mercato nord-americano. Ciò che conta per soddisfare la domanda è piuttosto il coordinamento dell’offerta nel guardaroba e un progetto di brand molto chiaro…la cosiddetta “reason why”». Due in particolare gli asset che faranno da traino per le vendite: i best seller “Never Out of Stock”, i pezzi iconici riassortiti in velocità, grazie
LE PREVISIONI DEGLI ANALISTI Accelerazione dei consumi? Più probabile verso la seconda metà del 2024
Dagli Stati Uniti arrivano segnali che la fiducia dei consumatori è migliorata a dicembre a 110,7 (da 101 a novembre), la crescita delle vendite dei grandi magazzini su base annua ha toccato il minimo durante l’estate e il Mastercard Spending Pulse ha riportato un +2,4% su base annua della spesa per l’abbigliamento nelle festività natalizie, oltre la stima iniziale di un +1%. Tenendo conto di queste indicazioni Paola Carboni, analista del lusso di Equita prospetta per il 2024 uno sce nario di piccola ripresa della spesa americana, che sta già mostrando segni di stabilizzazione. «Tuttavia - precisa l’analista - i vertici di Macy’s e Nordstrom (vedi anche a pag. 31), nei loro commenti ai risultati del terzo trimestre, a metà novembre hanno parlato di una situazione ancora di consumi cauti, non solo per via dell’aumento dei tassi di interesse e dell’ondata inflazionistica, ma anche a causa della ripresa, in ottobre, del rimborso dei prestiti studenteschi, dopo la pausa per la pandemia». «Perciò - aggiunge Carboni - ci aspettiamo l’eventuale ripresa più spostata verso il secondo semestre, che potrebbe essere aiutata anche da una diminuzione dei tassi di interesse. Il rischio principale, a questo proposito, è una possibile incertezza in vista delle elezioni presidenziali di novembre».
prestiti con carta di credito». Ciascuna di queste spinte dovrebbe attenuarsi nel 2024, il che induce a temere una frenata della crescita, se non una recessione. Gli esperti di Goldman Sachs non sono così pessimisti: prevedono un rallentamento della spesa per consumi dal +2,7% del quarto trimestre 2023 al +1,9% dello stesso periodo del 2024. Sulla base delle loro prospettive c’è solo una probabilità del 15% di recessione nei 12 mesi, contro il 48% del consensus degli economisti di Bloomberg «Prevediamo che il flusso di cassa discrezionale (il denaro che i consumatori hanno a disposizione da risparmiare o spendere in beni discrezionali) tornerà a salire vicino al 4% nel 2024. Se a ciò si aggiunge un tasso di risparmio che dovrebbe salire, rispetto ai livelli del terzo trimestre del 2023, emerge uno scenario in cui la crescita della spesa dei consumatori potrebbe avvicinarsi al 5% nel 2024». Per quanto riguarda la moda, dopo un 2023 difficile, caratterizzato da un consumatore esigente, dal destoccaggio nel wholesale e da un affievolimento dei prezzi, gli esperti di Goldman Sachs vedono rosa: «Sebbene le tendenze a breve termine siano probabilmente ancora volatili, crediamo in una crescita più sostenuta del flusso di cassa dei consumatori, in livelli di scorte più sani e in miglioramenti nei costi».
►Secondo gli analisti di Unicredit, gli Usa dovrebbero mostrare un rallentamento della crescita del Pil dal 2,5% circa del 2023 all’1%, con i consumi privati che dovrebbero risentire della minore disponibilità di risparmi e di condizioni di finanziamento restrittive. Nel 2024 è inoltre possibile un inasprimento fiscale, dopo il periodo espansivo cominciato con la pandemia. «Sarebbe una decisione insolita in un anno di elezioni, ma rifletterebbe la realtà di un congresso diviso», dicono gli economisti dell’istituto di credito.
►Goldman Sachs mantiene una visione abbastanza ottimistica dei consumi negli States, dopo un 2023 relativamente robusto, accentuato dalle vendite natalizie, compreso un cyber Monday da record. «La spesa - spiegano gli analisti - è stata alimentata da un incremento del reddito personale disponibile, ai massimi livelli da diversi decenni e guidato principalmente dall’aumento dei redditi da lavoro, dalla riduzione dell’inflazione nelle spese essenziali e dall’aumento dei
► Per gli analisti di Bernstein il 2024 si preannuncia come un anno a due metà, per la spesa discrezionale dei consumatori statunitensi, a causa di un mix di tendenze. Comunque, entrando nel nuovo anno, si nota che continua a rivelarsi resiliente come nel 2023, caratterizzato da una progressione nel canale retail durante tutto l’anno e da incrementi in quella per abbigliamento e accessori nella maggior parte dell’anno (vedi grafico nella pagina precedente). Nella prima metà deI 2024 gli analisti ipotizzano che i consumatori a medio reddito resteranno sotto pressione, a causa dell’esaurimento dei risparmi accumulati con la pandemia, del debito delle carte di credito ad alto tasso di interesse, del rimborso dei prestiti studenteschi e dell’assenza di catalizzatori di spesa. «Questo - spiegano - porta a pensare che gli acquisti si incentreranno soprattutto su prodotti più convenienti, venduti da discount e negozi off-price, per altri due trimestri, a scapito dei grandi magazzini e dei marchi mainstream verticalizzati». Nel secondo semestre è invece possibile un rally, di cui dovrebbero beneficiare sia i brand della moda che le aziende di abbigliamento sportivo che, stando a sondaggi interni e di Euromonitor, continuano a sottrarre quote alla moda.
58 MERCATI OLTREOCEANO
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1. La prima boutique di Genny in terra americana, recentemente aperta a Los Angeles 2. Lo store di Eleventy, appena inaugurato all’interno dei Bal Harbour Shops a Miami
nuova avventura nel canale fisico dell’etailer LuisaViaRoma, che dopo il negozio storico di Firenze e lo spazio Experimental, sempre nel capoluogo toscano, questa primavera aprirà una location a Manhattan. Il ceo Tommaso Maria Andorlini anticipa che sarà «uno spazio immersivo, un riflesso del nostro universo negli Stati Uniti, coinvolgente e stimolante, in grado di tradurre i valori e l’offerta di LVR per un pubblico locale e internazionale». Un investimento che arriva in un momento chiave per il player (dal 2021 controllato per il 40% da Style Capital), che negli Usa ha archiviato il 2023 con una crescita dei nuovi clienti pari al +45%. «L’incremento dei ricavi - precisa il manager - è stato del 10%, a causa di un Aov (valore medio dell’ordine, ndr) in contrazione. Si tratta di una dinamica piuttosto standard nel caso di primo ordine da nuovo cliente, tipicamente più basso rispetto alla media». Le aspettative sono comunque alte riguardo al territorio a stelle e strisce, che per l’insegna rappresenta il secondo mercato online più grande dopo l’Italia, capace di generare il 20% del giro d’affari: «Forti del nuovo opening - commenta Andorlini - nel 2024 prevediamo un aumento del fattura-
L’Fmi stima un +2,1% per il Pil Usa 2024
Negli States gli acquisti di moda sono saliti per quasi tutto il 2023
to del 15-20%, con un’acquisizione clienti in linea con il 2023». «Qui siamo già conosciuti tra i consumatori del lusso - aggiunge - e siamo convinti che l’apertura dello store fisico a New York (al civico 1 di Bond street, ndr) possa rappresentare un’opportunità per ottenere un’espansione significativa dei ricavi». A circa 5mila chilometri di distanza da New York, sulla West Coast, precisamente a Los Angeles, un altro marchio tricolore ha iniziato a mettere nuove pedine sullo scacchiere statunitense. A dieci anni dalla nomina di Sara Cavazza Facchini a direttrice creativa, Genny lo scorso novembre ha aperto il suo primo monomarca negli Usa, 250 metri quadri di superficie espositiva sulla Brighton Way a Beverly Hills. «Questo Paese ci chiedeva di essere presenti con un luogo fisico dedicato, che potesse esprimere tutto il valore del brand - spiega la stilista -. La scelta è caduta su L.A. perché è una città internazionale
e dall’identità glamour, molto affine al mondo Genny. Ogni nostra collezione è un’ode alla femminilità, con una buona parte di abiti preziosi, adatti a occasioni speciali e red carpet. Dunque quale migliore piazza per Genny, se non Los Angeles e la California?». Guarda caso, all’evento di apertura lo Chateau Marmont di West Hollywood brulicava di star del grande schermo e il link con il mondo vip rappresenta una delle strategie clou anche per i mesi a venire: «Il riscontro è stato molto positivo, sia a livello di vendite che di intermediazioni con celebrity e talent, tanto che stiamo già pensando a nuovi progetti, magari un secondo monomarca», informa Cavazza Facchini, pensando a Florida e Texas come possibili target. Gli Usa rappresentano un key market anche per il menswear made in Italy. Lo conferma Pal Zileri, che nel 2023 ha siglato una partnership con Icot Agency, «il partner giusto - spiega il
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1 2 Fonte: Fmi-World Economic Outlook
Fonte: Census Bureau, Bernstein analysis
-5.0% 0.0% 5.0% 10.0% 15.0% 20.0% 25.0% 30.0% Jan-2022 Mar-2022 May-2022 Jul-2022 Sep-2022 Nov-2022 Jan-2023 Mar-2023 May-2023 Jul-2023 Sep-2023 Nov-2023 Advance Monthly Sales (Seasonally Adjusted) - YoY % Change Clothing and Clothing Accessories Retail ex. Auto and Gas
La moda italiana agli Emmy Awards 2024
Da Rachel Brosnahan in Versace a Juliette Lewis in Moschino, fino a Simona Tabasco, che ha scelto Marni
anche a un magazzino in loco, e il “Su misura”, «inteso - spiega Scordo - sia come servizio da offrire al wholesale, sia come “pinnacle” di eccellenza per i nostri clienti finali». I quali non disdegnano di comprare online, anche quando si tratta di moda sartoriale, che deve cadere a pennello: «L’ecommerce ci sta dando discrete soddisfazioni, tenuto conto che non siamo un marchio di accessori o calzature», conclude il ceo, secondo il quale nel 2024 «un peso tra il 5% e l’8% dell’online sarà più che soddisfacente». A parlare in termini entusiastici degli States è Marco Baldassari, co-fondatore e direttore creativo della collezione uomo di Eleventy, 65 milioni di fatturato nel 2023 e la previsione di toccare quota 90 milioni nel 2024. Appena tornato da Miami, dove è stata recentemente aperta una boutique all’interno del Bal Harbour Shops, l’imprenditore parla di «un 2023 straordinario», con risultati «sopra le aspettative». Il territorio americano genera il
1. Lo store Palm Angels aperto in ottobre a SoHo 2. Alcune proposte del menswear Pal Zileri, che negli Usa ha recentemente siglato un partnership con Icot Agency 3. L’insegna di Givenchy arrivata a Los Angeles in luglio
30% dei ricavi dell’azienda e per l’anno in corso è prevista un’impennata del 35%: «Il consumatore statunitense ha un potere di spesa enorme, sborsa cifre importanti come comprare un caffè - commenta l’imprenditore -. Qui facciamo numeri decisamente interessanti e siamo solo all’inizio». Con all’attivo cinque monomarca (oltre a Miami, in Madison Avenue, a Beverly Hills, Palm Beach e Greenwich) e una cinquantina di door, tra cui i principali department store, Eleventy proseguirà l’avventura in terra americana anche nel 2024, puntando a centrare l’obiettivo dei «duetre opening all’anno». Nel business plan figurano piazze strategiche come Aspen, Palo Alto, Las Vegas, Chicago. «Sono tutte location dove vorremmo portare la nostra insegna - conclude Baldassari - ma l’apertura non è automatica. C’è una lunga lista d’attesa. Certo è che, appena scatterà il semaforo verde, noi saremo pronti ad accelerare».
