FASHION_FOCUS FILERA TESSILE_FEB 2025

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FILIERA TESSILE

FOCUS

GALASSIA LIMONTA

Con il GM Massimo Bardazzi l’Apparel unit testa nuove soluzioni per competere non sul prezzo, ma sul servizio

MODA CIRCOLARE

Le aziende a monte alle prese con le nuove regole della Responsabilità Estesa del Produttore

LAURA COLNAGHI CALISSONI

Tessuti, passione per l’arte e trofei sportivi: la storia di successo dell’imprenditrice che da 20 anni è alla guida del Gruppo Carvico

SCENDIAMO IN CAMPO

L’Italia possiede tutta la filiera del tessile-abbigliamento tranne il primissimo anello, quello della produzione su larga scala di fibre come cotone, lino, canapa e seta, che importiamo dall’estero. Ma qualcosa si muove: merito di alcuni imprenditori che credono nel “grown in Italy” e, da Nord a Sud, ci stanno investendo

Gianluca Tanzi

Ceo e Presidente Chargeurs Pcc

RESILIENTI GRAZIE ALLA DIVERSIFICAZIONE

«Sicuramente il 2024 è stato un anno molto complicato sul fronte geopolitico, ma siamo comunque riusciti a registrare risultati positivi, grazie alla resilienza che ci contraddistingue e alla capacità di suddividere il rischio su più geografie. Negli Usa le vendite sono aumentate e questo slancio ha compensato il rallentamento delle vendite nel lusso europeo e le difficoltà in Argentina. Asia e Stati Uniti si sono confermati mercati trainanti, mentre l’Europa ha mostrato maggiore volatilità, specie nel lusso. Un punto di svolta per noi è arrivato con l’acquisizione, in luglio, degli asset strategici di Cilander, che ha arricchito la nostra expertise interna. Questi asset includono marchi di tessuti premium per camicie di alta gamma e tecnologie avanzate per il finissaggio di tessili tecnici, che ci hanno permesso di rafforzare la nostra posizione e fornire un’offerta sempre più completa. Tra le linee andate per la maggiore, a livello di interfodere, c’è la collezione Fusion Line per l’activewear e le performance, grazie a caratteristiche in termini di elasticità, alla presenza di bonding tapes e alle nuove tecnologie di “seam sealing” che vanno a sostituire le cuciture. Continua a crescere l’interesse verso l’offerta sustainable 360, in materiali eco-responsabili tra cui il cotone Bci, il poliestere riciclato certificato Grs e la canapa. È la prima collezione completa che include non solo interfodere ma anche componenti interni. Sempre apprezzata anche la collezione DHJ, completamente dedicata al mondo della camiceria. Anche i nuovi tessuti per camiceria lanciati alla scorsa edizione di Milano Unica, come Alumo e Brennet, stanno ottenendo ottimi riscontri dal mercato. A questa edizione della fiera presentiamo H2, a oggi il tessuto a tre strati più leggero sul mercato. Utilizza l’esclusivo sistema Warp-Knit / Weft-Insert, sviluppato da team interni, che conferisce al tessuto stabilità, qualità, traspirabilità e resistenza impareggiabili, rendendolo il prodotto ideale per l’athleisure, i prodotti tecnici e l’outdoor di lusso. Altri plus sono l’elasticità, il natural recovery, la traspirabilità, il comfort e la versatilità. Inoltre siamo sempre più impegnati nel migliorare il servizio. Grazie alla nostra offerta di pronto, possiamo inviare in tempi brevissimi quanto ci viene richiesto. L‘80% circa dei ricavi deriva da proposte che arrivano al

Vasiliy Piacenza

UN 2025 DI CAUTO OTTIMISMO

In avvio di Milano Unica, gli imprenditori del tessile e accessorio presentano un bilancio mediamente positivo del 2024, affrontando le molteplici incognite del nuovo anno con collezioni Spring-Summer 2026 che scommettono su creatività, qualità, performance, diversificazione e sostenibilità DI ELISABETTA FABBRI

La tessitura rappresenta in Italia circa il 12% dei ricavi del tessile-abbigliamento e in questa porzione il ruolo più importante è giocato dai tessuti lanieri (oltre il 40% dei ricavi nel 2023). Dopo un 2024 sfidante, che ha visto blasonati luxury brand clienti perdere quote di mercato o decelerare la corsa, il 2025 si presenta difficile da decifrare per tutta la filiera. Non solo per l’instabilità geopolitica, l’incognita della ripresa dei consumi cinesi di lusso e, mentre scriviamo, le minacce di dazi Usa, ma anche perché si prepara all’arrivo di norme europee per una fashion industry più sostenibile e circolare che potrebbero mettere paletti molto stringenti, al limite insostenibili, specie nel caso di aziende di piccole dimensioni. L’edizione N.40 di Milano Unica, dedicata alla primavera-estate 2026, è il primo momento chiave del 2025 per testare il mercato, dopo che un anno fa il

L’ESTATE 2026 DI SCENA AL SALONE

MILANO UNICA SARÀ RURAL, UNDERGROUND E ZEN

cliente in 24-48 ore. Ci stiamo anche strutturando sempre più per offrire soluzioni di cross selling. Lato prodotto continuiamo la ricerca di soluzioni a basso impatto ambientale, che riducano il carbon footprint e i rifiuti e lavoriamo per offrire soluzioni all’avanguardia in termini di innovazione e performance. Fare previsioni è molto complicato, quindi stiamo mettendo in atto tutte le iniziative possibili per un buon 2025, continuando a investire nelle direzioni intraprese fino ad oggi. Molto dipenderà dall’evoluzione geopolitica. Il fatto di coprire diverse categorie - lusso, prêt-à-porter, abiti sartoriali, fino ad athleisure e sportswear - ci permette di non “subire” le alterne crisi dei diversi settori. La nostra presenza globale - otto siti produttivi, 21 laboratori di test, 39 uffici e centri di distribuzione e più di 1.000 dipendenti nel mondo - ci consente da un lato di ridurre la supply chain e di essere sempre più vicini al cliente, dall’altro di non soffrire dei cambiamenti dei mercati legati a difficili contesti geopolitici». 

Brand manager director Piacenza 1733

SI PARLERÀ ANCORA DI CASUAL NELLA

MODA MASCHILE

«Archivieremo il bilancio in marzo e, a oggi, possiamo dire che il 2024 non è andato male. La flessione nell’altissimo di gamma si è vista nella seconda metà dello scorso anno e forse i ricavi risulteranno di poco inferiori a quelli del 2023 da record. Anche il 2025 è iniziato positivamente, circa in linea con l’inizio del 2024, ma è difficile fare previsioni. Il lusso è condizionato dai consumi cinesi, ma c’è chi prospetta un recupero nella seconda metà dell’anno. Per quanto riguarda la minaccia di dazi Usa, si stimano impatti alle economie europee in generale, ma non so quanto potranno danneggiare il nostro mercato. Credo ci si debba preoccupare di più di mettere fine ai conflitti. Tra i mercati l’Asia ha performato bene, grazie anche all’apertura di un nostro ufficio a Hong Kong nel 2020, che presidia il territorio. Francia e Italia restano i Paesi più importanti in Europa, mentre negli Usa notiamo che alcuni brand emergenti optano per tessuti made in Italy di lusso, probabilmente anche per effetto di una crescente cultura, a livello di materiali, che parte dalle scuole. I best seller sono stati i tessuti in fibre nobili come cashmere, seta, lana e vicuña, che sono il nostro core business, ma tutte le tipologie nella nostra offerta diversificata, includendo Lanificio Piemontese e Lanificio F.lli Cerruti, hanno soddisfatto, compresa la divisione accessori. Lo sviluppo di articoli nuovi è un processo continuo. Per l’estate 2026 proponiamo inediti blend per le giacche. Intanto stiamo lavorando a tessuti da abito in vicuña e altre fibre nobili, che prossimamente si distingueranno a livello di colori e disegnature. Osservando il mercato notiamo che il formale funziona sempre bene nel tailoring, che è una vera e propria esperienza per il consumatore finale. Ma continueremo a sentire ancora parlare di casual nella moda maschile». 

È

DI SOSTENIBILITÀ

salone aveva registrato un +11% delle aziende visitatrici e un +26% di buyer esteri. Il tema che quest’anno introduce le tendenze è “Land”. «Un concetto astratto, direi mentale, che rimanda a un’estetica ben precisa che privilegia la semplicità, la naturalezza, il bisogno di sentirsi bene con sé stessi, con gli altri e con le cose che si indossano», spiega Stefano Fadda, dierettore artistico di Milano Unica. Lo spazio espositivo include mostre e progetti tra cui Beyond Tailoring, nato dalla partnership tra D-house (innovation lab del Gruppo Pattern), Eurojersey, Framis, Stratasys e Alvanon che, unendo le loro competenze, puntano a ridefinire i confini della progettazione sartoriale maschile e la sua ingegnerizzazione. Il Gruppo MinervaHub realizza invece una mostra dedicata alla nota giornalista di moda e scrittrice Anna Piaggi, scomparsa nel 2012. Nell’area speciale Still Frames, infine, è stato messo a punto, sotto la direzione creativa di TheCube Archive, un viaggio audiovisivo (nella foto in alto un frame) alla scoperta delle tendenze per l’estate 2026 che, si prevede, sarà rural, underground e zen. 

«Il 2024, in termini di fatturato, è risultato abbastanza in linea con il 2023, nonostante sia stato più difficile. Dopo le straordinarie performance degli ultimi anni, stiamo attraversando una fase di normalizzazione dove il mercato migliore rimane quello dell’alto di gamma, mentre il Far East è risultato meno performante. A guidare le vendite sono stati i prodotti classici con fibre naturali come lana, cashmere e seta, con l’aggiunta di effetti più fantasia, realizzati con filati morbidi, voluminosi, leggeri, a volte tridimensionali. L’innovazione - per noi legata molto alla sostenibilità e alla riduzione degli impatti di energia, CO2 e acqua - non si ferma mai. Per quanto riguarda l’energia, siamo arrivati a una produzione interamente da fonti rinnovabili. Abbiamo ridotto del 30% l’uso di acqua, grazie a investimenti nel depuratore e a risparmi nelle fasi di produzione, mentre relativamente alla CO2 lavoriamo con le fattorie partner a sistemi di agricoltura rigenerativa. Un grande passo avanti verso la sostenibilità è stato fatto nel 2024 per gli stabilimenti di Valdilana e Tarcento, dove la produzione di energia da fonti rinnovabili, fra idroelettrica e fotovoltaica, ha superato il consumo degli stabilimenti, arrivando al 108% del fabbisogno. Anche l’impronta idrica è stata ridotta dell’8%. L’azienda è anche arrivata a usare, per l’84%, materie prime certificate sostenibili. Notiamo che prosegue la richiesta di tessuti più sostenibili con diverse certificazioni, soprattutto da parte di Europa e Usa, mentre si assiste a un aumento della domanda in Italia. In quest’ottica, abbiamo aggiunto la certificazione European Linen Flax sul lino e quella Gots sulla seta. L’avvio del 2025 è in linea con un anno prima e ipotizziamo una tenuta dei ricavi per l’intero esercizio, su cui però pesano l’incognita della ripresa della domanda di lusso, le tensioni internazionali e la prospettiva di una guerra dei dazi». 

