Sped. abb. Post. - Pubbl. 70% - Filiale di Milano - Anno 18 - N. 1- Febbraio 2005
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Foto Carlo Gaeta
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Reflessologia Oggi
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EDITORIALE Il volo verso il futuro
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CONVEGNO NAZIONALE La nostra professionalità
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Trimestrale di cultura, scienza e tecnica del benessere Organo ufficiale della FIRP Autorizzazione del Tribunale di Bergamo del 25/2/05
20 REFLESSOLOGIA Il contatto con il mondo esterno
Direttore Responsabile Manuela Mancini Comitato di Redazione Stefano Suardi, Guido Zandi Consulente editoriale Carlo Gaeta
22 PSICOLOGIA Cambiare insieme
Progetto grafico e fotolito Promotion Merate s.r.l. - Merate (LC)
ATTUALITÁ Reflessologia: il riconoscimento si fà attendere
REFLESSOLOGIA Schiena curva, umore nero
MENTE CREATIVA Non mi ricordo più
Stampa MEDUSA - Caravaggio (Bg) Via L. Da Vinci - Tel. 0363/53919 Direzione, Redazione e Pubblicità Via A. Manzoni, 29 - 24053 Brignano Gera d’Adda (BG) C/C post. 36643203
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31 CONVEGNO NAZIONALE Riccione 2005
CONSIGLIO DIRETTIVO
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NUOVI ORIZZONTI Intelligenza emotiva: il valore dell’empatia
17 RECENSIONI Letture per l’anima 18 NIUOVI ORIZZONTI Il fondamento della libertà umana
Presidente Raffaello Cuter Vicepresidenti Biagio Franco, Elena Cirelli Segretario Stefano Suardi Consiglieri Guido Zandi, Erminio Frezzini, Martino Papetti, Alberto Bramati, Emilio Leorin Collegio dei Revisori dei Conti Luigi Gandolfi, Alfonso Frigerio, Renzo Zanier Collegio dei Probiviri Clara Venturelli, Cinzia Frigerio, Ariella Lupi Tutti i diritti sono riservati. Testi e immagini inviate al giornale non verranno restituiti. Gli articoli firmati impegnano esclusivamente l’opinione dei singoli autori. Abbonamento annuale € 26,00, arretrati € 8,00. Versamento su vaglia postale o C.C.P. n. 36643203 intestato a FIRP, Via Manzoni, 29 -24053 Brignano Gera D’Adda (BG).
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INTERNET Visitate il nostro sito www.firp.it e-mail info@firp.it
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CONVEGNO NAZIONALE
RICCIONE Hotel Nautico 6-8 maggio 2005
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Il Corsivo del Direttore
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ontinuiamo a sognare ad occhi aperti, magari per scappare da una realtà che viviamo come frustrante, pensando spesso al futuro come a una sorta di “rivalsa” che potrà colmare i nostri “vuoti” di oggi: “Domani sarò...”, “Domani farò...”. Sembra facile vivere sognando e proiettarsi verso il futuro… ma non è così. Sognare e volare verso il futuro è un’arte, che si impara e si vive giorno per giorno. Se vogliamo creare, da protagonisti, il nostro futuro, anziché continuare a sperare che domani sia meglio di oggi, dobbiamo iniziare a costruire le nostre case partendo dalle fondamenta e non dal tetto... Come? Innanzitutto vivendo bene il presente, stando nell’adesso, nel qui e ora e lasciando andare completamente il passato. “Se non perdoni il tuo passato – esordisce Patrizia Ferrari, personal coach nell’ambito della crescita personale – e non guarisci le vecchie ferite e i traumi, che rappresentano zavorre molto pesanti, non puoi volare verso il tuo sogno, non puoi vivere il futuro come vorresti. Perché il passato continuerebbe a condizionarti e non saresti più libero, mentre andare verso il domani richiede obiettivi nuovi, freschi, flessibili, che si rinnovano in ogni istante. Se oggi vivo il presente indirizzando le mie energie Manue la Man cini verso qualcosa che mi piace ma che, a un certo momento, non mi vibra più dentro, devo avere il coraggio di cambiare rotta e seguire il cuore, con grande libertà d’animo. Se il mio cuore vuole cambiare sentiero, semplicemente lo seguirò, non interpretando questa scelta come una fuga, bensì come l’andare verso il mio sogno. Volare verso il futuro significa vivere nella flessibilità e trovare la giusta soluzione per realizzare ciò che voglio rispettando gli altri”. E, a proposito di fuga, per realizzare il sogno è fondamentale non vivere scappando da qualcosa, evitando ciò che ci fa paura, bensì volare verso ciò che più desideriamo, che ci procura piacere. Tutto ciò è possibile creando nella nostra mente un sogno positivo, che vibra d’amore. Sì, perché noi creiamo con la mente e le emozioni, quindi se abbiamo paura che qualcosa accada, questa accadrà certamente… “Se vuoi diventare ricco per paura di essere povero – continua Patrizia Ferrari – non diventerai mai ricco. Se invece vuoi diventare ricco perché sai di meritarlo e te lo dice il tuo cuore, allora realizzerai tutto ciò”. E nella nostra vita spetta a noi, solo a noi, la responsabilità di essere felici! Per donarci quel benessere e quella gioia che meritiamo per diritto di nascita. A volte, anzi spesso, senza neanche saperlo!
In volo verso il futuro
Ogni momento della vostra vita è infinitamente creativo e l’universo contiene un’abbondanza senza limiti. Dovete semplicemente formulare una richiesta chiara e precisa e tutto quello che il vostro cuore desidera veramente verrà a voi, senza dubbio. Shakti Gawain, “Il potere della visualizzazione creativa. Usa il potere della tua immaginazione per crearti la vita che desideri” Ed. Futura
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Convegno Nazionale
La nostra professionalità Anteprima Convegno Firp, 6-8 maggio, Riccione di Raffaello Cuter Presidente Firp
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lcuni dei partecipanti al prossimo convegno Firp non erano ancora nati quando la nostra Associazione organizzava il suo primo incontro nel 1983 a Milano. Per la memoria dei pochi presenti, come me, fin dall’inizio, per una doverosa riconoscenza a coloro che hanno dedicato il loro tempo alla vita della Reflessologia in Italia a beneficio dei nuovi soci, desidero elencare nel box qui sotto le località e le date dei nostri convegni. …E nel 2005? Vagliate le condizioni economiche alberghiere, la piacevolezza dell’ambiente naturale e la benevolenza dell’Amministrazione Comunale, torneremo a Riccione.
20 ANNI DI CONVEGNI FIRP 1983 Milano, 1984 Padenghe sul Garda, 1985 Milano, 1986 Abano Terme, 1987 Padenghe sul Garda, 1988 Salsomaggiore Terme, 1989 Portese sul Garda, 1990 Asiago, 1991 Rimini, 1992 Galzignano Terme, 1994 Abano Terme, 1996 Riccione, 1997 Numana, 1998 Poiano sul Garda, 1999 Loano, 2000 Loano, 2001 Riccione, 2002 Riccione, 2003 Riccione, 2004 Pieve di Cento.
Gli interventi del prossimo convegno verteranno sulla Professione del Reflessologo: chi siamo, a che punto siamo, dove andremo. Una tavola rotonda, con la presenza dei responsabili Nazionali e Regionali che si interessano della regolamentazione legale del nostro lavoro, servirà a fare il punto della situazione fra leggi Regionali già approvate – o in fase di approvazione – e legge Nazionale in dirittura d’arrivo. Tutto questo vorrà dire comprendere maggiormente il nostro ruolo nella società italiana ed allo stesso tempo, come gruppo organizzato, ci darà indicazioni su come adeguare la scuola, gli aggiornamenti e l’organico alle nuove esigenze legislative. Accanto a questo, ci sarà anche la presenza di rappresentanti di altre tecniche con noi associati nell’IAS (Interassociazione Arti per la Salute), che ci aiuteranno a comprendere scopi e funzioni della nostra professionalità, visto che anche loro, sia pure attraverso tecniche e tradizioni diverse, tendono al raggiungimento dello stesso obiettivo: il benessere, ossia una migliore, completa e totale qualità della vita dei nostri pazienti. Una realtà che alcuni fra noi giudicano come limitante rispetto alle possibilità della Reflessologia. Leggo sul vocabolario di lingua italiana: benessere = stato armonico di salute, di forze psichiche
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e spirituali. Se partecipare e ottenere questo risultato è poco, non saprei cosa di più ci si possa aspettare! Oltretutto la Firp afferma nell’articolo 2 del suo Statuto che la sua finalità è “promuovere lo studio e la diffusione della Reflessologia del piede, tecnica antica… con lo scopo di offrire strumenti ed informazioni adeguate a raggiungere e mantenere il benessere ed il riequilibrio psicofisico”. E rafforza questo concetto nell’articolo 3 quando indica come una delle finalità operative quella di “promuovere e costituire organismi con associazioni diverse, ma che abbiano gli obiettivi in comune, quali il miglioramento della qualità della vita e del benessere delle persone”. Come di consueto, nell’ambito dei tre giorni di Convegno si svolgerà la tradizionale consegna dei diplomi agli allievi che nel 2004 hanno superato l’esame del terzo anno della Scuola Elipio Zamboni e verranno incentivati numerosi momenti di aggregazione. La partecipazione da parte dei soci Reflessologi penso sia indispensabile, per valorizzare la propria professionalità e saperla comunicare nel modo migliore e più proficuo. Il programma definitivo del Convegno e le condizioni di partecipazione vi verranno inviate al più presto. Arrivederci a Riccione!