DALL’NRF 2024 RETAIL’S SHOW Crescita più lenta, ma niente recessione
«Penso che l’economia crescerà in modo relativamente lento quest’anno, più lentamente di quanto non abbia fatto finora, ma non credo in una recessione. Non ci sarà bisogno di fare il pieno di scatolette di tonno e andare in cantina». Così Steve Liesman, giornalista di economia della Cnbc, intervenuto all’Nrf 2024: Retail’s Big Show di gennaio. Grafici alla mano, l’esperto ha spiegato perché molti ritenevano probabile una recessione nel 2023, invece «è stato un periodo davvero straordinario». L’inflazione è diminuita e la crescita è stata superiore al potenziale. «I consumatori e i retailer - ha detto - sono quelli che ci hanno fatto andare avanti. Hanno trovato il modo di mantenere il livello di spesa corretto, nonostante l’aumento dei prezzi. Questo ha avuto molto a che fare con l’assistenza pubblica, l’aumento dei salari e con un tasso di disoccupazione molto basso». Nei decenni passati c’è stata anche un’inflazione a due cifre, Un grafico mostra un picco più recente «e la ragione per cui la Federal Reserve potrebbe o meno tagliare i tassi nei prossimi mesi - ha spiegato Liesmanè che ha paura del picco numero due». Quando li aumenta segue la recessione, per questo gli economisti erano abbastanza sicuri che sarebbe arrivata: «Quest’anno, invece, si prevede che i tassi d’interesse scenderanno». Liesman si è anche soffermato sul tasso di disoccupazione, che non ha reagito all’aumento dei tassi di interesse, come avviene storicamente. «Potrebbe ancora accadere - ha detto -. Ma ci sono ragioni per pensare che non sia così». «La pandemia ha ridotto la forza lavoro per varie ragioni, tra cui l’accelerazione dei pensionamenti e i decessi - ha spiegato l’esperto -. Ora la forza lavoro sta tornando, ma non ai livelli precedenti». Effetti negativi potrebbero arrivare da un «accaparramento di manodopera oltre il fabbisogno». Potenzialmente potrebbe portare a un aumento più rapido della disoccupazione, in caso di rallentamento.
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IL FUTURO DEL RETAIL
Come cambia lo shopping outgoing La conoscenza guida la strategia
Turisti cinesi in Italia:
il vero business è soddisfare le aspettative di una domanda “superiore”
Nel 2024 (per i più cauti nel 2025) gli arrivi dal Dragone torneranno ai livelli pre-Covid, condizionando il panorama dello shopping. Sia i retailer che i brand, anche quelli più piccoli, devono saper sfruttare le opportunità offerte dai flussi turistici. La generazione dei consumatori new affluent chiede qualità e nuove esperienze, in linea però con la cultura di provenienza.
DI ANDREA BIGOZZI
La Cina torna in mezzo a noi. Perché ben presto i turisti con gli occhi a mandorla si riverseranno nuovamente su Milano e, a ruota, su tutte le città d’arte e le località resort d’Italia. Il desiderio di viaggiare (e fare shopping) da parte del consumatore cinese ha già condizionato il 2023 e condizionerà in misura ancor maggiore l’anno in corso. Per il settore commerciale-retail italiano il nuovo outgoing sarà infatti, con ogni probabilità, uno degli eventi più importanti del 2024. Secondo il recente “China Luxury Report” di Bain & Company, l’anno scorso la spesa degli shopper cinesi in Europa è tornata al 40% del livello raggiunto nel 2019, recuperando sensibilmente sul biennio precedente, che aveva visto uno stradominio dei consumi domestici (70-90% della spesa totale). Il quadro è positivo anche secondo i dati di Global Blue, principale operatore tax free europeo, che certificano la ripresa in corso: con una quota dell’11%, i cinesi sono ora la seconda nazionalità dopo gli americani (21%) e si collocano prima degli arabi (10%) per contribuzione al totale della spesa tax free in Italia. Possiamo dunque
ritenere che il 2023 abbia segnato l’avvio per il turismo cinese overseas di una traiettoria di crescita destinata a rafforzarsi ulteriormente nel corso del 2024, visto che ai viaggi d’affari, che oggi sono la maggior parte, si aggiungeranno anche quelli di piacere. Grazie all’aumento della capacità aerea proveniente dalla Cina (e con il conseguente calo delle tariffe), anche la classe
68%
Il tasso di turisti cinesi per cui lo shopping è la prima ragione di viaggio in Italia
media riprenderà infatti a esplorare l’Europa, Italia in testa. «Il turista dalla Repubblica Popolare sta tornando a essere un punto di riferimento per lo shopping in Italia - conferma Mariella Elia, chief financial officer di Rinascente - anche se non ci aspettiamo ancora gli stessi flussi del 2019. Nel 2024 prevediamo una cre-
In occasione del Capodanno Cinese, Valentino ha presentato una collezione di capi nella tonalità Rosso Valentino, che celebra l’iconico colore della maison e la tradizione culturale del Paese del Drago
Shopping cinese all’estero in ripresa, ma non ancora ai livelli pre Covid
Nel 2023 la spesa dei turisti cinesi in Europa ha recuperato: è al 40% dei livelli raggiunti nel 2019
~ 40% in Europa
~ 65% in Asia
scita delle presenze cinesi nei nostri punti vendita del 14% sul già positivo 2023, con picchi del +30% attesi tra settembre e ottobre, in concomitanza della Golden Week. Ma è solo con il 2025 che tutto si ribilancerà e finalmente recupereremo i livelli pre-Covid». La tendenza al rialzo è già realtà anche per il Fidenza Village, parte di Bicester Village Collection, gruppo di nove cittadelle dello shopping in Europa e due in Cina, di proprietà di Value Retail: si prevede che la crescita delle presenze cinesi registrata negli ultimi mesi proseguirà per tutta la seconda metà dell’anno. «Nel 2019 circa un quarto delle vendite tax free a Fidenza Village provenivano dalla Cina. A partire dalla seconda metà del 2023, e soprattutto negli ultimi mesi, la Cina ha iniziato a colmare significativamente il divario, avvicinandosi ai livelli del 2019 - afferma il business director Edoardo Vit-
60 MERCATI CHINA RESTART
Bain & Company su dati Global Blue
Fonte:
1. La campagna Prada per il Capodanno CInese 2024 è ambientata a Shanghai nella storica residenza Rong Zhai, di proprietà del brand
2. Turisti cinesi al Fidenza Village: nel 2019: all’interno della struttura circa un quarto delle vendite tax free proveniva dalla Cina
tucci -. Siamo fiduciosi che il 2024 segnerà una forte ripresa del turismo cinese in Italia e in Europa, visto che, secondo le stime della European Travel Commission, quest’anno i viaggi outbound dalla Cina dovrebbero raggiungere o addirittura superare il livello del 2019, toccando i 110 milioni in totale». In questo scenario di ripresa, tuttavia, non conta tanto la data esatta in cui i numeri delle presenze cinesi torneranno ai livelli pre-pandemia, quanto se brand e retailer siano preparati ad affrontare i futuri sviluppi, anche perché dopo i tre anni di pandemia la platea di consumatori cinesi è molto cambiata rispetto al pre-Covid. L’immaginario del turista cinese in Italia è ancora legato ad alcuni cliché, a partire da quello delle grandi comitive, che si spostano da una città d’arte all’altra in pochi giorni. Le analisi raccontano di una realtà in sensibile evoluzione. «Il turista cinese che fa shopping nel Quadrilatero, non solo da oggi, è indicativamente più giovane, con una capacità di spesa più elevata rispetto al passato e non si muove più all’interno del tipico “gruppo” accompagnato da un tour operator», racconta Guglielmo Miani, presidente di MonteNapoleone District, l’associazio-
