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DIESEL ANCORA IN DISCESA E DECOLLANO LE IBRIDE

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TRIBUTI

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DIESEL ANCORA IN DISCESA E DECOLLANO LE IBRIDE

Ricerca Anfia. In Europa prendono quota le alimentazioni alternative (gas compreso).

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Molto rumore, e da tanti anni, sulle nuove auto a batteria, al punto che gli automobilisti non sanno più cosa pensare: nei sondaggi dichiarano che sarà la prossima auto e poi vanno regolarmente sul motore termico. Ben venga allora lo studio di Anfia, l’associazione dell’industria automobilistica, che fa il punto sulle vendite e sui trend in Europa, alla luce del primo trimestre dell’anno.

Il fenomeno principale è il calo del diesel, passato dal 38 al 32% delle vendite sotto la spinta dei divieti annunciati da alcune importanti città, le cui amministrazioni ritengono così di limitare drasticamente le emissioni di polveri sottili e ossidi di azoto. I dati scientifici smentiscono, ma non pare abbiano corso legale di questi tempi. L’Italia è il secondo Paese, dietro l’Irlanda, per quota di immatricolazioni diesel (il 44% del totale). Tra i grandi mercati, seguono Francia e Germania col 35 e 33% rispettivamente e appena sopra la media europea, mentre la Spagna e il regno Unito stanno più in basso, al 28 e al 27%. Su tre persone che in Europa, rispetto a un anno fa, non scelgono il diesel come nuova auto, due optano per una macchina a benzina, la cui penetrazione sulle vendite è passata dal 55 al 59%. In questa motorizzazione l’Italia si colloca nella parte bassa, ultima tra i grandi mercati col 43% di penetrazione sulle vendite. Praticamente in linea con la media europea Francia e Germania, mentre la Spagna è sopra il 61% e il Regno Unito sfiora il 67%.

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Le motorizzazioni alternative hanno raccolto due punti di quota, passando dal 7 al 9% delle vendite, pari a 376mila macchine nei primi 3 mesi dell’anno. Però sotto questa etichetta ci sono propulsori assai diversi tra loro, per tecnologia e perché vanno a soddisfare bisogni differenti degli automobilisti, tanto che ha poco senso tenerli insieme. Ci sono infatti le macchine ibride ed elettriche, insieme alle auto a gas (metano e GPL), di cui sono ghiotti gli italiani – tre su quattro le compriamo noi, perché si risparmia sul pieno. Le vendite di queste ultime nel trimestre sono in flessione, ma bisogna segnalare che ci sono forti ritardi in produzione per molti costruttori.

Le auto ibride sono quelle più gettonate (parliamo comunque di meno del 5% delle vendite) perché offrono un minimo di propulsione elettrica e consentono di camminare quando le altre stanno ferme per i divieti, senza dover rinunciare alla comodità del motore termico: fai il pieno in due minuti e non ci pensi più. Esistono anche nella versione più elettrificata, le ibride plug-in, che coprono un altro 1% del mercato, ma sono in calo, forse a causa del costo eccessivo.

A fare più notizia sono le auto elettriche, sebbene siano la scelta di un automobilista su 50: 84.000 macchine immatricolate nel primo trimestre (quasi il doppio rispetto al 2018), di cui 23.000 in Norvegia. Nei cinque principali mercati, che nel complesso hanno immatricolato 36.447 auto solo a batteria, la Germania è al primo posto, con 16mila, seguita dalla Francia con 10.600 e dal Regno Unito con 6.000 unità. L’Italia è ultima con 1.200 pezzi, dietro alla Spagna, a 2.750. Secondo l’Anfia, questo segmento “è dipendente dagli incentivi, che richiedono un impegno continuo e oneroso da parte degli Stati”. Nonostante per queste auto la bilancia commerciale europea sia ancora positiva, con 2,9 miliardi di export (4,7 se contiamo la Norvegia, che è parte dell’EFTA ma non dell’UE) contro 1,6 di import (metà dalla Corea), l’associazione della filiera industria-

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le mette l’accento sulla dipendenza europea nella produzione di batterie e nell’accesso alle materie prime. L’UE sul fronte delle batterie e dei sistemi di accumulo, uno dei settori che determineranno il vincitore nella sfida sul mercato dell’automobile, deve sicuramente recuperare il ritardo rispetto ai colossi asiatici e statunitensi (che controllano quasi il 90% del mercato globale), con l’obiettivo di creare una catena del valore competitiva in Europa per evitare una dipendenza tecnologica dai concorrenti (Cina e USA).

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 18 giugno 2019

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