Bollettino Settembre

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n° 32 settembre - novembre 2012

amminiamo insieme C Periodico della ComunitĂ dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato


Sommario

Camminiamo insieme

Periodico della Comunità parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato N.32 settembre - novembre 2012

Hanno collaborato a questo numero: Mons. Mario Stoppani, don Claudio Chiecca, P. Aldino Cazzago, P. Sergio Targa, P. Matteo Fogliata, Elena Cavenaghi, Mirta Festa (A.C.), Silvana Brianza, Caritas parrocchiale, Commissione di Pastorale familiare. Contributi di Papa Benedetto XVI, Conferenza Episcopale Italiana, Mons. Vincenzo Paglia Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, Marco Ventura, Card. G.F. Ravasi, Pasquale Ionata (Città nuova), Mons. Sandro Galli, Giannetto Vanzelli Fotografie Erika Zani Segreteria Agostina Cavalli Impaginazione Giuseppe Sisinni

In copertina Icona russa La Madonna di Kazan’ Russia centrale - Metà XIX secolo Storia e leggenda La Madonna di Kazan’ (Kazanskaja Bogomater) è, fra le immagini mariane russe, forse la più diffusa in assoluto; la sua enorme fortuna si collega probabilmente all’importante ruolo che la tradizione le attribuisce in momenti drammatici della storia del paese. L’immagine, si tramanda, si manifestò prodigiosamente nel 1579, quando una bambina di nove anni, Matrona Onucina (poi monaca con il nome di Mavra), vide in sogno la Madonna. La sua città, Kazan’, aveva appena subito un grave incendio, e la Vergine le ordinò di dissotterrare dalle rovine della casa bruciata, nel posto indicatole, una sua icona ed onorarla. L’immagine fu trovata, avvolta in vecchi stracci; probabilmente era stata sepolta molti anni prima, durante la dominazione tartara, quando i cristiani erano spesso perseguitati. L’arcivescovo di Kazan’ portò l’immagine in processione solenne, dapprima in una vicina chiesa di S. Nicola, poi nella cattedrale dell’Annunciazione. L’icona si rivelò subito miracolosa, e divenne celebre soprattutto per numerose guarigioni di ciechi. Lo stesso anno una copia dell’immagine fu inviata a Mosca, allo zar Ivan il Terribile, che venticinque anni prima aveva annesso Kazan’ al regno di Russia, ponendo fine alla dominazione tartara e ristabilendovi la religione ortodossa. Fino al 1612 la Madonna di Kazan’ era venerata praticamente soltanto nella regione di origine, e la sua festa si celebrava il giorno 8 di luglio, nell’anniversario del prodigioso rinvenimento. Ma ben presto l’icona si circondò della fama di altri miracoli, che la videro protagonista di avvenimenti di portata nazionale. Dopo la morte di Ivan il Terribile e il breve regno del figlio Fedor, si estinse la dinastia di Rjurik ed iniziò il cosiddetto “periodo dei torbidi”, che portò disordine e decadenza nel paese privo di un sovrano. In quegli anni tormentati, a capo della Chiesa russa era il patriarca Ermogen, particolarmente devoto all’icona della Madonna di Kazan’ ed egli stesso autore del servizio liturgico in suo onore e della Leggenda sulla sua apparizione. prof. Cinzia De Lotto

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Sommario 3 4 8 11 15 18 20 27 33 41 45 50

Lettera del Parroco Ripartire è come rinascere

Vita in Parrocchia Otto anni insieme

Con la Chiesa La porta della fede

Con la Chiesa I nuovi peccati contro la società

Con la Chiesa La Chiesa dopo il Concilio

Formazione biblica Il corpo secondo le Sacre Scritture

Spazio missioni Far riscoprire la gioia del credere

Famiglia Dentro la coppia

Spazio oratorio Signore, dì soltanto una parola

Vita in parrocchia La gioia della fede

Vita in parrocchia Il rispetto della sacralità delle tombe

Anagrafe Calendario liturgico e anagrafe parrocchiale


Lettera del Parroco All’inizio di un nuovo anno pastorale

Ripartire è come rinascere

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arissimi, la vita di un parroco presenta anche momenti di vera gioia. È la gioia di avvertire che il buon Dio ti accompagna con saggezza e misericordia in mezzo a tanti ostacoli. È la gioia di percepire che la tua vita è utile, anche se non fa colpo, perché intessuta di ordinaria quotidianità; utile perché cammini in cordata con altri fratelli che a volte procedono speditamente, altre volte arrancano con fatica per i pesi che devono portare, per le situazioni di sofferenza che devono affrontare, soprattutto se hanno famiglia. Uno dei momenti più belli del ministero del parroco è quello di preparare i genitori al battesimo dei figli, aiutandoli a rendersi conto della meravigliosa creatura cui hanno dato la vita e del dono immenso della fede che trasmettono loro. “Mi hai fatto come un prodigio”, dice un salmo. Quando nasce un bimbo, la prima cosa che i genitori scelgono per lui è il nome. Se lo porterà dietro per tutta la vita. Lo sentirà ripetere nei momenti belli e anche tristi. Un neonato, il proprio nome non lo impara da solo. Deve sentirlo ripetere migliaia di volte, a voce alta, oppure sussurrato, accompagnato da un sorriso, da una nenia o da un bacio. La nostra identità è iniziata così, con il nostro nome pronunciato tante volte, con amore e tenerezza, con gioia ed entusiasmo dai nostri genitori. Ma è Dio che ci ha amato per primo ed ha scritto il nostro nome sul “palmo” della sua mano. Ho voluto iniziare questa mia let-

tera-colloquio con voi partendo dalla metafora (un esempio) della nascita, perché ripartire è come rinascere. Ci troviamo all’inizio di un nuovo anno pastorale. L’estate ha creato- lo si voglia o no- un po’ di rilassamento nel cammino di vita cristiana della parrocchia. Ora si riparte e si riparte dalla sorgente. Prima delle iniziative parrocchiali c’è Lui: il Dio/Amore che ha mandato il suo Figlio in “una carne simile a quella di noi peccatori”. Le attività pastorali sarebbero senza alcun significato se non fossero legate efficacemente al Mistero dell’Incarnazione , Passione, Morte e Risurrezione di Cristo. Molti eventi ecclesiali importanti ci attendono: l’Anno della Fede (11 ottobre 2012/24 novembre 2013; il Sinodo Diocesano sulle Unità pastorali (dic. 2012); l’Ottobre missionario; il Sinodo dei Vescovi sulla nuova Evangelizzazione a cinquant’anni dal Concilio ed a venti dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Ma dentro questi momenti rilevanti c’è la vita di tutti i giorni con i suoi alti e bassi e tanti altri problemi concreti legati alla perdita del posto di lavoro, al problema della crescita dei figli e tante altre difficoltà che spesso spengono il sorriso sulle labbra. “Da quando vado male sul lavoro, faccio fatica a credere e non vengo più in chiesa!”, mi diceva con amarezza un amico d’infanzia. Come conservare la fede anche quando le cose vanno male? Tutti ci aspetteremmo che la fede risolvesse tanti problemi, ed invece ci dà solo la forza di affrontarli con dignità, sapendo

che anche Cristo ha bevuto il suo calice di amarezza! Riprendiamo quindi il nostro cammino di vita ordinaria, unendo la fede alla concretezza della vita. Il Signore non ci abbandonerà. In fin dei conti , incominciare un anno pastorale significa riscoprire il nostro dialogo con Dio nell’ascolto della sua Parola e nel metterla in pratica. Penso che la priorità della nostra opera evangelizzatrice vada data ai giovani ed agli adulti, che sono spesso i grandi assenti. Questo obiettivo lo si potrà raggiungere mettendoci in ascolto dei loro problemi, aiutandoli a conoscere bene la loro identità di battezzati e di testimoni,invitandoli ad ascoltare con amore la Parola di Dio (ecco l’utilità dei Centri di ascolto della Parola); a partecipare con gioia alla messa domenicale insieme ai propri figli; suscitando in loro il desiderio dell’essenziale della fede (Gesù Cristo e il suo Regno); rendendoli sempre più consapevoli del valore, delle esigenze e dello stile proprio dell’essere laici (fedeli laici) nella Chiesa. La fede non è mai una diminuzione del nostro essere uomini e donne, ma semmai è un potenziamento verso un’autentica libertà, una fortezza nell’affrontare le difficoltà, una dolce speranza di aver vicino un vero Amico (Cristo) che non ci lascia in mezzo a una strada. Questo il mio augurio e la mia fiduciosa convinzione, mentre ci apprestiamo ad inaugurare un nuovo Anno di Grazia e di Salvezza. Buon cammino.

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Vostro don Mario n. 32 settembre - novembre 2012

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Vita in Parrocchia Dialogo confidenziale del Parroco con i parrocchiani

Otto anni insieme

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ari Castrezzatesi, ho ben vivo il ricordo del mio ingresso a Castrezzato domenica mattina 3 ottobre 2004. Per un parroco il giorno dell’ingresso è come il giorno di nozze per gli sposi: gioie, speranze, rosee prospettive per il futuro. La realtà poi smussa inevitabilmente quanto vi era di illusorio o di “strabico”, ma non porta a rinnegare quanto c’era di vero e di santo in quei bei desideri. Intendo dire che sono contento di essere vostro parroco e la mia non è stata un’illusione perché era accompagnata dalla grazia del Signore e dal mandato del Vescovo. Entro pertanto nell’ottavo anno si servizio pastorale. La vita di un sacerdote che

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voglia davvero lavorare nella vigna del Signore è così piena, così varia e coinvolgente che riempie di significato e di valore l’esistenza. Gesù è di parola: a chi lo vuole seguire e servire, dà il centuplo e in più la vita eterna. Stando in un paese, svolgendo il proprio ministero di sacerdote, il parroco matura il rapporto con le persone, approfondisce i legami, cresce e impara dal vivo a fare il pastore. Tante cose può imparare un prete dalla sua gente, se è attento ai molti esempi che le persone buone lasciano sul loro cammino senza tanta pompa! Ricordo molto bene che- nei primi mesi della mia permanenza tra voi – alcuni mi chiedevano se mi trovavo bene a

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Castrezzato. Rispondevo che “Certamente sì”, perché un sacerdote (e a maggior ragione un parroco) deve amare la sua gente e non deve fare distinzioni di persone, ma adattarsi- per amore di Cristoa servire tutti, nelle cose che riguardano Dio, donando il vangelo con semplicità e senza ipocrisia. S. Paolo direbbe che “Siamo debitori a tutti del vangelo”. Le incombenze di un parroco sono tante e il lavoro più impegnativo non è quello dei lavori materiali (pur necessari), ma quello di convertire i cuori e far amare Gesù Cristo. Tante volte la gente ritiene che un prete è bravo (peggio sarebbe se fosse il prete stesso a pensarlo…) se costruisce strutture imponenti,


Vita in parrocchia

se è abile nella gestione finanziaria; ma in realtà è più urgente far maturare le coscienze e - ribadisco - convertire i cuori! Avvicinando il sacerdote, la gente cerca Dio e non altro. Le strutture materiali occorrono, ma non sono la cosa più importante che deve fare il prete in una Comunità. E come non basta per un padre avere una bella casa per dire di avere una bella famiglia, così un prete non può sentirsi a posto solo perché ha costruito belle strutture parrocchiali: c’è ben altro da costruire,“dentro” la vita delle persone. È questo il lavoro più faticoso! Perciò non mi “offendo” se sento dire bonariamente che “Questo parroco fa pregare tanto…” (In verità, io non so se prego come si deve, ma lo desidero con tutto il cuore e Dio lo sa!) Per essere ancora più sincero, dirò che fin da quando “Ho preso messa” sono stato convinto della centralità della vita spirituale, della preghiera, dei sacramenti (soprattutto dell’eucaristia e della confessione), della Parola di Dio, della devozione a Maria santissima. Non è l’efficientismo, l’organizzazione, ma l’accoglienza e la crescita delle persone secondo il loro carisma a costruire la Chiesa. E una buona dose di sofferenza morale… Pertanto non ho pretese, né mi angustio per i confronti, perché un apostolo (che pure ha le sue pecche e i suoi limiti) deve lavorare per il vangelo e non aspettarsi riguardi particolari. Castrezzato, a ben guardare, presenta innegabilmente le sue difficoltà e le sue insidie, ma offre pure stupende possibilità di fare il bene e di diffondere il messaggio di Gesù. Dio prende i suoi figli dappertutto, anche a Castrezzato. Occorre tanta fiducia. Permettetemi che mi soffermi confidenzialmente con voi su alcuni flash di vita vissuta come vostro parroco. Cercherò di essere schematico, anche se non esaustivo.

1 - Il rapporto con la gente in generale. È caratterizzato – credo - da reciproca stima e rispetto. Questo non toglie al parroco l’obbligo di una lettura reale della situazione umana e pastorale in cui vive (luci ed ombre), né gli deve far dimenticare i suoi limiti personali, i difetti, come si dice, che sono non soltanto delle pecore, ma anche del pastore! 2 - Ogni paese ha la sua storia e Castrezzato ha la sua storia, non solo civile , ma anche religiosa. Tanti i preti, parroci e curati e suore sono passati tra noi, ognuno con il proprio carattere, doti e limiti, ma uniti dalla passione per Cristo e nel fare il bene. Non si può certo negare che la storia di Castrezzato ha avuto e mantiene ancora connotazioni di vita cristiana intensa, sia pure imperfetta e suscettibile di miglioramento. Eventuali confronti tra preti devono rispettare i confini della giustizia e della carità. Il prete non porta se stesso, ma Cristo. Diversamente è un uomo incomprensibile. 3 - Formazione della gioventù In tutte le parrocchie - e quindi anche tra noi - si desidera riscontrare un’attenzione particolare alla formazione umana e cristiana della gioventù. La ricetta classica di Don Bosco (Ragione- ReligioneAmorevolezza) è ancora attuale e come! Le molteplici iniziative oratoriane sotto la guida del Curato, la cura dei cammini di catechesi per ragazzi-giovani e genitori devono essere sostenute con impegno da parte di tutti perché l’Oratorio è il cuore della Parrocchia. Le parrocchie che hanno ancora il Curato dell’Oratorio hanno una grande opportunità e una grande fortuna che tante altre ormai non hanno più. Per chi lavora in parrocchia, la formazione spirituale non può essere un accessorio facolta-

tivo, ma il perno sul quale si fondano anche le altre attività. Scriveva già Mons. G. Sanguineti nel 2005: “Mi preme infatti sottolineare che anche per le nostre Comunità parrocchiali dobbiamo coltivare il primato dell’essere sul fare, della santità sull’organizzazione, del continuo ascolto di Cristo e della contemplazione del suo Volto rispetto alla preoccupazione di moltiplicare le nostre iniziative”. (Messaggio del Vescovo Giulio Sanguineti per l’anno oratoriano 2005/2006). 4 - I profondi cambiamenti della società e la nuova evangelizzazione. Rispetto al passato, i cambiamenti attuali della società e delle parrocchie sono vistosi e profondi. Tutti ne conosciamo le ragioni e le manifestazioni individuali e collettive; urge una nuova evangelizzazione, prima che il Cristianesimo diventi “roba da antiquariato o da museo”. Riscoprire la bellezza della fede non è un revival del passato, ma un dono, un’opportunità preziosa. “Guai a me se non annunciassi il vangelo” diceva san Paolo. Nuova evangelizzazione vuol dire riprendere nuovo slancio, nuovo ardore, nuovi metodi, nuove espressioni dell’eterno annuncio cristiano. Anche l’Europa (e Castrezzato) devono essere messi in grado di decidere nuovamente del loro futuro nell’incontro con la persona e il messaggio di Gesù Cristo. Nuova evangelizzazione significa quindi capacità da parte della Chiesa di vivere in modo rinnovato la propria esperienza comunitaria di fede e di annuncio dentro nuove situazioni culturali createsi negli ultimi decenni (individualismo esasperato, relativismo etico e religioso, appartenenza “molle” alla vita della Chiesa). 5 - Pastorale ordinaria Il parroco deve garantire la Comunione con il Vescovo e il Presbiterio, curare la proclamazione della

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Vita in Parrocchia

Parola di Dio, la catechesi, l’annuncio di Cristo a tutti, vicini e lontani, la preghiera, la celebrazione dei Sacramenti, l’esercizio della carità in seno alla Comunità, la devozione popolare corretta, la concordia e la leale collaborazione, la formazione dei collaboratori pastorali laici. Al riguardo le iniziative sono innumerevoli e la risposta dei fedeli può certo ancora migliorare. C’è un discreto gruppo di parrocchiani che corrisponde con fedeltà esemplare. Va tuttavia precisato che la frequentazione della Chiesa deve portare alla testimonianza della vita; deve suscitare il desiderio della vita buona del vangelo. Non sono “le foglie che contano, ma i frutti”. 6 - I “lontani” Lo sa solo Dio chi sono veramente i lontani! Ad una valutazione umana mi pare ancora alto il muro di chi vive ai margini della vita parrocchiale. Il pastore deve cercare le pecore: ma in che modo? Frequentando i bar, le piazze, le manifestazioni pubbliche ecc.? Anche questo può essere utile. Personalmente sono convinto che giovi di più visitare i malati, confortare gli afflitti, non disertare i luoghi del dolore e della desolazione (ospedali e lutti), avvicinare motivatamente le famiglie, condurre con competenza e preparazione la pastorale ordinaria (celebrazioni, predicazione, sacramenti, assistere i moribondi, curare la s. confessione e soprattutto la celebrazione della S. Messa). Importante è il rispetto e il saluto a tutti, quando ci si incontra. Questo riguarda sia i preti che i laici. Cerco di essere fedele a questa prassi che non è solo richiesta dall’essere cristiani, ma anche solo dal galateo e dalla buona educazione. 7 - Famiglia e preparazione al matrimonio. La famiglia è oggi la grande ma-

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lata. Le cause sono molteplici e complesse. I cattivi esempi del gossip mass-mediatico sono quotidiani. Le famiglie “normali” hanno a volte l’impressione si essere dei “reperti preistorici”! La famiglia e uno degli anelli deboli della società attuale e della Chiesa stessa. Quello che avviene da altre parti avviene anche da noi: ci si unisce, ci si separa, si convive, si ricominciano “nuove storie” con grande facilità. Le prime vittime? I figli, quando ci sono. Ai nonni sono richieste mansioni e ruoli un tempo impensabili. Quando un figlio o una figlia si separa sono spesso i nonni a sobbarcarsi mansioni suppletive (anche economiche) per tamponare le falle, come aiutare i nipotini, sopportare contrasti familiari irrisolvibili, dare contributi economici ecc. Da qui l’importanza della Pastorale Familiare e dell’accompagnamento dei coniugi in difficoltà. Spesso si attribuisce alla Chiesa un’eccessiva severità: ma l’unità e l’indissolubilità del matrimonio non li ha inventati la Chiesa, si devono a Cristo stesso! Questo non vuol dire puntare il dito, disprezzare e condannare. Ci sono vicende veramente gravi e complesse e Dio solo conosce tutto. Le situazioni di famiglie irregolari vanno accompagnate con dolcezza e verità, senso di responsabilità, in spirito di accoglienza delle indicazioni sagge e prudenti della Chiesa. Tutti comunque, anche separati, divorziati risposati e conviventi possono pregare e fare il bene. Il buon Dio troverà anche per loro vie di salvezza e di redenzione. 8 - Oratorio e catechisti La Parrocchia e l’Oratorio si sono dotati di un buon numero di catechisti e di assistenti sia per i ragazzi che per i genitori e gli adulti. A tutti l’invito a perseverare e a preparare sempre nuovi laici disponibili ed esperti in questo servizio

