FLIP PAGE FA N 1 2016

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Anno 47 | N°01 dell’11.01.2016 | quindicinale | € 5,50 | www.fashionmagazine.it

E H I S SI D GL IN EN ION RS VE

Il magazine di news, business e trend

Patrik nilsson «Ecco come infrangeremo il tetto del miliardo »

giancarlo giannini

«Io un Good Italian? Comincio a crederci »

Genesis of the

New

Il menswear è un’apparente oasi di calma nel mare in tempesta

Nella foto: Strellson



n°1

11 GENNAIO 2016 www.fashionmagazine.it

SOMMARIO

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L’Editoriale

PROTAGONISTI

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Patrik Nilsson di Gant «L’accelerazione viene dal teamwork»

news

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10 In Borsa Si torna a parlare di Ipo della moda

BUSINESS

12 Pitti Uomo 89 Non è solo questione di generation(s) In copertina

Un outfit di Strellson per l’autunno-inverno 2016/2017

15 Juun.J «A Firenze porto un’estetica completamente nuova»

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16 Marco De Vincenzo «In un teatro per sorprendere ancora tutti» 16 Federico Curradi «Questa volta infrango le regole» 17 Vittorio Branchizio Curioso e creativo: questione di radici 19 Make a Pitti Uomo «Gli artigiani del futuro siamo noi» 29 In Fortezza da Basso Un viaggio dall’Africa al true american style

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n°1 11 GENNAIO 2016 www.fashionmagazine.it

SOMMARIO

77 93 66 44 MIlano Moda Uomo Sfilate addio? Qualcuno inizia a crederci 53 Sondaggio/Vendite menswear autunno-inverno 2015/2016 L’uomo cresce grazie alle “scatole cinesi” 66 Focus denim Con lo storytelling il tessuto sale alla ribalta 74 Rifle Jeans/Sandro Fratini Arrivano i giovani

77 Fashion Week Berlin Le mille luci di Berlino

TREND

86 Buyers’ opinion Dallo sport all’heritage, ecco i nuovi trend 89 Menswear preview f-w ‘16/17 Sketching 93 Menswear preview f-w ‘16/17 Style tellers

115 La nuova giacca One statement, the “jacket” for the season 121 Beauty al maschile Anche l’hipster ha un cuore dandy 124 Womenswear preview Pre-fall 2016 132 Store to watch/La Ferramenta La storia è da fiaba ma lo stile è streetwear 138 Ritratti/Giuseppe Tamola Da quel ramo del lago di Como alla Silicon valley berlinese

pEOPLE

145 Fashion people 146 Red carpet

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SHOWROOM MILANO | NEW YORK | TOKYO T. 8 0 0 8 3 5 0 3 9

L U I G I B I A N C H I M A N TOVA . I T


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nche per il menswear vale ciò che ormai è assodato per l’intero comparto moda: in un quadro di mutamenti radicali, la sola via di uscita è la fuga in avanti. Soprattutto ora che le resistenze endemiche al cambiamento stanno, per motivi congiunturali, scemando. Si intravede una schiarita all’orizzonte, dovuta ai tassi bassi, al dollaro in ripresa e al greggio supereconomico. Si tratta di fattori che si ripercuotono in una ripresa dei consumi, registrabile nei mercati maturi, tenuemente anche in Italia. Fa tuttavia da contraltare il rallentamento dei mercati emergenti, della Cina in primis, per non parlare delle nubi che continuano a persistere sul mercato russo. Ciò comporta un perdurare delle incertezze che hanno caratterizzato questi ultimi frangenti. Fermo resta che il business dell’uomo rappresenta, per molti versi, un’isola felice, che anche nel 2016 dovrebbe crescere al ritmo di un ulteriore 5%. Ciò nonostante, e a maggior ragione, le sfide da affrontare sono le medesime del settore nel suo insieme e sono riassumibili nei grandi temi della digitalizzazione, della verticalizzazione e dell’autenticità. Solo chi saprà mettere a fuoco il proprio modello di business in modo inequivocabile, moltiplicando le opportunità di visibilità e di distribuzione secondo tutti i più moderni canoni, potrà domani annoverarsi tra i vincitori della grande onda di cambiamento in atto. La parola d’ordine dunque è: ora che mezzi e strumenti ci sono, attrezziamoci. Senza remore e miopi ritrosie.

L’EDITORIALE

È tempo di investimenti

Even in front of a backdrop of macroeconomic and geopolitical uncertainties, the business of menswear continues to remain buoyant. Economists predict a global growth rate of 5% for the sector. The best opportunities will arise in the maturer markets around the globe.

Marc Sondermann

Direttore/Editor-in-Chief

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PROTAGONISTi

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patrik nilsson di GANT

«L’accelerazione viene dal teamwork» Dopo aver preso in mano Gant nel 2014, il ceo Patrik Nilsson è riuscito a rivitalizzare il brand di sportswear da un miliardo di euro, generando nell’anno appena concluso una crescita del 5%. Gli ingredienti della sua ricetta di successo sono un rinnovato focus sulla camiceria e una meticolosa attenzione alle esigenze del consumatore di MARC SONDERMANN

Nobody is perfect, but a team can be - this is the rationale behind the management shift enacted by Gant CEO Patrik Nilsson, who after 23 years with Adidas switched to the helm of the American sportswear brand in 2014. A renewed emphasis on shirts and a strong focus on the consumer are the cornerstones of his strategy.

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Come si declina l’identità di Gant? Si tratta di un brand straordinario, nato negli Stati Uniti ma cresciuto in Europa, che è riuscito a diventare, a un certo punto della sua storia, con il button-down, un assoluto leader mondiale nel campo della camiceria di qualità. Ora stiamo plasmando la terza fase della sua vita, in cui ci siamo prefissati di ricollegare l’heritage estetico del marchio con una visione il più possibile accurata di ciò che sta accadendo realmente sul mercato. Questo che cosa significa a livello merceologico? In primo luogo ci orientiamo alla tradizione del brand, tornando ad accentuare la camicia come nostro assoluto punto di forza. Questo non comporta un abbandono della nostra filosofia di lifestyle, che anzi desideriamo mettere ancora più precisamente a fuoco all’interno delle tre linee Originals, Rugger e Diamond G. Ci vediamo però in sintonia con forti giganti mondiali, quali la Nike con la scarpa da basket o la stessa Adidas con la scarpa da calcio, che generano gran parte del proprio fatturato con una singola categoria merceologica.


1. Patrik Nilsson, ceo di Gant 2. Il lifestyle al maschile e al femminile della nuova collezione Gant Diamond G, presente a Pitti Uomo 3. Il flagship milanese di via Manzoni 4. George Weiner, fondatore dell’agenzia digitale Whole Whale, che ha rivoluzionato il settore non-profit in America, è protagonista dell’advertising Gant 5. Alcune camicie Gant Diamond G: il nome della linea rimanda al motivo del diamante che contraddistingueva le shirt di Gant, prodotte negli stabilimenti di New Haven negli anni Cinquanta

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Come si differenziano le vostre camicie da quelle degli altri brand presenti sul mercato? Puntiamo su prodotti riconoscibili, quali le storiche button-down o le madras, prodotte secondo rigorosi standard di ecosostenibilità. Andiamo ad esempio molto fieri della nostra capacità di abbattere il consumo d’acqua quando effettuiamo i lavaggi che denotano il colore di molti dei nostri prodotti. A questa caratteristica, molto in sintonia con la moderna sensibilità del consumatore, ci piace associare funzionalità dovute a soluzioni tecnologiche innovative. A seconda della linea di prodotto, per i capi si tratta ad esempio di essere idrorepellenti, traspiranti o non stropicciati. A livello di pricing come vi posizionate? Abbiamo messo in atto una giudiziosa politica di trading up. Mentre alcuni prodotti arrivano a costare anche fino al 50% in più rispetto al nostro posizionamento precedente, con le camicie in genere ci muoviamo tra i 79 e i 200 euro. Prima verso l’alto non si superavano i 149 euro. Grazie a un alto tasso di innovazione nei tessuti, puntiamo anche su un target di businesspeople e di

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più negozi propri e intensificheremo tutte le attività legate all’e-commerce. A inizio settembre abbiamo per esempio rilanciato il sito a livello globale, il che si è riflettuto in un aumento del 44% delle visite. A parità di conversion rate, questo ha significato un incremento del fatturato online del 45%.