ne che riunisce oltre 120 global luxury brand attivi nelle vie di Montenapoleone, Sant’Andrea, Verri, Santo Spirito, Gesù, Bagutta e San Pietro all’Orto. Parole confermate dai dati di Global Blue, secondo i quali il nuovo profilo dello shopper cinese è sempre più giovane: il 69% è under 44, ossia appartiene al target dei Millennial e Gen Z. L’82% degli acquisti riguarda, inoltre, la categoria “fashion & clothing”, con uno scontrino medio lievitato dai 1.135 euro del 2019 agli attuali 1.473 euro (+30%). Dati, questi, che non sorprendono Gianluca Borghi, ceo di 10 Corso Como. Dal suo osservatorio privilegiato (il 70% della clientela del concept store milanese è fatta di turisti internazionali), il manager non solo evidenzia una crescita dei flussi («Da un paio di mesi registriamo una presenza corposa di visitatori cinesi che arrivano in piccoli gruppi di due-quattro-sei persone»), ma anche sottolinea un assioma che identifica i nuovi traveller: più si è giovani e più si viaggia soli, più si ricercano servizio ed experience straordinarie. Secondo il manager, per sfruttare al meglio le opportunità commerciali legate alle presenze in arrivo dal Dragone un’attività commerciale deve innanzitutto investire nel servizio: «Abbiamo potenziato la presenza di personale madrelingua cinese nel nostro team e investiremo in digitalizzazione», dice, anche se a fare la differenza resta l’offerta. «Da 10 Corso Como - chiarisce Borghi - si gusta l’unicità del vivere italiano nelle sue più diverse sfaccettature, dal food alla moda, dal design alla cultura ed è questo che cercano i turisti cinesi: non semplicemente una shopping experience, ma un percorso di crescita personale, che li arricchisce e, soprattutto, li spinge a tornare». È d’accordo Fabiana Alcaino, managing partner digital & performance lead di Retex, MarTech company che promuove e accelera le connessioni tra brand e stakeholder, con un focus sul retail: «Che si
Giovani e amanti della moda: gli shopper cinesi premiano Milano
Under 44
Il 69% della spesa Tax Free Shopping cinese è effettuato da Millennial e Gen Z
€ 1.473 (+30%)
Lo scontrino medio per gli acquisti in fashion & clothing
82%
Abbigliamento e moda sono le categorie più acquistate
44%
dei turisti cinesi preferisce fare shopping nel capoluogo lombardo
tratti di marchi italiani del design, del fashion o del lusso, ma anche di realtà dei settori education e hotellerie - affermaper cogliere l’opportunità di intercettare e soddisfare le esigenze del nuovo turista cinese e divenire realmente “Chinese Friendly” è necessario offrire una dimensione del viaggio diversa: non più semplicemente esperienziale ma trasformativa, ovvero chi visita l’Italia deve avere realmente l’opportunità di riportare a casa propria qualcosa del vivere italiano, avendolo però interiorizzato e fatto proprio». Non è più, quindi, solo la leva del pricing a giocare una partita cruciale sui consumi dei cinesi all’estero, almeno in Europa. Il consumatore della Mainland China che
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Fonte Bain, su dati Global Blue
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Cina-Europa: il gap dei prezzi centrale nel recupero dello shopping overseas
La differenza di prezzo tra i Paesi europei e la Cina (listini aggiornati a dicembre 2023)
Luxury bag (>10K RMB)
Entry luxury bag (<10K RMB)
Shoe
Differenza percentuale del prezzo di listino tra Cina e UE
La differenza di prezzo tra Cina e UE è rimasta simile a quella di dicembre 2022 in tutte le categorie
cerca l’affare non affronta un viaggio a lungo raggio ma vola sull’isola di Hainan, o a Hong Kong e in Giappone, che si sta rivelando popolare, grazie allo yen debole e al suo status di influencer delle tendenze. Nel Vecchio Continente viene alla ricerca dei prodotti iconici delle grandi maison occidentali del lusso, ma anche di una proposta alternativa alla standardizzazione, in grado di fondere cultura e tendenza: è infatti in crescita la percentuale dei visitatori provenienti dal Dragone che si dice interessata ai brand artigianali e anche a scoprire le aziende con produzioni tipiche. «È vero che lo shopper cinese si è evolutoconferma Elia di Rinascente, realtà che con i suoi nove negozi in otto città, tra cui Milano, Roma, Torino, Firenze, Cagliari e Palermo, gode di un monitoraggio attendibile degli spostamenti dei turisti in Italia -. Lo provano l’interesse dimostrato per quel 10/15% della nostra offerta unbranded e legata all’artigianato locale, oltre all’amore per le città d’arte. Il turista cinese fa la tappa più lunga a Milano, poi prosegue per Firenze e in linea generale chiude il suo viaggio in Italia scegliendo tra Roma e Venezia». Una curiosità che non si traduce solo in una maggiore apertura verso brand di nicchia, ma anche nella voglia di scoprire nuove rotte. «Il fatto che i giovani shopper cinesi siano degli sperimentatori - osserva Stefano Saccone, ceo di Woolrich - si rivelerà un’opportunità per l’Italia. Abbiamo showroom a Parigi e a Milano e da questa prima fase di ripartenza del turismo outgoing cinese ci sentiamo di dire che, se in Francia le presenze sono concentrate a Parigi, in Italia c’è un notevole interesse per località autentiche, come la Sicilia, o
naturalistiche, come le Cinque Terre. Questo renderà sempre più strategici gli investimenti retail e distributivi sulle località resort». Un player che sembra aver già capito molto bene le potenzialità del cosiddetto “lonely traveller” cinese - iper-connesso, alla ricerca dell’insolito e della cultura locale - è Fidenza Village, che in questi anni ha investito su due aspetti: migliorare l’esperienza di shopping attraverso la tecnologia e valorizzare l’esperienza del luogo come elemento differenziante. «In Cina - racconta ancora il business director Edoardo Vittucci - la “lifestyle experience” è sempre più popolare, soprattutto tra le generazioni più giovani che entrano nella
I nuovi traveller sono più giovani e amano viaggiare soli, alla ricerca di experience straordinarie
scena turistica. Viaggi culturali, viaggi esperienziali e viaggi benessere sono risultati tra le prime cinque parole chiave di tendenza, quando le persone hanno cercato argomenti relativi ai viaggi sui social media cinesi nel 2023». «Parallelamenteprosegue il manager - lo shopping si è evoluto dal punto di vista tecnologico per soddisfare una clientela più connessa, come dimostra la popolarità degli acquisti effettuati tramite piattaforme come WeChat. Al Fidenza Village offriamo un’esperienza di shopping completa, arricchita da attività autentiche e uniche, assistite da WeChat e dai mini-program di WeChat. Continueremo a potenziarle e faremo lo stesso con
servizi di pagamento digitali offerti al nostro interno». Per essere rilevanti agli occhi dei nuovi turisti cinesi, dunque, servono la scelta curata dell’assortimento, la personalizzazione e la valorizzazione di contenuti, servizi tecnologici e, infine, anche un marketing targettizzato. «Non abbiamo ancora ripreso a comunicare direttamente in Cina - approfondisce Elia di Rinascente -. Per il momento preferiamo puntare su iniziative mirate, entrando in contatto con il potenziale cliente una volta che viaggio in Italia è già stato prenotato. Ma torneremo a farlo, perché ci importa comunicare in maniera diretta con questo pubblico, di altissima qualità». In effetti, i flussi di turisti in crescita spingeranno nei prossimi mesi retailer e brand verso programmi di marketing ad hoc, perché i casi che in passato hanno funzionato sono stati proprio quelli che dimostravano la conoscenza della cultura distintiva cinese. «Come dico sempre ai nostri clienti - precisa Alcainoprima ancora che soluzioni di marketing e tecnologica, noi di Retex offriamo intermediazione culturale. Per noi creare ponti commerciali significa soprattutto creare ponti culturali, costruiti sulla comprensione della cultura dei visitatori e sulla capacità di saperla abbinare all’heritage e ai valori di un brand. Per questo abbiamo deciso di aprire una sede a Shanghai e anche nel nostro staff italiano c’è un’alta componente di professionisti cinese». «La tecnologia, intesa come sistemi digitali di pagamento e di comunicazione o come analisi dei dati - conclude - è fulcro abilitante di un dialogo costante che permette di entrare a far parte della community del nuovo shopper cinese».