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Attualità
Il riconoscimento si fa attendere di Stefano Suardi Segretario Firp
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gnuno di noi, indubbiamente, ha i suoi interessi; così come ogni Socio FIRP ha come principali obiettivi una solida formazione e una professione legalmente riconosciuta e serena. Ma è proprio questo il punto: la formazione pare solida, mentre il riconoscimento della professione è attualmente debole. È giusto informare ufficialmente tutti i Soci attraverso le pagine del nostro giornale di quanto sta succedendo per il riconoscimento della professione di reflessologo. Ed è altrettanto giusto che l’informazione sia costante e puntuale, per evitare notizie distorte o addirittura di parte, per scongiurare situazioni di confusione e, magari, anche di strumentalizzazione. Nell’ottica della costanza e della puntualità, ritengo doveroso ricordare che, a tutt’oggi, la reflessologia plantare è inserita, con altre discipline bio-naturali, nelle leggi promulgate dalle regioni Piemonte, Liguria e Friuli; queste leggi non sono ancora attuate, perché manca l’obbligatorio parere da parte dello Stato. Non abbiamo notizie precise in merito, così come non le abbiamo dell’ormai famoso progetto di legge nazionale firmato dall’on. Francesco Paolo Lucchese e tuttora fermo. Ritengo altresì doveroso puntualiz-
zare alcuni aspetti di quella che è diventata una questione davvero annosa. Anzitutto va ricordato come la nostra professione non possa essere inquadrata nell’ambito sanitario né para-sanitario. Voglio qui ricordare che la prima legge della Regione Piemonte, che inseriva la reflessologia e altre discipline in ambito sanitario, fu bocciata dal Consiglio di Stato appunto per questo aspetto. Voglio inoltre ricordare come le leggi regionali citate, siano ormai indirizzate ad una logica meramente professionale, garantista per quanto concerne gli aspetti fiscali e istituzionali. In più, voglio sottolineare come le tempistiche previste dalle leggi succitate mettano in stand-by gli entusiasmi… Infine, è opportuno non dimenticare che legiferare in materia di arti e professioni non è ancora stato demandato alle Regioni. Dopo l’approvazione da parte dello Stato, le leggi regionali prevedono una tempistica operativa di almeno un anno, se non di più, sia per l’attuazione che per la costituzione della cosiddetta commissione regionale che per l’emanazione dei regolamenti attuativi. Alla luce di questo, anche perché sono solo tre le Regioni che hanno attualmente legiferato, e per tutte e tre manca ancora l’avallo statale, si ritiene opportuno per la FIRP continuare, per ora, sulla strada tracciata da Elipio Zamboni.
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Stefano Suardi
La situazione legislativa sulle discipline bionaturali UN’ALTRA VITTORIA! La Regione Lombardia, il 25 gennaio scorso, ha approvato la Legge Regionale n. 142 che norma le discipline bionaturali e la figura degli operatori bionaturali. Qualcosa si sta muovendo!
Per informazioni e aggiornamenti visitare il sito FIRP www.firp.it, link CoLAP
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Reflessologia
Schiena curva, umore nero di Cesare Paloschi
È
i Palosch Cesare
La Reflessologia allevia il dolore e ci fa ritrovare l’armonia perduta
ormai risaputo che ciò che accade nel corpo si riflette nella mente e viceversa. Fatta questa premessa, ricordiamo che la riflessologia è una tecnica semplice che permette di recuperare l’armonia fisica e psichica e tornare quindi in buona salute. Nota anche come "terapia zonale", la riflessologia è un metodo di cura che utilizza la pressione con le dita per stimolare e trattare dei punti che si trovano sui piedi.
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Il massaggio di questi punti permette di trattare "di riflesso" gli organi e le parti del corpo che si trovano sui meridiani corrispondenti. Nell'intero corpo e negli organi in esso contenuti circola una energia che, nel caso resti bloccata, crea delle patologie legate al punto in cui si è verificato questo blocco. I blocchi (o punti doloranti ) si possono riscontrare sui punti riflessi dei piedi ed essere sciolti usando specifiche tecniche di digitopressione, in modo da alleviare il dolore del nostro paziente.
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Reflessologia
La reflessologia tende a vedere il corpo umano come un’unica entità, pertanto non verranno trattati soltanto i punti doloranti, ma si procederà ad un massaggio di tutti i punti presenti sul piede. Non esistono controindicazioni nell'applicazione della reflessologia. Va comunque ricordato che il reflessologo professionista non si deve MAI sostituire al medico e non deve MAI effettuare diagnosi o consigliare l'uso o la sospensione di un farmaco. La reflessologia è molto utile nel trattamento, anche a titolo preventivo, di quasi tutte le patologie. Per l'esecuzione di un trattamento reflessologico efficace è necessaria una conoscenza di base dell’anatomia umana (sia scheletrica che muscolare), la conoscenza degli organi interni e della loro posizione oltre che, naturalmente, la conoscenza dei punti riflessi che si trovano sui piedi. Spesso eseguiamo delle tecniche di reflessologia senza saperlo. Infatti quando la madre dà dei colpetti sulla schiena del lattante perché digerisca, non lo fa per "conoscenza medica" ma per esperienza o per istinto. Questo tipo di manovra va a stimolare la zona sulla terza/quarta vertebra dorsale dove si trovano le terminazioni nervose che vanno a regolare l'ultima parte dell'esofago e la valvola cardias. E potremmo proseguire con molti altri esempi di manovre conosciute come "rimedi popolari o rimedi della
nonna". Si tratta di intuizioni antiche che ci dimostrano come esista un modo davvero nuovo di guardare e concepire il corpo, di intendere il benessere della persona e di “fare benessere”. Facciamo un esempio: l’atteggiamento del bambino che subisce ripetuti stress emotivi è quello di curvarsi su se stesso riassumendo la posizione fetale. Questa postura, se mantenuta a lungo, diventa abituale e ”normale”, mantenendosi nell’adolescenza e nella vita adulta. Questo fatto, che spesso ha un ruolo determinante nell’insorgenza del dolore e del danno funzionale, causa una serie di sindromi dolorose nella colonna vertebrale. Quando gli esami radiologici o di laboratorio per lombalgie, cervicalgie e dorsalgie sono senza esito, la diagnosi è di mal di schiena “non specifico”. Nella maggioranza dei casi il disturbo nasce da un cattivo uso della colonna vertebrale, cioè da un’origine “posturale” da problemi psicosomatici. Ed è così che la prescrizione di un antidolorifico è la forma più
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Reflessologia
Lavorare al computer può portare a posture sbagliate che creano contrazioni e dolori alla schiena.
comune di trattamento del dolore usata nella medicina occidentale. Questi farmaci sono usati in generale troppo spesso anche per dolori di lieve entità, creando a volte dei disturbi allo stomaco, disturbi gastrointestinali, eruzioni cutanee, mal di testa, ecc… Con la medicina “alternativa” o dolce (come comunemente è chiamata), si può dare un aiuto prezioso per far sì che il dolore o “sintomo” scompaia o venga alleviato. Con questa finalità si possono utilizzare varie tecniche: Reflessologia, Shatsu, Agopuntura, Omeopatia, Osteopatia, Fiori di Bach, ecc.. Durante questi ultimi anni, grazie agli studi e alle esperienze fatte dalla medicina psicosomatica, è stata individuata una metodica di intervento nella cura del mal di
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schiena che completa le consuete tecniche terapeutiche. Occorre pertanto, far recuperare alla persona sofferente la funzionalità dell’intero sistema (colonna vertebrale, arti, articolazioni, respirazione), soprattutto agendo sulle funzionalità nervose e permettendogli, allo stesso tempo, di riappropriarsi in modo positivo dei contenuti emotivi che possono essere stati somatizzati. La medicina tradizionale cinese reputa il mal di schiena, il dolore e molti altri sintomi, fenomeni finali e conclusivi di un disequilibrio iniziato a volte molto tempo prima della malattia sicuramente differenti da individuo a individuo perché “ogni uomo è un essere unico”. Dunque la Reflessologia può essere utile per alleviare il dolore vertebrale, in virtù del fatto che si basa sulla profonda conoscenza del corpo e dell’animo umano accentuando più la diversità che le facili “uguaglianze”, con il proposito di togliere sì il sintomo, ma anche di aiutare il paziente a ritrovare un’armonia che sembrava perduta. Questo grazie a mani esperte che sanno come procedere e dove andare a “toccare” per alleviare il dolore. Si tratta di tecniche particolari ormai conosciute anche da noi occidentali in cui filosofia, religione e cultura orientali si mischiano a tecniche manipolative che agiscono su determinati punti del piede nei quali affiora l’energia vitale.
