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MONDONAPOLEONE
Più che una strada un ecosistema, raccontato dai suoi protagonisti: presente, passato e futuro di via Montenapoleone, dove gli affitti sono i più cari al mondo e il lusso è pronto a stupire con nuovi progetti
DESTINAZIONE AP
La missione di perennità di Ilaria Resta, ceo di Audemars Piguet, con una visione olistica, oltre i numeri
GUIDA AI
L'intelligenza artificiale irrompe in campagna vendita e ottimizza il buying
VETRINA ACCESSORI
Uno speciale di 15 pagine su borse e scarpe: case history, tendenze e il polso del mercato con i negozi
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In copertina
Via Montenapoleone non è solo l’arteria del Quadrilatero ma un ecosistema in evoluzione, che continua a battere nuovi record. Illustrazione di Carsten Lüdemann
PROTAGONISTI
ILARIA RESTA
A un anno dal suo insediamento, la ceo di Audemars Piguet racconta il suo approccio olistico alla gestione d’azienda Pagina 6
ETIENNE RUSSO
Il fondatore della production company Villa Eugénie parla del futuro delle sfilate: «Non si tratta di mostrare abiti ma di lasciare ricordi indelebili»
Pagina 11
MATTEO SINIGAGLIA
Nel 2025 Replay punta sulla donna e sulla Gen Z: «L’autenticità farà la differenza» Pagina 14
COVER STORY
VIA MONTENAPOLEONE
400 metri da record Pagina 16
GARY LANDESBERG
«Vi presento The Wilde, il members’ club che mancava a Milano»
Pagina 24
IL POLSO DEL MERCATO
BUYERS’ SURVEY DONNA FW 24/25
Emozionare la clientela? Mai stato così difficile Pagina 28
PREVIEW DONNA FW 25/26
Elogio della sobrietà Pagina 37
BRAND EXTENSION
Nei panni di una donna Pagina 44
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ITALIAN STORIES
F.lli Campagnolo
La moda di Jeanne Baret?
Un inno alla libertà
Pagina 46
ITALIAN STORIES
Maccapani e il coraggio di cambiare (al momento giusto) Pagina 48
INNOVAZIONE
BUYING E AI
L’intelligenza artificiale entra in campagna vendita. Cosa riuscirà a fare? Pagina 53
AUTONE
«Troppa merce o troppo poca? Risolviamo il classico dilemma del retail»
Pagina 56
LUXURY CLIENTELING
Very Important Client: su tutto vince il Fattore H Pagina 57
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SPECIALE ACCESSORI
Il made in Italy? Tante mani da proteggere Pagina 63
AGL e la «rivoluzione rispettosa» delle sorelle Giusti Pagina 64
Zanellato: «Voglio continuare a essere una voce fuori dal coro» Pagina 66
Supply chain e stile forte: così Mach & Mach fabbrica il suo futuro Pagina 68
BUYERS’ SURVEY ACCESSORI FW 24/25
Borse e scarpe difendono il loro ruolo di oggetti del desiderio Pagina 70
PREVIEW ACCESSORI FW 25/26
Il tocco in più che fa la differenza Pagina 75
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RUBRICHE
L’EDITORIALE
La sfera di cristallo
Pagina 5
BRAND TO WATCH
Pagina 50
UN VOCALE DA NEW YORK
Un tocco di Sex and the City
Pagina 61
OLTRE IL SOFFITTO DI CRISTALLO
Marina Salamon: «Sono diventata imprenditrice perché ho ricevuto due no»
Pagina 80
CONTROCORRENTE
Alberto Masotti: «Per me La Perla è come una figlia»
Pagina 82
LOCAL HERO
Citymoda, una cittadella della moda per tutta la famiglia
Pagina 84
LIFESTYLE
Marco Boglione: «C’è sempre una prima volta»
Pagina 86
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La sfera di cristallo
Da secoli gli uomini sognano di poter prevedere il futuro. Interrogano un oracolo, si fanno leggere le carte o cercano una veggente che evochi una sfera di cristallo.
In tempi incerti come i nostri, il desiderio di sapere già oggi cosa accadrà domani è particolarmente forte. L'attuale numero di Fashion Magazine, dedicata alla moda femminile e agli accessori, esplora la questione di come guardare avanti senza scivolare nell'esoterico.
Abbiamo incontrato Alberto Masotti a Bologna. Il figlio della fondatrice di La Perla, Ada, è autore del libro “La nostra Perla”, in cui racconta l'ascesa alla fama mondiale del marchio di lingerie bolognese. Sua madre, Ada, e sua moglie, Olga, sono riuscite a decifrare «quella misteriosa sfera di cristallo», scrive.
È una metafora con cui esprime l'idea che Ada e Olga sapessero immedesimarsi con le loro clienti. Che si trattasse di biancheria intima colorata o di motivi africani o indiani, le due donne avevano colto - e talvolta persino anticipato - lo spirito del tempo, guardando nel profondo dell'anima delle clienti: «La misteriosa sfera di cristallo si rivela essere l'enigma affascinante della psicologia femminile».
Aggrapparsi a vecchi dogmi per affrontare il futuro è comodo, ma anche pericoloso. Ilaria Resta vuole rompere
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con gli stereotipi. La CEO di Audemars Piguet è una outsider nel mondo dell'orologeria, che spesso continua a seguire schemi molto classici.
Che alle donne piacciano solo modelli delicati e decorati è un mito “falso”, dice: «A parte la dimensione del polso, non c'è nessun elemento genetico che spinga verso la scelta di un modello piuttosto che un altro. Io intendo assecondare tutti i desiderata delle nostre consumatrici, ma non credo a una genderizzazione del portafoglio».
Un ritorno alle origini può aiutare a conquistare nuove generazioni. Il CEO di Replay, Matteo Sinigaglia, è convinto che la Generazione Z desideri marchi «autentici». Ecco perché ha lanciato una
nuova linea, che riprende il patrimonio workwear di Replay e lo trasforma in qualcosa di moderno.
Molti sperano che l'intelligenza artificiale diventi una sfera di cristallo. Abbiamo esaminato come l'IA possa aiutare i buyer di moda a prendere le giuste decisioni di acquisto. Una delle promettenti startup di IA è Autone. Il suo fondatore, Adil Bouhdadi, promette: «Troppa o troppo poca merce? Risolviamo il classico dilemma del retail».
Il nostro articolo di copertina è dedicato a un simbolo del lusso, via Montenapoleone, e al Quadrilatero della Moda di Milano. In pochi metri quadri si concentra ciò che è importante nella moda e nel lusso nel presente, ma si intuisce anche tutto ciò che sarà rilevante nel prossimo futuro. L'abbiamo attraversata in lungo e in largo, guardando e ascoltando le signore e i signori che lavorano e vivono in questo piccolo grande mondo.
Il negozio di cristalli in via Montenapoleone, dove forse si poteva comprare una sfera di cristallo, non esiste più. Dobbiamo quindi fare affidamento su noi stessi, sulla nostra forza di plasmare il futuro. Alberto Masotti scrive: «Quando la nostra immaginazione e il sapere delle mani sono spinti all’estremo, si realizza la creazione perfetta».
Tobias Bayer
Ilaria Resta
A un anno dal suo insediamento, la ceo di Audemars Piguet racconta la sua visione centrata su organizzazione e ispirazione, leadership circolare e gestione olistica
dell’azienda
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La sua nomina a Chief Executive Officer di Audemars Piguet, nel luglio 2023, fu accolta con un certo stupore. Perché Ilaria Resta, pur forte di un curriculum di tutto rispetto con oltre 20 anni passati nella multinazionale Procter & Gamble e un triennio nella divisione Perfumery & Ingredients di Firmenich, era un’outsider. Tra l’altro donna, la prima che avrebbe ricoperto un ruolo così apicale nel settore dei segnatempo, tradizionalmente di appannaggio maschile. Senza contare che, da non specialista degli orologi (seppur appassionata), poteva in qualche modo costituire un salto nel buio dopo la leadership carismatica e feconda di François–Henry Bennahmias, che durante i suoi quasi 30 anni al timone ha contribuito a far lievitare sensibilmente i conti del brand, oltre i 2 miliardi a fine 2023 (in base alle stime di mercato). In questo ultimo anno la napoletana Ilaria Resta, eloquio dalla chiarezza cristallina mescolato a un carattere solare ed empatico, ha cominciato a posare i primi mattoni della sua strategia: una strategia necessariamente di lungo termine, in quanto, come dice lei stessa, Audemars Piguet nutre costantemente un sogno di «perennità», pur misurandosi con un mercato e una clientela tutt’altro che invariabile. Al nostro giornale racconta gli obiettivi, le priorità, gli investimenti. Non fornisce numeri, ma spiega il “pensiero forte” che li alimenta, come una «gestione olistica del business» e un modello di leadership «circolare».
Da un anno si è insediata come ceo a Le Brassus, vicino a Ginevra. Lei proveniva da tutt’altro settore… Qual è stato il focus di questi mesi?
Ilaria Resta, ceo di Audemars Piguet da gennaio 2024. Dopo il liceo classico ha conseguito una laurea in Marketing ed Economia, seguita da un Master in Matermatica Finanziaria. Vive a Founex, in Svizzera
«Non credo a una genderizzazione del portafoglio. A parte la dimensione del polso, non c’è nessun elemento genetico che spinga verso la scelta di un modello piuttosto che di un altro»
Da luglio 2023 fino al mio ingresso ufficiale, a gennaio 2024, ho passato quattro mesi incredibili di studio e scoperta. Audemars Piguet conta 150 anni di storia come azienda familiare e indipendente e oltre 3mila collaboratori nel mondo. La mia priorità è stata incontrare le persone: non solo gli eredi dei fondatori, ma anche gli artigiani impegnati nella manifattura. Conoscere la loro storia personale e le loro aspirazioni mi ha aiutato a mettere a punto la mission aziendale, incentrata sul garantire al marchio perennità. Di fronte a un commitment di così lunghissimo termine, calato in un contesto variabile ed esposto a continui mutamenti, sono necessarie fondamenta solide. Nel 2024 mi sono dedicata soprattutto a questo: definire le basi per tutto quello che verrà in futuro.
Il suo predecessore
François–Henry Bennahmias le ha dato qualche consiglio?
Il nostro è stato un passaggio di testimone fluido, che non ha provocato terremoti all’interno della struttura aziendale. Prima di iniziare ci siamo visti in un bar e alla mia domanda di avere qualche dritta per il mio nuovo ruolo mi ha risposto: «Va bene, a condizione che mi insegni qualcosa anche tu». Lui è stato molto generoso con me, io molto rispettosa con lui.
Dunque, in che direzione sta portando Audemars Piguet? Sono convinta sia necessario trattare le aziende come un organismo vivente, con un’evoluzione scandita da tappe. Ho preso in mano Audemars Piguet successivamente a una forte accelerazione multidimensionale: dopo anni in qualità di “master project manager” di diversi fornitori, AP è diventata una manifattura, che si è progressivamente ampliata sul fronte della capability e del savoir-faire orologiero. Poi, altro passo spartiacque, ha abbracciato il retail, trasformandosi in una direct client company e gestendo direttamente il rapporto con i consuma-
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Un’immagine del Musée Atelier Audemars Piguet a Le Brassus, vicino a Ginevra: un percorso tra passato, presente e futuro della manifattura elvetica di alta orologeria, fondata da Jules Louis Audemars ed Edward Auguste Piguet nel 1875. Quest’anno ricorre il 150esimo anniversario
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Uno scorcio della nuova AP House a Milano. Situata nell’ex Garage Traversi, si sviluppa su cinque piani e accoglie i visitatori in uno spazio esperienziale, dove heritage del brand, tecnologia, musica e arte si intersecano. Firmato da Lissoni & Partners, il progetto è ispirato all’ambiente naturale della Vallée de Joux, dove ha base Audermars Piguet
tori. Senza contare l’importante lavoro portato avanti sul branding. Tre asset che hanno fatto da leva per la sua crescita. Siamo ancora giovani, dei teenager con tutta la vita davanti direi, ma come in tutti gli esseri umani lo sviluppo repentino può mettere un po’ in sofferenza la spina dorsale. Per questo la mia priorità è fare le mosse giuste per garantire la solidità della nostra ossatura.
In che modo? Su cosa investirà?
Sicuramente sull’innovazione. Portata avanti su tre fronti: in termini di materiali, di movimenti e complicazioni, di decorazioni. Su tutte queste aree ho accelerato gli investimenti. Va sottolineato che ho il lusso di lavorare in una realtà che non ha l’ambizione e la pressione della crescita come solo parametro. Una convinzione che condivido: penso sia pericoloso considerare l’incremento dei numeri come unico vettore per misurare il successo. La mia vuole essere una gestione olistica dell’azienda: la preservazione del suo patrimonio e degli antichi mestieri sono al primo posto.
Si dice il suo arrivo in AP abbia l’obiettivo di incrementare l’offerta per il pubblico femminile. È così?
Nei piani c’è sicuramente quello di espandere la clientela ma indipendentemente dal genere e, soprattutto, dal “mio” genere. Detto questo, è un fatto che nel mondo dell’orologeria resistano certi stereotipi, che con la mia narrativa miro a estirpare: in primis che le donne preferiscano gli orologi al quarzo, quelli di piccole dimensioni, quelli decorati, senza prestare alcuna attenzione ai meccanismi. Tutte falsità. A parte la dimensione del polso, non c’è nessun elemento genetico che spinga verso la scelta di un modello piuttosto che di un altro. Io intendo assecondare tutti i desiderata delle consumatrici, ma non credo a una genderizzazione del portafoglio. Sono comunque convinta che il primo motore di crescita dell’orologeria dei prossimi 10-20 anni saranno proprio le donne.
Al di là del genere, che cosa cercano oggi le nuove generazioni?
A differenza di chi li ha preceduti, per i giovani di oggi l’orologio non rappresenta un bene di investimento o un regalo come rito di passaggio, per esempio la laurea o il primo lavoro, ma una passione. Più che dal brand, sono attirati dalla meccanica e dal mondo che c’è dietro i segnatempo. Basti pensare che la visita alla manifattura è ambitissima da questa fascia di clienti: su di loro la componente didattica e l’edutainment esercitano un grandissimo fascino.
Parlando di manifattura, state ultimando due nuovi siti. Intendete aumentare i volumi?
Arc, il nuovo polo a Le Brassus, è ormai in dirittura d’arrivo e ha lo scopo di portare sotto lo stesso tetto tutte le factory di AP che erano nella Vallée de Joux. La manifattura di Meyrin sarà invece dedicata alla produzione di casse e bracciali, oltre a ospitare il nuovo centro tecnologico. La spinta all’innovazione richiede spazi. Più che aumentare i volumi, questi investimenti vanno nella direzione di un ripensamento dei processi, per una maggiore fluidità. La complessità del design AP richiede competenze artigianali che non possono essere semplicemente meccanizzate o gestibili con una mass production.
Non la preoccupa il fatto che il settore del lusso, compreso quello orologiero, dopo l’euforia post Covid abbia subito un rallentamento?
È indubbio che le incertezze macro-economiche e le tensioni geo-politiche impediscano una visibilità a lungo termine e che in assenza di visibilità gli acquisti frenino, anche quelli dei top client. Va però precisato che l’orologeria è sempre stato un settore ciclico. Ha resistito alle guerre, alle crisi petrolifere, alle grandi inflazioni, al Covid. E la storia dimostra che il punto di arrivo è sempre più alto di quello di partenza.
Anche a Milano, nell’ex Garage Traversi, è arrivata una AP House: sarà questo il format distributivo prioritario per il futuro?
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Due immagini del Mini Royal Oak, un modello che unisce i codici estetici del Royal Oak originale, disegnato da Gérald Genta nel 1972, alla brillantezza della finitura Frosted Gold. Realizzato in oro giallo, rosa e bianco 18 carati, è alimentato da un movimento al quarzo e si adatta ai polsi più sottili, grazie al diametro di soli 23 mm
Chiamarlo format distributivo è riduttivo. Le AP House sono piuttosto spazi di condivisione che ruotano intorno alla passione dell’orologeria e che consentono una relazione con i clienti, o semplicemente con le persone, in un ambiente non finalizzato alla transazione. La nostra affinità con il mondo dell’arte e della musica - con il programma di eventi, a volte anche spontanei, che si tengono all’interno - trasforma questi spazi in luoghi di aggregazione, dove vivere esperienze coinvolgenti ed entrare nel vero spirito della marca, grazie anche a spazi “heritage”, con orologi da collezione.
Ci saranno altre aperture? Abbiamo un programma di opening progressivo, senza espansioni verticali. Contiamo già una ventina di spazi in alcune delle città più vibranti del mondo
tra cui New York, Amsterdam, Bangkok, Hong Kong e Shanghai. Recentemente siamo sbarcati a Seoul, in una torre trasparente con un giardino sospeso svizzero, e la prossima tappa sarà Singapore, all’interno dell’Hotel Raffles. Nei piani futuri ci sono Manchester e Londra. Si tratta di progetti importanti: ogni AP House è diversa dall’altra, con un approccio “glocal”, per allinearsi al genius loci di ogni singola città.
Il wholesale non è contemplato dalla vostra rete commerciale?
Da tempo abbiamo abbracciato una logica distributiva esclusivamente retail, che ci permette di relazionarci direttamente con i consumatori. Contiamo più di un’ottantina di boutique e 22 AP House nel mondo.
Cosa serve per guidare un’azienda come Audemars Piguet?
Occhi e orecchie aperti su quello che ci circonda, visione laterale molto ampia, gambe agili per adattarsi al terreno che cambia. E saper saltare. Certo, è importante “fissarsi” degli obiettivi, ma credo sia altrettanto importante non essere “fissati”. Le strade che ci portano a destinazione non sono mai dritte. Hanno anzi mille curve, che dobbiamo saper assecondare.
Vale anche nella gestione del team?
Ho sempre creduto nell’emotional intelligence e nella self assessment. Essere se stessi è la via meno faticosa e al tempo stesso più efficace. Io sono napoletana, sono estroversa, una persona che per natura e cultura crea relazioni. Con gli anni sono passata a un modello di leadership circolare, non piramidale, autentica e approcciabile. Ci sono leader che nella loro chiusura e autarchia diventano ciechi e sordi.
Come vede Audemars Piguet tra cinque o dieci anni?
Mi piace la parola “pioniere”. Vorrei che fossimo pionieri del tempo, continuando a innovare in tutte le direzioni, per avere una visione aperta. Oltre le ore, i minuti e i secondi. ■
ANGELA TOVAZZI
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Etienne Russo
Sul futuro delle sfilate il fondatore di Villa Eugénie, la production company più amata dalle griffe, promette sorprese: «Non si tratta di mostrare abiti, ma di lasciare ricordi indelebili nello spettatore»
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Hotel Saint James & Albany di Parigi, 5 luglio 1991. È la data della prima sfilata di Dries Van Noten. Mancano 20 minuti all’inizio dello show e non si trova Etienne Russo, incaricato dall’amico stilista di organizzare l’evento. Anche per lui si tratta del debutto nel mondo delle passerelle. Nessuno può immaginarlo, ma è chiuso in una toilette, in preda a un attacco di panico. Un esordio del genere può preludere a una carriera di successo nell’event management? La risposta sta nelle cronache delle fashion week degli ultimi 30 anni. Il bilancio della sua attività attraverso la società Villa Eugénie è un festival dei record: oltre 1.200 sfilate realizzate, uffici a Bruxelles, New York, Parigi e, dal 2022, anche a Milano, collaborazioni con brand come Chanel, Hermès, Dior, Miu Miu, Moncler. E in più, un vasto pubblico - sui social ma non solo - molto attento alle sue mosse, data la sua proverbiale capacità di leggere in anticipo i cambiamenti sociali e di mercato. «Intuizione e lungimiranza sono al centro di ciò che facciamo» premette Etienne Russo, che non ha mai perso lo spirito curioso degli esordi che lo spinge a esplorare continuamente nuovi linguaggi. «Mi interessa tutto, assorbo qualunque stimolo, anche il più piccolo», dice parlando di sé, sottolineando come il suo mestiere si nutra di contaminazioni. Un approccio che ha trasmesso anche alla sua creatura, Villa Eugénie, trasformandola in una piattaforma creativa che progetta esperienze a 360 gradi. «Non si tratta più solo di creare cose belle, ma di generare esperienze significative che risuonano ben oltre il momento, generando un impatto sia emotivo, sia culturale ed economico. Con lo show dobbiamo imprimere il brand nella memoria del consumatore», afferma Russo, sintetizzando in poche
Eclettico e creativo, Etienne Russo è considerato a livello globale un vero mago del racconto visivo
«Le sfilate non scompariranno, ma si adatteranno a nuove aspettative. Non ho paura dell’AI: ha il potenziale per sbloccare possibilità finora inimmaginabili» Etienne Russo
parole la filosofia che guida ogni singolo progetto firmato dalla sua società.
«Una sfilata ben realizzata offre un ROI quantificabile - prosegue l’imprenditore belga alla vigilia di un fashion month che lo vede protagonista tra Milano e Parigi con diversi appuntamenti -. Molti marchi ora misurano attentamente l’impatto diretto delle loro sfilate, analizzando metriche come il posizionamento del marchio, il valore mediatico e persino le performance in Borsa dopo appuntamenti chiave. Questi dati evidenziano quanto possano essere influenti questi momenti, non solo creativamente ma anche strategicamente».
Durante tutta la sua carriera, Russo ha dato prova di doti da autentico problem solver per i brand sui clienti. In passato le sfide principali da affrontare erano legate agli allestimenti, alle location, ai budget. Oggi gli aspetti più complessi da considerare sono quelli dell’attenzione alla sostenibilità e dell’impegno sociale. «Prendiamo ad esempio la sfilata SS25 che abbiamo organizzato per Pharrell Williams e Louis Vuitton sul tetto della sede dell’Unesco a Parigi. Una location non scelta a caso, perché ha celebrato l’intreccio tra cultura, creatività e innovazione. Un evento-manifesto, che dimostra come la moda possa ispirare un cambiamento globale positivo», chiosa Russo, che puntualizza anche quanto Villa Eugénie si stia impegnando da tempo nel ridurre l’impatto prodotto dagli show colossali che realizza, promuovendo pratiche virtuose come riciclo e riuso, creando opportunità di impiego.
«Da quando - sottolinea - abbiamo ottenuto la certificazione ISO 20121 (standard internazionale per la gestione sostenibile degli eventi, ndr), ci siamo impegnati a integrare la sostenibilità nel nostro lavoro, partecipando attivamente a iniziative sociali. Supportiamo giovani designer e collaboriamo con associazioni in tutto il mondo per amplificare la creatività e promuovere opportunità».
Parole che evidenziano come, a questo punto della sua carriera, la qualità del progetto sia più importante della notorietà del cliente per Russo, che quindi può permet-
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tersi di selezionare e fare scouting. E non si tira indietro in tal senso. Ha sostenuto infatti la giovane stilista belga Marie Adam-Leenaerdt, una sua ex studentessa dell’IFM - Institut Français de la Mode a Parigi e finalista dell’Lvmh Prize 2024, producendo la sua ultima sfilata in una brasserie vicino alla Gare du Nord. «Abbiamo avuto la fortuna di lavorare con incredibili designer emergenti come Marie, creando esperienze che risultano altrettanto significative e personali quanto quelle per i grandi nomi», dice convinto l’imprenditore.
A Russo non interessa il cliente top in quanto tale, ma ama confrontarsi con le idee forti, come quella proposta dalla sfilata TechTopia di Boss - più che uno show un’intefaccia per il futuro - o da Remo Ruffini, che gli ha offerto di governare la macchina di Moncler Genius, un progetto di collaborazione tra creativi diversi, aperto a un pubblico ampio, con musica live, installazioni sensoriali e utilizzo dell’intelligenza artificiale. «Sono show come quello di Shanghai - rimarca - che indicano la direzione in cui stiamo andando. Non era una sfilata, ma un’esperienza immersiva. L’uso di elementi AR e VR, insieme a esposizioni interattive, ha creato un viaggio multisensoriale che ha permesso al pubblico di vivere le collezioni in modo del tutto nuovo. Non si trattava più di esibire capi, ma di evocare emozioni e creare ricordi indelebili».
A Russo piace l’idea di lasciare il segno e per questo non teme mai la sfida di fare da collegamento tra due mondi apparentemente inconciliabili, come innovazione tecnologica e autenticità umana. «Le sfilate non scompariranno - conclude - ma si stanno adattando a nuovi contesti e aspettative. Non ho paura dell’AI: ha il potenziale per sbloccare possibilità di design e produzione finora inimmaginabili. C’è un’enorme energia fresca, proveniente sia dai designer emergenti che da quelli affermati. Dopo anni di insegnamento posso assicurare che la prossima generazione è pronta a sfidare il modo in cui la moda si racconta. Vuole superare i confini». ■
Villa Eugénie sostiene i giovani stilisti come Marie Adam-Leenaerdt, di cui ha prodotto l’ultima sfilata
Nel 2022 Russo si è trasferito a Milano, dove ha aperto la sede italiana di Villa Eugénie
La sfilata SS25 organizzata per Pharrell Williams e Louis Vuitton sul tetto della sede Unesco di Parigi
Russo governa la macchina Moncler Genius, progetto tra creativi diversi, aperto a un vasto pubblico ANDREA BIGOZZI
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Matteo Sinigaglia
Per il 2025 Replay punta sulla donna e su una nuova linea per la Gen Z. L’amministratore delegato Matteo Sinigaglia ritiene che
l’autenticità
faccia la differenza in un periodo di incertezza
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Riuscire a parlare con Matteo Sinigaglia significa essere molto fortunati. Il CEO di Replay viaggia costantemente per incontrare clienti e fornitori. Per lui è molto importante essere vicino al mercato. Soprattutto in tempi difficili come questi.
La sua convinzione è che la gente abbia voglia di affidabilità in questi tempi incerti. «Le uniche cose di cui sono sicuro come consumatore - dice - sono oggi la qualità e l’estetica di un prodotto che mi faccia sentire bene. Per questo credo che il futuro dipenda dal prodotto».
Per questo motivo, Sinigaglia ha deciso di dedicare alle collezioni Replay ancora più energia di prima.
Innanzitutto sta aumentando la componente moda . Ha nominato Paolo Mosca Art Director per la linea uomo e Natalie Ratabesi Head Designer per la donna. La nuova responsabile dell’abbigliamento femminile Ratabesi è un nome noto nel mondo della moda. Laureata alla Central Saint Martins di Londra, ha lavorato per Ralph Lauren, Christian Dior e Kanye West.
In secondo luogo, si concentra sull’assortimento Ha lanciato la linea Replay Inc., che si rivolge alla Generazione Z ed è influenzata dall’abbigliamento da lavoro. «La Gen Z apprezza i marchi credibili. Il denim e il workwear sono importanti per i giovanissimi - afferma Sinigaglia -. Replay esiste da oltre 40 anni. Il brand ha una storia emozionante da raccontare. Ed è sinonimo di denim e workwear».
Con l’offensiva sul fronte prodotto, il CEO spera di affermarsi in un contesto di mercato altamente competitivo. Il marchio Replay - lanciato nel 1978 da Claudio Buziol, scomparso nel 2005 - si è svi-
Matteo Sinigaglia viaggia costantemente per incontrare
«La Gen Z apprezza i marchi credibili, il denim e il workwear: Replay esiste da oltre 40 anni, ha una storia emozionante da raccontare ed è sinonimo di denim e workwear» Matteo Sinigaglia
luppato in modo dinamico sotto l’egida di Sinigaglia. Il fatturato è salito a quasi 340 milioni di euro nel 2022
Hyperflex è un bestseller dal 2013: una famiglia di prodotti incentrata su jeans super elasticizzati, che Replay ha sviluppato con il tessitore di denim Isko e che è popolare tra i clienti tedeschi del wholesale come Ansons, Breuninger, Engelhorn, Garhammer, Hirmer e P&C Düsseldorf. Replay ha dovuto affrontare tante sfide nel biennio 2023-2024. Nel 2023, come molti altri marchi, aveva accumulato troppe scorte ed era impegnato a smaltire le eccedenze. Nel 2024, il marchio nato con il denim ha dovuto affrontare problemi logistici. Il tempo di transito per le consegne dall’Asia all’Europa si è quasi triplicato, passando da 45 a 120 giorni, come sottolinea Sinigaglia. Il manager è cautamente ottimista sul 2025. Vede un grande potenziale soprattutto nell’abbigliamento femminile, che attualmente rappresenta il 30% delle vendite. «Crediamo che possa raggiungere quasi lo stesso fatturato del settore maschile», precisa Sinigaglia. Ci vorrà del tempo: «Ad ogni modo, non mi stupirei se tra due anni l’abbigliamento femminile salisse al 40%». Sinigaglia si affida al talento della nuova Head Designer Ratabesi. «È un’amica», dice. Il suo debutto è stato con la collezione autunno-inverno 2025/2026, presentata ai clienti retail da metà novembre. «Ha disegnato dei look forti e la collezione è di forte impatto - spiega Matteo Sinigaglia -. Il feedback iniziale dei nostri rivenditori è stato positivo».
Fin da subito Ratabesi è riuscita a cambiare la percezione dell’abbigliamento femminile Replay, «con una grande dose di creatività». Ha prestato «particolare attenzione» al denim e ha dato un nuovo
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tocco ai prodotti: «Natalie ha rivitalizzato il concetto di ‘denim power’. La collezione esprime la femminilità e l’indipendenza delle donne».