62 MERCATI CHINA RESTART
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Fonte: China Luxury Report di Bain & Company
Jewelr y Watch +20–25% +30–40% +20–30% +0–10 % +0–5%
Prezzo di listino in mainland China
Prezzo di listino in Europe
FOCUS SULLE VENDITE DONNA FW23/24
Per i multimarca il gioco si fa duro Ma gli investimenti non si fermano
Giustificare
i prezzi alti: per chi vende le griffe è sempre più difficile
Sono ancora i listini elevati a tenere banco fra i dettaglianti, di fronte a una clientela attenta al valore di quello che acquista, che si tratti di abbigliamento ma anche di accessori. Il lusso, dicono gli intervistati, deve tornare a essere percepito come tale e gli sconti a tappeto nell'online, partiti già a settembre con percentuali di ribasso a doppia cifra, non hanno certo aiutato. Si chiude una stagione penalizzata anche dal fattore clima.
E sulla FW24/25 tutti d'accordo: meglio non strafare con i budget
DI ALESSANDRA BIGOTTA
La Fall-Winter 2023/2024 non è stata una stagione facile per i dettaglianti italiani intervistati da Fashion. Lo si evince già dalla risposta alla domanda più classica, quella sull'andamento delle vendite: il 42% del panel, formato da una quarantina di selezionati retailer, indica una stabilità e oltre un terzo denuncia un calo, anche consistente (non sono pochi gli intervistati che parlano di un -20% e alcuni addirittura segnalano un -30%), mentre il 26% si dice soddisfatto dell'andamento della stagione. Un anno fa lo scenario era differente: quasi la metà del campione aveva chiuso la stagione con un incremento del sell out e solo l'8% era insoddisfatto. Un altro segnale di malessere, o come minimo di estrema cautela, è legato alla domanda sul budget per la FW24/25, che per la stragrande maggioranza dei negozianti non sarà in aumento. Al massimo viene segnalata una stabilità. Diversa la situazione 12 mesi fa, quando il 22% del panel, contro il 3% di questa volta, diceva che avrebbe previsto una crescita. «Come potrei definire la Fall-Winter 2023/2024? Faticosa - commenta da Viareggio Silvia Bini -. Siamo di fronte a un mercato sregolato, dove i prezzi delle
griffe hanno continuato a salire, anche con percentuali importanti, e già da settembre circolavano online saldi anche del 20%. Ci sono troppi sconti, troppa merce in giro e il lusso finisce per non essere più percepito come tale». I saldi, a detta della maggior parte dei dettaglianti, non sono andati benissimo, o al massimo sono stati stabili. «In generale si avverte nella consumatrice poca voglia di spendere - osserva Gino Cuccuini di Cuccuini - e il problema della concorrenza via web, cui accenna Silvia Bini, si fa sentire. A volte penso che i saldi non andrebbero neanche fatti». Secondo Simona Pessina della boutique Paola Pessina a Monza «le promozioni ormai non si fermano neppure nelle feste natalizie e allora come si riesce a far tornare i conti? La matematica non è un'opinio-
24%
SONO CALATE
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MERCATI BUYERS' SURVEY
Come sono andate le VENDITE DONNA dell’autunno-inverno 2023/2024? 42% HANNO MANTENUTO GLI STESSI LIVELLI DI UN ANNO FA 32% SONO CALATE Tutti i dati sono aggiornati al 20 febbraio 2024 26% SONO CRESCIUTE
MAX MARA
LA PAROLA AI RETAILER MULTIBRAND
Qual è stato il marchio BEST SELLER FW23/24 di womenswear?
1 Max Mara
2 Tagliatore, Herno
3 Brunello Cucinelli
Tra gli ACCESSORI femminili chi ha vinto?
1 Autry
2 Saint Laurent
3 Orciani
E il brand che ha venduto meglio ONLINE, sempre per la donna?
1 Max Mara, Moncler
2 Loewe
C’è un marchio donna OLTRE AI NOMI GIÀ AFFERMATI da segnalare?
Niccolò Pasqualetti, Anitroc, Be You, 813, Anfiny, Dusan, Alainpaul e altri
66 MERCATI BUYERS' SURVEY
Autry
Niccolò Pasqualetti
Tagliatore
Elisabetta Qual è la MERCEOLOGIA che ha venduto di più nella donna?* 47 % 42 % 13 % 42 % 13 % 30 % 27 % 58 % Pull e cardigan Cappotti Borse Calzature sportive e sneaker Pantaloni sportivi
e capispalla sportivi
eleganti Pantaloni eleganti Giacche sportive Abiti Calzature classiche Piccoli accessori, bijoux, gioielli Gonne Camicie Felpe 11 % 11 % 8 % 8 % 3% 3% 3% * Risposte multiple
Piumini
Giacche
Moncler
31%
28%
15%
13%
13%
ne». Didi Corbetta di Valtellini incalza: «Vorremmo non dover controllare i prezzi dell'online come se fossimo al mercato rionale. Questa è stata la stagione più difficile dal periodo del Covid». «A prescindere dal periodo di vendita - continua Gino Cuccuini - il nostro compito, molto delicato, è trasmettere alla cliente il valore concreto di quello che potrebbe acquistare. In un mercato che non sta marciando a ritmo sostenuto, ci risulta sempre più difficile convincere le persone a comprare, per esempio, una camicia a 1.500 euro. Non bastano gli eventi o Instagram per spingere le vendite, occorre la sostanza. Per questo nel nostro nuovo negozio di Forte dei Marmi abbiamo scelto di puntare su marchi non particolarmente conosciuti ma con un giusto value for money». «Sono convinta che al lusso farebbe bene ritrovare il suo centro di gravità nel canale fisico - riflette Silvia Bini -. Non si prescinde dall'online, anche se allo stato attuale ci porta anche molti problemi soprattutto legati alla scontistica senza regole, ma la percezione d'acquisto è molto diversa tra i due canali e il baricentro dell'alto di gamma deve essere il fisico». «E' fondamentale adeguare costantemente il negozio alla clientela - interviene Giulio Felloni, titolare di Felloni e presidente di Federazione Moda ItaliaConfcommercio -. Penso che il problema
prezzi, che certamente esiste, possa passare in secondo piano nel momento in cui un addetto alla vendita in carne e ossa fa scoprire alla cliente il capo o l'abbinamento che non aveva neanche preso in considerazione. Solo con il servizio, anche post vendita, e la formazione del personale si può avere una marcia in più, in una fase in cui le persone, e non da oggi, mettono l'abbigliamento in secondo piano rispetto a food e viaggi, senza contare il rischio di filiera, ossia certi fornitori che diventano concorrenti dei negozi multimarca». Dalla nostra Buyers' Survey emerge che, nonostante i rincari, le griffe top di gamma mantengono il loro appeal presso la consumatrice, ma al secondo posto - e non a molta distanza - si posizionano i brand che, in linea con quanto detto finora, dimostrano di valere l'investimento che richiedono. Non a caso, il marchio best seller di questo autunno-inverno è stato Max Mara, seguito a pari merito da Tagliatore ed Herno. Al terzo posto Brunello Cucinelli, decisamente alto a livello di prezzi, ma in linea con il quiet luxury che ancora domina il mercato. Difficile è stato stilare la classifica del gradimento online. C'è ancora Max Mara in pole position, insieme a Moncler. La medaglia d'argento va a Loewe. Decretare il terzo posto è stato praticamente impossibile, perché sembra-
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VALTELLINI - Rovato in Franciacorta
10 CORSO COMO - Milano
AGNETTI - Macerata
MARCOS - Mondovì
NOHA - Brindisi DIVO - Santa Maria a Monte e Pontedera
COSA CERCA la clientela femminile?
GRIFFE TOP DI GAMMA
MARCHI NON GRIFFATI MA DI ALTA QUALITÀ
MARCHI NUOVI
MARCHI DI NICCHIA
MARCHI CONTEMPORARY
QUAL È IL
va che i negozianti si fossero messi d'accordo a segnalare ognuno un nome diverso e anche di target differenti: dai marchi del lusso (tra cui Bottega Veneta, lo stesso Loewe, Prada, Ralph Lauren, Jacquemus e Dolce&Gabbana) a quelli non griffati come Aspesi, Golden Goose e Autry. Specchio di tempi in cui le certezze sono poche e la frammentazione a livello di gusti e di vendite tanta. Su Gucci, sia nel fisico che nel digitale, bisognerà aspettare gli esiti della SS24, stagione di debutto di Sabato De Sarno, sul quale l'atteggiamento più diffuso è «lasciamogli il tempo di dimostrare davvero cosa sa fare, si è accollato un'eredità pesante». A proposito di online, serpeggia l'incertezza sulle sorti di Farfetch dopo l'acquisizione da parte di Coupang, l'Amazon della Corea: nonostante il salvataggio, gli animi non sono del tutto tranquilli. «Si spera che i brand diano ancora fiducia al nuovo proprietario», dice qualcuno, soprattutto dopo che Kering ha deciso di ritirare i suoi marchi dalla piattaforma di e-commerce, tranne nel caso in cui questi ultimi vengano distribuiti da terze parti, e Neiman Marcus ha annunciato che farà a meno del software Farfetch Platform Solutions per rinnovare le vetrine e la app del department store. Altri intervistati temono un passaggio non indolore, dato anche che questo è il primo investi-
mento di Coupang nel settore lusso, e altri ancora ammettono che comunque di alternative forti a Farfetch non ne vedono molte. In attesa del closing dell'operazione, fissato per fine marzo, c'è chi fa notare che «al momento non ci sono particolari sviluppi, anche se va detto che tutto sta procedendo con vendite molto rallentate».