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esaltante anche se faticoso. L’Oratorio deve di fatto essere un vero e proprio Centro parrocchiale per tutta la Comunità. 9 - Anziani e malati Sono tanti ed hanno le loro esigenze. Dal punto di vista religioso cerco di andare a trovarli ed a seguirli religiosamente, anche attraverso i Ministri straordinari della S. Comunione, che sono preziosi e sempre bene accolti. Invito ancora i famigliari a far sapere ai Sacerdoti quando qualcuno è degente in ospedale o è malato a casa, in modo da passare a trovarlo. 10 - Incremento dei collaboratori pastorali laici Ci è richiesto dal Vescovo ed è una ricchezza per le parrocchie. Questo obiettivo è una costante della conduzione della nostra parrocchia in questi anni: catechisti degli adulti, ministri straordinari della s. Comunione, proclamatori della Parola di Dio, operatori della pastorale familiare. La risposta dei laici qui da noi è buona. Occorrerà perseverare. Non va dimenticato che poter disporre di saggi e preparati collaboratori è il miglior modo di prepararsi alla prospettiva dell’Unità pastorale che si sta avvicinando. 11 - Azione Cattolica È un’opportunità preziosa se davvero essa è fedele alla propria identità ecclesiale ed opera nell’ambito formativo e sociale. Lo spazio operativo dell’AC si realizza normalmente in Oratorio e l’anello che l’unisce alla Parrocchia è dato dalla rappresentanza istituzionale dell’AC nel CPP. Infatti il Presidente parrocchiale di AC è membro di diritto del CPP. Per chi lavora in AC c’è la possibilità di un cammino più intenso di fede e di testimonianza. 12 - Importanza e centralità del


Vita in Parrocchia C.P.P. (Consiglio pastorale parrocchiale). Il CPP ha una fisionomia precisa delineata dai documenti diocesani. Occorre valorizzarlo e renderlo sempre più “motore propulsore” di rinnovamento della parrocchia per il coinvolgimento dei battezzati nell’azione pastorale della Chiesa. Non voglio insistere oltre, perché lo ribadisco spesso: se non vogliamo che i CPP siano “scatole vuote” (come purtroppo avviene in alcune parrocchie e non solo per colpa dei laici…) occorre far funzionare bene i vari gruppi di lavoro (o commissioni) nei quali siano inseriti gli stessi membri del CPP. Mi pare onestamente che da noi questa collaborazione sia sentita e condivisa. Ai nostri laici non mancano buona volontà e buona preparazione. Presidente del CPP è, per Statuto, il parroco. 13 - IL C.P.A.E. Anche nel settore amministrativo (C.P.A.E. ossia Consiglio parrocchiale per gli affari economici) la collaborazione è stata in questi otto anni ed è tutt’ora buona, come pure lo è il ruolo della Segreteria amministrativa svolto da una persona a ciò deputata per la raccolta ed il coordinamento dei relativi documenti amministrativi. In questi 8 anni, senza fare scintille di sensazionalismo, sono stati affrontate e risolti non pochi lavori e situazioni bisognose di intervento, alcune delle quali piuttosto delicate. Grazie a Dio, a tutt’oggi, non abbiamo una situazione debitoria. Il CPAE predisporrà a breve una nota dei lavori affrontati e risolti dal 2004 ad oggi. I parrocchiani si mostrano di solito generosi nel sostenere anche questo aspetto della vita parrocchiale. Un grazie speciale va anche ai benefattori che sono già in paradiso! 14 - Tenere unita la parrocchia Infine, mia preoccupazione priori-

taria - e lo affermavo il 16 agosto, (festa di S. Rocco e data per me importante perché ho dato al vescovo di allora Mons. Sanguineti la mia risposta positiva per essere nominato parroco di Castrezzato) è di tenere unita la parrocchia, secondo il desiderio di Cristo “Che tutti siano una cosa sola come Io e Te, o Padre!”. Mi spiego meglio, cercando di chiarire ogni possibile equivoco ed evitando ragionamenti sibillini. Il parroco non intende essere un equilibrista o un diplomatico a tutti i costi, né un “coperchietto” che va bene per tutti i barattoli, o una specie di “direttore della caserma”, ma gli sta a cuore che- nel rispetto dell’identità cristiana della Comunità parrocchiale- tutti si sentano accolti, amati e valorizzati, secondo i propri doni e compiti. Un parroco non può essere “di parte” o farsi fautore di contrapposizioni o di esclusioni (parlo sempre in ambito ecclesiale), né regolarsi in base ai propri gusti, ma deve valorizzare le capacità e le sensibilità di tutti i suoi parrocchiani in vista dell’unità, fin dove questo è possibile e non nuoce al bene comune. Talvolta occorre un po’ di severità. In una prospettiva di Chiesa tutta ministeriale non tutti possono fare tutto, ma occorrono doni e compiti che agiscano in buon accordo tra loro. A tal proposito mi ha sempre colpito nel vangelo di Giovanni l’episodio della pesca dopo la risurrezione di Gesù (Gv. 21,1-14). L’evangelista dice che gli apostoli, dapprima delusi e titubanti e poi obbedienti, fecero una pesca prodigiosa catturando ben 153 grossi pesci. Eppure la rete non si spezzò. Il miracolo della pesca è ecclesiologico, cioè si riferisce alla Chiesa, alla Comunità dei discepoli ed allude alla missione. La missione è fruttuosa soltanto se obbedisce alla Parola del Signore. Secondo l’esegesi (=l’interpretazione) antica il numero 153 è un numero di

misteriosa perfezione, atto ad indicare il grandioso successo della missione e il suo carattere universale. Ora- per tornare a noi- per lavorare in parrocchia è richiesto l’essere discepoli, cioè amare e seguire Gesù: allora tutto sarà più facile, anche sopportare le persone difficili, accettare un’osservazione, chiedere o dare il perdono, come in una famiglia. Se tutti invece stanno sulle loro posizioni, ogni accordo fraterno è impossibile. Compito del parroco è fare in modo che - pur essendo anche noi i 153 pesci - la rete non si spezzi; che le eventuali incomprensioni e dissapori non portino ad una reciproca estraneità che non è affatto evangelica. Viviamo in un paese già “vivace” e la parrocchia deve operare con stili davvero evangelici, nella verità e nella carità, e (come ci raccomanda insistentemente il nostro vescovo Luciano) nel discernimento comunitario. 15 - Conclusione Scusate se mi sono permesso di esprimere ad alta voce e confidenzialmente alcuni pensieri sulla mia e nostra cara parrocchia. Forse ho abusato della vostra pazienza… Tante sarebbero ancora le cose da dire: per intanto ci fermiamo qui. Ci saranno ancora in futuro occasioni per scambiarci qualche altro pensiero in merito. A tutti deve stare a cuore il bene comune della nostra parrocchia, in spirito missionario verso i fratelli che forse desiderano da noi qualche buon esempio in più per avvicinarsi al Signore. Intanto tutti ringrazio ed auguro un Buon Anno pastorale 2012/2013. Grazie! Con affetto il vostro arciprete mons. Mario Stoppani

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Con la Chiesa Anno della Fede (11 ottobre 2012 - 24 novembre 2013)

La porta della Fede Benedetto XVI, con la lettera Porta fidei, apre alla Chiesa un cammino di riscoperta e approfondimento della fede

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I pontificato di Benedetto XVI si é contraddistinto fin dall’inizio per una proposta forte: ridare nuove energie e nuovi impulsi alle dimensioni fondanti dell’esistenza umana e cristiana. L’opera del Papa è interamente rivolta a illustrare la fede come esperienza vitale per l’uomo: se talune correnti di pensiero della cultura contemporanea considerano la fede un fatto da relegare nella sfera privata, per il Pontefice, al contrario, la fede riguarda il futuro stesso dell’uomo e dell’umanità, Entro questa prospettiva di fondo si colloca l’iniziativa voluta dal Papa di dedicare un anno alla discussione, all’approfondimento e alla celebrazione del tema della «fede». Nel solco del Concilio Vaticano II L’11 ottobre 2011, Benedetto XVI, firmando il documento Porta fidei (La porta della fede), ha ufficialmente indetto l’Anno della fede, che inizierà domenica 11 ottobre 2012 e si concluderà il 24 novembre 2013, solennità di Cristo Re dell’universo (cf. Benedetto XVI, Porta fidei. Lettera Apostolica in forma di motu proprio, 11 ottobre 2011. In seguito citata PF, ndr). Qual è il significato di un’iniziativa di questo genere? Anzitutto, due ricorrenze motivano la scelta del Papa: «Esso [l’Anno della fede] avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel 50° anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II, [...] Nella data dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo

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della Chiesa cattolica, testo promulgato dal mio predecessore, il beato papa Giovanni Paolo II, allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede» (PF 4), Concilio Vaticano II e Catechismo della Chiesa cattolica sono le due grandi luci che illuminano il cammino dei credenti nel nostro tempo. Più volte, in Porta fidei, il Santo Padre richiama l’importanza dei testi conciliari e di quelli del Catechismo. Due passi tra i più significativi a riguardo e ugualmente indicativi del percorso da seguire durante l’Anno: «I testi lasciati in eredità dai Padri conciliati, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto. E necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all’interno della Tradizione della Chiesa”. [...] Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a successore di Pietro: “Se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa”» (PF 5); «L’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa cattolica la loro sintesi sistematica e organica.

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Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito e offerto nei suoi duemila anni di storia. [,.,] Pagina. dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa» (PF 11). Al cuore dell’esperienza cristiana Si deve notare, tuttavia, che gli anniversari dell’apertura del concilio e della pubblicazione del Catechismo non rendono ragione da soli della proposta di un Anno della fede. Sia nella Lettera del Papa che nei suoi insegnamenti magisteriali troviamo altre indicazioni utili alla comprensione di tale proposta, Vorrei metterne in rilievo qualche altra al fine di stimolare la riflessione personale. A pochi mesi dalla sua elezione, Benedetto XVI promulgò l’enciclica Deus caritas est, in cui propose una riflessione circa il contenuto fondamentale della fede cristiana: l’affermazione «Dio è amore», tratta dalla Prima lettera di Giovanni, esprime «con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino» (Deus caritas est, n. 1). Più tardi, nel 2007, il Santo Padre presentò la sua seconda enciclica, dedicata all’approfon-dimento della speranza cristiana: «“Speranza”, di fatto, è una paro-la centrale della fede biblica — al punto che in diversi passi le parole “fede” e “speranza” sembrano in-tercam-


Con la Chiesa biabili» (Spe salvi, n, 2), Ora, il Papa chiede alla Chiesa intera di tornare a interrogarsi sul tema della «fede», sia nella sua va- lenza soggettiva, cioè dell’atto con cui l’uomo sceglie di dare fiducia a Dio, alla sua Parola e alle sue promesse; sia nella sua dimensione oggettiva, vale a dire dei contenuti da professare (cf. PF 10). Già da questi richiami sembra che emerga chiaramente lo stile e le intenzioni con cui Benedetto XVI sta portando avanti il proprio servizio di pastore e guida dei credenti in Cristo: un invito a ripartire con entusiasmo rinnovato dagli elementi fondamentali, dal cuore dell’esperienza cristiana, dalle virtù teologali della fede, della speranza e della carità, che «dispongono i

cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità» e «fondano, animano e caratterizzano l’agire morale del cristiano» (Catechismo della Chiesa cattolica, n, 1812). Fede come incontro personale con Gesù Un secondo aspetto da considerare è che l’iniziativa del Papa interpella il credente, con l’obiettivo di ricordargli che la fede non è semplicemente l’assenso — cioè il «sì» a a delle verità dato una volta per tutte, quanto piuttosto l’incontro con la persona umana e divina di Gesù Cristo, Un incontro che deve sapersi rinnovare continuamente, diventando esperienza e mentalità capaci di rispondere alle grandi domande che l’uomo si pone du-

rante l’esistenza, Come si diceva, la fede ha bisogno di essere vissuta come esperienza vitale e, pertanto, di riscoprire perennemente il fascino della sequela di Gesù. Scrive il Papa: «Fin dall’inizio del mio mi-nistero come successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia e il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo» (cf, PF 2), Questa preoccupazione si rivela in tutta la sua urgenza specialmente, oggi, a motivo della profonda crisi di fede che tocca molti cristiani e che assume le forme dell’indifferenza, dell’agnosticismo, della tendenza (tentazione, forse) a ridurre il messaggio del vangelo alle sole

I principali eventi dell’Anno della Fede Giovedì 11 ottobre. Solenne apertura dell’Anno della fede in Piazza San Pietro a 50 anni dall’inizio del concilio Vaticano II, con una messa concelebrata da tutti i Padri sinodali, dai presidenti delle Conferenze episcopali del mondo e dai Padri conciliari ancora viventi. Domenica 21 ottobre. Canonizzazione di 6 martiri e confessori della fede. Venerdì 25 gennaio 2013. Celebrazione ecumenica nella basilica di San Paolo fuori le Mura, Sabato 2 febbraio. Celebrazione in San Pietro per tutte le persone che hanno consacrato la loro vita al Signore. 24 marzo, Domenica delle Palme, Celebrazione dedicata ai giovani che si preparano alla Giornata rnondiale della gioventù di Rio de Janeiro (23-28 luglio). Domenica 28 aprile. Giornata dedicata a tutti i ragazzi e ragazze che hanno ricevuto il sacramento della confermazione. Domenica 5 maggio. Giornata dedicata alla celebrazione della fede che trova nella pietà popolare una sua espressione iniziale attraverso la vita delle confraternite. Sabato 18 maggio, vigilia di Pentecoste. Giornata

dedicata a tutti i movimenti, col pellegrinaggio alla tomba di Pietro. Domenica 2 giugno, festa del Corpus Domini. Solenne adorazione eucaristica contemporanea nella cattedrale di ogni diocesi e in tutte le chiese del mondo (dove sarà possibile, alla stessa ora). Domenica 16 giugno. Giornata dedicata alla testimo-nianza del vangelo della vita. Domenica 7 luglio. Conclusione a San Pietro del pellegrinaggio di seminaristi, novizie, novizi e di quanti sono in cammino vocazionale. Dal 23 al 28 luglio. Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro (Brasile). Domenica 28 settembre. Giornata dei catechisti. Sarà l’occasione per ricordare anche il 20° anniversario del Catechismo della Chiesa cattolica. Domenica 13 ottobre. Giornata per tutte le realtà mariane, Domenica 24 novembre. Celebrazione conclusiva dell’Anno della fede. (Questo calendario fa riferimento solo agli eventi di carattere internazionale, che vedranno la presenza del Papa e saranno celebrati a Roma. Per aggiornamenti, notizie e materiale: www.annusfidei.va)

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Con la Chiesa conseguenze sociali, politiche e culturali dell’impegno cristiano nel mondo. Nella recente presentazione del calendario degli eventi che si terranno a Roma durante l’Anno della fede, mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, osservava che la crisi di fede, di cui parla il Papa in Porta fidei, rientra nel contesto più ampio di una crisi che riguarda l’uomo e il suo modo di concepirsi all’interno del mondo. L’affermazione ostinata della propria autonomia individuale, nonché decenni di secolarismo, hanno avuto come risultato il fatto che l’uomo «si ritrova oggi confuso, solo, in balia di forze di cui non conosce neppure il volto, e senza una meta verso cui destinare la sua esistenza» (Avvenire, 16,5.2012, p. 3). Da questo punto di vista, l’Anno della fede non è indirizzato soltanto alla Chiesa intera, ma vuole coinvolgere tutti gli uomini del nostro tempo, credenti e no, Questa è una terza riflessione di carattere generale da tenere presente. Rispondere alla nostalgia di Dio Proseguendo nel suo intervento, il vescovo Fisichella precisava che l’Anno della fede «intende essere un percorso che la comunità cristiana offre a tanti che vivono con la nostalgia di Dio e il desiderio di incontrarlo di nuovo». Il medesimo invito è presente nelle parole di Benedetto XVI: «Non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo, E...] La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre”, Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore

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umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto in contro. Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza» (PF 10), Queste osservazioni, con le quali si è cercato di illustrare le ragioni dell’iniziativa del Papa, ci permettono di cogliere il senso dell’allegoria della fede quale porta: «La “porta della fede” (cf. At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi» (PF 1). Presentare la fede come una «porta sempre aperta» significa che nessuno deve sentirsi esclu-so dall’essere provocato sul senso della vita e delle sue domande; soprattutto in tempi come i nostri,

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quando tali interrogativi sono percepiti come ancora più drammatici a causa di una crisi complessa che intacca la speranza in un futuro diverso e migliore. Porre di nuovo al centro dell’attenzione e della riflessione cristiana la domanda sulla fede non equivale a ritirarsi dal mondo, piuttosto aiuta a prendere coscienza delle responsabilità che si hanno, in questi momenti, nei confronti degli altri uomini, L’auspicio è, dunque, che l’Anno della fede sia tempo di grazia e occasione favorevole per la crescita personale e comunitaria, dove preghiera e riflessione potranno più facilmente accompagnare e sostenere l’intelligenza della fede, di cui ogni cristiano deve avvertire l’urgenza e la necessità. Conferenza Episcopale Italiana


Con la Chiesa Crimine organizzato, frodi, danni all’ambiente: il male è una minaccia per la convivenza

I nuovi peccati contro la società

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lcune domeniche fa, su «la Lettura» del «Corriere della Sera» Armando Torno ha proposto una riflessione il cui titolo affermava: «La fine del peccato». La prima reazione che avuto è che una notizia come questa celasse una vera e propria tragedia. Purtroppo non sono finiti i peccati, ma quel che sembra estinguersi è la coscienza del peccato. Per questo ho sentito l’urgenza di una mia, seppure limitata, riflessione. A volte non siamo consapevoli delle conseguenze drammatiche di situazioni che possono sembrarci normali. In verità, se si cancella la coscienza del peccato, si aboliscono i confini di bene e male. E non avremmo, per fare un esempio, quell’indimenticabile grido di Giovanni Paolo II ad Agrigento contro i mafiosi che dovranno rispondere a Dio del «peccato di mafia» (e, si badi bene, non è questione solo di legalità o illegalità!). Il peccato rimanda sempre al rapporto con Dio. Non si tratta infatti dell’infrazione a una legge, ma di una ferita — grave o meno grave — al disegno della creazione. Il peccato è una questione d’amore e obbedienza. È emblematico quello di Adamo ed Eva, che non a caso chiamiamo «originale». Il «peccato della mela» non riguarda la sessualità come spesso si pensa, ma è l’orgoglio dell‘«io» umano che vuole mettersi al posto Dio. I due progenitori si lasciano incantare dalle gestioni del serpente di turno e disobbediscono all’Altissimo e al suo disegno d’amore. L’agiografo biblico ne descrive le

drammatiche conseguenze: Adamo ed Eva si ritrovano nudi, ossia senza più la compagnia di Dio, senza più la fiducia tra loro, senza più l’armonia con il creato. Insomma, il peccato è cosa davvero seria. E vale la pena rifletterci anche nel cuore dell’estate. l peccato non è mai una questione puramente individuale (quante volte si pensa che facendo certe

azioni peccaminose non si fa male a nessuno!), ha sempre una dimensione «sociale». Come l’amore. Per questo la «sede» del peccato non è mai esterna all’uomo ma è nel suo cuore. C’è un bellissimo cennno nel libro della Genesi (4,7): «Il peccato è sempre accovacciato alla tua porta». In questo senso il metro per giudicarlo non è, come dire, una sorta di «democrazia re-