Gaetano Lanfranchi

Ceo Ditta Giovanni Lanfranchi

LA RICERCA SI MUOVE FRA ESTETICA E PRATICITÀ

«Chiudiamo un 2024 in leggera contrazione rispetto al 2023, limitata a una cifra percentuale. Questo risultato - positivo, se si tiene conto che pelletteria e l’abbigliamento hanno subito mediamente una contrazione del 20% - è stato possibile grazie all’avvio di nuove relazioni commerciali e al consolidamento di quelle esistenti. Le cerniere più richieste sono state quelle di gamma alta, ma con ordini in lotti sempre più piccoli e ordinativi frequentemente posticipati di due o tre settimane, senza variazioni proporzionali per le scadenze di consegna. Questo dimostra un cambiamento nel comportamento del mercato: si ordina quasi esclusivamente sul venduto, rendendo difficile prevedere le tendenze future e organizzare scorte di semilavorati o una produzione fluida. Per noi l’innovazione rimane un elemento centrale. Stiamo ampliando la nostra gamma con prodotti e materiali che offrono prestazioni superiori dal punto di vista sia estetico che funzionale. Non solo: investiamo continuamente per rendere i processi produttivi più

VEDIAMO SEGNALI DI RIPRESA E UN CERTO FERMENTO NEL CASO DEI PRODOTTI BEN REALIZZATI E ACCESSIBILI

sostenibili e flessibili, così da rispondere alle sfide di un mercato in evoluzione, non sempre lineare. Inoltre, a fine 2024 abbiamo rilevato MyZip, che ci permetterà di integrarlo nella nostra offerta Performance Division, cui fa capo una linea di soluzioni innovative per abbigliamento tecnico e prestazionale. Sul fronte della domanda notiamo una crescente attenzione alla qualità, coniugata all’aspetto estetico: le chiusure lampo non sono più considerate elementi funzionali, ma valutate con gli stessi criteri dei bijoux. La cura nei dettagli e l’aspetto visivo sono diventati elementi chiave, per soddisfare le richieste del mercato. Per il 2025 siamo cautamente ottimisti. Vediamo segnali di ripresa e un certo fermento positivo soprattutto nel segmento medio di gamma, dove il prodotto ben realizzato ma accessibile sembra guadagnare sempre più spazio. La principale sfida resta mantenere una marginalità adeguata, per sostenere gli investimenti. Solo così potremo continuare a migliorare i nostri standard e garantire un livello di servizio elevato, mantenendo la sostenibilità economica della nostra attività. Ci auguriamo che le quotazioni dell’oro tornino a livelli più sostenibili: finora abbiamo dovuto assorbire noi queste fluttuazioni, per evitare aumenti di listino che difficilmente sarebbero accettati dal mercato». 

Silvio Botto Poala Ceo di Botto Giuseppe e Figli Spa INNOVAZIONE
SINONIMO

ALBINI GROUP INVESTE SUL FUTURO

Il gruppo bergamasco punta a crescere in termini di margini, produttività, ricerca e tracciabilità, anche grazie all’arrivo del nuovo ceo Fusco Girard, ex Marzotto. Ne parliamo con il presidente Stefano Albini

DI MARIA CRISTINA PAVARINI

In un momento ricco di incertezze come quello attuale Albini Group, specialista nella produzione di filati e tessuti per camiceria e moda d’alta gamma da quasi 150 anni, vuole cogliere nuove sfide e rafforzare la propria identità di gruppo e di marchio.

Facciamo il punto con Stefano Albini, presidente e parte della famiglia di imprenditori che, generazione dopo generazione, hanno trasformato questa realtà nata nel 1876 ad Albino, vicino a Bergamo, in un gruppo globale che opera, oltre all’Italia, con divisioni produttive tra Egitto, Repubblica Ceca e Ungheria e uffici commerciali nel mondo. Come sta andando l’azienda?

Nel 2024 abbiamo difeso e mantenuto le nostre posizioni presso i clienti premium e lusso, in un settore che sta soffrendo per vari fattori come le difficoltà del mercato cinese, il calo dei consumi, l’inflazione, i conflitti e così via. Abbiamo chiuso l’anno in modo positivo, registrando un fatturato di 160 milioni di euro come Albini Group e un incremento negli ordinativi del 2025 rispetto allo stesso periodo del 2023. Siamo ottimisti sull’anno appena iniziato, durante il quale ci aspettiamo un recupero soprattutto nel secondo semestre. La recente nomina di Pierluigi Fusco Girard ad amministratore delegato di Cotonificio Albini quali novità porterà?

A chiusura del contratto con il precedente ceo abbiamo fatto le nostre ricerche e scelto Fusco Girard per motivi importanti, come la sua ampia esperienza nel Gruppo Marzotto in ambito cotoniero e liniero. Inoltre, la sua crescita professionale è stata molto veloce, vista la sua giovane età. Perciò siamo certi che porterà grande energia. Ci aspettiamo di raggiungere insieme a lui obiettivi come crescita, miglioramento di marginalità e gestione ottimale delle capacità produttive e del personale. Si tratta di un manager anche molto attento e propenso all’innovazione, come ha fatto più volte in varie aziende del Gruppo Marzotto. Pensiamo che sia stata la scelta ottimale.

Vi aspettate incrementi produttivi? Oggi produciamo circa 8 milioni e mezzo di metri di tessuto all’anno, quasi tutti realizzati internamente. Da tempo gestiamo l’intera filiera dalla materia prima gestendo e controllando ogni step produttivo e operiamo attraverso partnership molto strette, che garantiscono il controllo di tutto ciò che acquistiamo e vendiamo. È la peculiarità che ci distingue, oltre a essere

uno dei temi cruciali in questi tempi. Speriamo di incrementare la nostra produzione. Iniziamo già a vedere segnali positivi, benché non possiamo aspettarci l’euforia post-Covid del 2022. Crediamo in una ripresa contenuta, grazie al mercato cinese e all’America, che sta dando segnali positivi. L’Europa sta soffrendo un po’, ma speriamo in una ripresa dopo l’esito delle elezioni statunitensi e nella risoluzione dei conflitti.

ABBIAMO CHIUSO

L’ANNO IN MODO

POSITIVO E

SIAMO OTTIMISTI

SUL 2025, CI

ASPETTIAMO

UN RECUPERO

SOPRATTUTTO

NEL SECONDO

SEMESTRE

Stefano Albini

Ha parlato di tracciabilità. A che punto siete?

Nel nostro sistema ogni prodotto è già tracciato, grazie a un ufficio dedicato che gestisce audit, parte chimica e altro. Stiamo testando alcuni software su progetti pilota con alcuni clienti, per raccogliere tutti i dati che poi serviranno per preparare il Digital Product Passport per i prodotti finiti.

Avete incontrato difficoltà?

Insieme a questi clienti vogliamo capire quali siano i software migliori. Tuttavia, a livello mondiale non esiste un sistema unico per fornire i dati, quindi dovremo adeguarci. Inoltre, spesso ospitiamo audit per clienti differenti, gestiti da più società, pur affrontando gli stessi argomenti. Spesso il nostro team è impegnato a fare audit diverse, quando si potrebbero utilizzare le nostre risorse una volta sola. Bisognerebbe trovare soluzioni per snellire questi processi e tagliare costi che ricadono sui clienti. Questi ultimi, a loro volta, si trovano a doverli applicarli al prodotto finale, con l’evidente conseguenza di rincari complessivi.

Sulla sostenibilità come state lavorando?

Abbiamo già vari prodotti di questo tipo. Dalla scorsa stagione offriamo tessuti realizzati con filati organici Biofusion di cotone coltivato secondo criteri di agricoltura rigenerativa. Anche la nostra divisione Albini Next è molto attenta a questa tematica, perché mette in connessione il nostro mondo tessile con realtà di ricerca, startup, università, aziende e anche nostri clienti con i loro centri di ricerca. Molti suoi progetti sono focalizzati sullo sviluppo di coloranti naturali, prodotti usando batteri e microorganismi. C’è tanta sperimentazione e benché siano ancora pochi i colori disponibili, realizziamo produzioni esclusive per chi ce le richiede.

Ricercate anche nuove fibre?

Sicuramente. Albini Next svolge ricerche su fibre inedite come il Kapok: simile al cotone, è

JEANS MADE IN EUROPE: UTOPIA O NUOVA REALTÀ?

Lo scorso Munich Fabric Start, fiera tessile che si svolge a Monaco, ha presentato Blue Made in the EU, un progetto pilota che ha coinvolto diversi player del settore del denim per interrogarsi se è possibile creare una filiera del jeans interamente europea. Ideatore e regista del progetto è stato Panos Sofianos, denim innovation curator per la fiera, esperto insider del settore e consulente di Eucotton, piattaforma di produttori di cotone europei. Hanno partecipato, oltre a Eucotton, Nafpaktos Textile industry, azienda greca produttrice di filati in cotone, Rudolf, specialista chimico tedesco, Candiani Denim, ditta italiana specializzata nella manifattura del denim, Blue Company, produttore di jeans dalla Grecia, e Jeanologia, realtà spagnola che realizza macchinari per trattare i jeans.

ottenuto dai frutti di un albero diffuso in Sud America. Testiamo anche metodi di agricoltura rigenerativa o attenti alla gestione di risorse come l’acqua. Lo step della coltivazione produce le emissioni di CO2 più alte. Per questo Albini Next è attento a questo settore. Quali novità di prodotto portate a questa edizione di Milano Unica?