Con la nuova linea Replay Inc. il CEO spera di conquistare clienti giovani, che amano marchi come Carhartt o Levi’s e che amano i capi vintage. «I giovani hanno un approccio alla vita più imprenditoriale rispetto alle generazioni precedenti - commenta -. Continuano a comprare e vendere, per questo si concentrano su prodotti reali, con una storia autentica e un prezzo che possono permettersi». Replay Inc. è caratterizzata da tagli ampi e rilassati. Un paio di pantaloni costa al dettaglio tra i 99 e i 119 euro. La nuova collezione verrà venduta separatamente da quella principale. Sarà disponibile all’interno di negozi premium, appositamente selezionati, che si rivolgono alla Gen Z. Un esempio tipico sono i negozi Citadium in Francia, di proprietà dei grandi magazzini Printemps: «Replay Inc. - anticipa l’amministratore delegato - sarà posizionata vicino a marchi come Carhartt, ma anche a sneaker da esterno e a numerosi brand locali che dialogano molto bene con il pubblico giovane».
Un ambasciatore del marchio Replay Inc. sarà l’attaccante del Real Madrid Endrick. Il calciatore brasiliano ha oltre 14 milioni di follower su Instagram ed è sposato con la modella Gabriely Miranda. Il prossimo evento di spicco per Replay? Il torneo di tennis Monte-Carlo Rolex Masters, in programma il prossimo aprile. «È il mio sogno vedere i jeans sul campo da tennis - confida Matteo Sinigaglia -. Posso già rivelare che in quell’occasione presenteremo qualcosa di molto interessante». ■
Lo stile della nuova linea Replay Inc.
TOBIAS BAYER
L’uomo di Replay è stato affidato a Paolo Mosca come Art Director
Della donna si occupa Natalie Ratabesi
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Illustrazione di Carsten Lüdemann
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Via Montenapoleone 400 metri da record
Non è solo l’arteria centrale del Quadrilatero della Moda, ma un ecosistema in continua evoluzione. Per restare qui, bisogna innovare e investire: del resto, è la via con gli affitti più alti al mondo. Un motivo in più per percorrere ancora una volta quei 400 metri tra corso Matteotti e via Manzoni (più qualche deviazione strategica), dove si concentrano ristrutturazioni, scontrini da record e storie sorprendenti
DI ANDREA BIGOZZI, ELISABETTA FABBRI, MARIA CRISTINA PAVARINI
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L'anno dei record: tutti i numeri
Oggi la via commerciale più potente al mondo è Montenapoleone. Il giro d’affari che genera è enorme: il Quadrilatero della Moda, di cui questa strada è il cuore pulsante, contribuisce a oltre il 12% del Pil di Milano, grazie a 12,6 milioni di visitatori. Ogni giorno si registrano nuovi record, con cifre da capogiro e scontrini medi tax free che, secondo Global Blue, nel Montenapoleone District (che comprende le vie Montenapoleone, Sant’Andrea, Verri, Santo Spirito, Gesù, Bagutta e San Pietro all’Orto) hanno raggiunto i 2.525 euro, più del doppio rispetto alla media nazionale di 1.012 euro, trainati dagli acquisti dei visitatori statunitensi (+18% del totale), ma con i cinesi top spender (3.185 euro). A questi numeri si aggiungono gli affitti che nel 2024, secondo Cushman & Wakefield, hanno toccato livelli senza precedenti: 20mila euro al metro quadro all’anno, rendendo via Montenapoleone la strada più costosa al mondo. Un’escalation impressionante, se si considera che nel 2014 il prezzo era meno della metà (8.500 euro al metro quadro) e nel 2004 appena 1.950 euro al metro quadro. E poi, l’ennesimo primato: l’acquisto dell’immobile al civico 8 da parte di Kering, la più grande transazione per un singolo asset mai registrata in Italia. Un successo che merita di essere analizzato, perché racconta molto del mondo verso cui ci stiamo dirigendo. Per questo abbiamo condotto un’indagine articolata in più tappe, andando oltre i numeri e le notizie di cronaca e raccogliendo le voci di chi vive e lavora nell'area, che non è solo una destinazione, ma uno status. ■
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L'espansione è in verticale: serve più spazio per food e lifestyle
Il lusso reclama più spazio in via Montenapoleone e l’unico modo per ottenerlo è guardare in alto. Coinvolgere i clienti con esperienze esclusive - e far crescere i profitti - significa ampliare i negozi, ma con 66 boutique su strada (numero in calo rispetto al passato, dato l’accorpamento di alcuni spazi), l’espansione può avvenire solo in verticale. «Chi vuole crescere deve salire di piano», spiega Antonella Mastrototaro di 18 Montenapoleone, società di consulenza e brokeraggio. Fendi ha colto il segnale e sta preparando il trasloco per fine 2025: dal civico 3 al civico 1, occupando l’intero palazzo. Top secret i dettagli sulla ristrutturazione dell’ex boutique Fratelli Rossetti (che ha dominato lì per 52 anni), ma l’idea è chiara: retail ai piani bassi, ristorazione e ospitalità in quelli superiori, con un partnership in arrivo con la Langosteria. Un format, quello "retail più ricettività", già confermato da Louis Vuitton, che proprio di fronte (civico 1) riaprirà il suo flagship store entro il primo semestre del 2025 con una novità: il suo primo ristorante in Italia. Nello stesso immobile, ovvero il palazzetto Taverna Radice Fossati, si stanno rifacendo il look anche Bulgari e Tiffany e chissà che anche loro non introducano nuove formule retail, dimostrando che la via è pronta ad aprirsi a
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15 % sul canone di affitto del primo anno: è la provvigione una tantum per le agenzie immobiliari della zona
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Un district da 12,6 milioni di visitatori, il picco con il Design
Il Quadrilatero ha un’associazioneMontenapoleone District - che riunisce più di 130 marchi e hotel a 5 Stelle della zona. Fondata nel 2010 da Guglielmo Miani (al vertice di Larusmiani, marchio del menswear con boutique al 10 di via Verri, in un immobile di proprietà) vuole far conoscere le altre sfaccettature del tempio dello shopping - tra storia, tradizione, creatività e innovazione - attraverso eventi culturali, benefici e commerciali. Anche grazie a questa attività promozionale, l’area è sempre più attraente. In base a stime di Deloitte, nel 2024 ha attirato 12,6 milioni di visitatori unici: il 15% in più rispetto al 2023 e +23% sul 2019. Per il 56% sono uomini e il 63% è alto spendente. I momenti di picco sono con la design week, le fashion week donna e con l’evento La Vendemmia di MonteNapoleone. Convinto della centralità del negozio fisico e della vendita diretta, il presidente Miani punta a «un servizio sempre più esclusivo e personalizzato». In tal senso si prepara a nuove sfide. Come il recente passaggio a Zona a Traffico Limitato, accettato dall’associazione ma a certe condizioni, tra cui l’introduzione di una fascia di tolleranza di 30-45 minuti per chi non trova parcheggio. Per rendere l’area più inclusiva, sarebbero utili anche un servizio di parcheggio custodito e la
realizzazione di aree di sosta a uso drop off e pick up. Intanto l’iconico distretto si dice pronto all’allargamento dei marciapiedi e all’equiparazione del manto stradale, i cui costi sarebbero sostenuti da uno sponsor. ■
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Kering e il colpo da 1,3 miliardi. Vero affare o mossa rischiosa?
Un record assoluto: mai in Italia un singolo immobile era stato venduto per una cifra così alta. Con l’acquisto del prestigioso palazzo di via Montenapoleone 8 per 1,3 miliardi di euro, lo scorso aprile Kering si è assicurato una delle posizioni più ambite nel Quadrilatero della moda. Ma a quale prezzo? Il colosso del lusso francese ha pagato per un solo edificio quanto Blackstone aveva sborsato nel 2021 per un intero pacchetto di 13 asset. Un affare straordinario per il fondo americano, che in un solo colpo ha recuperato l’intero investimento. Ma per il gruppo che controlla Gucci e Saint Laurent si tratta di una mossa strategica vincente o di un rischio eccessivo? Se il rendimento da locazione non giustifica un esborso del genere, la chiave sta nella visione a lungo termine: assicurarsi una presenza fissa in una delle vie più prestigiose del mondo, blindando il posizionamento del gruppo in un mercato sempre più competitivo. D’altronde il settore del lusso sta investendo massicciamente nel retail fisico, con oltre 10
miliardi spesi negli ultimi cinque anni, ma questa corsa agli immobili potrebbe non essere sostenibile per tutti. L’acquisto diretto riduce il ritorno sul capitale investito e per i brand più piccoli potrebbe rivelarsi una strategia insostenibile. Esistono alternative? Secondo Luca Solca di Bernstein, esplorare strade meno battute come via della Spiga o puntare su boutique esclusive su appuntamento potrebbe offrire un compromesso tra prestigio e sostenibilità economica. Ma per i grandi gruppi, la partita sembra ormai chiara: il controllo degli spazi fisici è diventato un tassello essenziale nelle strategie del lusso. E Kering, con questo colpo da 1,3 miliardi, ha deciso di giocare all-inw
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Chi vuole esserci deve passare da lei
to di forza di Montenapoleone? «La sua esclusività. La scarsità di immobili disponibili protegge il mercato da fluttuazioni eccessive», risponde, suggerendo però di guardare anche oltre: via Sant’Andreala prima alternativa - e via della Spiga, destinata a riprendersi, mentre Galleria Vittorio Emanuele II, oggi ambitissima, potrebbe rivelarsi alla lunga meno strategica. Per chi vorrà essere nelle giuste location del Golden triangle di Milano una cosa è quasi certa: dovrà passare da lei. ■
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Un polo dello shopping tax free ma si può fare di più
3.185 €
il valore dello scontrino medio dei turisti cinesi, sono quelli con la capacità di spesa maggiore
Fonte: Global Blue
Se un brand ha un negozio in via Montenapoleone, è probabile che abbia avuto a che fare con Antonella Mastrototaro. Da quasi 50 anni, prima con la FIM e ora con 18Montenapoleone, è il punto di riferimento per chi cerca le location più esclusive nel Quadrilatero. Tra le sue operazioni più recenti il trasferimento di Chanel negli spazi di Larusmiani: una conferma del suo ruolo chiave nel mercato immobiliare del lusso in cui opera da indipendente, resistendo alla concorrenza dei grandi gruppi internazionali. Il suo modello di business è semplice ed efficace: una commissione una tantum del 15% sul primo anno di affitto. Nel 2023 il fatturato della società di cui Mastrototaro è socia di maggioranza (affiancata da Maristella Brambilla e Laura Malgrati) ha sfiorato i 2 milioni di euro, a conferma della sua capacità di chiudere contratti di valore. Ma il suo più grande valore è la conoscenza capillare di via Montenapoleone e della sua struttura proprietaria: su 37 palazzi, 28 sono di una sola famiglia. Mastrototaro ne conosce dinamiche e decision-maker grazie a un network costruito in decenni, anche perché sia la sua agenzia che la sua residenza si trovano sulla via. Il pun-
Global Blue ha inaugurato la sua Vip Lounge di Milano nel 2015, in occasione di Expo. Un progetto pilota (poi esteso ad altre destinazioni turistiche in Italia e all’estero), nato dopo un sondaggio rivolto ai principali store nel Quadrilatero, da cui emergeva la necessità di creare un un hub accogliente, di supporto ai turisti internazionali altospendenti, per esigenze pratiche e informazioni personalizzate sul tax free shopping. «Nella Lounge - spiega Stefano Rizzi, managing director Italy di Globa Blue - i visitatori trovano un ambiente sereno dove rilassarsi e accedere al Wi-Fi. I brand partner, invece, possono presentare i loro prodotti e la loro storia: un’occasione per interagire con clienti e trovare nuove opportunità di vendita.
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Questi servizi sono garantiti da un team qualificato, che fornisce assistenza in oltre 10 lingue a circa 140 turisti stranieri al giorno, su invito da parte delle boutique». «In 10 anni di attività - prosegue Rizzi - abbiamo affinato la capacità di comprendere e soddisfare le aspettative di un turista sempre più esigente e quelle delle boutique partner, mentre il Quadrilatero ha continuato a crescere come polo dello shopping tax free, elevando il ruolo di Milano a livello nazionale ed europeo». Margini di miglioramento? «A sentire i turisti - risponde - emergono esigenze che esulano da Global Blue e che portiamo all’attenzione di mercato e istituzioni. Nel Quadrilatero potrebbero essere utili un’estensione degli orari di apertura delle boutique in periodi strategici dell’anno, una maggiore integrazione tra on e offline e un’attenzione più alta alla sicurezza». ■
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I canoni record?
Non è tutto oro…
Siamo sicuri di poter festeggiare il record di via Montenapoleone? Negli stessi giorni in cui Cushman & Wakefield la proclama strada dello shopping più costosa al mondo, con affitti di 20mila euro al metro quadro l’anno, arriva la notizia della chiusura delle storiche Vetrerie Empoli, che lasciano il posto ad Antonio Marras. Con le sue vetrine di calici trasparenti, colorati e bordati in oro, il negozio si trovava al civico 22 di Montenapoleone dal 1996, subentrato a un antiquario che, a sua volta, aveva preso il posto del cestaio El Cavagnat. L’attenzione al mix, fra botteghe storiche e nuovi arrivi, almeno nelle intenzioni c'è. Ma lungo i 400 metri della via che spazio è rimasto per ciò che non è lusso? Giusto Cova. Il fruttivendolo Moretti e i casalinghi Raimondi sono ormai solo ricordi. E la coltelleria Lorenzi è ospitata da Larusmiani, mentre Il Salumaio ha traslocato in via Santo Spirito, vicina geograficamente ma distantissima quanto a canoni. Dopo 90 anni di presenza nel Quadrilatero, Vetrerie Empoli pare riaprirà altrove, portando con sé tra-
dizione e memoria lasciandosi alle spalle una Montenapoleone sempre più performante, ma troppo esclusiva, che possono permettersi solo i marchi di Lvmh e Kering. A parlare milanese restano per il momento i padroni degli immobili: qui molti palazzi appartengono ancora a storiche famiglie della città, a partire da quelli della Fondazione Invernizzi ■
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Nel cuore del Quadrilatero della Moda, tra boutique esclusive e hotel di lusso, c’è chi ha scelto di restare per custodire un pezzo di storia. Camilla Bagatti Valsecchi è una delle poche residenti rimaste e, soprattutto, la presidente del Museo Bagatti Valsecchi, la dimora di famiglia trasformata in un gioiello culturale. «Sono sempre vissuta qui - racconta - e ricordo quando, nel 1976, mi sono trasferita nell’edificio di fronte. Amo il Quadrilatero e questo è uno dei palazzi più belli di Milano. Un tempo era un peso mantenerlo, oggi un lusso notevole. Dobbiamo organizzare sempre nuovi eventi, affinché resti in vita». Il Bagatti Valsecchi è un esempio unico di casamuseo. A fine Ottocento, i baroni Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi ristrutturarono la dimora storica ispirandosi al Rinascimento lombardo e la arricchirono con manufatti e dipinti del Quattrocento e Cinquecento. Per decenni, fino agli anni ’70, le sue stanze hanno accolto intellettuali, scrittori, aristocratici, il jet set internazionale e scolaresche, affascinati dal suo patrimonio artistico. Nel 1974 nasce
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una fondazione a cui fa capo la collezione e, parallelamente, il palazzo passa sotto l’egida della Regione. Dal 1994 il Museo è aperto al pubblico e continua a essere un punto di riferimento culturale, ospitando eventi e progetti artistici, con qualche incursione nel mondo della moda. Nonostante il prestigio della sua casa, Camilla Bagatti Valsecchi avverte il cambiamento del quartiere: «Vivrò sempre qui, ma siamo rimasti in pochi. Apprezzo la presenza delle boutique del lusso, però non ci sono più servizi, né botteghe. Anche l’asilo di via Spiga, storico punto di riferimento del quartiere, ha chiuso due anni fa. E chissà poi come sarà lo scenario con la ZTL». ■
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I multimarca: per fortuna c'è chi va controcorrente
Nel Quadrilatero della Moda, tra le vetrine scintillanti dei grandi monomarca, pochi multimarca selezionati come Gio Moretti, Banner, Dantone e Antonia offrono un’alternativa di valore. Oltre a proporre una ricerca costante, questi negozi aprono il distretto del lusso ai brand emergenti, che difficilmente potrebbero permettersi uno spazio proprio in una delle vie più esclusive al mondo. Gio Moretti, istituzione storica di via della Spiga, è da sempre un punto di riferimento per una clientela internazionale e trasversale. «Vestiamo tre generazioni di clienti», racconta Giovina Moretti, che oggi guida la boutique con la figlia. Con 2.500 metri quadri su tre piani, lo store affianca nomi iconici come
12,6 milioni i visitatori nel Quadrilatero nel 2024, in crescita del 15% sul 2023
Fonte: Deloitte
Il baluardo della cultura tra il cuore e gli affari
Gio Moretti Banner
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Chloé e Manolo Blahnik a nuovi talenti come Area. «Ho aperto prima che si affermassero Armani e Versace e da allora non mi sono mai spostata- spiega -. Nonostante la presenza di tanti monomarca, i nostri clienti ci scelgono perché conosciamo i loro gusti, selezioniamo per loro capi che ameranno e garantiamo un servizio impeccabile». Anche Banner, boutique di via Sant’Andrea aperta nel 1993 e progettata da Gae Aulenti, si è sempre distinta per la ricerca di marchi innovativi. «È nata come un progetto controcorrente, uno spazio per presentare brand e idee fuori dal comune», sottolinea Carla Cereda Biffi, che ribadisce: «Per questo siamo una realtà ben diversa dai molti monomarca presenti in zona». ■
2.525 €
l'importo dello scontrino medio nel Montenapoleone District nel 2024, in aumento dell’8% rispetto al 2023
Fonte: Global Blue
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La caccia all'affare va a gonfie vele anche nel tempio del lusso
Nel Quadrilatero della moda, tra boutique di lusso e flagship store, spiccano due Dmagazine Outlet, che registrano ottime performance. Ogni anno vi transitano circa 3mila marchi, italiani e internazionali, tutti autentici e provenienti da boutique che smaltiscono le collezioni passate. A gestirli è Daniele Antonioli, fratello di Claudio, altro noto imprenditore milanese della moda e non solo. Il primo Dmagazine ha aperto nel 1990 in via Montenapoleone 26, per poi trasfe-
rirsi nel 2012 in via Manzoni 44 a causa dell’aumento dell’affitto. Già nel 2008, Antonioli aveva inaugurato un altro spazio in via Bigli 4. «Le vendite - dice - restano solide, anche dopo il trasloco: i clienti ci hanno semplicemente seguiti. Abbiamo molti habitué, italiani e internazionali, che tornano per eventi come il Salone del Mobile o per passione. Spesso visitano tutti i nostri outlet, incluso quello di via Forcella, perché l’offerta varia da negozio a negozio». Anche il profilo del cliente e le sue abitudini sono rimasti invariati: «Cerca prodotti di marca con sconti dal 40% al 70% sul prezzo originario, che nei saldi possono arrivare fino all’80%». Gestire un negozio in questa zona presenta sfide: «Il problema principale è la sicurezza. Abbiamo una guardia all’ingresso per prevenire i furti». Un’altra difficoltà è l’afflusso di clienti. «Con tanta merce esposta - conclude Antonioli - il disordine è inevitabile. Servirebbe più personale, ma ciò alzerebbe i prezzi. Manteniamo quindi un ordine accettabile, senza snaturare l’identità dell’outlet». ■
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La riscoperta del Quadrilatero in compagnia di Lina Sotis
Il piacere di incontrare Lina Sotis e ascoltarla parlare con il brio del Quadrilatero della Moda. Un microcosmo che conosce a fondo, avendolo vissuto da cronista de Il Corriere della Sera e da insider, dati gli anni trascorsi in un appartamento in via della Spiga. «Ho visto l'area trasformarsi sotto i miei occhi - raccon-
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20MILA €
al mq l'anno: è il record mondiale dei canoni d'affitto detenuto da Montenapoleone a Milano. Per la stessa superficie nel 2004 servivano meno di 2mila euro
Fonte: Cushman & Wakefield
ta -. Da quartiere residenziale a vetrina scintillante della Milano da Bere anni ’80, quando l’individualismo sfrenato e l’ostentazione portarono nell’oblio attività come quella delle sorelle Pirovano o la tolettatura per cani Beneggi». A innescare il cambiamento furono Roberto Moretti e sua moglie Giovina. «Aprirono un negozio in via della Spiga con un’idea azzardata per l’epoca: rendere la strada così esclusiva, da attrarre persino una maison come Hermès. Nessuno ci credeva, ma ci riuscirono», ricorda Sotis, che nel 1984 imperversava con il manuale sul Bon Ton. Da allora, però, il Quadrilatero ha preso un’altra piega e un po’ lei se ne rammarica: un tempo lo shopping era un rituale, le boutique un punto d’incontro, il passeggio un codice sociale. Oggi, invece, sembra che tutto ruoti intorno ai turisti altospendenti. «Ma Montenapoleone non dovrebbe pensare solo a loro», sottolinea. Per lei, la rendita non dovrebbe mai soffocare la creatività. «Comprendo le ambizioni globali della via, che riflettono quelle di Milano, ma il vero valore è altro - dice -. Far crescere le imprese, creare occupazione, investire su idee nuove». Ne parla spesso con l'amico Carlo Mazzoni, nato e cresciuto in via Bagutta: «Il Quadrilatero è in fermento, ma la svolta non partirà da Montenapoleone. Saranno le strade limitrofe a dare il via al cambiamento, dove alcune vetrine restano vuote, ma qualcosa potrebbe cambiare». La chiave qual è? Esclusività vera, non omologazione. Prodotti unici, disponibili solo qui, a prezzi non proibitivi. «Proprio come quelli che, un tempo, hanno reso il Quadrilatero un mitoconclude -. Un mito può evolversi, senza perdere ciò che lo ha reso tale: autenticità, originalità e identità». ■
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«Vi presento The Wilde, il members' club che mancava a Milano»
Noto investitore nei settori del tempo libero e dell'hospitality, Gary Landesberg si è innamorato della Villa del Platano in via dei Giardini 16 e l'ha trasformata in un club per manager, leader, artisti e menti curiose, in cerca di esperienze memorabili
Tutti ne parlano, ma solo una ristretta cerchia di privilegiati può accedervi: il suo nome è The Wilde e si tratta di un club che ha aperto in uno dei luoghi più suggestivi di Milano, la villa costruita negli anni Cinquanta dagli architetti Carlo De Carli e Antonio Carminati, già residenza di Santo Versace. Gary Landesberg l'ha trasformata in un luogo dove offrire esperienze uniche a una clientela esigente e internazionale: «Amo profondamente questa città, che sta vivendo una fase di rinascita - racconta Landesberg in questa intervista -. Mancava un club che fosse davvero eccezionale e ora è realtà: lussuoso ma discreto, proprio come la Milano che mi piace».
Qual è il suo rapporto con Milano?
Il mio amore per Milano risale a ben prima di concepire The Wilde. Può sembrare ovvio dire che mi piace l’incredibile cibo che si trova qui, ma ciò che davvero distingue Milano è il suo fascino unico. La città emana un senso di bellezza privata e di lusso discreto, che è contemporaneamente senza tempo e fonte di ispirazione: un’eleganza tranquilla in profonda sintonia con il mio modo di essere e, in ultima analisi, con l’idea di The Wilde.
Si reca spesso in città? Quali sono i suoi luoghi preferiti?
Di recente ho trascorso molto più tempo a Milano, soprattutto per il lancio di The Wilde, il mio ultimo progetto in ordine di tempo. È stato meraviglioso immergermi nella città e nella sua energia. Per quanto riguarda i miei luoghi preferiti, amo esplorare il quartiere di Brera per il suo fascino artistico e l’atmosfera vibrante. Tra i ristoranti, luoghi come Langosteria e Giacomo Milano non deludono mai. Ho anche avuto la fortuna di stabilire nuove amicizie e contatti qui e mi piace molto la grande ospitalità dei milanesi nelle loro belle case private, che riflette perfettamente il calore e l’eleganza della città. Naturalmente, apprezzo anche i momenti tranquilli in posti come Villa Necchi Campiglio, che incarna il senso
unico del lusso sobrio di Milano. La città ha molto da offrire e c'è sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
Perché ha scelto Milano per l’apertura di The Wilde?
Sentivo che qui mancava un members' club che fosse davvero eccezionale. In quanto città sempre più internazionale,
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«I nostri soci possono beneficiare dei più alti standard di servizio, in un ambiente progettato per ispirarli e sostenerli»
Gary Landesberg
con un ricco patrimonio culturale, una cucina unica e un ruolo centrale nell’industria della moda, Milano è perfetta per ospitare un luogo di questo tipo.
Continuo a sentire da investitori immobiliari che Milano è ancora indietro rispetto ad altre grandi
città. È d'accordo?
Milano si è affermata come polo mondiale della moda, del design e della cultura, ma dal punto di vista immobiliare ha ancora un potenziale inutilizzato, se confrontata con altre metropoli. Sebbene sia stata registrata una crescita significativa, alcune aree, in particolare nel settore del lusso, non sono ancora state valorizzate al meglio. Ciò rappresenta un’opportunità unica per investimenti strategici in sviluppi a uso misto di alto livello o in progetti di ospitalità di lusso che si rivolgono a una clientela sofisticata e internazionale. Con la giusta visione, il mercato immobiliare milanese ha ampio spazio per elevare ulteriormente la propria posizione a livello globale.
A Milano ci sono hotel a cinque stelle e la Soho House sta per essere inaugurata. La concorrenza nel mercato dell’ospitalità di fascia alta si sta scaldando?
In effetti siamo di fronte a un contesto sempre più dinamico. In città sono già operativi diversi hotel cinque stelle e molti altri sono in fase di sviluppo, a testimonianza della crescente domanda da parte di una clientela internazionale. L’aggiunta di Soho House e di altri progetti di lusso di prossima realizzazione evidenzia l’attrattiva di Milano come destinazione per i viaggiatori più esigenti.
Se da un lato la concorrenza si fa più agguerrita, dall’altro ciò rappresenta un’interessante opportunità per i marchi di differenziarsi attraverso un servizio eccezionale, concept unici ed esperienze innovative, in linea con la reputazione di Milano come capitale globale dello stile e della raffinatezza.
Avete scelto l’ex residenza di Santo Versace. Perché la location è quella giusta per il Wilde?
Villa del Platano mi ha conquistato per diversi motivi, a cominciare dalla sua posizione: nel cuore di Milano, ma con un senso di privacy. Si trova in una strada tranquilla, con un giardino e la vista su un’area verde della città, circondata da
eleganti case private. Cercavo un luogo con uno spazio esterno che potesse dare ai nostri ospiti un'accoglienza speciale con un ingresso dedicato. Il fatto che la Villa sia un edificio storico con un passato affascinante (è stata la casa di Santo Versace) è stato un fattore decisivo.
Chi è il cliente a cui vi rivolgete con The Wilde?
Riflettendo il vibrante mix di personalità che fanno di Milano un hub globale, i nostri membri rappresentano un’ampia gamma di settori tra cui finanza, affari, immobiliare, moda, design e tecnologia. Siamo particolarmente interessati a entrare in contatto con expat, professionisti del settore artistico e musicale, nonché con una generazione emergente di futuri leader, in grado di portare nuove prospettive e creatività alla nostra comunità.
Supponiamo che qualcuno non abbia mai sentito parlare di The Wilde. Qual è il vostro elevator pitch per far sì che non abbia altra scelta, se non quella di diventare un membro?
In primo luogo, il servizio e l’offerta sono importanti in termini di ristorazione e bar: i nostri sono i migliori che si possano trovare in città. In secondo luogo, siamo in grado di offrire un programma culturale e di intrattenimento di livello globale. Un club deve garantire esperienze uniche, pensate per una clientela eterogenea, con un filo conduttore: chi viene da noi trascorre del tempo come se si trovasse a casa sua. The Wilde vuole ridefinire l’ospitalità tradizionale, elevandola grazie all’integrazione perfetta di tecnologie digitali all’avanguardia, per allinearsi agli stili di vita contemporanei degli ospiti. Vogliamo soddisfare le esigenze attuali, grazie a uno spazio accogliente in cui sentirsi completamente a casa. Sia che lavorino, che si colleghino con gli amici, che vogliano condividere momenti memorabili o che rimangano connessi senza sforzo, i nostri soci possono beneficiare dei più
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La direzione creativa è di
alti standard di servizio, in un ambiente progettato per ispirarli e sostenerli.
Quanto è importante la comunità degli expat?
Milano sta diventando sempre più internazionale e uno dei nostri obiettivi principali è proprio questo, promuove-
re una comunità diversificata e inclusiva. Puntiamo ad attrarre persone che si sono trasferite in città dall’estero e che potrebbero già avere familiarità con concept simili a questo.
Quanto sono importanti gli eventi per rendere The Wilde un luogo speciale? Sono cruciali? O solo un’aggiunta?
L’intrattenimento e un programma artistico e culturale esclusivo sono la chiave del nostro concept: la programmazione unica di The Wilde è pensata per coinvolgere e ispirare le menti più curiose. Ed Tang, cofondatore di Art-Bureau, un consulente d’arte globale che sta guidando una nuova generazione di collezionisti con la sua visione contemporanea dell’arte, ha curato per noi una collezione d’arte dedicata, con opere di nomi di fama internazionale come Diane Dal Pra, Andy Warhol e molti altri. Questa curatela artistica sottolinea l’impegno di The Wilde nell’integrare e celebrare la diversità culturale, riflettendo lo spirito cosmopolita di Milano.