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Con la Chiesa ferendaria», come se il peccato fosse in balia delle mentalità ricorrenti, perché trova il suo criterio nel confronto con l’amore di Dio. Questo appare nella Scrittura e, in termini semplificativi, nei Dieci Comandamenti. Certo, può accadere che a volte vengano sottolineati alcuni peccati mentre altri siano messi sullo sfondo. Per fare un esempio, c’è stato un periodo in cui quelli contro il Sesto Comandamento, ovvero di natura sessuale, sembravano aver invaso tutto il campo. Ricordo con simpatia un amico che mi diceva: «Se il Padre Eterno l’ha messo per sesto e non per primo, qualche ragione l’avrà avuta». Oggi, al contrario, il peccato contro il Sesto Comandamento l’abbiamo emarginato. Credo sia importante ripartire dal Primo Comandamento, ossia il primato di Dio nella nostra vita. L’insidia più grave che vedo e della quale si ha poca consapevolezza, è il nuovo primato dell’«io», un egoismo strisciante ma onnipresente che sta avvelenando e sgretolando il «noi» della famiglia, della società e dei popoli e persino della medesima comunità ecclesiale. In questo senso è anche comprensibile il giusto scandalo che provocano tutti quei peccati che attentano al vivere comunitario. Ho già accennato al peccato di mafia, possiamo ricordare lo scandalo — purtroppo non denuncia-

to con vigore — dell’oppressione dei più deboli in un mondo dove i poveri sono in aumento; inoltre i peccati contro la pace, che alimentano le guerre. Alcuni vescovi hanno ricordato che l’evasione delle tasse è peccato, perché è un ladrocinio contro i più bisognosi. E in un tempo di crisi è una grave, omissione non sentire la responsabilità di impegnarsi per il bene di tutti, ripiegandosi a difendere solo il proprio. Finalmente ci si è accorti che il non rispetto della natura pregiudica la vita delle generazioni future e anche di molte presenti (l’inquinamento che causa malattie, la mancanza di acqua potabile per una parte della popolazione mondiale, eccetera). Ma attenzione! Non dovrebbe crescere di più la preoccupazione anche per l’inquinamento morale, per l’asfissia di orizzonti solidali per la facilità con cui viene soppressa la vita al suo inizio e aIla sua fine? E quante volte viene umiliata durante il suo corso? L’elenco potrebbe continuare e dovrebbe quindi essere chiaro che il peccato è sempre un’azione contro Dio, contro glialtri e contro se stessi. Nel Credo noi affermiamo la «remissione dei peccati». Gesù li ha «presi su di sé», ovvero ha tolto il peso del peccato dalle nostre spalle: è questo accade nella confessione. Anche se oggi tale sacramento è disatteso, complice a vol-

te anche il managerismo pastorale di non pochi preti, resta tuttavia un’ancora straordinaria di salvezza. In una società ove il perdono è sempre più raro, la concretezza di un incontro in confessione mostra la realtà del perdono; inoltre insegna all’uomo che la debolezza non è una condanna senza appello e che è possibile gettare la maschera, quella che è indossata ogni giorno per difendersi. Ammettere le proprie debolezze è anche un grande atto di coraggio. Mi ha fatto sempre pensare quell’affermazione di Gesù: non sono venuto per chiamare i giusti ma i peccatori (Marco 2,17). Lo ha detto contro il bigottismo dei benpensanti e l’autosufficienza degli orgogliosi. Siamo tutti deboli. Tutti bisognosi di perdono. Il confine tra bene e male è stabilito dall’amore. È in questa prospettiva che si può comprendere l’affermazione di Gesù rivolta alla peccatrice, «le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato (Luca 7,47). Il cristianesimo ha sfidato e sfida il peccato con l’amore. Dove esso manca, prosperano i segni di divisione e di conflitto, che rendono la società più amara e violenta. I peccati del futuro nasceranno da qui: si diventa complici della lacerazione della società di domani. Dostoevskij ha notato che « se non ci fosse Dio, tutto sarebbe permesso». In questa sua osservazione c’è la perfetta diagnosi del peccato di oggi, di una società che ha perso il senso di Dio e quindi non riconosce più il bene e il male. Non è un caso che Benedetto XVI, consapevole di questa drammatica situazione, abbia voluto scrivere la sua prima enciclica riproponendo agli uomini il primato di Dio come amore. Vincenzo Paglia Vescovo e presidente del Pontificio consiglio della famiglia

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Con la Chiesa I dati di un’indagine della Gallup sulla religiosità nel mondo

Cresce l’ateismo, ma non in Italia

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resce il bisogno di misurare la religione. Si tingono cartine di terre islamiche e cristiane, si piantano qua e là le bandiere delle fedi. Questa frenesia esprime il disagio in cui ci getta la nebbia che ortodossie e identità non riescono a dissipare. Digiuno ma non prego; credo ma non pratico; bramo la tradizione ma faccio shopping di dogmi e riti. Si disarticola la religiosità individuale e collettiva. Mette ansia la religione che si sfuma. Invidiamo all’altro le certezze che l’altro invidia a noi; ci sentiamo insicuri al cospetto della sicurezza della fede altrui. In risposta al bisogno, la ricerca Win-Gallup International ha misurato l’indice di religiosità e di ateismo del mondo attraverso interviste con più di 50 mila persone in 57 Paesi. La domanda intendeva andare oltre l’apparenza della pratica del culto: «Indipendentemente dal fatto di frequentare un luogo di

culto, ti ritieni una persona religiosa, una persona non religiosa o un ateo convinto?». Il responso divide il mondo in tre: oltre a chi non ha risposto, il 59% si dicono religiosi, il 23 non religiosi, il 13 atei. Rispetto all’indagine del 2005, i religiosi scendono del 9% e gli atei crescono del 3. Il più sensibile declino della religiosità si registra in Irlanda (-22%), Francia (-21%), ma anche in Sudafrica (-19%) e Usa (-13%). L’ateismo è cresciuto di più in Europa, in particolare in Francia (+15%) e Irlanda (+7%); ma gli atei sono cresciuti anche in Giappone (+8%), Argentina (+5%) e Usa (+4%). Il reddito ha il suo peso: crede in Dio il 66% della fascia più povera contro il 49% della più ricca. Tra i Paesi più religiosi figurano noti focolai di violenza: Iraq, Pakistan, Kenya, Nigeria. La maggior percentuale di atei si trova in Asia: si dichiara ateo convinto il 47% dei cinesi e il 31% dei

giapponesi. In Europa sono atei il 29% dei francesi e il 15% dei tedeschi, Il campione italiano si è diviso tra 73% i credenti, 15% di noncredenti e 8% di atei convinti, con uno scostamento minimo in sette anni (+1% di credenti +2% di atei). Con la sua alta percentuale di credenti l’Italia fa eccezione tra i Paesi più ricchi. Trae in inganno l’indice Gallup, se lo usiamo per confortare gli stereotipi religiosi. Può invece aiutarci se ci instrada verso la complessità del religioso. Tra le pieghe della ricerca, si legge che solo l’81% di chi si dichiara cattolico e il 74% di chi si dichiara islamico si autodefinisce una persona religiosa, contro il 97% dei buddisti. I numeri non dissipano la nebbia dentro la quale cambia la fede. Ma possono orientarci. Marco Ventura

Fede e reddito individuale

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Con la Chiesa Sintesi complessiva

Il Concilio Ecumenico Vaticano II

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l 25 dicembre 1961 il Papa Giovanni XXIII oggi Beato indice il Concilio Ecumenico Vaticano II, che si apre l’11 ottobre 1962. Negli intenti del papa il concilio è una nuova “primavera” della chiesa, impegnata ad aggiornarsi e a rinnovarsi per “investire di luce cristiana e penetrare di fervorosa energia spirituale non solo l’intimo delle anime, ma anche l’insieme delle umane attività”. Il rapporto Chiesa-Mondo, come si vede, già fa capolino (Documento di indizione del Concilio). A Papa Giovanni, morto il 3 giugno 1963, succede Paolo VI, che apre la seconda sessione del concilio il 29 settembre 1963 e lo conclude solennemente l’8 dicembre 1965, con un memorabile discorso e con i Messaggi di tutti i vescovi del mondo ai governanti, agli uomini di pensiero e di scienza, agli artisti, alle donne, ai lavoratori, ai poveri, agli ammalati e a coloro che soffrono ed ai giovani. È impossibile sintetizzare in un

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breve spazio di approfondimento l’importanza ed i contenuti del Concilio. Ad un primo accostamento , diremo che il Concilio ci ha lasciato dei documenti che rias-

* La Divina Rivelazione (Dei Verbum). La costituzione pastorale si chiama Gaudium et Spes (che significa la Speranza e la Gioia) Vi sono poi i decreti: * I mezzi di comunicazione sociale; * L’ecumenismo; * Le chiese orientali cattoliche; * L’ufficio pastorale dei vescovi; * Il rinnovamento della vita religiosa; * La formazione sacerdotale; * L’apostolato dei laici; * L’attivita missionaria della chiesa; * Il ministero e la vita sacerdotale.

sumono le grandi problematiche di cui esso si è occupato e danno pure delle direttive per il futuro. Il Concilio ha emanato 3 costituzioni dogmatiche e una costituzione pastorale. Le prime tre sono: * La Sacra Liturgia (Sacrosanctum Concilium), * La Chiesa (Lumen Gentium)

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Vi sono poi 3 dichiarazioni: 1) I rapporti della chiesa con le altre religioni non cristiane; 2) L’educazione cristiana dei giovani; 3) La libertà religiosa. Già dalla presentazione complessiva dei documenti si evince un elenco di priorità e di attenzioni. gruppo redazionale


Con la Chiesa I cambiamenti dettati dal Concilio Vaticano II

La Chiesa dopo il Concilio

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uale il volto della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II? Non è facile rispondere esaurientemente. Tento un’ipotesi di lettura, cercando di riandare anche all’esperienza personale di questo trentennio a servizio della chiesa. 1 Si è vissuto un periodo di crisi ecclesiale, intendendo con questa parola il significato di “passaggio” e di balzo verso una nuova realtà.Infatti la chiesa ha cercato di rinnovarsi, di aggiornarsi, di usare il linguaggio del mondo contemporaneo per annunciare Cristo unica salvezza. Si è riusciti in questo? Gran parte di voi hanno vissuto solo il pontificato di Giovanni Paolo II. 2 I movimenti che sono fioriti all’interno della chiesa (BiblicoLiturgico-Catechistico-Missionario-Caritativo, a livello di fedeli laici e di religiosi...) hanno stimolato e influito sul rinnovamento di tutta la chiesa. 3 Non sono mancate tensioni, fughe in avanti, contestazioni, ritorni nostalgici al passato, letture “strabiche” degli stessi Documenti conciliari, abbandoni di consacrati ecc. 4 Circa l’autorità della Chiesa (Papa e Vescovi) viene oggi accentuata nella chiesa la connotazione del servizio (ministero), attraverso i doni diffusi dallo Spirito nelle comunità: per armonizzar-

li, coordinarli, rinvigorirli ed eventualmente purificarli. 5 La chiesa ha ricevuto e riceve stimoli (i cosiddetti segni dei tempi), cioè da quei fatti che determinano positivamente o negativamente lo sviluppo della vita sociale dei popoli, quali la crescita del senso democratico, la sensibilità per i diritti umani, l’ascesa della donna, la sete di giustizia, il bisogno di pace...; oppure il consumismo, l’edonismo, l’affarismo, lo scardinamento della visione cristiana della famiglia e dell’amore umano ecc. 6 Nei confronti del mondo contemporaneo, la chiesa si mette in atteggiamento di missionarietà, espressa attraverso la misericordia, la verità rivelata, il dialogo autentico (Ecclesiam suam di Paolo VI), la speranza.

insostituibile, l’azione globale della chiesa si esprime in termini ed aree ben più vaste di un tempo: la globalizzazione, lo sviluppo dei popoli, la promozione della pace, la cooperazione nei vari settori dell’esistenza umana, il discernimento eticamente e teologicamente corretto tra scienza e fede, la cura per l’ambiente ecc. Conclusione: ci siano di aiuto alcune riflessioni degli ultimi due Papi in merito al Concilio: Giovanni Paolo II nella Novo Millennio ineunte (Par. 57), e Benedetto XVI nell’importante discorso tenuto ai cardinali e ai vescovi nel 40° anniversario della chiusura del concilio (1965-2005) Invito: leggere le pagine più importanti delle tre Costituzioni dogmatiche e della costituzione pastorale.

7 Oltre all’annuncio del Vangelo che è sempre primario ed

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Con la Chiesa Il senso di credere

Credere in tempo di cambiamenti

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a constatazione è da anni sotto gli occhi di tutti: la pratica religiosa va sempre più diminuendo, sia nel capo della frequenza alle celebrazioni liturgiche, con particolar riferimento al sacramento dell’eucaristia e della penitenza, sia nel più ampio settore della vita morale con il diffondersi di uno stile di vita personale e sociale poco conforme all’etica cristiana. Anche sull’italico suolo si fa pian piano strada l’usanza di non battezzare i bambini, perché - si dice - sceglieranno loro da grandi la fede, senza capire che la «non scelta» fatta dai genitori è, di fatto, già «una» scelta. Qualche adulto ha anche chiesto di potersi «sbattezzare». Molti, senza aver fatto una esplicita scelta in questo senso, e forse senza nemmeno rendersene conto, vivono di fatto da «sbattezzati». Come ha detto il papa nel maggio scorso ai vescovi italiani, viviamo «in un tempo nel quale Dio è diventato per molti il grande Sconosciuto e Gesù semplicemente un grande personaggio del passato». Lamentarsi dei bei tempi passati o di come si viveva una volta non serve a molto. Dire che i tempi sono cambiati non è solo segno di realismo, è prendere atto che è giunta l’ora di proporre e di testimoniare un nuovo modo di credere e di vivere il Vangelo di sempre. In mezzo a tanti cambiamenti che possono disorientare, e forse, scoraggiare, la lettera agli Ebrei ci offre una consolante parola: «Gesù

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Cristo è lo stesso ieri e oggi e sempre» (13,8). Cambiano gli uomini, cambia la loro mentalità, cambia il loro modo di percepire e di giudicare la realtà, cambia il contesto sociale, ma Cristo, per chi lo sa percepire, rimane saldo come una roccia. È giunto il tempo in cui non è più possibile «credere» per abitudine. Visto che tutti partecipano ad una certa pratica religiosa, lo faccio anch’io (magari senza troppa convinzione). Il giorno in cui la maggioranza non sentirà più quella pratica, la conseguenza logica è che nemmeno io la vivrò più. Non è più possibile «credere» nemmeno per tradizione. Credevano i miei nonni, credeva mi madre, credo, quindi anch’io, ma senza aver mai personalmente scelto di «credere». Una volta nessuno si vantava di «non credere». L’ateismo era la scelta di una assoluta minoranza di persone e tale decisione non era sicuramente sbandierata ai quattro venti. Oggi è esattamente il contrario. Soprattutto in certi ambienti borghesi e intellettuali dire di «credere» è ritenuto poco conveniente. È come se un vecchio dicesse con tutta serietà che «crede» alle favole: farebbe semplicemente ridere. Così è chi, in certi ambienti, afferma di «credere» e magari ha anche il coraggio di testimoniare concretamente la sua fede. Tornano qui assai utili le parole dette un giorno da Giovanni Paolo II: «La cultura di oggi

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talora ci contraddice in modo blasfemo, altre volte sorride in modo ironico; ma il cuore dell’uomo nel suo profondo attende: tutto l’uomo attende tutto il Cristo». Imparare a «credere» Per essere adeguatamente compreso, «L’Anno della fede», che comincerà l’11 ottobre prossimo, deve essere collocato in questo quadro generale. «Un nuovo modo di credere e di vivere il Vangelo», abbiamo detto sopra. Ecco allora le domande cruciali che tutti dobbiamo porci: «Cosa significa oggi credere?», «Cosa significa aver fede?», «A che cosa credo quando dico di credere?». «Conosco il contenuto delle verità a cui dico di credere?». L’«atto» di fede coinvolge due soggetti o protagonisti: Dio e l’uomo. Cominciamo con alcune considerazioni sul secondo dei due soggetti: l’uomo e in particolare sull’«atto» tipico dell’esperienza religiosa, l’«atto» del credere. Cosa significa allora «credere»? Il verbo «credere» ha tante applicazioni. Si può dire «credo» in una dottrina politica, in un partito, «credo» a ciò che mi dice mia mamma, «credo» a una teoria scientifica e «credo» in Dio. Qual è la differenza tra «credere» in Dio e «credere» a tutte le altre cose? In via generale si può dire che il «credere» a una teoria scientifica è un «atto» che coinvolge, muove la mente di una persona. Oggi «credo» a questa teoria, ma domani potrei «credere» a una più


Con la Chiesa convincente di questa. «Credere» nell’ambito di qualsiasi esperienza religiosa, e perciò anche di quella cristiana, invece coinvolge, mette in movimento, tutta la persona e non solo la sua dimensione intellettuale. San Paolo lo ha spiegato bene: «Con il cuore …. si crede … e con la bocca si fa la professione di fede» (Rm 10,10). Il verbo «credere» usato dalla Bibbia potrebbe essere tradotto con «affidarsi a», «appoggiarsi su». Per la Bibbia con l’«atto» del credere l’uomo si «affida» a qualcuno. La figura più bella di questo «affidarsi» è senz’altro quella di Abramo (Genesi 22). Abramo proprio perché si «affida» può partire per la terra che gli è stata promessa e che ancora non «vede». L’«atto» del credere ha anche una secondo aspetto: colui a cui mi affido è «qualcosa, qualcuno di stabile», di sicuro e di fermo. In ebraico la parola «verità» richiama l’idea di stabilità. Potremmo evocare qui l’immagine evangelica della sabbia e della roccia: solo la casa costruita sulla roccia ha resistito ai venti e alle piogge, quella edificata sulla sabbia è stata spazzata via. L’autentico e vero «credere», l’«atto» di fede non ha come termine di riferimento una banderuola mossa dal vento, ma si radica in «qualcosa, in qualcuno di stabile». Io «credo», dopo che qualcuno mi avrà dimostrato come «vera», cioè esistente, una certa realtà fosse, anche quella di Dio. In via preliminare chiedere che venga dimostrata «vera», cioè esistente una cosa, non è un’esigenza sbagliata. Perché la scienza medica sia utile e non fonte di illusioni è necessario dimostrare che un farmaco «fa» guarire da una certa malattia. Fino ad ora nessuno è riuscito a dimostrare che un grattacielo di 50 piani può restare in piedi, appoggiandosi su fondamenta di cartone. E quindi chi pretendesse di vendere come «vero», cioè come esistente,

un appartamento di quel grattacielo, venderebbe un’illusione. La nostra vita, però, non è fatta solo di «dimostrazioni» di carattere scientifico e tecnico. La verità, che l’abbraccio amoroso di due persone manifesta agli stessi interessati, da quale formula può essere dimostrata «vera»? La Cappella Sistina o la Gioconda di Leonardo da quale procedimento fisico-matematico può essere adeguatamente spiegata? L’amore di due persone è ben più di una formula chimica e il mistero di un’opera d’arte è ben più di un insieme di colori gettati meccanicamente sulla parete da un uomo. Se fosse così semplice fare capolavori d’arte nascerebbe una Cappella Sistina al giorno! La realtà, che è sotto i nostri occhi, dice che le cose non stanno così perché se fosse già stata trovata la formula che spiega e «dimostra» una volta per sempre l’amore tra uomo e donna, da tempo gli uomini avrebbero smesso di scrivere poesie sull’amore. Se sapessimo tutto sul nostro futuro dopo la morte, da tempo avremmo finito di immaginare il futuro dell’umanità, come ha fatto Michelangelo quando ha dipinto il Giudizio universale nella Cappella Sistina. «Credere» secondo il Vangelo Ci avviamo a concludere con una domanda: “Perché non ipotizzare che l’approccio alla verità della fede, all’«atto» del credere abbia qualcosa in comune con questo secondo tipo si «dimostrazione»?”. In via generale potremmo dire che l’«atto» del credere è l’atto mediante il quale io mi «affido», mi «abbandono» a qualcuno che mi viene incontro, che mi si rivela e nell’«atto» di rivelarsi dice qualcosa su di sé e su di me. Per capire tutto ciò basterebbe tornare a rileggere il brano evangelico dell’incontro di Gesù con la Samaritana (Gv 4). L’incontro con Gesù non fu né previsto né programmato dalla

Samaritana, perché nella sua mente la mattina, in cui uscì di casa per andare a prendere l’acqua al pozzo e nella quale incontrò Cristo, doveva essere uguale a tutte le altre. Quell’incontro, che si trasformò ben presto nella «rivelazione» di quello straniero a lei e di lei a quello straniero, fu un avvenimento inaspettato e alla fine un «regalo», un «dono» che ella seppe liberamente accogliere. Se ci chiediamo quale sia l’immagine più semplice, a cui possiamo far ricorso per capire meglio l’idea di «abbandono» insita in ogni «atto» di fede, non resta che ricorrere a quella del bambino. Questi «crede» a sua madre perché si «abbandona» a lei, alle sue parole e a tutto ciò che ella è. Non si accontenta di «crederle» con un atto delle sue sole facoltà mentali, non calcola, ma si «abbandona» con tutto se stesso a lei. A ben pensarci forse non è un caso che Gesù abbia detto che per entrare nel Regno dei cieli bisogna tornare bambini (Mt 18,3), e cioè fare come fanno i bambini: «affidarsi». Se Lui è il Regno di Dio fattosi persona, «credere» significa «affidarsi» a Lui. Anche l’«atto» di fede di un papa è un «atto» di fiducia e di «abbandono», perché un papa, prima di svolgere un ministero e un servizio a favore di tutta la Chiesa, è pur sempre un cristiano. Questo «credere» non è ovviamente un atto che annulla la ragione dell’uomo, se mai la spalanca; non è un «atto» da compiere per costrizione, ma nella libertà; non è un «atto» intimistico, perché ha delle conseguenze sociali; non è un atto che è cominciato da me e morirà con me, perché affonda le radici in coloro che, compiendo prima di me «atti» simili al mio, hanno reso possibile il mio «atto» di fede. Su questi aspetti dell’«atto» del credere torneremo in una prossima puntata.