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Mente creativa
Non mi ricordo più... di Manuela Mancini
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uesto articolo è per voi, voi che non ricordate neanche cosa avete mangiato a pranzo, voi che – quando vi chiedono il numero di portatile – dovete accenderlo per leggerlo, voi che scordate sempre il compleanno di vostro fratello e della migliore amica... A voi che volete, semplicemente ricordare... Ma è possibile migliorare la propria memoria? Lo abbiamo chiesto a un esperto, un formatore che tiene seminari per potenziare le capacità mnemoniche: Giorgio Polver, titolare della High Consulting, società nazionale di consulenza e formazione e insegnante di tecniche di memorizzazione e apprendimento veloce. Cos’è la memoria? “È la capacità di immagazzinare informazioni (ritenzione) e di sapere come tirarle fuori (recupero) al momento opportuno, proprio come in un archivio”. Come funziona? “Non si tratta di una dote innata, bensì di una facoltà mentale dinamica attiva che si può sviluppare. Non ci si improvvisa “ricordatori”...”. Ma perché si dimentica? I motivi possono essere molti: per demotivazione, mancanza di interesse per un determinato argomento, attenzione non focalizzata su quello che dobbiamo ricordare, magari per distrazione o interfe-
renze. Ma si può anche dimenticare per la mancanza di uso di determinate informazioni o un di metodo per ricordarle. Un racconto affascinante della mitologia greca ci racconta che Mnemòsine, la Memoria, figlia di Cielo (Uranos) e Terra (Gea) aveva generato le nove Muse, nelle nove notti che aveva trascorso amorosamente con Zues, simbolo solare del principio vitale, creatore e fecondante. Quindi la creatività è il risultato dell’unione amorosa di memoria (Mnemòsine) e intelligenza (Zeus). Ma come funziona la nostra memoria? Il cervello è diviso in due emisferi, ognuno dei quali con competenze specifiche, che sono state scoperte da Roger Spery, Premio Nobel nel 1960. L’emisfero sinistro sovrintende il regno delle parole, della logica, dei numeri, delle sequenze e controlla la parte destra del corpo e il cervello razionale. L’emisfero destro, invece, sovrintende al ritmo, alla consapevolezza dello spazio, alla creatività, al mondo delle immagini, al colore, alle dimensioni, alle emozioni, controlla la parte sinistra del corpo e il cervello emozionale. Nel processo di immagazzinamento di informazioni, se usiamo solo una parte del cervello, avremo accesso a una risorsa molto limitata delle nostre cellule cerebrali. Ecco perché il modo migliore per
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A lezione di memoria: che cos’è e come usarla al meglio
Giorgio Polver, titolare di High Consulting, società di consulenza e formazione con sede a Milano (www.highconsulting.it).
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Mente creativa
Ragazze a scuola, per “imparare” a non dimenticare.
imparare è quello dei bambini, che alla parola casa (emisfero sinistro) abbinano il disegno (emisfero destro) della casa. Col passare del tempo, purtroppo, manteniamo solo il ricordo delle parole e usiamo meno della metà del nostro potenziale intellettivo, provocando una riduzione della memoria. L’80% della nostra memoria, infatti, è visiva, ecco perché per memorizzare più facilmente è consigliabile servirsi di immagini, ad esempio creando una mappa mentale con una serie di immagini connesse emotivamente le une alle altre che possiamo unire tra loro creando una storia (memory story). Ad esempio, per ricordare un libro posso dare un’immagine strana, assurda ad ogni capitolo. Così, se un capitolo parla della
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guerra di Troia, memorizzerò il cavallo di Troia, se parla di fonti di rilevazione mi ricorderò di una fontanella e con le parole chiave legherò le immagini tra loro, creando una memory story. A conferma di questa tesi, ci sono i testi di uomini geniali come Galileo Galilei, Leonardo Da Vinci, Albert Einstein che prendevano appunti utilizzando entrambi gli emisferi, quindi accompagnando le parole alle rispettive immagini. “Con questo metodo – spiega Polver - il risultato di 1+1 non è 2 bensì 5, poiché c’è una moltiplicazione dell’effetto, che risulta esponenziale”. La memoria è un circuito neuronale: nel momento in cui associamo un concetto ad un altro si viene a creare una sinapsi, ossia un legame tra neuroni cerebrali che però non è stabile se non viene riesercitato, un po’ come tracciare una strada in mezzo a un campo: se non la ripercorro tutti i giorni o comunque spesso, la strada si richiude da sola. “Abbiamo nel cervello una quantità di neuroni pari a 100 miliardi – continua Giorgio Polver - ed ogni neurone può collegarsi in sinapsi ad altri 10.000 neuroni. Con l’apprendimento si vengono a creare nuove sinapsi; ogni informazione può essere collegata ad altre 10.000 informazioni, come ad esempio la parola “bandiera” che può essere collegata mentalmente alla bandiera vera e propria, all’idea dell’Italia, alle sorelle “Bandiera”...
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Mente creativa
Pensate che in una parte del nostro cervello delle dimensioni di un piccolo pisello, ci sono tante connessioni quanto l’intera rete telefonica mondiale!“. Ma esistono anche preferenze mnemoniche, se così possiamo chiamarle. Infatti durante l’apprendimento di nuove informazioni, ricordiamo più facilmente: ciò che è stato detto all’inizio e alla fine di un discorso o di una lettura, i dati che vengono ripetuti, le frasi e le parole fuori dalla norma - ossia straordinarie e paradossali - e tutto ciò che ci emoziona. Ma il modo migliore per comprendere il funzionamento della nostra memoria è l’automonitoraggio. Esso consiste nel controllare, passo per passo, il processo di apprendimento: “Come sto studiando? Come posso collegare queste nuove informazioni alle precedenti? Come posso ricordare in ordine questa lista di caratteristiche?”. Ma la funzione delle mnemotecniche non è solo quella di “imparare a memoria” bensì anche quella di fare assimilare ciò che si è appreso, imparando in modo personale e creativo: è come se le informazioni che inizialmente provengono dall’esterno si radicassero nella nostra mente producendo frutti nuovi e originali. Assimilare infatti vuol dire “rendere simile a se stessi”. Lo scopo dell’apprendimento è l’assimilazione e le mnemotecniche costituiscono un sostegno nel processo di apprendimento.
REGOLE PER RICORDARE: la fotografia mentale Volete ricordare meglio e più facilmente un’immagine piena di oggetti? Allora Giorgio Polver vi suggerisce di seguire alcune semplici regole: 1) guardare l’immagine nel suo insieme, familiarizzare, 2) dividere con una croce la foto in quattro parti, 3) osservare tutti i dettagli all’interno di ognuno dei quattro settori, 4) porsi delle domande, ossia chiedere per rispondere: di che colore è lo sfondo? Di che colore è, ad esempio, il quadrifoglio? Quanti chiodi ci sono? Ponendoci domande creiamo una serie di connessioni neuronali, per cui risulta più facile ricordare, 5) contare tutti i particolari, 6) rivedere mentalmente ogni dettaglio, 7) recitare e verificare che tutto sia esatto. Tecniche di memorizzazione A detta del famoso filosofo Cicerone, coloro che vogliono esercitare le facoltà della mente devono prendere dei luoghi, collocarvi le cose che vogliono ricordare e imprimerle nell’animo. In questo modo l’ordine dei luoghi conserverà l’ordine delle cose. Ad esempio, noi uomini della metropoli, per ricordare possiamo prendere la strada che facciamo tutti i giorni per andare in ufficio e ad ogni luogo legare un oggetto che vogliamo memorizzare. Al tabaccaio possiamo asso-
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Mente creativa
Disegni di Jack Milani
MEMORY STORY Ecco la tecnica mnemonica più semplice, suggerita da Giorgio Polver per ricordare le sequenze di oggetti anche molto diverse tra di loro, applicabile in tanti settori: per ricordare gli argomenti cardini dei libri letti, per avere una sequenza logica nelle presentazioni quando si deve parlare in pubblico, per imparare fatti da memorizzare cronologicamente.
mory Story. “Immagina di aprire la porta di casa e trovarti davanti un soldato romano e la cosa più strana che c’è in lui è che appena apre bocca gli esce una lingua lunga mezzo metro e sulla punta della sua lingua c’è una minuscola calcolatri-
Eccovi un esempio. Supponiamo di avere un libro che parla di Comunicazione e i capitoli principali siano i seguenti: Storia della comunicazione - Il linguaggio - La comunicazione elettronica - La televisione - Parlare in pubblico - Il linguaggio del corpo Ora bisognerà convertire i nomi dei capitoli in immagini (creando in questo modo le “parole chiave”) ad esempio: Storia della comunicazione = Soldato romano Il linguaggio = Lingua La comunicazione elettronica = Calcolatrice La televisione = Televisore Parlare in pubblico = Microfono Il linguaggio del corpo = Manichino Ora che potrebbe sembrare difficile ricordarsi le sei parole chiave in ordine, entra in gioco la Me-
ce dai tasti gialli, ti chiede di pigiare un tasto e si accende la tua televisione… Questa volta però c’è qualcosa di speciale: la televisione trasmette in tre dimensioni e tu puoi toccare i protagonisti della tv! Ad un certo punto un personaggio ti porge un microfono e ti chiede di cantare e mentre ti accingi con la prima canzone ti trasformi in un manichino”. La ricorderesti facilmente la Memory Story? Naturalmente sì, il segreto consiste nel trasformare le parole chiave in immagini e poi legarle tra di loro in modo assurdo.