Ultima domanda: quali sono secondo lei le città internazionali che considera più interessanti e stimolanti in questo momento? È sempre affascinante vedere come si evolvono le città, e al momento sono diverse le città che a mio parere vanno tenute d'occhio. Londra rimane una costante fonte di ispirazione, con il suo dinamico mix di culture e industrie. Dubai continua a stupire per il suo rapido sviluppo e la sua capacità di attrarre talenti globali. Anche Tokyo mi affascina per la perfetta fusione di tradizione e innovazione. Milano, naturalmente, fa parte di questa lista: sta vivendo una rinascita, diventando sempre più internazionale e vivace, pur rimanendo fedele alle sue radici nella moda, nel design e nella cultura. Ognuna di queste città offre qualcosa di unico, che le rende luoghi interessanti da osservare e, quando possibile, a cui contribuire. ■
TOBIAS BAYER
Una ristorazione di alto livello è uno dei punti di forza del nuovo The Wilde
Il club è pensato per far sentire i suoi membri come se fossero a casa propria
L'interior décor è firmato da Fabrizio Casiraghi.
Alasdhair Willis
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Cleopatra – HVPU
PHOTOGRAPHY BY TXEMA YESTE
ETNIA BARCELONA: COLORE E CREATIVITÀ AL POTERE
Presentata attraverso l’obiettivo di Txema Yeste, la collezione Primavera-Estate 2025 del brand catalano rende omaggio allo spirito creativo, alla visione artistica e alla forza del colore
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Quarantatré modelli da vista e ventitré da sole, contrassegnati da tonalità vivide e design innovativi, invitano a guardare il mondo attraverso una lente artistica. La collezione dedicata alla PrimaveraEstate 2025 di Etnia Barcelona – brand indipendente di eyewear fondato nel 2001 nell’omonima città catalana –incarna l’essenza del manifesto del marchio, che pone la creatività al centro della propria identità. L’invito è ad adottare un atteggiamento audace nella
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vita, abbracciando l’unicità di ciascuno come una forma d’arte.
Non a caso, lo slogan del nuovo lancio è “Be An Artist”, interpretato dal fotografo Txema Yeste come il punto di partenza per celebrare lo spirito creativo, la visione artistica e il potere del colore, capace di trasformare la moda in poesia visiva, con l’invito a guardare oltre la superficie e a immergersi in un mondo in cui la creatività non conosce confini. Ogni collezione Etnia Barcelona è
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sviluppata da zero dal team di design del brand, che supervisiona l’intero processo creativo. Segno distintivo è l’ampiezza di riferimenti cromatici per ogni modello, realizzato con materiali naturali e di alta qualità, come l’acetato naturale di Mazzucchelli e le lenti di vetro minerale HD.
L’azienda è attualmente presente in oltre cinquanta Paesi, con più di quindicimila punti vendita ottici nei mercati di tutto il mondo, grazie anche alle filiali di Miami, Vancouver e Hong Kong.
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ETNIA
Emozionare la clientela? Mai stato così difficile
Vendite per lo più stabili nella FW24/25 e cautela sui budget per le nuove collezioni. Mentre nel lusso è sempre alta la pressione sui prezzi e il turnover di direttori creativi genera insicurezze, i segmenti premium e medio-alto si vedono scippare quote nel "basico" da realtà come Zara. Ai brand si chiede innovazione nei tessuti, forme e colori, ma non è così scontato trovarla
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Euforia distribuita con il contagocce e parecchio attendismo da parte degli oltre 40 retailer italiani che hanno risposto al nostro sondaggio sul sell out stagionale, stavolta diviso in due articoli: uno sull’abbigliamento femminile e l’altro sugli accessori (a pag. 70), sempre donna, pubblicato all’interno dello speciale dedicato al settore in questo numero. Abbiamo fatto il punto sulle vendite mentre si tiravano le somme della prima sfilata di haute couture Valentino disegnata da Alessandro Michele e, a pochi giorni di distanza, veniva annunciata la separazione tra Gucci e Sabato De Sarno, oggetto di uno dei nostri sondaggi online - una novità per fashionmagazine.it - del quale pubblichiamo in queste pagine i risultati. Il periodo è mosso e incerto, con Matthieu Blazy passato da Bottega Veneta a Chanel, Glenn Martens ora alla guida di Maison Margiela, Daniel Lee che potrebbe passare da Burberry a Jil Sander, Kim Jones di nuovo sul mercato e altre situazioni aperte, compresa la poltrona di ceo di Ferragamo vuota, dopo l'addio di Gobbetti. Un quadro che, soprattutto per chi si occupa di lusso, genera tanti interrogativi. Ma anche il segmento premium non deve abbassare la guardia.
Partendo dalle vendite, la sensazione è che si proceda con cautela, in uno scenario improntato alla stabilità per il 58% del panel, mentre il 22% denuncia cali anche pesanti: se infatti alcuni intervistati parlano di una flessione a cifra singola, dal 3% al 6%, in qualche caso si arriva a un -10% o anche a un -20%. C’è da dire che, nonostante i soddisfatti siano una minoranza (20%), alcuni segnalano incrementi importanti, dal +10% al +25%. Segno che soprattutto nella fase attuale il brand mix, la location e, non ultime, le partnership
L'interno di Gaudenzi Boutique a Riccione
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con brand selezionati per progetti ed eventi instore possono fare la differenza. Tra le merceologie stravince il cappotto, che nell’ambito dei capispalla da esterno surclassa piumini e giacconi sportivi, mentre si nota la quasi scomparsa dal guardaroba femminile di gonne, pantaloni eleganti e abiti. Il cappotto domina anche nelle segnalazioni dei capi “must have”, con una fascia prezzi alla consumatrice finale che va dai 700 euro ai circa 2.300 euro dei modelli di un brand che sui cappotti ha costruito la sua fortuna, Max Mara: guarda caso, questo marchio domina la classifica dei best seller sia nei negozi fisici che nell’e-commerce.
«Max Mara piace anche alle ventennicommenta Cesare Tadolini de L’Incontro -. Il prodotto è eccellente, il prezzo giusto in rapporto alla qualità, le consegne perfette. Una sicurezza». Il brand in capo alla famiglia Maramotti può essere considerato un classico «e questa parola ancora funziona - dice Tadolini - ma solo a patto che il tessuto sia di pregio e il prezzo non esagerato». Classico però può anche significare qualcosa di già visto, che non riesce a emozionare la consumatrice. «Vedo in giro molta ripetitività, forse frutto di una paura diffusa - riflette il retailer modenese -.
Basti pensare al Mocha Mousse, colore dell’anno secondo Pantone, in sostanza un beige che sconfina nel marroncino, grigino, cammellino. Ma noi abbiamo bisogno di colore, anche per ravvivare le nostre vetrine, che altrimenti non invogliano le persone a entrare in negozio. Mancano il fucsia, il verde smeraldo, il rosa, non esagerati, certo, ma ben dosati: in questo autunno-inverno non si è andati più in là del burgundy, che pure ha funzionato al di là delle aspettative. Ma poi chi ha detto che un piumino
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* Risposte multiple
È AMMONTATO
The Apartment
Biffi Boutique
Vela Shop
Restyling BergamoProgetto Nori Studio
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I best seller
debba essere per forza nero o un tailleur grigio tinta unita? Anche sui tessuti capita talvolta di trovare in una nuova collezione quelli dell’anno prima. Così non va». Cesare Tadolini cita tra i brand apprezzati dalle sue clienti P.A.R.O.S.H. («Lo abbiamo da 40 anni e non delude, un cappotto ricamato per esempio non supera i 1.000 euro») e anche Avant Toi con le sue sciarpe numerate, 200 in tutto il mondo, «che fanno sentire la cliente unica e speciale».
C’è chi accenna, senza mezzi termini, a un «piattume generale, in un momento di transizione economica che non incoraggia grandi slanci creativi». E tra i competitor dei brand del medio ma anche alto di gamma viene sempre più spesso citato un nome che prima non impensieriva, Zara, che infatti sta macinando crescite di fatturato a doppia cifra. «Il problema - afferma Marco Inzerillo di Michele Inzerillo a Palermoè che il retailer spagnolo in primis, ma non solo lui, sta attirando una fetta di consumatrici che prima comprava nei nostri punti vendita il "basico": una categoria merceologica che dava un contributo al fatturato e ora per noi si sta drasticamente riducendo. Per dirla in altri termini, oggi può restare sugli scaffali un girocollo in cashmere dal prezzo non proibitivo, 250 euro, e uscire bene dal negozio una felpa particolare, sempre in cashmere, con un cartellino intorno ai 900 euro». Il rischio sempre dietro l’angolo è perdere marginalità: nel lusso, perché i prezzi eccessivi iniziano a stancare persino le clienti altospendenti, e nel premium perché, tra le varie insidie, c'è appunto l’offensiva di alcune catene che stanno migliorando la qualità delle loro proposte e ritoccando verso l’alto, ma non troppo, i listini. «L'unica è diversificare e continuare a rinnovar-
QUAL
È STATO
IL MARCHIO BEST SELLER DI ABBIGLIAMENTO DONNA DELLA FW24/25?
MAX MARA
MIU MIU, HERNO, POLO RALPH LAUREN
CELINE, MONCLER
BARBOUR, LOEWE, TAGLIATORE, ELISABETTA FRANCHI 1 2 3 4
E IL MARCHIO CHE HA VENDUTO MEGLIO ONLINE?
1 2 3
MAX MARA
MIU MIU, MONCLER
DIESEL, MOSCHINO, ELISABETTA FRANCHI, LOEWE
ci con nuovi inserimenti», spiega Didi Corbetta di Valtellini, ma si impone anche la necessità di fare pulizia. «Spesso si parla dei brand che fanno selezione nel canale wholesale ma accade anche il fenomeno inverso, che sia il negoziante a dover scegliere. Se su cinque aziende due non funzionano o sono troppo impositive, alla fine si lasciano, cementando la partnership con quelle che rimangono e impegnandosi a crearne delle nuove. Quasi nessun marchio viene ritenuto indispensabile, con eccezioni come Polo Ralph Lauren, che mette
COME SONO ANDATI I SALDI DI ABBIGLIAMENTO DONNA?
58% STABILI
28% IN CALO
11% BENE
3%
NON ABBIAMO FATTO SCONTI
QUAL È STATA
LA PERCENTUALE MEDIA DI SCONTO?
d’accordo diverse generazioni», sottolinea Giulio Felloni di Felloni a Ferrara, che è anche presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio. Gianluca Castellucci di Esa Boutique precisa che a volte non dall'Italia, ma dalla Francia arrivano marchi cool, con un prezzo non impegnativo: un nome per tutti è Sézane, ma il pensiero va anche a realtà come Soeur, che ha aperto un monomarca a due passi dal Duomo a Milano.
Tra le griffe, il divorzio tra Gucci e Sabato De Sarno è stato imputato anche
Volonté Leam
SABATO DE SARNO FUORI DA GUCCI: GIUSTO O SBAGLIATO?
Su fashionmagazine.it abbiamo lanciato il nuovo sondaggio flash, dove il lettori votano con un clic. Questo il risultato su Gucci/De Sarno al 10/2/25.
Il mercato
COME È INIZIATA LA SS25 PER LA MODA FEMMINILE?
% STABILE 16% IN CALO 10% IN CRESCITA 9% NON È ANCORA INIZIATA
COME SARÀ IL VOSTRO BUDGET PER LA DONNA DELLA FW25/26?
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Filippo Marchesani
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FRANCESCA MELETTI
Buyer e responsabile e-commerce di Gaudenzi Boutique
Cosa cerca oggi la consumatrice in negozi come i vostri e sul sito gaudenziboutique.com?
Le clienti conoscono e apprezzano la nostra selezione all’interno delle collezioni dei brand che punta a un mix tra emergenti e grandi maison. Ci piace mettere in risalto l’idea del designer, filtrato per dare il giusto look a chi ci segue e crede in noi. Oggi le persone hanno 1.000 informazioni online sulla moda, ma chi entra in boutique vuole essere consigliato, aiutato e ascoltato. In questo periodo si è tornati a vestire in modo più pulito, con capi di qualità, ma la moda è anche arte e creatività: bisogna trovare il giusto bilanciamento.
In un ideale guardaroba femminile cosa metterebbe?
Un cappotto The Row, una maglia di Toteme con un pantalone di Phoebe Philo e scarpe di Bottega Veneta. Anche se il mio capo del cuore rimane sempre la camicia bianca, irrinunciabile.
Marchi emergenti donna: quali sono da tenere d’occhio?
Direi che Soeur e Rohe sono tra i più desiderati da chi cerca leggerezza, creatività, ma anche capi facilmente indossabili. Cosa pensa dei prezzi alti delle griffe?
La consumatrice è una donna moderna, anzi contemporanea, che intelligentemente osserva e giudica i prezzi. È ancora disposta a spendere, ma per ciò che è bello e che trasuda qualità, meglio ancora se percepito come esclusivo.
Quali i progetti di Gaudenzi Boutique?
Dopo aver realizzato il nuovo punto vendita di Ravenna nel 2020, oggi ci concentriamo sull’ampliamento dei nostri spazi su Riccione. Il progetto sarà curato dall’architetto Costanzi e accoglierà le collezioni uomo accanto a quelle donna, su circa 1.000 metri quadri, con la visibilità garantita da ben 16 vetrine e una corte esterna. Lo spazio ospiterà, oltre al fashion, anche il food: ne siamo molto orgogliosi ed entusiasti di poter offrire sempre nuove esperienze ai nostri clienti.
Porrini Moda e Casa Galiano
Colognese 1882
Progetto Moda
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all’eccessivo “pragmatismo” di quest’ultimo, dopo l’overdose di creatività del suo predecessore, Alessandro Michele, coerente con se stesso anche nella sua nuova sfida professionale con Valentino. Ma il “vitalismo stilistico” di Michele è contagioso? Riuscirà a scardinare il quiet luxury, che a detta di alcuni è «la classica invenzione dei brand quotati in Borsa» ma sembra impossibile da scardinare? Soprattutto, Michele funzionerà per Valentino? In molti sono perplessi o attendisti. Non manca però chi si sbilancia in positivo. «Ha dato la scossa che ci voleva», osserva per esempio Laura Pessina, mentre Giuseppe Nugnes di Nugnes dice: «Ha finalmente riportato teatralità nella moda».
Se e quanto il ciclone Alessandro Michele influirà sul resto del settore, ancora non si capisce bene e c’è chi pensa che, essendo i tempi cambiati rispetto all’era Gucci, sia difficile azzardare ora previsioni. «Quanto a Valentino, il rischio è che, avendo perso il cliente storico, non riesca ad acquisirne uno nuovo», è il timore di un intervistato. «Michele è stato a suo modo fedele agli archivi e lo ha dimostrato anche con la sua pri-
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ma haute couture - sentenzia un altro -. Certo, la prima impressione è di uno stravolgimento, in un momento in cui altre griffe, come Dolce&Gabbana, tornano al dna». Forse la chiave di lettura giusta è quella di un terzo intervistato, che fa notare come Valentino con Alessandro Michele sia da considerare una specie di startup: «Il marchio ha lasciato indietro un patrimonio di clienti, ma altri potrebbero arrivare. I risultati forse non ci saranno oggi ma domani sì, perché Michele è unico». E Gucci? Nel nostro sondaggio su fashionmagazine.it - una novità per i lettori - abbiamo chiesto se sia giusto o sbagliato il divorzio da De Sarno, ottenendo risposte quasi fifty-fifty. Di sicuro il successore (Hedi Slimane? Maria Grazia Chiuri?) si troverà alle prese con il solito problema, essere all'altezza delle richieste di ceo e top manager, definiti dal giornalista Antonio Mancinelli «alchimisti al contrario, che trasformano la creatività in piombo da Excel». «Bisognerà vedere ancora una volta quanta pazienza avranno i brand per i loro ROI», è la lapidaria conclusione di Gino Cuccuini ■
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Titolare di Vinicio Boutique
Che parola assocerebbe all’attuale momento di mercato?
Di parole ce ne sarebbero tante ma scelgo incertezza, tra prezzi andati sulla luna, che noi ci troviamo a dover spiegare e giustificare alla nostra clientela, stagioni che iniziano già in mark down, visti i saldi selvaggi, e il turnover di stilisti, ultimo in ordine di tempo De Sarno, via da Gucci a due settimane della sfilata: la riprova che stiamo attraversando un periodo di grande confusione. Qualche isola felice c’è, come le borse di Dior che vanno sempre, Fendi, Loewe e Celine che reggono, The Row che piace e, in una fascia prezzo democratica, fenomeni come Autry e Ugg. Ma il consumatore è shakerato e cerca da noi sicurezze.
Che fare in questa situazione?
Noi retailer non possiamo che ribilanciare i budget, puntando a prodotti più qualificati e che facciano emozionare la clientela. Vogliamo premiare aziende che ci danno una reale marginalità: di quelle che non stanno dalla nostra parte, alla fine possiamo anche fare a meno. È il momento di prestare la massima attenzione al mix di prodotti e alla fase degli acquisti in un mercato saturo, che ora deve sgasarsi. E di stare alla finestra: nelle case di moda ci sono tante situazioni aperte a livello stilistico, tutte da monitorare.
Rifacendosi alla famosa frase di Nietzsche sul caos che puà generare una stella danzante, accadrà così anche per la moda?
Sì, perché la moda è per sua natura capace di reinventarsi. Negli ultimi tempi ha avuto un bello scossone e c’è parecchio da rivedere a tutti i livelli, compresa l’offerta dedicata ai giovani, dove con la crisi di New Guards Group si è aperto un gap da riempire. Ma facendo questo mestiere credo nella capacità di rialzarsi di un settore che ha sempre saputo rinascere, anche nei momenti più difficili.
ALESSANDRA BIGOTTA
VINICIO RAVAGNANI
Michele Inzerillo
Nugnes
Vinicio Boutique
Incontri
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I protagonisti del nostro panel
Agnetti Macerata
Biffi Boutiques Milano, Bergamo
Boutique Cinzia Abano Terme (Pd)
Chirico Donna Messina
Clan Upstairs Milano
Colognese 1882 Montebelluna (Tv)
Cuccuini Livorno, Forte dei Marmi (Lu), Massa Carrara, Punta Ala (Gr), Porto Cervo (Ss), Madrid
Deflorio dal 1948 Noicattaro (Ba)
Divo Boutique Santa Maria a Monte (Pi) e Pontedera (Pi)
Esa Boutique San Benedetto del Tronto (Ap)
Felloni Ferrara
Fiacchini Forte dei Marmi (Lu), Viareggio (Lu) e Portovenere (Sp)
Filippo Marchesani Cupello (Ch)
Galiano Napoli
Gaudenzi Boutique Cattolica (Rn), Ravenna, Riccione (Rn)
Giglio Palermo
Giordano Boutique Pompei (Na)
Il Duomo Novara e Chamonix
Incontri Milano
Laura Pessina Monza
Leam Roma
L’Incontro Modena
Mantovani San Giovanni Valdarno (Ar), Castiglione della Pescaia (Gr), Greve in Chianti (Fi)
Marcos Mondovì (Cn)
Michele Inzerillo Palermo
Modamica Valbrembo (Bg)
Moras Boutique Intimiano (Co)
Noha (Brindisi)
Nugnes Trani (Bt)
Papillon Corigliano Calabro (Cs)
Porrini Moda e Casa Besozzo (Va)
Progetto Moda Tavagnacco (Ud)
Raffaele Panarelli L’Aquila
Spinnaker Alassio (Sv), Sanremo (Im)
The Apartment Cosenza
Tufano Moda Pompei (Na) e Scafati (Sa)
Valtellini Rovato in Franciacorta (Bs)
Vinicio Boutique Legnano (Mi), Genova, Arona (No), Novara e Puerto Banús
Vela Shop Cagliari, Sassari, Porto Rotondo (Ss)
Volonté Cagliari
Wok Gallery Milano
Zer0 Verbier (Svizzera)
Moras
Chirico Modamica
Noha Valtellini
Divo
Deflorio dal 1948
Clan Upstairs
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ELOGIO DELLA SOBRIETÀ
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Duvet puffy o giacca a vento? Cappotto lungo sartoriale o giaccone? Giubbotto da aviatore o poncho? L’inverno è sempre più indecifrabile e la moda fa di tutto per soddisfare un consumatore confuso e indeciso. A patto però che sia disposto a riscoprire il passato e a spaziare tra tessuti performanti, materie prime nobili e una maglieria che coccola, sperimentando nuovi trattamenti e inedite lavorazioni. Sovrapposti generi diversi, curato il mix di tonalità - parola d’ordine “sobrietà”, con rare concessionie dosati gli accessori, il gioco è fatto. A CURA DI ELISABETTA FABBRI
Il capospalla urban Puffy e casual chic
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SAVE THE DUCK
PEOPLE OF SHIBUYA
AFTERLABEL CANADIAN
SUN68
LOU ANDREA
BLAUER X PIRELLI
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CHRIS WANG
CEO DUNO
«La nostra è una donna dinamica, che spazia dallo slim fit all’over»
Le proposte Duno per la donna Autunno-Inverno 2025/26 puntano alla versatilità, unendo materiali innovativi a un design senza tempo. Tessuti leggeri e tecniche avanzate di lavorazione si combinano, tra funzionalità ed eleganza, per rispondere alle sfide climatiche del nostro tempo. «Le vestibilità sono state rinnovate - spiega il ceo Cris Wang -. Il look oversize rimane un elemento centrale, ma viene arricchito da silhouette più fittate, che seguono le ultime tendenze. I materiali spaziano tra velluto, lana, tessuti tecnici e cachemire. Ci rivolgiamo a una donna poliedrica, dinamica e dal guardaroba variegato, che spazia dal più classico slim fit all’over». Ci sono tante novità in questa stagione, tra cui i cappotti double in cachemire e lana lavorati a mano, con inserti in piumino removibili. «Questo mentre dal mercato dell’outerwear arrivano segnali di un interesse maggiore per un capospalla di qualità, con caratteristiche tecniche e al passo con i tempi, che possa adattarsi a tutte le occasioni d’uso», sottolinea Wang. Le aspettative sono che la FW25/26 si riveli in ulteriore crescita rispetto alla FW24/25, in ascesa sia per l’uomo che per la donna. «Il mercato trainante - stima il ceo - dovrebbe essere l’Europa, Italia inclusa, dove in questi ultimi anni stiamo crescendo in maniera importante. Intanto stiamo trattando con alcuni distributori per entrare in Corea e, da una stagione, abbiamo stretto una partnership con un distributore in America, mercato in cui crediamo molto».
DEHA
DUNO
AERONAUTICA MILITARE
MALLONI
Il capospalla elegante Classico con brio
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BARBA NAPOLI
ZONA20 MILANO
ZANTIAGO
PAUL & JOE
KHLEO
PESERICO
ANTONELLI FIRENZE
SEVENTY VENEZIA
FEDERICA BONIFACI
La maglieria Operata e cocoon
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MARIAVITTORIA CORELLI
DIRETTORE CREATIVO PLOUMANAC’H
«Qualità e innovazione, sempre più apprezzati da Usa e Giappone»
«Ploumanac’h è una linea che si rivolge a una persona in vacanza, alla ricerca di capi particolari, che non ostentano e che possono amplificare la sensazione di tempo libero». Così MariaVittoria Corelli descrive il brand di cui è direttore creativo, rivolto a clienti che apprezzano design italiano e lavorazioni di qualità e distribuito in boutique di fascia alta e department store selezionati. La FW25/26 è ispirata a un particolare tipo di legno, il driftwood. «I capi - spiegaesprimono un senso di calore avvolgente, restando influenzati dai toni salini del mare, con texture ricche e un equilibrio tra minimalismo e dettagli artigianali. Prediligiamo i materiali naturali e nobili come cashmere e lana merino extrafine, con l’aggiunta di lane bouclé e le lavorazioni tridimensionali, che danno profondità ai capi Il tutto è valorizzato dal nostro esclusivo trattamento Soffio, che dona ai colori un effetto sfumato e impalpabile». Tra i capi di punta cita la maglia Klare Soffio Art: «Un’ode al comfort e alla morbidezza, in fiocco di lana trattata con la tintura Soffio, che infonde un senso di delicatezza irresistibile». La maglia Mayer Faded Smoke Art Lux è invece in cashmere dalle sfumature lievi e con tocchi di luce, per un effetto etereo e sofisticato. «Dopo l’ottimo riscontro delle proposte della stagione in corso, sostenuto da una domanda crescente di filati pregiati e trattamenti artigianali, per la FW25/26 stimiamo un consolidamento della tendenza - dice la creative director -. Prevediamo una maggiore attenzione ai pezzi timeless e alle colorazioni esclusive, che ci porterà a un ampliamento della gamma cromatica e a lavorazioni inedite». Oltre all’Europa, Corelli vede una forte crescita negli Usa e in Giappone, grazie al mix di qualità e innovazione di Ploumanac’h, e stanno dimostrando grande interesse Corea e Germania. Sono inoltre allo studio nuove collaborazioni con alcune showroom per rafforzare la presenza del marchio in Asia.
AKEP
PLOUMANAC’H
MAURIZIO
KANGRA
LA MARTINA
AIDA BARNI
Il denim Ritorna alle origini del blue
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RINO CASTIGLIONE
PRESIDENTE E CEO
GAS MILANO 1984
«Il denim? Contaminato dall’apparel»
Con la FW 2025/26 Gas mette il denim al centro di una proposta femminile audace e sofisticata. Ispirata alle origini del marchio e arricchita da influenze british e varsity, la linea include pezzi iconici come giubbotti in denim, camicie dal taglio western e giacche in pelle. Il denim evolve anche in Gas Tailored, capsule dove il soft tailoring si fonde con l’autenticità del brand. «L’idea è coniugare l’eredità del marchio con l’innovazione, per parlare ai clienti storici ma anche alle nuove generazioni in cerca di qualità, autenticità e freschezza» , dice il presidente e ceo Rino Castiglione Fiore all’occhiello della stagione invernale è la capsule Raw Heritage, «che sperimenta tra design d’archivio, tessuti innovativi e cura meticolosa ai dettagli», puntando a chi cerca prodotti distintivi, dal design ricercato e con un posizionamento premium. Tra i pezzi chiave la salopette in denim raw 12 once non lavato, ispirata al workwear giapponese e la tuta bustier donna, dove la salopette è ibridata con un corsetto. «La nostra visione è quella di una continua contaminazione tra denim e apparel, in termini di fit e tessuti, per dare vita a combinazioni inedite e a capi trasversali, adatti a un pubblico variegato e a diverse occasioni d’uso», sottolinea Castiglione. Gas Milano 1984 vuole far diventare rilevante il womenswear e in tal senso nel 2022 ha nominato creative director Gregoria Carmagnini (ex Guess Europe). Il brand cresce dal rilancio, «sebbene a un ritmo più lento rispetto alle aspettative iniziali, anche a causa del contesto complesso in cui la moda sta operando». Comunque ha ritrovato un suo spazio, in un mercato molto competitivo, il che rende ottimisti per il futuro. «Puntiamo in primis a consolidare la presenza in Italia, oltre ad ampliare il business in Spagna, in Centro Europa e nei Balcani - anticipa Castiglione -. Inoltre rimane solida la partnership con Reliance, che gestisce 35 monomarca in India. Nel 2025 sarà anche lanciato un concept retail che riflette la nuova immagine del brand, per presentarci con rinnovato slancio in mercati strategici, attraverso shop-in-shop e corner».
RE_HASH
D.A.T.E. X FRUIT OF THE LOOM
GUESS JEANS
GAS RAW HERITAGE
ROY ROGER’S
PREDATEX: IL FUTURO È NELL’ARTIGIANALITÀ
Specializzata nel realizzare le richieste più stravaganti del mondo tessile, forte del suo background tecnico, l’azienda della provincia di Bergamo spinge su creatività e innovazione, lasciando spazio all’intuizione e alla manualità, tutto rigorosamente made in Italy!
Predatex, diciassette anni di attività e la ferma convinzione di continuare ad agire come una piccola realtà artigianale dove realizzare progetti ad hoc per soddisfare i propri clienti.
Celebra così il proprio anniversario Predatex, azienda della bergamasca fondata da Marcello Preda che opera sul mercato italiano e internazionale, producendo e distribuendo tessuti di diverse composizioni, con qualsiasi nobilitazione tessile, destinate al mondo dell’alta moda, quello dell’abbigliamento sportivo, intimo e beachwear per grandi brand internazionali.
L’azienda di Urgnano rappresenta oggi un punto di riferimento per gli stilisti, grazie all’alto grado di preparazione tecnica del team Predatex e alla velocità di realizzazione dei progetti creativi.
«In questo contesto di incertezza nella filiera del tessile – racconta Marcello Preda, owner dell’azienda – abbiamo scelto un’alternativa alla presenza alle fiere di settore, andando contro corrente e proponendo a breve termine un evento all’interno dei nostri spazi produttivi. Presenteremo ai
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nostri clienti la new collection “Deep Ocean” ispirata ai dipinti di una giovane emergente artista taiwanese, Clarita Kuo.
Un progetto frutto di importanti investimenti in ricerca di prodotto e nello stesso tempo anche un’occasione conviviale per confrontarci in modo aperto sull’attuale situazione di mercato».
Forte di un processo produttivo interno che si avvale inoltre della preziosa
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collaborazione di micro imprese artigianali , slegato dal concetto di stagionalità, Predatex promuove idee stilistiche in grado di conferire unicità alla collezione di ciascun cliente, sempre alla ricerca di un plusvalore esclusivo e distintivo.