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professionisti affermati, ma senza raggiungere i price point di Brioni o di Prada, per intenderci. Quali sono i vostri driver di crescita? Attualmente il nostro giro d’affari è ripartito abbastanza equamente tra il wholesale e il retail, ma accelereremo soprattutto su quest’ultimo versante. A parte mercati particolari come l’Italia, in cui i multibrand ricoprono un’importanza tutto sommato ancora predominante, il business wholesale è destinato a ridimensionarsi. Apriremo

Da quali mercati vi aspettate le maggiori soddisfazioni? Ad oggi il nostro mercato più forte è la Svezia, in cui continuiamo a crescere a doppia cifra. Seguono la Germania e il Regno Unito, insieme all’Italia, che rientra a sua volta nella top ten dei Paesi per noi più importanti. Gli Stati Uniti incidono invece ancora poco, per circa il 5% del nostro giro d’affari. Qui dovremmo avere una dimensione di dieci volte più grande, ci muoviamo con un misto di decisione e cautela, per avvicinarci gradualmente a questo obiettivo. I mercati emergenti nel loro insieme li vediamo invece, nonostante il momento transitorio, come un veicolo di crescita imponente, da intercettare assolutamente. Qui riteniamo ci darà una grande mano la nostra campagna di comunicazione, molto consistente a livel■ lo globale. 11_01_2016

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NEWS IN PRIMO PIANO

Una cinquantina di brand per le sfilate uomo a Parigi Nearly 50 brands on schedule at Paris men’s fashion week. New entries: the japanese brands White Mountaineering and Christian Dada. La moda maschile sfila a Parigi dal 20 al 24 gennaio con una cinquantina di marchi. Tra le new entry figurano due brand giapponesi: White Mountaineering (il 23) e Christian Dada (il 22). L’apertura è riservata a nomi come Valentino, Haider Ackermann e Raf Simons, fresco di divorzio da Dior. Il secondo giorno sarà la volta di di brand come Rick Owens, Louis Vuitton, Yohji Yamamoto e Dries Van Noten. Al centro della fashion week, in pedana Maison Margiela, Givenchy e Berluti, mentre sabato 23 è la volta di griffe come Kenzo, Sacai, Dior Homme (disegnato dallo stilista belga Kris Van Assche), Balmain ed Hermès. Domenica sarà la volta di Lanvin, alla prima prova senza Alber Elbaz, saguito da Paul Smith, Thom Browne e, in ultimo, Saint Laurent.

L’uomo a New York dall’1 al 4 febbraio Prada

in borsa

Meno 26% gli utili. Al via la riorganizzazione

Si torna a parlare di Ipo della moda

Prada reported net income fell (-26%) in the three months through October and announced a review of the organization.

Valentino (in 2016) and Harmont & Blain (in 2019) should be next fashion Ipo, after 2015 listing of retailer Ovs and trouser manufacturer Cover 50.

Il bilancio a nove mesi (febbraio-ottobre 2015) del Gruppo Prada mostra un aumento dell’1% dei ricavi, a 2,582 miliardi (-7% a cambi costanti) e utili a 235 milioni (-26,4%). Le vendite incassano il -4,9% di Asia e Pacifico e il - 9% della Grande Cina, compensati però dal buon andamento di Europa (+8,6%), Usa (+8,5%) e Giappone (+10,4%). La posizione finanziaria netta della società risulta negativa per 198 milioni di euro, rispetto all’ammontare positivo per 189 milioni di inizio anno. Nel periodo Prada ha siglato linee di credito a medio-lungo termine per un ammontare di circa 190 milioni di euro. A breve distanza dalla pubblicazione dei risultati, il presidente Carlo Mazzi ha reso noto che l’obiettivo del 2016 è quello di una forte revisione dell’organizzazione: «C’è una presa di coscienza della necessità di strutturare l’azienda con una configurazione diversa da quella famigliare», ha detto a CorrierEconomia. Non è esclusa la creazione della figura del direttore generale, mai esistita all’interno del gruppo. Altro impegno di Prada preso sul finire dell’anno è quello della responsabilità sociale d’impresa, formalizzato con il lancio del portale csr.pradagroup.com, che si pone come cassa di risonanza per la diffusione delle pratiche e dei valori lungo la filiera che ruota intorno ai marchi del gruppo e tra gli stakeholder, «nonché un impegno nei loro confronti a compiere un nuovo percorso».

Il 2016 comincia con l’ipotesi di nuovi collocamenti di società della moda in Borsa, dopo che nel 2015 sonno arrivati a piazza Affari il retailer Ovs e Cover 50, produttore dei pantaloni PT01 (sull’AIM Italia, il listino dedicato alle Pmi). Valentino in primis, che potrebbe risbarcare (si era già quotato nel 2005) nel giugno 2016, se sui mercati spirerà il vento a favore. Il listing, stando ai rumors, potrebbe riguardare il 50% del capitale del gruppo guidato da Stefano Sassi e di proprietà dei reali del Qatar. Dal lusso al casualwear: Harmont & Blaine potrebbe essere pronto per la quotazione nel 2019, una volta raggiunti i 200 milioni di ricavi, come dichiarato dal presidente Domenico Menniti. Entro il 2018 sarà terminata la prima fase di riorganizzazione e crescita del brand del Bassotto, che dovrebbe portare a 90 milioni di euro di ricavi (dai 79 previsti per il bilancio 2015). L’eventuale Ipo potrebbe essere la via d’uscita del fondo Clessidra, che dal 2014 ha in mano il 40% del capitale. Harmont & Blaine occupa il 43° posto nella classifica delle aziende della moda potenzialmente quotabili, elaborata ogni anno da Pambianco Strategie d’Impresa. Quella del 2015, presentata in dicembre, vede riconfermati sul 1° e 2° gradino del podio Giorgio Armani ed Ermenegildo Zegna. Stefano Ricci è 3°, al posto di Dolce & Gabbana (sceso al 4°). Valentino è 7° (da 17°).

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NY Fashion Week: Men’s is set for February 1st-4th. 28 designers will be showing at Skylight Clarkson North. Il Cfda che deciso che, dopo il debutto di luglio, le sfilate maschili per l’autunno-inverno 2016/2017 si terranno dall’1 al 4 febbraio (non più dal 28 al 31 gennaio, come inizialmente previsto). Al momento si sa che sono in programma 60 appuntamenti tra fashion show e presentazioni. 28 brand sfileranno negli spazi di Skylight Clarkson North, sede ufficiale della rassegna. Questa stagione entrano griffe come Joseph Abboud, Simon Miller, Pyer Moss e Palmiers du Mal, ma anche stilisti emergenti come Stampd, Second/Layer, Devon Halfnight LeFlufy, Kenneth Ning, Ryan Knew e Brett Johnson. La fashion week al femminile è in programma poco dopo, dall’11 al 18 febbraio: nel calendario sono presenti 131 marchi.

Alta Roma sceglie l’ex Dogana Fashion shows in Rome change location: from the Museo delle Esposizioni to the the spaces of the ex Dogana, in San Lorenzo. Da gennaio le sfilate di AltaRoma si trasferiranno all’ex Dogana ferroviaria di San Lorenzo. Si tratta del primo segnale di cambiamento, dal rinnovo del cda della società che organizza le sfilate nella capitale, che ha visto l’ingresso dell’a.d. di Pitti Immagine, Raffaello Napoleone, e ha confermato alla presidenza Silvia Venturini Fendi. Dopo l’Auditorium Parco della Musica, il Complesso di Santo Spirito in Sassia e la parentesi dell’estate scorsa del Museo delle Esposizioni di via Nazionale, questa nuova location dovrebbe durare per alcune stagioni.


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www.artioli.com


mEnswear A firenze

pitti uomo 89

Non è solo questione di Generation(s) Cresce il parterre di marchi presenti alla rassegna fiorentina: 1.205 le collezioni sotto i riflettori, espressione di una molteplicità di stili che prescinde dal concetto di età, optando per quello di simultaneità. Fra gli special guest il coreano Juun.J per il menswear e l’italiano Marco De Vincenzo per il womenswear di Carla Mercurio

The brands at Pitti Uomo are growing: there are 1,205 collections in the spotlight at the fair, a number that is the expression of a variety of styles that ignores the concept of age, opting for one of simultaneity. Among the special guests, the Korean Juun.J designer for menswear and the Italian designer Marco De Vincenzo for womenswear. 1

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al 12 al 15 gennaio Pitti Uomo porta alla ribalta il frutto di mesi di ricerca nell’universo dei marchi di moda e degli stili di vita. Un mondo vastissimo al quale, come d’abitudine, dà un senso e una coerenza inquadrandolo nella macro tendenza del momento. Questa volta gli scouter del salone hanno scelto il concetto di Generation(s), che rimanda alla simultaneità di tante generazioni diverse nel modo di vestirsi e nel lifestyle. «Viviamo in un mondo dove l’età è sempre più uno stato mentale che anagrafico, con uomini maturi in jeans e T-shirt e giovani dalle barbe vittoriane appassionati di vintage», chiarisce Raffaello Napoleone, ceo di Pitti Immagine. Un tema raccontato attraverso gli allestimenti dislocati nel vasto arcipelago della manifestazione, ma anche con un video e una special collection di oggetti iconici, realizzati dal brand italiano Seletti in collaborazione con Toiletpaper, in vendita in uno spazio alla Sala della Ronda. «Per la prima volta superiamo i 1.200 marchi (per l’esattezza 1.205, di cui 226 nomi nuovi, ndr), di cui il 44% provenienti da fuori Italia - tiene a evidenziare Napoleone -. Un numero che ci ha spinti a recuperare nuovi spazi all’interno della Fortezza». All’ampliamento della superficie espositiva si accompagna anche una ridefinizione strategica delle sezioni. Prima fra tutte Make, oggetto di un “remake” che mette in evidenza l’importanza dei giovani artigiani che vivono e lavorano in tutto il mondo. Un’area che dalla Sala Alfa si estende a una parte del Piano

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Inferiore del Padiglione centrale, caratterizzato da un nuovo layout scenografico e tecnologico. Inedito punto di vista anche per I Play, nato per esprimere l’evoluzione del concetto di sportswear, sintesi di urbanwear e abbigliamento tecnico, che si amplia con un padiglione di oltre 600 metri quadri e per L’Altro Uomo, che cambia layout con un allestimento studiato per enfatizzare le collezioni. Special guest: la grande scommessa sono gli italiani Il parterre di special guest dell’edizione numero 89 di Pitti Uomo si caratterizza per un duplice approccio: da un lato sempre più internazionale, dall’altro attento alla promozione dei talenti italiani. L’Italia dà il suo

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Special project al salone

Non mancate quello stand Pitti Uomo confirms its role of a platform for the launch of new projects: special collections, capsules, co-brandings and so on.