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ciare delle sigarette, alla farmacia delle caramelle... e così via. Associando qualcosa che conosco a qualcosa che non conosco, attiviamo il processo del ricordo. Memorizzare con i numeri e le forme E’ anche possibile associare ai numeri suoni di oggetti particolari, per memorizzare più facilmente le cifre: Uno = Bruno, Due = bue, Tre = re, Quattro = gatto, E poi creare una memory story, oppure è possibile anche associare il numero a determinate forme di oggetti: 1= candela, 2= cigno, 3= galleria, 4= vela, 5= gancio, 6= ciliegia Ricordiamo... Il 20% di quello che leggiamo, il 30% di quello che sentiamo, il 40% di quello che vediamo, il 50% di quello che diciamo, il 60% di quello che facciamo, il 90% di quello che vediamo, sentiamo, diciamo e facciamo in contemporanea. Come apprendere più facilmente? Il modo migliore è quello di utilizzare tutti i sensi: vista, udito e corpo, ossia mimando gli oggetti che vogliamo ricordare. Quali sono i tre requisiti fondamentali per ricordarsi le immagini? Che siano paradossali, in movimento e vivide nei colori. Il presupposto di base per ricordare meglio è quello di essere rilassati: quando si è agitati, come agli esami scolastici, si va in tilt e non si ricorda più niente!
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Nuovi Orizzonti
Intelligenza emotiva: il valore dell’empatia di Marika Mori
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New York, quel pomeriggio d’agosto l’umidità era insopportabile; era la classica giornata in cui il disagio fisico rende la gente ostile. Tornando in albergo, salii su un autobus in Madison Avenue e fui colto di sorpresa dall’autista, un uomo nero di mezza età con un sorriso entusiasta stampato sul volto, che mi diede il suo benvenuto con un cordiale “Ciao! Come va?” un saluto che rivolgeva a tutti quelli che salivano… Ogni passeggero restava stupito, e pochi furono quelli che ricambiarono il saluto, chiusi com’erano nell’umor nero della giornata. Ma mentre l’autobus procedeva lentamente nell’ingorgo, si verificò una lenta trasformazione. L’autista si esibì per noi in un monologo, un vivace commento sullo scenario intorno a noi – c’erano dei saldi fantastici in quel magazzino e una splendida mostra in quel museo… L’uomo era deliziato dalle molteplici possibilità offerte dalla città e il suo piacere era contagioso. Al momento di scendere dall’autobus, tutti si erano ormai scrollati di dosso il guscio di umor nero con il quale erano saliti, e quando l’autista gridava loro “Arrivederci, buona giornata!” rispondevano con un sorriso”. Così comincia il romanzo-saggio di Daniel Goleman, ricercatore di psicologia e collaboratore di New York Times e Psychology Today. Si tratta di: “Intelligenza emotiva: che cos’è, perché può renderci felici”
(Bur saggi). E l’intelligenza emotiva è proprio la dote che non sembra mancare al sereno e ottimista autista nero dell’autobus, una dote che permette di sentirsi in sintonia con gli altri e di ottenere risultati meravigliosi in ogni campo: dalle relazioni alla professione. In sostanza, una maniera intelligente di gestire le nostre emozioni. Goleman sostiene che tutti siamo dotati di intelligenza emotiva: basta solo diventarne consapevoli e applicarsi. Il QI da solo non serve più, non basta: occorre riscoprire altre qualità, come la capacità di sentire, di vedere in positivo, di apprezzare e di vivere il cuore. Sono questi i fattori che ci permettono di adattarci sempre più armonicamente all’ambiente in cui viviamo e che rappresentano la risposta – probabilmente una delle poche – all’aumento di crimini e di violenza sfrenata a cui stiamo assistendo da tempo. Lo scopo è quello di riconoscere le proprie emozioni, osservarle senza giudicarle nel momento in cui si presentano, arrivare a gestirle per raggiungere un obiettivo e utilizzarle in maniera creativa, per relazionarci in modo più totale e sereno ai nostri interlocutori. Coloro che arrivano a maturare tutte queste abilità – nella filosofia di Goleman - diventano dei veri e propri “campioni delle arti sociali” e saranno destinati a veder aumentare la loro popolarità e lea-
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Impariamo l’alfabeto emozionale, ossia le capacità fondamentali del cuore
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dership. Una forma di consapevolezza avvicinata da Swami Parigyan, terapista dell’Osho Institute for Conscious Living a Friburgo, alla tradizione buddhista della meditazione, seppure con i limiti di porre l’enfasi su un nuovo modo di programmare la mente. “Un corso di intelligenza emotiva può essere un inizio – commenta Parigyan ma sarebbe un peccato fermarsi qui. La vera trasformazione non avviene attraverso lo sforzo. “ Comunque sia: buon viaggio!
Lo stato empatico tra reflessologo e paziente permette di stabilire un profondo contatto energetico.
- Daniel, come è nata l’idea di questo libro? Ho scritto “Emotional Intelligence” in un momento in cui la società civile americana si dibatteva in una crisi profonda, caratterizzata da un netto aumento della frequenza dei crimini violenti, dei suicidi, dell’abuso di droghe e di altri indicatori di malessere emozionale, soprattutto fra i giovani. Nei paesi europei, la tendenza ge-
nerale della società porta verso un’autonomia sempre maggiore dell’individuo, che a sua volta produce una minor disponibilità alla solidarietà e una crescente competitività. Insieme a questa atmosfera di iniziale crisi sociale, ci sono anche i segni di un crescente malessere emozionale, soprattutto fra i bambini e i giovani. Tutto questo suggerisce la necessità di insegnare ai bambini quello che potremmo definire “l’alfabeto emozionale”, ossia le capacità fondamentali del cuore. Come negli Stati Uniti anche in Italia le scuole potrebbero introdurre nelle loro lezioni programmi di “alfabetizzazione emozionale” che – oltre alle materie tradizionali – insegnino le capacità interpersonali essenziali. Oggigiorno queste capacità sono fondamentali, proprio come quelle intellettuali, in quanto servono a riequilibrare la razionalità con la compassione: mente e cuore hanno bisogno l’una dell’altro… Questo libro è una guida per dare un senso logico a ciò che sembrerebbe proprio non averne. - Cos’è l’intelligenza emotiva? Nonostante le cattive notizie di molti mass media, televisioni, giornali e radio, gli ultimi dieci anni sono stati testimoni di un’esplosione senza precedenti di studi scientifici sull’emozione. Questa mole di dati neurobiologici ci fa comprendere il modo in cui i centri emozionali del cervello ci spingono alla rabbia o alle lacrime e
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come l’attività delle parti più antiche del cervello – quelle che ci spingono a fare la guerra ma anche l’amore – possa essere, nel bene e nel male, incanalata. Quali fattori sono in gioco quando persone con elevato QI falliscono e quelle con QI modesti danno prestazioni sorprendentemente buone? Secondo me, molto spesso la differenza sta in quelle capacità indicate collettivamente come “intelligenza emotiva”, un termine che include l’autocontrollo, l’entusiasmo e la perseveranza, nonché la capacità di automotivarsi. In sostanza, l’intelligenza emotiva comprende la capacità di tenere a freno un impulso, di leggere i sentimenti più intimi di un’altra persona, di gestire senza scosse le relazioni con gli altri; come scriveva Aristotele, “la rara capacità di colui che si adira per ciò che deve e con chi deve e anche come, quando e per quanto tempo deve”. - In cosa si differenzia l’intelligenza emotiva dal QI? Il tipo dotato di un elevato QI è quasi una caricatura dell’intellettuale, abile nel regno della mente ma inetto in quello personale. E’ ambizioso, distaccato e poco espressivo, freddo e indifferente dal punto di vista emozionale. Invece, gli uomini dotati di grande intelligenza emotiva sono socialmente equilibrati, espansivi e allegri, non soggetti ad ansie o paure. - Allora l’Intelligenza emotiva può essere insegnata?
Certamente! L’eredità genetica ci ha dotati di una serie di talenti emozionali che determinano il nostro temperamento. Ma i circuiti cerebrali interessati sono straordinariamente plastici: il temperamento non è destino. Gli insegnamenti emozionali che apprendiamo da bambini a casa e a scuola plasmano i nostri circuiti emozionali: ciò significa che l’infanzia e l’adolescenza sono una grande opportunità per stabilire le inclinazioni emozionali che governeranno la nostra vita. Un’inchiesta a livello mondiale tra genitori e insegnanti ha rivelato che la tendenza nell’attuale generazione di bambini è quella di un maggior numero di problemi emozionali (i giovanissimi sono più soli, depressi, ribelli e aggressivi) rispetto a quella precedente. Se un rimedio esiste, personalmente sono convinto che sia da cercare nel modo in cui prepariamo i nostri figli alla vita. Attualmente, l’educazione emozionale dei nostri giovani è lasciata al ca-
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L’intelligenza emotiva ci porta a vedervi e sentirci come l’altro...