«Lavoriamo tessuti di qualsiasi composizione merceologica, anche in piccoli quantitativi – assicura Preda – con il proposito di poter dare una pronta risposta personalizzata a qualsiasi progetto stilistico, sempre attenti anche a non sottovalutare gli aspetti ecologici delle singole lavorazioni».
Punto di forza dell’azienda – il cui core business è il mercato nazionale, accanto ai mercati europei e d’Oltreoceano, a cui garantisce l’intero ciclo di lavorazione eseguito in Italia – «Il servizio è per noi fondamentale – conclude l’imprenditore – dove gli altri non arrivano, Predatex ha già consegnato e questo costituisce per i nostri clienti un importante valore aggiunto che, insieme alla visione strategica e creativa, ci fa guardare al futuro con positività». www.predatex.it
Nei panni di una donna
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CRUNA mette uomo e donna sulla stessa lunghezza d'onda giocando con la palette cromatica, i motivi e alcuni tessuti comuni, che creano un dialogo visivo e stilistico
La scorsa fashion week maschile è stata l’occasione, per alcuni marchi del menswear, di lanciarsi nell’abbigliamento femminile. Sartoria Latorre ha presentato a Milano alcuni cappotti, come assaggio di un futuro progetto donna più ampio di cui, per ora, si sa che sarà coerente con il mondo sartoriale del marchio pugliese, ma che virerà anche al casual. Tra le brand extension che debuttano con l’autunno-inverno 2025/26 c’è quella di Altea. Il marchio del luxury knitwear e dell'informal tailoring si declina al femminile con un progetto strutturato, dopo alcuni test svolti in passato. «Inizialmente puntiamo a raggiungere una trentina di clienti selezionati», dice Luigi Fila, direttore creativo e amministratore del brand in capo all'azienda di famiglia, la Fratelli Fila. «Il potenziale best seller della FW25/26 - anticipa - è la maglieria in mohair lavorata molto lenta». Ci sono anche pezzi coordinati lei-lui, effetto "vedo doppio", che pare sia di tendenza,
secondo un'analisi del social media Pinterest? «Nella collezione sono presenti pezzi presi dalla collezione maschile, ma rivisti nei volumi, che danno l’idea di capi interscambiabili», risponde Luigi Fila. L.B.M. 1911 in versione femminile ha invece esordito con la SS25. «Il mercato ha accolto il womenswear con grande attenzione ed entusiasmo e abbiamo fiducia in un crescente interesse da parte del pubblico», è il primo bilancio che fa Giovanni Bianchi, direttore Ufficio Stile di Lubiam, che controlla il marchio. A risultare vincente è «l’aver trasferito gli stessi valori di qualità, raffinatezza e ricerca propri del menswear con l’idea di base di trovare un equilibrio tra heritage del marchio, esigenze di mercato, aspettative e gusti della donna contemporanea». I pezzi chiave della collezione invernale sono le giacche doppiopetto dalle linee decise, in tessuti preziosi e con bottoni gioiello, ma anche i pantaloni over e i cappotti doppiopetto dai volumi morbidi, in tessuto bea-
ver di lana nei toni del grigio, espressione di un’eleganza sartoriale senza tempo. «Le proposte della collezione sono ispirate ai modelli maschili, ma studiate per valorizzare e celebrare la figura femminile con tagli, proporzioni e dettagli dedicati», spiega Bianchi. Tra i due universi c’è una sorta di dialogo, «una sintonia stilistica, senza che ciascuno perda la propria identità e peculiarità». La campagna vendite iniziata a fine novembre è «partita con il piede gusto» e nei piani, come anticipa Bianchi, c’è l’espansione graduale in Italia, Europa e Nord America. Previsti anche investimenti in campagne web e social, nonché una sezione dedicata sul sito istituzionale. La donna Cruna, invece, ha due anni di vita e ha già raggiunto il 30% del fatturato totale, grazie all'ingresso in circa 110 multibrand principalmente in Italia, Germania, Austria e Svizzera. Ora l’obiettivo è ampliare questa quota, attraverso l’espansione del wholesale (in primis in Europa, Middle East e Russia) e all’am-
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ALTEA mixa la gonna sparkly con la camicia-pigiama e il soprabito oversize, di sapore rétro
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L.B.M. 1911 punta sul cappotto doppiopetto dai volumi morbidi indossato con i pantaloni over
pliamento delle categorie di prodotto. «Con la FW25 rafforziamo i segmenti blazer, abiti e maglieria, per un look sempre più completo - racconta Alessandro Fasolo, fondatore dell'azienda vicentina, nel 2013, con Tommaso Pilotti -. I blazer, punto di forza della collezione, sono stati sviluppati in una varietà di fit che copre diverse occasioni e che li rende perfetti con pantaloni e gonne. I capi combinano l’eleganza del guardaroba maschile con una femminilità accentuata da vite segnate e spalle pronunciate. La maglieria completa gli outfit, portando un tocco di personalità e unicità». Le collezioni uomo e donna condividono la palette cromatica, che crea un dialogo visivo e stilistico tra i due universi. Alcuni tessuti sono comuni a entrambe le linee, sottolineando la connessione tra i due mondi. La Confezioni Lerario, sinonimo di menswear sartoriale con il marchio Tagliatore, è un'antesignana della svolta al femminile (nel 2007) con la
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HARMONT&BLAINE propone un total look donna urban-chic declinato tra il bianco e il nero
linea Tagliatore 0205. Ora che il business ha raggiunto il 30% delle vendite globali, fa un ulteriore passo in avanti. Partito dal core business del capospalla, il fondatore del brand, Pino Lerario, ora spazia tra camicie, maglieria, gonne e accessori come le cinture e i foulard. «Il tutto nel linguaggio Tagliatore - spiegadove le parole chiave sono alta qualità, materie prime eccellenti, ricerca, sartoriale e Made in Italy». Pezzo clou del prossimo inverno è il cappotto lungo in lana e alpaca, «materie prime capaci di creare giochi di luce unici», dalle spalle costruite, «che esprimono allo stesso tempo eleganza e fierezza». L'attenzione ai particolari si vede anche dalla scelta dei bottoni, «in corno, dall'effetto unico». La connessione con l’uomo avviene «soprattutto in termini di tessuti e colori». Fondata nel 1995, Harmont&Blaine ha aperto il suo primo store women only nel 2016 e con il prossimo inverno ha deciso di arricchire la colle-
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TAGLIATORE 0205 sceglie l'alpaca per il cappotto a sei bottoni con spalle fiere e revers a lancia
zione con delle capsule collection. Una è Earth Dye: un look donna e tre uomo in cotone tinto con pigmenti naturali, in collaborazione con Treedom, piattaforma impegnata in iniziative sostenibili, tra cui la riforestazione di zone sensibili del Pianeta. Un’altra limited edition è Artigianalità a Colori, connotata da capi premium realizzati in collaborazione con laboratori artigianali napoletani e modenesi. «La collezioni donna e uomo sono frutto del lavoro di un team che sviluppa ogni proposta con un approccio coerente e armonioso tra i due mondi - dicono dal gruppo campano -. Questo si riflette nell’utilizzo di tecniche di lavorazione condivise, come lo jacquard nella maglieria, e nelle fantasie». La donna del brand del Bassotto è arrivata a generare circa il 20% dei ricavi retail totale e Per la stagione FW25/26 il management prevede una crescita a doppia cifra. ■
ELISABETTA FABBRI
La moda femminile di Jeanne Baret? È un inno alla libertà
F.lli Campagnolo, che ha chiuso il 2024 con un fatturato di circa 210 milioni di euro, lancia un nuovo marchio di moda femminile, segnando il suo debutto nell’urbanwear. Una collezione pensata per donne indipendenti, attente allo stile e alla ricerca di comfort e qualità
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La moda femminile di domani? Sarà come Jeanne Baret: un total look urbano per donne dinamiche e sportive, che desiderano uno stile trasversale, versatile, estetico ma anche pratico e funzionale. È questa l’idea che ha guidato il lancio del nuovo brand di F.lli Campagnolo, azienda veneta che già conta in portfolio marchi come CMP (sportswear e outdoor), Melby (kidswear) e Maryplaid (homewear), solo per citarne alcuni. Sempre attenta alle nuove sfide, F.lli Campagnolo ha deciso di entrare in questo segmento. «Il mercato sta cambiando molto velocemente e vogliamo assecondarlo per rispondere al meglio alle sue esigenze», spiega Fabio Campagnolo, amministratore delegato dell’azienda e figlio di Giorgio Campagnolo, l’imprenditore 88enne che ha fondato l’azienda e lo scorso anno ha ricevuto il titolo di Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica Italiana.
Jeanne Baret è nato due stagioni fa, ma ha debuttato ufficialmente a fine 2024 con la collezione autunno/inverno 2025, intercettando un segmento in forte crescita. F.lli Campagnolo ha chiuso il 2024 con un fatturato di circa 210 milioni di euro, di cui il 90% proveniente dal brand sportivo CMP Tuttavia, l’azienda crede fortemente nel potenziale del settore urban, che oggi rappresenta circa il 20% delle vendite e continua a crescere.
Jeanne Baret risponde a esigenze attuali delle consumatrici, ispirandosi, nel nome e nella brand proposition, alla botanica ed esploratrice francese che, alla fine del 1700, fu la prima donna a circumnavigare il globo. Per farlo, si travestì da uomo per unirsi a un equipaggio di navigatori, un gesto audace che lasciò un segno nella storia scientifica grazie alle sue scoperte botaniche e nella società per la sua sfida alle convenzioni dell’epoca.
«Oggi il marchio che porta il suo nome è pensato per donne altrettanto coraggiose, desiderose di esplorare se stesse e il mondo», spiega Campagnolo. La collezione propone capi versatili, adatti a diverse occasioni, pensati per far sentire ogni donna a proprio agio nella vita urbana e nella scoperta di nuove esperienze, senza rinunciare alla femminilità e a un mix di glamour e praticità.
La collezione rappresenta un’evoluzione rispetto alla già ampia offerta di F.lli Campagnolo. «Volevamo proporre un prodotto di qualità superiore, con un’estetica meno sportiva rispetto ai nostri marchi attuali. Abbiamo coinvolto desi-
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«Non produciamo capi per chi vuole scalare 8mila metri, ma per chi affronta la vita con uno spirito sportivo»
Fabio Campagnolo, ceo, F.lli Campagnolo
Il brand propone capi estremamente morbidi e confortevoli, grazie all’impiego di materiali innovativi come 3M Thinsulate e imbottiture come Sorona e ovatta riciclata Primaloft Hi-Loft. Oltre ai capispalla, la collezione include giacche kimono imbottite, top, pantaloni e gonne dal design dinamico e confortevole, completati da accessori come borse e cappelli. I prezzi vanno dai 40 ai 90 euro per top e maglieria, dai 120 ai 150 euro per gli abiti, circa 130 euro per gonne e pantaloni e intorno ai 200 euro per i capispalla, in linea con la fascia di prezzo degli altri brand del gruppo.
«Ci concentriamo su marchi per tutta la famiglia, ma puntiamo sempre alla massima qualità per il prezzo che il consumatore spende», afferma Campagnolo. «Non produciamo abbigliamento per chi vuole scalare 8mila metri, ma per chi affronta la vita con uno spirito sportivo. I nostri clienti possono essere appassionati di urban outdoor, persone che passeggiano in città o che trascorrono del tempo in montagna cercando comfort e protezione dalle intemperie».
Il brand ha già due negozi monomarca, uno a Padova e uno a Treviso.
«Abbiamo voluto testare il mercato con due “palestre” per raccogliere feedback diretti dai consumatori, e i primi risultati sono molto incoraggianti», rivela Campagnolo. Oltre ai monomarca, Jeanne Baret è distribuito attraverso la rete aziendale, che conta 2mila clienti tra gli store multimarca e 70 monomarca in Italia e all’estero, tra cui 12 in Austria, Svizzera, Francia e Germania, un mercato chiave per l’azienda, che realizza il 60% delle sue vendite all’estero.
gner in grado di sviluppare questa linea in linea con la nostra visione e scelto tessuti ancora più performanti di quelli utilizzati mediamente da CMP. Il punto di partenza sono materiali sportivi, ma con una forte connotazione fashion», spiega il ceo.
Tra i materiali selezionati, oltre a ecopelliccia e pile, spicca Ceramica di Riopele, un tessuto brevettato in poliestere e viscosa con un aspetto simile alla lana di vigogna. Questo materiale, oltre a garantire alte prestazioni, richiede meno lavaggi, non necessita di stiratura e mantiene il suo aspetto originale nel tempo. Inoltre, è naturalmente traspirante e dotato di protezione UV.
F.lli Campagnolo impiega 1.100 dipendenti, di cui 600 nelle filiali estere (300 in Romania e 300 in Tunisia, dove vengono ancora prodotte alcune collezioni). Gli altri collaboratori lavorano nei negozi e nella logistica, mentre circa 350 persone operano nella sede centrale di Bassano del Grappa, che ospita gli uffici stile e la divisione logistica.
L’azienda veneta ha attirato in passato l’attenzione di una serie di investitori, ma ha sempre preferito mantenere la propria indipendenza. «Siamo stati spesso corteggiati da fondi, ma abbiamo sempre scelto di restare indipendenti. Ci piace poter decidere liberamente, senza dover chiedere permesso a nessuno. La libertà, per noi, è un valore fondamentale, così come lo è per Jeanne Baret», conclude Campagnolo. ■
MARIA CRISTINA PAVARINI
In queste pagine due scatti
della FW 25/26 di Jeanne Baret
Maccapani e il coraggio di cambiare (al momento giusto)
Basta con collezioni nuove ogni sei mesi e posizionamento da griffe contemporary: Margherita Maccapani Missoni ha capito che, per affermare il suo brand, non deve applicare regole prestabilite. Seguendo il consiglio del suo business angel Marco Bizzarri di «pensare fuori dagli schemi», ha deciso di cambiare. A cominciare dai prezzi
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di Maccapani è una nuova visione del made in Italy, che si rivolge a donne che cercano il confort senza attingere al guardaroba maschile
Da Margherita Maccapani Missoni, imprenditrice, c’è sempre qualcosa da imparare. Ad esempio, che nel mondo degli affari correggere la rotta è una pratica normale e non un tabù. Nota nel fashion system per la sua esperienza nell’azienda di famiglia, la primogenita di Angela Missoni è, da due anni, impegna-
ta a tempo pieno nello sviluppo del suo brand, Maccapani: una collezione readyto-wear, pensata per accompagnare ogni donna dalla mattina alla sera, con pezzi pratici e versatili, facili da infilare in borsetta per un cambio rapido. Il progetto, partito nel 2023 in modo tradizionale, prevedeva nuove collezioni a ogni sta-
gione, produzione affidata a un service, campagne vendita. Ma, in corso d’opera, il business model sta evolvendo. Spiega Margherita: «A percorso avviato, ci siamo resi conto di essere troppo piccoli per seguire le stesse regole del gioco dei grandi brand. Così dalla collezione FW25/26 cambiamo approccio».
Quella
Ph. RosarioRex
Cosa cambierà concretamente?
Il sistema moda è fatto di grandi gruppi e di imprese familiari storiche. Non è pensato per misurarsi con aziende giovani come la nostra, poco strutturate per sostenere certi ritmi. Lavorando in progress, e anche grazie ai consigli dei miei angel investor tra cui Marco Bizzarri (ex ceo di Gucci, ndr) e Alessandra Rossi (ex ceo di LuisaViaRoma, ndr), ho capito che non avevamo bisogno di collezioni ampie. D’ora in poi proporremo 20 capi nuovi a stagione, concentrandoci su quello che ci rappresenta di più e piace alle clienti: jacquard, maglieria e le nostre Moto T, le Tshirt da motocross. Il resto della collezione sarà fatto di continuativi, come la felpa con cappuccio. Dare al pubblico il tempo di soffermarsi su ciò che ama del brand è un’opportunità per emergere. Cambieremo anche la struttura produttiva. Non ci appoggeremo più a un service, ma ci occuperemo direttamente di questa fase. Abbiamo individuato due aziende con cui lavorare: una in Puglia per la parte in cotone, l’altra in Romagna per maglieria e jersey. Ma la vera novità riguarda i prezzi…
In che modo?
Li abbasseremo. All’inizio, il prezzo medio della collezione era di 450 euro, in linea con il posizionamento di M Missoni, che conoscevo meglio, data la mia esperienza. Ora scenderemo a 315 euro, con una riduzione del 35%. Questa scelta non incide sulla qualità dei capi, che resta invariata, ma è il risultato di una strategia: gestendo direttamente la produzione e rivedendo i margini - originariamente pensati per il wholesale, mentre il nostro core business è direct to consumer - possiamo permetterci prezzi più competitivi. Da ora in poi basta saldi, ma prezzi giusti tutto l’anno.
Questo cambio di listino avverrà in sordina?
Tutt’altro. È una decisione di cui andiamo fieri e che vogliamo raccontare apertamente. Anche se il nuovo assetto della collezione entrerà in vigore con la FallWinter 25/26, applicheremo i nuovi prezzi già dalla PE25, ancora prodotta con un service. Non volevamo aspettare: è il momento giusto per affrontare questo tema. I prezzi nel settore sono ormai arrivati a un punto critico e vogliamo fare la nostra parte. Sul nostro sito, da febbraio, compariranno i capi con doppio prezzo: quello vecchio e quello nuovo, più accessibile. Chi ha acquistato in passato un capo, ad esempio un pantalone passato da 490 a 350 euro, riceverà un voucher pari alla differenza da utilizzare su un altro pro-
dotto Maccapani. Per i clienti wholesale, invece, prevediamo uno sconto sul nuovo ordine. Vogliamo che tutti, oggi come in passato, sentano di aver fatto una scelta vantaggiosa.
Perché preferite la vendita diretta alla distribuzione tradizionale? All’inizio ci abbiamo provato, non ha funzionato come speravamo. Un’altra cosa che abbiamo capito in corsa: per competere nei multimarca o nei department store serve un certo livello di awareness globale, che noi non abbiamo ancora. Quello che funziona molto bene per
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«Il wholesale è troppo competitivo per un brand nuovo. Per noi funzionano meglio i pop up nei negozi, negli hotel o a casa dei clienti»
Margherita Maccapani Missoni
Maccapani è la formula dei pop-up, dove io posso incontrare le clienti, raccontare il progetto e consigliare i capi giusti. In questo modo, non si limitano ad acquistare: diventano ambasciatrici del brand. Certo, è un approccio che si può sostenere solo per un tempo limitato, ma per noi è un investimento sul lungo termine. È così che si crea hype attorno al brand e si aumentano le chance di sell-out anche nei contesti più competitivi, come i department
store, dove siamo comunque presenti con Nordstrom. Ma prima di tornare a una presenza distributiva tradizionale, aspettiamo di vedere i risultati di questo riposizionamento. Poi cercheremo di nuovo una showroom multimarca, ma con una logica di partnership, non di clienteling.
Quindi per il momento avanti tutta con i pop up?
Nel 2025 ne prevediamo 15. In estate saremo in località europee di villeggiatura e in città come Atene e Lisbona, mentre per la primavera pianifichiamo un tour in America, con tappe a New York, Dallas, Austin e San Diego. I pop up saranno in multimarca, hotel o residenze private delle nostre migliori clienti, una formula che funziona bene. Sarò coinvolta in prima persona durante la fashion week di marzo a Parigi, dove il pop up sarà nel mio appartamento, “hosted by Margherita”.
E il futuro?
Il mio goal per il 2025 è far crescere il Macca Space, aperto a Milano in Porta Romana. Mi piacerebbe ampliarlo o aprirne uno più grande in un’altra zona, portandovi anche il team di design, ora basato a Varese. È uno spazio ibrido: ufficio, negozio e luogo di contaminazione. Qui ospitiamo la collezione, ma anche oggetti vintage selezionati su eBay, che completano la proposta. La collaborazione con eBay, che include “MaccaFinds” - una serie di lanci sull’e-shop a tempo limitato di accessori e calzature pre-loved - è l’idea più forte avuta fin qui, perché unisce prêtà-porter e second hand, aggiungendo unicità al brand. Come mi sprona sempre Marco Bizzarri, dobbiamo pensare fuori dagli schemi e rendere un'opportunità il nostro status di startup.
Quando ha parlato a Bizzarri del progetto, quale è stata la reazione?
Ha accettato di farne parte a condizione di non essere l’unico investitore. Voleva che coinvolgessi altri professionisti del settore: “A una startup servono un buon network e competenze diversificate”, mi ha detto. L’ho ascoltato e ho riunito 12 investitori, sei uomini e sei donne. Aveva ragione: grazie a loro ho ricevuto input fondamentali per far crescere il progetto. Non so come avrei fatto senza Alessandra Rossi, che ha lavorato per Yoox, Tomorrow e LuisaViaRoma. Il suo supporto è costante, e sarebbe fantastico averla come ceo. Certo Maccapani deve farne di strada prima di potersi permettere un manager così. ■
ANDREA BIGOZZI
BRAND to WATCH
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Founder Felipe Fiallo
Distribuzione
055Milano felipefiallo.com
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FIALLO
A soli tre anni dal lancio, il marchio Fiallo ha già un ampio pubblico di estimatori. Merito del background del founder Felipe Fiallo, di origini ecuadoregne, che viene dall'industrial design e ha portato le sue idee eco-futuriste nel mondo delle calzature. Con premi importanti come pedigree (tra cui il Ferragamo Award for Best Designer of the World e l'Emerging Designer del Micam), Felipe ha l'obiettivo dichiarato di portare alla ribalta una nuova idea di lusso, intesa come comfort e benessere, grazie all'uso di tecnologie e materiali innovativi, tra cui le suole stampate in 3D. A Pitti Uomo ha lanciato la sua prima collezione maschile, «molto apprezzatadice - in particolare da retailer di Giappone e Corea». Con base nel capoluogo lombardo, il brand arriva al pubblico con prezzi medi intorno ai 450 euro e si appoggia alla showroom 055Milano
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Founder Lívia Tálosi
Distribuzione
Diretta curcovy.com
CUKOVY
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Tessuti italiani, produzione ungherese, un design che ricorda forme e motivi della natura: questi gli ingredienti di Curcovy, marchio di contemporary outerwear fondato da Lívia Tálosi e disegnato da Poprádi Flóra, che predilige nuance pastello, silhouette dinamiche e dettagli in grado di regalare comfort e versatilità. Il marchio è venduto con prezzi medi intorno agli 800 euro in negozi come Spark Le Monde a Budapest (città natale del brand), I.T. Shanghai L'Avenue e I.T. Yintai ad Hangzhou in Cina, mercato in cui sta cercando di espandersi attraverso l'agenzia coreana FutureSocietyShow. Nei progetti non manca l'Italia, dove recentemente ha stretto una partnership con Rinascente a Milano. Online la collezione è disponibile su curcovy.com
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Founder Franco Gabbrielli
Distribuzione
Diretta
IG rereriofficial
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RERERI BAGS
Franco Gabbrielli scommette su una nuova startup. L'imprenditore, con una lunga esperienza nel settore ed ex presidente di Assopellettieri, nel dicembre del 2024 ha lanciato Rereri, acronimo di REcupero, REsponsabile, RIvoluzionario: un progetto che vuole portare l'economia circolare nel mondo della pelletteria artigianale. Come primo step ha debuttato sul mercato la collezione di shopping bag Margherita, realizzata utilizzando pelli pregiate recuperate dagli archivi dei luxury brand e materiali destinati allo smaltimento. Al via con la SS25, Rereri punta su una distribuzione retail, per valorizzare lo shopping entertainment con il concetto di "made in store". Dopo l'esperienza di due temporary shop a Milano Marittima e Verona, Gabbrielli ha allo studio il primo monomarca. Le borse vanno al pubblico con un prezzo compreso tra i 200 e i 400 euro.
A CURA DI ANGELA TOVAZZI
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Founder Alberto Candiani
Distribuzione Marcona3, Amsterdam Fashion Group e Showroom
Gruppo Vulpe
trc2038.com
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SUAJI
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Co-Founder Julio Iglesias Jr.
Distribuzione
Progetto Milano
Showroom
suajibrand.com
Ha debuttato nei negozi lo scorso gennaio il marchio di sneaker Suaji, un nome "rubato" a una via centrale di Tokyo, dove il progetto è stato concepito. Artefice come co-founder e ambassador è Julio Iglesias Jr., il figlio del famoso cantante spagnolo. I plus per distinguersi sull'affollato mercato delle sneaker? Design italiano (a cura di Lucio Righetto), produzione made in Spain e una suola brevettata che garantisce stabilità e flessibilità, grazie ai fussbett ergonomici. Oltre a una manifattura pensata secondo i principi dell'ecodesign, per un possibile futuro riciclo. Con prezzi tra i 179 e i 299 euro, le sneaker sono disponibili sul sito suajibrand.com e stanno iniziando un percorso nel canale wholesale, grazie all'intermediazione commerciale di Progetto Milano
Showroom
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TRC
Ridefinire il workwear in versione contemporanea e altamente performante: questa la vision di TRC, che dopo il debutto della scorsa stagione ha presentato la sua prima collezione invernale a Pitti Uomo Dietro il progetto ci sono Alberto Candiani (founder) e Roberto Grassi (vicepresidente), esponenti delle omonime storiche realtà tessili lombarde. Protagonista della stagione è un percorso dialettico tra le capsule 1938 e 2038, tra estetica future e rétro. Fiore all'occhiello in termini di innovazione la linea Mineral, con l'utilizzo di minerali per finissaggi e tinture naturali, per un denim futuristico. I prezzi vanno dai 159 ai 295 euro per i bottom, dai 135 ai 330 per le giacche e le camicie, mentre il Long Parka Mineral costa 1.000 euro. Disponibile allo store Candiani Corner a Milano e sull'e-shop, il brand in Italia si appoggia alla showroom Marcona3
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ROLD SKOV
Founder Francesco Rossini
Distribuzione
Untitled (Parigi) roldskov.it
Ci sono tante suggestioni e influenze che si intersecano in Rold Skov, marchio fondato da Francesco Rossini nel 2016. Da un lato le culture giovanili, dove musica e stili diventano espressione di libertà creativa e affermazione individuale. Dall'alto la predilizione per un'estetica minimalista, con sillhouette lineari e forme semplici, indipendenti dal mainstream, per trasmettere «ordine, autenticità e senso di appartenenza». Europa e Giappone sono i primi due mercati che hanno aperto le porte al brand, sbarcato da Wok, Bjørk, Grocery, Cannabis, HNW, Million Goods e Obskura, ma nuovi avamposti stanno arrivando negli Usa e Corea del Sud. Con l'appoggio della showroom parigina Untitled, i capi sono venduti tra i 200 euro per le camicie e i 1.000 per i pezzi in pelle. Anche su roldskov.it
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CAMERA SHOWROOM MILANO
CSM è un’associazione autonoma, libera ed indipendente.
CSM è dedicata a tutti gli showroom multibrand di Milano più rappresentativi del fashion e con una forte vocazione internazionale.
CSM ha tra i suoi obiettivi fondamentali l’esigenza, resa ancor più forte dalla recente situazione congiunturale, di fare squadra.
CSM ha concretizzato, grazie alla collaborazione con Confartigianato Moda, importanti attività durante le Fashion Week di Milano:
ARTISANAL EVOLUTION + CSM MEETS SUSTAINABILITY
CAMERA SHOWROOM MILANO ringrazia
1ST FLOOR
999 SHOWROOM
ARETE’ SHOWROOM
ASESTANTE SHOWROOM
BOIOCCHI SHOWROOM
BRERAMODE
CASILE & CASILE
CONTINUO
DANIELE GHISELLI SHOWROOM
DMVB SHOWROOM
ELISA GAITO SHOWROOM
FATTORE K MILANO
GARAGE MARINA GUIDI
K-LAB
MANNERS
MANUEL MENCARELLI SWOWROOM
MODERN SWOWROOM
PANORAMA MODA
PERCORSI OBBLIGATI
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PROGETTO MILANO
RENZO VESENTINI MILANO
S5 SHOWROOM
SD SHOWROOM
SHOWROOM A. FICCARELLI
SHOWROOM DUNE
SHOWROOM JE T’AIME
SHOWROOM PAPAVERI
SPAZIO 38
SPAZIO COLTRI
SPAZIO LIBERTY
STUDIO 360 SHOWROOM
STUDIO POGGIO
STUDIO TATO SOSSAI
STUDIO ZETA
STYLE COUNCIL SHOWROOM
THE PLACE SHOWROOM
ZAPPIERI MILANO
Thank you all!
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L’intelligenza artificiale entra in campagna vendita. Cosa riuscirà a fare?
Non c’è dubbio che l'intelligenza artificiale generativa abbia il potenziale per trasformare radicalmente il retail, migliorando l'esperienza dei clienti e ottimizzando le operazioni aziendali. È già ampiamente utilizzata nel settore per automatizzare la pianificazione, la distribuzione e il controllo dei processi di vendita. Ma che impatto ha (o potrà avere) sull’attività core dei buyer, ovvero prevedere con mesi di anticipo i desideri dei consumatori finali?