Per la Spring-Summer 2026 non presentiamo più la collezione Donna ma lanciamo Albini Studio, una nuova capsule collection parte di Albini 1876. L’evoluzione del mercato e la crescente richiesta di tessuti unici ed esclusivi ci hanno spinto a creare questa linea, fatta di nuovi materiali tutti di altissima qualità, caratterizzati da un’accurata ricerca e da finissaggi particolari, che invitano a richiedere prodotti personalizzati. Questa prima capsule si ispira a Walter Gropius, fondatore della Bauhaus, scuola di design tedesca d’inizio 1900, focalizzata sulla sperimentazione e sul superamento delle barriere tra le discipline.

Cosa può dirci del vostro marchio?

Si è parlato di un restyling del logo... Albini Group è una holding e un marchio di filati e tessuti di pregio, oltre a Albini Energia, una divisione che studia e realizza sistemi energetici a basso impatto ambientale per altre aziende. Il gruppo offre tre categorie di prodotti: Albiate 1830, tessuti sportivi e denim; Albini1876, materiali contemporanei dallo stile italiano; e Thomas Mason, tessuti d’alta gamma ispirati allo stile inglese. Questi tre marchi sono rimasti identici, mentre abbiamo ridisegnato il marchio Albini Group. È un brand riprodotto su un’etichetta che diamo ai clienti. Possono applicarla sui capi in aggiunta alla loro come forma di valorizzazione del materiale che usano, poiché un tessuto Albini rappresenta un valore aggiunto per una camicia di livello alto. 

Ciascun player ha partecipato alla produzione di un jeans seguendo criteri di sostenibilità per dimostrare che il progetto non è un’utopia, ma è realizzabile e può avere un impatto inferiore alle produzioni tradizionali di questo capo d’abbigliamento. A illustrare il progetto è stata una tavola rotonda svoltasi in fiera, durante la quale ciascun player ha spiegato come questo test potrebbe concretizzarsi su scala industriale e quali benefici porterebbe all’ambiente e alle aziende del Vecchio Continente. Dalla discussione sono emersi aspetti diversi, come l’evidenza che produrre un capo in UE ha un impatto ambientale inferiore, perché ogni passaggio avviene in un’area limitata. Le fasi della manifattura sono in buona parte già tracciabili e rispettose delle leggi europee, alle quali presto tutti dovranno sottostare. Inoltre, poiché il produttore di capi Blue Company ha robotizzato molte sue fasi, è possibile contenere i prezzi. I jeans sono poi invecchiati con macchine di Jeanologia senza quasi utilizzare acqua. In aggiunta, gli agenti realizzati

BEYOND TAILORING NON SOLO PITTI UOMO: LA FILIERA INNOVATIVA FA TAPPA ANCHE A MILANO UNICA

Dopo il successo riscosso a Pitti Uomo, Beyond Tailoring è pronto a conquistare Milano Unica, dove sarà presentato al Padiglione 15 durante l’edizione di febbraio 2025. Questo progetto rivoluzionario, frutto della collaborazione tra leader dell’innovazione tessile come D-house (innovation lab del Gruppo Pattern), Eurojersey, Framis Italia e altri partner strategici, rappresenta un nuovo standard per il menswear contemporaneo. Beyond Tailoring non si limita a reinterpretare l’eleganza maschile, ma la ripensa integralmente, combinando tessuti di altissima qualità e tecnologie avanzate. Al centro della proposta ci sono quattro total look realizzati con i tessuti stretch Sensitive Fabrics di Eurojersey, arricchiti dalle tecnologie di termonastratura e termosaldatura di Framis Italia, dal fitting data-driven di Alvanon e dalle possibilità offerte dalla stampa 3D di Stratasys. Il risultato è una fusione di sartorialità classica e innovazione futuristica, con capi personalizzabili che uniscono stile, funzionalità e sostenibilità. Il cuore del progetto è la sinergia tra materiali e tecnologie: ogni elemento contribuisce a creare un ecosistema sartoriale d’avanguardia, capace di rispondere con precisione alle nuove esigenze del mercato. «Beyond Tailoring dimostra come tecnologia e sostenibilità possano trasformare il concetto di sartorialità», spiega Loreto Di Rienzo, direttore creativo di D-house. Una visione condivisa da Andrea Crespi, direttore generale di Eurojersey: «I tessuti Sensitive Fabrics sono un ingrediente moda, ma dall’anima tecnica, adatti a esprimere il concetto di tailoring del futuro, che va oltre lo stile». Anche le soluzioni termoadesive di Framis Italia contribuiscono al progetto «ridefinendo i confini della sartorialità, trasformando la creatività in bellezza e funzionalità», raccontano le ceo Micaela e Francesca Salotto. (an.bi.)

da Rudolf sono ottenuti da scarti alimentari, senza usare sostanze dannose. I tessuti di Candiani sono tutti prodotti in Italia usando stretch completamente degradabile, ma anche impiegando cotone coltivato in Europa secondo l’agricoltura rigenerativa, oppure ottenuto riciclando jeans usati raccolti da Humana, società no-profit. Tuttavia, l’Unione Europea non facilita la nascita di filiere nostrane. «L’Europa impone leggi che dal 2030 ci obbligheranno a seguire una regolamentazione molto stretta, imponendoci costi di produzione più alti, ma non pone nessun limite alle quantità di capi che vengono importati sul territorio europeo. Questo ci mette in condizioni sfavorevoli, perché il consumatore spesso non sa distinguere tra il valore di un jeans che costa 35 euro e uno che si paga 180», ha detto Simon Giuliani di Candiani. «Possiamo solo spiegare questa differenza attraverso l’informazione, l’educazione e, non ultima, la sensibilizzazione del consumatore. Ma anche questa ha un costo, di cui l’Unione Europea potrebbe farsi carico», ha concluso Giuliani. (m.c.p.)

Il presidente di Albini Group Stefano Albini e una selezione di tessuti della nuova capsule Albini Studio

«LIMONTA UNA GALASSIA INTERNAZIONALE»

La visione del business Apparel del gruppo è globale, come quella del suo GM Massimo Bardazzi, che annuncia una «competizione aggressiva» e potenziali acquisizioni: «Tra le priorità del 2025, valutare il mercato vietnamita»

DI TOBIAS BAYER

Superata la barriera del cancello d’ingresso, ci si trova immersi nell’ampio parco di uno stabilimento industriale ultramoderno. Capannoni di produzione con tetti a volta si susseguono ordinatamente, mentre torri di acciaio scintillante si slanciano verso il cielo. All’interno, la sorpresa. Telai di jacquard riempiono la stanza e il ritmo incessante di trama e ordito ricorda le percussioni di un’orchestra. A ogni abbassamento e sollevamento dei fili, i disegni sui tessuti prendono forma, rivelando fantasie create per i marchi di lusso di fama mondiale. «Un’anima artigianale in una struttura industriale»: questa è la filosofia con cui Limonta ha avuto successo per più di un secolo. L’azienda, con sede a Costa Masnaga, vicino al lago di Como, da un lato pensa come una fabbrica di grandi volumi. Dall’altro, è in grado di realizzare oggetti preziosi come un atelier. Questo equilibrio è reso possibile grazie a un modello aziendale flessibile. Con la divisione Apparel, Limonta offre ai clienti un’ampia gamma di materiali e finissaggi. Se il nome Limonta viene inizialmente associato allo sportswear, grazie al nylon di Prada, l’azienda è anche esperta in fibre nobili come il cashmere e la seta Il fatto che Limonta abbia stabilimenti non solo in Italia, ma anche in Corea del Sud e in Cina, consente all’azienda di coprire un’ampia gamma di prezzi. Serve griffe del lusso, ma si rivolge anche a marchi premium e sportivi, molto più sensibili al tema del prezzo.

Limonta ha qualcosa di onnicomprensivo. Massimo Bardazzi, general manager della Divisione Limonta Apparel, parla di una “galassia internazionale”: «La relazione con il cliente è il punto focale. La supply chain si sta spostando molto rapidamente. Per essere flessibile, un’azienda come la nostra deve essere presente in più mercati». In un anno difficile come il 2024, la divisione Apparel di Limonta ha raggiunto 66 milioni di euro

di fatturato con una crescita del 16%. Bardazzi preferisce invece non sbilanciarsi sul tema delle marginalità, un aspetto che è sempre stato un elemento positivo nei conti della società, abituata a livelli di profittabilità ben superiori a quelli della media del settore tessile e più in sintonia con i target del mondo del lusso. Guardando al 2025, Bardazzi intravede una «fantastica opportunità di crescita», proprio a causa dell’indebolimento della domanda di lusso. «Quando c’è un assestamento di mercato, le aziende valutano le performance dei singoli fornitori e solitamente ne riducono il numero». Per questo motivo è arrivato il momento di competere in modo “abbastanza aggressivo”, dice Bardazzi: «Dal punto di vista del servizio, non del prezzo». L’obiettivo è conquistare nuovi clienti: «Il 2025 sarà un anno molto duro, ma se lavoriamo bene, avremo un vantaggio competitivo significativo nei prossimi cinque anni». Bardazzi pensa anche alle acquisizioni: «Sia in Italia che all’estero». La logica non è “verticale”, ma “orizzontale”: «L’idea è di acquisire linee di prodotto che non produciamo ancora». Il suo obiettivo è in particolare il Vietnam. «La mia missione 2025 è valutare il mercato vietnamita, che vanta un’eccellenza sia nella lavorazione del cotone, sia nella produzione di jersey».

La prospettiva di Limonta Apparel è globale, proprio come quella di Bardazzi. Il top manager, originario della Toscana, ha viaggiato in lungo e in largo nei suoi 25 anni di carriera. Ha iniziato in un’azienda tessile di Prato, ha lavorato in un ufficio acquisti, è passato a Tommy Hilfiger e, dopo, ha trascorso 16 anni in Burberry. È in Limonta dalla fine del 2023. Ha assunto nuove persone per le vendite, ha costruito una rete di agenzie e ha creato un team per la stampa tessile.