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L’arte di ascoltare, di cooperare e di sintonizzarsi con l’altro può essere appresa.
Per saperne di più: Goleman ha pubblicato presso Rizzoli vari testi scientifici, quali: “Forza della meditazione”, “Lavorare con intelligenza”, “Menzogna, autoinganno, illusione”.
so, mentre la soluzione sta in un nuovo modo di considerare ciò che la scuola può fare per educare l’individuo come persona – insegnando comportamenti essenziali come l’autoconsapevolezza, l’autocontrollo e l’empatia, l’arte di ascoltare, di risolvere i conflitti e di cooperare. Le passioni, quando ben esercitate, hanno una loro saggezza; esse guidano il nostro pensiero, i valori, la nostra stessa sopravvivenza. - L’intelligenza emotiva è collegata all’empatia: come definiresti quest’ultima? L’empatia è la capacità di sentire come si sente un altro essere umano e si basa sull’autoconsapevolezza: quanto più aperti siamo verso le nostre emozioni, tanto più abili saremo anche nel leggere i sentimenti altrui. Ma raramente le emozioni dell’individuo vengono verbalizzate; molto spesso vengono espresse attraverso altri segnali. Così la chiave per comprendere i
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sentimenti altrui sta nella capacità di leggere i messaggi che viaggiano su canali di comunicazione non verbale: il tono della voce, i gesti, l’espressione del volto… Sono assolutamente non-empatici, ad esempio, i criminali psicopatici, gli stupratori o i molestatori. Le nuove scoperte scientifiche insegnano che se cercheremo di aumentare l’autoconsapevolezza, di controllare i nostri sentimenti negativi, di conservare il loro ottimismo, di essere perseveranti nonostante le frustrazioni, di aumentare la capacità di essere empatici e di prenderci cura degli altri – se quindi presteremo attenzione all’intelligenza emotiva – potremo sperare in un futuro più sereno! - Ma come possiamo applicare il concetto di empatia al nostro mondo reflessologico? Risponde Patrizia Ferrari, personal coach nell’ambito della crescita personale: “Empatia significa entrare in connessione con l’altro e trasmettere qualcosa di più che un semplice massaggio terapeutico al piede, vuol dire andare oltre il gesto meccanico – che diversamente rimarrebbe fine a se stesso – per comunicare profondamente e totalmente, stabilendo un contatto energetico e trasmettendo un messaggio di crescita, fiducia, rassicurazione sia con le nostre parole che con il nostro corpo. Significa, anche, rendere il cliente consapevole dei suoi blocchi in modo che possa modificare il suo comportamento così da guarire per sempre!”
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Letture per l’anima “L’ARTE DELL’EQUILIBRIO. RICORDARE A SE STESSI IL LINGUAGGIO DIMENTICATO PER PARLARE ALLA MENTE E AL CORPO” di Osho - Bompiani - 15 euro
“S
ono qui per sedurti all’amore per la vita”, recita nel suo libro Osho (1931-1990), il grande alchimista della trasformazione. E lo recita insegnandolo in un testo che ci porta sempre più dentro noi stessi, alla ricerca dei messaggi del corpo, nostri alleati nella meravigliosa arte di lasciarci andare, semplicemente, a quello che siamo, riscoprendo le nostre preziose risorse interiori. Così il grande maestro che ha dedicato la sua vita al risveglio della consapevolezza svela in questo testo, di recente pubblicazione, “L’arte dell’equilibrio”, come ricordare a se stessi il linguaggio dimenticato per parlare alla mente e al corpo. Un linguaggio semplice, che ci riporta al mondo naturale, alle nostre origini, alle radici dell’essere anziché al fare o all’avere e che ci insegna a decodificare i condizionamenti negativi nei confronti della vita, come scrive lui stesso: “L’unico impegno reale, il solo dovere, la sola responsabilità primaria che hai è essere felice: fanne una ragione! Se non sei felice, non importa ciò che fai, in un modo o nell’altro qualcosa deve essere fondamentalmente sbagliato e occorre un cambiamento drastico. Lascia che sia la felicità l’elemento su cui fondare una scelta”.
“IL CATECHISMO BUDDISTA” di Subhadra Bhikshu - Bompiani - 6 euro
“L
’eterna continuità del divenire dei buddisti è in fondo la teoria elettro-magnetica della materia. La natura della realtà fisica non è materia statica, ma energia vibrazionale, che radia onde. Per i buddisti, infatti, l’esistenza è trasformazione” esordisce Franco Battiato nell’introduzione di questo best seller. E difatti “il catechismo buddista”, comparso per la prima volta in Germania nella seconda metà dell’Ottocento, fu più volte ristampato e tradotto nei maggiori paesi europei. Misterioso è il suo autore, un monaco, che espone brevemente circa 170 domande e risposte su una delle religioni più importanti del mondo, approfondendole con note ricche di citazioni tratte dai testi sacri del buddismo antico. Un testo affascinante, ricco di riferimenti storici, leggende e scorci di un mondo sempre lontano ma sempre vicino, che espone in toni avvincenti la vita del Buddha, il risvegliato, i cardini della sua dottrina e la regola monastica.
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Il fondamento della libertà umana di Giacomo Riva
o Riva Giacom
Autocoscienza e capacità di scelta: caratteristiche essenziali della specie umana
In ogni organismo vivente esiste una reazione emozionale e, di conseguenza, una coscienza o consapevolezza che le ha dato origine. Un animale è capace di valutare le difficoltà della situazione che sta vivendo, alla luce della sua esperienza passata per poi giungere ad un’appropriata linea di azione, che è qualcosa di più di una risposta stereotipa istintiva. E ogni nuovo comportamento appreso può coinvolgere un gran numero di reazioni emotive. Lo stesso procedimento si trova anche nell’uomo, ma un elemento lo distingue dall’animale: l’autocoscienza. L’autocoscienza è una delle caratteristiche fondamentali, probabilmente la più essenziale, della specie umana ed è una novità nell’evoluzione, dato che le specie biologiche dalle quali l’umanità è discesa possiedono soltanto rudimenti di autocoscienza. Ebbene, l’esperienza cosciente è fondamentalmente inseparabile dalla sua finalità: quella di capire noi stessi. Arrivare a conoscere innumerevoli cose, fatti, eventi presuppone uno sforzo della nostra coscienza, che così si allarga. La realtà primaria da noi sperimentata è proprio il nostro essere coscienti, come soggetti di conoscenza. L’esperienza cosciente consiste innanzitutto nel fatto che l’Io, sog-
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getto cosciente è un essere cosciente. Nel momento in cui il soggetto capisce, per esempio, la natura neurofisiologica del cervello, contemporaneamente a questa comprensione si rende anche conto di essere proprio lui a comprendere, in quanto soggetto cosciente. All’interno della sfera delle consapevolezze, l’uomo ne porta in sé una decisiva: quella della morte. Solo l’uomo è afflitto dall’inevitabilità della morte e questo a causa della sua autocoscienza. Proprio la consapevolezza del terribile problema della morte ha originato i miti e le religioni, sviluppatisi quale tentativo di risposta di fronte all’ineluttabilità della realtà biologica che si conclude con la morte. La rimozione di questa coscienza, l’incapacità dell’Io cosciente di accettare la morte, genera l’inquietudine e l’angoscia. Ma l’esperienza dell’autocoscienza ci conduce a un altro elemento peculiare dell’uomo: l’unicità che emerge dal suo essere cosciente. Il dato di esperienza comune a tutti gli uomini rivela l’esistenza di un’unicità mentale, soggettivamente percepita e riconosciuta come una continuità, a partire dai più remoti ricordi di ciascuno. E’ la base del concetto di “sé”. Eccles afferma: “L’unità è la mia più grande esperienza; anche se so che sono in costante cambiamento e tutto in me si rinnova nella sua sostanza, tuttavia c’è la mia
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identità, la mia coscienza di essere essenzialmente lo stesso di vent’anni fa. Benché sia cambiato molto, la continuità della mia identità è rimasta integra”. L’unità fa sì che tutte le esperienze coscienti della vita di ciascuno vengano assimilate dall’Io. Anche nelle esperienze inconsce, nei sogni, nel gioco dell’immaginazione… il soggetto principale è l’Io consapevole di essere soggetto cosciente che rimane sempre se stesso pur nella varietà innumerevole dell’esperienza. “Il mio Io esperimentante è l’unica realtà che conosco per comprensione diretta; tutto il resto è una realtà riflessa o derivata” – afferma Ecles. La funzione della mente consciadi-Sé è quella di unificare non solo le nostre esperienze interne, ma anche la nostra comprensione frammentaria del mondo esterno. E qui si inserisce un altro duplice elemento proveniente dall’unicità della coscienza del Sé o mente conscia di Sé. L’Io cosciente, unificante in sé le esperienze, opera una scelta. Alcuni dati vengono assunti ed elaborati, altri lasciati. Vi sono dunque delle esperienze che assumono valore in quanto hanno un significato per l’Io cosciente che le unifica. E nell’unificarle opera una selezione, compie una scelta, cioè è libero di accogliere l’uno o l’altro valore tra i tanti che si presentano alla sua attenzione. Il riconoscimento di un valore e di una scelta, cioè la libertà di fronte a tanti possibili valori, sono due
componenti peculiari dell’autocoscienza. La scelta dei valori personali è una prerogativa peculiare dell’uomo. I valori vengono selezionati in modo soggettivo e sono la base dei nostri criteri di giudizio e delle nostre scelte. In questo senso ogni uomo ha una sua scala di valori, che vengono appresi come si apprende un linguaggio. Nel caso dell’evoluzione culturale, molti valori possono essere sorti a livello individuale; selezionati nel corso degli anni come validi per l’intera comunità, essi vengono tramandati e diventano tradizione; quest’ultima, a sua volta, viene arricchita di altri elementi. Ed è questo un processo fondamentale per l’intera umanità!