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1. Un rendering dedicato al tema dell’edizione numero 89 di Pitti Uomo, incentrato sul concetto di Generation(s) 2./3. Operatori e influencer presenti alle scorse edizioni della manifestazione 4.Un teaser dello short movie “The Good Italian”, che Caruso presenta in anteprima mondiale al salone

contributo con un tris di designer nostrani: Marco De Vincenzo, a cui è stato assegnato il ruolo di womenswear guest designer, Vittorio Branchizio e Federico Curradi in veste di Pitti Italics, il programma attraverso il quale la Fondazione Pitti Discovery promuove e supporta le nuove generazioni di fashion designer che progettano e producono in Italia. «Bisogna essere patriottici, vedere, conoscere, sostenere e alla fine parlare e commentare», così Lapo Cianchi, direttore comunicazione & eventi di Pitti Immagine, spiega questa scelta. Portabandiera dei progetti oltrefrontiera sono il designer coreano Juun.J, con la sua collezione maschile in 3D e il designer project, che vede protagonista il sodalizio adidas Originals by White Mountaineering. Nuovamente sotto i riflettori è l’Africa, con il progetto Generation Africa, frutto della collaborazione con Itc Ethical Fashion Initiative: in pista quattro talenti affermati, provenienti da diverse aree del Continente, ma già pronti per il mercato internazionale. Confermato anche l’appuntamento con gli statunitensi di Born in the Usa, collaborazione di Pitti Immagine con i saloni statunitensi Liberty Fairs, che vede in pista una selezione di marchi nati e prodotti negli Stati Uniti. Allure internazionale infine per la tappa conclusiva dell’International Woolmark Prize dedicato al menswear, in programma per la prima volta a Firenze, che vede in lizza sei finalisti in arrivo da ■ ogni parte del mondo.

La kermesse ribadisce il ruolo di piattaforma per il lancio di progetti inediti: special collection, capsule, cobranding danno il senso di come l’universo della moda sia un organismo in perenne evoluzione. Herno presenta una capsule collection insieme a Pierre-Louis Mascia, Piquadro fa la rentrée con la sua collezione di accessori high-tech, Roy Roger’s è in pista con due capsule, in partnership con il fotografo di streetstyle, Scott Schuman, e con Moto Guzzi. Ancora dall’Italia, Caruso presenta l’anteprima mondiale del secondo episodio dello short movie “The Good Italian”, interpretato da Giancarlo Giannini mentre Colmar Originals festeggia con un evento all’Opera di Firenze il lancio di una capsule collection realizzata in collaborazione con Christian Pellizzari e Comeforbreakfast. La carrellata “tricolore” vede in pole position inoltre Patrizia Pepe, che sceglie la Fortezza da Basso come piattaforma per presentare il piano di sviluppo della sua linea maschile, PT05 Pantaloni Torino con l’inedito progetto denim e Il Bisonte, al via con il new deal. Dal Canada arrivano Canada Goose, che espone in uno spazio indipendente nel Piazzale delle Ghiaia, e Nobis, che lancia la sua 10th Anniversary Collection con un evento alla Limonaia di Villa Vittoria. Dagli States si segnala la capsule Champion By Beams, nata dalla collaborazione del brand con il fashion store giapponese. Dal Regno Unito, un tris di spunti: lo stand di 600 metri quadri di Superdry agli Archivi 3, il lancio di Myswear, progetto di customizzazione delle calzature firmato dal marchio londinese Swear, e l’appuntamento con Matchless London, storico marchio britannico di motociclette, abbigliamento e accessori, che lancia in anteprima la collezione autunno-inverno 2016 e la capsule Star Wars. E infine tanti rientri, fra cui Franklin&Marshall, Aquascutum, Strellson e Black Mountain Clothing Company, con il suo menswear dalle radici outdoor.

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special project a Pitti uomo

juun.j menswear guest designer

«A Firenze porto un’estetica completamente nuova» Una collezione che parte dal classico e dalla “bellezza esistente”, rompendo gli schemi dell’estetica e riscrivendone le regole: questo promette Juun.J a proposito dello show alla Leopolda che lo incorona Menswear Guest Designer di Pitti Uomo. Ma è solo l’inizio di una nuova fase. Il suo obiettivo è costruire un vero global designer brand, dalle molte sfaccettature DI ALESSANDRA BIGOTTA

Korean by birth, Juun.J thinks international. As Menswear Guest Designer at Pitti Uomo, he will show «my most dramatic collection by far». And announces: «In my future there might be also womenswear, living and lifestyle items. My goal is to become a real global designer brand».

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a moda maschile di Juun J. è unica nel suo genere: nei suoi capi confluiscono il dna coreano ma anche la curiosità verso il mondo, un’alchimia particolare tra classico e “street tailoring”, l’abilità a giocare di costruzioni e decostruzioni, l’attenzione per l’arte e il cinema. Menswear Guest Designer a Pitti Uomo, lo stilista spiega che il 13 gennaio andranno in scena alla Leopolda «the most Juun.J-like pieces». E anticipa: «Quello che voglio è costruire intorno al mio core business un marchio globale di più ampio respiro». Attualmente le sue collezioni, nell’orbita del gruppo coreano Samsung C&T, sono distribuite in una trentina di Paesi, per un totale di 100 top boutique, più due monomarca presso Galleria e Lotte a Seoul e l’e-commerce attraverso i portali SSense e Yoox The Corner. Lei è protagonista il 13 gennaio a Firenze: cosa vedremo alla Leopolda? Porterò in scena la collezione più spettacolare che abbia mai disegnato. Lavorerò intorno a modelli classici, filtrandoli attraverso la mia interpretazione, in modo da dare vita a un’estetica completamente nuova, basandomi sulla “bellezza esistente” e creando forti contrasti.

Quali le sue fonti di ispirazione? Come interpreta i concetti di stile ed eleganza al maschile? La vera eleganza è per me un’attitudine classica e artistica, ma alla luce dell’avanguardia: per esempio, una camicia che riprende gli stilemi classici, ma con una silhouette “alla Juun.J”. Per dirla con un’espressione inglese, mi rifaccio a una “diversion of classic”. E mi guardo parecchio attorno: tante idee mi vengono semplicemente osservando la gente che incontro per strada.

Sopra, Juun.J. A sinistra, un modello della sua collezione

Quanto di italiano c’è nelle sue creazioni? Utilizzo molti materiali made in Italy, soprattutto i tessuti in lana e la pelle. L’Italia è il posto in cui sono nati numerosi artisti globali, uno dei luoghi centrali dell’Europa, dove la moda fa parte della vita. Porto il massimo rispetto ai marchi e agli artigiani del vostro Paese. In particolare, mi piacerebbe incontrare quelli che si occupano di pelle, tra le mie materie preferite. Sarebbe incredibile per me apprendere i segreti del loro lavoro. Come vede il suo futuro? Il mio obiettivo è far diventare Juun.J un global designer brand di successo e dare vita a una “cultura” esclusivamente mia. Un domani, oltre all’uomo, potrebbero esserci il womenswear, il lifestyle e il living, in nome appunto ■ di una “fashionable culture” che si trasforma in stile. 11_01_2016

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special project a Pitti Uomo

MARCO DE VINCENZO

«in Un teatro per sorprendere ancora tutti»

Federico Curradi

Una collezione donna che ha conquistato stampa, buyer e persino Lvmh, la collaborazione con Fendi, nuovi progetti tra cui gli accessori e, forse, il menswear. Ora Marco De Vincenzo è a Firenze, non con la solita sfilata «che a volte diventa routine», ma con una performance artistica nel ritrovato Teatro Niccolini

«Questa volta infrango le regole»

di ALEssaNDRA BIGOTTA

di Andrea Bigozzi

Womenswear Guest Designer of Pitti, Marco De Vincenzo is under the spotlight at the newly reopened Teatro Niccolini in Florence and plans new projects: an accessory line with his name, also treasuring his experience at Fendi, and maybe in the future the debut in menswear.

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iciliano d’origine (è nato a Messina nel 1978) e romano d’adozione, Marco De Vincenzo è il Womenswear Guest Designer di Pitti Uomo. Il suo è un percorso tutto in ascesa: un diploma in Moda e Costume all’Istituto Europeo di Design, l’ingresso giovanissimo nell’ufficio stile di Fendi, dove da 12 anni è l’inseparabile assistente di Silvia Venturini Fendi per la linea accessori, il debutto sette anni fa a Parigi con la sua linea di abbigliamento. Il 2009 per lui è un anno chiave: oltre al battesimo sulle passerelle francesi, de Vincenzo festeggia la vittoria al concorso Who Is On Next? ed entra nel calendario di Milano Moda Donna. La sua moda inconfondibile convince non solo giornalisti e buyer, ma anche un colosso come Lvmh, che nel 2014 diventa socio di minoranza del suo marchio. Nello stesso anno, Wwd lo inserisce fra i “Ten of Tomorrow”. Ora una nuova gratificazione, la presenza a Firenze il 14 gennaio, con un’installazione artistica all’interno del Teatro Niccolini, che riapre i battenti dopo 20 anni di inattività. «Un’occasione importante - commenta - per la quale utilizzerò una piattaforma alternativa alla sfilata tradizionale, che può diventare quasi una forma di routine. Volevo qualcosa di diverso e particolare: per me sorprendere è fondamentale». Lo fa anche con la sua moda, «dedicata a una donna che ama collezionare pezzi speciali, ma che non è stressata dal concetto di tendenza». Da Fendi, dice, «ho imparato tutto quello che so sul settore: è stato una grande palestra e ancora oggi lo considero un’incredibile fonte di esperienza». A quando gli accessori a suo

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nome? «Posso dire che avranno uno sviluppo a breve. Da questo punto di vista, aspettatevi a febbraio un esordio importante». Il menswear è un progetto a cui sta iniziando a pensare, in un’ottica di crescita «sana, senza snaturare la mia visione», di cui il successo della linea donna è la base: prodotta in Italia, si articola in 250 capi nella main collection e 150 nella pre, con una distribuzione in un’ottantina di punti vendita tra Italia ed estero. Ma a De Vincenzo, più che di numeri, piace parlare di ispirazioni: «I tessuti sono il motore di tutto - afferma ma è l’istinto a guidarmi. Devo emozionarmi, esplorare nuovi argomenti». «Da sempre conclude - cerco di lasciare al mio lavoro un ampio margine di libertà creativa. Ovviamente però il mercato lancia segnali che vanno ascoltati. Perché i vestiti sono oggetti reali e ■ devono vivere nel mondo reale».