Per garantire che i clienti possano accedere agli articoli Limonta in qualsiasi momento, ha creato un’attività di stock service, rivolta in particolare ai marchi di design e di lusso,

L’INNOVAZIONE ORA SI FA IN NETWORK

Nasce Fili di Innovazione: tre aziende comasche (Gentili Mosconi, Isa e Ostinelli Seta) e un facilitatore come Open Advisory danno vita a nuovo ecosistema condiviso, che promuove soluzioni innovative come la specola intelligente DI ANDREA BIGOZZI

Aziende che, pur essendo concorrenti nel loro core business e intenzionate a restarlo, collaborano su temi trasversali come l’innovazione tecnologica. È quanto sta accadendo nel distretto tessile comasco, dove Gentili Mosconi, Isa e Ostinelli Seta, insieme al socio promotore Open Advisory, hanno fondato una newco: Fili di Innovazione. Il progetto si basa sul modello dell’Open Innovation, che prevede la collaborazione tra imprese, startup, centri di ricerca e istituzioni per sviluppare soluzioni all’avanguardia. «È un nuovo modo di guardare al futuro. Collaborare con aziende concorrenti per un obiettivo comune è un passo necessario per valorizzare il nostro settore», afferma Francesco Gentili, ceo e fondatore di Gentili Mosconi presentando l’iniziativa, che lo vede impegnato con Gigi Bianchi e Mila Zegna Baruffa

«per poter essere pronti alle esigenze dell’ultimo minuto», assicura Bardazzi. Un business nato da un bisogno reale: succede spesso che a poche ore da una sfilata gli uffici stile chiedano un pezzo di tessuto extra via Fedex o via taxi. Ci sono alcune tintorie vicino all’aeroporto di Parigi che hanno costruito il loro successo proprio sulle “emergenze” degli stilisti facendosi pagare i loro servizi a caro prezzo. «Il nostro stock service permette al cliente di ricevere i nostri tessuti entro le 24 ore» Nel luglio 2024 Limonta Apparel è tornata a Milano Unica dopo una pausa di diversi anni. «Per un’azienda all’inizio della filiera come la nostra, questa manifestazione è un appuntamento paragonabile a un fashion show. È il modo in cui comunichiamo chi siamo e cosa offriamo, non solo tessuti tecnici, ma anche jacquard e stampa», racconta Bardazzi. La partecipazione all’appuntamento fieristico ha avuto anche un risvolto di rigore e disciplina sull’attività aziendale. Tutti devono attenersi a un calendario. «Sappiamo che il momento di

Come è nata l’idea di creare Fili di Innovazione?

Il socio promotore di questo progetto è Open Advisory. Ed è stata la sua presidentessa, Virginia Filippi (ex ceo di Canepa, ndr), a proporre l’idea di riunire tre aziende concorrenti del territorio con alcune esigenze comuni, soprattutto sul piano dell’innovazione, che potevano essere sviluppate insieme. Qualsiasi progetto portato avanti singolarmente avrebbe richiesto più tempo, energie e risorse finanziarie. Lavorando in tre, applicando soluzioni su modelli aziendali diversi, è possibile arrivare al risultato più velocemente e in modo più completo. Per esempio, ciò che funziona per Gentili Mosconi potrebbe non andare bene per Ostinelli o Isa, ma condividendo le idee fin dall’inizio si possono trovare soluzioni valide per tutti. È proprio questo che ci ha spinti a intraprendere questa strada. A cosa state lavorando?

In questo momento abbiamo identificato tre bisogni aziendali comuni. Il primo, quello che per noi rappresentava una priorità e dove siamo più avanti, è legato all’utilizzo dell’Intelligenza artificiale per il controllo qualità dei tessuti. Ci siamo chiesti: «Può l’intelligenza artificiale essere applicata al controllo qualità dei tessuti?». Oggi questa fase è svolta da un operatore umano, il cui giudizio può essere soggettivo. L’idea è creare una specola intelligente, una macchina che utilizza algoritmi per individuare i difetti con maggiore oggettività e rapidità. L’operatore resterà fondamentale ma, invece di controllare il 100% del prodotto, si concentrerà solo sul 15% del lavoro, ovvero

IL 2025 SARÀ UN ANNO DURO. È IL MOMENTO PER COMPETERE IN MODO AGGRESSIVO DAL PUNTO DI VISTA DEL SERVIZIO, NON DEL PREZZO Massimo Bardazzi

presentazione è il martedì alle 9 e per quel momento tutto deve essere pronto». Limonta Apparel presenta a Milano tre linee. La prima è la collezione 1893 Limonta per il segmento del lusso, disegnata e prodotta in Italia. La seconda linea è la coreana Batm Limonta, pensata per il segmento premium e per le linee outlet delle aziende del lusso. Terza, infine, la cinese East Limonta, specializzata nello sport e nell’activewear. Batm Limonta è sinonimo di un prodotto «pulito, classico ed elegante, prediligendo cotone e nylon con finissaggi lucidi e compatti», dice Bardazzi. East Limonta è in grado di offrire filati superfini, come i filati di nylon. Una parte di East si chiama Energy ed è destinata agli sport, tra cui lo sci. «La nostra idea è di offrire performance, ma con un look italiano. In marzo e aprile la presenteremo ai Performance Days di Monaco e alla Functional Fabric Fair a Portland, dove saranno presenti aziende dello sport». Bardazzi spera di riuscire a convincere alcuni clienti ad apporre il nome “Limonta” sull’etichetta. Con l’eccezione del Gore-Tex, la prassi dell’ingredient branding è ancora poco comune nel segmento tecnico. «Siamo ancora all’inizio di un percorso. Tuttavia, crediamo che in futuro il nome Limonta potrà comparire su un capo. Grazie a tecnologie proprietarie possiamo realizzare materiali riciclati in membrane particolari bio-based che ci permetteranno di fare branding sulle performance», afferma convinto Bardazzi.

Limonta sta investendo nel suo brand. Dal 19 al 24 maggio, esporrà a Los Angeles, nel quartiere di West Hollywood, insieme a Tintoria Emiliana, Tessuti di Sondrio, Eurojersey, Komatsu, Bellandi, Emilcotoni, Pointex, Staff Jersey, Framis, Brignoli, Linsieme, YKK, Lenzi. A ciascuna azienda verrà assegnato un corner. «Questo sarà una sorta di manifesto del garment dyed», conclude Bardazzi, alludendo al Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti.  ABBIAMO COMINCIATO A STUDIARE L’USO DELL’AI NEL CONTROLLO QUALITÀ. A BREVE I PRIMI RISULTATI Francesco Gentili

su ciò che la macchina segnala come non conforme agli standard di qualità. Contiamo di ottenere risultati significativi entro sei mesi.

Quali sono gli altri progetti?

Uno è legato all’informatizzazione dei processi lavorativi, per avere in tempo reale i dati sulle varie fasi di lavorazione. L’altro, invece, prevede la creazione di una piattaforma comune cliente-fornitore, per operare in totale trasparenza nell’ottica di ottimizzare i processi. Si tratta di una struttura aperta? Certamente. Siamo aperti alle aziende del nostro territorio, così come agli altri distretti. Anche aziende concorrenti o clienti che vogliono aderire al progetto possono farlo, sottoscrivendo una quota di partecipazione che darà loro accesso a una serie di servizi legati all’innovazione. Un cliente internazionale ha già confermato la volontà di essere il primo a entrare nel progetto come partner esterno.

Che ruolo ha Open Advisory?

Open Advisory è stato il promotore di questa operazione ed è anche il partner che ci aiuta ad analizzare le startup con cui collaborare e a verificare la scalabilità dei progetti. La loro competenza è per noi fondamentale e continuerà a esserlo lungo tutto il percorso. Avete una sede?

Anche su questo fronte stiamo facendo sistema. Al momento utilizziamo, a seconda delle esigenze, gli uffici e le fabbriche delle tre aziende socie. Tuttavia, anche se molto lavoro si svolge da remoto, abbiamo in mente di creare un headquarter dedicato. È ancora un progetto in fase di sviluppo, ma è nei nostri piani. 

QUALITÀ, RICERCA E PERFORMANCE: LE TRE REGOLE DELLA SPRING-SUMMER 2026

Nella nuova stagione i tessuti da esterno scoprono superfici tridimensionali e volute irregolarità, mentre i filati si cimentano con micro bouclé e trattamenti naturali, per ottenere un’elasticità che non necessita di elastomeri di sintesi. Anche tra gli accessori tessili creatività e sperimentazione vanno di pari passo

A CURA DI ALESSANDRA BIGOTTA

SENSITIVE FABRICS

La collezione ready-to-wear di Sensitive Fabrics by Eurojersey si articola in tre trend: Free Spirit, Rustic Vibes e Nu Romantic (nella foto). Una tendenza, quest’ultima, ispirata alle raffinate atmosfere delle clubhouse degli Hamptons e del New England.

VITALE BARBERIS CANONICO

In 86% lana e 14% seta con trattamento natural bi-stretch, il tessuto di mano piacevole e fluida per abito si distingue grazie a un micro-effetto “puntaspillo”, enfatizzato dal diverso assorbimento del colore da parte delle due fibre. La palette si sviluppa sui toni del grigio, blu avio, verde salvia e su marroni caldi e freddi.

MAINETTI ITALIA

Appendini, borse, moschettoni e astucci non sono semplici complementi, ma oggetti di design e strumenti di comunicazione. Le novità di Mainetti Italia per la SS26 si articolano in sei linee: una orientata al lusso, una allo sportswear, una al denim e tre al casualwear. Nella foto, la bag in tessuto di neoprene riciclato dalla forma curiosa è ottenuta con un un unico pezzo e ha una chiusura con una zip a spirale. Il foro per la presa a mano è rifinito a vivo con una cucitura.

3D WOOL

I nuovi tessuti 3D Wool utilizzano filati crêpe ad alta torsione e intrecci elaborati, in modo da esaltare la tridimensionalità dei fondi. I due prodotti “sablé”nell’immagine in basso, nelle nuance rosa antico e bianco - sono in 98% lana vergine e 2% elastam. Analoga composizione per il tessuto beige a “stuoia irregolare” (in alto a sinistra) e per il “piqué” rosa (in alto a destra). È invece frutto di un mix di diversi filati (42% cotone, 30% lana vergine, 20% viscosa, 5% lino e 3% elastam) il tessuto a spina di pesce beige al centro della foto.

La Superlampo T3 Shaggy ha una catena 3 con finitura Oro Chiaro Eco e il nastro “Shaggy”, con effetto sfrangiato in cotone pronto per tinta. Nickel safe, è certificata Oeko-Tex Standard 100 Class I. Il 2024 è stato un anno importante per Lampo, che dopo avere acquisito Myzip, realtà specializzata nelle zip per l’abbigliamento sportivo, ha creato la Lampo Performance Division by Myzip, dedicata a esprimere tutto il potenziale tecnologico e di know how delle due aziende.