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L’autocoscienza, caratteristica fondamentale della specie umana rispetto agli esseri umani.
Chi intendesse acquistare i testi di Giacomo Riva, può contattare il numero telefonico 036341770.
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Perdere il contatto col mondo esterno di Maria Catena Virzi Reflessologa
I irzi atena V C ia r a M
Un forte e costante mal di testa porta Marida lontano dalla realtà. La reflessologia l’aiuta a riacquistare la normalità
l contatto con il mondo esterno ci dà la possibilità di continuare a crescere nella vita, di imparare, di rapportarci, ci dà la possibilità di avere delle soddisfazioni, di dimostrare le nostre forze, di esprimere noi stessi. Se questo contatto manca, ci troviamo ad essere esclusi dal mondo, dalla vita; ci sembra di essere abbandonati e la vita ci appare più ostile del dovuto. A volte sentiamo che il mondo ci sta crollando addosso. Tutto sembra impossibile, e anche le più piccole azioni diventano insormontabili. Perdere il contatto con il mondo esterno ci può capitare in diversi modi. Uno di questi può essere un forte e costante mal di testa che ci isola dalla realtà. È il caso che propongo alla vostra attenzione e che sto trattando reflessologicamente. Marida è una ragazza di 18 anni che vive con la madre e la nonna. La situazione famigliare spesso è tesa, Marida dedica le sue energie allo studio e raggiunge ottimi risultati, ma ultimamente fa molta fatica a causa di episodi di forti mal di testa. Questi sono iniziati in seguito ad un incidente stradale, in cui aveva subito un trauma alla zona lombare e a quella cervicale. Da quel momento le crisi - di quella che in ospedale è definita una combinazione di cefalea emicranica prece-
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dente al trauma e cefalea muscolotensiva dovuta all’irrigidimento della colonna cervicale e alla conseguente difficoltà del sangue di raggiungere il cervello - aumentano di intensità e frequenza. A Marida sono prescritti psicofarmaci con lo scopo di alzare il livello di serotonina e diminuire così, indirettamente, il forte dolore insopportabile durante i momenti di crisi. La ragazza non è soddisfatta della cura, poiché avverte un malessere generale in seguito all’assunzione dei medicamenti ma il medico insiste per proseguire sulla stessa linea, fino a quando un’improvvisa reazione allergica porta Marida al Pronto Soccorso. Il corpo ed il viso sono ricoperti di ponfi che gonfiano a vista d’occhio, la ragazza fa un’estrema fatica a respirare perché anche la gola è gonfia. I medici intervengono prontamente con antistaminici e cortisone. Ed è a quel punto che Marida e sua madre decidono di affidarsi alla reflessologia. Ricerca visiva e tattile. I piedi si presentano flaccidi, sudaticci, di colore biancastro. La zona riflessa del cuore appare di colore rosato molto pallido, come pure la zona del tallone. Al tatto i piedi sono dolenti a tal punto che decido di non fare la ricerca, bensì di procedere subito con un trattamento di rilassamento. Spiego a Marida come funziona la Reflessologia e le propongo
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Reflessologia
di fare due sedute alla settimana, che lei accetta di buon grado. Trattamento: per le prime quattro sedute ho cercato di rilassare Marida con questo percorso; Respirazione, Sfioramenti rilassanti, Apparato urinario, Plesso Solare, Vago 1 e 2, Frenico 1 e 2, Sistema Linfatico, Intestino in toto, Testa in toto, Ghiandole endocrine, Colonna. In un secondo momento ho inserito nel percorso anche i punti del trigemino e del facciale. Per Marida i tempi sono lunghi ma ci mette molta volontà, gli episodi di cefalea diminuiscono di frequenza. L’intensità è ancora forte, ma grazie all’assunzione di prodotti omeopatici, che il dottore gli ha prescritto in caso di crisi, il dolore è più sopportabile. Dopo la sesta seduta Marida riferisce che alla notte dorme meglio, e questo le permette di essere più
concentrata nello studio. Dopo l’ottava seduta Marida ha una forte crisi asmatica che viene sedata con un pronto intervento reflessologico. Alla nona seduta Marida riferisce che dopo il trattamento si sente più leggera e più in armonia con se stessa. Al termine del ciclo di dodici sedute Marida è ancora colta da crisi di cefalea, ma i risultati ottenuti dai trattamenti di reflessologia le permettono di affrontare i quotidiani problemi della vita senza costringerla a letto, incapace di ogni contatto col mondo esterno e senza l’assunzione di farmaci. Dopo una pausa di due mesi Marida si sta sottoponendo a una seduta alla settimana, perché punta ad uscire completamente da questo tunnel e ritornare, quindi, alla normalità!
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Psicologia
Cambiare insieme di Luigi Mastronardi
U rdi astrona M i ig u L
Il rapporto di coppia può migliorare: ecco come
no dei problemi delle coppie in crisi è la ferma convinzione che le cose non possano mai migliorare. Questa convinzione porta con sé una sensazione di impotenza e impedisce di mettere in atto delle strategie di cambiamento volte a ritrovare il benessere nella coppia. E’ stato invece osservato che basta che uno solo dei due cominci ad effettuare qualche cambiamento in meglio perché il rapporto ne tragga giovamento; inoltre, il cambiamento di uno dei due partner provoca dei cambiamenti anche nell’altro. Certo non è facile iniziare il cambiamento. Quello che può succedere quando si prende in considerazione l’idea di cambiare è che ci troviamo di fronte ad una serie di atteggiamenti mentali che indeboliscono la nostra motivazione. Raramente queste opinioni risultano valide. Vediamo, quindi, quale può essere il modo per affrontarle: 1) “Il mio partner è incapace di cambiare”. Questa asserzione è praticamente sempre sbagliata. Non esistono persone incapaci di cambiare. Il nostro sistema nervoso centrale è organizzato in maniera tale da spingerci all’apprendimento di modi di vedere e strategie sempre nuovi. I nuovi schemi di pensiero o modelli di comportamento che aumentano il piacere e diminuiscono la sofferenza sono destinati a soppiantare quelli vecchi. Quindi, se
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nell’ambito del rapporto di coppia si riescono a sperimentare modi di vedersi e di comportarsi più soddisfacenti dei precedenti, ci ritroveremo quasi automaticamente ad utilizzare queste nuove modalità. 2) “Non c’è nulla che possa modificare il nostro rapporto”. Questa è un’affermazione forte che può essere verificata. Cominciamo con il mettere a fuoco quali sono i problemi specifici del nostro rapporto e creiamo un elenco di questi problemi ponendoli in ordine di difficoltà crescente. Iniziamo quindi da quello che ci sembra più facile da affrontare, sforziamoci di applicare delle strategie mirate alla risoluzione del problema e osserviamo i risultati. Di solito se si è motivati e si comincia con un problema di facile soluzione, i risultati sono positivi. E questo può indurre un pizzico di ottimismo e motivarci ad andare avanti. 3) “Le cose non faranno che peggiorare”. Il timore di essere nuovamente feriti, può renderci pessimisti e riluttanti a coinvolgerci di nuovo nella relazione (Meglio non aspettarsi più niente”). Questo atteggiamento di ritiro è senz’altro comprensibile, ma non indispensabile. Esistono sempre delle ragioni per cui vale la pena di lasciarsi nuovamente coinvolgere. Anche solo per un momento, allontaniamo da noi la cappa di pessimismo: cerchiamo di prestare attenzione agli aspetti positivi del nostro rapporto. Ci renderemo conto che sono più di
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quanto immaginiamo, anche se col tempo abbiamo finito col darli per scontati. 4) “Se abbiamo bisogno di occuparci del nostro rapporto c’è qualcosa che non va”. Innamorarsi è facile, ma per sviluppare e consolidare un rapporto occorrono riflessione e impegno. Due partner iniziano una vita in comune con modi di vivere, abitudiniche possono essere molto diversi. È necessario impegnarsi per sviluppare capacità di adattamento reciproco e trovare l’armonia nel rapporto. 5) “Ormai il danno è troppo grande”. Questa affermazione va valutata realisticamente. Fino a quando non avremo tentato qualche rimedio essenziale, non possiamo avere la certezza che il nostro rapporto sia arrivato ad un punto di rottura irreparabile. Una volta riconosciute e affrontate queste opinioni disfattiste, vediamo cosa possiamo concretamente fare per migliorare il rapporto di coppia: 1. Consideriamo gli aspetti piacevoli della relazione. Quando una coppia attraversa un periodo difficile, entrambi i partner sembrano provare una sorta di ‘amnesia’ rispetto a ciò che ciascuno ama nell’altro. I pregiudizi ci possono impedire di vedere ciò che nella coppia sta funzionando e ciò che apprezziamo nel partner. Mark Kane Goldstein, psicologo dell’Università della Florida, ha ideato un metodo semplice ma molto efficace per aiutare le cop-