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P. Aldino Cazzago ocd

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Formazione biblica Il corpo è il luogo della nostra avventura esistenziale

Il corpo secondo le Sacre Scritture

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o un’infinita farne / d’amore, d’amore di corpi senz’anima”. Così cantava Pier Paolo Pasolini nella sua Supplica a mia madre, poesia riproposta dal poeta proprio nell’anno della sua tragica uccisione (1975). È, questo, un ritratto del nostro tempo così “corporalmente” pesante, così aggrappato al benessere fisico, al materialismo del godimento, all’apparire esteriore, per cui sotto la pelle e la carne non rimane più nulla. Per reazione, soprattutto in passato, la religione aveva puntato tutto sull’anima, ignorando l’urlo del corpo con le sue pulsioni ma anche con le sue esigenze di fame, di sete, di salute, di benessere. Ritrovare l’equilibrio è, certo, difficile. Ma il cristianesimo —come tutta la visione biblica— considera l’uomo nella sua profonda unità tant’è vero che poco s’interessa dell’”anima” in senso greco (realtà del tutto spirituale, repellente rispetto alla corporeità) ma punta tutto sull’essere esistente. Noi, infatti, non abbiamo un corpo ma siamo un corpo, perché è in esso e attraverso esso che viviamo e comunichiamo la nostra interiorità. Non bisogna dimenticare un curioso dato di fatto. Nel Vangelo di Marco i racconti di miracoli occupano il 31% del testo (209 versetti su 666) e, se escludiamo la narrazione della passione, morte e risurrezione per attestarci solo sul ministero pubblico di Gesù, la proporzione sale al 47% (209 versetti su 425).

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Vorremmo, allora, a partire da questa puntata della nostra rubrica, interessarci proprio del corpo secondo le Sacre Scritture, un corpo che è specchio dell’intimità spirituale, del mistero stesso religioso

Il nostro corpo è il tempio dello Spirito e membro del corpo di Cristo; la sua missione è glorificare Dio. Nel corpo è impressa la nostra storia, i nostri ricordi più profondi. Il corpo è il luogo della nostra avventura esistenziale. Ha una vocazione eucaristica grazie alla quale tende a trasformarsi in un corpo offerto, come lo fu il corpo di Cristo.

della creatura umana, oltre che dei suoi travagli, delle sue sofferenze, delle sue gioie e dei suoi piaceri. Partiremo proprio da una parola emblematica, carne (in ebraico basar in greco sarx: si pensi che quest’ultimo termine risuona ben 147 volte nel Nuovo Testamento). Noi tutti abbiamo in mente una sorta di ritornello che ricorre nel discorso sul “pane di vita” che Gesù tiene nella sinagoga di Cafarnao e che è riferito nel capitolo 6 del Vangelo di Giovanni. “Il pane che io darò è la mia carne...

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Come può costui darci la sua carne da mangiare?... Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo... Chi mangia la mia carne...”. Gesù, sollevando scandalo e sarcasmo, offre la sua carne in cibo e il suo sangue come bevanda. La provocazione è evidente se si pensa che una delle proibizioni più forti dell’Antico Testamento riguardo ai cibi era proprio quella di “non mangiare la carne con la sua vita, cioè col sangue;” (Genesi 9, 4). Naturalmente Gesù non voleva indurre all’antropofagia sacra ma, partendo proprio dal valore simbolico del termine “carne”, voleva proporre quell’intima comunione tra lui e il fedele che l’eucaristia attua. Infatti, “carne” nel linguaggio biblico indica l’esistenza di una creatura vivente. Nel Salmo 84 l’orante esprime così il suo amore per Dio: “Il mio cuore e la mia carne gridano di gioia verso il Dio vivente” (v. 3). “Mangiare la carne” diventa, allora, un’espressione netta e incisiva per esaltare la piena comunione tra Dio e l’uomo. E i segni del pane e del vino permettono, nel tempo e nello spazio, di realizzare questa intima unione. Dobbiamo, però, ricordare che la parola “carne” ha, all’interno soprattutto del pensiero paolino, un’altra connotazione che è invece negativa: è il principio del peccato che in noi opera e che la grazia vince. È per questo che, scrivendo ai Romani, l’Apostolo afferma che Dio “ha mandato il proprio Figlio in una somiglianza della carne del peccato” (8, 3) . Il Figlio


Formazione biblica di Dio è veramente “incarnato”anche per Paolo, ma non possiede in sé la potenza distruttrice della “carne del peccato”. Si spiega, così, l’espressione “somiglianza della carne” usata dall’Apostolo. C’è, dunque, una duplicità di profili nella realtà della “carne” umana, Essa è, da un lato, segno della nostra identità di persone, è espressione del nostro io intimo e profondo. D’altro lato, è indizio della nostra qualità di creature fragili, libere e peccatrici, pronte a generare male e violenza, impurità e miseria. Ebbene, il mistero centrale del cristianesimo va incontro proprio a questa duplicità per assumerla e per redimerla. Leggiamo a questo proposito il prologo del vangelo di Giovanni (1, 1-18), uno splendido inno che si snoda proprio sul filo conduttore dell’incarnazione. Ed è appunto sulla frase che fa quasi da vertice all’inno che noi ora fissiamo la nostra attenzione. Il verso 14, infatti, si apre così: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi...”, Quel “venne ad abitare” nell’originale greco è un solo verbo: eskènosen, che ha alla base la parola skenè, “tenda”: la Parola di Dio “pose la sua tenda” in mezzo alle nostre residenze. A chi ha familiarità con la Bibbia

appare subito l’allusione alla “tenda dell’incontro”, cioè al santuario mobile che accompagnava Israele in marcia nel deserto verso la terra promessa. Oppure può balenare anche un riferimento al discorso che la Sapienza rivolge ai suoi ascoltatori nel capitolo 24 del libro biblico del Siracide: “Il mio Creatore mi fece piantare la tenda in Israele”. Ma forse c’è un ulteriore, curioso rimando, affidato a un sottile giuoco di parole, Nel giudaismo la “Presenza” divina nel tempio di Gerusalemme era chiamata Shekinah, la “presenza” per eccellenza. Ebbene, le tre lettere fondamentali di quella parola ebraica, s-k-n, si ritrovano anche nella radice del verbo greco usato da Giovanni, eskenosen. A questo punto possiamo riprendere il tema della “carne”. La “carne”, cioè l’umanità del Cristo, è —secondo Giovanni— la nuova tenda santa, iI nuovo tempio in cui risiede ogni pienezza di sapienza, grazie e verità, in cui si manifesta la presenza perfetta dell’Emmanuele, il Dio-con-noi. È per questo che il corpo diventa il segno di un mistero e di una presenza sacra, come ricorda S. Paolo ai cristiani di Corinto: “Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che

avete da Dio?.. Glorificate, dunque, Dio nel vostro corpo!” (1, 6, 19-20). Ma proprio questo monito dell’Apostolo —soprattutto se si considera il contesto entro cui si colloca, anello della corruzione che imperversava nella città greca di Corinto— ci svela anche l’altro volto della “carne”, quello peccaminoso. E Cristo assume la nostra carne non solo per deporre in essa un seme di eternità che la conduca oltre la morte (la “risurrezione della carne” che confessiamo nel Credo), ma anche per redimerla dal suo male morale, dal peccato. In questa luce noi dobbiamo amare la “carne” dell’umanità sia perché essa è tempio di una presenza divina ma anche perché essa è stata redenta e purificata dal sangue di Cristo. L’impegno per i corpi malati che negli ospedali e nella cura quotidiana si esercita è, perciò, un’espressione di questo amore. E proprio per la complessità della realtà “carne” che ora abbiamo illustrato, il servizio dei sofferenti non dev’essere per il credente solo una questione terapeutica o medica, ma anche un impegno di umanità, di spiritualità, di trasformazione e liberazione interiore.

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G. F. Ravasi

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Spazio missioni Brani del messaggio di Benedetto XVI in preparazione della Giornata missionaria mondiale del 21 ottobre

Far riscoprire la gioia del credere

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a celebrazione della Giornata missionaria mondiale si carica quest’anno di un significato tutto particolare. La ricorrenza del 50° anniversario del decreto conciliare Ad gentes, l’apertura dell’Anno della fede e il sinodo dei vescovi sul tema della nuova evangelizzazione concorrono a riaffermare la volontà della Chiesa d’impegnarsi con maggior coraggio e ardore nella missio ad gentes, perché il vangelo giunga fino agli ultimi confini della terra. Il concilio Vaticano II, con la partecipazione dei vescovi cattolici di tutto il mondo, è stato un segno luminoso dell’universalità della

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Chiesa [...]. Vescovi missionari e vescovi autoctoni, pastori di comunità sparsi tra popolazioni non cristiane, [...] hanno contribuito in maniera rilevante ad affermare di nuovo la necessità e l’urgenza dell’evangelizzazione ad gentes e, quindi, a portare nel centro dell’ecclesiologia la natura missionaria della Chiesa. Annunciare il Vangelo impegno di ogni cristiano Questa visione [...] si ripropone oggi con rinnovata urgenza, perché si è dilatato il numero di coloro che ancora non conoscono Cristo. [...]

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Abbiamo necessità, quindi, di riprendere lo stesso slancio apostolico delle prime comunità apostoliche, che piccole e indifese, sono state capaci, con l’annuncio e la testimonianza, di diffondere il vangelo in tutto il mondo allora conosciuto. Non meraviglia, quindi, che il concilio Vaticano II e il successivo magistero della Chiesa insistano in modo speciale sul mandato missionario, che Cristo ha affidato ai suoi discepoli, e che deve essere impegno dell’intero popolo di Dio, vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, laici. La cura di annunciare il vangelo in ogni parte della


Spazio missioni terra corrisponde primariamente ai vescovi, diretti responsabili dell’evangelizzazione nel inondo. La priorità dell’evangelizzazione Il mandato di predicare il vangelo [...] deve coinvolgere tutta l’attività della Chiesa particolare, tutti i suoi settori, in breve, tutto il suo essere e il suo operare. Il concilio Vaticano II lo ha indicato con chiarezza e il magistero successivo lo ha ribadito con forza. Ciò richiede di adeguare costantemente stili di vita, piani pastorali e organizzazione diocesana a questa dimensione fondamentale dell’essere Chiesa, specialmente nel nostro mondo in continuo cambiamento. [...] Tutte le componenti del grande mosaico della Chiesa devono sentirsi fortemente interpellate dal mandato del Signore di predicare il vangelo, affinché Cristo sia annunciato ovunque. Noi pastori, i religiosi, le religiose e tutti fedeli in Cristo, dobbiamo metterci sulle orme dell’apostolo Paolo, il quale [...] ha lavorato, sofferto e lottato per far giungere il vangelo in mezzo ai pagani, senza risparmiare energie, tempo e mezzi per far conoscere il messaggio di Cristo [...]. La cooperazione missionaria si deve allargare oggi a forme nuove, includendo non solo l’aiuto economico, ma anche la partecipazione diretta all’evangelizzazione, [...] La celebrazione dell’Anno della fede e del sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione saranno occasioni propizie per un rilancio della cooperazione missionaria, soprattutto in questa seconda dimensione Fede e annuncio Gli orizzonti immensi della missione ecclesiale, la complessità della situazione presente chiedono oggi modalità rinnovate per poter comunicare efficacemente la parola di Dio, Questo esige, anzitutto, una rinnovata adesione di fede

personale e comunitaria al vangelo di Gesù Cristo, in un momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo [...]. Uno degli ostacoli allo slancio dell’evangelizzazione, infatti, è la crisi di fede, non solo dei mondo occidentale, ma di gran parte dell’umanità, che pure ha fame e sete di Dio, e deve essere invitata e condotta al pane di vita e all’acqua viva. [...] Occorre rinnovare l’entusiasmo di rinnovare la fede per promuovere una nuova evangelizzazione delle comunità e dei Paesi di antica tradizione cristiana, che stanno perdendo il riferimento a Dio, in modo di riscoprire la gioia di credere. La preoccupazione di evangelizzare non deve mai rimanere ai margini dell’attività ecclesiale e della vita personale del cristiano, ma caratterizzarla fortemente nella consapevolezza di essere destinatari e al contempo missionari del vangelo. Il punto centrale dell’annuncio rimane sempre lo stesso: il kerigma [termine greco che indica il primo «annuncio» della fede. ndr] del Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, il kerigma dell’amore di Dio assoluto totale per ogni uomo e ogni donna, culminato nell’invio del Figlio eterno e unigenito, il Signore Gesù, il quale non disdegnò di assumere la povertà della natura umana, amandola e riscattandola, per mezzo dell’offerta di sé sulla croce, dal peccato e dalla morte. [...] La fede è un dono che ci è stato dato, perché sia condiviso [...]. È il dono più importante che ci è stato fatto nella nostra esistenza e che non possiamo tenere solo per noi.

annunciare il Nome di Cristo, nel quale l’umanità trova la salvezza [...]. Si tratta di un’espressione di profonda comunione, condivisione e carità tra le Chiese. [...] Insieme a questo alto segno della fede che si trasforma in carità, ricordo e ringrazio le Pontificie Opere Missionarie, strumento per la cooperazione alla missione universale della Chiesa nel mondo. Attraverso la loro azione l’annuncio del vangelo si fa anche intervento in aiuto del prossimo, giustizia verso i più poveri, possibilità d’istruzione nei più sperduti villaggi, assistenza medica in luoghi remoti, riabilitazione di chi è emarginato, sostegno allo sviluppo dei popoli, superamento delle divisioni etniche, rispetto per la vita in ogni sua fase. Invoco sull’opera di evangelizzazione ad gentes, e in particolare sui suoi operai, l’effusione dello Spirito Santo, perché la grazia di Dio la faccia camminare più decisamente nella storia del mondo.

L’annuncio si fa carità Tanti sacerdoti, religiosi e religiose, da ogni parte del mondo, numerosi laici e addirittura intere famiglie lasciano i propri paesi, le proprie comunità locali e si recano presso altre Chiese per testimoniare e

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Spazio missioni Padre Sergio Targa ci racconta le sue impressioni su due mondi distanti

La speranza è un dovere

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i sembra solo ieri che, sbarcando a Malpensa, pensavo divertito di avere una lunga vacanza davanti a me. Invece sono già passati quasi tre mesi ed il tempo della ripartenza si fa ormai vicino. Buon segno, in fondo, perchè significa che mi sono trovato bene a casa... E casa significa tante cose, dagli affetti famigliari, a una geografia conosciuta, a radici storiche, culturali e religiose che insieme mi fanno essere quello che sono diventato. Tornare a casa è dunque come un rientrare nelle retrovie, lasciarsi andare al sonno, fare incetta di vivande, e prepararsi a ripartire nuovamente. Ma col passare delle partenze e dei ritorni e delle ripartenze ancora, mi sono reso conto che la distinzione tra fronte e retrovie non è poi più così chiara. E non mi riferisco necessariamente al fatto incontrovertibile e ineludibile degli extracomunitari in mezzo a noi che hanno fatto sì che la missione

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si sia oramai geograficamente trasferita e avvicinata alle soglie delle nostre case, mi riferisco invece al progressivo inaridimento di quelle radici affettive, storiche, culturali e religiose che fan sì che casa sia appunto casa, e che uno sia quello che è. Fuor di metafora: anno dopo anno (sono ormai 20 gli anni del mio andirivieni col Bangladesh) ho notato un lento ma progressivo scollamento fra noi e la nostra casa comune, la nostra storia, la nostra identità. Certamente, la cultura è sempre un qualcosa di dinamico e così pure le identità che essa informa; le trasformazioni non sono quindi necessariamente un male, lo diventano, presumo, se creano insicurezza, infelicità, apatia, solitudine, intolleranza, violenza, maleducazione, egoismo ecc. È questa la direzione che il nostro mondo ha imboccato? Non sono certamente io quello che deve sentenziare su un mondo che co-

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nosco solo per pochi giorni una volta ogni tanto. Ci sono però dei segni qua e là che non fanno presagire bene. lo mi soffermerò solo su uno di questi. Sarà la crisi economica che ci attanaglia o chissà che altro, l’impressione è che siamo un po’ tutti rassegnati, quasi vittime dell’ineludibile. Una rassegnazione che porta a stanchezza e ad aggressività: incapaci di cambiare il corso di eventi e situazioni che fino ad ieri ci sono stati comodi, ci creiamo facili quanto improbabili capri espiatori in grado di assolverci da responsabilità individuali e di gruppo che vengono invece da molto lontano. Per cui le colpe possono essere della Germania, degli extra comunitari o del meridione d’Italia, tanto per citare capri espiatori comuni, la cosa importante è che noi si appaia come vittime. E se economicamente e politicamente siamo stagnanti, non possiamo pretendere di non esserlo anche religiosamente. Infatti, la rassegnazione, la stanchezza e l’aggressività nella nostra vita civile, riflettono il principio antievangelico che di solo pane vive l’uomo! Oggi in un momento in cui il profitto ed il potere sono in qualche modo rimessi in discussione, dopo decenni in cui si erano costituiti come privilegi insindacabili, ecco che il mondo crolla. E pur quelle sottili veline di religione usate per nascondere e giustificare a noi stessi prima e agli altri poi, la bontà del nostro vivere, saltano miseramente. E ci troviamo nudi, a rimpiangere le cipolle d’Egitto! Non c’è più fede, si dice, ma quel


Spazio missioni che davvero manca e sul quale la fede stessa si regge, è la speranza. Siamo ormai incapaci di sperare, e quindi di aprirci al futuro come a un dono. Vivendo in un mondo che ci siamo costruiti come asettico, contenuto in sè stesso, e regolato dalle nostre regole, ci sentiamo persi come fuscelli al vento quando le nostre stesse regole si sfasciano. Speranza è apertura sulla trascendenza, accettazione del rischio come stimolo vitale, accoglienza e apertura. Solo in questo humus può esistere lo spazio della fede. Nessuna meraviglia dunque se la fede tentenna: in un mondo voluto come indipendente, non può esserci spazio per la dipendenza, il fidarsi, il meravigliarsi, l’abbandonarsi, non c’è cioè spazio per quello che un filosofo ha felicemente chiamato il Totalmente Altro, come soggetto della nostra nostalgia-speranza-fede. Ma in un mondo così fatto esiste lo spazio per l’amore? La domanda è terribile nella sua semplicità e non voglio risponderla. Mi auguro solo che nelle radici della nostra storia si possano riscoprire le radici della nostra identità. Non ci interessa un passato da ricostruire, ma un futuro da inventare sui valori del nostro passato. E ricominciare a sperare penso sia sconfiggere il grande male dei nostri tempi. La morte della speranza infatti, non coincide solo con la morte stessa di Dio, ma e soprattutto, con la morte dell’uomo. Ritorno in Bangladesh, dunque, pensieroso per una casa (cioè il nostro mondo italiano) che da qualche anno trovo sottosopra. E ricordo a me stesso che la speranza è un dovere anche per me. In fondo è assai possible che le difficoltà del momento attuale possano diventare motivo di una nuova primavera di là a venire. Grazie a tutti per tutto, e... alla prossima.