BOTTO GIUSEPPE

Nella collezione SS26 dominano come sempre i tessuti in fibre naturali, anche con effetti fantasia ottenuti grazie a filati morbidi, voluminosi, leggeri e tridimensionali. Quelli nella foto sono in 52% lino, 46% lana e 2% elastam.

MONTICOLOR

Nella gamma Botox Detox i fili granulari e micro bouclé, dalle texture organiche, si mescolano ad articoli più scolpiti e fini, dalle superfici uniformi. Spiccano i nuovi filati in 100% cotone pettinato biologico

Biofit e Bioperformance, certificati Gots e Ocs100, dove il puro cotone è naturalmente bi-elastico, grazie a una speciale tecnica di ritorcitura senza l’aggiunta di elastomeri sintetici. In primo piano anche il filato Grano (in 100% cotone biologico certificato Gots e Ocs 100), caratterizzato da un effetto mouliné fiammato che gli conferisce un aspetto vibrante e dinamico.

ZEGNA BARUFFA LANE BORGOSESIA

Principalmente a base di Merino, in purezza o in blend, la famiglia di filati Aeterna va oltre il concetto di stagionalità, rispondendo a un mercato che cerca materie prime versatili, performanti, adattabili e sostenibili.

CHARGEURS PCC

Con i suoi 45 grammi, il nuovo H2 è il tessuto esterno a tre strati più leggero sul mercato. Ideale per l’outdoor di lusso, utilizza il sistema Warp-Knit/Weft-Insert, sviluppato internamente, che conferisce stabilità, traspirabilità e resistenza.

ANDREA CRESPI «FARE TESSUTI BELLI E FUNZIONALI È MOLTO MA NON È TUTTO»

Solo puntando su una struttura snella ed efficiente e sulle soft skill si affrontano in modo vincente le complessità del mercato: ne è convinto il direttore generale di Eurojersey

Come si evolvono i Sensitive Fabrics di Eurojersey?

Negli ultimi anni nel nostro reparto Ricerca & sviluppo abbiamo elaborato nuove armature tessili: le versioni “tridimensionali” dei tessuti Sensitive Fabrics sono nobilitate da processi esclusivi di Eurojersey, come l’accoppiatura e la tecnologia di stampa, in modo da creare prodotti complementari e versatili.

Su cosa state investendo?  Nell’ultimo decennio abbiamo concluso un piano di riassesto industriale significativo, completamente autofinanziato, adeguandoci alle richieste del mercato con una produzione snella ed efficiente. Per esempio, gli investimenti nel nostro reparto tintoria ci permettono di lavorare anche piccoli lotti senza pregiudicare gli aspetti qualitativi del prodotto. Con il cambio generazionale avvenuto in azienda abbiamo deciso di investire in progetti di formazione delle nostre persone, per poter lavorare meglio su un processo che diventa sempre più complesso: non basta più sapere fare un tessuto bello e funzionale, bisogna anche sviluppare una serie di competenze come soft skill, che diventano fondamentali per raggiungere determinati obiettivi.

Qual è il bilancio del 2024 e come vede il 2025?

Il 2024 si è concluso con un fatturato di 70 milioni euro e un meno 8% rispetto all’anno precedente. Il 2025 sarà un anno all’insegna del riequilibrio, con i primi sei mesi sfidanti e complessi, proprio perché il mercato è ancora intento a salvaguardare margini, sacrificando scorte di magazzino vista l’instabilità finanziaria. Ci aspettiamo un secondo semestre più incoraggiante e positivo. Gli obiettivi di Eurojersey sono preservare ciò che è stato costruito negli anni con i nostri clienti, consolidando i programmi in corso, e continuare la progressiva espansione nel settore dell’abbigliamento, soprattutto maschile, senza dimenticare lo sportswear, già molto affine al nostro prodotto. 

LAMPO

GROWN IN ITALY: SI PUÒ FARE

Piccolo orto o latifondo? L’Italia può tornare a essere un hub per coltivare fibre tessili di pregio per ospitare progetti “from crop to shop”, ma a piccoli passi e lentamente. Alcuni imprenditori sono al lavoro per produrre lino, canapa, cotone o seta, in modo da alimentare la nostra filiera e diventare autonomi, offrendo materie prime sicure, tracciabili e di altissima qualità

«Si può fare!», esclamava lo scienziato pazzo nel cult movie “Frankenstein Junior”, intuendo come riportare in vita un essere umano. Anche in Italia da tempo alcuni insider stanno, letteralmente, “coltivando” un progetto meno impossibile, ma non facile, come quello di tornare a coltivare fibre tessili.

Contro molte speranze e competitor come Cina e India, emerge questa tendenza, pur se lenta e di piccole dimensioni, secondo cui alcune aziende italiane vogliono ripristinare questa pratica sui nostri campi. Le motivazioni che le spingono sono legate al reshoring in corso, ma anche all’ambizione di rendersi autonome e non dover più importare materie prime da Paesi lontani, oltre alla volontà di offrire prodotti di miglior qualità, più sicuri per la salute e tracciabili, perciò in linea con le leggi UE sul Green Deal, perfetti per supportare la nostra filiera. Spinge questi pionieri anche l’orgoglio di ricominciare a produrre materiali pregiati che fino alla metà del secolo scorso l’Italia esportava nel mondo. Ma con la scoperta delle fibre sintetiche, l’aumento del costo della manodopera e la crescente importanza data più ad attività come servizi e tecnologia che all’agricoltura, la coltivazione di piante per uso tessile è stata abbandonata.

È POSSIBILE TORNARE

AL “COLTIVATO IN ITALIA”... Per alcuni imprenditori è possibile riportare in vita queste colture perché le tecnologie sono più sviluppate, grazie a macchinari di nuova generazione che rendono la coltivazione e la raccolta meno faticose e richiedono un minore impiego di forza lavoro. Grazie alla varietà del clima e della conformazione geografica della Penisola, è di fatto possibile coltivare molte varietà di fibre, le piante possono crescere meglio e offrire materiali di migliore qualità di quelle coltivate altrove. Inoltre, sarebbe possibile evitare di importare grandi quantità di materia prima da Paesi lontani, abbattendo costi ed emissioni. Infatti, coltivando la fibra in Italia si potrebbero assorbire alte quantità di CO2. Per esempio, un ettaro di canapa cattura dalle 10 alle 15 tonnellate di CO2, mentre un ettaro di lino assorbe 3,7 tonnellate, quando in media una famiglia di quattro persone ne produce una tonnellata l’anno. Coltivare fibre su larga scala sarebbe come avere un polmone verde su tutto il territorio ...MA È UN PERCORSO A OSTACOLI Tuttavia, la realtà non è così semplice. Buona parte della produzione tessile mondiale è rap-

presentata dalle fibre sintetiche: di 124 milioni di tonnellate complessive di fibre prodotte nel 2023 il 67% sono fibre sintetiche, quelle d’origine vegetale sono il 31% (25% cotone), 8% è viscosa e 1,3% sono fibre animali (Fonte: Cosetex). Inoltre, si sono prodotte 83mila tonnellate di seta sempre nel 2023, delle quali il 56% è prodotta in Cina e il 33,7% in India. Ovviamente, è difficile competere con produttori di tali dimensioni e per raggiungere significative quantità occorrono investimenti importanti e vasti appezzamenti, ma occorre anche essere pronti ad allerte meteo per siccità, alluvioni, grandinate e gelate tardive, o disastri ambientali e idrogeologici di vasta portata, spesso imprevedibili. Nonostante ciò, esistono progetti interessanti da non sottovalutare.

LINO D’ITALIA: QUALITÀ, NON QUANTITÀ

Linificio Canapificio Nazionale (LCN) è un’azienda bergamasca specializzata nella filatura di fibre di lino e canapa, fondata oltre 150 anni fa. Appartiene al Gruppo Marzotto dal 1985 ed è BCorp dal 2023. Circa cinque anni fa ha iniziato a coltivare lino in Italia secondo metodi di produzione biologica e pratiche agricole rigenerative, principalmente in Toscana e Lombardia, oltre a Emilia-Romagna e Basilicata, e dal 2025 anche in Veneto. Dopo test sul territorio ha attuato un progetto di filiera per la manifattura del filato Lino d’Italia, completamente tracciato e interamente prodotto in Italia. «Produciamo il Lino d’Italia in base alle richieste di nostri clienti esclusivi del mondo del lusso. Sono quantità limitate, ma di qualità molto alta e rivolte sia ad aziende del nostro gruppo che esterne - spiega Luca Vignaga, ceo di LCN -. Non è stato semplice. Abbiamo fatto tantissima ricerca sulle varietà dei semi e sullo studio agronomico della coltivazione, andando in Francia (una delle aree d’Europa dove si coltivano le qualità più pregiate di lino, ndr). Abbiamo risolto le problematiche grazie ai nostri partner e fornitori storici di Terre de Lin e agli operatori agricoli coinvolti». «Speriamo che l’Italia possa tornare a essere un hub importante per il lino da quando abbiamo iniziato questo progetto - sottolinea -. Lo pensiamo perché che le condizioni geoclimatiche lo permettono e a valle, abbiamo una forte industria tessile che trasforma prima la fibra in filato, poi in tessuto e dopo in prodotto finito». La qualità dei primi raccolti è considerata paragonabile a quella del lino francese, soprattutto da aziende agricole biologiche, seppur dalle rese limitate.

LA CANAPA MADE IN ITALY?

È QUESTIONE DI TEMPO

Da circa sei anni Francesco Vantin, co-fondatore di GimmiJeans, ha scoperto le qualità della canapa industriale. Dopo studi e racconti della nonna, che coltivava la fibra in passato, ha approfondito la storia e i vantaggi della varietà Carmagnola, dagli steli della quale ha ottenuto una fibra lavorabile. Da allora realizza tessuti con questa fibra, oltre che con cotone organico, per il suo marchio di jeans e abbigliamento prodotto nel raggio di 20 chilometri dalla sua sede nel vicentino.