Lo stile di Marco De Vincenzo: «Per una donna che ama i pezzi speciali, ma non è stressata dal concetto di tendenza»

Federico Curradi, former menswear creative director of Iceberg, launches at Pitti his own line, focused on a concept of timeless quality.

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uando si è trattato di partire con questo nuovo progetto ci siamo dati delle regole opposte a quelle seguite dal mercato: produzione a chilometro zero, privilegiare materiali ecosostenibili e zero pellicce. Con questi codici abbiamo costruito una collezione di un lusso nuovo e senza tempo. Con in più un prezzo etico, che rispetti il valore reale dei capi». Alla vigilia del debutto con il suo marchio omonimo, Federico Curradi - che in passato ha lavorato per importanti aziende italiane come Ermanno Scervino e Iceberg e che i rumors vogliono in procinto di guidare lo stile di Peuterey - è certo che bastino poche regole, ma ragionate, per fare la differenza. Proverà a dimostrarlo il 12 gennaio a Firenze, quando trasformerà la Dogana in uno spazio “green”, dove i modelli indosseranno i suoi 20 outfit, respirando da bombole di ossigeno pieni di fiori (nella foto, un bozzetto). Curradi, classe 1975, è infatti uno dei Pitti Italics, il programma lanciato da Pitti Immagine per supportare le nuove generazioni di designer italiani con un profilo internazionale. Chissà che emozione per un toscano debuttare a Firenze con il proprio brand.... Prendere parte a un evento come Pitti per me è una grande occasione. Gli organizzatori sono stati coraggiosi


VITTORIO BRANCHIZIO

Curioso e creativo: questione di radici Vittorio Branchizio is the winner of the 2015 edition of Who Is On Next? Menswear. He was born in Brescia in 1984, absorbing Javanese influences from his mother and Greek-Italian from his father. He is under the spotlight on 13 January at the Dogana.

N a scegliere il mio progetto. Quando l’ho presentato non c’era uno storico, un’immagine esattamente definita, ma una percezione: l’espressione lusso sofisticato non convinceva più, c’era voglia di capi durevoli nel tempo e con un valore intrinseco. Oggi si è più attenti a ciò di cui si ha davvero bisogno. A poco a poco la collezione ha preso forma, con tanti capi di maglieria, dai cappotti ai giubbotti. Il fatto poi di aver utilizzato aziende artigiane vicine a dove vivo e che non mi sia mai preoccupato di aspetti come il profitto e la vendibilità ha reso più chiara quella che doveva essere l’attitudine della linea. Come si svilupperà il progetto dopo la presentazione di gennaio? Abbiamo appena firmato un contratto di distribuzione commerciale con una showroom di Parigi. Ho scelto di andare in Francia, perché quando si è trattato di proporre la collezione alle showroom di Milano ho avvertito un’aria un po’ mass market e poca voglia di sperimentare con progetti come questo. Dobbiamo aspettarci presto anche una collezione donna? Credo proprio di sì, anche se non posso dire a partire da quando. In realtà, seguendo la filosofia del progetto, l’idea è quella di creare una serie di capi senza tempo e anche senza genere, che possano essere indossati con nonchalance sia da ■ uomini che da donne.

el 2015 ha vinto Who Is On Next? Uomo e ora è tra gli special guest di Pitti: quali sono le sue sensazioni alla vigilia del salone? Direi di gioia immensa: mi sono sentito lusingato a essere scelto da una giuria di professionisti come quella di Who Is On Next? Uomo. È una ricompensa per gli sforzi fatti finora, un vero aiuto a emergere. Il 13 gennaio è il suo giorno: cosa ci può anticipare? A Pitti presento la nuova collezione invernale con un evento-sfilata, un progetto speciale. Racconto la mia collaborazione con altri ambiti creativi e la ricerca di una sinergia tra fonti diverse. Quanto è stato importante per lei provenire da una famiglia multiculturale e multietnica? Avere radici miste rende forse più inclini a lasciarsi influenzare, alla sperimentazione, e questo è molto utile se sei un creativo. Ho un’insaziabile curiosità, cerco sempre influenze e ispirazioni: da artisti, immagini, esperienze, tutto. Da dove è scaturita l’“attrazione fatale” per la maglieria? È una passione nata strada facendo. Dopo gli studi, 10 anni fa sono entrato in D.Exterior, un marchio di knitwear femminile per cui lavoro tuttora. Qui si è sviluppato il mio knowhow tecnico ed è maturato il mio amore per la maglieria. Utilizzo filati di prima qualità: lane pregiate, seta e cachemire, seta e cotone, in finezze molto sottili o combinate. Il mio studio comincia a monte: in alcuni casi lavoro fianco a fianco con chi produce le materie prime, per ottenere particolari risultati in fase di colorazione o lavorazione. Questo perché, operando sul capo finito, è importante capire

Vittorio Branchizio e, sotto, una sua creazione. Oltre allo stile, è molto attento all’iter tecnico che porta a una collezione

come reagiscono determinati filati alle decolorazioni o alla stampa. Anche utilizzando le macchine la ricerca è approfondita, per sfruttare al meglio le potenzialità tecniche e ottenere risultati innovativi. Il tutto mantenendo la qualità artigianale. Lei firma una collezione solo uomo: a quando la donna? Per adesso mi concentro sul menswear. Sono convinto che ci sia richiesta di una maglieria da uomo d’avanguardia e di qualità e credo che il mio design soddisfi questa ricerca. Però lascio tutte le porte aperte... Quali sono le sue fonti di ispirazione? Tra gli stilisti, chi la convince di più? Mi ispiro alle arti visive, ma anche alle esperienze personali. E cerco sempre la collaborazione di artisti e creativi, per trovare nuove espressioni. Tra i miei designer preferiti ci sono Damir Doma, Carol Christian Poell, Iris Van Herpen. Qualche dato tecnico sulla sua collezione... Sono indicativamente 60 pezzi, tutti autoprodotti in Italia. Per ora i clienti sono a Hong Kong, in Italia, Germania e Austria e ci rappresenta la showroom Spazio38. I prezzi sell-in si aggirano tra gli 70 euro per le maglie base e i 300 euro per i capispalla. Cosa sta preparando per il futuro? Voglio proseguire sulla strada che sto percorrend, crescere in termini creativi e personali. Far maturare il brand, con i passi giusti al momento giusto. (a.b.)

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PROTAGONISTI A PITTI UOMO

Un’immagine di Sastreria 91, brand spagnolo presente nell’area Make

Nell’area Make

«GLI ARTIGIANI DEL FUTURO siamo noi» In tutto sono 45 e hanno due cose in comune: il mestiere e l’anagrafe. A Pitti Uomo arriva la nuova generazione di maker: giovani di età, giovani nello stile. Esponenti della frangia più innovativa dell’artigianato contemporaneo di Angela Tovazzi

At Pitti Immagine Uomo, the Make section grows up and becomes a home for the new generation of artisans, from around the world: 45 players with exclusive and handmade collections

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li organizzatori di Pitti li chiamano «the new makers». L’identikit lo fa Agostino Poletto, vicedirettore generale del salone fiorentino: «Sono 45 brand provenienti da tutto il mondo, frutto di uno scouting accuratissimo. In comune hanno prodotti speciali e super raffinati, spesso a tiratura limitata, con il valore aggiunto di una produzione locale. Vantano grande savoir faire, ma all’anagrafe sono giovani». Soprattutto, portano collezioni dall’esprit contemporaneo, capaci di rileggere la tradizione proiettandosi nel futuro, in sincrono con la velocità delle nuove generazioni di consumatori. «Proprio quello che cercano i buyer internazionali - sottolinea Poletto - che vengono a Firenze per trovare pezzi esclusivi, fatti a mano, con una storia alle spalle da raccontare». Ecco il motivo del “remake” dell’area Make, con uno spazio che, a partire da questa edizio-

ne, dalla Sala Alfa si estende anche a una parte del Piano Inferiore del Padiglione Centrale della Fortezza da Basso. Nuovo anche il layout, a cura dello studio design Monadi, dove un’ambientazione «rough» racconta con contenuti video il saper fare e la moderna manualità dei new maker. Ma chi sono, da dove vengono, cosa fanno questi artigiani del futuro? Tutti hanno un concept di alta artigianalità e un’idea innovativa, che spesso prende il “la” da una storia lontana. Come nel caso di Maison F Paris, collezione di cravatte e papillon, nata nel 2011 su iniziativa di FrançoisRégis Laporte. «È il primo e unico marchio ispirato al trend lanciato da Luigi XIV nel 17esimo secolo» spiega il fondatore, che dopo aver conquistato celebrity come Will Smith e Pharrell Williams, è stato soprannominato dalla stampa francese «il nuovo Christophe Charvet» (il primo 11_01_2016