Dai titolari dei multimarca ai fashion director delle catene di grandi magazzini, tutti si interrogano su se, come e quando questa tecnologia cambierà il
Nel campo del retail, buying incluso, si fa strada l’intelligenza artificiale. Ma chi gestisce gli acquisti è pronto ad accettare l’aiuto di questo strumento? «Migliorerà le conoscenze, ma non porterà cambiamenti radicali», dicono gli scettici. «Farà di più: integrando dati storici, meteo e input dai social, prevederà le tendenze e gestirà l’inventario», assicurano i sostenitori. E mentre il dibattito resta aperto, sul mercato crescono le startup che, grazie a modelli predittivi, aspirano a diventare i copiloti dei buyer
modo di effettuare gli ordini per i negozi: «ChatGPT può diventare un buyer o giocherà un ruolo di assistente?» e «La Gen AI saprà prevedere le nuove tendenze o si limiterà a valorizzare ciò che già funziona commercialmente?» sono due delle domande più frequenti. Non esiste per ora una risposta univoca, ma una certezza c’è: grandi colossi come Zara, Lvmh, Tapestry Group e Nike stanno da anni implementando sistemi di AI per migliorare le previsioni di vendita, adeguare le linee di produzione in tempo reale e personalizzare le strategie di merchandising, in modo da soddisfare le richieste del mercato. Anche il settore
wholesale, dal canto suo, è interessato a questa evoluzione e vuole capire se l’interazione tra buyer e intelligenza artificiale porterà a un nuovo modo di fare gli ordini. «LuisaViaRoma - racconta il chief marketing officer Nicola Antonelli - ha iniziato a utilizzare l’AI per le procedure di acquisto e immagino che anche altre realtà simili stiano faccendo altrettanto. Il lavoro del buyer si basa da sempre sui dati e ora, con l’ausilio dell’AI, possiamo prevedere in maniera più precisa alcuni trend della moda che sono altamente ciclici e fornirli ai responsabili acquisti». Antonelli sottolinea una attuale limitazione: «Per quanto importanti e approfondite, le nostre analisi sono basate principalmente su statistiche interne. Quello che ci manca, almeno per il momento, è l’ascolto del mondo esterno, fatto di keyword su Google, tag su Instagram, topic su X, trend su TikTok. Ma di certo ci arriveremo».
LE NUOVE STARTUP PER MARCHI E RIVENDITORI
Questo è uno dei colli di bottiglia: affinché l’AI possa passare da tema di discussione a valore aggiunto per i buyer non deve limitarsi a semplificare le attività ripetitive, come l’analisi del venduto, ma essere in grado di creare modelli predittivi che integrino dati storici e proiezioni future, incidendo concretamente sulle vendite. Non è quindi un caso che, nel settore, stiano acquisendo popolarità e considerazione startup tecnologiche che utilizzano l’AI generativa per offrire soluzioni proattive per la gestione dell'inventario. In più, analizzano le foto sui social media, le condizioni meteorologiche, tutto per individuare le tendenze e fare previsioni in termini di stile e materie prime impiegate. Nomi come Algo, Singuli e Prediko, specializzati nell’ottimizzazione dell’inventario, stanno guadagnando campo. Così come Autone (vedi intervista a seguire) che, nata in Italia tre anni fa, sta aiutando marchi e rivenditori, offrendo anche il modulo Open-To-Buy/allocation di supporto all’attività di buying. A confermare il fermento nel settore c’è anche l’acquisizione di Heuritech, piattaforma di AI visiva per l’analisi dei trend di mercato,
Più coinvolgimento ed efficienza: con l'AI parte la nuova era del retail
I settori di utilizzo dell’AI generativa con il maggior potenziale nel 2025 secondo i dirigenti del settore moda, %
Scoperta di prodotti e ricerca clienti
Marketing (es. comunicazioni personalizzate)
Product design e altri processi creativi
Raccomandazioni di prodotti
Digital shopping (es. live/social commerce)
Catena di approvvigionamento e logistica (back-end)
Store operation and customer experience
Logistica front-end (es. resi automatizzati)
«Con l’ausilio dell’AI possiamo prevedere in maniera più precisa alcuni trend della moda che sono ciclici e fornirli ai responsabili acquisti»
Nicola Antonelli, LuisaViaRoma
da parte di Luxurynsight, esperto di analisi dati per il lusso, che collabora tra gli altri con Chalhoub, Value Retail, Alibaba e Chanel
L'AI È UN COPILOTA
NON UN SOSTITUTO
Queste realtà sono desiderose di mostrare le loro capacità tecnologiche e le soluzioni offerte in tema di AI e previsione delle tendenze. Tuttavia i potenziali clienti di queste startup - principalmente
brand di medie dimensioni e wholesaler - sembrano più interessati a comprendere “come” l’AI potrà concretamente migliorare il lavoro del buyer, piuttosto che al semplice “cosa” offre. Perché se i benefici di questa tecnologia nell’esperienza di acquisto del consumatore finale iniziano a emergere, l’impatto su alcuni aspetti specifici del retail, come le campagne vendita, appare meno evidente. «Siamo pro AI, ma non per l’attività di buying - dice Ginevra Gozzoli di Bernardelli Stores -. Difficile immaginare il contributo che potrebbe darci». «Mi incuriosirebbe - prosegue - usarla per analizzare l’andamento dei carryover dei grandi brand, ma le aziende non consentono di acquistare più del 20% di continuativi. Quindi anche in questo caso il contributo non sarebbe risolutivo». Un atteggiamento di cautela condiviso da diversi colleghi. «Sono certo - commenta Giacomo Piazza, co-founder di 247 Showroom - che l’AI trasformerà il modo in cui i marketplace e i retailer interagiranno con i clienti: dalle promozioni alla ricerca dei prodotti, fino al potenziamento dello shopping suggestion. Tuttavia, non credo che avrà un ruolo decisivo nel buying, soprattutto per il canale multimarca fisico indipendente. Il wholesale si rivolge a una nicchia di mercato, più difficile da interpretare per l’intelligenza artificiale. Inoltre, chi vende fisicamente ha problemi di accesso ai dati qualitativi. L’AI semplifica l’analisi di certe informazioni, ma non influenzerà la scelta di capi e collezioni da esporre». Di diverso avviso è Antonelli di LuisaViaRoma, convinto che il lavoro del buyer sarà profondamente trasformato dall’AI, senza per questo diventare superfluo: «L’intelligenza artificiale non sostituirà mai un buyer. Sarà piuttosto un copilota, un supporto nelle decisioni quotidiane, inclusi gli acquisti».
LA SFERA DI CRISTALLO CHE PREVEDE I TREND
Ascoltando i diretti interessati, emergono quindi due approcci: da un lato, la crescente centralità dei dati nel processo decisionale; dall’altro, la consapevolezza che la vera abilità di un buyer consisterà nel bilanciare statistiche e intuizione. Un
Fonte: BoF-McKinsey State of Fashion 2025 Executive Survey
equilibrio che Wgsn, agenzia di previsioni di tendenze, ha ben compreso con il lancio della piattaforma Fashion Buying, pensata per assistere i responsabili acquisti nella pre-pianificazione, sviluppo e analisi post-stagionale delle collezioni. «Cerchiamo di essere una fonte aggiuntiva di validazione e facilitazione per il buyer - spiega Monisha Klar, director of fashion di Wgsn -. Il nostro modello di AI, TrendCurve, utilizza dati dell’ecommerce che ci danno una base storica di analisi del passato, che uniamo poi a dati di ricerca e social, così come a quelli delle passerelle. Questi elementi aggiuntivi incorporano nel modello indicatori precoci di tendenza, permettendoci di ottenere una visione molto più precisa nel corso dei prossimi due anni». Uno strumento predittivo capace di indicare le percentuali previste di mix all’interno delle categorie di prodotto, così come dati sui nuovi arrivi, esaurimenti a prezzo pieno e sconti. Il modello messo a punto da Wgsn fornisce anche istantanee chiave dai social e dalle passerelle, per aiutare a comprendere le opportunità di mercato. «I buyer poi - precisa Klar - potranno interpretare e filtrare la nostra ricerca attraverso la loro lente, perché sono esperti del loro target di clienti».
CON PIÙ INFORMAZIONI
MIGLIORI PREVISIONI
L’intelligenza artificiale deve quindi essere vista come un miglioramento, non come una sostituzione. La regola d’oro per chi prevede di integrarla nei processi decisionali è chiara: più dati si raccolgono, più accurati saranno i modelli predittivi. «L’AI può essere utilizzata in molti modi nel retail, ma è valida solo se sono validi i dati su cui lavora» è il punto di vista di Kristin Savilia, ceo di Joor, la piattaforma digitale B2B per la gestione del wholesale. «All’inizio della mia carriera - ricorda Savilia - quando ero buyer da Macy’s, camminavo tra i reparti e mi chiedevo perché avessi acquistato praticamente lo stesso vestito da due marchi diversi: il motivo era che facevamo tutto su Excel. Non c’era un modo semplice per visualizzare la selezione complessiva. Ma ora i dati consentono ai buyer di guardare attraverso i marchi e prendere
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Cosa può fare l'innovazione tecnologica per il wholesale? Molto, secondo la piattaforma di gestione delle vendite B2B
Joor. E l'AI è il next step del buying
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Wgsn ha lanciato una piattaforma basata sull'intelligenza artificiale, pensata per aiutare i buyer a determinare le tendenze su cui vale la pena di investire
vazione. «Lavorare sull’AI e sulla previsione della domanda è una cosa che le aziende, in particolare che ha tanti negozi all’attivo, deve iniziare a fare oggi», è il punto di vista di Mario Davalli, country manager Southern Europe di Cegid, anche perché si tratta di un processo basato su un’interfaccia di facile utilizzo. «Abbiamo sviluppato agenti di AIspiega il manager della multinazionale che propone soluzione tecnologiche per il retail - che permettono di interrogare il sistema con semplicità, senza bisogno di esperti di dati. Lo store manager o il buyer formulano domande basate sulla propria esperienza per creare forecast, eliminando la necessità di intermediari». Ma non è tutto: «All’inizio c’era scetticismo - aggiunge Davalli - ma ora i nostri clienti non possono farne a meno. Dialogare con la business intelligence è semplice come usare WhatsApp e avere informazioni dettagliate a portata di mano li rende più autonomi e responsabili».
CREATIVITÀ E INTUITO
RESTANO CENTRALI
«Lavorare sull’AI e sulla previsione della domanda è una cosa che le aziende, specie se con tanti negozi, devono iniziare a fare oggi»
Mario Davalli, Cegid
decisioni che massimizzano l’efficacia del budget di acquisto».
LA CONVERSAZIONE È FACILE
COME USARE WHAT'SAPP
Tra gli aspetti principali che chi vuole approcciare l’intelligenza artificiale deve conoscere non ci sono solo il “cosa” e il “come”, ma anche il “quando”. L’elemento della tempistica è infatti altrettanto cruciale, nel senso che è inutile aspettare anni per aprirsi a questa inno-
Resta aperta un’ultima domanda cruciale: «Se tutti i buyer seguissero le stesse previsioni, si rischierebbe un’omologazione delle collezioni e del merchandising mix?», si chiedono i propugnatori del “se-non-c’è-intuito-non-è-verobuying”. «Lontano dal creare uniformità, la nostra piattaforma di Fashion Buying offre una base sicura, che consente ai buyer di sperimentare nuove idee», risponde Monisha Klar di Wgsn. Sulla stessa linea Kristin Savilia di Joor: «La moda riguarda la novità. Pur sfruttando i dati, l’acquisto richiederà sempre una persona capace di intuire le direzioni del mercato, ciò che entusiasmerà i consumatori e darà loro un motivo per comprare». Per Antonelli di LuisaViaRoma, infine, non è l’AI la vera nemica della creatività o la prima responsabile dell’omologazione. «Oggi - dice - il settore è dominato dai grandi brand gestiti da finanziarie, che si basano su dati finanziari piuttosto che sugli sketch dei designer. Il problema dell’omologazione è antecedente e indipendente dall’AI». ■
ANDREA BIGOZZI
«Troppa
merce o troppo poca? Con Autone il classico dilemma del retail è risolto»
Niente più scorte sbagliate, sell-through in crescita del 20%. È quello che la piattaforma di Adil Bouhdadi assicura a clienti come Cavalli e Lancel grazie all'uso dell'AI
«Io e il mio socio lavoravamo per Alexander McQueen, un marchio sinonimo di lusso. Da fuori, tutto sembra impeccabile. Ma dietro le quinte? Un caos totale, almeno per quanto riguarda il buying. Stando in azienda ci siamo resi conto di come i brand prendano le decisioni d’acquisto: troppi ordini su alcuni prodotti, scorte insufficienti su altri, allocazioni sbagliate. E non era solo un problema di McQueen, ma dell'intera industry». Adil Bouhdadi, nato a Parigi e formatosi tra Usa, Uk e Italia, ha vissuto la realtà del retail da insider, lavorando anche per Victoria Beckham, Givenchy e Alexander Wang. Con tranquillità e un pizzico di ironia, racconta l’esperienza che lo ha portato a fondare, con il socio Harry Glucksmann-Cheslaw, Autone, una piattaforma per il retail nata nel 2020 e di cui è ceo. Oggi, una startup di due persone è diventata un’azienda con un team di 50 e varie sedi, tra cui Milano. «Era evidente che al settore mancava un po’ di intelligenza», dice Bouhdadi, consapevole dello stupore che la sua affermazione può suscitare. E proprio l’intelligenza artificiale è la chiave del lavoro di questa startup specializzata nell'ottimizzazione dell'inventario.
Qual è il punto debole del buying che Autone risolve?
Risolviamo i problemi cronici dei retailer. Gli eccessi di magazzino si riducono, il problema degli articoli esauriti sparisce, i margini migliorano. Con Autone, i brand non si limitano a gestire l’inventario: possono prevedere e persino influenzare il futuro. È come passare da una carrozza trainata da cavalli a una Tesla. Merito dell’AI, che intercetta i cambiamenti della domanda prima che accadano e ottimizza le scorte prima che diventino un problema. Tra i brand c’è ancora resistenza all’uso dell’AI?
Qualcuno è ancora scettico, ma i marchi più lungimiranti si stanno già muovendo. Tra i nostri clienti ci sono realtà note come Courrèges, Lancel, Harvey Nichols, Roberto Cavalli, Stüssy, Zadig & Voltaire.
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«Chi ci usa vede i risultati: l’inventario si riduce del 15-30% e l'esaurimento scorte cala del 40%»
Adil Bouhdadi, ceo e co-founder di Autone
dei prodotti sono così determinanti nelle previsioni di vendita?
Perché un’immagine dice molto più di una riga su un file Excel. Con l’AI visiva il nostro modello analizza silhouette, colori, stagionalità e altri parametri, per capire quali stili avranno più successo. Non stiamo solo prevedendo numeri, ma intercettando cultura, tendenze e comportamenti dei consumatori. È un livello nuovo di analisi.
L’AI si nutre di dati, ma nel retail spesso i dati sono disorganizzati. Quanto pesa questo problema?
Tantissimo. Il retail è un disastro dal punto di vista dei dati: sistemi che non comunicano tra loro, informazioni mancanti, codici SKU duplicati, previsioni errate...È come provare a orientarsi con un GPS rotto. Il problema non è che l’AI non funziona, ma che spesso i dati di partenza sono spazzatura. Autone lo risolve alla radice: la nostra AI pulisce, struttura e sincronizza i dati di inventario tra ERP, POS ed e-commerce. Identifichiamo errori, colmiamo lacune e arricchiamo i dataset.
Il retail diventerà un lavoro da nerd?
Al contrario. Il futuro del lavoro non è navigare tra dashboard, ma interagire con l’AI come faresti con un collega. Con Autone, merchandiser, planner e buyer possono porre domande in linguaggio naturale («Dove ho troppa merce?» «Cosa devo riordinare oggi?») e ricevere risposte immediate. Senza SQL, senza codice, senza bisogno di analisti. Solo insight chiari e applicabili. Il sistema non si limita a rispondere: suggerisce azioni concrete e permette di eseguirle all’istante. L’AI non è più una scatola nera, ma una conversazione reale. Molto affascinante. Ma in termini di numeri, quali sono i vantaggi?
La piattaforma è utile solo a buyer?
Il retail funziona se tutta la macchina gira alla perfezione. Per questo Autone non aiuta solo i buyer, ma anche merchandiser, planner, forecaster, cfo, tutti coloro che hanno la responsabilità di far guadagnare l’azienda, anziché perdere soldi. Dite di prevedere e persino influenzare il futuro. Siete la sfera di cristallo del retail?
Usare Autone è più come avere una macchina del tempo per la gestione dell’inventari. Analizziamo storico delle vendite, livelli di inventario, traffico in store, promozioni, trend e tutto ciò che incide sulle scelte d’acquisto. Poi il nostro motore AI esegue miliardi di calcoli e dice esattamente cosa fare.
Una delle vostre innovazioni è l’uso dell’AI visiva. Perché le immagini
I retailer che usano Autone vedono risultati immediati: il sell-through aumenta del 20%, l’inventario si riduce tra il 15 e il 30%, il problema degli articoli esauriti cala del 40% e si risparmiano milioni sugli eccessi di magazzino. Chi prova l’AI nella gestione dell’inventario si chiede solo perché non l’ha fatto prima. Cosa farete dei 17 milioni di finanzamento da poco ottenuti?
Li stiamo investendo per potenziare ulteriormente l’AI, rendendola più predittiva, automatizzata e precisa nelle decisioni. Vogliamo anche scalare Autone a livello globale, raggiungendo più brand. La misson? Eliminare definitivamente i problemi di inventario per ogni retailer del pianeta. ■
ANDREA BIGOZZI
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Very Important Client: su tutto vince il Fattore H
Li chiamano Vic. Sono pochi, pochissimi, e quando entrano nel radar dei brand si vedono subito stendere il tappeto rosso. Ma essere alla loro altezza non è facile: bisogna conoscerli ed entrare nelle loro corde, con "humanity" e "heart".
Senza dare nulla per scontato, anche il loro budget
Sarebbero stati i protagonisti perfetti di una famosa pubblicità degli anni Settanta: "Gli incontentabili". E in effetti i Vic lo sono, ma non tanto per alterigia, quanto per effettro delle loro altissime potenzialità di spesa. È vero che nel mondo sono un numero esiguo - secondo le stime dell’ultimo studio di Boston Consulting Group-Altagamma appena più di 500mila - ma quando aprono il portafoglio spendono cifre astronomiche: da 50mila euro in su all’anno, che riescono a sborsare anche in una sola seduta di shopping. Parliamo di un im-
porto 200 volte superiore a quello del consumatore medio. Insomma, galline dalle uova d’oro, in grado di pesare fino al 30% sui ricavi delle griffe. Le quali però devono contenderseli con gli altri attori del mercato del lusso, esponenti di settori come hospitality, benessere, viaggi e automotive. Per tutti l’obiettivo è corteggiarli, conquistarli e creare una relazione felice che duri nel tempo, nella consapevolezza che questi clienti dall'elevatissimo potenziale d'acquisto, per status familiare o professionale, sono più impermeabili alle fasi down dell’economia e quindi rappresentano una
garanzia. Anche se, come mette in guardia Milton Pedraza (vedi box a pag. 59), pensare che abbiano budget illimitati e che spendano e spandano senza raziocinio è una miopia strategica. Le domande da farsi sui Vic sono dunque: cosa desiderano? Cosa si aspettano? Cosa si deve fare, o non fare, perché restino innamorati e fedeli al brand?
SE LO CONOSCI
LO CONQUISTI
Prima di tutto bisogna conoscerli. E, ancor di più, ri-conoscerli. Non necessariamente sono vip, e quindi personag-
Dai negozi all'advertising: i coniugi Stoller, Vic di Burberry, protagonisti di una campagna pubblicitaria
gi pubblici. Alcuni preferiscono il basso profilo, anche sul fronte dell’immagine, e a volte la loro natura di Vic emerge solo nel momento in cui arrivano alla cassa. Stanarli, identificarli, classificarli, seguirli nella loro evoluzione di spesa a livello di categorie merceologiche, di preferenze di stile, ma anche di canale commerciale, di geografia e tempistica dello shopping, è fondamentale. Più preciso e fedele ai cambiamenti è l’identikit, in modo da riconoscerli sempre e in qualsiasi negozio (offline o online) mettano piede, più possibilità ci saranno di relazionarsi in maniera efficace, senza fare gaffe. Su questo la tecnologia può aiutare, come spiega Federico Merlo, Global Director Marketing & Crm di Philipp Plein: «Abbiamo una metodologia molto strutturata di codifica del cliente, relativamente a quantità di spesa, recency e frequenza dell’acquisto, con algoritmi che ci consentono di dividere i nostri clienti in cluster, ossia Diamond, Platinum, Gold, Silver e Bronze. Una volta analizzato il comportamento d’acquisto sulla base di questi indicatori, decidiamo il modus operandi, che è molto diverso a seconda della clusterizzazione». Ma attenzione: più la segmentazione è continuativa e “dinamica”, sintonizzata sui cambiamenti (spesso repentini) dei gusti dei top customer, migliori saranno i risultati, come sottolinea l’indagine di Bcg, evidenziando che per identificare i clienti alto spendenti «la maggior parte dei marchi utilizza principalmente soglie di spese quantitative in un periodo di tempo limitato, di solito 12-18 mesi». Con la conseguenza di perdere molte opportunità, specialmente con gli avventori ad alto potenziale che non sono stati ancora classificati come Vic nei database Crm.
L’OFFERTA PER I CLIENTI TOP?
PERSONALIZZATA E CO-CREATA Conditio sine qua non per avere a che fare con un Vic, e far sì che consideri il brand all’altezza delle sue disponibilità finanziarie, è giocoforza il prodotto. Che deve essere di eccezionale qualità, dal design super-esclusivo, ancora meglio se concepito e realizzato ad personam. È soprattutto quest’ultima caratteristica, l’unicità, che fa la differenza e che induce
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il consumatore top spending a ritenere di aver riposto bene la sua fiducia. Se poi questo speciale consumatore ha anche la possibilità di partecipare alla realizzazione del “suo” prodotto, suggerendo precise opzioni e variazioni, ecco che il livello di engagement schizza verso l’alto. Golden Goose, su questo, ha costruito una filosofia, basata proprio sulla “cocreation”. «Nei nostri negozi - spiega la Chief Digital Officer Sara Peroni - gli artigiani, quelli che noi chiamiamo Dream Makers, aiutano il cliente a personalizzare ogni sneaker o capo, rendendolo one-of-a-kind tramite ricami, embellishment, cristalli, disegni o addirittura messaggi. Per farlo il cliente ci racconta molto della sua vita e dei momenti speciali che ha vissuto, dal matrimonio alla laurea, dalla nascita dei suoi figli al viaggio più entusiasmante. Un’attività che permette di stringere una relazione più forte e duratura». Resta fermo che la manifattura e l’artigianalità dell’assortimento devono essere davvero eccellenti, senza sbavature. «Quella per la qualità per noi è una vera ossessione - interviene Michele Galetto, Retail Vice President di Kiton -. Il nostro lavoro non è incentrato sulla quantità. Siamo noi a realizzare tutti i prodotti, dai tessuti fino al capo
finito, che spesso non è riproducibile. E per i clienti non ci risparmiamo. Ci occupiamo del refit di interi guardaroba e cerchiamo di raggiungerli ovunque siano nel mondo con i nostri sarti. Se qualcuno ha un’esigenza o una richiesta di un capo, anche senza preavviso, noi ci siamo». Eccola qui, dunque, la seconda “lezione” a misura di Vic: oltre al prodotto esclusivo, ci vuole anche un servizio esclusivo. Prevendita, durante la vendita, post vendita. Non solo impeccabile, ma anch’esso personalizzato e basato sulla fiducia, in grado di far sentire questi client proprio quello che sono: very important.
IL RUOLO DELL’ESPERIENZA "MONEY CAN'T BUY"
Prodotto e servizio, abbiamo visto, sono le coordinate dell’eccellenza. Ma da sole, seppure di alto livello, non bastano quando si hanno di fronte persone avvezze a esperienze stra-ordinarie, nel senso letterale del termine. Man a mano che si sale verso la cima della piramide del lusso, ciò che veramente fa la differenza e che contribuisce a trasformare semplici “interazioni” in “relazioni” durature, è la tanto declamata experience. Prosaicamente parlando, non si intende solo il modo in cui i clienti si sono sentiti interfacciandosi con quel marchio, con quel negozio, con quell’assistente alla vendita. Non solo se hanno ricevuto, o non ricevuto, un trattamento di riguardo, per esempio l’accesso in prima fila alle sfilate, o l’invito a speciali prevendite. Ma soprattutto se è stato loro consentito di sentirsi protagonisti e “parte” dell’epifania di un brand, attraverso una relazione one-to-one con i fondatori, lo stilista, le persone che ci sono dietro. È il caso di Philipp Plein: «Per i top client organizziamo cene di gala ed esperienze “money can't buy” con la presenza di Philipp, ceo, designer e brand ambassador - dice Federico Merlo -. È lui il mio più potente marketing tool». È indubbio che il fattore H (come “humanity”, ma anche come “heart”) faccia la differenza, specialmente se è condito con un programma di iniziative (culturali, turistiche, gastronomiche) in linea con i valori fondanti del brand e le eccellenze del territorio che lo hanno visto nascere. «Da Ciro Paone in poi - conferma Michele Galetto di Kiton - la famiglia ha
Un outfit firmato Philipp Plein. Ai Vic l'imprenditore-stilista di origini tedesche riserva esperienze "money can't buy"
500mila i Vic nel mondo, destinati a diventare un milione entro il 2030
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MILTON PEDRAZA (THE LUXURY INSTITUTE): «LA RELAZIONE A LUNGO TERMINE SI GIOCA SULLA FIDUCIA»
50mila la cifra minima di spesa personale dei clienti "Beyond Money" su base annuale
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21% il peso dei top client sulla spesa (una quota raddoppiata negli ultimi 10 anni)
Fonte: Boston Consulting Group/Fondazione Altagamma
«Per i clienti non ci risparmiamo. Ci occupiamo del refit di interi guardaroba e cerchiamo di raggiungerli ovunque siano nel mondo con i nostri sarti»
Michele Galetto, Kiton
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Negli ultimi 20 anni Milton Pedraza, attraverso il suo The Luxury Institute, ha collaborato con oltre 1.100 marchi specializzati in beni e servizi di lusso (tra cui quelli del gruppo Kering), fornendo loro ricerche, consulenza e formazione per dialogare con successo con i super esigenti Vic e qualche idea su questi consumatori se l’è fatta. Cosa serve per conquistare e mantenere nel tempo la preferenza di questo cluster di consumatori? In primis qualità tangibili, che a volte sono date per scontate: «Un prodotto unico, esclusivo, con il miglior design, la più alta qualità e artigianalità», risponde Pedraza. E su questo non ci piove. Ma non secondarie sono anche qualità intangibili, come «umanità e intelligenza emotiva». «Si tratta di saper costruire esperienze straordinarie – precisa -. Se uno di questi elementi viene meno, salta tutto». La posta in gioco è alta, perché dall’uso corretto di queste leve si può generare una relazione impostata su una «solida fiducia» che può durare nel tempo e attraversare le generazioni, mantenendo un alto rendimento a livello di business. E se si pensa che questi Paperoni non badino a spese, grazie al loro patrimonio, si pecca di ingenuità, secondo Pedraza: «Non è vero che passano sopra al giusto rapporto tra qualità-prezzo-servizio. Anche se un prodotto li attira, stanno attenti a come spendono i soldi guadagnati e cercano un high value for money». Un concetto che fa riflettere sulla politica aggressiva di rincari attuata dopo il Covid da alcuni brand del lusso, che secondo alcuni osservatori ha avuto un effetto boomerang, con la disaffezione non solo dei clienti aspirazionali ma anche dei super ricchi. Accanto a esclusività, qualità ed empatia, onestà e correttezza sono dunque le carte con cui si può vincere, o perdere, la partita. E, attenzione: perché «i vostri clienti andranno a raccontare ai membri della loro “tribù” le loro straordinarie esperienze o le loro straordinarie delusioni. Con i Vic il passaparola è tutto». a.t.
Nelle due foto, la cerimonia della co-creation di Golden Goose: un modo per stabilire una relazione profonda e duratura con i top client
Un look Kiton per la prossima FW25-26
sempre recitato un ruolo di primo piano nella relazione con i clienti top, che facciamo venire a Napoli per i loro acquisti, portiamo a mangiare nei ristoranti tipici, in gita in barca e in azienda a scoprire il dietro le quinte della Kiton. A loro piace vedere i nostri sarti tagliare e cucire dal vivo al loro tavolo, dove magari c’è una radio accesa, una statuina di San Gennaro, qualcosa che parla di loro». Alla fine, come dice anche Fabrizio Viacava, Digital Director di Roberto Cavalli, «bisogna sempre trovare una reason why perché il cliente torni a casa nostra». A questo fine sono decisivi «gli eventi, l'accesso privilegiato alle collezioni e ai fashion show e la comunicazione iper-personalizzata». «Certo - aggiunge - anche la tecnologia dà una mano significativa, ma alla fine sono sempre le persone a rendere un brand speciale. Il fattore umano è imprescindibile. La tecnologia ha il solo scopo di aiutare a fare meglio il proprio lavoro e dare più valore alla persona che si ha davanti».
LA SEMANTICA DEI LUOGHI
E GLI SPAZI “VIC ONLY”
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«Il fattore umano è imprescindibile. La tecnologia ha solo il fine di aiutare a fare meglio il nostro lavoro e dare più valore alla persona che si ha davanti»
Fabrizio Viacava, Roberto Cavalli
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mo La Greca, General Manager Italy and Iberica di Swarovski, racconta che il flagship store aperto lo scorso anno in Piazza Duomo a Milano ha tra i suoi punti di forza proprio uno shop-in-shop riservato a una nuova categoria di offerta, la collezione di fine-jewellery Swarovski Created Diamond, in linea con le aspettative di un target alto spendente. «L’esperienza d’acquisto inizia con l’invito a recarsi nell’area dedicata, visibile da fronte strada ma accessibile solo in maniera assistita. Le porte rimangono chiuse nel corso di tutto l’appuntamento, per un’assistenza personalizzata e anche per una maggiore sicurezza, visto che i prodotti disponibili partono dai 300 euro, per arrivare fino ai 17mila euro».