«Stiamo offrendo capi con un valore di artigianato elevatissimo - spiega Francesco Vantin -. Realizziamo pezzi con canapa artigianale, dal seme al capo finito, nel modo più lento e responsabile possibile. Ci appoggiamo a filature artigianali e, per la tessitura, lavoriamo con Tessitura La Colombina, azienda locale che usa telai manuali d’inizio Ottocento. La confezione, infine, la seguiamo internamente». La produzione di canapa dipende dalle annate, benché per ora sia solo a uso interno. GimmiJeans vende a pochi negozi nella regione e via e-commerce, a prezzi da 137 euro per un jeans a 440 euro per una giacca, fino a 2.500 euro per un kimono in canapa artigianale. Per Vantin la produzione è scalabile: «Nel nostro piccolo - sottolinea - stiamo lavorando sia sul fronte agricolo che come brand, per riuscire a dare uno sbocco a questa fibra, mostrando al consumatore la differenza di qualità del materiale e del Made in Italy». «Tuttavia, servono finanziamenti e persone competenti per la trasformazione - spiega -. Credo sia solo questione di tempo perché nell’Unione Europea, dalla Polonia fino alla Germania, ci sono già realtà che coltivano canapa e la trasformano. L’Europa ha stanziato finanziamenti a realtà più strutturate. Vediamo se alla fine porteranno frutto».

COSTRUENDO UNA FILIERA DEL COTONE 100% ITALIANA

In un Paese come il nostro, in larga parte baciato dal sole, ci sono anche esempi di coltivazione di cotone organico a fibra lunga. Dopo progetti iniziati in Sicilia nel 2019, dal 2023 Aliai Venturi Quattrini, imprenditrice del gruppo ICS (holding attiva in settori come energia e agricoltura), ha realizzato un progetto agrivoltaico che unisce la coltivazione del cotone all’uso di pannelli fotovoltaici. La manager ha completato l’acquisizione di Cotone Organico di Sicilia, azienda agricola biologica specializzata nella coltivazione, lavorazione e trasformazione del cotone organico certificato Gots e ha da poco concluso un accordo con Sonnedix, produttore globale di energia solare. È nato il brand Sofine (Select Organic Fibers for Italian New Elegance), ideato da Aliai, che vede agrivoltaico e moda coinvolti nel cotone 100% Earthmade in Italy, al debutto al G7 dell’Agricoltura di Siracusa nel settembre 2024. Oggi occupa 100 ettari di terreno, ma entro il 2026 prevede di raggiungere 1.100 ettari coltivati. Sempre nel 2024 Fashionart, un produttore italiano di capi in denim per marchi di pret-àporter internazionali, ha lanciato Unico 100% Made in Italy, una nuova collaborazione che usa cotone Sofine. Per questa partnership produrrà abbigliamento in denim con tessuti realizzati insieme a Eurotessile, ditta italiana di filati e tessuti, e Berto E.G. Industria Tessile, specialista di denim di alta qualità, in arrivo sul mercato da aprile 2024 per la FW 2025/2026.

SETA ITALIANA?

SÌ, MA OLTRE IL TESSILE Alcune startup e piccole aziende italiane si stanno cimentando nell’allevamento di bachi da seta e nella produzione di filati. Ne parla Silvio Mandelli, ceo e proprietario di Cosetex, azienda comasca specializzata nella trasformazione dei cascami di seta, che ha collaborato con Pure Denim a un denim in cotone e seta cruelty-free e certificata Oekotex, Grs, Gots. Benché nella prima parte del 1900 l’Italia fosse leader nel settore serico, oggi è più difficile coltivare gelsi e praticare la bachicoltura, non per barriere tecniche, climatiche o di conoscenze varie, ma perché è richiesta la presenza umana a ogni step. «La produzione italiana porterebbe a incrementi di costo del prodotto finale. Inoltre, non siamo certi che si potrebbero ottenere prodotti qualitativamente paragonabili a quelli di mercati altamente specializzati come Cina e India, che sono più competitivi», spiega Mandelli. È più realistico far conoscere le enormi potenzialità della seta biologica e tracciata in altri campi. Per esempio, si possono estrarre proteine seriche da bozzoli e fibre per campi come cosmetica, biomedicale e medicale, oltre alla ricerca di trattamenti e finissaggi per nuovi tessuti o per altri prodotti del tessile-moda, fino a biotech, food, automotive, aerospaziale e arredamento. «Stanno emergendo un notevole interesse e sviluppo futuro attraverso piccoli consorzi di produzione di bozzoli in seta, a volte nati da spin-off universitari o istituti di ricerca. I quantitativi prodotti in Italia per utilizzi tessili e non tessili sono molto limitati, ma le applicazioni per il prossimo futuro sono promettenti», conclude Mandelli. 

Da sinistra, in alto: un campo di lino in fiore ad Astino del Linificio Canapificio Nazionale; un fiocco di cotone, Unico 100% Made in Italy di Fashionart; filati di canapa su telaio di Tessitura La Colombina; Francesco Vantin di GimmiJeans, al lavoro in un campo di canapa; piante di gelso e bozzoli di seta in due immagini di Cosetex

ANCHE LA FILIERA A MONTE IN PISTA PER L’EPR

Da gennaio in Ue è scattato l’obbligo di raccolta differenziata per il tessile. La normativa in materia, che introduce la Responsabilità estesa del produttore, non è ancora in vigore e il monte della filiera ne è coinvolto indirettamente. Ma vuole fare la sua parte, pur non nascondendo timori e perplessità

Dimenticate le immagini del deserto di Atacama, in Cile. Una discarica a cielo aperto di indumenti da tutto il mondo, per lo più destinati a essere bruciati, che punta il dito sull’industria della moda e il suo impatto sull’ambiente. Nel textile hub della cooperativa sociale Vesti Solidale di Rho (a nord-ovest di Milano), avviato da meno di un anno, abiti usati e accessori sono una risorsa preziosa. Vengono ordinatamente raccolti, igienizzati e selezionati e circa il 60% è riutilizzato e il 35% riciclato (il 5%, dato da rifiuti di carta e plastica, è indirizzato alle rispettive filiere del recupero). La gestione è in capo a Rete Reuse, network di cooperative sociali promosse dalla Caritas Ambrosiana, che dal 2012 recupera indumenti usati attraverso oltre 2.600 cassonetti gialli sparsi tra Milano e alcune province lombarde, sviluppando attività innovative di gestione del rifiuto tessile e fornendo consulenze. A garantire il corretto riciclo c’è Erp-European Recycling Platform Italia Tessile, unico consorzio italiano no profit attivo anche su scala europea. Altri consorzi per valorizzare il tessile a fine vita sono stati creati all’interno di consorzi già attivi in altre filiere dei rifiuti (per esempio le apparecchiature elettriche ed elettroniche) oppure costituiti ex novo da aziende del tessile-moda, in parallelo con l’entrata in vigore in Italia dell’obbligo di raccolta differenziata del tessile, scattato nel 2022, in anticipo rispetto all’obbligatorietà in Ue, prevista da gennaio di quest’anno. Tra questi figurano Cobat Tessile, Ecotessili (su iniziativa di Federdistribuzione), Erion Textiles, Re.Crea (guidato da Cnmi), Retex.Green (lanciato dall’allora Smi, oggi Confindustria Moda, e Fondazione del Tessile Italiano) e Unirau. Analogamente ad altre filiere organizzate dei rifiuti, operano secondo il principio della Responsabilità estesa del produttore-Rep (Extended producer responsibility-Epr). È chi immette sul mercato nazionale il prodotto finito (abiti, ma anche calzature, accessori, pelletteria e tessili per la casa) che si deve occupare del rifiuto differenziato e, nel caso del sistema moda, sono inclusi gli importatori e i brandholder che fanno fabbricare il prodotto da terzi. L’Europa fa piani ambiziosi, anche se, mentre scriviamo, sta ancora lavorando alla revisione della direttiva quadro sui rifiuti tessili, che porterà a sistemi di Epr armonizzarti per gli stati membri. A oggi il 78% dei rifiuti tessili in Europa finisce in discarica o viene incenerito (più di 5 milioni di tonnellate) ma obiettivi incrementali porteranno a una raccolta del 40%, entro il 2035, con l’obbligo che l’80% sia destinato a riutilizzo, riciclaggio e recupero IL DECRETO IN ITALIA È ATTESO NELLA SECONDA METÀ DELL’ANNO Mentre le imprese italiane della moda si stanno dimostrando pronte a fare la loro parte - incluso il monte della filiera, anche se indirettamente coinvolto dalle norme sull’Erp - la situazione di incertezza normativa riguarda anche il nostro Paese, in attesa che venga emanato il decreto che istituisce nel nostro Paese la Epr sul tessile. L’annuncio della predisposizione di uno schema di decreto è arrivato nel febbraio 2023 dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase), di concerto con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy. «Si può pensare che la chiusura delle consultazioni formali per il testo del decreto sia entro maggio e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale in luglio o dopo la pausa estiva - aggiorna Mauro Chezzi, responsabile sezione Tessile per abbigliamento di Confindustria Moda e referente associativo del Consorzio Retex.green -. Per far partire il tutto è però necessario che i produttori entrino a far parte di un consorzio a cui trasferire i propri obblighi (a meno di non crearne uno proprio) e per questo si avrà tempo fino a gennaio 2026». «In Europa la direttiva è alle battute finali, al trilogo che coinvolge Commissione Ue, Parlamento e Consiglio dei ministri. Da noi si è assistito a un cambio di passo

con la nomina di Luca Proietti alla direzione generale Economia circolare e bonifiche del Mase». Secondo Chezzi è stato fatto un buon lavoro per l’Italia, con un testo, commentato in una recente riunione, che fa fare un passo avanti, riconoscendo ed equilibrando il ruolo dei singoli attori: produttori, consorzi, Comuni e aziende di igiene urbana. «Ci sarà un centro di coordinamento e supervisione dei consorzi riconosciuti dal ministero, il Corit, per evitare fenomeni di accaparramento delle materie prime “seconde” - anticipa -. Viene introdotto un principio di responsabilità solidale per i gestori di marketplace, che diversamente rischiavano di sfuggire alle regole, e si dà la possibilità ai produttori di organizzare le raccolte dei rifiuti tessili presso i punti vendita». «Il nostro contributo - ha aggiunto - è portare a bordo più stakeholder, per raggiungere obiettivi comuni. Gli anelli della filiera che non sono brandholder faranno la loro parte indiretta. L’Epr si spinge a chiedere l’adozione di pratiche di circolarità ed eco-design, che porteranno all’eco-modulazione dell’eco-contributo, in base alle caratteristiche di sostenibilità del prodotto». Il sistema si finanzia con tale contributo, anticipato dai produttori e recuperato con l’immissione sul mercato e la vendita del prodotto. Il cliente si ritroverà sullo scontrino il contributo ambientale assolto. «Anche al consumatore è chiesto un cambiamento - nota Chezzi -. Il fast fashion e i consumi, ai ritmi attuali, non sono sostenibili. I consorzi sono attivi anche per formare i clienti a fare acquisti consapevoli».