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PROTAGONISTI A PITTI UOMO

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1. Le camicie Neapolitain style di Kahj, cucite a mano in un laboratorio in India 2. Lo stile Norvwegian Rain, un outwear realizzato con tecno-tessuti, dove l’heritage sartoriale incontra la sensibilità giapponese 3. Un ensemble Mark/Giusti 4. Una fase di lavorazione delle borse Stefanomano 5. FrançoisRégis Laporte, fondatore del brand di cravatte e papillon Maison F Paris

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al mondo ad aprire, nel 1838, un negozio per camicie e cravatte su misura). Merito di modelli customizzabili, realizzati in un atelier parigino con 350 tipi di tessuti, dalla seta twill al jacquard lionese, dal cotone al cashmere, che sintetizzano l’antica tradizione della sartoria francese con un gusto avanguardista e fantasie ardite. Dopo otto collezioni, il brand è entrato in più di 140 retailer internazionali, tra cui L’Eclaireur, Isetan, Baycrews e Saks Fifth Avenue Dubai, fino a inaugurare (nell’ottobre 2014) la sua prima boutique parigina al 42 di Carré Rive Gauche. TRADIZIONE ARTIGIANALE E VISIONE AVANT-GARDE Sempre dalla Francia arriva Mr. G Paris, che utilizza un materiale prezioso e inusuale come la porcellana di Limoges per i gemelli maschili, mentre da Madrid fa tappa a Make Sastreria 91, una collezione di giacche, abiti, pantaloni, cappe e accessori dall’heritage sartoriale e dal twist eccentrico, che culminano in una proposta di papillon con piume applicate. From London, ma con una produzione 100% made in Italy, è invece il brand di borse e accessori Mark/Giusti, minimali e dall’impronta business all’esterno, tutti da scoprire all’interno, dove affiora la passione per le geometrie ispirate ai mosaici bizantini, in «un viaggio ideale - raccontano dall’a20

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zienda fondata da Mark Farhat - che parte da Costantinopoli, attraversa Venezia e arriva fino a Ravenna». Restiamo in Italia: in rappresentanza del capoluogo veneto a Firenze c’è 5FingersVenezia, sinonimo di guanti la cui realizzazione «vede impegnati dieci artigiani esperti e comporta 28 fasi di lavorazione», e per Biella Cappellificio Biellese: coppole, bonnet e cap che raccontano una grande passione per le stoffe, con tweed acquistati in piccole fabbriche di Scozia e Irlanda, covert e tessuti cardati biellesi, mixati a worsted inglesi e shetland lavati. Altra “chicca” di Make è la collezione di ombrelli Maglia Francesco: una vera istituzione nel suo campo. 160 anni di storia, oggi guidata dalla

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quinta generazione, questa azienda con sede in via Ripamonti a Milano produce solo su ordinazione una scelta vastissima di modelli, con tessuti lavorati su telai per cravatteria. Must have, l’ombrello montato su bastone intero di legno naturale, come ciliegio, bamboo, ginestra e acero. Citiamo infine due debutti assoluti a Pitti, sempre made in Italy: Project TWLV, un progetto di due amici con alle spalle anni di esperienza nel settore e focalizzato interamente sullo stivale, e IMjiT35020 Manufactus, un brand di Due Carrare che presenta la sua “Gamma Punto Singolo”: capi prodotti, tagliati, confezionati e cuciti da un’unica maestranza e da un’unica ■ macchina. Il top dell’artigianalità.


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ADIDAS ORIGINALS BY WHITE MOUNTAINEERING

L’innovazione reinventa la funzionalità Innovation under the spotlight at the Leopolda Station, with the Designer Project of this edition of Pitti Uomo: adidas Originals by White Mountaineering. Quello del designer Yosuke Aizawa non è un esordio, ma un ritorno in Fortezza da Basso, dove era stato protagonista due anni fa in occasione del debutto europeo della linea di cui è direttore creativo, White Mountaineering. Ora lo stilista giapponese presenta insieme ad Adidas la nuova collezione adidas Originals by White Mountaineering, Designer Project di questa edizione di Pitti Uomo, con un evento in programma il 14 gennaio alla Leopolda: riflettori accesi su una collezione uomo all’insegna di design, originalità, funzionalità e armonia fra tradizione e materiali tecnici. Si rafforza, dunque, il legame tra il marchio di active sportswear e il fashion designer, appassionato di moda ma anche di vita all’aria aperta, in quanto snowboarder provetto e amante della montagna. «Il primo ‘tester’ dei capi dice - sono io». Alla Leopolda andrà in scena un’interpretazione creativa dei codici di adidas Originals, «un’opportunità di guardare adidas, un brand dalla storia incredibilmente ricca, con una prospettiva diversa e uno sguardo fresco» anticipa Nic Galway, vice president of global design del marchio. (a.b.)

Sopra, Nic Galway di adidas Originals e Yosuke Aizawa di White Mountaineering. A sinistra, un insieme adidas Originals by White Mountaineering per l’autunno-inverno 2016/2017

LUISAVIAROMA

COLMAR ORIGINALS

Tech dream a Firenze4Ever

La generazione futura va all’Opera

Just before the kickoff of Pitti Uomo, a new edition of Firenze4Ever took place: a media event and think tank organized by LuisaViaRoma.

“The future generation” is the event that will be organized on 12th January by Colmar Originals at the Opera theater in Florence, to celebrate a capsule collection created with Christian Pellizzari and Comeforbreakfast.

Ancora una volta la tre giorni Firenze4Ever, organizzata da LuisaViaRoma, ha aperto le danze della fashion week fiorentina. Dal 9 all’11 gennaio il concept store, pioniere dell’omnicanalità e artefice del sito luisaviaroma.com, ha mandato in scena questo media event che due volte l’anno riunisce la tribù dei “tech dreamer”: giornalisti, blogger, vlogger e instagrammer. Un think tank completato dagli “Style Lab”, durante i quali i fashion influencer hanno immortalato le collezioni primaveraestate 2016 di importanti marchi internazionali negli angoli noti e meno noti della città. (a.b.)

Ora più che mai, la moda vive di contaminazioni e veloci dell’inverno trasformazioni. Lo conferma l’evento in programma la sera 2016/2017 di Colmar Originals del 12 gennaio al Teatro dell’Opera di Firenze, che porta alla ribalta una capsule collection realizzata da Colmar Originals insieme a due marchi selezionati da Vogue Talents: Christian Pellizzari e Comeforbreakfast, che interpretano attraverso tre capi ciascuno il mood della linea di abbigliamento in capo alla Manifattura Mario Colombo & C.. Intitolata “The future generation”, la performance si riallaccia al mood dell’intera collezione autunnoinverno 2016/2017, presentata a Pitti Uomo presso la Sala della Volta dell’Area Monumentale: prendendo spunto dai “web warrior”, i giovani “samurai” protagonisti della rivoluzione digitale, i materiali danno il massimo in fatto di ricerca e abbinamenti inediti. Si va dalle pellicce eco in nuance dégradé abbinate alle reti in 3D, pensate specificamente per la donna, ai jersey accoppiati ai panni di lana, agli jacquard e ai leggeri nylon cangianti, fino alle nuove sweatshirt in un materiale trapuntato a ultrasuoni, con parti in felpa e logo tridimensionale. Tra le novità di stagione spiccano le giacche in tessuto completamente catarifrangente, mentre la funzionalità è garantita, per esempio, dai modelli con “cuscini” in piuma che si possono togliere o aggiungere, a seconda delle condizioni climatiche. (a.b.)

Un’anticipazione

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NEW ENtrY a PITTI uomo di ELISABETTA FABBRI ED ELENA AZZOLA

Anche le matricole lasciano il segno Come si vestono l’uomo sempre in azione o quello che ama stare in libertà? E il bad boy? In Fortezza le risposte, con i brand che presentano per la prima volta alla rassegna fiorentina e qualche rentrée. Dal total look alla maglia, dalle scarpe ai gioielli, fino alle cover per lo smartphone Brands that debut at Pitti Uomo respond to different consumer targets with products ranging from total look to knitwear, from shoes to jewelry, not excluded smartphone cases.

5Preview La storia del brand 5Preview inizia nel 2008 a Roma, dove il designer e illustratore svedese Emeli Mårtensson crea una minilinea di T-shirt. Distribuito in Italia da Baco Distribution, il brand di base a Stoccolma esordisce in Fortezza con una collezione «casual ma confident, street ma elegante», per un target trasversale.

Matchless London Il più antico marchio britannico di moto, abbigliamento e accessori, Matchless London, lancia la collezione autunno-inverno 2016/2017 e la capsule collection Star Wars presso le Grotte dell’Area Monumentale. Sotto i riflettori anche 25 moto storiche rare e la nuova Model X Reloaded.

Franklin&Marshall Franklin&Marshall torna a Pitti Uomo per raccontare il suo mondo fatto di libertà, passione per lo sport e qualità made in Italy. Anche per l’inverno prossimo il marchio attinge dal mondo delle università Usa, convinto che si possa essere innovativi senza dimenticare le origini. Anzi, esaltandole.

Strellson

Emanuele Bicocchi

Lo slogan con cui si presenta, «Urban fashion for men who are always on the move», è la sintesi perfetta del menswear Strellson. Il marchio fondato negli anni Ottanta dalla famiglia Holy (ex-proprietari di Hugo Boss), parte dell’Holy Fashion Group, vuole essere riconosciuto anche per la precisione e l’affidabilità, tipiche delle sue radici svizzere.