Tornando agli esiti del nostro sondaggio, il fenomeno Autry non si ferma: il marchio di sneaker a prezzi abbordabili, che mentre scriviamo è nel mirino del fondo Style Capital di Roberta Benaglia, non ha problemi a sbaragliare Saint Laurent nella categoria Accessori. Tra i capi best seller, in linea con la vittoria di Max Mara, il cappotto è secondo dopo la maglieria. Ben più in basso si colloca il piumino, mentre tra gli accessori se la cavano bene le borse, ma non senza punti interrogativi. «Anche in questo caso - osserva Gino Cuccuini - i prezzi medi sono elevati, tra i 2.500 e i 3mila euro e non tutte le consumatrici sono disposte a pagarli». Non molte, in generale, le segnalazioni sui nomi indipendenti o "fuori dal coro": tra i più citati Niccolò Pasqualetti, che si è fatto notare all'Lvmh Prize 2024. Una tendenza che si riallaccia a quanto si diceva sugli orientamenti delle clienti. Solo il 15% dei retailer segnala i marchi nuovi come possibile motore del sell out e già alla fashion
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MERCATI BUYERS' SURVEY
LEAM - Roma
NUGNES 1920 - Trani
MARCHESANI UNLIKE - Vasto
COLOGNESE 1882 - Montebelluna
CANEPPELE - Trento
CLAN UPSTAIRS private label - Milano
CHE SENTITE DI PIÙ? * 50% PREZZI ALTI DELLE GRIFFE 28% POCA INNOVAZIONE DA PARTE DEI BRAND 28% CAMBIAMENTO CLIMATICO 25% CONCORRENZA DELL’ONLINE 25% CONSUMATRICI SVOGLIATE 22% ECCESSO DI MAGAZZINO
% CONCORRENZA DI OUTLET E SIMILI * Risposte multiple
PROBLEMA
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GALIANO - Napoli e Sorrento week maschile di gennaio Federico Giglio di Giglio aveva sottolineato, parlando con fashionmagazine.it: «Chi entra in negozio si indirizza in questo momento a brand in grado di dargli sicurezza e, per così dire, serenità. Si sta più attenti a come e per che cosa si spende, quindi non c'è molta voglia di sperimentare». Questo non significa che ai marchi non venga chiesta innovazione: basti guardare uno degli esiti della Buyers' Survey, a proposito dei problemi più sentiti dai negozianti nell'attuale fase di mercato. In vetta come prevedibile, per il 50% del campione, i listini elevati delle griffe. Ma in seconda battuta si lamenta la latitanza di quell'innovazione che è il motore della moda e che, quando si chiede cosa si vorrebbe vedere alla fashion week milanese, porta oltre il 40% a rispondere «qualche effetto wow in più». «A volte non servono grandi stravolgimenti - riflette Simona Pessina di Laura Pessina -. Basta la proporzione di un'aletta di una tasca, il colore di un bottone, un ricamo, un'etichetta o una cu-
citura a fare di un prodotto un brand. Inoltre sarebbero utili piccole collezioni, anche monoprodotto, sempre di qualità». Da non sottovalutare poi il cambiamento climatico: i saldi sono arrivati quando ancora le consumatrici non avevano sentito in stagione il bisogno di rinnovare il guardaroba, per lo meno nei capispalla. Viste queste premesse, la primavera-estate in corso è iniziata per i più con i piedi di piombo. Eppure mai come stavolta sono tanti i retailer che indicano investimenti grandi e piccoli nella loro attività: l'iconico concept store milanese 10 Corso Como, che cambierà pelle entro l'autunno e si prepara a sbarcare a Parigi, è solo la punta dell'iceberg. Alcuni retailer stanno rafforzando o rinnovando l'online (Boutique Cinzia, Divo, Agnetti, Marchesani, Michele Inzerillo), altri mettendo mano allo store fisico, anche potenziando il visual merchandising (Caneppele, Noha, lo stesso Inzerillo che sta ampliando il reparto donna, Moras, Arteni), e altri ancora, come Rouge, pensano ad assumere giovani, incrementando inoltre il budget destinato alla comunicazione e personalizzando il servizio. Colognese 1882 è in procinto di aprire un nuovo punto vendita in Croazia, Minetti intende estendere la gamma merceologica e Marcos rafforzerà le collaborazioni con i brand tramite pop up e spazi dedicati.
RINGRAZIAMO PER IL CONTRIBUTO
Agnetti Boutique Macerata - Andriani Taranto
- Angelo Minetti Casale Monferrato (Al) - Biffi Boutiques Milano, Bergamo - Bini Silvia Viareggio (Lu) - Boutique Cinzia Abano Terme (Pd)
- Caneppele Trento - Clan Upstairs MilanoColognese 1882 Montebelluna (Tv) - Cuccuini Livorno, Pistoia, Massa Carrara, Forte dei Marmi (Lu), Punta Ala (Gr), Porto Cervo (Ss), Madrid - 10 Corso Como Milano - Divo Boutique Santa Maria a Monte e Pontedera (Pi) - Felloni Ferrara
- Filippo Marchesani - Marchesani Unlike
- Elysium Vasto e Cupello (Ch) - Julian Fashion Milano Marittima (Ra), Rimini, San Marino - Galiano Napoli e Sorrento (Na) - Giglio Palermo - Guarini Pescara - La boutique di Adani e Tip Tap di Adani Modena - Laura Pessina Monza (Mb)Leam Roma - L’Incontro Modena - Mantovani San Giovanni Valdarno (Ar) - Marcos Mondovì (Cn) - Marinotti Cortina d’Ampezzo (Bl) - Michele Inzerillo Palermo - Moras Boutique Intimiano (Co) - Noha (Brindisi) - Nugnes 1920 Trani (Bt) - Papillon Corigliano Calabro (Cs) - Porrini Moda e Casa Besozzo (Va) - Progetto Moda Tavagnacco (Ud) - Rouge Bassano del Grappa (Vi) - Tiziana Fausti Bergamo - Tufano Moda Pompei (Na) e Scafati (Sa) - Valtellini Rovato in Franciacorta (Bs)
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Come sarà il vostro BUDGET per la donna della FW24/25?
STABILE
% IN CALO 3
IN CRESCITA
50%
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%
MORAS - Intimiano
LAURA PESSINA - Monza ROUGE - Bassano del Grappa
JULIAN FASHION - M. Marittima, Rimini, S. Marino
IL WOMENSWEAR SECONDO ALESSIA XOCCATO
«Il comfort non basta. Per la donna Xacus servono camicie speciali»
Il progetto womenswear continua a crescere. Dalla FW24/25 introduce la capsule Party Collection e con l’estivo cresce l’offerta total look. «Servizio e performance restano i must dell’azienda, ma con progetti speciali alziamo di livello la distribuzione»
DI ANDREA BIGOZZI
Forte di un 2023 positivo, con un fatturato aggregato cresciuto dell’15% e che sfiora i 35 milioni, Xacus ha intenzione di intraprendere nel corso del 2024 una nuova sfida: consolidare la collezione donna (composta non solo da camicie, ma anche da chemisier, pantaloni, short, bluse), attraverso un posizionamento di mercato differente da quello dell’uomo e che senza tralasciare il tema del servizio e delle performance tipiche del brand, punta maggiormente su creatività e stile. «La linea donna è ancora piccola, ma in costante crescita: ogni campagna vendita si è sempre conclusa con volumi record sull’anno recedente e sono convinta che nel giro di alcune stagioni sarà un supporto fondamentale per Xacus» spiega Alessia Xoccato, illustrando il piano che prevede più livelli di sviluppo per il settore donna. La stilista, che affianca all’attività interna all’azienda di famiglia anche una serie di consulenze per brand made in Italy, ha deciso di non puntare esclusivamente sui codici che hanno reso famoso il marchio Xacus nel mondo. «Per l’uomo i nostri clienti wholesale sono molto attratti dal servizio, quindi vanno forte
1. Alessia Xoccato, responsabile dello stile de donna 2. Un look della nuova capsule Party Collection 3. Una camicia della linea Active 1
i “carryover” e i prodotti “performanti” come la linea Active. Ovviamente anche per la donna lavoriamo sul continuativo e sui tessuti tecnici come l’Active, che però abbiamo femminilizzato nella versione “Sense”, ma allo stesso tempo il mercato della donna è più orientato ad aspetti creativi, contano i trend di stagione, le nuove vestibilità». Per assecondare questo genere di richieste, la linea donna specie nella collezione estiva sta evolvendo verso un total look, mentre nella collezione invernale verrà implementata l’offerta legata alle occasioni speciali. «A partire dalla FW24/25 - fa il punto Xoccato – abbiamo introdotto una Party Collection, composta da capi speciali con ricami e gioielli applicati fatte realizzare in India con varie vestibilità e in tessuti differenti come lo Chambray, l’Oxford e il Popeline». A questa operazione ne seguiranno altre, perché è attraverso capsule e drop speciali focalizzati ogni volta sul un tema diverso si punta ad ampliare il target di consumatrice Xacus. La terza mossa servirà invece allo sviluppo della distribuzione in chiave internazionale. Attualmente il primo mercato è l’Italia «dove finalmente abbiamo messo a punto la giusta rete di agenti, ma la crescita futura arriverà dall’estero che sarà gestito dalla showroom di Milano, ma non solo. «Stiamo cercando dei distributori per i mercati chiave, che per noi sono attualmente Germania, Svezia e Scandinavia e poi valutiamo di tornare a partecipare ai Saloni internazionali, forse partendo da Parigi». 3