OCCHIO ALLA NEXT GEN: PIÙ INFORMATI E MENO FEDELI
Va notato che non ci sono solo Vic amanti delle “segrete stanze” dei luxury shop, perché alcuni sono stati avvistati sui cartelloni pubblicitari, sorridenti a abbigliati con il loro brand preferito. È il caso dei coniugi Herschel e Lilly Stoller, fan inossidabili di Burberry, star d’eccezione della campagna Wrapped del marchio britannico, andata in scena lo scorso inverno. Oppure di Sue Kroll, pedigree di tutto rispetto (è responsabile marketing globale di Amazon) e nel cerchio magico dei clienti Loewe, assunta dal brand iberico come uno dei volti per l’adv SS25. È questa una nuova frontiera nel marketing a misura di top client? Staremo a vedere. Di sicuro le griffe devono prepararsi alla prossima fase. Tornando allo studio Bcg, gli esperti dicono che entro il 2045 il 53% della ricchezza globale sarà ereditata dalle giovani generazioni di UHNWI. Che non sono come i loro genitori. Intanto ci saranno più donne (l’11%) e poi sarà un cluster più globale, con il 12% con un secondo passaporto o una nuova cittadinanza. L'insight più interessante è però il fatto che la fedeltà non sarà il loro forte: saranno generalmente più informati e volubili, con il 42% dei giovani Vic che cambierà facilmente marchio di riferimento quando troverà un prodotto considerato migliore o più innovativo. La partita è di nuovo aperta. ■
Da Occidente a Oriente, i brand del lusso hanno capito da tempo che anche il teatro (il negozio) che ospita lo spettacolo (il prodotto) ha la sua rilevanza e può fungere da palcoscenico per la rappresentazione del lifestyle del marchio, in tutte le sue declinazioni. In quest'ottica vanno letti gli ultimi importanti investimenti dei luxury brand, con grandi spazi nelle arterie internazionali, dotati di ambienti per la ristorazione, l'entertainment, il relax e stanze “segrete” riservate appunto ai top customer, che spesso amano fare i loro acquisti da tanti zeri senza essere visti da occhi indiscreti. Stanno facendo scuola Casa Cucinelli, a Milano come a New York, i Salon Privés di Chanel, le Residence di Bottega Veneta (dopo Venezia ora anche a Manhattan), il Piano Nobile di Buccellati a Milano e il concept Villa Zegna, inaugurato a Shanghai e poi approdato sulla Madison nella Grande Mela. In comune hanno un approccio multisensoriale, con le collezioni, l’interior design, i profumi, in alcuni casi anche l’offerta culinaria, capaci di parlare all’unisono, per una esperienza olistica del brand: proprio quello che piace ai Vic. Massi- ANGELA TOVAZZI
Il Piano Nobile a misura di Vic offerto da Buccellati in via Montenapoleone
Uno scorcio di Casa Cucinelli a Milano
Lo shop-in-shop del negozio Swarovski a MIlano
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di Lauren Levesque
Hey Milan, nel 2025 le paillettes stanno tornando alla grande. Passeggiando su e giù per Madison Avenue un paio di giorni fa, non ho potuto fare a meno di notare che in ogni negozio c’era un manichino in vetrina che sembrava scintillare. Ho pensato: «Siamo tornati ai primi anni 2000?» Il viaggio indietro nel tempo è probabilmente opera della mia generazione, la Generazione Z, nata in quel periodo. Abbiamo riscoperto serie TV come Sex and the City. Personalmente ne sono fan fin dall’infanzia. Due delle protagoniste della serie, Carrie e Samantha, sarebbero le migliori difensori dei lustrini. I lustrini sono divertenti e aggiungono una texture dinamica e movimento a un outfit che migliorerà istantaneamente il look. La nostra generazione tende verso Samantha. Mentre Carrie è popolare, Samantha è fonte di ispirazione. È una donna d’affari di successo che sa come vestirsi bene, non giudica e ha potere. Ho preso una gonna di paillettes nera, ho pensato che fosse un oggetto divertente e perfetto per mostrare personalità. Allo stesso tempo riporta alla ribalta la moda classica degli anni 2000. Girovagando per la città, mi sono imbattuta in Aritzia, un negozio di abbigliamento leader a New York. Aritzia, un marchio canadese, ha aperto il suo negozio principale sulla 5th Avenue. Si estende su 3.100 metri quadrati, imponendosi tra i giganti del lusso della Fifth Avenue. Aritzia è uno di quei negozi dove si possono trovare numerosi vestiti per una moltitudine di eventi, ma con un budget limitato. Ha creato tra gli altri il “Super Puff”, un favoloso cappotto invernale caldo, resistente e che vale il prezzo di 300 dollari. Questo cappotto fa parte della mia guida di sopravvivenza per il guardaroba invernale. Lo indosso quasi tutti i giorni quando esco dal mio appartamento. Per vedere quanto fosse caldo, ho fatto un test pratico. La palestra che frequento è a circa 10 minuti a piedi dal mio appartamento; indossavo i miei legging, scarpe da ginnastica e canotta sotto il cappotto. Sono stata piacevolmente al caldo per tutto il tragitto. Il concetto di Artitza è legato al “lusso quotidiano” e a una “esperienza
un vocale da New York
Un tocco di Sex and the City
La fashion editor Lauren Levesque vive a New York. Appartiene alla Generazione Z. Sarà gli occhi e le orecchie di Fashion Magazine nella Grande Mela. Per il suo debutto come editorialista ci porta con sé in un giro di shopping e a una sfilata di moda privata che sembrava quasi Schiaparelli
di shopping curata”. Lo store offre marchi esclusivi e, al contempo, arredi di design europeo, un atrio con piante e due caffetterie. Questo porta lo store a un livello completamente nuovo. Non si tratta solo di fare shopping, è un luogo sociale dove incontrarsi con gli amici mentre si striscia una carta di credito!
Il Flatiron District è un quartiere carino, che comprende le strade dalla 14esima alla 23esima in verticale e dalla Sixth Avenue a Park Avenue South. Questa zona di New York ospita Eataly (lo conoscete meglio di me), alcuni parchi incantevoli e un’architettura affascinante. È anche un luogo in cui la filosofia del “ridurre, riutilizzare e riciclare” sta fiorendo. Anche se la città costruisce costantemente nuovi grattacieli (basti pensare a HudsonYards), sa anche come reinventare il vecchio in qualcosa di straordinario. L’iconico Flatiron Building sulla 23esima strada tra la Fifth Avenue e Broadway sarà trasformato in appartamenti di lusso
L’edificio è alto 22 piani e avrà 60 residenze. Il processo di ristrutturazione sarà piuttosto complicato, poiché il building ha una forma bizzarra. Inoltre, l’edificio è storico, il che significa che qualsiasi modifica alla colorazione della pietra calcarea e della
terracotta richiederà l’approvazione della Landmarks Preservation Commission. Mentre scrivo, il mese della moda è in pieno svolgimento. Tutti parlano del ritorno della Calvin Klein Collection sotto la guida della stilista Veronica Leoni. Tuttavia, ho avuto il privilegio di assistere a una sfilata privata di Gretchen Heist nel Financial District. Poiché si trattava della prima collezione della stilista, lo show non era incluso nel calendario ufficiale della Settimana della moda di New York. A differenza della sfilata di Calvin Klein, che sembrava mancare di sensualità, la collezione “Stolen Paradise” di Gretchen Heist trasmetteva proprio questo. Raccontava le fasi di una relazione romantica attraverso abiti realizzati con colori e disegni intricati. Accennava leggermente a tendenze futuristiche come il remake cinematografico “Dune” o l’ode alla “perfezione disumana” di Schiaparelli. Sono contenta di aver potuto assistere a un debutto così dinamico.
Uscendo dalla sfilata, ho scoperto che la temperatura era scesa incredibilmente e che le strade erano ghiacciate. Per riscaldarmi, ho usato una moda che sta spopolando in città. Si chiama “Babushka Scarf Trend”, un nome buffo ma legato a un look senza tempo, che non manca mai di essere disinvolto e chic.
Per realizzarlo, prendi la tua sciarpa e avvolgila verso di te con le due estremità che penzolano lungo la schiena. Poi, prendi ciascuna estremità e tirala davanti sul lato opposto. Questo stile tiene caldo, ma l’effetto “Babushka” si ottiene quando si riprende ciascuna estremità e la si mette all’interno del cerchio intorno al collo. Per il passaggio finale, tira la parte posteriore della sciarpa verso l’alto, in modo da formare un cappuccio e modellalo di conseguenza. Questo look tiene caldo mentre la sciarpa funge da cappuccio, conferendo un aspetto da nonna. E in primavera una sciarpa di lino stile “babushka”, con una maglietta bianca tinta unita e occhiali da sole, è un outfit perfetto per una passeggiata a Central Park. Oserei indossarla con una gonna di paillettes. Sono sicura che Samantha approverebbe la mia scelta. ■
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Il made in Italy? Tante mani da proteggere
Nel 2024 il settore ha subito un calo dei fatturati e dell’export. La numero uno di Confindustria Accessori
Moda chiede misure tampone, in attesa della ripresa
Si chiude un 2024 complesso, con ricavi ed export in flessione, per l’industria italiana degli accessori moda, che include la calzatura, la pelletteria, la pellicceria e la concia. «Alcune imprese faticano, altre vanno bene ma, in generale, la fiducia nel futuro non manca», commenta Giovanna Ceolini, presidente di Confindustria Accessori Moda e Assocalzaturifici, nonché fondatrice e amministratrice unica del calzaturificio Parabiago Collezioni. «Attualmente il 47% degli imprenditori si aspetta una situazione stabilità e il 15% prevede un aumento dei ricavi», spiega, citando un sondaggio interno. Tuttavia, in questa situazione di mercato, su cui impattano l’instabilità geopolitica e la crisi dei consumi in alcuni mercati di riferimento, «urge tamponare le falle, in attesa della ripresa, riportare il lavoro nelle aziende e tenere d’occhio i consumatori», sintetizza Ceolini, ricordando che i giovani prediligono canali d’acquisto alternativi a quelli tradizionali, il look tutto firmato non esiste più e il firmato talvolta è un falso. Dalle prime proiezioni sul 2024 dell’Ufficio Studi di Confindustria Accessori Moda l’accessorio ha totalizzato 30,1 miliardi di ricavi, in diminuzione dell’8,1% rispetto al 2023, mentre l’export è sceso dell’8,5% a 16,7 miliardi. «Cina e Germania, che erano punti fermi, hanno mostrato un calo degli ordini rispettivamente del 6% e del 3,6% - nota la numero uno di Confindustria Accessori Moda -. La Francia, primo mercato per il comparto, ha registrato un più contenuto -0,9% mentre sono salite le vendite in Spagna, con un +9,1% e Polonia, con un +4,6%». Fuori dall’Ue, spiccano il +9,7% in Giappone, il +9,2% a Hong Kong e il +37,8% negli Emirati Arabi. Il -61% registrato dalla Svizzera riflette il fatto che la federazione ha perso il suo ruolo di hub del
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«Le nostre lavorazioni non si fanno altrove e non le fa una macchina»
Giovanna Ceolini
Presidente Confindustria Accessori Moda
47%
sono gli imprenditori del settore che prevedono ricavi stabili
15%
la quota di chi si aspetta ricavi in aumento
lusso. «Le griffe fanno girare il mondo e noi produciamo per loro - dichiara Ceolini -. Ma i prezzi al dettaglio sono stati alzati troppo, si dice anche del 30%, e di certo noi produttori non ci abbiamo guadagnato. Ad alcune aziende è stato chiesto di produrre a un certo prezzo e quelle che avevano bisogno di lavorare hanno accettato». A questo si aggiunge la prospettiva che gli Usa - un mercato storicamente difficile da approcciare - aumentino i dazi (anche se mentre scriviamo nulla in merito è stato deciso dal presidente Donald Trump). Gli obiettivi europei per una moda green sollevano, inoltre, un problema di audit sempre più stringenti e «le aziende rischiano di non riuscire a stare al passo». Uno dei temi che più le stanno a cuore è quello delle professioni tecni-
che: «Siamo il Paese del bello e ben fatto, con lavorazioni che altrove non si fanno e che non possono essere sostituite dalle macchine. Il made in Italy è tutto fatto di mani, ma stiamo rischiando di perderne una buona parte. Come associazione siamo preoccupati: nel 2024 hanno chiuso 330 imprese e 4.800 dipendenti sono stati lasciati a casa». «Ringraziamo il governo - prosegue - per avere previsto aiuti alle aziende con meno di 15 dipendenti, ma auspichiamo misure anche per aziende più grandi, per tamponare la situazione, tra cui l’azzeramento dei contatori della cassa straordinaria o un modello di cassa integrazione speciale simile a quello pandemico. Bisogna inoltre trovare il modo di accordarsi con i sindacati, vedere dove ci sono eccedenze di personale e dove risistemarle». Nella situazione attuale rischiano, inoltre, di essere inefficaci i sostegni per investimenti da milioni: «Come si fa a investire se mancano i ricavi e il personale specializzato?», si chiede Ceolini. I problemi sono tanti ma, conclude, «tutti sono al lavoro per migliorarsi, aggregarsi, fare qualcosa insieme, per esempio fiere all’estero con il supporto dell’Ice e il sostegno dello Stato». In tal senso, a fine gennaio c’è stata la firma di un memorandum d’intesa delle principali associazioni della moda con il Maeci, per la promozione all’estero. Si parte da 11 ambasciate in aree strategice come Europa, Corea, Cina, America, Emirati e Arabia Saudita. ■
ELISABETTA FABBRI
AGL e la «rivoluzione rispettosa» delle sorelle Giusti
Sara, Vera e Marianna Giusti, terza generazione del calzaturificio marchigiano, hanno progressivamente trasformato l’azienda a loro immagine e somiglianza. Da sempre forti all’estero, la loro parola d’ordine per il 2025 sarà Italia, dove accarezzano l’idea del primo monomarca
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Da sinistra, Vera Giusti, Head of Design e Creative Director; Marianna Giusti, Product Development Director; Sara Giusti, General Manager
Nella spaziosa showroom milanese di via della Spiga incontriamo due sorelle su tre, perché Marianna, «la piccola di famiglia», è rimasta di presidio nella sede di Montegranaro, nel distretto fermano-maceratese delle calzature. Sara, Vera e Marianna sono le sorelle Giusti, capitane d’azienda ex aequo che stanno portando avanti l’attività fondata nel 1958 dal nonno Piero ed ereditata negli anni Settanta dal padre, artefice della società con la moglie: la Attilio Giusti Leombruni
Di quel nome oggi è rimasto solo l’acronimo, AGL. Più smart. Più contemporaneo. Come lo è il triumvirato che da due decenni dà forma alle collezioni e le porta in tutto il mondo. Nate tra il 1978 e il 1982, da quando sono arrivate al comando, le tre imprenditrici sono state mente e braccio di una rivoluzione silenziosa, seppur «rispettosa», come precisa Sara Giusti, General Manager, spiegando che la filosofia produttiva è quella delle origini, con articoli 100% made in Italy, gli stessi fornitori toscani, la tecnica artigianale delle costruzioni e soprattutto il comfort, biglietto da visita di AGL. Eppure, l’avvicendamento generazionale ha progressivamente creato un nuovo mindset, rivisto l’organigramma aziendale e ridefinito i processi. «Quando siamo entrate - spiega Vera Giusti, head of design e creative director - oltre l’80% degli addetti erano uomini, con un’impostazione, anche manifatturiera, tarata su esigenze maschili. Noi abbiamo ribaltato questa percentuale. Oggi più del 65% dei dipendenti è costituito da donne, presenti soprattutto nelle posizioni ai vertici». «Un cambiamento - sottolinea - che ha impattato su tutto: non solo sull’organizzazione e l’ambiente di lavoro, con un orario su misura che incastra agende e impegni familiari, ma anche sul prodotto».
Concepite e realizzate «a sei mani», quelle di AGL sono scarpe disegnate da donne per le donne. Che lavorano, viaggiano, si districano tra ufficio, casa e figli. La comodità è, e intende rimanere, un punto fermo del marchio - «Usiamo sempre la morbidissima nappa, la pelle d’agnello e le suole extra light introdotte da nostro nonno» -, tanto che nel campionario è difficile vedere iperbolici tacchi a stiletto (meglio zeppe, platform e chunky soles). Il salto fatto dalle sorelle Giusti sta piuttosto nel fatto che, ancorandosi e facendo leva sul know-how della tradizione, hanno cercato di fare di AGL «un marchio», con un dna riconosciuto e riconoscibile. Un daywear confortevole sì, ma con dettagli ricercati, spesso au-
daci. Femminile, ma “emancipato” e dal gusto androgino. In una parola, cool. In America e nel Nord Europa - bacini commerciali di riferimento - le consumatrici apprezzano, ma pure in Italia negli ultimi anni il brand sta conquistando posizioni, grazie anche all’endorsement di cantanti - da Laura Pausini ad Angelina Mango - che hanno scelto le comode calzature AGL per salire (e non cadere) sul palco o per non immolarsi al diktat di scarpe sexy ma “scassa-piedi” durante i faticosi tour.
Con una solida base di oltre 450 clienti wholesale sparsi negli Stati Uniti e
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«Le
nostre sono scarpe create da donne per le donne. Che lavorano, viaggiano e hanno mille impegni. Che vogliono scarpe comode ma cool»
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in Canada, nell’area dell’ex Urss, nella promettente Corea e soprattutto in mercati storici come la Germania, che conta da sola più di 150 multimarca, l’obiettivo per il 2025 è proprio implementare la presenza nei negozi in madrepatria. Oggi il brand si trova, tra gli altri, da Rinascente, Antonia e L’Arabesque a Milano, da J. Berry ad Alessandria e da Cread a Torino, ma le sorelle Giusti pensano ci sia ancora spazio per una collezione dal posizionamento premium contemporary come AGL, con una scelta molto vasta per accontentare diversi palati e diversi mercati (oltre 300 Sku) e un range di prezzi al pubblico fra i 300 e i 650 euro. «Abbiamo grandi progetti per l’Italia e non solo nel canale wholesale - spiega Sara Giusti -. Il nostro sogno, ma forse meglio dire goal, è aprire il primo monomarca AGL. Ci arrivano tante richieste dall’estero, abbiamo anche l’esperienza di uno shop-in-shop gestito da noi da Galeries Lafayette a Parigi, ma noi vogliamo partire da Milano. Poi chissà, crediamo che sia in Europa che negli Stati Uniti possa esserci il terreno fertile per proseguire in una eventuale espansione retail».
In quest’ottica vanno lette anche le recenti iniziative volte ad ampliare l’assortimento: lo scorso dicembre ha debuttato sull’e-shop (un canale che genera circa il 15% del fatturato) la prima collezione di borse. Le bAGL, questo il nome, si fondano sugli stessi principi delle calzature: comodità, leggerezza, funzionalità. «Abbiamo iniziato con sei modelli per la SS25, declinati in diverse varianti e con dettagli multitasking, dalle pratiche tasche alla tracolla che può essere rimossa, trasformando la borsa in pochette», spiega Vera Giusti. Che anticipa anche la prossima novità: una linea di soft accessories, con cappelli, guanti, cappe e sciarpe, al via dal prossimo autunno-inverno. Sul fatto che questo lancio possa costituire un primo passo nell’abbigliamento le imprenditrici frenano, anche se «siamo aperte a tutto, non ci precludiamo nulla». A una condizione: non mettere a rischio l’azienda. «Chiuderemo l’anno con un fatturato di circa 20 milioni, stabile rispetto all’anno scorso - aggiunge Sara Giusti - e certamente vogliamo crescere, ma in maniera organica e sostenibile. Prima di tutto vengono i nostri 110 dipendenti». Le sorelle concordano su tutto o quasi. Litigi? «Mai», rispondono all’unisono. «E se c’è bisogno (ridono, ndr) votiamo. Si fa presto a stabilire la maggioranza». ■
ANGELA TOVAZZI
Zanellato: «Voglio continuare a essere una voce fuori dal coro»
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Sulla qualità non si transige. Sul prezzo nemmeno. Il mercato è ancora in fase di rallentamento, ma Franco
Zanellato pensa di avere tutte le carte in regola per far crescere la sua nicchia. E per il quinquennio 2025-2030 mette a punto una nuova road map, facendo perno sull’italianità. Sia nel prodotto che nella distribuzione
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A lato, il ceo e direttore creativo Franco Zanellato. Qui sopra, un modello A’Spasso e la it-bag Postina. Nella pagina accanto, tre varianti cromatiche della Dotta
Franco Zanellato è uno sperimentatore. Gli è sempre piaciuto uscire dagli schemi e creare nuovi sentieri, «sporcarmi le mani», come dice lui stesso, senza però rinnegare le origini e il patrimonio ricevuto in eredità. Con base nel vicentino, dove il padre e lo zio operavano nel mondo dell’industria conciaria, ha dato continuità alla tradizione familiare, ma è uscito velocemente dalla comfort zone. La it-bag Postina, ideata nel 2011, ha venduto fino a oggi oltre 500mila esemplari e fatto da traino all’affermazione del marchio nei negozi di fascia premium-luxury. Dal suo debutto i tempi sono però profondamente cambiati. Dopo il Covid tutta l’industria è stata impattata dal rialzo inflazionistico, dall’aumento dei costi delle materie prime, dal calo della domanda, dal sensibile depauperamento di alcuni bacini commerciali redditizi come la Russia. Da qui la volontà di rispondere con efficacia a un mercato ancora in fase down. Come? Con un «re-focus», come lo chiama Franco Zanellato, che nel caso dell’azienda veneta si traduce in una nuova road map per i prossimi cinque anni, con obiettivi mirati riguardo a prodotto e distribuzione, in un’ottica di valorizzazione del marchio, senza dimenticare la questione prezzo: una leva, secondo l’imprenditore, che permette alle piccole imprese come Zanellato (circa 8 milioni di euro di fatturato nel 2024) di giocare la propria partita, nonostante il predominio dei big brand.
Nel 2025 Zanellato apre un nuovo capitolo. Quale la direzione?
Abbiamo dato il via a un piano che da qui a cinque anni, step by step, punta a rinforzare il dna del marchio, che è sinonimo di borse fatte a mano in Italia con pellami di altissima qualità, dal design oltre il tempo e le mode, che con la loro morbidezza al tatto, il profumo, il suono della lavorazione coinvolgono tutti e cinque i sensi. Vere e proprie icone, coperte da brevetto. Dopo un’analisi di 18 mesi abbiamo intrapreso una strada per ritararci e affrontare i nuovi scenari, scommettendo sulla nostra identità. Dai nostri focus group è emerso che il pubblico vuole un prodotto dal valore intrinseco, tracciato, veramente made in Italy, dal prezzo giustificato: quello che facciamo noi. Da qui il progetto di un re-focus e un rebranding: abbiamo ridisegnato il logo e costruito una nuova struttura di offerta, che d’ora in avanti proporrà al mercato i capisaldi Zanellato.
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Un poker di borse per vincere la partita: accanto all’it-bag
Postina, arrivano Dotta, A’Spasso e Mondà, ispirate ai mestieri di ieri e ai desideri di oggi
na del fiume” del 1954, interpretato da un’icona del cinema italiano come Sofia Loren. Le quattro proposte avranno uno sviluppo verticale in fatto di texture e pellami, misure e soprattutto cromie: una scommessa sulla creatività per i prossimi cinque anni.
Savoir faire artigianale e storytelling, dunque. Cambierà il posizionamento?
Anche qui vogliamo essere coerenti con noi stessi e la nostra storia, continuando a essere una voce fuori dal coro. Sul mercato abbiamo assistito a rialzi dal 30% al 70% sul retail price, con le conseguenze che conosciamo. Nonostante l’aumento dei costi delle materie prime, Zanellato ha mantenuto, e con grande sforzo, gli stessi standard qualitativi eccellenti, senza ammortizzare attraverso i listini. La variazione è stata del 9% in un arco di tempo di sei anni. Oggi le nostre borse vanno nei negozi con un cartellino compreso fra i 340 e i 795 euro. Per noi gli 800 euro costituiscono una barriera oltre la quale non vogliamo andare. Tenere la barra dritta sul prezzo è la nostra forza e ci permette di competere nell’arena del lusso, caduto in una spirale di aumenti che ha demotivato la domanda e, al contempo, ha lasciato spazio libero per marchi contemporary di qualità.
Quale l’impatto a livello commerciale?
Cosa cambia in concreto?
Tutti conoscono la “Postina”, la borsa ispirata al leggendario film Il Postino con Massimo Troisi e che reinterpreta in chiave glamour la cartella del portalettere. Bene. A partire dalla SS25 Zanellato concentrerà l’offerta in quattro modelli ben precisi, ispirati come la nostra best seller all’arte di antichi mestieri e a topos condivisi della storia italiana. Accanto alla Postina, proponiamo altre tre borse create ex novo: la “Dotta”, in omaggio alla storica borsa dei medici di famiglia e in particolare a Ernestina Paper, la prima donna medico laureata in Italia; la bag “A’Spasso”, ancorata nel design a un grande classico del lifestyle italiano, la passeggiata in centro, e ispirata a mia zia Beppa Zanellato, protagonista glamour della Dolce Vita; infine “Mondà”, un tributo alle mondariso del delta del Po e al celebre film “La don-
L’Italia sarà il “dominus” della nostra distribuzione. Un mercato chiave come la Russia, come sappiamo, è crollato. Il Giappone non dà più le soddisfazioni di una volta. E se vuoi investire negli States e in Cina devi avere solide fondamenta. Per questo puntiamo a rinforzarci in madrepatria, che genera attualmente l’80% del nostro fatturato attraverso una rete selezionata di 180 multimarca. Stiamo lavorando a nuovi progetti con La Rinascente, dove abbiamo già corner a Milano, Roma e Torino, e ci aspettiamo performance positive dal nostro e-shop, da novembre completamente rinnovato, da cui ricaviamo il 20% delle vendite.
Aspettative per il 2025?