A Pitti Uomo il designer Emanuele Bicocchi gioca in casa. Nato a Firenze, classe 1983, a 18 anni inizia a collaborare per le collezioni di preziosi di grandi nomi della moda. A 23 dà vita alla sua linea che, per l’anima street-rock, piace a voci italiane di successo come Marracash e Francesco Renga.

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NEW ENtry a PITTI uomo

Fleurs de Bagne L’originale marchio di Aix en Provence, fondato nel 2011 da Mika Dumas, racconta delle storie, indagando nell’universo degli uomini duri, veraci, con frequentazioni della malavita o un torbido passato. Come si veste il bad boy Fleurs de Bagne? Vintage, militare, marinaro, con una netta predilezione per il denim. E per i tattoo.

Barbanera Il marchio Barbanera nasce nel 2011 dall’idea di due coppie di fratelli (Guardì e Pagliacci), con differenti background ma la stessa passione: quella per le scarpe fatte a mano. Un po’ dal sapore classico e un po’ dandy, sono l’espressione di una nuova cultura italiana dello stile old-fashioned. Comfort garantito grazie all’applicazione del metodo Goodyear.

Roxxlyn Le cover per l’iPhone più stilose? Le realizza la tedesca Roxxlyn, che ultimamente si sta facendo notare per le sue Mineral Case. Tutti pezzi unici, resistenti ma leggeri, speciali al tatto, perché sposano a vari tipi di minerali l’alluminio anodizzato. Interni in Alcantara.

Parafina DoppiaA Blazer destrutturato con revers stondati, peacot in panno di lana con bottoni di pelle intrecciata, tabarro: DoppiaA (che sta per Alain e Albert, i nomi dei due fondatori) ripropone i classici del formale e dell’informale con ironia ma anche rispetto della tradizione. Per tutta la famiglia, per tutte le età.

Arriva dalla Spagna l’eyewear Parafina. Di speciale ha che le montature sono in materiali naturali come il legno e il bamboo, a volte ibridati con il silicone. Anzi, un silicone “green”: ecologico, biodegradabile è ultra-leggero e resistente alle cadute.

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Due outfit di Ikiré Jones. tra i marchi sotto i riflettori all’interno di Generation Africa durante Pitti Immagine Uomo

IN FORTEZZA DA BASSO

Un viaggio dall’Africa al true American style Dall’Africa come guest nation, ai “proud handmaker” di Born in The Usa: le porte di Pitti Uomo sono più che mai aperte al mondo di Alessandra Bigotta

From Africa to the Usa, Pitti Immagine Uomo unveils unconventional brands, complementary and alternative to the big names and always synonimous of an unpredicted quality.

«P

er vocazione e per scelta, Pitti Uomo non è una manifestazione monotematica, monostile o monoprodotto»: alle parole di Agostino Poletto, vice-direttore generale di Pitti Immagine, si potrebbe aggiungere il plus di una “multiculturalità” dell’offerta, che sfocia anche in iniziative come Generation Africa e Born in the Usa. La prima porta alla ribalta, il 14 gennaio alla Dogana di via Valfonda, le collezioni maschili di AKJP, Ikiré Jones, Lukhanyo Mdingi x Nicholas Coutts e U.mi-1, grazie alla sinergia tra la Fondazione Pitti Discovery e ITC Ethical Fashion Initiative (vedi box). Quattro nomi al di fuori dei soliti circuiti della moda, partendo da AKJP, marchio sudafricano tra i più

seguiti della Mercedes-Benz Fashion Week di Cape Town, arrivato in finale a Who Is On Next? Dubai. Una bella soddisfazione per i due artefici del brand, Keith Hennings e Jody Paulsen. Dietro al brand Ikiré Jones ci sono invece Walé Oyéjidé, nato in Nigeria ma cresciuto in America, e Sam Hubler. «Questa è la nostra prima volta a Pitti - racconta a Fashion Walé Oyéjidé -. La collezione, i cui mercati principali sono Usa e Giappone, non è ancora presente nella Penisola, ma qualcosa di italiano c’è: produciamo parte degli accessori a Napoli, patria del “soft tailoring”, e faremo un servizio fotografico a Firenze, prendendo come modelli le persone del posto. Ci piacerebbe anche contribuire

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SIMONETTA GIANFELICI

«L’Africa lo insegna: l’incontro tra culture è ricchezza» Three questions to Simonetta Gianfelici: top model, actress and photographer, fashion consultant and talent scout, but also fashion design mentor of ITC Ethical Fashion Initiative. A project between ethics and fashion, founded and directed by Simone Cipriani.

AGLI ARCHIVI VA IN SCENA L’ORGOGLIO AMERICANO «Il nostro motto, a proposito di guest nation, è no alle partecipazioni-ghetto» sintetizza Agostino Poletto. Un discorso che vale anche per la terza edizione di Born in The Usa, progetto frutto della collaborazione con i saloni statunitensi Liberty Fairs, che porta alla ribalta all’Archivio oltre 20 nomi a stelle e strisce, strenui difensori di un dna “proudly American”. Si va dalle borse “made in Massachussetts” di Frank Clegg alle creazioni in pelle di Slightly Alabama, fatte a New York ma intrise dello spirito del profondo Sud degli States. Alla voce scarpe le proposte di Oak Street Bootmakers, “handcrafted in Chicago” da George Vlagos, si affiancano a quelle di Quoddy, il cui nome prende spunto dalle tribù dei Passamaquoddy. E ancora, tra gli altri, gli orologi d’immagine vintage di Shinola, il total look duro e puro di Filson, gli incroci stilistici tra East e West Coast di Krammer & Stoudt, lo sportswear evoluto di Perfecto by Schott e Schott NYC e i modelli per “adventure seeker” di Cockpit Usa, «che porta a Firenze una collezione - anticipa a Fashion Whitney Garlick - ispirata alle divise della decima Mountain Division dell’esercito Usa: un modo per rendere contemporaneo l’iconico design militare del no■ stro Paese». 30

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Il brand di pelletteria Frank Clegg è di scena all’Archivio della Fortezza da Basso nel contesto di Born in The Usa: il marchio è stato fondato nel 1970 in Massachusets

Come è nata la sua collaborazione con ITC Ethical Fashion Initiative? Da un viaggio in Kenya, nel 2008, con Simone Cipriani, alla scoperta dell’artigianato del luogo. Non potevo immaginare di trovarmi agli albori di quello che sarebbe diventato il programma più rivoluzionario, concreto ed entusiasmante di moda etica. Ho iniziato a collaborare con ITC nel 2012, prima come mentore per un’associazione di designer emergenti del Ghana, poi concentrandomi su quello che è ormai il mio principale impegno a livello internazionale, lo scouting di fashion designer, ricercando i talenti africani sparsi in tutto il continente. Cos’ha oggi l’Africa da dare alla moda? Ci dimostra che l’incontro di culture è una ricchezza e che l’identità di un brand è un valore non riproducibile, ma anche che un progetto è originale se nasce dalla libertà di pensiero, prima che dalle logiche di mercato. L’Africa riporta a valori che dimentichiamo troppo spesso, a favore della mass production: il tempo, per esempio, e l’utilizzo, il rispetto e la valorizzazione delle risorse ambientali e umane. Come definirebbe Generation Africa? Un catwalk collettivo con alcuni tra i migliori fashion designer di origine africana. Ma, soprattutto, un network di energia e creatività pura. Un nuovo punto di osservazione su un continente giovane e in crescita, con uno sguardo aperto al futuro.

ph. Louis Nderi - Courtesy of Ethical FashionInitiative

a raccontare le storie dei migranti e di chi chiede asilo nel vostro Paese». Con le sperimentazioni materiche di Lukhanyo Mdingi x Nicholas Coutts si torna in Sud Africa, mentre U.mi-1 (pronuncia “you me one”) è il punto di congiunzione delle esperienze di Gozi Ochonogor: nigeriana di nascita e inglese d’adozione, ha fondato il brand nel 2008 a Tokyo.

Top model, fotografa, attrice e ora soprattutto consulente di moda e scopritrice di talenti, Simonetta Gianfelici è anche fashion design mentor consultant talent scout di ITC Ethical Fashion Initiative, progetto fondato e diretto da Simone Cipriani sotto l’egida delle Nazioni Unite e della World Trade Organization. Un’iniziativa che collega i grandi nomi della moda con gli artigiani di Africa e Haiti, oltre a consentire ai new designer di queste zone di collaborare in modo sostenibile con i laboratori locali. La incontriamo alla vigilia di Pitti, in cui dalla sinergia tra ITC Ethical Fashion Initiative e Pitti Immagine Discovery scaturisce Generation Africa.

Simonetta Gianfelici insieme a Simone Cipriani, direttore e fondatore di ITC Ethical Fashion Initiative, durante un viaggio in Africa





































FOCUS DENIM

Scenari

Con lo storytelling il tessuto sale alla ribalta Anche nell’universo del denim balza in primo piano il concetto di storytelling. E il tessuto diventa protagonista, con le sue peculiarità, le sue performance e con il nome della tessitura da esibire come valore aggiunto. Un passaggio obbligato in uno scenario in cui dilagano le grandi catene. E in cui concetto di premium ha bisogno di essere spiegato a un mercato poco vivace. Perchè oggi un bel jeans si compra anche a 29 euro. E il consumatore lo sa bene di Carla Mercurio

The concept of storytelling comes to the fore even in the denim world. And the fabric becomes the star, with its peculiarities, its performance and with the name of the denim mill to be shown as an added value. A necessary step in a market where big chains grow rapidly. And in which premium brands need to explain their product to a market not as lively as in recent years. Because today a nice jeans costs even 29 euros. And the consumer is well aware of this.