PER IL 2024 CRESCITA DOUBLE DIGIT
Per
Herno nuova
sede a Milano, investimenti retail e 175 milioni di euro di ricavi
Per Herno l’impegno a questa edizione della settimana della moda è stato doppio: non solo la presentazione della nuova collezione FW24, ma anche l’inaugurazione della nuova sede milanese di via Vespri Siciliani 9, che prende il posto di quella storica di via Solari. Si tratta di una location di oltre 3mila metri quadrati su più piani, frutto del recupero di una vecchia fabbrica e firmata da De Amicis Architetti, che definire showroom è riduttivo. Spazio Herno, infatti, non ospiterà solo le collezioni del marchio nel periodo della campagna vendita, ma anche gli uffici di comunicazione, marketing e l’ufficio legale, nella prospettiva di ospitare successivamente ulteriori funzioni. Gli headquarters di Herno restano a Lesa, sul lago Maggiore che sarà al centro di nuovi investimenti, ma la forte evoluzione vissuta dal marchio che nel 2023 è salito a quota 175 milioni di euro di fatturato ( +16%), ha portato alla necessità di un ampliamento su Milano, per dare spazio a un’offerta merceologica in costante crescita. L’obiettivo 2024 per Herno è raggiungere i 190 milioni di fatturato, un obiettivo prudente alla luce di una campagna vendita che a livello generale si prospetta complessa, ma che il presidente Claudio Marenzi punta di chiudere in crescita grazie a una collezione sempre più ampia. Anche il retail sarà oggetto di investimenti con aperture di negozi diretti in Giappone, negli Stati Uniti e in Europa. (an.bi)
70 MERCATI MADE IN ITALY
2
PREVISTO UN 2024 IN CRESCITA
Rosso35 dà la priorità al legame con i negozi
Il brand compie 50 anni e guarda avanti. A spingere i conti l’export e l’aumento medio degli ordini. «Riassortimenti in tempi record e niente competizione online, così facciamo felici i clienti»
Festeggia 50 anni di attività praticamente senza aver mai chiuso un bilancio in perdita e progetta nuovi traguardi l’azienda ligure Silky: nata e cresciuta tra i carrugi di Genova sotto la guida di Maria Laura Dellepiane e Gianni Signorelli come produttrice conto terzi di abbigliamento femminile, ha finito per riorganizzare il suo business model presentando sul mercato un proprio marchio total look, Rosso35, affidato alla gestione dei figli Luca e Paola Signorelli. «Era il 2006 - ricorda Luca Signorelli, che ricopre il duplice ruolo di ceo e responsabile creativo - e da allora devo riconoscere che il successo è stato costante: ogni campagna vendita si è conclusa segnando un record rispetto alla precedente. Anche il numero dei clienti è cresciuto negli anni, siamo a quota 900 e ci riteniamo soddisfatti. Ora il nostro
1. Luca Signorelli è a.d. e responsabile dello stile
2. Un look Rosso35 per la PE2024
obiettivo, a livello distributivo, è approfondire il rapporto con i clienti in essere, non aggiungerne di nuovi. Ci sembra questo il modo migliore per affrontate il 2024». Anno che per Rosso35 si preannuncia positivo, alla luce degli ordini raccolti per la SS24: «Ci aspettiamo un piccolo, ma significativo incremento anche sulla campagna vendita invernale, così da portare il fatturato a 16 milioni di euro, dai 15 milioni con cui si è chiuso il 2023», fa il punto Singorelli. Previsioni sostenute in particolare da due aspetti della strategia aziendale: la solida e ampia rete distributiva e lo stretto legame con i clienti multimarca, quasi una partnership. «Lavoriamo con molti mercati - dice Signorelli -. Solo nel 2023 abbiamo spedito in 40 Paesi, che per noi è un record. Riteniamo importante valorizzare ogni area in cui siamo presenti, anche se il focus è sull’Europa e gli Stati Uniti, dove cresciamo rapidamente. Questa nostra spinta all’export ci ha portato a investire sulla logistica, acquistan-
do un nuovo magazzino dedicato». L’altra faccia del successo di Rosso35 è il servizio offerto ai clienti. «Per noi è un aspetto fondamentale», conferma Luca Signorelli, ricordando il successo consolidato di NosNever out of stock, il sistema che consente all’azienda di riassortire i capi in cinquesette giorni. Per Rosso35 anche non avere un sito di e-commerce rientra nei servizi ai clienti multibrand: «Non vogliamo togliere loro spazio, vogliamo sostenerli. Per questo sul nostro sito c’è una pagina in cui indirizziamo il cliente finale verso il negozio più vicino che offre i nostri prodotti». (an.bi.)
RICAVI QUINTUPLICATI IN DUE ANNI
Alexander Smith: dopo le sneaker la sfida è accelerare nelle borse
La prima collezione di scarpe di Alexander Smith è nata nel 2012, mettendo a frutto l’esperienza ultradecennale dell’azienda di famiglia, la Antea, nel campo della rappresentanza e della distribuzione. A poco più di 10 anni di distanza il brand è diventato un successo commerciale a livello globale, con una distribuzione di quasi 500 punti vendita multimarca nel mondo, una showroom direzionale inaugurata nel centro di Milano e una gamma di prodotto in via di espansione. Il marchio di calzature per uomo e per donna, fondato da Domenico e Andrea De Poli che lo guidano dal Veneto, può contare su una visione internazionale, come suggerisce il suo nome. Il termometro del momento caldo che sta vivendo l’azienda arriva dalle performance economiche dell’ultimo anno: 10 milioni di euro di fatturato nel 2023, in aumento del 50% sull’anno precedente. La previsione è di fare meglio quest’anno, visto l’andamento delle campagne vendita: «La proiezione di crescita sull’anno in corso è del +30%confermano i due imprenditori -. Arriviamo da una campagna vendita della precollezione invernale soddisfacente e anche quella della main sarà positiva. La vera sfida sarà progredire ulteriormente sull’estivo,
che per chi fa sneaker non è una stagione semplice, ma abbiamo novità in arrivo, che ci supporteranno nell’espansione del business». La più importante ha un nome, Elizabeth: è la prima borsa lanciata dal brand. Il progetto è partito con la SS24, ma è dalla SS25 che entrerà nel vivo. «Con la prima stagione ci siamo rivolti a un numero limitato di clienti, ma dalla fall-winter abbiamo creato una rete vendita dedicata. È vero che i principi e punti di forza di borse e calzature sono i soliti, ma volevamo che questa collezione di borse avesse un’anima propria. Anche perché non intendiamo sovrapporre completamente la distribuzione: ci piacerebbe per Elizabeth un posizionamento più alto, almeno per il 20% dei clienti». Se nel 2024 la sfida da vincere è quella della borsa, nel 2025 la crescita arriverà dall’export, visto che l’Italia rappresenta il 70% dei ricavi di Alexander Smith. «Avere una showroom diretta ci aiuta nell’internazionalizzazioneconcludono i fratelli De Poli - così come la presenza in azienda di un nuovo direttore generale, con una forte esperienza nel settore. Siamo in Benelux, Spagna, Grecia, Paesi dell’Est e, fuori dall’Europa, puntiamo sul mercato asiatico, soprattutto Giappone e Corea del Sud». (an.bi.)
71
1 2
Hints of Tomorrow
Innovazione sì, ma sottovoce nelle nuove collezioni viste in passerella e in showroom, studiate più per dare sicurezze al mercato che per stupire o far discutere. La creatività cambia pelle, andando all'essenza del prodotto e riportando alla ribalta la sua storia e i suoi valori intrinseci.
A CURA DI ALESSANDRA BIGOTTA
73 CHLOÉ
Strong Seduction
Greta Garbo: se una donna si veste con un abito maschile, come queste e altre dive del cinema, lo fa per esibire un solo potere, quello della seduzione che nasce dall’alchimia tra rigore e femminilità.
Marlene Dietrich, Julie Andrews, Katharine Hepburn,
3
1
1 ANTONELLI
2 ZONA 20
3 PRADA
4
BOTTO GIUSEPPE E FIGLI
5 SEVENTY VENEZIA
6 ALBERTA FERRETTI
74 2
7 COCCINELLE
6
4 5
7
Bold Jolt
Quiet, silent, comfy: aggettivi che tornano di frequente quando oggi si parla di moda. Ma nel buon senso generale irrompe come una folata di aria fresca il colore forte, intenso e liberatorio, che contagia ogni momento della giornata e ogni angolo del guardaroba.