Chiuderemo il 2024 con un leggero incremento di fatturato. A partire dal 2025 abbiamo aperto il nuovo capitolo di Zanellato, che è una scommessa. Credo che i primi risultati concreti li raccoglieremo nel 2026. ■
ANGELA TOVAZZI
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Supply chain e stile
forte:
così Mach & Mach fabbrica il suo futuro
Quando nel 2019 Nina e Gvantsa Macharashvili si rivelano al mondo, facendosi conoscere grazie ai social, le loro pump decorate con fiocchi e tempestate di cristalli genera immediatamente buzz e business, conquistando i migliori 100 negozi multimarca e department store del mondo. Sei anni più tardi, dopo aver affrontato un periodo di continua incertezza economica e di mercato, le fondatrici di Mach & Mach e il loro ceo sono riusciti a costruire un brand riconoscibile e con una solida reputazione (complice la fabbrica di Parabiago), tanto da essere considerato l’erede dei grandi nomi della calzatura del passato
Il successo fulmineo ottenuto da Mach & Mach nel 2019, nell’arco di una sola stagione, è una notizia incoraggiante per i giovani designer: dimostra che è ancora possibile emergere e trasformare un piccolo ufficio senza team in una vera azienda. Le sorelle Nina e Gvantsa Macharashvili, stiliste georgiane fino a quel momento pressoché sconosciute fuori da Tbilisi nonostante il loro marchio esistesse dal 2012, pubblicano su Instagram le immagini delle loro décolleté con doppio fiocco in cristalli. Inaspettatamente, quelle scarpe ricevono l’endorsement delle star più famose, da Beyoncé a Dua Lipa e Rihanna. Così, il loro brand diventa popolare e riconoscibile anche fuori dalla Georgia. «Volevamo creare delle calzature che fossero classiche, glamour e moderne al tempo stesso - ricorda Gvantsa Macharashvili -. Credo sia stata la combinazione vincente al momento giusto». Ricevere il placet delle celebrities si traduce ovviamente anche in un ritorno commerciale, con ordini in crescita a tre cifre registrati nel giro di una campagna vendita. Ma le due sorelle non si sono fatte travolgere da un’improvvisa esplosione di notorietà grazie a un accessorio diventato virale. Al contrario, hanno subito avviato un percorso di crescita strategico per la loro attività. Lasciata la Fashion Week di Tbilisi per quella di Parigi, Mach & Mach attira l’attenzione dei principali retailer internazionali, soprattutto nel mondo dell’e-commerce e dei marketplace, all’epoca in piena espansione. «Non ci aspettavamo un tale successo, né un riscontro così forte dagli addetti ai lavori», prosegue Gvantsa Macharashvili, oggi basata a Milano, mentre la sorella Nina continua a lavorare dalla Georgia. Il boom improvviso quanto imprevisto porta le fondatrici, insieme al ceo Irakli Kikolashvili, a prendere una decisione strategica: sdoppiare il quartier generale e portare l’ufficio stile, la showroom e la produzione in Italia, patria dell’artigianato calzaturiero. Un legame con il Made in Italy che si è consolidato nel 2023 con la costruzione di una fabbrica di proprietà a Parabiago, storico distretto delle calzature di lusso. Qui, accanto a nomi come Manolo Blahnik e Chanel, Mach & Mach ha inaugurato un impianto di 4mila metri quadrati, che da settembre 2024 ha iniziato a produrre internamente le proprie scarpe, precedentemente affidate a terzi. «È un passo fondamentale per il brand - spiega Kikolashvili -. Ci permette di migliorare la qualità del prodotto, sperimentare di più, controllare le consegne e costruire una base solida
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«La fabbrica a Parabiago ci permette di migliorare la qualità del prodotto e sperimentare di più»
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per una crescita strutturata». Attualmente il calzaturificio conta 50 dipendenti, con l’obiettivo di raddoppiarli entro la metà del 2025. Una scelta audace, soprattutto in un periodo in cui molte aziende del settore sono in difficoltà: «Ci dicono che è un rischio aprire una fabbrica adesso, ma crediamo che proprio in questi momenti servano coraggio e investimenti». L’evoluzione di Mach & Mach, accelerata dalla pandemia, ha trasformato il brand da simbolo delle occasioni glamour a un marchio più versatile, da indossare giorno e notte, dove il lusso incontra il comfort. Alle iconiche pump si sono infatti affiancati ballerine ultra flat, stivali, mocassini e, soprattutto, borse, un segmento in forte crescita. Anche il ready-to-wear è un progetto destinato a crescere e potrebbe portare alla prima sfilata, anche se «non subito: tutto ciò che facciamo deve essere coerente con la nostra estetica», precisa Kikolashvili. Intanto, Mach & Mach parteciperà per la quarta stagione consucutiva alla fashion week di Milano presentando la collezione FW25/26 nella showroom diretta, a pochi passi dal Castello Sforzesco. Sul fronte commerciale, il brand continua a puntare sul wholesale: un canale che, soprattutto online, ha vissuto turbolenze recenti tra saturazione dell’offerta e cambiamenti nelle abitudini dei consumatori. Per questo Mach & Mach ha adottato una strategia selettiva, collaborando con i migliori multimarca e department store al mondo, da Harrods a Neiman Marcus, passando per LuisaViaRoma e Net-a-Porter. L’Italia, secondo mercato dopo gli Stati Uniti, gioca un ruolo chiave, con una presenza consolidata alla Rinascente di Milano e in boutique di riferimento come 10 Corso Como e Antonia «Stiamo espandendo il business in Thailandia, un mercato con ottime prospettive di crescita», racconta il ceo, spiegando l’impegno dell’azienda nel rafforzare la propria presenza retail con shop-in-shop permanenti in città strategiche come Bangkok, Doha, Düsseldorf e Monaco. Parallelamente, il brand continua a investire nel digitale: alla fine del 2024 è stato lanciato, in sordina, l’e-commerce diretto, un passo fondamentale per rafforzare il legame con il consumatore finale. «Siamo fieri di quanto realizzato finora», conclude Kikolashvili, sottolineando come il fatturato continui a crescere a doppia cifra. «Ma siamo consapevoli di essere solo all’inizio del percorso: Mach & Mach deve ancora mostrare il meglio di sé». ■
Da
sinistra, Nina e Gvantsa Macharashvili hanno
fondato Mach & Mach a Tbilisi nel 2012
Al centro della collezione c’è la scarpa Double Bow, simbolo del legame tra le due sorelle
Il corner al terzo piano di Rinascente a Milano si trova accanto a brand del lusso come Gucci e Dior
Irakli Kikolashvili, ceo di Mach & Mach
ANDREA BIGOZZI
BUYERS' SURVEY DONNA FW 24/25
Borse e scarpe difendono il loro ruolo di oggetti del desiderio
In questo spin-off del nostro sondaggio sulle vendite di stagione, dedicato specificamente agli accessori, si parla di it bag (per le quali a volte i prezzi alle stelle non sono tuttora un problema), marchi in ascesa e, per le calzature, di grandi ritorni, vedi Ugg
Come per l'abbigliamento, al centro di un sondaggio ad hoc pubblicato in questo numero, anche per gli accessori donna il bilancio della stagione FW24/25 è chiaroscurale. Predomina la stabilità, con un 22% del campione che denuncia una contrazione del sell out, compresa tra un -5% e un -20%, mentre la crescita riguarda un 16%, con incrementi tra il +5% e il +20%. In vetta alla classifica a livello merceologico si piazzano calzature sportive e sneaker, che surclassano di gran lunga i modelli classici e superano le borse, che ottengono il 42% delle segnalazioni.
I prezzi delle it bag delle griffe sono sempre un tema molto caldo, anche se non va sottovalutato quel 29% di retailer che sottolinea come i cartellini alti o altissimi non siano un problema. In effetti, quando abbiamo chiesto ai dettaglianti quali siano i prodotti "must have" di stagione in fatto di borse, a fronte di chi indica per esempio la "Pasticcino" di Weekend di Max Mara (circa 400 euro) e di chi senza fare nomi segnala «una bag di media misura, morbida e made in Italy, con un prezzo intorno ai 500-700 euro»
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oppure «borse versatili, da giorno e da sera, sui 400-600 euro», sono comunque ben piazzati in classifica modelli iconici delle griffe: per esempio la "Andiamo" di Bottega Veneta, che può superare i 4mila euro, e la più "abbordabile" (2.100 euro) "Bang Bang Vanity Case" sempre di Bottega Veneta, insieme alla "Arcadie" di Miu Miu che oscilla tra i 2.400 e i 2.700 euro
Il sell out
COME
e alle bag di Alaïa, tra cui la "Le Click East West", che in versione grande supera i 3mila euro. «Sull'accessorio si spende ancora volentieri - osserva Gino Cuccuini di Cuccuini -. Dior non conosce flessioni, Loewe va sempre molto bene, Saint Laurent non delude le aspettative e Miu Miu ha uno dei migliori sell through. Poi è chiaro che la cliente si lascia conquistare anche da proposte meno impegnative per il portafoglio, come i modelli di Longchamp e Marc by Marc Jacobs, in vendita intorno ai 400-500 euro, oppure quelli di Jacquemus, che salvo eccezioni stanno sui 700-800 euro. Certo, la vendita di pezzi nel settore accessori è limitata, per cui il contributo al fatturato c'è, ma non è paragonabile a quello del ready-towear». Il punto, secondo molti, è che è il ready-to-wear a soffrire di più in questa fase di mercato: «Le borse tutto sommato reggono». «Se il brand piace, il prezzo non è un problema», ribadisce Edoardo Amati di Leam.
Ma, come fanno notare diversi dettaglianti, anche per le it bag più costose le clienti si sono abituate ad andare a caccia di sconti, soprattutto online, e alla fine ri-
Nugnes
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escono a trovarli, magari dai brand stessi. «Riscontriamo un calo delle vendite di it bag, perché soprattutto la cliente aspirazionale non è più disposta a destinare cifre spropositate per gli oggetti del desiderio. Pertanto, se non rinuncia del tutto all'acquisto, lo rimanda», sintetizza Paolo Marini di Marcos e Zer0. «Le vendite sono state "drogate" dai mercati esteri, prima iper ricettivi ma dove ora il vento è cambiato, anche perché in molti casi il prezzo è andato alle stelle ma la qualità è rimasta uguale, o in alcuni casi è addirittura peggiorata», è la riflessione di Marco Cateni di Divo. Da non sottovalutare poi una certa stanchezza da parte di alcune consumatrici: «Ci sono quelle che hanno acquistato le it bag in vari colori, modelli e materiali già in passato e ora hanno perso interesse - dice Anna Giordano di Giordano Boutique -. D'altro canto, chi si approccia oggi a questo mondo non sempre riesce a concepire rincari che appaiono ingiustificati».
Abbiamo chiesto se, sempre a proposito di borse, si stiano facendo strada prodotti alternativi o perlomeno complementari a quelli di cui sempre si parla. Non sono stati fatti nomi in particolare, ma si tende a indicare soluzioni possibilmente made in Italy, con un rapporto prezzo-qualità equilibrato - vedi Zanellato, in prima posizione tra i best seller indicati dal nostro panel - e, soprattutto per le fasce più giovani di consumatrici, con il plus della sostenibilità. A questo proposito, tra i brand emergenti o non appartenenti alla categoria dei "soliti noti", spicca per alcuni intervistati Themoiré, il progetto fondato nel 2019 da Francesca Monaco e Salar Bicheranloo, che utilizza materiali natu-
Il prodotto
QUAL È LA MERCEOLOGIA
CHE HA VENDUTO DI PIÙ NEGLI ACCESSORI DONNA?*
61%
CALZATURE SPORTIVE E SNEAKER
42% BORSE
14%
CALZATURE
* Risposte multiple
COME SONO ANDATI I SALDI DI ACCESSORI DONNA?
%
TRA LE SCARPE FEMMINILI I TACCHI ALTI SONO ORMAI TRAMONTATI?
LE IT BAG DELLE GRIFFE HANNO PREZZI ALLE STELLE: È UN PROBLEMA PER LE CLIENTI? 90% SI 10% NO
rali come sughero e rafia, spingendosi a sperimentare anche le foglie di ananas o gli scarti dell'industria delle mele. Sicuramente una realtà di nicchia, con cui non si può certo realizzare il grosso del fatturato, ma che può servire per offrire alla consumatrice qualcosa di diverso a un prezzo accettabile. Risale invece al 2014 la nascita di Toteme, altro nome segnalato, che proviene dalla Svezia e produce anche abbigliamento e altri accessori. In questo caso
Passando alle calzature, sono al primo posto nella nostra classifica delle vendite della FW24/25, soprattutto se appartenenti al segmento sportivo e delle sneaker: non c'è da stupirsi, visto il successo di brand come Autry, ancora citato dai protagonisti della nostra Buyers' Survey, ma che stavolta, proabilmente perché si parla di donna, non sale sul podio. Il marchio è ora nell'orbita di Style Capital di Roberta Benaglia, la quale in un'intervista alla nostra testata ha annunciato: «Voglio fare di Autry un brand iconico, selettivo 71% SI 29% NO
i listini sono più alti rispetto a Themoiré, ma viene apprezzata l'immagine metropolitana e minimalista. Anche per Toteme l'attenzione ai principi Esg è alta. C'è chi indica come interessante il ritorno di una realtà storica come Gherardini e chi nomina Lemaire, tutt'altro che una novità, ma che piace perché in fatto di borse, a fronte di prezzi intorno al migliaio di euro, l'attenzione al prodotto, ai dettagli e alla qualità è decisamente alta.
Galiano
come Golden Goose ma a prezzo smart». I tacchi alti sembrano essere un ricordo pre-Covid: in pochi dicono che sono ancora in auge. «Il tacco 12 è sparito - informa Cesare Tadolini de L'Incontro -. Al massimo viene richiesto il tacco cinque, in sintonia con le esigenze attuali della donna». Tra le sneaker vincenti il retailer modenese indica un classico, le Hogan, «che si sono molto rinnovate, costano circa 400 euro ma valgono la spesa, sono super comode e portabili». Alla ribalta, parlando in generale, fenomeni come le Hoka o le On, ma non di sole sneaker vive il mercato, soprattutto femminile.
Un marchio in ascesa, sempre parlando di scarpe sportive, è Ugg, che si piazza secondo insieme a Golden Goose tra i best seller stagionali. Nato nel 1978, Ugg sta vivendo una seconda giovinezza e lo dimostrano anche i recenti risultati trimestrali del Lyst Index, la classifica dei brand più ricercati online a livello globale, condotta dalla famosa piattaforma internazionale: Ugg è una new entry e si piazza direttamente al decimo posto, grazie a ricerche che sono balzate del +358% nel periodo, soprattutto per quanto riguarda gli Ugg Classic Ultra Mini Boots. Questi stivaletti sono stati riscoperti dalla Generazione Z, che può permettersi un prezzo intorno ai 170 euro. Come nel caso delle Birkenstock, anche per Ugg il problema copie è sempre in agguato.
«Questo brand veste la ricca e la non ricca - osserva Gino Cuccuini -. La prima lo indossa perché fa giovane, la seconda perché si sente trendy. Ci vorrebbero più fenomeni tipo Ugg in altri settori». Anche Moon Boot potrebbe avere delle chance, ma il cambiamento climatico lo penalizza. Tornando alle sneaker, «si sente l'esigenza di modelli made in Italy e con prezzi abbordabili», riflette Mirko Moras di Moras. Ma l'universo dei tacchi bassi, o dell'assenza di tacchi in assoluto, è più ampio. «Ora fanno pià hype mocassini e loafer», afferma Giuseppe Nugnes di Nugnes. «Le alternative si sprecano - conclude Ercole Cellino de Il Duomo -. Stivaletti, pump con tacco basso, slingback, ballerine, gli stessi mocassini: per la donna c'è l'imbarazzo della scelta». ■
ALESSANDRA BIGOTTA
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I best seller
QUAL È STATO IL MARCHIO
BEST SELLER DI ACCESSORI
DONNA DELLA FW 24/25?
ORCIANI, ALEXANDER WANG 1 2 3 4
ZANELLATO
GOLDEN GOOSE, UGG
ALAÏA, BOTTEGA VENETA
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Contitolare di Porrini Moda e Casa a Besozzo (Varese)
Come sta cambiando il settore accessori donna?
Come nell'abbigliamento, dove accanto a marchi "istituzionali" tra cui Herno sono apprezzati nella nostra boutique brand come Péro, Hannoh Wessel e Apuntob, così negli accessori le clienti sono attratte da ricerca e unicità, dalle borsette piccole e preziose con perline, fatte a mano, alle bag in paglia per l'estate. Non viene più richiesto un brand specifico, già conosciuto. Meglio qualcosa di più personale, raffinato e non necessariamente riconoscibile, se non appunto nell'unicità.
Le it bag delle griffe costano moltissimo: questo può favorire i marchi premium del settore?
E IL BRAND CHE HA VENDUTO MEGLIO ONLINE?
ALAÏA, MIU MIU 1 2
GOLDEN GOOSE
Ringraziamo i protagonisti della nostra Buyers' Survey
Il sondaggio ha raccolto oltre 40 adesioni, permettendoci ancora una volta di fare il punto sul mercato. L'elenco dei negozi che hanno risposto, anche per l'abbigliamento, è pubblicato nel servizio alle pagine 28-33.
Non penso sia tanto una questione di favorire un brand, quanto di un messaggio che si sta diffondendo, ossia che la it bag del momento sia tutto, fuorché originale. Se si parla di alto di gamma, noto che le consumatrici indossano volentieri modelli vintage. Altrimenti da noi preferiscono una borsetta Ibeliv, fatta a mano in Madagascar, capace di distinguersi dalla massa. Sulle sneaker cosa può dirci?
Sono ormai un classico, ma i mocassini sono stati protagonisti della stagione e lo saranno della prossima. I Sebago sono un passepartout, contemporanei e perfetti per qualsiasi look: peraltro, li abbiamo visti su molte passerelle. Anche qui sta a noi proporre delle novità: piccole borchie, morsetti e nappine, a impreziosire l'unicità dei modelli. Le scarpe donna "classiche" sono definitivamente passate di moda?
Non direi. Ho un archivio di pezzi storici, ereditati da mia nonna e mia mamma, cui sono affezionatissima e una cosa che ho imparato fin da ragazzina è che la moda fa sempre riferimento al passato. Come dicevo prima, i mocassini sono un classico. Sta a noi la capacità di interpretarli in modo attuale.
VALENTINA VEDANI
Porrini Moda e Casa
CIRCOLARITÀ E TRACCIABILITÀ: TEMERA GUIDA IL FUTURO SOSTENIBILE
DEL FASHION LUXURY
Temera, leader nella tracciabilità nel fashion & luxury, sta trasformando la sostenibilità da concetto astratto a realtà misurabile. Le sue soluzioni permettono ai brand di tracciare ogni fase del ciclo di vita del prodotto: dalla materia prima alla consegna al cliente, dal primo utilizzo fino al riuso, garantendo autenticità e integrità in ogni fase
Il settore moda e lusso sta vivendo una fase di transizione critica: le pratiche di resell, repair e circolarità non sono più solo opzioni etiche, ma leve strategiche. Il modello lineare (produci-consumasmaltisci) ha raggiunto i suoi limiti, spingendo verso un cambiamento necessario.
I consumatori odierni richiedono trasparenza ed etica, desiderando estendere il ciclo di vita dei prodotti attraverso pratiche sostenibili. Le aziende del fashion si trovano quindi a un bivio: adottare modelli di business innovativi o rischiare di perdere rilevanza di fronte a consumatori sempre più consapevoli e a normative stringenti.
Studi di mercato evidenziano una crescita costante del mercato del second-hand fashion. Molti brand stanno investendo in piattaforme di resell proprietarie o collaborando con marketplace specializzati. Tuttavia, la fiducia rimane un ostacolo: come garantire che un capo di seconda mano sia autentico, tracciabile e mantenga il suo valore nel tempo? La risposta risiede nella tecnologia.
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Fernanda Hernandez Franco Sustainability Director
Tracciabilità: il vero abilitatore della circolarità
Se la circolarità è l’obiettivo, la tracciabilità è il mezzo. Il Digital Product Passport (DPP) rappresenta il ponte che collega la necessità di sostenibilità all’attuazione di un modello di economia circolare efficace e trasparente. Temera, leader nella tracciabilità nel settore fashion & luxury, sta trasformando la sostenibilità da concetto astratto a realtà misurabile. Le sue soluzioni permettono ai brand di tracciare ogni fase del ciclo di vita del prodotto: dalla materia prima alla consegna al cliente, dal primo utilizzo fino al riuso, garantendo autenticità e integrità in ogni fase.
Esempi concreti includono ReGenesis™, un protocollo innovativo pensato da Lisa Tavazzani per il recupero e l’upcycling di prodotti invenduti e scarti di produzione, sviluppato con Temera, Gruppo Maip e Eastman. CirculART 4.0, in collaborazione con la Fondazione Pistoletto Cittadellarte, il Material Innovation Lab di Kering e altre 16 aziende, mira a creare opere e capi unici che incarnano i principi della circolarità e della sostenibilità.
In entrambi i casi, Temera fornisce l’infrastruttura per la tracciabilità della filiera e la creazione delle infrastrutture indispensabili all’implementazione di Digital Product Passport, che raccontano in modo trasparente la storia di ogni creazione.
Come afferma María Fernanda Hernández Franco, Sustainability
Director di Temera: «Le soluzioni di tracciabilità end-to-end giocheranno un ruolo cruciale nel garantire la trasparenza e l’autenticità dei prodotti, elementi fondamentali per costruire la fiducia dei consumatori e promuovere pratiche sostenibili nel settore della moda».
L’innovazione tecnologica permette di costruire un nuovo dialogo con il consumatore, che diventa un attore consapevole all’interno di un sistema di valore condiviso. Grazie a partner come Temera, il fashion & luxury può superare le contraddizioni tra estetica ed etica, esclusività e accessibilità, passato e futuro.
Chi saprà cogliere questa opportunità non solo rispetterà le nuove regole del gioco, ma diventerà protagonista della loro riscrittura.
TEMERA
Maria
Ph. Gildardo
Gallo
EXTR4: L’EFFICIENZA ATLETICA COMBINATA A UN DESIGN URBANO
Il nuovo brand del Gruppo Imac, contrassegna una nuova collezione athleisure
uomo e donna, che esordisce con la prossima primavera-estate, puntando a un posizionamento più alto e trasversale nel mondo dell’active fashion
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Ècon la Primavera/Estate 25 che esordisce la prima collezione completa firmata EXTR4, una linea di sneakers originale, tecnologicamente evoluta, che combina efficienza atletica e design urbano. Dopo il successo del primo test fatto nell’Autunno/Inverno 24/25 con la linea “Kaizen”, dalla PE25 e a seguire con la collezione AI 25/26, EXTR4 si presenta sul mercato come brand indipendente rispetto a Igi&Co, a sua volta parte di Imac Group, terza realtà calzaturiera in Italia per dimensioni di fatturato, fondata nel 1975 a Montefiore dell’Aso (AP) dai fratelli David e Renato Mazzocconi. «Abbiamo deciso di rendere autonomo il marchio EXTR4, non solo in considerazione del successo riscosso la scorsa stagione - spiega il direttore commerciale Gabriele Ferretti - ma anche per l’enorme differenza di prodotto, rispetto all’universo Igi&Co».
L’occasione di dare alla linea un’identità separata è stata colta dall’azienda marchigiana per imprimerle l’impronta che fin dall’inizio desiderava per EXTR4: quella di un brand athleisure uomo e donna, fashion oriented, pensato per un segmento di mercato diverso. Ispirate al mondo dello sport active, le calzature EXTR4 incorporano le caratteristiche di un prodotto sportivo di alta gamma realizzato con materiali di
pregio, con quelle di una scarpa da portare tutto il giorno nelle proprie attività quotidiane, grazie a spiccate caratteristiche di leggerezza, flessibilità, ammortizzazione, stabilità. L’estetica è avveniristica, con suole importanti in tono con le tomaie nella maggior parte delle linee, resa con un mix di pelle e tessuti tecnici giocati in un’ampia e aggiornata cartella colori. La tecnologia costruttiva è al vertice dello stato dell’arte: fodere in GORE-TEX invisible fit, suole iper-ammortizzanti, a più componenti, studiate per le più severe condizioni di utilizzo e per un comfort impareggiabile.
«Dal punto di vista distributivo - conclude Ferretti - puntiamo a dare a EXTR4 un posizionamento diverso. Grazie a una rete vendita totalmente rinnovata, che fa capo a prestigiose agenzie di rappresentanze, aspiriamo a raggiungere, sia in Italia sia all’estero, negozi moda che propongono un total look sportivo e fashion oriented nel senso moderno del termine, dove i giovani si riconoscono, considerato che lo sneakers world è diventato parte essenziale della moda». La collezione è attualmente presentata nella maggior parte dei Paesi della Comunità Europea, di cui l’Italia rappresenta la metà del fatturato, seguita da Spagna, Germania, Austria, Svizzera, Irlanda e Polonia.
Il tocco in più che fa la differenza
Da mattina a sera, l’accessorio è compagno inseparabile della donna e dà il tocco finale a un look, ribaltando regole in teoria già scritte: a seconda della borsa o della calzatura cui si accompagnano, gli outfit possono trasformarsi da eleganti a sportivi e viceversa. Tra le borse della FW25/26 sembrano prevalere quelle morbide e di grandi dimensioni, ma si impongono anche modelli piccoli e ricercati: l’importante è avere personalità. Quanto alle calzature, la comodità è una conditio sine qua non, anche se a sorpresa spunta qualche versione iper-femminile, con tacchi sottili e svettanti. Tra le sneaker si va alla ricerca di nomi non mainstream, per valorizzare la propria personalità, unica e diversa da tutte.
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Borse Multitasking per il giorno e la sera
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ANTONIO RIVA
AMATO DANIELE
SAMSONITE
DE MARQUET
TORY BURCH
CALVIN KLEIN
LA CARRIE
MICHAEL KORS
THEMOIRÈ
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CINZIA MACCHI
FONDATRICE
LAMILANESA
«Non l’età, ma la qualità influisce sulle scelte delle donne in fatto di borse»
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«La donna è sempre più attenta al giusto rapporto qualità-prezzo e al dettaglio che possa rendere il suo stile unico e fuori dal coro»: così Cinzia Macchi, fondatrice nel 2019 del brand di borse LaMilanesa, che di un’immagine non omologata e sostenibile ha fatto la sua cifra stilistica. «Oggi tra le borse - afferma la designer - non esistono vie di mezzo, piacciono esageratamente maxi oppure piccole. L’acquisto non è tanto legato all’età, quanto all’utilità e alle caratteristiche dei singoli modelli: non è una data sulla carta d’identità a determinare le scelte. Ad ogni modo, tra le mie clienti sono i materiali a fare la differenza». Archiviata una stagione FW24/25 «di consapevolezza e di cambiamento», la collezione FW25/26 si intitola “Revolution”. «L’ho chiamata così - spiega Cinzia Macchi - perché segna un ritorno alle origini, ai materiali, ai “profumi” delle borse e alla loro fattura sartoriale: un valore di cui l’Italia, con i suoi Artigiani con la “A” maiuscola, deve andare fiera. Tra i materiali sono sempre di più quelli innovativi e di recupero, nel nome dell’artigianalità e il fatto a mano». Distribuiti in 350 multimarca tra Italia ed estero (con Francia, Svizzera, Germania, Svizzera, Spagna, Medio Oriente e Stati Uniti come mercati d’elezione), i modelli de LaMilanesa sono prodotti nel nostro Paese, «dalle mani di piccole aziende artigiane e delle donne che lavorano all’interno del nostro brand, al netto delle collaborazioni con Paesi che utilizzano e producono materiali di ricerca». Già dal debutto il marchio, con prezzi sell-in intorno agli 85 euro, ha imboccato una strada precisa: pezzo forte della collezione d’esordio, lanciata durante il Salone del Mobile 2019, è stata una shopping bag multiuso in plastica riciclata, rivestita da scarti di fine pezza di tessuti d’arredo o spugna presi nelle botteghe degli artigiani delle 5Vie milanesi. Il primo passo di un percorso scandito da morbide pellicce ecologiche, velluti realizzati in Turchia su antichi telai in legno, mattonelle in crochet multicolori, cascate di rafia, spugne colorate e altri materiali usciti dal “cilindro” della designer/imprenditrice milanese.
ZANELLATO
COLOMBO
REBELLE
THE BRIDGE
MAJO
LAMILANESA
DELL’EST
City shoe Comodità sempre, ma osare si può
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CHRISTIAN PRAZZOLI
CEO
BALDININI
«Si cerca il lusso nei dettagli e l’heritage è il valore in più»
Leggerezza: è questo che la cliente Baldinini richiede al brand, come spiega l’amministratore delegato Christian Prazzoli. «Un termine che non significa solo comfort e calzature che facciano sentire benespiega - ma anche leggerezza dello stile, ossia lusso percepito nei dettagli e niente esibizione dei loghi. In quest’ottica siamo diventati più sofisticati e attenti ai particolari, con accessori utilizzati come gioielli».«Le donne che scelgono le nostre creazioni - prosegue Prazzoli - sanno inoltre apprezzare il nostro heritage: amano vedere nelle collezioni la storia rivisitata e resa attuale, in linea con i tempi». Per la FW25/26 il brand, i cui prezzi medi retail si collocano nella fascia dai 400 ai 500 euro, si è concentrato soprattutto sull’offerta “dress”, «un termine da intendere non come occasione d’uso, ma come cura particolare nella costruzione delle calzature». L’amministratore delegato cita soprattutto i modelli con tacco “Colonna”, ispirato alla rotondità delle colonne e già presente negli archivi. Inoltre la linea Triade, dove protagonista è il morsetto, e la collezione Dieci10, dedicata alla data di nascita del brand, il 10 ottobre 1910. Una storia ultracentenaria, per la quale Baldinini è stato insignito dal Ministero dello Sviluppo Economico di un riconoscimento speciale, dedicato ai marchi storici italiani di rilevanza nazionale: «Un’onorificenza che ci spinge a celebrare quest’anno il nostro percorso», anticipa Prazzoli, che fa anche il punto sull’azienda. «Lavorano nel nostro gruppo circa 250 persone, fra Italia ed estero - dice -. La produzione è made in Italy e solo nel caso di manifatture particolari ricerchiamo manifatture specializzate in Europa, sulla base di specifiche eccellenze produttive». Dopo un 2024 complesso per tutto il settore calzatura, «ci attendiamo un 2025 di assestamento, con l’obiettivo cautelativo di una crescita low single digit e un ritorno a un trend più importante nel 2026».
SUPERGA
EVEE
CASADEI
THE GIVER
BALDININI
SEBAGO
PREMIATA
Sneaker Cool e trasformiste
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D.A.T.E.
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SIMONE PONZIANI CEO
ARTCRAFTS INTERNATIONAL
«Il futuro è nei modelli hands-free»
Tra i 20 marchi nel vostro portfolio, ce ne sono molti di sneaker e scarpe sportive: come cambia questo settore?
La qualità si sta livellando verso l’alto. Le tecnologie più avanzate sono oggi ampiamente disponibili e a fare la differenza è il “purpose”, lo scopo manifesto del brand o del prodotto, oltre al design. La chiave è condividere un patrimonio valoriale con gli utenti, che si tratti della pratica di una disciplina sportiva, di un trend moda o di un heritage. C’è spazio in ogni fascia di prezzo, ma solo se è giustificato dal rapporto con la qualità. Per esempio il marchio Norda, che abbiamo in portfolio, è nella fascia prezzo più alta del suo segmento, ma offre una durata dei prodotti molto più elevata, il che fa anche bene all’ambiente.
I challenger brand di sneaker: l’ascesa continuerà?
La crisi di alcuni player leader nel settore ha aperto spazi per l’affermazione di questi marchi: dopo il Covid il panorama competitivo è meno monopolizzato che in passato, il che ha trainato la crescita di un altro nostro cavallo di battaglia, Mou, che in un ambito diverso da Norda sta erodendo quote ai suoi competitor.
Tutti parlano di Heydude, che distribuite e che è stato acquisito per una cifra stellare da Crocs...
Al di là dell’eco mediatica, è un marchio che può contare sul comfort, un design unico e rivoluzionario e una storia italiana. Accessibile e inclusivo, è in linea con l’attenzione al pricing e con le attese di una fascia ampia di consumatori. Ma siamo anche soddisfatti dell’introduzione sul mercato italiano di CAT, al suo 100esimo anniversario. Oltre al modello Colorado, scommettiamo sulla sneaker Intruder, che incarna il trend forte del workwear.
Progetti futuri?
Lanciamo in Italia Kizik, una sneaker hands-free con un brevetto innovativo, che si indossa senza dover usare le mani e che arriva dagli Usa, dove a dicembre le vendite sono arrivate a un milione di paia. Come azienda vogliamo consolidare le nostre revenue (pari a 106 milioni di euro, ndr), rafforzare e razionalizzare il retail e implementare un piano di sviluppo dell’export, tramite la crescita di brand di proprietà (Canadian e Colors of California) e in licenza, come Mou.
