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LA CRISI DELLE PICCOLE IMPRESE DEPRIME IL MERCATO DEI MEZZI

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LA CRISI DELLE PICCOLE IMPRESE DEPRIME IL MERCATO DEI MEZZI

La tendenza. Pesano il costo del lavoro e la concorrenza dell’Est.

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La Polonia è il principale trasportatore d’Europa, con una quota del 18% sul totale delle merci movimentate su strada, pur rappresentando appena il 3% del PIL dell’UE. La Germania, che invece è il maggior soggetto economico, col 21% del PIL, pesa per il 16% sui trasporti. In proporzione, se la passa meglio di Francia e UK, le due seconde economie del gruppo dei 28, che hanno una quota dei trasporti del 9 e 8%, rispettivamente. L’Italia, che pesa per l’11% del PIL, trasporta il 6% delle merci. Già queste cifre macroeconomiche fanno intuire che il trasporto su gomma è un’industria dove si muovono meglio le nuove economie del continente, grazie ad alcuni vantaggi competitivi. Innanzitutto, il minor costo del lavoro, che è la seconda voce di spesa di un veicolo industriale, al 26%, dietro al carburante (30%), secondo uno studio di ACEA, l’associazione europea dei costruttori. Per dare una consistenza a questo fattore, vengono in soccorso alcuni numeri del CNR (Comité National Routier). Un autista polacco guadagna il 21% di quanto si porta a casa il suo collega italiano, trattato comunque peggio del francese, che trova in busta il 18% in più. Ma dal lato dell’impresa di trasporti le cose stanno diversamente. Non tanto nel confronto con il sistema polacco, visto che i rapporti restano pressocché invariati (il costo azienda dell’autista polacco è il 22% di quello che costa all’impresa italiana un autista), quanto piuttosto con quello francese: pur guadagnando molto di più, l’autista polacco rappresenta per la sua azienda un costo pari al 98% di quanto costa il collega italiano. Ormai da anni le aziende nazionali di autotrasporto denunciano i medesimi problemi, come principali fattori di minor competiti-

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vità rispetto alla concorrenza dell’est: la pressione fiscale, le difficoltà burocratiche e i costi di gestione, ossia appunto il costo del lavoro e del carburante e le spese di assistenza e manutenzione. Secondo un’analisi di GiPA, in media il costo di un autista in Europa è il 70% di quello italiano: si chiama cuneo fiscale, ed è un grande problema dell’economia italiana. La pressione fiscale fuori dai nostri confini poi è addirittura in media al 60%, rispetto a quella italiana. Non c’è molto che le imprese possano fare, se non subire e adeguarsi, come dichiara di fare il 56% di esse, laddove alcune parlano apertamente di delocalizzazione dell’attività all’estero. Oltre il solito cahier de doléances, a cui siamo abituati, qual è stato l’impatto di tali squilibri? Nel decennio 2008-2017, sempre secondo un’analisi di GiPA, è scomparso il 27% delle imprese di autotrasporto, pari a oltre 34mila aziende. A pagare il prezzo più alto sono stati come sempre i più piccoli, quelli che hanno fino a 5 camion, di cui ne sono scomparsi quasi 32mila. Questa moria ha eliminato 134.000 mezzi, pari al 22% del nostro parco circolante, e altrettanti posti di lavoro (dietro ogni volante c’è un autista) di cui circa 110.000 cosiddetti padroncini, autisti in proprio generalmente privi di ammortizzatori sociali. Il paradosso, tipicamente italiano, è che il settore dell’autotrasporto in prospettiva non riesce a soddisfare la sua domanda di personale specializzato. “Nei prossimi cinque anni – spiega Franco Fenoglio, presidente della sezione veicoli industriali di Unrae – mancheranno circa 15.000 autisti e 5.000 meccanici. Si tratta di profili professionali molto diversi e più preparati, a cui si chiedono mansioni sempre più sofisticate, tanto che più che meccanici andrebbero definiti meccatronici, mentre gli autisti da semplici guidatori diventano degli operatori della logistica.” In un simile scenario economico, è difficile aspettarsi una vivacità degli operatori sul fronte delle immatricolazioni, che infatti stanno ancora sotto di un quarto rispetto al 2008, nonostante il super-ammortamento (non rinnovato) e la Legge Sabatini. Un

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ricambio del parco obsoleto, che porterebbe sulle strade più sicurezza e meno inquinamento, riguarda tuttavia più i camion “in conto proprio” (che pesano la metà del parco ma hanno i due terzi dei mezzi ante Euro 4) che non le flotte e i padroncini.

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 17 luglio 2019

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