La dignità umana degli intoccabili

L’impatto con il Bangladesh

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ono arrivato in Bangladesh all’inizio del 1992. L’impatto è stato tremendo; non mi aspettavo una realtà del genere: povertà, mendicanti, traffico, confusione, bambini da tutte le parti, case fatiscenti... Adesso il Bangladesh non è più quello di venti anni fa; è migliorato. Ma allora... II mio cuore è sempre con i “rishi” Dal 2000 lavoro con la popolazione rishi, i cosiddetti fuori- casta, dediti alla lavorazione della pelle e marchiati con il segno dell’intoccabilità. Una situazione che non dovrebbe più esistere per legge, ma che continua a perdurare nella tradizione e nella mentalità della gente, soprattutto in ambito rurale. Ho trascorso sei anni a Chuknagar: una presenza nuova per i saveriani, a stretto contatto con il mondo hindu, completamente non cristiano. Il campo di lavoro era la formazione: portavamo avanti una dozzina di piccole scuole nei villaggi rishi, seguendo lo studio dei ragazzi e la formazione dei loro genitori. Da alcuni anni vivo e lavoro nella parrocchia di Borodol, la cui popolazione proviene dal gruppo dei fuoricasta, convertita al cristianesimo fin dal 1937 per opera dei gesuiti arrivati da Calcutta. La dignità umana da ricostruire Il fulcro del mio impegno è la dignità umana. Cerco di ricostruire una dignità umana che è stata rovinata in tanti secoli di discriminazione razziale di casta. I rishi e altri gruppi “intoccabili” sono considerati una “sottoforma” di esseri umani. E ciò ha provocato in loro complessi d’inferiorità, ferite psicologiche che devono essere sanate. Proprio a motivo di questo complesso, generalmente questa gente tende a nascondersi, non rivela la propria provenienza sociale e culturale. La mia attività prevede di ridare dignità, partendo dall’affermazione positiva della propria identità, con orgoglio e senza paura. È il primo passo per superare la memoria storica che hanno alle spalle. Dignità e identità: sono i due elementi su cui batto e che inserisco in tutte le salse... E mi sembra sia un compito appropriato anche per un missionario, perché la stessa cosa ha fatto Gesù con noi. p. Sergio Targa

Sergio Targa Missionario Saveriano

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Spazio missioni Intervista a Padre Matteo Fogliata rogazionista a Varsavia

Scoprendo Padre Matteo

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i era stato proposto di fare un articolo per il bollettino parrocchiale: come mai una intervista? Mi sento in dovere di collaborare al nostro bollettino, per ricambiare l’ospitalità. Mi sono scervellato per trovare un argomento. Articolo pronto ce l’avrei, ma è un po’ specializzato, pensi un po’, sull’influsso del testo di Bel e il serpente in Daniele 14 e Michea 3 nella formulazione di Mt 9, 36: “le folle stanche ed abbandonate” e perché Abacuc deve portare zuppa e pane ai mietitori. Vede Lei stessa che un tale articolo non è adatto, forse sarebbe curioso, ma…Ho pensato a riassumere una ricerca sul discernimento spirituale, un lavoro di un mio confratello che studia spiritualità alla Gregoriana, ma anche questo è cosa specializzata. Ho pensato alla teologia di San Paolo nelle sue lettere, al contenuto dei Salmi di Salomone nell’AT in greco, ma sono più miei interessamenti. Mi sono alla fine deciso per l’intervista, che alleggerisce il dover parlare in prima persona e che suscita più interesse nei lettori. Approfitto per ringraziare delle offerte che i parrocchiani e parrocchiane mi hanno dato per il progetto della mensa del povero a Varsavia. Adesso sto finendo le due settimane di ferie, che mi son sempre state date nella seconda metà di agosto. Sono varie le ricorrenze anche liturgiche che rallegrano questi giorni. Rimango in paese con mia mamma, mia so-

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rella e la sua famiglia. Mia mamma ha 87 anni, la trovo bene in salute. Cosa ha fatto in questi mesi? I mesi di giugno e di luglio a Varsavia sono stati pesanti per varie decisioni da prendere proprio a fine attività. Il mio confratello P. Marcin è andato agli esercizi spirituali e in ferie. La mensa del povero è rimasta aperta fino alla metà di luglio. Ci sono stati vari interventi di manutenzione nel cortile e nella mansarda. Il primo luglio abbiamo concluso l’anno eucaristico della mia congregazione dei Rogazionisti e la ricorrenza dei 125 anni di fondazione delle Figlie del Divino Zelo. Lo aveva indetto l’attuale Padre Generale Angelo Ademir Mezzari, brasiliano, mio alunno a Sao Paulo negli anni ’80. Poi si è preparato il viaggio per il gruppo di 42 ragazzi, quest’anno a Marina di Massa con gruppi di altre nazionalità, per attività formative e ricreative. Ho preparato bene i temi di catechesi su alcune frasi liturgiche e sulle preghiere del cristiano con la spiegazione dei 10 comandamenti e delle 8 beatitudini. Questa volta devo dire che sono rimasto soddisfatto per queste catechesi, grazie al Signore sono state ben recepite dai ragazzi. Sono quindi piaciute quelle quasi due ore di preghiera, spiegazione e santa Messa quotidiana. Anche il piccolo Szymon di 5 anni diceva alla mamma: “Anch’io voglio andare a pregare”.

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Quando è venuto in ferie al paese? Sono partito da Varsavia il 15 agosto. Ho perso intanto la possibilità di accompagnare dal vivo la visita del Patriarca Cirillo di Mosca all’Episcopato Polacco. Anche questo avvenimento, sottolineo “anche”, è stato preparato solo dai Vescovi. Penso che i fedeli sono rimasti un po’ allibiti quando hanno ascoltato l’affermazione: “ogni russo e ogni polacco devono sentirsi fratelli”. Penso che il tempo è necessario a noi mortali per arrivare anche con la fede ad esprimere una sincera affermazione personale e tanto più comunitaria. Penso che la visita di Cirillo, se non ha subito l’influsso di Putin per calmare l’opinione pubblica per la tragedia aerea di Smolensk, dove morirono il presidente della Polonia e altre 94 ottime persone, tra cui parecchie, che conoscevo (un monsignore che ha inaugurato la nostra casa, il Rettore dell’Università Cattolica che mi ha dato il dottorato in Sacra Scrittura, ecc.) con molta più probabilità risulta essere una preparazione all’incontro tra il Patriarca stesso e il Papa. Questo lo penso io, comunque il tempo lo rivelerà. Ho sentito del progetto per la nuova mensa del povero… Sì, c’è l’occasione di ampliare la mensa del povero e contemporaneamente ampliare lo spazio che abbiamo a Varsavia. La nostra vicina signora Wanda (87 anni) e i suoi due figli vogliono vendere


Spazio missioni la loro abitazione in stato fatiscente perché non si sentono più di affrontare il prossimo inverno senza riscaldamento e senza acqua (perché si congela) e in condizioni igieniche che preferisco non descrivere. Questo sarebbe già un forte motivo per comprare la casa…ma proprio adesso c’è la crisi e non ci sono soldi. La signora anziana è da ammirare per la sua “spartanità”, ma d’altra parte sarebbe l’ora che potesse usufruire di acqua corrente in casa per la doccia e godere il caldo nei giorni gelidi che già incominceranno a ottobre-novembre per durare fino a maggio. Intanto il progetto della nuova mensa consisterebbe in una costruzione prefabbricata comprendente cucina, depositi, servizi igienici e sala per un centinaio di persone. Verrà a costare molto. Con l’ingegnere siamo andati in comune per domandare delle condizioni di prefabbricabilità. Non ci sono impedimenti, solo presentare il progetto. Questa è una buona notizia che però ci fa vedere il vero ostacolo che è la mancanza di fondi per cominciare. Qui prendo ancora occasione per ringraziare quelle persone che mi hanno dato offerte. Non le nomino, ma loro devono sapere che ci hanno dato un grande aiuto: il Signore ricambi la generosità! Quindi il terreno e la possibilità di una costruzione più ampia sono due occasioni, che si possono realizzare… Come è la tua vita a Varsavia? È vita in comunità. Per quest’anno saremo in due. Quindi abito con il confratello P. Marcin. Alle 7.30 c’è la preghiera del mattino con i salmi e la meditazione. Con il tempo la meditazione mi è sempre più piaciuta. Scelgo libri di spiritualità, di teologia o le stesse lettere di San Paolo. Alle 8.00 già viene la cuciniera della mensa del povero. Dopo colazione uno di noi va

alla forneria, che ci da il pane del giorno prima. P. Marcin si dedica ai conti e alle compere perché è economo. P. Marcin è giovane, ha un anno di messa. In mattinata e nei tempi liberi ci dedichiamo a traduzioni, a preparazione di omelie, studio di testi biblici, scrivere articoli, aiutare nella stesura di tesi per i confratelli studenti. Poi alle 11.00 apriamo la mensa per quelli dell’asporto. Poi entrano quelli che mangiano sul posto, che ricevono una seconda porzione (70 persone da lunedì a venerdì). Distribuiamo vestiti, coperte, pane, gillette e sapone, detersivo per la pulizia e l’igiene. Noi cerchiamo di conoscere personalmente i poveri c sentire il polso della loro condizione. Alle 12.45 preghiamo i salmi dell’Ora media. Dopo pranzo, alle 13.30 già siamo a disposizione della dozzina di ragazzi del doposcuola. Questa è un’altra attività che se dà di prestigio, è però difficile. Devono fare i compiti e poi c’è il campetto e i bigliardini (ancora quelli che ci ha regalato Don Piero quando comprò i nuovi per l’oratorio). Con i ragazzi festeggiamo le varie ricorrenze liturgiche, facciamo qualche gita, bel tempo permettendo, preghiamo presso la nostra grotta di Lourdes. Il nostro doposcuola è visto come un primo aiuto alle famiglie in difficoltà. Prima che l’assistenza sociale tolga la patria potestà, alcuni i affidano i figli per evitare drastiche conseguenze. Abbiamo già una storia di venti anni. Non tutti i ragazzi e ragazze passati da noi son finiti bene. Questo è motivo di cruccio e di preghiera. Alle 18.00 c’è il rosario con i fedeli che frequentano la nostra Cappella intitolata al fondatore S. Annibale Maria Di Francia. In seguito celebriamo l’Eucaristia. Seguono i salmi del Vespro e la lettura spirituale. Il giovedì facciamo l’adorazione vocazionale e alcune volte leggiamo la preghiera del nostro Fondatore. Di questa

preghiera egli ottenne la traduzione in polacco dalla signora Maria Jastrzebska nel 1895 di Cracovia. Questo è un particolare interessante: quindi prima che andassimo in Polonia nel 1991 il nostro fondatore ci aveva preceduto. In seguito dopo cena attendiamo qualche povero che vuol approfittare della disponibilità e di quello che possiamo dare. All’inizio di ogni mese facciamo il consiglio di casa per vedere le spese e le entrate, che per la crisi sono ridotte. Programmiamo le iniziative pastorali in Cappella e le varie scadenze. Sono contento perché decisioni e iniziative sono prese con partecipazione e responsabilità, senza imporre vedute o scelte. Così la vita religiosa diventa un paradiso, dato che manca poco che sia un inferno. Facciamo la Lectio Divina nel giorno di ritiro mensile. Nell’esporre la propria interpretazione risultano le vedute e gli affetti di ciascun confratello. Si hanno quindi motivi per rispettarsi. Pensiamo alle attività che ci girano intorno: i poveri, i ragazzi, la Cappella e la vita di preghiera e di impegno. In seguito la giornata si conclude vero le 22.00. Questo è l’orario per tutto l’anno. C’è una settimana prevista per gli Esercizi spirituali e 20 giorni per le ferie in famiglia, se è possibile. So che pubblicate una rivistina… La pubblicava solo la nostra comunità di Varsavia, adesso la editiamo insieme con la comunità di Cracovia. In essa presentiamo articoli formativi, notizie sulle attività della comunità, dei ragazzi e dei fedeli della Cappella, informazioni per le nostre missioni in India e Ruanda, e ultimamente per il progetto della mensa del povero. Le risposte però sono di pochi generosi perché la crisi si fa sentire. E la domenica aiutate in parrocchia?

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Spazio missioni Non solo la domenica. Il lunedì sera nella parrocchia Buon Pastore, a cui apparteniamo, presento la spiegazione delle letture bibliche del giorno. Questo lo faccio insieme al curato. Dedichiamo un’oretta a questa attività con l’adorazione finale. Ho visto che riflettendo insieme sui testi si scoprono nuove possibilità di intuizioni e di impegno nella vita di fede. La domenica la dedichiamo alla celebrazione dell’Eucaristia presso le suore Feliciane. Nella nostra Cappella la Messa è alle 10.15. Il numero dei fedeli presenti è consistente dato che manteniamo l’atmosfera di spontaneità e di comodità per chi abita vicino ed ha i bambini. Celebriamo anche presso la comunità “Pane di vita”(movimento di origine belga) per i senza-casa. P. Marcin aiuta in una parrocchia fuori Varsavia per le celebrazioni e confessioni. Nel pomeriggio confesso

dalle 17.00 alle 19.30 nella parrocchia Buon Pastore e in un’altra vicina. I penitenti non li tengo molto, forse per questo a loro piace, ma devono fare la fila, purtroppo… Che impressione Le fa la nostra parrocchia? Quando si prega e si mantiene l’atmosfera di preghiera, senza avvedersi e in forma - vorrei dire spontanea - senza impliciti ostacoli, i fedeli partecipano. Questa è la più bella testimonianza che Castrezzato mi dà. Prima forse non era così o si cercava di fare così. Adesso si è arrivati a questo e si possono prevedere dei risultati. La gente sa che si prega, si celebrano i sacramenti, si fanno speciali preghiere e iniziative, si ricordano le ricorrenze. Tutti gli ambienti della parrocchia sono destinati a qualche attività… è il momento buono per fare “chiesa” senza la pre-

occupazione di dover fabbricare ancora. Cosa ci dice alla fine di questa intervista? Il Signore Gesù mi da la soddisfazione di dedicarmi a questo tipo di vita. L’accetto volentieri e non sento la tentazione di pensare ad altro. Forse questa potrebbe essere la mia testimonianza a favore della vita consacrata in comunità. Dicono che la vita religiosa delle congregazioni è destinata a scomparire. Io non vivrò molto a lungo, questo sì è sicuro, ma mi sforzo di essere e di vivere secondo il Vangelo. Spero che la lettura di questa intervista non abbia stancato fino in fondo la fedele lettrice e che susciti la culture delle vocazioni, che dovrebbero saltar fuori anche dalla nostra parrocchia di Castrezzato. Grazie di cuore. Intervista a cura di M.M.S. e S.B.

La frugalità Il malcontento popolare in Italia sulla gestione della “cosa pubblica” e sui piani di austerità imposti va montando in modo preoccupante. Le provocazioni delle lobby industriali, delle caste e la disoccupazione giovanile e femminile stanno esasperando le famiglie, vittime della compressione salariale. Le regole del mercato sono malsane, ma non riusciremo a cambiarle senza la “riconquista” del valore dell’etica collettiva, cosi importante nella tradizione cristiana , ma oggi abbastanza appannata. Non solo in economia stiamo andando avanti come in una giornata di nebbia che sfuma i contorni e rende labile la fisionomia delle cose e incerto il cammino di una società incerta e confusa. Il tarlo che oggi rode tanta cultura, e anche la comunità cristiana, è l’obiezione per la quale Cristo sarebbe un fatto del passato, un evento lontano offuscato da incrostazioni di secoli e da sedimentazioni pagane, per cui si stenta a sentirlo come contemporaneo e a coglierne la presenza attuale come Signore della vita e della storia. E invece solamente chi mi è contemporaneo può condividere la mia storia e aiutarmi a cambiarla in meglio. La chiave di lettura del fenomeno crisi, che ormai ci

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tormenta da anni, è proprio questa lontananza di Dio dalla giornata degli uomini. Il “ fare” forse carico anche di generosità, ma frammentato nelle motivazioni, è difficilmente comunicabile per incomprensione di linguaggi troppo lontani, provocando ricchezza e povertà: i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Il problema è ritrovare il baricentro del “fare” nell’esperienza di un rapporto, quotidianamente rinnovato, con Gesù e con i fratelli. Ci sono fronti d’azione in cui la novità dell’io” cristiano è prorompente, soprattutto nella condivisione delle fragilità e del dolore. Il cuore dell’esperienza cristiana s’impone quasi da sé, perché, in quelle condizioni di debolezza e di sofferenza, si sperimenta la forza della fraternità tra gli uomini che Gesù ha suscitato nella storia. La crisi si supera se si riesce ad entrare nella dimensione vera della condivisione: chi ha deve dare quello che ha, chi `è” deve insegnare ad essere: insegnare chi è la persona come proposta nella sfera civile per una conduzione giusta ed ugualitaria della “cosa pubblica” Il cristiano, secondo l’insegnamento di Francesco di Assisi, è che colui che non ha niente ma possiede tutto, antepone l’amore e il servizio all’interesse personale.


Famiglia Piccole e grandi strategie per una vita felice

Dentro la coppia

N

ella vita di coppia si possono stemperare tanti potenziali conflitti con una domanda: «Posso sapere di cosa hai bisogno?». Con il semplice rispondere a questa domanda spesso le cose cominciano a ricomporsi. L’esperienza professionale di psicologo a sostegno di coppie che cercano di migliorare i propri matrimoni, insegna che certe necessità emergono con regolarità, e in modo differenziato tra uomini e donne (vedi box). In particolare, le più comuni e frequenti differenze psicologiche e comportamentali tra uomo e donna sono: Uomo - L’errore più grave: interrompe proponendo soluzioni. - Parla poco. - Deve capire quanto sia importante ascoltare. - Per lui le grandi manifestazioni d’amore fanno una grande differenza. - Per stare meglio si rifugia nella caverna. - Se lei non chiede di più, lui è convinto di darle giù abbastanza. - Ama soprattutto sentirsi accettato, apprezzato e degno di fiducia. Donna - L’errore più grave: lei dispensa (utili) consigli non richiesti. - Parla molto. - Deve smettere di voler cambiare lui.