MARINA SALAMON «Sono diventata imprenditrice perché ho ricevuto due no»
Gli inizi, i sogni infranti, i successi, le cadute e le ripartenze. La fondatrice di Altana ripercorre il suo percorso e dice la sua su leadership e potere. E racconta degli ultimi progetti, che mettono al centro le persone
AMarina Salamon non sono mai piaciute le strade in discesa. Ha iniziato a lavorare già durante il liceo, perché non le piaceva l’idea di essere mantenuta, e tracciato il suo percorso assecondando i propri interessi, ma sempre con un approccio pragmatico, senza farsi scoraggiare dai tratti in salita. Logica, disciplina e un piglio energico e intransigente hanno contraddistinto le varie tappe della sua carriera, dalla fondazione di Altana, azienda manifatturiera specializzata nel childrenswear, all’acquisizione della società di ricerche Doxa (confluita poi nel gruppo europeo Bva Doxa), della web agency Connexia (venduta nel 2021) e della maggioranza di Save the Duck (ceduta nel 2018), fino alla costituzione della sua holding di partecipazioni Alchimia. Con il tempo però si è ammorbidita, come lei stessa ci racconta, e messo al primo posto i valori della condivisione, con porte aperte ai profughi (in casa ospita due famiglie ucraine), e della ricerca spirituale (ha scritto un libro e si è laureata in Teologia). Oggi è convinta che le aziende siano delle piccole e grandi comunità, spazi laici per la realizzazione personale e di cambiamento sociale. Madre di quattro maschi e con una figlia in affido, ama gli animali, tanto da essere circondata da dieci cani adottati nei canili, e si dedica sempre di più ai progetti no profit, portati avanti dalla sua società Web of Life, fondata nel 2012.
Ha iniziato giovanissima: a 23 anni aveva già fondato Altana. Quali sono stati i momenti decisivi della sua carriera?
I più faticosi. Ho sempre voluto essere libera e non dipendere dai miei genitori. Per questo ho cominciato a lavorare già durante il liceo - di sabato andavo da Coin - e all’università, invece che iscri-
vermi a Economia, ho studiato Storia alla Ca’ Foscari. Mi avevano offerto di restare in ambito accademico, e io ero molto motivata, ma ho realizzato presto che il pegno da pagare era fare la portaborse a qualche professore, restando precaria per chissà quanto tempo e guadagnando pochissimo. Un sogno infranto. Come quello di fare la giornalista. Quando mi sono presentata al quotidiano Il Gazzettino, portando delle idee per possibili rubriche, mi hanno mandato via. È per questo che sono diventata imprenditrice: perché mi hanno detto due no.
IDENTIKIT
Classe 1958, Marina Salamon è cresciuta a Milano e si è laureata in Storia a Venezia. Nel 1982 fonda Altana, che si specializza nella produzione di childrenswear nel segmento luxury. Nel 1991 prende il controllo di Doxa (confluita poi nel gruppo Bva Doxa, nel quale ha reinvestito) e nel 2009 di Connexia (ceduta nel 2021). Dal 2014 al 2018 è azionista di maggioranza di Save the Duck. Tutte le sue società fanno capo alla holding di partecipazioni Alchimia, controllata al 100%.
Chiusa una porta, si apre un portone…
Ai "no" ho reagito con altri progetti. Mi sono messa a fabbricare camicie di seta e poi, a 23 anni, mi sono buttata. Ma anche nella fase di crociera di Altana c’è stato uno stop, forse l'unico momento di crisi dell'azienda. Nel 2014-2015 Moncler, uno dei nostri principali clienti, ha riportato la produzione in house. Una defezione che mi ha costretto a riprendere in mano la situazione e a ripartire
con modalità nuove. Ed è andata bene: dopo quasi 43 anni Altana è ancora qui.
Cosa conta per farcela? Idee chiare o assecondare via via le opportunità che si presentano? Credo nel metodo. Quando ho davanti un problema e non so come risolverlo, mi metto a studiare. Nelle decisioni in genere seguo l’istinto, ma poi procedo sempre con grande disciplina. È stato così quando ho deciso di prendere il controllo di Doxa e anni dopo di Connexia: erano mondi di cui io non capivo niente. Ho avuto la fortuna di avere a fianco soci capaci, che mi hanno insegnato tanto, ma io non sono stata a guardare e ho cercato di costruirmi una mia competenza.
Il fatto di essere una donna l’ha mai intralciata?
Nel mio caso il genere non ha influito. Sa, mi sono sempre comportata come un “cinghiale” (ride, ndr). Se vedevo un ostacolo lo sfondavo. Un decisionismo frutto degli insegnamenti di due generazioni che mi hanno preceduto in famiglia: donne che lavoravano e che mi hanno trasmesso l’orgoglio di farcela, di non avere paura. Credo che tutti noi siamo anche prodotto della stima o della non-stima ricevuta da padri e madri.
Una leader donna porta vantaggi in azienda?
Guardi, io fino ai 35 anni ho copiato il peggio degli uomini. Ero durissima. Ma perché lo ero in primis con me stessa. L’unica attenuante è che non lasciavo passare più di 24 ore per chiedere scusa. Poi a un certo punto ho capito che con le parole potevo ferire e ho imparato il valore della dolcezza e dell'ascolto. In genere credo che i bulli, i prevaricatori, facciano male non solo alle persone ma anche al business. E che nelle azien-
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de, prima della produttività, conti… non oso dire la felicità, ma la serenità sì. Riguardo alle donne, posso dire che ho sempre dato loro molto spazio. Le reputo fedeli. Generose.
E multitasking... Conciliare lavoro e famiglia non è facile. Almeno non per tutte. È vero e lo dice una che è stata un disastro. I miei figli mi ricordano che ho imparato a fare le torte dopo i 60 anni. E io rispondo sempre che prima non era una mia priorità. Però posso dire con sicurezza che ce l’ho messa tutta e non ho rinunciato a niente.
Che obiettivi ha per la sua azienda di childrenswear?
Altana è riuscita a mantenere le posizioni e una buona redditività anche nei momenti più bui. Oggi quello che mi interessa - e lo dico con sincerità - non è tanto la riga finale del bilancio, ma fare
le scelte giuste per portarla avanti nel tempo, salvaguardando i posti di lavoro. È bello vedere le persone che hanno lavorato tutta la vita con te riuscire ad andare in pensione.
E le nuove frontiere di Marina Salamon?
Da tempo mi dedico a progetti benefici. Ecco, vorrei distribuire più energie fuori dal lavoro, verso le persone. Le esperienze degli ultimi anni e gli studi in Teologia hanno contribuito a risvegliare in me fede e spiritualità e mi hanno profondamente cambiata. Non sono partita con un carattere facile. Ero rompiscatole e arrogante. Oggi metto al primo posto valori come la condivisione: siamo qui per costruire insieme agli altri. Ma forse, da scout quale sono stata, sono idee che mi appartengono da sempre: sono solo pensieri riemersi come un fiume carsico. ■
ANGELA TOVAZZI
DIETRO LE QUINTE DEL SUCCESSO
«HO EREDITATO DALLE DONNE DELLA MIA FAMIGLIA L'ORGOGLIO DI FARCELA E IL NON AVERE PAURA. E A 23 ANNI MI SONO BUTTATA»
• «CREDO NEL METODO E NELL'AUTODISCIPLINA. SE DAVANTI A UN PROBLEMA NON SO COME PROCEDERE, MI METTO A STUDIARE»
• «ERO UNA LEADER MOLTO DURA. CON IL TEMPO HO CAPITO IL VALORE DELLA DOLCEZZA E DELL'ASCOLTO»
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Alberto Masotti
È«
Per me La Perla è come una figlia»
Alberto Masotti ha guidato per anni La Perla, prima di cederla nel 2007.
necessario guardare da vicino. Chi entra nell'atrio della Fondazione Fashion Research Italy a Bologna si trova di fronte a un'installazione alta diversi metri fatta di fili sottili, lungo i quali sono appese sfere colorate, e si chiede cosa possano significare. Solo quando il visitatore si allontana dalla parte frontale, si posiziona nell'angolo a sinistra dell'ingresso e guarda di nuovo in alto, si rivela ciò che è nascosto nel modello 3D. Le sfere formano una silhouette femminile, vertiginosamente sinuosa.
È un'opera che affronta il tema dell'arte della seduzione. Essere sensuali, ma senza scivolare nel volgare, è come camminare sul filo del rasoio. Se una donna vuole far girare la testa a un uomo, non deve rivelare troppo di sé. Gli lascia intravedere una parte, per lasciare poi il resto alla sua immaginazione.
Dopo il recente fallimento dell'azienda, ha scritto un libro per preservare la memoria del marchio iconico, ma anche per contribuire a plasmarne il futuro
L'opera è stata commissionata dal presidente della Fondazione Fashion Research Italy, Alberto Masotti. È un omaggio a sua moglie, Olga Cantelli, e a La Perla, il marchio di lingerie fondato dalla madre di Masotti, Ada, dopo la Seconda guerra mondiale, che ha messo in scena il corpo femminile con sottile raffinatezza. Con le loro creazioni, che spaziavano
tra reggiseni, corpetti, vestaglie, corsetti a costumi da bagno, Ada e Olga hanno scritto la storia della moda e trasformato La Perla in un marchio globale, con negozi a Milano e Parigi, ma anche a New York e Tokyo, e con dive di Hollywood e principesse tra le sue clienti. Alberto Masotti ripercorre ora la storia di La Perla in un libro. Da un lato è una reminiscenza di un passato glorioso. Dall'altro, però, si legge anche come un compendio per gli imprenditori che vogliono plasmare il futuro del marchio. Nelle quasi 300 pagine Masotti non menziona affatto il presente. Eppure è proprio questo il motivo per cui ha scritto il libro. La Perla è insolvente. «Questo è un grande dolore per me - dice Masotti -. Credo che il ricordo di un’azienda che aveva dei valori molto precisi e ha portato il Made in Italy nel
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mondo con grande onore sia da salva re». Il figlio della fondatrice ci riceve in una sala conferenze. Masotti ha 88 anni, ma guarda il suo interlocutore con occhi che potrebbero essere quelli di un giova ne. Parla con estrema calma e voce bassa, forse per non far vedere le emozioni che riecheggiano nelle sue frasi.
«La Perla è come una figlia per me. È la mia vita - spiega Masotti, che chiama l'azienda ‘la nostra Perla’ -. Quello che è successo negli ultimi anni e mesi è stato molto deprimente. Il fatto che la fabbrica sia soltanto a poche centinaia di metri dalla fondazione rende tutto ancora peggiore». «Per me - ammette - è qualcosa di terribile».
La sede della produzione in via Enrico Mattei si trova a 20 minuti a piedi. La porta è chiusa, le tapparelle abbassate. Chi sbircia attraverso i vetri vede la reception abbandonata. Nel cortile ci sono una macchina per il taglio e una stazione di confezionamento, come se qualcuno le avesse dimenticate in fretta e furia. È il triste punto finale di un declino iniziato con il ritiro di Masotti. Nel 2007 aveva venduto La Perla al fondo J Partners. Invece di sviluppare ulteriormente il marchio, gli americani hanno risparmiato sul prodotto. Hanno ceduto La Perla al fondatore di Fastweb Silvio Scaglia, che alla fine l'ha venduta al controverso imprenditore tedesco Lars Windhorst e alla sua holding Tennor. Prima del fallimento, Tennor ha trasferito i diritti del marchio in Gran Bretagna. Ciò ha innescato una dura lotta tra la giurisdizione italiana e quella britannica. Alla fine, però, è stata trovata una soluzione. Il marchio e la produzione saranno messi all'asta insieme in Italia. La strada per un nuovo inizio è quindi spianata.
Il libro di Masotti potrebbe essere una guida per il futuro proprietario di La Perla. «Ho quasi 90 anni, ma se dovessi ricominciare da capo, prenderei parecchi spunti dal libro», dice. Uno dei messaggi più importanti del libro è quanto sia importante, oltre alla creatività e all'artigianato, il senso
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UN MANUALE PER IL FUTURO
«Non sono uno scrittore», dice Alberto Masotti. Tuttavia, lo è diventato e ha scritto “La nostra Perla” sull’azienda, fondata dalla mamma Ada dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il libro non è solo un ricordo, ma anche un manuale per il futuro, da cui trarre «parecchi spunti» per un imprenditore che volesse riprendere in mano la Perla. Eccone alcuni.
Non c'è creatività senza competenza tecnica «La genialità della creatrice doveva compenetrarsi con l'abilità di realizzazione che comprendevano varie discipline, dal taglio al cucito, alla conoscenza specifica dei tessuti».
La conoscenza della cliente «Eravamo interpreti della psicologia femminile, abili lettori dei suoi desideri, ascoltatori delle sue parole, decodificatori dei suoi messaggi».
Lo studio di usi e costumi di altri Paesi «Tenevo bene a mente che la nostra apertura di monobrand non dovesse essere percepita e colta dai Paesi ospitanti come un’operazione di imperialismo commerciale, ma come una richiesta di presenza».
La leadership dell’aiuto «Non mi sono mai sentito in diritto di prevaricare o di guidare, ma sempre di aiutare i miei collaboratori in una prospettiva più ampia e di squadra».
lo spirito del tempo. Quando Ada e suo marito Tonino iniziano l'attività dopo la guerra, a Bologna c'è carenza di tutto. La gente ha poco da mangiare. Una dolce prelibatezza come il miele è un lusso, il che dà loro l'idea di chiamare la loro azienda “Ape”. La loro lingerie è come il miele, un bene rarissimo e prezioso. Anni dopo, la fame è finita. Il figlio Alberto guarda al cinema un film sulle Hawaii, «uno dei primi in Technicolor», in
Ada, Alberto, Olga sono i primi nomi che si intrecciano nel racconto. Da piccolo laboratorio sino a grandiosa azienda: traguardo dopo traguardo, La Perla ha acquisito un respiro mondiale,
dal 1981 al 2007, ci porta alla scoperta di curiosità e aneddoti non ancora svelati, per farci vivere il mondo La Perla nella straordinaria occasione del 70° anniversario dalla sua fondazione.
cui gli indigeni si immergono alla ricerca di perle. Davanti a un piatto di tagliolini, Masotti Junior propone ai suoi genitori di ribattezzare l'azienda La Perla. Ada e Tonino ascoltano il figlio: «Questa sì che è una buona idea!».
Con molta empatia, Ada e Olga riescono a immedesimarsi nelle donne
Negli anni '60 inizia un'ondata di emancipazione. Arriva la minigonna. La Perla metabolizza lo spirito dei tempi. Invece di offrire solo i colori bianco, nero e salmone, il marchio offre improvvisamente un'ampia gamma di colori: «Non riuscivamo a tenere il passo con gli ordini».
Nel libro si impara molto sul rispetto. Rispetto per i clienti, i dipendenti, i fornitori, i partner commerciali, ma anche per le culture straniere
Ubaldo Borgomanero presta servizio nella cavalleria in Russia durante la guerra e diventa agente di La Perla. Svolge il suo compito così bene, che la famiglia lo nomina socio. Margherita Cattabeni, appena uscita dall'università, dà ad Alberto Masotti la fiducia necessaria per gestire il negozio La Perla in via Montenapoleone. «Era un fenomeno», ricorda Masotti, che ancora oggi è in contatto con lei. Prima di aprire un negozio La Perla all'estero, Masotti si impegnava a conoscere le usanze locali: «Trascorrevo uno o due mesi sul posto». Malgrado i preparativi, gli è capitato di sbagliare. Come in Cina, dove ha messo biancheria intima bianca in vetrina e non ha venduto nulla: «Un fiasco totale». Ha imparato che in Cina il bianco è il colore del lutto e che invece il rosso sarebbe stato appropriato. «Ho fatto molti errori», ammette. Il suo libro aiuta i lettori a evitarne alcuni. L'imprenditore è felice di accogliere anche di persona chi vuole continuare la storia di La Perla: «Ci beviamo un caffè e scambiamo qualche riflessione. Posso ancora dare qualche piccolo osservazione utile». Questo invito è, come tutto ciò che riguarda La Perla, un elegante richiamo. Il resto deve avvenire da solo. ■
TOBIAS BAYER
MINERVA
Da Bologna, la storia della lingerie italiana che
mondo
Una Cittadella della Moda per tutta la famiglia
Nella nuova rubrica Local Hero, Fashion Magazine presenta aziende di moda che hanno successo sul loro territorio. Come Citymoda in Puglia: il rivenditore fondato da Giancarlo Fiore è in fase di espansione. Con un proprio marchio sta cercando di sfondare in Italia e forse anche all'estero
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La storia inizia a New York negli anni '90. Giancarlo Fiore è nella Grande Mela per la prima volta. Rimane stupito non solo dall'altezza dei grattacieli, ma anche dalle dimensioni dei grandi magazzini americani come Macy's. Appena tornato in Puglia, nel 1995 apre un grande negozio sulla superstrada SS96 a Modugno, dove non offre solo abbigliamento per donne, uomini e bambini, ma anche profumi e un'area giochi per i più piccoli. Il negozio, che battezza Citymoda, vuole essere una “Cittadella della Moda”. Il suo progetto all'inizio incontra scetticismo. «Sei pazzo, è una follia», gli dicono in tanti. Ma ha ragione Giancarlo. Il suo grande magazzino per tutta la famiglia diventa una meta in tutta la Puglia e il punto di partenza di un rivenditore che è per il Sud Italia ciò che Sorelle Ramonda o Pellizzari sono per il Nord. Oggi Giancarlo Fiore possiede 15 negozi, la maggior parte dei quali si trova in Puglia. Tuttavia, l'imprenditore è in espansione. Ha aperto due outlet a Matera in Basilicata e Molfetta, sempre in Puglia. Ha inoltre rilevato lo store Moda & Modi insieme a un negozio
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di scarpe a Cantello, vicino a Varese, in Lombardia, al confine con la Svizzera. Ma le ambizioni vanno oltre il commercio multimarca. L'imprenditore si è posto l'obiettivo di avere successo con il proprio marchio di moda.
Nel 2018 ha lanciato la private label Fiore 19.57 e successivamente ha aperto un negozio all'aeroporto di Bari. Il 2025 segnerà il debutto del marchio Giancarlo Fiore. Un brand posizionato più in alto rispetto a Fiore 19.57, prodotto in Puglia e, dal punto di vista estetico, si considera uno “smart luxury” vicino a Eleventy. Ad aprile aprirà il primo negozio Giancarlo Fiore a Bari. Seguiranno altri negozi in Italia.
«Da noi accadono sempre molte cose», afferma Marilù Fiore, che dirige il marketing di Citymoda. La figlia di Giancarlo Fiore è entrata nell'azienda dei genitori con i fratelli Fabio, che si occupa degli acquisti, Claudia, che gestisce le vendite, e Micaela, responsabile di progetti. I figli di Fiore hanno tra i 27 e i 38 anni.
La seconda generazione Fiore ha un'eccellente formazione Marilù Fiore ha imparato il commercio al dettaglio facendo la gavetta. Dopo gli studi universitari ha iniziato a lavorare da Calzedonia. Poi è passata in Rinascente a Milano, dove si è occupata di un reparto. I figli seguono le orme del padre, che ha iniziato come agente commerciale. Giancarlo Fiore ha costruito la rete di franchising in Puglia per l'azienda di abbigliamento per bambini Preca Brummel e sognava di mettersi in proprio.
La filosofia di Citymoda si basa su tre pilastri. In primo luogo, i negozi sono grandi. Misurano tra i 700 e i 5mila metri quadrati. Questo permette alla famiglia Fiore di offrire ai propri clienti un'esperienza di shopping completa. «Se vogliono, possono trascorrere un'intera giornata con noi», dice Marilù Fiore.
Giancarlo Fiore, fondatore di Citymoda, con i figli Claudia, Fabio e Marilù
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IL NUOVO MARCHIO GIANCARLO FIORE
PUNTA A CONQUISTARE ANCHE L'ESTERO
Le private label sono tante. Ma è raro che un rivenditore multimarca lanci un proprio brand, in grado di avere successo al di fuori dei propri negozi. Il fondatore di Citymoda, Giancarlo Fiore, vuole ottenere proprio questo. Nel 2025 l'imprenditoreche ha iniziato l'attività nel 1995 con un negozio a Modugno sulla superstrada SS96 e oggi ha 15 negozi tra Puglia, Basilicata e Lombardia - lancerà il brand Giancarlo Fiore, che si posiziona nel segmento “Smart Luxury” e sarà realizzato interamente in Puglia. Il suo obiettivo è espandersi in Italia e poi anche all'estero.
In secondo luogo, i negozi non si trovano in centro città ma in periferia, per lo più lungo le strade principali. Questo assicura che siano rapidamente raggiungibili in auto. Grazie ai parcheggi, non è necessario cercare a lungo un posto auto, che di solito è lontano dal negozio, come invece accade in centro città.
In terzo luogo, la moda in vendita si rivolge a tutta la famiglia: donne, uomini e bambini. L'assortimento di Citymoda comprende principalmente marchi premium. Si va da collezioni total look come Armani Exchange, Boss e Hugo, Tommy Hilfiger e Calvin Klein, Guess, fino a specialisti tra cui Blauer.
La moda maschile contribuisce al fatturato per circa il 50%, quella femminile per circa il 40% e l'abbigliamento per bambini per circa il 10%. Importante per Citymoda è la stagione delle occasioni con matrimoni, battesimi e comunioni.
La collaborazione con i grandi marchi è spesso complicata. I rivenditori di tutta Europa si lamentano dei bassi margini e si infastidiscono, in particolare, quando i brand offrono sconti sulla merce nel loro negozio online all'inizio della stagione. «Noi diamo importanza al rapporto
«Vogliamo contribuire a far sì che la nostra regione, la Puglia, sia nota e apprezzata anche per la sua moda»
Marilù Fiore
umano», sottolinea Marilù Fiore. Quella che può sembrare una frase poetica è, in realtà, una strategia commerciale. Citymoda si impegna a favore di attività congiunte con i marchi. La figlia del fondatore afferma che Guess è un modello da seguire: «Abbiamo costruito un bar sulla spiaggia insieme a loro». L'e-commerce di proprietà è una «grande sfida», spiega Marilù Fiore. Il nuovo negozio online è stato lanciato nel luglio 2024 «ed è il nostro terzo tentativo. L'attenzione - chiarisce - si concentra sul servizio ai clienti in Puglia». Un esempio è il Click & Collect: chi ordina su Internet ha la possibilità di ritirare la merce in negozio. Qual è il passo
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Da sinistra, lo shop-in-shop di Elena Mirò in un negozio
successivo? «L'iperpersonalizzazione», precisa Marilù Fiore. Intende dire che l'esperienza digitale viene personalizzata in base al singolo cliente.
Se Citymoda è forte soprattutto in Puglia, la famiglia intravede un grande potenziale per il suo nuovo brand, Giancarlo Fiore. Un marchio concepito per rappresentare un total look con un interessante rapporto qualità-prezzo. La produzione dovrebbe essere a chilometro zero. Come è riuscita la catena di negozi Brian & Barry con Boggi, la famiglia vuole creare con Giancarlo Fiore un marchio che venga venduto attraverso negozi monomarca in Italia, ma anche all'estero. I Fiore hanno un occhio di riguardo per il settore del travel retail, ossia i negozi negli aeroporti.
L'obiettivo a lungo termine è che il marchio Giancarlo Fiore diventi un ambasciatore della Puglia al di fuori del suo territorio. «La nostra è una regione spesso associata al turismo e alla gastronomia - conclude Marilù Fiore -. Vogliamo contribuire a far sì che sia nota e apprezzata anche per la sua moda». ■
Citymoda e lo spazio dedicato a Fiore 19.57. Sopra, un outfit della collezione
TOBIAS BAYER
«C’è sempre una prima volta»
Marco Boglione, artefice di BasicNet, ha comprato Culuccia, un’isola a Nord della Sardegna, ma non è il suo “buen retiro”. Qui vive per molti mesi l’anno e si occupa di agroalimentare, turismo sostenibile e, ex novo, ha creato il suo primo marchio d’abbigliamento
Marco Boglione, 68 anni - fondatore e presidente di BasicNet, azienda quotata che ha in portafoglio marchi come K-Way, Kappa, Sebago e Superga - non smette di stupire dal 1976, quando, giovanissimo, ha iniziato a lavorare per Maglificio Calzificio Torinese, che acquisirà nel 1994 dando vita a BasicNet. Nel 2017, con la moglie Stella, ha comprato l’isola di Culuccia, oasi naturale di 300 ettari nel Nord della Sardegna, disabitata e abbandonata da 30 anni, iniziando un’inaspettata avventura. Questo nuovo inizio lo ha portato a realizzare progetti in cui non si era mai cimentato prima. È entrato nel settore agroalimentare di qualità, producendo Vermentino di Gallura Docg, ostriche, miele, gin e mirto. Ha debuttato nell’hospitality e nel turismo sostenibile - non di massa, dato che l’isola accoglie al massimo 100 visitatori al giorno - «per tutelarne l’ecosistema e rispettarne la storia», spiega Boglione, che qui trascorre quasi metà dell’anno. Altro esordio, non meno importante, è il lancio del suo primo marchio d’abbigliamento iniziato da zero, Culuccia, e interamente realizzato da maestranze locali con tessuti tradizionali della zona. Boglione ci ha parlato della sua isola e dei suoi progetti.
Come nasce il progetto Culuccia?
Da tempo trascorriamo le estati in Gallura e abbiamo scoperto che l’ultimo abitante dell’isola, morto nel 1996, è stato un personaggio leggendario. Angelo Sanna, per 60 anni mantenne Culuccia intatta rifiutando anche le offerte dell’Aga Khan. Ci abitava da eremita, senza elettricità o altre "diavolerie moderne", vivendo di agricoltura e della vendita dei suoi capretti. Guardavo l’isola, ormai disabitata, dalla costa e, dall’alto, con il mio drone. Quando seppi che era in vendita non esitai, anche se tutti mi davano del pazzo». Non era considerata un affare?
Da un punto di vista speculativo, no. L’isola è un’Oasi permanente di protezione faunistica e fa parte di Rete Natura 2000. Sono salvaguardate le coste, le dune, la zona umida ed è impossibile costruirci. Ci sono due antiche case rurali e diversi chilometri di strade bianche, che abbiamo riaperto a colpi di machete,
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«La sera, quando sull’isola restiamo solo Stella e io, ci guardiamo intorno e ci diciamo quanto siamo fortunati»
Marco Boglione
grazie alle immagini aeree della Seconda Guerra Mondiale. La vegetazione si era ripresa tutto. Ci sono poi una casermetta militare in ristrutturazione e trenta chilometri di muretti a secco, la cui tecnica di costruzione è Patrimonio dell’Umanità, che stiamo ripristinando. È un’opera d’arte e tale deve restare. Siamo anche energeticamente autonomi. È un investimento patrimoniale?
Sì, anche per questo va preservata. Nel 2020 abbiamo istituito un Osservatorio naturalistico che lavora con le maggiori università italiane, studiando e proteggendo l’eccezionale biodiversità floro-faunistica dell’isola. Culuccia è come un’arca: chi c’è, o ci sale a bordo, è al sicuro. È poi
disponibile una limitata offerta ricettiva. Abbiamo una Marina con una dozzina di imbarcazioni, tre pontili d’approdo, una casa rurale (l’altra è abitata dalla famiglia Boglione, ndr), alcune roulotte, un bar estivo a impatto zero sulla spiaggia di Macchiamala, dove non c’è neanche un pezzo di cemento, e presto un ristorante. Soprattutto, ci sono i nostri prodotti agroalimentari, di nicchia e di qualità altissima. Come li vendete?
Per ora distribuiamo in zona e online. Mia moglie Stella è una contadina nata: da anni curiamo tre orti sul tetto di BasicNet, un pollaio e due alveari. A Culuccia, di alveari ne abbiamo 140. Produciamo miele Millefiori, due Vermentini di Gallura Docg e uno spumante. Stiamo costruendo una cantina in un’altra tenuta di fronte all’isola, a pochi metri dal mare. Stella raccoglie a mano le bacche di ginepro selvatico, con cui facciamo il Gin Ro’. A breve raddoppieremo la Peschiera, dove produciamo le ostriche Petra Niedda in acque cristalline. E naturalmente il mirto, che abbiamo chiamato Bastianino, in onore del primo asinello di Culuccia. Ci sono capre inselvatichite e vacche autoctone. Non a caso Culuccia è conosciuta come l’Isola delle Vacche, perché qui girano senza restrizioni o recinzioni. Culuccia è il primo brand che lei ha creato da zero?
Sì, finora ho rilanciato sempre solo marchi falliti, o quasi. Questo è il primo brand creato ex novo. È una linea completa di circa 40 articoli tra abbigliamento unisex e accessori, realizzata da maestranze locali e ispirata ai capi della tradizione gallurese utilizzando tessuti tipici della zona, come, ad esempio, il panno sardo.
Che esperienza offrite ?
L’Osservatorio organizza visite tutto l’anno. È un turismo pensato per i giovani e per tutti quelli che sanno apprezzare un turismo sostenibile, immerso nella natura, fatto di prodotti della terra e di cultura. È ciò che io considero il vero lusso. Fuori stagione, la sera, quando sull’isola restiamo soltanto Stella e io, ci guardiamo intorno e ci diciamo quanto siamo fortunati» ■
MARIA CRISTINA PAVARINI
Una giacca Coluccia, brand con prezzi da 40 euro per un cappellino fino a 1.300 per un capospalla
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RAPPRESENTANZE
Piemonte,Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia
Piemonte,Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia
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