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nche nell’universo delle tele denim si fa largo con prepotenza il concetto di storytelling. Dopo l’epoca dei lavaggi e dei trattamenti è tempo di ridare enfasi all’anima più profonda del capo, il tessuto, sottolineandone l’origine, la costruzione, la composizione, i pesi e, soprattutto, le performance. Soluzioni stretch sempre più avveniristiche, proposte valide nell’universo dell’athleisure, scelte ecosostenibili o materiali dalle proprietà cosmetiche: il valore aggiunto di un capo è dato sempre più dall’ingrediente che lo compone. Una firma in più, che spesso il brand esibisce con orgoglio sul capo finito. Un passaggio obbligato in un mercato in cui dilagano le grandi catene, in cui la competizione è sempre più accesa e il concetto di premium ha bisogno di essere spiegato e giustificato a un consumatore meno attento e soprattutto meno incline a spendere. Emblematico il caso di Replay, con i suoi jeans iperelastici Hyperflex e Hyperskin, che “vestono” un tessuto dell’azienda turca Isko, o di Liu Jo, che debutta al Premium di Berlino con l’inedito denim Bottom Up Amazing Fit, realizzato con il nuovo Blue Skin di Isko, elasticizzato in trama e in ordito. O ancora di Denham The Jeanmaker, che esibisce su alcuni capi il “rivetto d’oro di Candiani,

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un sigillo di qualità che la tessitura italiana riserva ai top client. Applicato sulla tasca destra del jeans e accompagnato da un cartellino esplicativo, il “golden rivet” segnala ai consumatori che il denim del loro capo è stato realizzato interamente in Italia seguendo criteri di elevata qualità. «Oggi, come nel mondo dell’alimentazione, la materia è destinata ad acquisire più importanza del prodotto finito», commenta il global manager Alberto Candiani, ai vertici di una realtà con oltre 75 anni di esperienza nel settore. «Il più grande produttore di denim europeo», puntualizza. Made in Italy, innovazione e sostenibilità sono i cavalli di battaglia dell’azienda con sede in provincia di Milano, che vanta un giro di affari di 117 milioni di euro nel 2014, previsto in crescita nel 2015 e una produzione annuale di 25 milioni di metri di tessuto, principalmente stretch. Proposte realizzate con i migliori cotoni e i macchinari più all’avanguardia, con un entry price di 3,75 euro e punte di circa 10 euro per le costruzioni più particolari, «anche se il 90% del nostro giro di affari è composto dalla fascia tra i 4,45 e i 5,45 euro al metro», sottolinea Candiani, che oggi vende per il 90% all’estero, in primo luogo Stati Uniti, con un totale di 161 clienti.

Materiali in primo piano con l’ingredient marketing Sull’ingredient marketing spinge con sempre maggiore decisione un’altra realtà italiana al top per ricerca e qualità, Berto Industria Tessile in provincia di Padova. Un’azienda con un giro di affari di circa 40 milioni di euro e una produzione di 6 milioni di metri di tessuto l’anno. «È il rinascimento dei tessuti - spiega la responsabile marketing, Arianna Morimando -. Partito prima nel comparto laniero e oggi approdato anche al settore del denim, che si riappropria della sua dignità». E prosegue: «Si tratta di un orientamento che si lega all’accresciuta consapevolezza dei consumatori, sempre più informati e attenti, grazie al tam tam dei social media, dove noi stessi siamo attivi. Non a caso i nostri tessuti vestiamo molti degli influencer che partecipano a questa edizione di Pitti Uomo, come Giorgio Giangiulio e Nicola Radano». I denim di Berto sono famosi per l’attenzione alle costruzioni e alle armature, ideali anche nel mondo sartoriale, grazie a una serie di offerte che mixano all’indaco in ordito trame in seta, lana o cashmere e al preziosissimo Le Mani, realizzato interamente a mano con orditoi e telai manuali. Una gamma di 300 articoli


La spring-summer 2016 di Diesel

in campionario, cui si aggiungono quelli del servizio Ad Hoc, che nascono dalla collaborazione con i clienti. Un’offerta che parte da 6 euro al metro per arrivare ai100 euro al metro de Le Mani. Una ricerca di eccellenza che, sottolinea Arianna Morimando, si lega anche a una necessità di distaccarsi dal concetto di commodity, connaturato alle proposte che vengono da aree come Pakistan, Bangladesh, India o Cina. In quest’ottica anche il lavaggio del capo diventa un plus che si può raccontare. Una carta in più da spendere per aggiungere pregio al prodotto: «Sempre più i brand mandano da noi agenti o assistenti alla vendita per capire come lavoriamo, affinchè

possano trasmettere ai consumatori il valore aggiunto che siamo in grado di dare», spiega Vanessa Gatto, responsabile commerciale del Gruppo Martelli Lavorazioni Tessili, realtà italiana che oggi conta anche su quattro strutture all’estero, in Romania, Tunisia, Marocco e Turchia, in grado di offrire una gamma vastissima di trattamenti con prezzi medi che si aggirano sui 7 euro a capo, e punte di 30/40 euro per quelli più elaborati. Lavorazioni con effetti mano pelle, rammendi, tagli, toppe e quant’altro possa dare un aspetto vissuto al capo. Con un enfasi sui lavaggi eco realizzati con laser, ghiaccio e ozono per effetti di usure senza l’utilizzo di sostanze chimiche.

Il premium tiene, ma le catene incombono... L’offerta sul mercato è vastissima: dalle tessiture italiane che rappresentano il top a livello di qualità e raffinatezza (come Candiani, Berto e Italdenim) insieme a quelle giapponesi, caratterizzate dall’approccio filologico alla produzione (nomi quali Kaihra, Kuroki, Nisshinbo, Kurabo), alle aziende turche, le più aggressive in termini di innovazione e molto brave a interpretare con rapidità le tendenze (con big del calibro di Isko e Orta) fino a Bangladesh, Pakistan e India, seguiti dalla Cina, che rappresentano la base della piramide e che stanno facendo passi da 11_01_2016

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gigante, per soddisfare le richieste sempre più massicce delle catene, alla ricerca di prodotti appealing a prezzi bassi. «Rispetto ai listini italiani, un tessuto turco costa di media un euro in meno al metro, uno proveniente da India e Pakistan due in meno, mentre in Cina si spende la metà. I denim giapponesi sono in media un po’ più cari dei nostri», chiarisce Alberto Candiani. Le realtà di questo vastissimo universo si trovano a dialogare con un mercato polarizzato tra la fascia bassa, con cartellini sotto i 100 euro, e quella premium, che viaggia sopra i 150. Prezzi alti che oggi necessitano di essere spiegati e motivati, in un momento in cui dilagano le catene della fast fashion, sempre più agguerrite non solo sul fronte del prezzo ma anche dell’immagine. Perché ora un bel jeans si può comprare anche a 29 euro. «Il target premium continua a performare bene - tiene a precisare Marco Lucietti, global marketing director di Sanko/Isko 68

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division -. Ovviamente è fondamentale giustificare il prezzo di un capo, facendo leva sui materiali, i fit e quant’altro si possa raccontare al consumatore. Ecco il perché della grande enfasi sullo storytelling». Cavallo di battaglia dell’azienda turca, colosso con una capacità produttiva di 250 milioni di metri di tessuto l’anno, che si avvia a chiudere il 2015 con un fatturato in crescita double digit, è lo stretch, che raggiunge l’apice con il nuovissimo Blu Skin, in grado di estendersi in quattro direzioni seguendo l’elasticità della pelle umana. Altra grande scommessa è rappresentata dalla piattaforma Arquas, che interpreta le tele in chiave di athleisure, promuovendo l’incontro tra fashion e performance. Filo conduttore di un’offerta vastissima è la sostenibilità, interpretata a 360 gradi, tenendo conto di tutta la filiera, a partire dal cotone fino ad arrivare al capo finito e alla possibilità di ridurne i lavaggi, con soluzioni antimacchia e antiscoloritura. Sostenibilità in pole position anche per l’azienda spagnola Tejidos Royo, come spiega Panos Sofianos, «perché è il modo giusto di approcciare il mercato del denim e, per fortuna, i consumatori cominciano a capirlo». Per la primavera-estate 2017 fra le novità di Tejidos Royo ci sono gli stretch memory high performance della serie Megalast, la linea Hug Denim, che garantisce elasticità a 360 gradi e la serie Elast da uomo, per un comfort extra con un look rigido. Occhio anche alle mischie con l’articolo Suave, realizzato con il Lyocel, che conferisce un aspetto serico e ai prodotti Hybridenim e Renascut, realizzati con materiali riciclati. ... e il consumatore va riconquistato Ma, avverte Panos Sofianos: «Spesso il concetto di premium è uno stratagemma per ottenere margini più alti, mentre è ora di ristabilire l’esatto valore del prodotto. È necessario che i marchi riconsiderino la loro filosofia di prodotto, per riprendere consapevolezza e quote di mercato più ampie». «Il grande interesse nei confronti del denim non si è ancora riversato sul mercato. E non trova un corrispettivo successo in termini economici – gli fa eco Alberto Candiani -. In questo momento alla stragrande maggioranza dei consumatori

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HYOSUNG

Il nuovo creora Fit balla la Zumba con la pachistana Soorty Hyosung, world leader for the production of the spandex fiber creora, launched creora Fit, for a perfect skinny fit and total comfort. An ingredient that gave birth to a clothing collection, in partnership with the Pakistani company Soorty. Alla scorsa edizione di Denim Première Vision Hyosung, big mondiale nella produzione di fibra spandex a marchio creora, ha ideato il nuovo creora Fit, ideale per vestibilità skinny e comodità totale, grazie a tessuti in grado di allungarsi in quattro direzioni, con un minore ritiro e un maggiore recupero della forma. Una fibra che ha dato vita a una collezione di abbigliamento ultracomfort, battezzata Zumba, in partnership con l’azienda pakistana Soorty, nata nel 1975 e divenuta una realtà verticalizzata che opera dalla filatura al capo finito, con una capacità produttiva mensile di oltre 5,5 milioni di metri di teussuto e 2,4 milioni di capi finiti. «Un modo per sottolineare la forte preferenza del pubblico per l’abbigliamento activewear», ha affermato Levent Korkmzer, a capo della sezione R&D di Soorty.