pie in crisi a concentrarsi di nuovo sugli aspetti positivi del rapporto. Chiede ad entrambi i coniugi di registrare graficamente, su una carta millimetrata, tutte le azioni piacevoli del partner, attribuendo loro un punteggio da 1 a 10 a seconda della soddisfazione che hanno provocato. Goldstein ha notato un miglioramento del rapporto nel 70% delle coppie che avevano usato tale metodo. Un altro metodo consiste nell’invitare entrambi i partner (o anche uno solo dei due) ad attaccare degli adesivi in posti non visibili degli abiti dell’altro e staccarne uno ogni volta che il partner fa un gesto cortese nei propri confronti. Di solito alla fine della giornata sono stati staccati tutti… 2. Cerchiamo di intuire i bisogni reciproci e di soddisfarli, intaurando una sorta di circolo “virtuoso”, per cui il partner che nota il comportamento dell’altro volto a dargli piacere, a sua volta si sente più bendisposto nei suoi confronti e si sforza di intuire e fare ciò che può dargli piacere o sollievo. 3. Forniamo informazioni precise per guidare la condotta dell’altro. Cerchiamo di far capire al nostro partner cosa desideriamo quando usiamo termini astratti quali gentilezza, comprensione, amore. Se gli forniamo informazioni più precise, possiamo guidare la sua condotta. Tali informazioni vanno fornite nel modo più franco e diretto, senza accuse o insinuazioni. Non dimentichiamo, infine, di ‘ricompensare’ in qualche modo ogni comportamento corretto
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dell’altro (con un cenno di apprezzamento, o un bacio, ad esempio); in questo modo aumenteremo la probabilità che tale comportamento si ripeta. 4. Manifestiamo affetto, sollecitudine, calore. Non diamo niente per scontato. Facciamo sentire al partner che ciò che facciamo per lui non è un ‘dovere’, bensì è frutto del sentimento. 5. Accettiamo il nostro partner. Il che non significa diventare ‘ciechi’ rispetto ai difetti dell’altro, quanto pensare che si può lavorare insieme per migliorare. L’ergersi a giudice del nostro compagno non ha altro effetto che farlo mettere sulla difensiva, rendergli difficile il lasciarsi andare e fidarsi di noi. 6. Siamo sensibili ed empatici. L’attenzione e la partecipazione empatica ai timori e alle difficoltà del partner è essenziale per ridurre sofferenze inutili. Se ci sembra che il nostro partner reagisca in maniera eccessiva a determinati nostri comportamenti, anziché criticarlo e mantenerci sulla difen-
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siva, cerchiamo di fermarci a considerare quale potrebbe essere il problema sotteso al suo atteggiamento. Proviamo ad esaminare con molto tatto, insieme a lui, quali potrebbero essere i suoi timori o le sue preoccupazioni segrete. Resistiamo alla tentazione di attribuire ogni sua reazione esagerata a qualche sgradevole tratto del carattere e cerchiamo di vederla come il segnale di una vulnerabilità nascosta. 7. Usiamo comprensione: mettiamoci nei panni dell’altro. 8. Coltiviamo l’intimità. Coltivare l’intimità significa: rivelarsi i segreti più riposti; fare insieme le piccole cose di ogni giorno; ritagliare spazio e tempo per i rapporti sessuali. 9. Offriamo sostegno. Diamo al nostro partner un senso di sicurezza, facendogli capire che può fare affidamento su di noi nei momenti difficili. Se pensiamo che il nostro rapporto sia in crisi, non perdiamo tempo ad incolparci a vicenda. Non importa stabilire chi abbia torto o ragione, ma mettere in atto nuove strategie atte a consolidare il rapporto. Naturalmente può capitare che uno dei due partner o entrambi presentino dei tratti di personalità tali da rendere davvero ardua la convivenza. Ma di questo potremo renderci conto solo dopo esserci sforzati davvero di migliorare le cose. E anche in questo caso, non diamoci per vinti. Se siamo davvero motivati, con l’aiuto di un professionista e il nostro impegno, potremo farcela!
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Psicologia
Scoprire se stessi danzando di Manuela Mancini
“C
osa potrebbe accadere se invece di costruire la nostra vita avessimo la follia – o forse la saggezza – di danzarla?” scrive Roger Garaudy in “Danzare la vita”. Ebbene, certamente se vivessimo la vita come se fosse una danza, questo la renderebbe più sacra ai nostri occhi e restituirebbe un senso, forse un più profondo significato ai nostri “movimenti” umani… Danzare e sentirci una cosa sola col resto del mondo, perderci in un abbraccio eterno e avvolgente, vibrare come le corde di un’arpa alle infinite sinfonie della vita: questo e non solo è la Biodanza. Letteralmente “danza della vita” (dal greco bios = vita), è un’attività di gruppo basata sul libero movimento del corpo e sulla musica, per stimolare la creativa espressione di ciò che siamo e l’incontro con se stessi e gli altri. “Si tratta di una serie di esercizi accompagnati dalla musica ed eseguiti in profondo contatto con la nostra emozionalità” spiega Anna Maria Ciccia, insegnante di Biodanza. Ma non solo: la Biodanza è un percorso di integrazione affettiva attraverso il contatto - prima di tutto con se stessi e poi con gli altri - che favorisce il rilassamento e l’integrazione tra mente e corpo, la creatività, la fiducia e
l’energia vitale. Ideata negli anni ’60 dallo psicologo e antropologo cileno Rolando Toro, questa tecnica è ora diffusa in tutta Europa e in Sud America ed è basata sulla danza come movimento naturale connesso all’emozione e pertanto pieno di significato, di anima, di sensazioni. Danza come libera e originaria forma di espressione umana (come è sempre stata nel corso dei millenni) e non come danza strutturata, estetica. Infatti per praticarla non è assolutamente necessario saper danzare. “Per fare Biodanza ® - esordisce Viviana Ricciardi, insegnante e tutor di Biodanza ® - è sufficiente avere voglia di muoversi, di incontrare se stessi e gli altri in un clima divertente e accogliente, privo di giudizio, che aiuta i partecipanti a sentirsi a proprio agio, ad esprimersi in modo più autentico”. Ma come? La Biodanza® propone ad ogni lezione una sequenza di esercizi-danze accessibili a tutti, individuali, in coppia e in gruppo, che stimo-
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Biodanza®, per stimolare gioia di vivere, benessere e vitalità attraverso i movimenti naturali del corpo.
Viviana Ricciardi, insegnante di Biodanza, con Rolando Toro, l’inventore di questa disciplina.
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Un momento di “Biodanza”
lando il piacere di essere se stessi, favorendo l’incontro e la profonda sensazione di essere vivi “qui e ora”. Normalmente una lezione di Biodanza® dura circa 120 minuti e comprende una breve parte teorica iniziale che introduce il tema della lezione e poi la parte pratica che si compone dalle danze che il conduttore propone, spiegandone le finalità e facendone una dimostrazione. La metodologia prevede un incontro settimanale, in quanto una settimana è il tempo fisiologico per lasciar fluire le energie stimolate durante ciascuna lezione. I corsi sono strutturati in due parti: una prima parte (circa 4-6 lezioni) che favorisce l’integrazione del gruppo, cioè stimola il senso di appartenenza e la costituzione di un ambiente protetto (il gruppo), all’interno del quale ciascun partecipante possa sentirsi libero di esprimersi, senza imbarazzo e senza giudizi, accettato e supportato nel suo percorso. Una seconda parte dove si lavora in maniera più specifica sull’integrazione affettivo-motoria, l’espressione dell’identità e l’approfondimento delle funzioni vitali come la Vitalità, la Sessualità, la Creatività, l’Affettività e la Trascendenza. “Obiettivo della Biodanza è riscattare il senso della Vita proponendo una cultura per la vita, una nuova visione del mondo e dell’esistenza. La Biodanza è basata sulla percezione della Vita come esperienza suprema”, ribadisce l’ideatore Rolando Toro.