LA VISIONE GREEN DELL’EUROPA

PUÒ DANNEGGIARE LA FILIERA

«Sono preoccupato dei possibili paletti messi dall’Europa - dice Ercole Botto Poala, ceo del Gruppo Reda, specializzato in tessuti lanieri -. C’è il rischio che si abbiano più danni che benefici. Le scelte green sono condivisibili, ma mi sembra che prevalga una visione idealista, riguardo la riduzione dell’impatto sull’ambiente». «Metà delle imprese - allerta - nel giro di cinque anni poterebbe sparire, se i tempi per realizzare gli obiettivi restano quelli prospettati dall’Ue».

«Fibre sintetiche e naturali vengono considerate allo stesso modo - osserva - ma nel primo caso a monte ci sono industrie con capacità enormi, nel secondo troviamo un allevatore o un coltivatore, che probabilmente non sono in grado di stare al passo. In ottica sostenibile, rischiano di essere distrutte intere filiere e attività economiche». «Si vogliono ridurre le emissioni di CO2 ma l’Ue ha un peso dell’8% sul totale emesso - fa notare Botto Poala -. Ci chiedono di diminuirle, ma ci stiamo già facendo carico di una perdita di competitività in termini di costi dell’energia. Inoltre sembra che il consumatore non sia disposto a pagare di più per la sostenibilità, soprattutto i giovani, come attesta il successo di piattaforme come Shein e Temu». «I brand - aggiunge - cercheranno di offrire prodotti il più possibile riciclabili, contenendo i costi di gestione. Per non aumentare i prezzi al consumatore vorranno recuperare nella filiera a monte, così andranno a comprare in altri Paesi, dove è difficile controllare l’origine». C’è ancora la possibilità, secondo l’imprenditore, di mettere un freno alle regole stringenti, ma le imprese non sono capaci di fare lobby, inoltre in Ue la maggior parte dei Paesi non è interessata al tema tessile. LA SPERANZA È CHE ANCHE IL CONSUMATORE DIVENTI SENSIBILE «I temi da affrontare stanno diventando complessi e possono essere affrontati da aziende strutturate - ammette Fabio Campana, ceo di Lanificio dell’Olivo. In questo senso ci sentiamo attrezzati e capaci di interloquire con i clienti, per nuove opportunità di business, continuando a lavorare con la massima trasparenza, fornendo tutti i dati relativi alla nostra catena produttiva». «Per noidicono dal produttore di fibre sintetiche RadiciGroup - la direttiva Epr rappresenta l’opportunità di valorizzare anni di lavoro, per ridurre l’impatto ambientale del tessile. Offriamo prodotti Made in Europe, in materie prime di qualità, tracciabili e riciclabili a fine vita. In particolare, filati ottenuti da materiali riciclati e da fonti rinnovabili. Siamo anche tra i soci fondatori di Retex.Green». «Ci aspettiamo che questa regolamentazione, oltre a uniformare le regole del gioco a livello europeo, contribuisca a rendere l’intera filiera, incluso il consumatore finale, più responsabile e consapevole - precisano -. Speriamo che i contributi economici versati dai produttori siano destinati alla ricerca e all’innovazione nel tessile, ma anche alla formazione e sensibilizzazione di marchi e consumatori». «Noi ci stiamo attrezzando con una revisione dei processi produttivi e gestionali - afferma Daniela Antunes, marketing manager di Fulgar, specialista dei fili in poliammide -. Collaboriamo con i partner della filiera per ottimizzare la gestione del fine vita dei prodotti, puntando su materiali riciclabili e implementando tecnologie per tracciare il ciclo di vita. In parallelo, abbiamo avviato progetti

di riciclo textile-to-textile, già in fase di collaudo e di prossima industrializzazione, che si concentrano sul recupero di fibre tessili per capi di alta qualità. In più investiamo in formazione interna e sensibilizzazione». «Potremo differenziarci a livello di sostenibilità - aggiunge - migliorando la nostra reputazione e attrattività, anche se nel breve termine ci aspettiamo un aumento dei costi operativi. La transizione potrebbe richiedere investimenti significativi, ma li consideriamo un’opportunità per rafforzare la competitività a lungo termine». Anche alla Thermore, che ha proposto la sua prima imbottitura riciclata negli anni ‘80, la sfida è vista come un’opportunità. «Da un lato - spiegano dalla società lombarda - consente di rafforzare l’impegno ambientale, migliorando i valori dell’azienda e rispondendo alle crescenti aspettative dei consumatori attenti all’ambiente. Dall’altro, stimola la ricerca di nuovi materiali e metodi di produzione, incoraggiando a puntare sull’innovazione e a guardare al futuro». In Fulgar a preoccupare di più, della moda circolare voluta dall’Ue, è la complessità di creare un’infrastruttura di raccolta e riciclo efficace a livello europeo e l’armonizzazione delle normative tra Paesi. Altre sfide, secondo Antunes, riguardano l’adozione delle regole, che potrebbe risultare lenta tra gli attori della filiera, e la possibile mancanza di tecnologie adeguate su larga scala. Campana parla di «aspetti del dibattito sull’ecodesign che sembrano configurare il rischio di conclusioni paradossali e incomprensibili». «Secondo alcuni criteri di sostenibilità - spiega - i polimeri sintetici appaiono più performanti rispetto alla lana o alle fibre nobili, per motivi legati ai pascoli, alle emissioni di CO2 da parte degli animali, allo sfruttamento del suolo e altro ancora. Ci si dimentica, però, che i materiali naturali sono biodegradabili, mentre il lavaggio di un pile in poliestere provoca il rilascio di miliardi di micro e nano plastiche, che interferiscono nella catena alimentare di tutto l’ecosistema». Prioritario, a suo parere, sarebbe «il controllo dell’enorme massa di abbigliamento in ingresso in Europa, proveniente da Paesi in cui non esistono le stesse restrizioni sui contenuti di sostanze pericolose che valgono in Ue». RadiciGroup invece critica il “closed loop”: «L’Ue promuove il riciclo da tessile a tessile come unica via, mentre l’approccio “open loop” spesso è più sostenibile e amplia il volume di materiali per il riciclo». Ne è un esempio una tuta da sci progettata internamente in ottica di eco-design, in materiali riciclati e riciclabili, che a fine vita può essere trasformata in nuovi materiali polimerici, utili a produrre scarponi e attacchi da sci. Certi tessuti possono anche diventare bottoni o cerniere, per restare nel fashion system.

LA NUOVA DIRETTIVA INCORAGGIA LA CO-CREAZIONE CON I DESIGNER Sul fronte della domanda, «molti marchi e designer - notano in Thermore - stanno adattando le loro richieste seguendo le direttive dell’Epr, puntando su materiali riciclati e durevoli, come pure su processi di produzione sostenibili». Alla Fulgar prospettano anche una maggiore richiesta di prodotti progettati per il disassemblaggio, «che incoraggia la co-creazione tra fornitori e creativi», oltre all’affermarsi di materiali bio-based e allo sviluppo di fibre derivanti da alghe, scarti agricoli e biopolimeri. Il Lanificio dell’Olivo ipotizza più richieste di filati contenenti un minor numero di fibre con composizioni chimiche diverse fra loro, una maggiore domanda di prodotti in fibre riciclate ma anche un maggiore focus sulla durabilità, nel progettare i capi. Come rilevano in RadiciGroup, emergono pure segnali di un’attenzione maggiore verso una filiera più europea. L’auspicio è un tessile più collaborativo in Europa, dove filiera e istituzioni lavorino insieme per una reale sostenibilità. 

Dall’alto, in senso orario, abiti usati nel textile hub di Vesti Solidale, fuori Milano, la produzione alla Reda, un filo in bio-rafia di Lanificio dell’Olivo e le tute da sci progettate da RadiciGroup che, a fine vita, diventano scarponi

OLTRE IL SOFFITTO DI CRISTALLO

LAURA COLNAGHI CALISSONI: «MAI ACCONTENTARSI. SE TI ACCONTENTI È FINITA»

A tu per tu con l’imprenditrice che da 20 anni è alla guida del Gruppo Carvico, leader nella produzione di tessuti indemagliabili elasticizzati. Energica e colta, Cavaliere del Lavoro dal 2017, porta avanti l’idea di un capitalismo consapevole, ma anche i valori dell’arte (da collezionista) e dello sport (da campionessa di sci di fondo)

DI ANGELA TOVAZZI

La parola che Laura Colnaghi Calissoni ripete più spesso è «responsabilità». Avvocato di formazione, da 20 anni è ai vertici del Gruppo Carvico, leader mondiale nella produzione di tessuti indemagliabili elasticizzati per swimwear, sportswear e outerwear, e quel monito interiore alla responsabilità appare come il baluardo che ha orientato e continua a orientare le sue scelte. Romana di origine, dopo gli studi in giurisprudenza esercita la professione forense in importanti studi legali in Italia e negli Stati Uniti, ma dopo l’esperienza drammatica del rapimento nel 1983 della madre Anna Bulgari Calissoni (erede della famiglia di gioiellieri) e del fratello Giorgio - durante il quale portò avanti da sola le trattative con i rapitoridecide di trasferirsi a Milano. Lì inizia la sua seconda vita professionale, come socia della zia Marina Bulgari per il marchio di preziosi Marina B. Un’esperienza che le permette di farsi le ossa come imprenditrice e che la prepara al grande salto nel vuoto che si troverà a dover fare molti anni dopo, quando il marito Giuseppe Colnaghi (sposato nel 1987), fondatore della Carvico Spa, muore improvvisamente. Siamo alla fine del 2005. Fino a quel momento Laura Colnaghi Calissoni aveva sì partecipato alla vita aziendale, visto che dal 1989 siedeva nel cda, ma non in maniera proattiva. Davanti a sé, come ci racconta, aveva un bivio, un aut aut: vendere o andare avanti. I dubbi imperversano, ma alla fine sono le circostanze a far pendere l’ago della bilancia: «Proposte di acquisizione ne ricevetti tante, ma nessuna veniva da un vero imprenditore. Solo da fondi, che per loro natura non avrebbero fatto investimenti a lungo termine e soprattutto non si sarebbero spesi per preservare e creare posti di lavoro - ricorda -. Così, nonostante le mille incertezze, responsabilmente decisi di prendere in mano il testimone». Quel passaggio sposta sulle spalle di Colnaghi tutto il suo carico, anche se a darle man forte é «una grande squadra che mio marito aveva oculatamente formato anni prima», in grado di supportarla nelle decisioni cruciali. Che negli anni, pur nel ritmo altalenante del mercato, si rivelano azzeccate per la crescita di Carvico.