- Per lei le piccole manifestazioni d’amore fanno una grande differenza. - Per stare meglio lei accudisce. - Per lei non è romantico dover chiedere amore e affetto. - Ama soprattutto sentirsi capita, rispettata e coccolata. Bisogna sapere che esistono ormoni antistress, che vanno attivati in certe situazioni, diversi

nell’uomo e nella donna per via della diversità cerebrale fra loro. L’uomo necessita di testosterone per rilassarsi e recuperare energia attraverso la lettura di un giornale, sprofondando in una comoda poltrona, facendo zapping con il telecomando della tv, giocando a calcetto con gli amici, coltivando un hobby, gestendo riparazioni di emergenza in casa... La donna necessita di ossitocina

Le necessità nella coppia Lui desidera

Lei desidera

Soddisfazione sessuale Compagnia ricreativa Una compagna attraente Sostegno domestico Ammirazione

Affetto Conversare Sincerità e apertura Supporto finanziario Dedizione alla famiglia

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Famiglia

per rilassarsi e recuperare energia attraverso l’accudimento, nel senso di cenare una volta a settimana con le amiche, curare la propria immagine fisica andando dal parrucchiere o dal manicure, fare shopping, accudire figli o parenti, tenere in ordine la casa, frequentare una palestra... Inoltre esistono cinque linguaggi emozionali dell’amore. Spesso essere innamorati o sinceri non basta, bisogna parlare il linguaggio emozionale del partner, altrimenti le situazioni di attrito non tarderanno a manifestarsi. Ad esempio: lui le manda dei fiori ma quello che lei vuole è un po’ di tempo per parlare, oppure lei lo abbraccia, ma quello che lui vorrebbe è un

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buon piatto fatto in casa. Il vero problema, spesso, non è l’amore, ma il linguaggio, il modo con cui i due se lo comunicano. In sintesi, i linguaggi dell’amore sono: parole di incoraggiamento, momenti speciali, doni, gesti di servizio, contatto fisico. Ma una volta individuato il linguaggio giusto per il/la partner, poi è importante sapere come esprimerlo, cioè con quale tonalità offrirlo. Può essere utile un aneddoto di Gandhi: «Un giorno un pensatore indiano fece la seguente domanda ai suoi discepoli: “Perché le persone gridano quando sono arrabbiate?”, “Gridano perché perdono la calma”, disse uno di loro. “Ma perché gridare se la persona sta al suo lato?”, disse

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nuovamente il pensatore. “Bene, gridiamo perché desideriamo che l’altra persona ci ascolti”, replicò un altro discepolo. E il maestro tornò a domandare: “Allora non è possibile parlargli a voce bassa?”. «Varie altre risposte furono date ma nessuna convinse il pensatore. Allora egli esclamò: “Voi sapete perché si grida contro un’altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono, tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l’uno con l’altro. D’altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano,


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parlano soavemente. E perché? Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. A volte sono talmente vicini i loro cuori che neanche parlano, solamente sussurrano. E quando l’amore è più intenso non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I loro cuori si intendono. E questo che accade quando due persone si amano: si avvicinano”. «Infine il pensatore concluse dicendo: “Quando voi discuterete, non lasciate che i vostri cuori si allontanino, non dite parole che li possano distanziare di più, perché arriverà un giorno in cui la distanza sarà tanta che non incontreranno mai più la strada per tornare”» . Le coppie felici, dunque, non sono più intelligenti, più ricche o psicologicamente più astute delle altre. È semplicemente che nella loro vita quotidiana hanno trovato una dinamica che impedisce alle sensazioni e ai pensieri negativi che provano per il loro partner (li hanno tutte le coppie) di soffocare le sensazioni e i pensieri positivi. Hanno ciò che si definisce un rapporto emotivamente intelligente, basato su una profonda amicizia, dove per amicizia si intende il rispetto reciproco e il piacere di passare il tempo insieme. Infine è bene ricordare che «chi ha scopi nella vita non teme di sacrificarsi, semmai teme di non raggiungerli, invece chi teme di sacrificarsi allora non ha scopi». La vera felicità, infatti, sta nel continuare a stare insieme facendo felice l’altro, anziché cercare esclusivamente la felicità di sé stessi. A questo proposito, ci sono alcune frasi che andrebbero usate spesso nella coppia (vedi box). Sono frasi che potrebbero forse risultare banali per qualcuno, eppure sono indicate dal punto di vista igienico-mentale: si consiglia infatti di ripeterle con convinzione, per “automatizzarle a livello inconscio” nel proprio quotidiano

Le frasi per la coppia “Ti amo”. “Prega per me”. “Avevo torto”. “Oggi dirò una preghiera per te”. “Bel lavoro!”. “Anche oggi hai un bell’aspetto”. “Che cosa vorresti?”. coniugale. Infine un’ultima riflessione relativa alla seconda parte della vita. La grande psicoanalista Melanie Klein ha enunciato un assioma, confermato poi dalla clinica professionale, per cui l’inquietudine più profonda nell’inconscio dell’uomo sarebbe l’«angoscia di castrazione». Essa va intesa non solo e non tanto in chiave sessuale, e cioè come incapacità di relazionarsi con una donna, o peggio come impotenza psichica che impedisce la realizzazione fisica della coppia, ma anche in chiave esistenziale, cioè come fallimento d’identità genitoriale, insuccesso nella carriera professionale, crisi economica o finanziaria, e soprattutto fallimento nell’essere guida per la propria donna. Di contro, l’inquietudine più profonda nell’inconscio della donna è l’«angoscia di rimanere sola». E non soltanto in chiave matrimoniale come nubilato o nido vuoto, ma anche in chiave esistenziale e cioè come fallimento nell’accudire figli, parenti e in genere il proprio ambiente familiare, o nell’avere poche qualità relazionali con susseguenti scarse amicizie femminili, ma soprattutto di non essere in grado di stare a fianco del proprio uomo.

“Grazie del tuo amore”. “Sei meravigliosa”. “Mi fido di te”. “Cosa ti preoccupa?”. “Posso sempre contare su di te”. “È stato fantastico”. “Grazie perché mi accetti come sono”. “Racconta: ti ascolto”. “Mi fai sentire bene”. “Sei così importante”. “Tu mi rallegri le giornate”. “Oggi mi sei mancata”. “Ogni momento con te è prezioso”. “Cosa posso fare per aiutarti?”. “Scusami”. “Oggi non riuscivo che a pensare a te”. “Mi piacciono i tuoi occhi, che brillano quando sorridi”. “Apprezzo tutte le cose che hai fatto per me in questi anni”.

Pasquale Ionata (Città Nuova)

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Famiglia Le mamme e la scuola

Scuola - famiglia: mamme che interagiscono

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mmaginatevi due bambini che, per un motivo fatuo, danno il via ad un litigio. La femmina piange offesa dall’atteggiamento del fratello maggiore. È a questo punto che interviene una signora, una nonna, che guida il birbantello in una riflessione con i fiocchi. “Attento! - gli dice - Tua sorella ha pianto perché tu hai agito senza tenere in considerazione la sua reazione nei confronti delle tue azioni. Sai, un gesto può far sorridere qualcuno, ma può offendere qualcun altro. Quando parli o agisci, devi cercare di pensare a chi ti trovi di fronte.” Sarà che questa signora è stata insegnante, sarà che chi ha svolto questa professione non abbandona mai il suo ruolo, sta di fatto che la parola chiave da lei usata riporta il mio pensiero alla scuola, una valida palestra per il docente che deve imparare a conoscere i suoi alunni e ad agire prevedendo le reazioni di ciascuno: Marco, ad esempio, ha bisogno di una voce decisa e risoluta (altrimenti si “sconta” i compiti); Carlo, invece, deve essere costantemente incoraggiato perché insicuro, con lui la vociona farebbe fiasco. Altrettanto indispensabile risulta l’approccio diversificato nei confronti dei genitori, che contribuiscono in modo essenziale all’educazione dei figli. A colloquio con una mamma apprensiva si devono usare certe parole, con una donna

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severa e intransigente è indispensabile utilizzarne altre. Mi sorge spontanea la domanda se fino a qualche decennio fa gli insegnanti avessero la necessità di scegliere le parole giuste per comunicare con i genitori, a seconda della famiglia, e non sono del tutto sicura che lo facessero, non perché non ne fossero capaci, ma perché non si evidenziava questa esigenza. Mi spiego … Nel corso degli ultimi anni la figura del docente ha subito una profonda “trasformazione”. Se in passato c’era completa uniformità tra azione del maestro e fiducia del genitore che “affidava” in modo incondizionato il proprio figlio alla scuola, oggi ci troviamo di fronte ad un affido critico. Stima e credibilità vacillano. Forse di questi tempi la parola “re-azione” non è destinata a fare fortuna! Anche nel rapporto tra famiglia e scuola sta prendendo sempre più piede il termine interazione. E questa strategia, di sicuro, gioca un punto a nostro favore! Interagire significa comunicare, sentirsi parte attiva, assumersi responsabilità … Ma quali persone si trovano, oggi, ad interagire maggiormente con la scuola, se non le mamme? Ne ho incontrate quattro, i cui figli appartengono a ordini scolastici diversi, e loro, per questioni di privacy, si sono date il nome di un fiore, il regalo più bello che una mamma riceve da sempre: la

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mamma Ranuncolo, la mamma Orchidea, la mamma Girasole e la mamma Rosa. I genitori credono, oggi, nella scuola come istituzione? Le attribuiscono un ruolo decisivo per la formazione dei futuri cittadini? Le danno fiducia? Mamma Orchidea - Sì, bisogna dare fiducia alla scuola, chiedendo che sia sempre disposta a mettersi in gioco per migliorarsi, ma senza pretendere che sia perfetta. In ogni contesto lavorativo troviamo persone che svolgono la loro professione per vocazione ed altre che hanno sbagliato strada. Mamma Girasole - Secondo me alcuni genitori proiettano sulla scuola aspettative eccessive. Non si può pretendere che la scuola garantisca l’educazione e svolga anche il compito che compete alle famiglie, ma che noi genitori non abbiamo il tempo di adempiere. Mamma Rosa - Io, invece, sono convinta che molti genitori sottovalutino il ruolo dell’istituzione scolastica e non le attribuiscano il peso che si merita. Io affido alla scuola quella parte di competenze che non possiedo. D’altra parte i nostri figli vivono nell’ambiente scolastico per molte ore, il tempo trascorso con compagni e docenti è maggiore di quello vissuto con i genitori. Mamma Ranuncolo - Credo nella scuola perché in essa ci sono


Famiglia persone che lavorano non solo dal punto di vista dell’apprendimento, ma anche umano. Ritengo, però, che lo Stato e il governo dovrebbero fare molto di più per favorire l’insegnamento e l’istruzione. I tagli di questa particolare stagione economica hanno ripercussioni sugli alunni e sulla scuola in generale. Che cosa chiede e si aspetta dalla scuola, oggi, un genitore per i propri figli? Mamma Orchidea - Io spero che i miei figli concludano il loro percorso scolastico con una preparazione adeguata, una base educativa e formativa importante per il passaggio al successivo ciclo di studi e per l’integrazione con la comunità. È indispensabile sia conoscere, sia sapersi relazionare con gli altri. Mamma Ranuncolo - Un genitore si aspetta che un figlio impari con entusiasmo e che sia sempre invogliato a nuove scoperte. Certo, questa stimolazione deve provenire anche dalla famiglia. Se, in un momento scolastico “difficile” del bambino, i due corpi, scuola e famiglia, non collaborano, il figlio rischia di perdere un’opportunità importante per diventare una persona indipendente, libera di agire. Mamma Girasole - Chiedo alla scuola che insegni a mio figlio ad amare l’istruzione, ad avere la curiosità del sapere e dell’imparare. Perché questo si avveri, è indispensabile che ogni docente svolga il proprio lavoro con passione e con un minimo di preparazione. La scuola è un luogo dove si dovrebbero “far vivere” alcuni valori, come l’ educazione e il rispetto, che noi genitori abbiamo il dovere di trasmettere” in primis”. Mamma Rosa - Io ho due figlie molto timide. Alla scuola ho sempre chiesto che si proponesse come un ambiente piacevole in cui loro potessero studiare, rela-

zionarsi con gli altri e aprirsi un po’. Devo dire che i loro tempi sono stati rispettati, senza forzature. Quale ruolo assume una mamma nell’educazione scolastica del figlio? In quali momenti significativi si esplica il suo intervento? Mamma Ranuncolo - Il ruolo della mamma ha tante facce. C’è il momento della comprensione e quello in cui il genitore deve “togliersi dalla scena”: il figlio può imparare a camminare, per alcuni tratti, da solo! Non è una forma di disinteressamento, bensì un’occasione per far capire al proprio bambino che il sacrificio è una cosa sana. Anche il dialogo con gli insegnanti e gli altri genitori risulta indispensabile: essi possono vedere un aspetto del bambino che un genitore non vuole scorgere o non conosce. Mamma Girasole - L’aiuto e il sostegno che le mie figlie ricevono non riguarda l’esecuzione dei compiti (torno tardi dal lavoro e loro li hanno già svolti), ma è soprattutto di carattere morale e psicologico. Se noto che una di loro è un po’ nervosa, tento di ascoltarla e di comunicare con lei. Mamma Orchidea - Ai miei tempi i genitori non affiancavano i figli nello studio. Oggi, invece, noi mamme seguiamo con maggiore costanza i nostri bambini, un po’ perché vogliamo dei figli perfetti (da 10 e lode!), un po’ perché rispetto a noi, che avevamo tutto il pomeriggio per giocare in cortile, i nostri figli sono “carichi” di stimoli e impegni (tempo pieno, sport, interessi). Nel rapporto con la scuola, devo dire che il ruolo di rappresentante di interclasse mi piace sia per il passaggio diretto di informazioni su programmi ed attività, sia per la possibilità di fare proposte ed organizzare piccoli eventi che vedono protagonisti i nostri figli. Mamma Rosa - Per quanto riguar-

da i compiti, la mia primogenita non mi ha mai chiesto aiuto, la seconda figlia, invece, ha sempre avuto bisogno della mia presenza come sostegno morale. Il contatto con i docenti e tra genitori subisce inevitabilmente una variazione dalla scuola primaria alla secondaria di II grado: quando i bimbi sono piccoli le maestre li accompagnano ai cancelli e vedono ogni giorno i genitori; man mano crescono, i figli acquisiscono maggiore autonomia, perciò i colloqui si diradano. Anche io sono rappresentante di interclasse; noi genitori crediamo in questo momento di dialogo in cui interagiamo con i docenti. Devo, purtroppo, riconoscere che alcune volte le proposte dei genitori non sono state ascoltate. Emergono fatiche o difficoltà nel mantenere costante e attivo questo ruolo di accompagnatrice? Mamma Ranuncolo - Sì perché siamo umani. È più faticoso essere positivi quando non c’è serenità nella famiglia o dentro di noi. Oggi è molto più difficile vivere la scuola come pilastro portante o unico della quotidianità di un ragazzo. Ci sono tantissime proposte alternative, allettanti anche per i genitori, che vedono la possibile realizzazione del figlio con sacrifici minori. Mamma Girasole - Sacrifici sì, vincolati soprattutto dal tempo ridotto da destinare alla famiglia. Io sono una mamma lavoratrice e alcune volte mi sento in colpa per non poter dedicare più tempo alle mie figlie. E così sorgono le più svariate domande … Ho agito bene cucinando quella torta fatta in casa che tanto piace alle mie ragazze? Non avrei fatto meglio ad acquistarne una già pronta e stare qualche minuto in più con loro? Mamma Orchidea - Le difficoltà sono numerose. Io innanzitutto sono mamma e moglie, ma poi ho il lavoro che impegna buona parte

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dei miei pensieri. Per riuscire a ritagliare del tempo per i miei figli, rinuncio a quello per me stessa! Mamma Rosa - È vero! Fino alla quarta elementare la nostra vita di donne è quasi inesistente. Ma, a differenza della “mamma Girasole” a me capita di sentirmi in colpa perché sono troppo presente. Spesso i figli mi chiedono cose che potrebbero svolgere da soli. Comunque spero che si ricordino del mio sacrificio in futuro. Gli studenti del 2012, degli sms e di facebook, confidano ancora le loro esperienze scolastiche ai genitori? Quali in particolare? Chiedono consigli? Mamma Rosa - La figlia minore esterna emozioni e fatti.; la maggiore, invece, è più introversa. Io, comunque, mi sforzo di raccomandare alcune pillole di vita come: “Cerca di pensare con la tua testa! Proponi il tuo pensiero, se sai che è giusto! Solo perché gli altri agiscono così, non vuol dire che sia l’atteggiamento più corretto …” Mamma Orchidea - I miei figli sono introversi e a volte vengo a conoscenza delle cose da altre persone. Forse dipende dal fatto che sono abbastanza autonomi e filtrano il vissuto. Di rado chiedono aiuto. Siamo noi genitori che, accorgendoci di certi stati d’animo (ad esempio se un figlio è abbattuto per questioni di amicizia tra compagni di classe), diamo consigli. Mamma Ranuncolo - Dipende dal carattere del bambino! Quando un bambino confida al genitore un’esperienza scolastica, lo fa perché ha bisogno di confrontarsi.

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Mia figlia, ad esempio, racconta tutto ciò che accade, letto dai suoi occhi di piccola discente, con le gioie e le preoccupazioni che ne derivano. Mamma Girasole - Anche le mie figlie parlano. In alcune occasioni preferiscono non confidare a me qualche “segreto” perché sono piuttosto severa e optano, quindi, per il papà! Comunque non hanno ancora raggiunto l’età delle confidenze solo tra amiche e la mamma rimane un punto di riferimento. Pochi, tanti, troppi! Può capitare che il docente senta la voce dei genitori in merito al lavoro domestico degli alunni. È vera-

mente così difficile far svolgere i compiti ai propri figli? Mamma Girasole - No, non sono troppi. Le mie figlie sono impegnate con lo sport e riescono comunque ad organizzarsi. Sono autonome, anche se hanno tempi diversi. Non mi piace quando il compito a casa serve a sostituire una lezione che in classe è avvenuta in modo parziale. Mamma Rosa - Guai se non ci fossero! Le mie figlie hanno imparato ad organizzarsi il tempo settimanale. Alle superiori, poi, hanno

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una mole di studio più consistente. Ecco, purtroppo sottovalutano lo studio orale, che invece è molto importante! Non sono d’accordo con i compiti assegnati per punizione se l’errore è di un solo alunno. I docenti tendono ad affidare più lavoro a chi ne ha bisogno, ma perché non assegnare un compito in meno agli studenti più diligenti? Mamma Orchidea - Dipende dal bambino. C’è chi, dopo pranzo, si mette a lavorare e c’è chi, invece, deve essere costantemente motivato. Un altro fattore di grande rilevanza è la mole di compiti: se troppi, si rischia di nauseare gli studenti ed è difficile pensare che il ragazzo non venga aiutato da un familiare. Mamma Ranuncolo - Dipende dai compiti! È come una vecchia automobile alla quale bisogna dare l’olio, sistemare freni e aggiungere carburante. Sta ai genitori fare il pieno di principi sani e positivi, di motivazione e, se serve, di rimproveri! Le voci di queste mamme sono autentiche; a volte ribadiscono concetti profondi e imprescindibili, altre volte manifestano la pluralità di idee legate a specifiche famiglie e a singoli individui. Costituiscono un breve spaccato della nostra comunità e come tali hanno diritto all’ascolto e al rispetto. Le ringrazio di cuore, perché hanno dedicato del tempo per parlare di se stesse e dei propri figli. Buon anno scolastico agli alunni, ai genitori e a tutto il personale scolastico! Elena Cavenaghi


Spazio oratorio Momenti di vita di Oratorio

Signore, dì soltanto una Parola!

