3 minute read
EMISSIONI, L’EUROPA INQUINA SOLO PER IL 10 (PERÒ SI SENTE IN COLPA PER TUTTO IL MONDO)
EMISSIONI, L’EUROPA INQUINA SOLO PER IL 10% (PERÒ SI SENTE IN COLPA PER TUTTO IL MONDO)
“L’Unione Europea oggi è responsabile solo del 10% delle emissioni di CO2 antropiche” (da attività umane – a loro volta circa il 5% della CO2 che il pianeta produce complessivamente). Lo ha ricordato Claudio Spinaci, presidente dell’Unione Petrolifera, all’assemblea annuale, citando dati dell’International Energy Agency. Questa CO2 è in buona parte riconducibile all’uso di fossili per produrre energia. Per alterare meno il clima bisogna consumare meno energia e spingere quella da fonti rinnovabili.
Advertisement
Guardando avanti al 2040, la domanda di energia mondiale è prevista in crescita del 30%, ma non in tutte le aree. Mentre il fabbisogno di Giappone e Stati Uniti rimane stabile, quello dell’UE diminuirà del 15%, grazie agli elevati standard di efficienza – tradotto: la usiamo meglio e dunque ne serve meno. Ad aumentare saranno le altre aree geografiche, Cina e India in testa. Asia-Pacifico, Africa e Medio-Oriente assorbiranno il 63% dell’energia (oggi sono al 54). La buona notizia è che metà della maggiore energia sarà da fonti rinnovabili, che copriranno il 20% del fabbisogno (oggi sono al 14). L’Italia soddisfa la sua sete di energia per un terzo col gas e un altro terzo col petrolio, mentre le rinnovabili pesano per il 20%. Come leggere questi numeri, nello scenario di fortissima attenzione ai cambiamenti climatici? Innanzitutto, stando alla larga dagli estremismi, che allontanano dall’obiettivo. Da un lato, negare l’impatto umano sul riscaldamento è insostenibile – sebbene molti studi siano in corso per misurare quanta parte di esso sia effettivamente riconducibile alle attività umane, visto che i cicli climatici ci sono sempre stati. Dall’altro, ipotizzare di tornare a
98
una vita “amish-style” è altrettanto pericoloso. Non solo perché la gente, dopo una manifestazione sotto il sole, potrebbe aprire una bottiglietta di plastica, invece di fermarsi alla fontanella, alla vecchia maniera. Ma soprattutto perché non tutte le aree del mondo condividono la medesima sensibilità e disponibilità a politiche clima-compatibili. Comprensibilmente, visto che Asia, Africa e Sud-America sono in espansione economica e demografica. Oltre alla produzione per sé devono anche sfornare quella che noi abbiamo delocalizzato, per i costi ma anche per i severi vincoli ambientali che ci siamo dati: in pratica, usiamo questi Paesi come tappeto sotto cui mettere la nostra polvere. “I problemi non vanno negati, sostiene Spinaci, ma neanche affrontati con soluzioni semplicistiche che ci porterebbero indietro di decenni rispetto al benessere raggiunto, che va esteso ad altre aree geografiche e non limitato.” La via non estremista passa, come al solito, per la crescita economica (non selvaggia) e culturale. L’osservazione del mondo dice proprio questo: l’ambiente è più maltrattato dove più basse sono le condizioni economiche e culturali.
Poi ci siamo noi, gli europei, il grande mistero. Ci poniamo obiettivi troppo ambiziosi, che da soli non possiamo oggettivamente raggiungere (perché pesiamo sempre solo il 10%), e troppo ravvicinati. Come nei limiti alle emissioni delle auto, che finiscono per indebolire e rendere attaccabile dall’esterno un’industria di punta, che dà lavoro a 3,4 milioni di persone. La pretesa è di imporre tecnologie (il motore elettrico) ancora non pronte come prodotto, oltre che prive di infrastrutture e comunque non sostenibili, finché l’elettricità sarà di provenienza fossile in maggior parte. Per tacere dell’incomprensibile guerra al motore diesel, priva di alcun fondamento scientifico.
Ma allora, come mai un popolo ad altissima scolarizzazione, che sforna geni nell’arte e nella cultura e campioni nell’industria, con gli standard di vita più elevati e una storia millenaria cui attin-
99
gere, vuole compiere scelte tanto autolesioniste quanto inutili? D’accordo, in politica oggi non abbiamo dei giganti, ma non può essere solo questo. Che sia proprio la storia, che diventa fardello? O il nostro benessere, che diventa colpa davanti alle immagini in TV? Si avverte un bisogno individuale, di non volersi accollare una responsabilità che nessuno vorrebbe reggere. Possiamo? No, secondo Churchill: “Il prezzo della grandezza è la responsabilità”.
Articolo pubblicato su il Giornale, il 23 giugno 2019
100