AL CENTRO DELLA NOSTRA STORIA

IMPRENDITORIALE

ABBIAMO SEMPRE CERCATO DI METTERE L’INTERESSE PUBBLICO

Nel 2017 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella Laura Colnaghi Calissoni riceve l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro, che cristallizza in un titolo tutto l’impegno profuso per far prosperare la sua azienda, nel rispetto dell’ambiente e delle persone: «Il merito non è stato solo mio e lo sottolineai anche in occasione di quel conferimento - tiene a precisare -. Sono convinta che da soli non si vada da nessuna parte. Per questo come leader ho sempre cercato di essere coinvolta e di coinvolgere, di fare scelte condivise e creare un luogo di lavoro dove tutti potessero crescere e dare il loro contributo».

Eppure, tra le parole di tributo al suo team, dall’imprenditrice filtrano imperiose quelle doti personali di tenacia, resilienza, coraggio che ha dimostrato sul campo. «Non mi sono mai accontentata. Se ti accontenti è finita - sentenzia -. Anche in azienda quando raggiungiamo un traguardo, subito dopo siamo pronti a ripartire con il prossimo, con la volontà di continuo miglioramento».

Sotto il suo mandato la società amplia il proprio raggio d’azione in ottica internazionale, arrivando a contare, oltre alle filiali in Cina (a Hong Kong e Shanghai) e negli Usa, (a New York e Los Angeles) stabilimenti produttivi in Vietnam e in Etiopia. Nell’orbita del gruppo arrivano - accanto a Jersey Lomellina (rilevata nel 1977) ed Eurojersey (acquisita nel 1989) - la piacentina Ime, specializzata in tessuti circolari, e la novarese Xlance, produttrice di filo elastomerico di nuova generazione, guidata oggi dal figlio Costantino Colnaghi

La sostenibilità è l’altro binario strategico su cui viaggia Carvico, che ancora prima che l'imperativo green diventasse mainstream investe con convinzione nell’utilizzo di fili riciclati derivanti da reti da pesca, fluff dei tappeti, bottiglie di plastica e, tra gli altri progetti eco, si impegna nel riciclo dell’acqua, nell’abbattimento dei costi energetici, nella riduzione degli inquinanti contenuti nelle emissioni atmosferiche e del volume degli scarti, con un obiettivo su tutti: quello di «mettere - sottolinea l’imprenditrice - l’interesse pubblico al centro della nostra storia imprenditoriale».

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Si spiega solo così il suo successo anche in campo sportivo, visto che Laura Colnaghi Calissoni è una grande appassionata di sci di fondo e nel suo palmarès detiene 15 titoli mondiali ai Campionati Master di questa disciplina. Dice che dallo sport ha ricevuto grandi lezioni di vita e “parabole” per affrontare le sfide della sua carriera. Nonostante sia salita così spesso sul podio con racchette e sci, pensa non siano le vittorie a forgiare il carattere e rinforzare sicurezze, bensì le sconfitte. «Certo, se vinci un oro è una gioia indicibile, la ricompensa per i tuoi sforzi, ma è quando perdi che cresci, perché ti metti in discussione, analizzi che cosa non ha funzionato e rivedi la strategia per farcela ancora una volta. Una massima che vale nello sport come sul lavoro». Gli allenamenti sulle piste e l’impegno come capitana d’industria non hanno però tolto spazio all’altra sua grande passione, che l’ha portata a diventare collezionista di arte moderna e contemporanea. Come presidente dell’Associazione Amichae, l’imprenditrice sostiene tre strutture museali milanesi (il Museo del Novecento, il Museo Costume e Moda e il Museo del Risorgimento) e da anni porta avanti il compito di far conoscere in Italia e all’estero il grande patrimonio artistico del capoluogo lombardo e non solo. «Credo che chi è al timone delle imprese abbia la responsabilità di promuovere e sostenere la cultura - sottolinea -. Sono convinta che l’arte abbia un grande potere trasformativo e riesca a innescare nelle persone un circolo virtuoso, dando nuovi stimoli e aprendo nuove frontiere».

Lo dice una donna che davanti a ogni tipo di frontiera o crinale non ha mai indietreggiato, seppur con cognizione e senso di responsabilità, fedele ai principi di un capitalismo consapevole, che guarda sì al profitto, ma non in maniera selvaggia o a scapito del bene comune. Per il futuro di Carvico il suo obiettivo è «rimanere solidi, portando avanti l’obiettivo di offrire massima qualità, grande servizio, costante innovazione». «Ma ciò che spero di più - conclude - è continuare a dare lavoro a 1.300 persone». 

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GIOVANE DESIGNER

CERCASI: «MA DEVE ESSERE UN MATTO»

Piergiovanni Vitalini ha guidato per oltre 30 anni l’azienda tessile Forza Giovane e adesso è pronto per una nuova avventura DI TOBIAS BAYER

Anche nella marea di immagini su Instagram, Facebook o Linkedin lui si distingue. Ricorda un cavaliere del Medioevo. Indossa una cotta di maglia e protegge le cosce con una placca di cuoio, coperta di rivetti e stemmi metallici. Ha diversi anelli su ogni dito. Pubblica quasi quotidianamente sui social media. A volte da una chiesa, a volte da un mercato delle pulci, a volte da un museo, a volte da una fiera di moda come Pitti Uomo. Rivolge i suoi post a «giovani di spirito di ogni età» e li conclude sempre con le parole: «Buona vita potente». Quest’uomo sembra un viaggiatore del tempo di un’epoca passata, eppure - curiosamenteha qualcosa di incredibilmente moderno. Chi è? È Piergiovanni Vitalini. Per oltre tre decenni ha diretto l’azienda tessile Forza Giovane, specializzata in elementi decorativi, che fornisce i grandi marchi del lusso. Ha utilizzato tecniche antiche come l’agugliatura e ha trasferito l’estetica del Casentino alla maglieria. «Credo di aver dato un piccolo contributo al mondo», dice di sé.

Ha lasciato la guida operativa di Forza Giovane quasi un anno fa, ma è «pronto per una nuova avventura». Il suo sogno: vorrebbe sostenere un giovane designer. Perché è convinto che i momenti difficili come quello attuale offrano opportunità. «La moda ha perso molta creatività - dice -. C’è spazio per i piccoli marchi che aprono nuove strade. Può funzionare, può andare male. Bisogna provare qualcosa». Lui stesso è il miglior esempio di questa filosofia di vita. Vitalini è cresciuto nelle Marche come figlio di agricoltori. Grazie al suo diploma all’Istituto Tecnico, «con votazione 58 su 60», attirò l’attenzione del fratello del fondatore di Dondup, Massimo Berloni, che lo portò in azienda e lo introdusse alla moda. In seguito aprì un proprio negozio di moda per giovani, che battezzò Forza Giovane. Passò alla confezione di capi finiti e poi alla produzione tessile. Insieme al fratello rilevò l’azienda Passamani di Novara, con tanto di vecchi telai e un orditoio in legno che sembrava costruito da Leonardo da Vinci in persona. Vitalini è ancorato al passato, ma è rivolto al futuro. Il giovane designer che vorrebbe aiutare deve soddisfare essenzialmente una condizione: «Deve essere un matto. Perché solo un matto può uscire dagli schemi». 

FASHION STRATEGIA, INNOVAZIONE E MERCATI

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THE GOAT CLUB: IL NUOVO PROGETTO DI REDA ACTIVE A MILANO UNICA

È Milano Unica il palcoscenico per la novità estiva dell’azienda biellese di tessuti, che propone un total look di rottura a base di cashmere e mischie pregiate

Attiva nel mondo tessile dal 1865, Reda celebra quest’anno il suo 160° anniversario e, in occasione della quarantesima edizione di Milano Unica, presenta due progetti distintivi. Tra questi, The GOAT Club, il progetto per la stagione Primavera-Estate 2026 di Reda Active, la linea di tessuti che unisce comfort e prestazioni eccellenti. L’obiettivo è mettere in luce la capacità dell’azienda di coniugare innovazione, ricerca e creatività sartoriale, elementi che da sempre contraddistinguono l’attività di Reda, realtà di eccellenza biellese.

A sottolineare l’importanza di questo momento, lo stand – situato al Pad. 24, C11 –si presenta con un nuovo design, più spazioso e funzionale, concepito per offrire un’esperienza immersiva, tra stile e performance.

The GOAT – The Greatest of All Time – celebra il cashmere, una delle fibre più pregiate e lussuose al mondo, introdotto per la prima volta nelle collezioni Reda Active lo scorso luglio. Una scelta stilistica che contrassegna un total look contemporaneo e dinamico, oltre i tradizionali schemi, ispirato al mondo del golf, come lo stand che lo ospita nel contesto di Milano Unica.

Realizzata con cashmere pettinato di altissima qualità e mischie di lana e lino all’insegna della morbidezza, la collezione si declina in due macrocategorie: capi in 100% puro cashmere, dedicati a chi cerca il massimo della raffinatezza, e blend di lana-cashmere o lana-lino-cashmere, per un equilibrio ideale tra comfort, durabilità e leggerezza.

Outfit come la polo di piqué di lana cashmere, la fleece bicolore a manica lunga realizzata con tessuto merino matelassé e jersey, la maglia a motivo Principe di Galles con coulisse regolabile sul fondo e pantaloncini in misto lana-cashmere-lino con coulisse in vita sono completati da accessori come la bandana e il bucket hat a motivo Principe di Galles.

Ultima il look l’intimo di Super 120’s jersey di lana Merino e cashmere, per una collezione che prende l’eleganza del green e la proietta in una dimensione contemporanea, dinamica e sofisticata.

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