1 ICEBERG
2 MANTECO
3 PASÖT
4 MISSONI
5 DOLCE&GABBANA
6 LOUIS VUITTON
7 MANIFATTURA SESIA
8 ETNIA BARCELONA
75 1 2 3 4 5 6 7 8 9
9 SENSITIVE FABRICS BY EUROJERSEY
Trump Card
Morbidi, avvolgenti, lunghi che più lunghi non si può, a volte severi e altre vezzosi: i nuovi cappotti attraversano con sicurezza gli scenari metropolitani. Da grandi classici quali sono, sanno trasformarsi in icone del lusso contemporaneo restando se stessi. Oltre le mode, ma più che mai di tendenza.
76
2
1
4
3
5
6
1 BURBERRY
2 ROSSO35
3 LA CARRIE
4 RICK OWENS
5 OTTOD'AME
6 BLUMARINE
ELISABETTA FRANCHI
momoni.it
Slick Willie
Discreto e combinabile, il beige (e dintorni) è il passepartout di una stagione all'insegna del monocromatismo. Con le sue morbide sfumature dà un tocco di classe a tutte le declinazioni del vestire, dal classico allo sportivo. Intramontabile e modernissimo, non stanca mai.
78
4
1 L.B.M. 1911
2 MANZONI 24
3 MAX MARA
4 TESTONI
5 EUROPEAN CULTURE
6 LARDINI
7 REDA
1 2 6 3 5 7 8
8 MD STUDIO
Hedging Bets
In un mondo duro e spigoloso l’ancora di salvezza è una moda che abbraccia e riscalda, scenografica alla vista, soffice al tatto e versatile nelle forme. Non c’è cambiamento climatico che tenga: lo stile “grande freddo” è un fatto di feeling, meglio se con un tocco di ironia quasi infantile.
79
ALEXANDER MCQUEEN
ZEGNA BARUFFA
LANE BORGOSESIA
LUISA SPAGNOLI
SAINT LAURENT
LORENA ANTONIAZZI
TOLLEGNO
1 2 5 6 7 3 4
SANTONI
Because The Night
Le mille sfumature della notte: aggressiva come un concerto rock, nostalgica tra ori e pizzi, lineare nel nero profondo, esibizionista ma con una vena di romanticismo nel trionfo di cristalli, applicazioni e paillette. Per muoversi con disinvoltura tra dinner e disco, fino alle luci dell’alba.
1 GIORGIO ARMANI
2 CASADEI
3 LAMPO
4 JOHN RICHMOND
5 RUE MADAM PARIS
6 GENTRYPORTOFINO
80 1 2 3 4 6 7 5
7 LE TWINS
Mad Mesh
Intrecci di punti si rincorrono sul cardigan da indossare di giorno e di sera, mentre nuove proporzioni trasformano il pullover in un capo couture. La maglieria è il terreno della ricerca per eccellenza: un mondo in divenire, che si alimenta di nuove mischie, colori e interpretazioni.
1 KANGRA
2 GENNY
3 MARNI
4 MONTICOLOR
5 AVANT TOI
6 CADICA
1 2
6 81 3 4 7
7 TWIN SET
5
Working Class Hero
La moda è glamour, ma anche intelligenza delle mani che la creano. Nobilitare il lavoro significa anche evocarlo in collezioni che riducono al minimo gli orpelli per mettere in primo piano funzionalità, resistenza e praticità di materiali indistruttibili.
1 MAGLIANO
2 BIKKEMBERGS
3 UNITY
4 DIOR
5 MOSCHINO
6 DEL CORE
3
5 7 1 6 82
7
VALEXTRA 2
4
Gorpcore Gore
In città come in un’escursione, scegliendo il proprio outfit in base alla comodità e alle condizioni atmosferiche. La parola chiave è protezione, per muoversi nel perimetro urbano sentendosi esploratori, con materiali evoluti come fedeli alleati.
5
WHITE MOUNTAINEERING
2 REBELLE
3 VBC X T_COAT
4 CHANEL
5 ALBERTO
6 SERVIZI E SETA
7 IL BISONTE
3 4
7 2 83
1
6
OBIETTIVO LIFESTYLE
TRAIT D’UNION FRA BRAND E BUYER Brama Group lancia il seamless commerce
Tuomas Merikoski alla prova di Philippe Model Paris: «Racconto una Parigi aperta e inclusiva»
Al centro di una brand extension, il marchio di luxury sneaker di 21 Invest ha arruolato lo stilista finlandese per dare slancio all’abbigliamento, introdotto con una capsule a fine 2021. Una divisione che punta a generare il 25% del fatturato in tre anni
Prima di fondare il suo marchio
AAlto, lei ha lavorato da Louis Vuitton e Givenchy. Che cosa le hanno lasciato queste esperienze?
Crescere e imparare da zero da Givenchy, fino a diventare head designer, è stato un viaggio incredibile, che mi ha aiutato a rompere i confini tradizionali. Con Kim Jones da Vuitton il progetto era di rivitalizzare il menswear. Ho stima profonda stima per lui e per quello che siamo riusciti a realizzare. Entrambe le maison e la collaborazione anche con creativi come Riccardo Tisci e Alexandre Mattiussi sono stati passi fondamentali per costruire la mia identità.
Lei è finlandese ma vive a Parigi: in quale modo questi due luoghi influenzano la sua estetica?
Ho iniziato i miei studi di fashion styling in
Finlandia, ma ho capito subito che dovevo trasferirmi a Parigi per essere davvero nella moda e ai massimi livelli. Da allora vivo e respiro questa città vibrante e mi sento fortunato.
Parigi è un valore fondante anche per Philippe Model Paris…
La città è proprio il cuore pulsante di questa nuova interpretazione dell’ethos del marchio. Racconto una Parigi aperta e inclusiva: una Parigi di artisti, ballerini di breakdance, skater e passanti di classe. Il loro modo di vestire è la diretta espressione della loro personalità, la lingua che parlano. Senza sforzo e in maniera cool, si esprimono con i contrasti e imperfezioni che rendono tutto più bello e interessante.
Tre definizioni per la collezione? Giocosa, easy going, soprattutto très parisien.
PARLA IL MANAGING DIRECTOR STEFANO DI NEZZA
«Il ready-to wear? Non è un semplice stretching del brand»
La nomina di Tuomas Merikoski a capo dell’abbigliamento Philippe Model Paris rientra nel piano di rafforzamento del marchio, affidato al managing director Stefano Di Nezza, nominato la scorsa primavera. «Non vogliamo fare un semplice stretching del brand, quanto riaffermarci come leader nel segmento premium del ready-to-wear - spiega -. Puntiamo a una business unit in grado di generare il 25% del fatturato nel giro di tre anni». Presentarsi come lifestyle brand consentirà un approccio internazionale: «Wholesale e online rappresentano i canali naturali per il nostro sviluppo, mentre l’apertura di flagship store in partnership sarà funzionale all’affermazione dell’identità di Philippe Model nei mercati in cui ci espanderemo». Nel mirino l’Emea, area in cui il brand è già riconosciuto, ma anche Usa, «dove siamo già approdati con una struttura distributiva ibrida», senza dimenticare il Far East che, nonostante il momento di rallentamento, è «uno sbocco fondamentale dal quale non si potrà prescindere».
Il branding non è nulla senza la vendita. Ne è convinto Renzo Braglia, ceo di Brama Group, hub per marchi indipendenti e titolare di una piattaforma integrata di servizi di vendita e posizionamento strategico B2B premium nel mercato europeo. La società - specializzata nella vendita fisica e digitale, che si propone come connettore tra brand e buyer per lo sviluppo nel Vecchio Continente - ora punta sul “seamless commerce”, Come spiega Braglia, si tratta di un’opzione dedicata a marchi piccoli ma ambiziosi che vogliono aumentare le vendite, oppure brand americani o asiatici di successo che intendono sviluppare un posizionamento europeo senza rischi. Ideale anche per collezioni cool e hype ma con poche vendite, marchi con proprie showroom o agenti ma a corto di contatti con i top buyer, brand europei affermati ma ben posizionati solo in un Paese. Destinatari, come aggiunge il ceo, possono essere inoltre label che potrebbero vendere di più ma hanno paura di investire o realtà esperte in design e prodotto ma con scarsa esperienza commerciale e infine marchi che vogliono sviluppare la distribuzione senza costruire una struttura di vendita completa, che comprenda anche customer service e operations. Brama offre quindi una serie di servizi che includono l’ordine dei prodotti, la gestione del credito, il servizio clienti, il post vendita, la gestione degli invenduti, la ridistribuzione delle scorte, le vendite “off price”: tutte le attività operative e finanziarie fanno così capo a Brama, permettendo ai marchi di concentrarsi su design e prodotto.
84 MODA NEWS
Sopra, Tuomas Merikoski e Stefano Di Nezza. A lato, lo stile di Philippe Model Paris
In alto, Renzo Braglia, ceo di Brama Group. Qui sopra la showroom di Anversa, inaugurata lo scorso dicembre
INTERVISTA
Lucio Di Rosa Founder di LDR22
«Abbinare bene luxury e celebrity fa decollare la brand consideration»
Per obbligo di definizione, il suo mestiere è circoscrivibile all’attività
di Vip Endorsement e Celebrities Pr, ma nei fatti Lucio Di Rosa è l'uomo dietro le quinte dei red carpet, perché per 20 anni ha fatto da matchmaker tra stilisti e celebrity per maison come Versace e Dolce&Gabbana. Ora si cimenta in un’avventura imprenditoriale lanciando LDR22, un concept che va oltre la showroom e la pr agency
DI ANDREA BIGOZZI
Dopo tanto red carpet, LDR22 è la sua nuova sfida: di cosa si tratta?