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ari amici vorrei con questo mio contributo al nostro Bollettino Parrocchiale ripercorrere un pezzo di vita d’Oratorio che ha caratterizzato il periodo estivo appena trascorso, per dare voce a tante bellissime esperienze vissute insieme a bambini, ragazzi adolescenti e giovani, adulti e famiglie. Il tempo estivo per ogni Oratorio porta in se un grosso carico di impegno. Impegno educativo anzitutto, ma anche impegno organizzativo che richiede una notevole capacità di mettersi in gioco e capacità di cambiamento quando occorre a partire dalle linee del nostro progetto formativo “Una casa che...Accoglie, Coinvolge, Accompagna, Propone” e che, aggiungo io, aiuta a crescere nella fede e nella vita. Scorrendo le immagini di questa estate nella mia mente mi vengono in mente tanti volti, tanti sorrisi, tante fatiche. A volte mi chiedo: ma porterà a Dio tutto ciò? Sicuramente si, noi come staff educativo e organizzativo cerchiamo di dare quel poco che abbiamo (come quel ragazzo che ha offerto al Signore alcuni pani e pesci perché lui sfamasse la folla), il resto lo farà Lui. Lui solo conosce i tempi e i modi della crescita di ciò che noi abbiamo cercato di seminare. L’estate si è aperta con il Campo Avventura 2012 a Tires (Bz) presso il parco delle dolomiti del Catinaccio. Tanti sono stati i bambini ed i ragazzi che hanno aderito a questa iniziativa. Il Campo ha avuto

per tema “La spada della roccia”. La sfida educativa che abbiamo lanciato ai bambini e ai ragazzi che hanno partecipato al Campo è stata quella di una crescita nelle virtù del coraggio e della fedeltà, nel capire il dono di fare parte di una comunità (quella cristiana!) a cui ognuno è chiamato ad offrire in dono le proprie abilità. Alla fine delle varie prove ogni bambino e ragazzo è stato investito con un

“titolo nobiliare”: Sir o Lady del gran Re. Ovviamente immaginate chi potesse essere il Gran Re... Ovviamente Gesù a cui spetta l’onore di ogni Cavaliere o Lady degno di questo titolo. La cerimonia d’investitura, avvenuta durante la S. Messa conclusiva del Campo, è stata un momento veramente solenne! Ottimo è stato il clima nel team educativo (educatori e assistenti) e in quello di cucina; penso che ognuno di noi abbia dato il meglio di se per la buona riuscita dell’esperienza. A tutti vanno i miei ringraziamenti e la mia stima; grazie anche alle famiglie che han-

no condiviso con noi questo progetto educativo. Intanto in Oratorio a Castrezzato già dai primissimi giorni di Giugno, alcuni giovani aiutati da alcuni adulti proponevano il tradizionale Torneo notturno estivo di Calcio (giunto alla sua quindicesima edizione) anche per quest’anno dedicato alla memoria di Isidoro Artunghi. È questa un’esperienza molto bella che dà la possibilità nei mesi estivi di potersi ritrovare la sera tra amici all’Oratorio a tifare la propria squadra (a volte devo dire anche con un po’ troppo trasporto) del cuore al termine di una giornata di lavoro con la propria famiglia. Un grazie di cuore a quanti in questa iniziativa mettono cuore, energie e soprattutto tempo. A fine Giugno, poi, abbiamo vissuto in Oratorio la settimana educativa in preparazione al Grest. Il tema educativo scelto per quest’anno dal Centro Oratori Bresciano (CoB) è stato “Passpartù. Dì soltanto una parola”, centrato sul tema della comunicazione verbale e non. Il Grest è un’attività di carattere aggregativo di cui l’Oratorio ha la titolarità e la gestione, ma che però gode del patrocinio dell’Amministrazione comunale. Nella settimana educativa in preparazione al Grest sono stati molti gli adolescenti e i giovani impegnati. È proprio bello vedere tanti ragazzi impegnati a prepararsi a fare del bene agli altri. In questa settimana la cosa importante è stata quella di amalgamare un gruppo di ra-

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gazzi (alcuni alla prima esperienza di Grest altri invece già navigati dell’ambiente) a lavorare insieme, superando il proprio limite personale verso un’esperienza forte di gruppo. Grande è stato l’entusiasmo di questi ragazzi come grande è stato il loro cuore e la loro generosità. Avere a che fare quotidianamente con un mare di bambini e di ragazzi durante le settimane del Grest non è cosa facile... Occorre veramente pensare a tutto! Già di buon mattino la vita del Grest è in fermento: educatori e assistenti che già dalle 7.30 accolgono i bambini che hanno i genitori che lavorano; Renzo, Giusy, suor Ernesta, Letiza e Giulia che si sono occupati ogni giorno della pulizia degli ambienti, dei cortili e dello smaltimento dei rifiuti; le segretarie Caterina, Mariella e Damiana che distribuivano i buoni mensa e davano indicazioni utili alle mamme; e così via... Alle 8.30 poi comincia ad arrivare pian piano il resto della brigata, fino a quando poi, verso le 9.00 i cancelli dell’Oratorio vengono chiusi per motivi di sicurezza e si comincia la giornata cantando e ballando l’inno e facendo insieme la preghiera centrata ogni giorno sulla Parola di Dio e su qualche buona azione da svolgere durante la giornata. Il nostro Grest è strutturato secondo ingredienti molto semplici che ne costituiscono l’ossatura: preghiera, canti, bans, laboratori, giochi, piscina, una gita per i più piccoli e altre uscite per i ragazzi più grandi. Le settimane del Grest sono volate via in un clima di gioia, di allegria e serenità. Non sono mancate certo le difficoltà, che sempre però sempre abbiamo cercato di risolvere con il sorriso sulle labbra, favorendo un clima d’ascolto reciproco tra educatori, assistenti, bambini e famiglie. Cosa bella al Grest è che, come al Bar, nei campi da gioco, e per tut-

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te le attività aggregative proposte (estive e non), si persegue l’integrazione fra le persone di diversa razza, cultura e religione, cercando di creare un clima di collaborazione, tolleranza e di rispetto altrui. Il Grest si è concluso poi con una bellissima festa finale organizzata dagli educatori e dagli assistenti, dove i nostri bambini sono stati i protagonisti assoluti e dove i loro genitori (tutti orgogliosi!) hanno potuto assistere alle loro performance. Al termine della bellissima festa tutti i nostri occhi sono stati puntati dall’arena verso il grande schermo montato sulla parte dell’edificio del nostro Oratorio… È il momento delle fotografie (accompagnato quest’anno dai fuochi d’artificio)… Il migliore… Ma anche il più triste… Attimo dopo attimo scorrono i ricordi di tre settimane uniche e indimenticabili: i giochi, i bans, i laboratori, le gite, ma soprattutto loro…i veri protagonisti: i nostri bambini e i nostri ragazzi ed la loro impareggiabile ed impagabile espressione di serenità e di felicità! La proposta poi del Follest serale è sempre attesa con entusiasmo dai ragazzi. Si tratta di serata programmate ad hoc per gli adolescenti e giovani (in alcuni casi hanno partecipato anche dei papà!), momenti “divertenti”, trai quali la “Notte bianca” e i vari tornei di “Beach Volley” e di “Calcio ad Acqua”, nei quali adolescenti e giovani si incontrano liberando fantasia, creatività, dinamicità e amicizia. La partecipazione è stata buona e altrettanto positivo l’impegno messo in atto dagli educatori, capaci di coinvolgere altri giovani nelle diverse azioni aggregative ed educative. Buona anche la partecipazione dei genitori che si sono interessati delle attività proposte ai loro figli e la loro presenza come spettatori ai tornei e alle iniziative proposte. Al termine del Grest agli educato-

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ri e agli assistenti del Grest è stato proposto un Campo Amicizia in Oratorio (visto la crisi che incombe sul badget familiare!) con due uscite, una a Gardaland e l’altra Caneva World. Bello il clima e bella la voglia di stare insieme dei partecipanti. Davvero una bella esperienza da ripetere cercando magari di darle in futuro una forma educativa un po’ più solida e completa. A suo tempo, con la Commissione dell’Oratorio si era deciso durante il periodo di Agosto di aprire il parco dell’Oratorio ogni sera. Così è stato. Devo dire che mi sono piacevolmente stupito vedere come tanti bambini, ragazzi famiglie la sera abbiano approfittato dell’occasione di venire a passare un po’ di tempo in Oratorio. Vorrei dire il mio grazie ai baristi del Bar dell’Oratorio e ai volontari che mi hanno supportato in questa avventura. Ormai siamo alle porte di Settembre... Quest’anno potremo anche fare le feste di S. Luigi utilizzando la nuova cucina dell’Oratorio. Certo occorrerà sempre vigilare sullo stile di sobrietà e sulla capacità di “fare festa” senza sprechi inutili, visto il tempo che viviamo e visto quello che stanno passando tante famiglie. Sono sicuro che il programma che abbiamo pensato con la Commissione del’Oratorio risponderà a queste esigenze facendo contenti tutti, grandi e piccini e senza offendere la sensibilità di chi sta passando momenti difficili. Siamo anche ormai alle porte di nuovo anno pastorale, che ci richiederà di riflettere sul tema delle unità pastorali, tema che verrà sviluppato da un Sinodo Diocesano nel prossimo mese di Dicembre. Accettiamo la sfida del “Segno dei Tempi” e viviamo intensamente di quel che il Buon Dio ci dona da vivere. Con stima, amore e riconoscenza per tutti! don Claudio


Spazio oratorio Parte il nuovo anno associativo

In cerca d’autore

L’

AC anche quest’anno è pronta per ripartire; dopo la pausa estiva tutto ricomin-

cia. I cinquantanni dall’apertura del concilio Vaticano II e i venti dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica non costituiscono soltanto l’invito a soffiare via quella polvere che abbiamo lasciato posare sui contenuti del nostro quotidiano, ma l’indizione dell’anno della fede, vuole essere un “invito ad un autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo”. La fede cresce “quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia” (Benedetto XVI, Lettera apostolica in forma Motu proprio Porta Fidei,11 ottobre 2011). Se è vero che “per l’AC educare significa anzitutto educare alla fede ed educare la fede,nella convinzione che in tal modo si educa alla vita e si educa la vita” (Sulle strade dei cercatori di Dio. AC primo annuncio Editrice) allora impegnamoci in un itinerario di profondità con chi ci conduca al cuore della nostra fede. Diventiamo infine strumenti di questo Amore che si moltiplica se lo doniamo ai ragazzi a noi affidati. Può sembrare difficile far spazio alle attese di ogni nostro ragazzo,

al bisogno di ciascuno di sentirsi cercato, amato, desiderato. Viene quasi da dire come i Dodici nel racconto di Luca che ci accompagna quest’anno “non abbiamo che cinque pani e due pesci”. La risposta di Gesù “voi stessi date

loro da mangiare”, ci chiama a spenderci senza paura, affidando nelle sue mani il nostro poco, ci chiama a sentirci responsabili nella Chiesa della fame di speranza di tutti in cerca d’autore. I nostri ragazzi sono in cerca di qualcuno che sappia guardarli, accogliere la loro storia, in cerca di qualcuno che li aiuti a fare sintesi del loro quotidiano.

Solo l’amore svela davvero chi sono, allora è davvero Gesù, l’autore che stanno cercando! È l’incontro con lui che può condurli a vivere la bellezza e la stupefacente novità di quel grande spettacolo che è stato loro donato: la vita. Gesù ci ama da sempre, è l’autore che riserva gratuitamente per ciascuno, una parte di protagonista. Vorrei semplicemente concludere dicendo a tutti gli educatori che è ora di buttare giù la maschera di ciò che non siamo, non serve inventarci un’originalità che non ci appartiene: c’è una firma speciale sulla nostra vita e se accogliamo questo regista d’eccezione (Gesù), se ci mettiamo nelle sue mani il nostro talento, se ci lasciamo coinvolgere nella compagnia di coloro che condividono con noi questo ingaggio,ogni giorno sarà uno spettacolo meraviglioso, sempre nuovo. Il sipario sta ormai per alzarsi; auguro a tutti gli educatori di poter essere, come ricorda il Progetto Formativo, “un autentico testimone della fede che comunichi, Chiesa di cui sei parte, dell’associazione a cui aderisci”. Con gli occhi di Gesù e il cuore rivolto a chi è… in cerca d’autore! Che lo spettacolo abbia inizio!

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Mirta

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Vita in parrocchia Carlo Maria Martini, 1927 - 2012

Il mondo piange la scomparsa del Cardinale Martini

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rande cordoglio ha suscitato nella Chiesa e nel mondo la morte del Card. Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002. Figura di spicco dell’episcopato italiano ed europeo, insigne biblista, vero pastore desideroso di offrire a tutti, credenti e no, un rispettoso ed appassionato itinerario di salvezza, in spirito di sincero ecumenismo. Particolarmente significativo è stato l’ultimo arco della sua vita, afflitto dalla recrudescenza del morbo di Parkinson che oltre quindici anni l’aveva colpito. Ha vissuto esemplarmente il dono della sua vita a Cristo, anche nella sua morte. In uno degli ultimi incontri pubblici a Milano, Martini disse di essersi “rappacificato con la morte”, quando aveva capito che “senza la morte non faremmo mai un atto di piena fiducia in Dio”; la morte dunque come “affidamento totale”. La morte certamente è l’affidamento totale, il “caso serio” della fede, come scrisse Hans Urs von Balthasar. Per questo nell’Ave Maria diciamo: “Prega per noi adesso e nell’ora della nostra morte”. Il card. Martini ha espresso questa ultima verità: che senza Dio, non c’è vita. Solo in Lui si concentra nell’ultima ora la speranza dell’uomo. Nelle ultime ore della sua vita ha voluto che gli fossero lette le Beatitudini: il cuore del Vangelo, il sigillo del Cristianesimo, e anche della sua infinita speranza.

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Al card. Martini dobbiamo molta riconoscenza, non solo per il suo più che ventennale servizio episcopale molto pesante, ma anche perchè essendo Metropolita della Lombardia, si è occupato anche di Brescia, accogliendo i due vescovi mons. Bruno Foresti (nel 1983) e mons. Giulio Sanguineti (nel 1998). Il Signore gli conceda la ricompensa dei giusti.

Ai membri della Pastorale Familiare Per promuovere correttamente un’efficace pastorale familiare è quanto mai utile il Direttorio di Pastorale Familiare emanato alcuni anni fa dall’episcopato italiano. Come tutti sappiamo, la pastorale della famiglia è un capitolo particolarmente rilevante nel quadro organico e complessivo disegnato in Evangelizzazione e Testimonianza della carità. Infatti, poiché nell’edificazione della Comunità ecclesiale è fondamentale la testimonianza e la missione della famiglia cristiana, e poiché la stessa è il “primo luogo in cui l’annuncio del vangelo della carità può essere da tutti vissuto e verificato in maniera semplice e spontanea, la pastorale di preparazione e formazione al matrimonio e la cura spirituale,

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morale e culturale delle famiglie cristiane rappresentano un compito prioritario della nostra pastorale. Una pastorale autentica non potrà fare a meno di annunciare, celebrare e servire il “vangelo del matrimonio e della famiglia” in tutti i suoi contenuti. La Chiesa intera lo deve annunciare nella predicazione, nella catechesi e nella testimonianza concreta. Lo celebrerà nella liturgia e con la grazia dei sacramenti; lo servirà con le diverse iniziative e strutture di sostegno e di promozione che appariranno più opportune ed urgenti. Ai membri della commissione “famiglia” i migliori auguri di buon lavoro con le famiglie e per le famiglie. Don Mario


Vita in parrocchia Famiglia: Chiesa domestica

La gioia della fede

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are famiglie, anche in quest’anno liturgico la pastorale della famiglia è presente per continuare il cammino iniziato lo scorso anno con i vari appuntamenti, sfociati poi nell’incontro mondiale della famiglia (IMF). Desideriamo condividere con voi nuove emozioni sull’onda di quanto ci propone il calendario diocesano con il tema “Famiglia: Chiesa domestica”. Non mancheranno gli incontri di formazione e alcuni pellegrinaggi, durante i quali ci verrà data la possibilità di vivere momenti intensi di preghiera alternati ad altri di gioiosa condivisione. Naturalmente il calendario è in fase di stesura, quindi vi terremo aggiornati mediante gli avvisi distribuiti settimanalmente in chiesa. Secondo quanto stabilito da Papa Benedetto XVI, questo sarà “l’anno della fede”. Partendo da un’affermazione di Giovanni Paolo II, per il quale: “… la fede si rafforza donandola!”, anche noi riteniamo che “una nuova evangelizzazione possa assicurare la crescita di una fede limpida e profonda, capace di fare delle tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana, una forza di autentica libertà”. Negli ultimi anni si sta vivendo il fenomeno del “distacco dalla Fede” che si è manifestato anche in società e culture che da secoli apparivano guidate dallo spirito del Vangelo. Parecchi cristiani, che hanno continuato a preoccuparsi

delle giuste conseguenze sociali, culturali e politiche della predicazione del vangelo, non si sono adoperati per tenere viva la fede nelle loro comunità, la quale dava energia a tutte le altre azioni della vita. Così facendo essa si è indebolita ed è venuta meno anche la capacità di rendere testimonianza. La famiglia dovrebbe essere un luogo esemplare di trasmissione della fede, per la sua capacità profetica di vivere i valori fondamentali dell’esperienza cristiana: dignità e complementarità dell’uomo e della donna, creati a immagine di Dio (Gn 1,27), apertura alla vita, condivisione e comunione, dedizione ai più deboli, attenzio-

ne educativa, affidamento a Dio come sorgente dell’amore che dà unione. Spesso le famiglie, però, sono segnate da forti tensioni causate dai ritmi frenetici di vita, dal lavoro che si fa incerto, dalla precarietà che avanza, dalla stanchezza di affrontare il compito educativo che diventa sempre più arduo. L’obiettivo della comunità cristiana è che la famiglia abbia un ruolo sempre più attivo nel processo di trasmissione della fede ed è per questo che la Pastorale della Famiglia, con orgoglio, ribadisce il proprio motto ora più che mai: “Famiglia, alzati e cammina!”. Commissione di Pastorale Familiare

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Vita in parrocchia Dalla riunione del 29 settembre 2011

Mandato del vescovo al nuovo gruppo di catechisti degli adulti e degli adolescenti

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l 15 settembre scorso, durante l’assemblea diocesana dei catechisti tenuta al Palabrescia di Via S. Zeno, il vescovo diocesano mons. Luciano Monari ha conferito il “mandato” di catechista per adulti o per adolescenti a coloro che hanno frequentato con assiduità i due anni del Corso biennale di formazione. Nel caso nostro, un nutrito secondo gruppo di adulti ha partecipato al Corso interzonale tenuto a Chiari negli anni 2010/2012. Pertanto hanno ricevuto il mandato i seguenti adulti: Bissolotti Tiziano, Frialdi Dolores, Galloni Ettore, Suor Gobhe Ernesta, Morelli Maria Grazia, Mule’ Anna, Noli Gabriella, Tripodi Loredana. La collaborazione di questi nostri catechisti sarà richiesta nella preparazione dei genitori al battesimo dei bambini, nell’accompagnamento dei genitori negli itinerari di catechesi, o nella pastorale famigliare o di preparazione al matrimonio, o nei cammini di fede per gli adolescenti. Da parte dei Sacerdoti e dell’intera Comunità parrocchiale porgiamo loro il nostro sincero ringraziamento

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per avere accettato questo impegno, unito agli auguri di dedicarsi con passione e gioia all’esercizio del mandato ricevuto, compatibil-

mente con gli impegni professionali e famigliari di ciascuno. il parroco

Situazione del Punto Caritas distribuzione alimenti La Caritas parrocchiale di Castrezzato sta operando da parecchio tempo, grazie alla disponibilità di tanti volontari, distribuendo vestiario e alcuni alimenti di prima necessità. Dal 19 maggio 2012, in Via Caduti del Lavoro (Zona industriale), vista la grave crisi economica molto sentita anche nel nostro paese, si è provveduto ad organizzare in maniera stabile, la distribuzione di alimenti ai bisognosi. Il “punto” di custodia e di distribuzione dei viveri è stato messo a disposizione dell’Amministrazione comunale, mentre l’approvvigionamento degli alimenti è a carico della Caritas che vive della generosità e solidarietà di persone sensibili. A tutt’ora, ogni mese provvediamo a dare un aiuto alle famiglie in difficoltà , che al momento sono 65, per un totale di 250 indigenti (adulti e bambini). Ringraziamo di cuore

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chi ci aiuta con le proprie offerte ed invitiamo tutti coloro che vogliono conoscere, capire da vicino ed aiutare questa realtà, a chiederci le spiegazioni che desiderano e a sostenerci per poter continuare nel tempo questo prezioso servizio. Dalla data di inaugurazione del “Punto-Caritas - Alimenti” (19 maggio 2012), sono state fatte 5 distribuzioni: 19 maggio - 2 giugno - 23 giugno - 7 luglio - 4 agosto. La Caritas Parrocchiale


Vita in parrocchia Un pensiero agli eternamente viventi in Dio

Novembre, mese dei morti

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ovembre fa nascere in noi la nostalgia dei nostri cari passati all’altra vita. Novembre ci richiama sulle tombe dei nostri cari per rivivere i ricordi di vita trascorsa insieme, ma anche per orientare la nostra vita verso orizzonti che non tramontano. Se il seducente scrittore e poeta pagano F. Nietzsche affermava che “bisogna congedarsi dalla vita come Odisseo da Nausicaa, piuttosto benedicendola che restando innamorati di essa”, i credenti in Cristo non dovrebbero scordare che il paradiso è la meta finale verso la quale siamo incamminati: dimenticarlo è abbandonarsi alla morte, ridursi a “morti viventi”.