Cifre e proiezioni

Un mercato sempre più polarizzato In spite of the data released at the latest edition of Denim Première Vision, which esteem the global denimwear market in progress from $ 51 billion today to 56 in 2018, the figures for the current period are not so encouraging.

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finali non interessa il business model che sta dientro un jeans. Quindi, a meno che il prodotto sia unico ed eccellente, o un marchio molto forte e attraente, un buon paio di jeans si può trovare già a partire da 29 euro. Parlo di un buon fit, di un tessuto discreto, di performance sufficienti e di trattamenti semplici. Il problema sta nel differenziare questi capi da quelli che costano 290 euro». Significative anche le parole di Antonio Di Battista, esperto di denim, che a Pescara vanta un archivio di 3mila capi di cui 1.000 pezzi storici, oltre che titolare del marchio Blue Blanket e consulente di brand al top del settore. «Si parla tanto di eccellenza e di importanza degli ingredienti ma a livello concreto le cose non stanno ancora così». «In generale - prosegue - si riscontra un appiattimento verso il basso, con una rincorsa al prezzo a tutti i livelli, dal tessuto ai trattamenti. Conseguenza del momento di crisi in tutto l’universo dell’abbigliamento, che vede il dilagare dei grandi gruppi, dove un jeans si può comprare anche a 19,90 euro e dove si possono acquistare persino modelli in tessuti cimosati, che però vengono dalla Cina. Per questo i più bravi oggi sono quelli in grado di calibrare tessuti e lavaggi a costi non eccessivi, riuscendo a realizzare un prodotto bello a prezzi accettabili». «Per ora va così - conclude - ma il mercato cambia ed evolve a ritmi velocissimi e chissà che tanta enfasi sul tessuto non riesca finalmente a portare una ventata di rinnovamento e di ■ entusiamo».

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1. Una creazione realizzata da Studiopretzel con i denim di Berto in occasione dei Global Denim Award, dove la tessitura italiana ha conquistato il premio Best Fabric 2015 2. I tessuti di Isko, colosso turco con una capacità produttiva di 250 metri di tessuto l’anno e una grande attenzione alla sostenibilità 3. Telai al lavoro da Candiani, azienda con oltre 75 anni di esperienza, premiata in tandem con Sartoria Diletto come collaborazione vincente all’edizione 2015 dei Global Denim Award 4. L’Hug Denim di Tejidos Royo, per un’elasticità a 360 gradi

A dispetto dei dati diffusi durante la scorsa edizione di Denim Première Vision, che danno il mercato globale del denimwear in crescita dai 51 miliardi di dollari odierni ai 56 del 2018, le cifre relative al periodo attuale non sono positive. In base ai dati forniti da Smi su dati Istat, nel gennaioagosto 2015 le vendite all’estero di tessuti in denim italiani sono scese del 21,2% in quantità e del 12,7% a valore. Rallenta anche l’import, rispettivamente dell’8,3% e del 2%, con Turchia, Spagna, Pachistan ed Egitto fra i principali fornitori. Né c’è da gioire alla voce capi finiti, dove nello stesso periodo ci sono stati cali nelle vendite oltrefrontiera del 7,3% in quantità e del 5,3% a valore, con un saldo negativo di 41milioni e 123mila euro. Va un po’ meglio l’import, con un -2% in quantità ma un +3,7% a valore, segno che sale la qualità dei jeans che vengono dall’estero. Notizie poco rassicuranti anche alla voce consumi interni, sottolinea il servizio Fashion Consumer Panel di SitaRicerca. Nel gennaio-settembre 2015 il mercato denim adulti (composto da giubbotti e pantaloni in denim), ha evidenziato un calo del 4,9% in quantità e del 6,9% a valore, con prezzi medi ancora deflattivi. Negli ultimi nove mesi il settore ha avuto un andamento molto più negativo rispetto al totale comparto abbigliamento, sceso dello 0,6% e del 2,8%, rispettivamente in valore e quantità, A livello europeo, una ricerca promossa da Evaillance, associazione che si occupa di favorire i rapporti di interscambio tra i Paesi dell’Ue e quelli della penisola indocinese nei segmenti tessile-abbigliamento e pellettiero, evidenzia come nel 2014 l’import di jeans in denim nei Paesi della Comunità europea sia cresciuto dell’8% rispetto al 2013, per un totale di 531 milioni di paia di pantaloni del valore di 4 miliardi di euro. Emblematico il fatto che i principali fornitori siano Bangladesh, Turchia, Cina e Pakistan, che coprono il 74% dell’import in termine di valore e l’82% a livello di volume. Ciò avvalora la tesi di un mercato in cui il fattore prezzo diventa sempre più importante. L’Italia, che rappresenta il 9% del totale, cresce del 6,7%, per un totale di 34 milioni di paia di pantaloni importati. A confermare uno scenario polarizzato tra le fasce medie e quelle premium il report Global Premium Denim Jeans Market, della società Research and Markets, che nel periodo 2015-2019 prevede un’evoluzione del segmento medio-alto superiore all’8%, con una domanda in forte crescita dalla Cina e due realtà dell’e-commerce come Asos.com e Farfetch.com in pole position a livello di distribuzione.

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FALL- WINTER 2016/17

Le collezioni maschili del prossimo autunno –inverno lasciano emergere il profilo di un uomo bespoke e tecnologico. Un uomo in perenne movimento, con il corpo e con la mente, sempre pronto a cambiare il proprio stile a seconda delle circostanze: dalle giornate trascorse in città, che impongono outfit più formali, fino a giorni di vacanza in cui abbigliamento sportivo e informale cede il passo a capi più eleganti per gli eventi mondani. In sintonia con questo crossover, i designer propongono fit caratterizzati da dettagli eleganti, giocosi, dinamici ma confezionati in tessuti pregiati che esalti il made in Italy. di ALBERTO CORRADO

Corneliani

Esportatore di un’impeccabile sartorialità Made in Italy, l’uomo Corneliani si avventura in un viaggio dove il guardaroba si compone di preziosi tessuti naturali lavorati su volumi e strutture inedite. Dal cappotto sfoderato in tessuto tecnico bouclé blu con pettorina staccabile in nylon e maglia. Al pantalone senza pinces in cover di lana con tasche all’americana. Abbinati ad una camicia lavata in capo in armatura leggera e un cardigan costa inglese in puro cammello.

Pringle of Scotland

La nuova collezione, che viene presentata prima a Londra e poi al Pitti 89, vede l’introduzione di una serie di key style nella maglieria, sviluppati e ideati da Massimo Nicosia – design director in house e Nick Wooster – Influencers. Si parte dalla scelta dei motivi, colori e modelli, in modo da creare uno stile unico ed esclusivo, caratterizzato dalla qualità dei materiali e l’attenzione dei dettagli.

Leitmotiv

Fabio Sasso e Juan Caro usano come sfondo il bosco in tutto il suo splendore e il cervo come l’impersonificazione di amicizia e amore incondizionato. Il tutto mixato in lavorazioni di capi totalmente in maglia che variano da applicazioni in 3D, ad applicazioni di disegni con la lavorazione dell’intarsio e tecniche jacquard.

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FALL- WINTER 2016/17

Husky

Tendenza British Country, tra bespoke e tecnologia, per una collezione che rivisita i suoi capi iconici utilizzando l’uso di lavorazioni e di materiali innovativi, capaci di amplificare i suoi valori identificativi. Focus costante la qualità Made In Italy, che non si inventa ma si produce con elevati standard di manifattura e rifinitura. Creando una vestibilità attualizzata e una nuova gamma di colori sempre più ricercati.

Carlo Pignatelli

Omogene

È un brand fondato dal talentuoso Alexis Giannotti in cui si concilia mondo sartoriale, streetwear sofisticato e dettagli hi-tech. Tema della collezione è l’effetto cocoon declinato nei volumi e nei dettagli dei capi. Filed Jacket con zip frontale e bottoni a pressione nascosti. Tessuto con trattamento oliato che crea una sensazione di freddezza e bagnato al tatto. Tasche e collo over con effetto 3D sgonfiato. Pantalone cargo con vestibilità over.

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Allure Swinging London per dettagli e proporzioni di giacche avvitate e pantaloni asciutti. Heritage e modernità convivono in capispalla dalle linee classiche, confezionati con le più sapienti tecniche artigiane ed impunture amf; i tessuti pregiati con lana, seta e mohair diventano performanti con lo stretch. Il motivo a pois, da punta spillo a macro in lurex, è la fantasia che caratterizza tutta la collezione, fino a divenire un effetto di grisaglia “pixel art”.




























































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