LDR22 è un luogo - anzi due, vista la doppia sede a Milano e Los Angeles - dove si creano relazioni ed è destinato a diventare un punto di riferimento per l’industria della moda. L'idea è offrire a brand giovani e interessanti tutto il nostro know-how, proponendo i loro prodotti a una clientela vip e offrendo servizi su misura in ambito di comunicazione, creazione di contenuti per i social e consulenza strategica. In pratica, continuerò a fare su scala più ampia quello che ho fatto per oltre 20 anni, ossia il fashion matchmaker, congiungendo ogni brand con il personaggio che fa al caso suo, il tutto con la collaborazione determinante degli stylist.
DIRETTORE RESPONSABILE E A.D.
Marc Sondermann (m.sondermann@fashionmagazine.it)
CAPOSERVIZIO
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REDAZIONE
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Elisabetta Fabbri (e.fabbri@fashionmagazine.it)
Angela Tovazzi (a.tovazzi@fashionmagazine.it)
REALIZZAZIONE GRAFICA
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Carlo Maraschi (c.maraschi@fashionmagazine.it)
COLLABORATORI
Mariella Barnaba, Annalisa Betti, Cristiana Bonzi
PUBBLICITÀ E PROMOZIONE
Barbara Sertorini (b.sertorini@fashionmagazine.it)
Laura Pianazza (l.pianazza@fashionmagazine.it)
SPECIAL PROJECTS
Matteo Ferrante Veneziani (m.veneziani@fashionmagazine.it)
Come ha iniziato?
Dopo il liceo sono andato a studiare in Inghilterra. L’università mi ha proposto un internship da Armani a Londra, che in seguito mi ha riportato in Italia. Così la mia carriera nella moda è cominciata facendo l’ufficio stampa. Una bellissima esperienza che mi ha insegnato il rigore lavorativo, ma non era il lavoro giusto per me: io avevo voglia di sperimentare.
Chi ha intuito le sue doti?
Donatella Versace. Sono stato al suo fianco per 14 anni e le devo moltissimo. Dopo Armani, stavo lavorando in Versace e un giorno è comparsa nell'ufficio dove mi trovavo: ero solo e cercava la mia collega ma, non trovandola, mi ha detto di andare nella sede di Via del Gesù all’ufficio celebrity: «Ci sono gli Oscar: se non va bene, non si disturbi a tornare». Risposi okay. Iniziai a concentrarmi su almeno sette look e, alla fine, accadde la magia.
Quando entrano in gioco Dolce&Gabbana?
Lì ho messo alla prova me stesso, sfruttando ciò che avevo imparato in anni di relazioni. Un’inte-
ASSISTENTE DI DIREZIONE / UFFICIO TRAFFICO
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AMMINISTRAZIONE
Cristina Damiano (c.damiano@fashionmagazine.it)
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sa iniziata poco dopo la crisi della Cina: è stato bello vedere riemergere l’azienda e lavorare ancora con artiste come J.Lo.
Da 1 a 10, quanto conta per un brand abbinare la persona giusta al progetto giusto?
Direi 9. Un buon endorsement può creare il “momentum” di un marchio. Forse oggi il genere di attività che proponiamo è il primo media per capacità di aumentare la brand consideration: quanti buyer si sono lasciati convincere da certi progetti visti sui red carpet?
Questo vale anche per le realtà giovani?
LDR22 è già la casa di tanti brand, molto diversificati tra loro e certo non solo giovani. I primi a fare parte della squadra sono stati Tod’s e Mach & Mach, poi si è aggiunto Corneliani e altri contatti sono in corso, anche tra realtà outsider. In America abbiamo ottenuto bellissimi risultati con Salvo Rizza, creative director di Des Phemmes. Per lui siamo riusciti a ottenere Gwen Stefani, Lupita, Kristen Stewart e il brand è sul punto di esplodere.
Versace è stato a suo tempo un pioniere nel fashion matchmaking. Oggi chi si potrebbe citare?
Difficile dirlo. Certo è che io questo lavoro lo intendo con lo spirito di “una volta”: una creatività capace di agire solo se sprovvista di obblighi e ripetizioni di modelli collaudati. Quando lavoravo per i grandi marchi, non ho mai pagato una star per indossare questo o quel prodotto. Il segreto è creare con le celebrità un rapporto di fiducia. Ora le pressioni economiche e i cachet stellari regolano il mercato, ma c’è chi ancora si muove alla vecchia maniera, come Daniel Roseberry, il direttore creativo di Schiaparelli: per me lui è un visionary man.
Il suo lavoro riassunto in un’immagine… Nessuno scatto sui red carpet: la vera essenza del mio lavoro è il backstage. Non dimenticherò mai le trasferte a Venezia per il Festival del Cinema con le sarte. Sempre troppi abiti da sistemare in poco tempo ma alla fine, nonostante macchine da cucire e manichini finiti nel canale, tutto è andato sempre bene.
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PEOPLE Michelle Hunziker Co-founder Goovi
«Autentico e positivo: Goovi è molto di più di un wellness brand»
Non solo modella e star della televisione. Michelle Hunziker è anche un'imprenditrice di successo, grazie a Goovi: un marchio beauty che oggi vanta una community di 1,2 milioni di persone, può contare su un partner come Sodalis Group e nei prossimi tre anni ha obiettivi ambiziosi, tra cui il primo monomarca
DI ANGELA TOVAZZI
Ha lanciato Goovi nel 2018. Cosa l’ha spinta a creare un marchio beauty?
Mi sono sempre piaciuti i prodotti naturali, fin da bambina, e volevo condividere questa mia passione e il mio personale approccio al benessere con una community social che credesse negli stessi valori. Goovi sta per Good Vibes: la nostra missione è portare benessere ed energia positiva nella vita quotidiana delle persone, incoraggiarle a essere se stesse e accettare il proprio corpo, senza credere che debbano essere "perfette" o infallibili. Penso che l'amor proprio sia molto importante, perché solo quando ami te stesso puoi dare amore agli altri. Goovi non è tanto un wellness brand, quanto uno stile di vita.
Quale la maggiore soddisfazione durante questi cinque anni?
La qualità del prodotto e la filosofia formulistica della clean beauty, associata a una elevata presenza di ingredienti di origine naturale, sono uno degli aspetti di cui vado maggiormente fiera. Non è stato sempre facile, soprattutto all’inizio, ma siamo cresciuti rapidamente e siamo riusciti a costruire una community di Goovi lovers numerosa e attiva. Più di 1,2 milioni di persone ci seguono ogni giorno, hanno preso a cuore il marchio perché condividono i nostri valori e apprezzano la qualità e le performance dei prodotti. Il fatto che Goovi sia percepito come un vero e proprio stile di vita per me è una grande soddisfazione.
Quale invece il momento più sfidante da quando ha iniziato l'avventura con Goovi?
Ovviamente ci è voluto del tempo per costruire questo percorso. I primi anni sono stati quelli che potrei definire più difficili.
Sul mercato sono sbarcati recentemente numerosi marchi di cosmesi naturale. Cosa promette di diverso il suo brand?
Goovi da sempre propone un approccio In& out. Il benessere per Goovi è il risultato di un percorso olistico che agisce dall’interno, con gli integratori alimentari, e dall’esterno con skincare, bodycare e make up. A livello di comunicazione, la forza del brand sta nell’approccio social first e nello scambio quotidiano con la nostra community, prima fonte di ispirazione per il marchio.
Quanto c’è di Michelle Hunziker nei prodotti Goovi?
Tantissimo! Testo e provo i prodotti in prima persona e sono attivamente coinvolta nello sviluppo del prodotto, dalle texture alle fragranze, fino ai nomi creativi… I prodotti, così come il brand, rispecchiano i miei valori: autenticità, positività e naturalità.
L’anno scorso la maggioranza di Goovi è stata acquisita da Sodalis Group. Quali i primi effetti del takeover e, soprattutto, i piani di espansione cosa prevedono?
Con l’ingresso nel gruppo Sodalis è iniziata una nuova fase di sviluppo per il brand. Il piano per i prossimi tre anni è ambizioso e puntiamo a crescere, sia sul territorio nazionale che a livello internazionale. Il takeover permetterà a Goovi di continuare il suo percorso di crescita all’interno di un gruppo fortemente motivato a dedicare grande focus strategico e capace di offrire il massimo supporto a livello di know how di prodotto. Oltre a prevedere una continua e forte spinta, lato novità di prodotto e importanti investimenti media per alimentare e sostenere la creazione della community, abbiamo progetti ambiziosi anche dal punto di vista della distribuzione.
In quanto brand communityoriented, Goovi è partito con una commercializzazione direct-toconsumer, sbarcando poi nelle farmacie. Avete in programma monomarca?
Crediamo da sempre nell’omnicanalità per offrire ai Goovi lovers un'esperienza d'acquisto accessibile e fluida, tra online e offline. Come dicevo, abbiamo un piano importante di sviluppo sia in farmacia che in profumeria e non mancheranno anche eventi sul territorio, per avvicinare sempre di più i Goovi lovers al marchio e far loro vivere un’esperienza 100% Goovi. Certo, il negozio monomarca è un mio sogno e stiamo lavorando affinché si realizzi.
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