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Il corpo vibra insieme alle emozioni… “Ecco perché – continua l’insegnante Viviana Ricciardi - è molto efficace anche con persone che presentano handicap fisici e difficoltà motorie. È come immaginare un bambino ai suoi primi passi: la motivazione a camminare è andare incontro ai genitori, andare a scoprire il mondo, sentirsi autonomi. Non è un gesto meccanico, ma nasce dall’interno“. In Biodanza® lo stimolo è esattamente lo stesso: ogni musica, selezionata con cura, suscita un vissuto profondo e stimola il movimento. Gli effetti sono quindi quelli di migliorare la motricità, di renderla più integrata a livello corporeo (movimento armonico e naturale di tutte le parti del corpo) e a livello psichico, cioè armonizzare il movimento con il sentire, il pensare e il desiderare. Scoprire i propri talenti “a suon di musica” La Biodanza® stimola l’espressione delle nostre risorse in maniera integrata, armonica e progressiva. Tutti noi abbiamo dei potenziali che esprimiamo, in maniera più o meno consapevole, nel corso della nostra esistenza. Ma é provato scientificamente che i potenziali che vengono effettivamente espressi da ciascun individuo sono una percentuale molto bassa rispetto a quelli totali. La Biodanza ® ne favorisce l’espressione e la consapevolezza, attraverso continui e progressivi sti-
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Body & Soul
moli positivi. Secondo Rolando Toro, i potenziali umani sono raggruppabili in cinque funzioni vitali fondamentali che ha così definito: • Vitalità cioè salute, impeto vitale, allegria. E’ legata alle prime esperienze di movimento e di sensazione dell’energia. • Sessualità cioè ricerca del piacere sessuale e in senso lato, istinto sessuale, riproduzione, legata al tipo di contatto fisico ricevuto nell’infanzia. • Creatività cioè innovazione, fantasia, trasformazione. Dipende dalla nostra libertà di esplorare il mondo e di rinnovare la nostra vita. • Affettività cioè amore, amicizia, altruismo, empatia, dipende dal senso di sicurezza e nutrimento trasmesso da chi ci ha accudito. • Trascendenza cioè legame con la natura e con tutto ciò che è vivente, stati di espansione di coscienza, armonia con quello che ci circonda e partecipazione all’ambiente. La Biodanza®: un percorso di trasformazione esistenziale In quest’ottica, quindi, la Biodanza® attiva un processo di trasformazione esistenziale che valorizza la parte sana di ciascun individuo armonizzando le nostre parti affettive con quelle più motorie e fisiche, riportandoci al benessere, al piacere di vivere, alla capacità di comunicare con gli altri e di amare ed essere amati. “E’ ormai riconosciuto il legame
tra sistema nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario. La Biodanza ® stimola il sistema neurovegetativo (la parte del sistema nervoso autonomo che presiede alle funzioni vitali involontarie come il battito del cuore, la peristalsi intestinale, la digestione…) e il sistema limbico-ipotalamico (il centro di stimolazione di istinti ed emozioni), attraverso stimoli positivi che si riflettono sul benessere globale dell’organismo. Quali sono allora le applicazioni della Biodanza? Questo sistema è adatto a tutte le età: bambini, adolescenti, adulti, anziani, persone portatrici di handicap fisici e mentali e soggetti affetti da morbo di Parkinsons e Alzheimer, grazie alla forza induttrice della
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Body & Soul
• rafforza la fiducia in se stessi e l’autostima • stimola e migliora la capacità di comunicazione • aiuta ad agire in modo coerente con il proprio sentire.
musica, che agisce sui nostri talenti e risorse inespresse, fornendo stimoli positivi. La metodologia La Biodanza® utilizza tre strumenti fondamentali: la forza induttrice della musica, il piacere del movimento naturale del corpo e l’emozione dell’incontro sensibile con se stesso e con gli altri. Ogni lezione di Biodanza® è un percorso realizzato in gruppo, nel corso del quale il conduttore propone musiche ed esercizi-danze di facile esecuzione, selezionati con cura e strutturati all’interno di un obiettivo specifico della lezione (ad esempio la vitalità, la sessualità, le relazioni...). Questi esercizi stimolano, in maniera integrata, movimenti naturali del corpo e emozioni profonde, risvegliando i potenziali inespressi. Le danze si eseguono individualmente, in coppia o in gruppo. Per saperne di più: “Biodanza. Integrazione esistenziale e sviluppo umano attraverso la musica, il movimento, l’espressione delle emozioni” di Rolando Toro (Red Ed.)
Perché la Biodanza®? La Biodanza® ottiene significativi effetti sulla salute: • eleva il livello di vitalità, gioia di vivere e la resistenza allo stress • riduce gli stati d’ansia
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Alcune delle danze proposte: Danze ritmiche, che insegnano a “stare a ritmo”, cioé ad essere nella vita reale e affermare la propria identità, Danze espressive che stimolano la libera espressione di ciò che siamo, Danze di identità, per favorire l’autostima e la sicurezza in se stessi avvicinandoci a energie come la forza, il valore, l’opposizione armonica, Danze di fluidità, che stimolano movimenti molto rallentati e continui, per collegare e integrare tutti gli aspetti opposti, per accettare, fare pace, adattarsi, Danze di rallentamento e regressione, che portano a uno stato di rilassamento, contatto con se stessi, intimità, sensibilità e riflessione, Danze di comunione, per stimolare il contatto con altri, il senso di fiducia e sostegno, Danze creative, che hanno l’obiettivo di stimolare la creatività non solo artistica ma soprattutto esistenziale, per osare e rompere gli schemi, Danze di contatto, che stimolano la capacità di entrare in contatto con l’altro, per recuperare il valore affettivo delle carezze, degli abbracci e favorire il senso di autostima e riconoscimento.
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Sport & Vita
Integratori fra necessità e moda
L’
alimentazione coinvolge aspetti nutrizionali, aspetti relativi all’età e aspetti relativi ad eventuali patologie in essere. In ambito sportivo, l’alimentazione deve essere modulata sulla semplice attività fisica, sul periodo di allenamento e sotto prestazione. Sebbene lo sport possa essere praticato sempre, è da tenere ben presente che, in presenza di patologie, diventa davvero fondamentale una valutazione complessiva del praticante, al fine ovviamente di evitare controindicazioni assolute. Per dieta si intende correttamente quello che si assume, e non la restrizione calorica cui ci sottoponiamo ad esempio per dimagrire, per contrastare alcune patologie, o anche per rientrare in categoria di peso come si fa in alcuni sport, quali il pugilato, la
lotta e il sollevamento pesi. E’ chiaro che le necessità caloriche sono da commisurare all’attività sportiva, agonistica od amatoriale. Di fatto, i supplementi dietetici e gli integratori rispondono più ad un fine ergogenico, che ad un’alimentazione equilibrata. Se per ergogenica intendiamo una sostanza che migliora la capacità fisica di lavoro e le funzioni fisiologiche, possiamo anche estenderne l’uso in ambito sportivo, perché se aumenta la capacità di lavoro può aumentare il livello di prestazione atletica. Vediamo ora gli effetti, veri e presunti, delle sostanze che vengono assunte come integratori. I carboidrati vengono utilizzati per un’integrazione energetica, soprattutto per le attività prolungate e ad alta intensità; ma in effetti il fruttosio, uno dei carboi-
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Federico Merisi
Alcuni supplementi dietetici ci possono sostenere, altri sono inutili o dannosi
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Sport & Vita
drati più comuni, assunto prima della gara per ottenere una maggiore quota di energia pronta, può causare disturbi gastroenterici, mentre le maltodestrine hanno un assorbimento più lento rispetto al glucosio, per cui non hanno un effetto rapido. I lipidi, utilizzati negli sport aerobici e molto intensi per risparmiare le scorte di zuccheri, hanno effetti modestissimi, con conseguenze collaterali importanti quali crampi e diarrea. L’utilizzo di aminoacidi, i costituenti delle proteine, ha dato luogo a risultati discordanti, proponendo addirittura molta cautela per escluderne gli effetti nocivi. E’ infatti noto come l’eccesso di proteine possa provocare sovraccarico renale. Anche la quota di aminoacidi ramificati, da qualche tempo molto di moda e molto utilizzati, può essere assunta con una corretta alimentazione, fatta salva l’intensità, la durata, il tipo di esercizio e il livello di allenamento dell’atleta. Per quanto concerne le vitamine, le dosi terapeutiche vanno somministrate solo in stato di effettiva carenza, fermo restando che la loro integrazione non aumenta la resistenza allo sforzo, né migliora la performance. Diverso è invece integrare la perdita di liquidi dovuta a sudorazione abbondante; la disidratazione può compromettere l’efficienza fisica, ma la reidratazione deve tener conto del clima e del tipo e della durata della performance. Il reintegro deve essere
effettuato in modo adeguato nel recupero dopo l’esercizio fisico. Ci sono poi altre sostanze che si suppone abbiano un’azione di sostegno metabolico e funzionale. Ne citiamo alcune, quelle più conosciute. La l-carnitina, che troviamo nella carne e nei formaggi, è utilizzata a scopi energetici, ma per l’uso come integratore i risultati sono contrastanti, anche se probabilmente limita la produzione di lattato, ritardando la fatica. La creatina, che troviamo nella carne di maiale, di manzo e nel pesce, è il supplemento nutrizionale più usato, perché fornisce legami ad alta energia per produrre ATP da ADP, e cioè per produrre energia nei primi secondi di uno sforzo intenso. In realtà, non ci sono conclusioni definitive sul suo utilizzo, anche con cautela, per effettiva capacità di migliorare la performance. In sintesi, il principio fondamentale e inamovibile è la tutela della salute. Da ciò deriva l’osservanza di massima cautela nell’uso di integratori alimentari a finalità sportiva. “Guariniello vigila...”
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