Il cimitero è luogo di preghiera e di speranza, perché la morte è strada verso il paradiso. La fede cristiana afferma che l’uomo non scompare nella morte, ma viene trasformato da Dio in una nuova creazione. Questa speranza in una vita nuova è sorta per noi nella vita-morterisurrezione di Gesù di Nazareth. Dice Gesù: “Chi vuole entrare nella vita, percorra la strada ripida e stretta che conduce alla vita”. In una parola, occorre far morire l’uomo vecchio e far nascere l’uomo nuovo. Saper dire dei no per dilatare il nostro sì a Dio. Ognuno ha le sue mortificazioni da praticare: abbandonare la via del peccato e dell’egoismo; affrontare ogni

giorno i fastidi e le molestie della vita; vivere il proprio impegno nel lavoro; esercitare la carità non solo nelle grandi occasioni, ma anche nei piccoli gesti quotidiani. Allora sembra di poter dire che il vero problema non è sapere se c’è qualcosa dopo la morte, ma se siamo vivi prima della morte. Il nostro caro concittadino Mons. Sandro Galli, illustre letterato e pure poeta, ci ha lasciato una sua composizione sulla morte e sul senso riassuntivo dell’esistenza. Ci permettiamo qui di riprodurla, dopo una introduzione dell’amico Giannetto Valzelli. Il titolo della poesia è “Presagio”.

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Vita in parrocchia Introduzione a “Presagio” di Giannetto Vanzelli

La poesia di mons. Sandro Galli

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el diario che tiene, ormai prossimo a chiudersi al declinare del luglio 1979, Sandro Galli (ospite di una clinica sul. Benaco) con ansiosa schiettezza annota: «Mi è venuto di scrivere, o meglio improvvisare, questa lirica ripensando ad altri tempi, a diverse velleità di contenuto e di stile. Come intitolarla?» “È un modo di rientrare in se stesso — mentre fuori, nella purezza del mattino, l’isola Borghese rifulge — a togliersi di dosso ambizioni e turgori, nella suprema confessione che ha valore di consuntivo esistenziale: «... Sognai satiri e ninfe, complice Orazio, / e tiburtine rosee fragranze / sull’ubertà del cuore. / Ora m’appago di attimi estremi / di memoria e sento, / complice Iddio, trasalir dal destino / un casto sospirar di terre nuove / ove l’acqua sia fatta di smeraldo / a camminarvi, incontro all’Isola, la sola, / ultimo approdo al navigar dei mondi...». Il titolo che cerca è in una iterazione che incalza, e lo desume dal versetto di un salmo - Sub umbra alarum tuarum - giacché, nella spossatezza che lo imprigiona convalescente come in una cella, uno scampanio domenicale gli porta - prima alle labbra che sulla pagina - la sitibonda invocazione: «Dove stai, Signore? in quale parte del cosmo / vigila e scruta la tua essenza intera?». La poesia di Sandro Galli ha il suo inferno di abbacinamenti e il suo purgatorio di pena, ma è in questo mutar d’ali (come misericordia di sé e come desiderio di assoluto)

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che spicca libera il volo, in questo assorto placarsi del fiume alla sua foce, in questo dolcissimo transito dal mare delle ombre al porto della luce, in questo accorato battere alle segrete porte oltre le quali si spalanca l’armonioso incantamento: poesia come palpito dell’attesa (o mistero che dir si voglia) dell’essere chiamati, poesia

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come sobbalzo dal grembo della morte (vita mutatur, non tollitur) al golfo della eternità, poesia come itinerarium mentis in Deum cui si ancorano esplicativamente i motivi stessi della scelta perseguita fra le molte carte sparse.

Presagio Come due ciechi arriveremo la Luce ed io ai lembi della vita. Incontro ci verranno invisibili aurore su tappeti d’azzurro. Qualcuno ci aprirà segrete porte. Nel dolce ventilar di nuove sfere la Luce tremerà pudori arcani. Uccelli paradiso intorno sciameranno come vergini note a rifiorire sinfonie perdute. D’essere cieco mi parrà divino: un’ala fresca aromi stillerà sull’oscura ferita del mio occhio.

Giannetto Vanzelli


Vita in parrocchia Nel nostro cimitero

Il rispetto della sacralità delle tombe

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l culto dei morti non è un fatto esclusivamente cristiano, in quanto esso ha radici in quella religiosità insita nella natura umana, che determina una netta differenza della nostra specie vivente rispetto alle altre; infatti, nacque con l’uomo agli albori dei tempi. La storia e l’archeologia ci raccontano che ogni popolo, anche il più barbaro e bellicoso, espresse una sensibilità particolare nei confronti dei propri defunti: i riti funebri venivano celebrati secondo modalità ed usi diversi, ma di fronte alla morte dovevano cessare odi, vendette, inimicizie.

Nel mondo greco-latino ed anche ebraico era doverosa un’onorata sepoltura per concedere riposo sicuro e i pagani ritenevano sacre ed inviolabili le tombe poiché custodite dagli dei. Il diritto romano sancì la sacralità dei sepolcri affidandoli alla giurisdizione dei sacerdoti: tale cultura entrò nella mentalità cristiana tanto che spesso nelle epigrafi antiche venivano scritte delle maledizioni contro coloro che avessero osato in qualche modo violare il sepolcro. Oggi tutti i paesi civili assicurano nella loro legislazione il rispetto e l’inviolabilità dei cimiteri e delle

singole tombe, considerando tali luoghi la più alta espressione della pietà che gli esseri umani provano verso i defunti, nonché della comune speranza di una vita futura. Peraltro i cimiteri delle società europee, oggi separati dai luoghi dei viventi, fino alla Rivoluzione Francese erano collocati al centro degli abitati, a ridosso delle chiese; al loro interno si tenevano talvolta anche mercati e banchetti, affinché vivi e morti condividessero il medesimo spazio e le medesime situazioni gioiose a sancire quello che poi la catechesi cattolica ci proporrà: esiste una comunione,

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Vita in parrocchia una unità tra noi e i morti; non siamo affatto separati gli uni dagli altri, poiché “noi tutti percorriamo la medesima strada e ci ritroveremo nel medesimo luogo. Non saremo mai separati, vivi e morti, poiché viviamo per Cristo, andando incontro a Lui”. Questo è quanto il “Catechismo della chiesa cattolica” ci insegna. Alla luce di tali considerazioni, come possiamo valutare quel che spesso accade nel nostro cimitero? Da poco tempo, per motivi personali, mi reco più frequentemente che in passato al camposanto per accudire alla tomba dei miei parenti e quindi mi trovo a socializzare con persone che, invece, sono assidue frequentatrici di questo luogo: lode e merito per questa loro costanza! Il far visita ai defunti ci dovrebbe ricordare in modo inequivocabile il nostro comune destino e quindi non potrebbe far altro che sviluppare in noi un maggior senso di appartenenza

alla comunità e un più spiccato atteggiamento di empatia per il dolore che colpisce i nostri compaesani. Ma che dire di certi episodi espressione della più bieca inciviltà? Io ero perfettamente all’oscuro di questa problematica, convinta che la sacralità del luogo potesse inibire la stoltezza e la miseria dell’uomo, finché non sono stata io stessa interessata al fenomeno. Anche la tomba dei miei parenti è stata, diciamo così, “alleggerita” di un piccolo particolare ornamentale che avevo sistemato ai piedi delle fotografie. Mi è bastato parlare con alcune persone per essere informata di questo sgradevolissimo fenomeno: nel nostro cimitero, alle tombe dei nostri cari qualcuno ruba (termine rimbalzato di bocca in bocca). Mi è stato riferito che frequentemente scompaiono ceri, statuine, vasetti con piantine, oggettistica ornamentale, piccoli addobbi, fio-

ri sintetici da composizioni, fiori freschi recisi e appena approntati, sottovasi… tutti espressione della cura dei vivi nei confronti dei propri defunti, allo scopo di alimentare, anche in tal modo, il loro ricordo. Accudire in forma semplice e naturale una tomba permette di esprimere, insieme alla preghiera, l’affetto per chi non c’è più. Qualcuno minimizza sostenendo che ciò succede dappertutto; altri dicono che da sempre si è assistito a questi incresciosi episodi; la maggioranza, come me, è d’accordo nel ritenere che a questo fenomeno si debba porre fine. Non è certamente il danno materiale che crea disagio, quanto l’offesa arrecata a chi si prende cura delle tombe ed ai propri defunti. Ci si sente arrabbiati ed impotenti ad ostacolare tali episodi. D’altronde come ci si può difendere? Non possiamo certo posizionare su ogni tomba dei sistemi di videoregistrazione e trasformare il camposanto in un arsenale antifurto. Che sia segno dei tempi? Siamo talmente confusi da non essere in grado di discernere? Ci si chiede a chi appartenga quella mano lesta che, approfittando della quiete di un luogo sacro, si appropria di oggetti altrui, per altro sotto lo sguardo austero dei defunti? Addirittura qualcuno sostiene di aver visto con i propri occhi “il colpevole” in azione! Ci vuole tanta sfrontatezza e pochissima dignità nel concedersi a tali bassezze! Cristianamente non possiamo far altro che esprimere pietà per questi gesti frutto della miseria umana, convinti che non vi sia colpevolezza senza una piena consapevolezza del male che si commette! Una cittadina castrezzatese

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Vita in parrocchia Donazioni

Donato un pregevole pulpito ligneo Ăˆ stato recentemente donato alla Parrocchia da gentili persone un pulpito ligneo dell’800, finemente intagliato. Poi, una famiglia ha provveduto a sostenere la spesa del restauro in memoria di una loro cara defunta. Ăˆ stato collocato nella chiesetta di S. Lorenzo, dove per le sue modeste dimensioni e la sua bellezza artistica, sta veramente bene.

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Vita in parrocchia Donazioni

Don Giovanni Tossi ha donato alla parrocchia un reliquiario ligneo

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on Giovanni Tossi, a ricordo del 60째 di Sacerdozio, celebrato qui in parrocchia domenica 3 giugno scorso, ha portato in dono alla nostra chiesa un bellissimo Reliquiario in legno dorato di grandi dimensioni, dove sono state collocate le reliquie degli ultimi Santi e Beati: - B. Annunciata Cocchetti, bresciana; - B. Lodovico Pavoni - S. Annibale Maria Di Francia - S. Guido Maria Conforti - S. Giovanni Piamarta Don Giovanni stesso ha portato il Reliquiario nella santa messa festiva di domenica 29 luglio da lui celebrata. A Don Giovanni porgiamo il pi첫 vivo ringraziamento per questo dono, a ricordo dei molti anni di servizio pastorale tra noi, dal 1986 al 2004.

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Vita in parrocchia

Il Rosario preghiera della famiglia Preghiera per la pace, il Rosario è anche, da sempre, preghiera della famiglia e per la famiglia. Un tempo questa preghiera era particolarmente cara alle famiglie cristiane e certamente ne favoriva la comunione. Occorre non disperdere questa preziosa eredità. Bisogna tornare a pregare in famiglia e a pregare per le famiglie, utilizzando ancora questa forma di preghiera. La famiglia che prega resta unita. Il S. Rosario, per antica tradizione, si presta particolarmente ad essere preghiera in cui la famiglia si ritrova. I singoli membri di essa, proprio gettando lo sguardo su Gesù, recuperano anche la capacità di guardarsi sempre nuovamente

negli occhi, per comunicare, per solidarizzare, per perdonarsi scambievolmente, per ripartire con un patto di amore rinnovato dallo Spirito di Dio. La famiglia che recita insieme il Rosario, riproduce un po’ il clima della casa di Nazareth: si pone Gesù al centro, si condividono con lui gioie e dolori, si mettono nelle sue mani bisogni e progetti, si attingono da lui la speranza e la forza per il cammino. Cari fratelli e sorelle, una preghiera così facile e al tempo stesso così ricca, merita davvero di essere riscoperta dalla Comunità cristiana! Beato Giovanni Paolo II, papa - 2002

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Calendario liturgico

Calendario liturgico pastorale Settembre 15 Sabato – Beata Vergine Maria Addolorata. Ore 9,30: S. Messa per le donne e le spose in onore dell’Addolorata a cura della Compagnia di Santa Maria degli Angeli. Ore 14,30/ 17,30 Assemblea diocesana dei catechisti a Brescia (Palabrescia) 16 Domenica XXIV del T.O. Feste di S. Luigi. Ore 9,30 S. Messa in Oratorio. Ore 20,30 Messa rionale alla Santella della Madonna Addolorata di Via Marconi. 21 S. Matteo evangelista. 23 Domenica XXV del T.O. - Memoria liturgica di S. Pio da Pietrelcina religioso. 27 S. Vincenzo De’ Paoli, sacerdote. 29 S.S. Arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele 30 Domenica XXVl del T.O. Con il mese di ottobre entra in vigore l’orario invernale delle messe (Feriali Ore 8,00 e 19,00; festiva del sabato sera e della domenica sera ore 18,00).

Ottobre 1 S. Teresa di Gesù Bambino 2 S.S. Angeli Custodi. Ore 17, in chiesa, benedizione dei bambini e dei nonni. 4 S. Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia. Memoria liturgica di S. Guido Maria Conforti, fondatore dei Saveriani. 6 S. Bruno Abate. 7 Domenica XXVll del T. O. Festa della Madonna del Rosario. Ore 11 Battesimi comunitari. Ore 18,00 S. Messa solenne e processione con la Statua della Madonna del Rosario. Percorso ordinario. 10 S. Daniele Comboni vescovo missionario. 11 Giovedì, per la Chiesa universale: inizio dell’Anno della Fede indetto da papa Benedetto XVl. Ore 20,30 S. Messa solenne per tutti.

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14 Domenica XXVIII del T.O. - Festa del “Ciao” (ACR) in oratorio. Ore 14,30 (in chiesa) Messa e Sacramento della Unzione dei Malati. 16 S. Teresa d’Avila vergine 17 S. Ignazio d’Antiochia vescovo e martire 18 S. Luca Evangelista. 21 Domenica XXIX del T.O. 28 Solennità della Dedicazione della Chiesa Parrocchiale (1785). Celebrazione congiunta dei due Sacramenti dell’iniziazione cristiana Cresime ed Eucaristia (Ministro Delegato dal Vescovo Mons. Vittorio Formenti). Novembre 1 Giovedì Solennità di Tutti i Santi. Ore 14,30 Processione dalla chiesa al Cimitero. Ore 15,00 S. Messa al Cimitero. 2 Venerdì Commemorazione di Tutti i Defunti. Ore 15,00 e 20,00 S. Messa al cimitero. Ore 8 e 9,30 S. Messa in parrocchia. Ore 16,00 S. Messa alla Casa di Riposo. N.B. Oggi inizia l’Ottavario di preghiere per i Defunti (dal 2 al 10 novembre). Si celebra la messa al cimitero alle ore 15,00 e 20,00 4 Domenica XXXl del T.O. e Festa di S. Carlo Borromeo. Ore 11,00 S. Messa per i Caduti. 9 Dedicazione della Basilica Lateranense. 10 S. Leone Magno, Papa. 11 Domenica XXXII T.O. - Memoria di S. Martino di Tours, vescovo. Festa del Ringraziamento. 15 S. Alberto Magno 19 Domenica XXXIII T.O.- Battesimi comunitari. 21 Presentazione della B.V. Maria al Tempio. 22 S. Cecilia, vergine e martire Patrona del canto sacro e degli organisti. 25 Solennità di nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo. Ore 15,00 Vespri e Atto di Consacrazione a Cristo Re (Indulgenza Plenaria) 30 S. Andrea apostolo.


Anagrafe Lettera parrocchiale del Parroco

Anagrafe parrocchiale Rinati in Cristo (battesimi)

Nella luce di Cristo (defunti)

Iuliano Allison di Maurizio e Gasparetto Chiara Logiudice Comensoli Angelica di Giuseppe e Rizzini Silvia Belotti Sofia di Michele e Vignoni Stefania Conte Alisia di Antonio e Caradonna Rosa Della Monica Antonio di Giuseppe e Sala Laura

Marinelli Lavinia (Claudia) di anni 84 Parma Santa di anni 85 Cazzago Giovanni Battista di anni 71 Clerici Margherita di anni 73 Cittadino Nunziata di anni 48 Prati Franco di anni 45 Zammarchi Francesca di anni 77 Zammarchi Battista di anni 79 Saenz Gomez Felisa ved. Manenti Betella Remo di anni 63 Turra Giuseppe di anni 84

Uniti in Cristo (matrimoni) Simoni Fabrizio con Coelli Elena Comanzo Manuel con Marini Stefania Olmi Michele con Bagnato Maria Teresa Zani Giacomo con Guerrini Tatiana Garofalo Santi con Delfini Marina Lucia Serotti Luca con Ramera Monica Zotti Luciano con Cattaneo Flavia Rizzini Samuele con Zanini Annalisa

Catechesi del mercoledĂŹ Ăˆ ripresa la S. Messa delle ore 9,30 per le donne, con il relativo cammino di catechesi. Invitiamo le donne a partecipare.

Camminiamo insieme

n. 32 settembre - novembre 2012

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La festa degli aquiloni Volano nel cielo, alti gli aquiloni con tutti i lor colori, con tutti i lor pensieri. Volteggiano nell’aria quasi a voler cantare: “Fratelli, se volete, il mondo puo’ cambiare”. E poi volano ancora e vanno incontro al sole e rubano da lui un raggio di calore.

Un po’ di quel calore puo’ riscaldar la terra, portarle un po’ d’amore per essere men fredda… Ma cosa penseranno volando gli aquiloni? “ Che bello se nel mondo fossero tutti buoni!...” Adriana


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