n° 38 marzo - maggio 2014
Camminiamo insieme Periodico della ComunitĂ dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato
Sommario
Camminiamo insieme
Periodico della Comunità parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato N. 38 marzo - maggio 2014
Hanno collaborato a questo numero: mons. Mario Stoppani, don Claudio Chiecca, mons. Vittorio Formenti, p. Sergio Targa, Silvana Brianza, Marco Piscioli, A. Facchi, Azione Cattolica di Castrezzato, Commissione Pastorale della Famiglia, Coro Don Arturo Moladori Contributi di: Papa Francesco, Michele Zanzucchi, Pietro Coda, don Dario Franzoni (h), Piero Riccio, P. Emiliano Tardif, Gruppo Alpini di Castrezzato, A.C. e Istituto comprensivo di Castrezzato, Coretto Santa Maria degli Angeli Fotografie: Erika Zani Segreteria: Agostina Cavalli Impaginazione: Giuseppe Sisinni
In copertina Il Cristo della Parrocchiale di Castrezzato Abbiamo dedicato la copertina di questo numero pasquale al Crocifisso ligneo di dimensioni reali, policromo, di ottima fattura, anatomia sapiente, con un modellato armonioso, recentemente collocato nella zona pre-presbiteriale della Chiesa Parrocchiale. Si tratta di un’opera realizzata tra il 1790 e il 1830 c., in area altoatesina o austriaca, scuola pedemontana o d’oltralpe. La zona di provenienza è chiaramente leggibile nei contenuti stilistici che la scultura presenta, nonché per le soluzioni formali di chiara influenza teutonica. Anche l’espressività alta della sofferenza del Cristo ci riporta ad alcuni contenuti teologici tipici della zona geografica citata, e ciò sin dai primordi dell’arte scultorea montana (a partire dal secolo XII e seguenti), in questo caso con gradevoli rimandi all’eleganza formale lombardoveneta. È manufatto che esce sicuramente da una bottega e dalle mani di un Maestro di ottima tradizione e sapiente mestiere. Nelle pagine interne un resoconto più dettagliato delle caratteristiche di quest’opera.
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Camminiamo insieme
Sommario 3 4 8 11 15 18 21 24 27 30 34 40
Lettera del Parroco Annunciare l’Amore di Dio
Con la Chiesa Le verità scomode di Francesco
Fede e Attualità Un mondo da costruire insieme
Con la Diocesi Don Bosco è qui
Spiritualità “Benedetto” Tempo Quaresimale
Spazio Missioni Annunciare Cristo in Bangladesh
Cronaca Quan’ che ‘ndae a Milà
Spazio oratorio Settimana educativa dell’oratorio
Spazio oratorio La Pace soffia forte
Con la Parrocchia Famiglia e matrimonio: beni primari
Con la Parrocchia Il Cristo della Parrocchiale
Vita in Parrocchia La casa più bella del paese
Lettera del Parroco
La Gioia del Vangelo
Annunciare l’Amore di Dio
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arissimi, il dato emergente di questa Pasqua 2014 è senz’altro il primo anniversario del pontificato di Papa Francesco. Ogni papa ha doni e carismi diversi: tra loro non sono in contrasto, ma si integrano armoniosamente per tenere unita la compagine del Corpo di Cristo che è la Chiesa. In questi mesi papa Francesco ci ha donato il “sogno” di una Chiesa Madre e Portatrice della salvezza del Suo Maestro e Signore. Questo “sogno” il Papa lo ha concretizzato in una esortazione apostolica (così si chiama il documento) che esprime non solo il frutto della sua esperienza di Pastore, ma anche i deisderi dei confratelli vescovi e del popolo di Dio. Questo documento programmatico si chiama “Evangelli Gaudium” (che vuol dire la gioia del Vangelo). Vorrei offrirvi in questa Lettera alcuni passaggi importanti che il Papa ha sottolineato e che hanno di fatto arricchito di speranza e fiducia i cristiani di oggi. Innanzi tutto il Vangelo è una notizia buona, gioiosa, che riempie il cuore di speranza e porta felicità quando è accolto nella sua integrità. Non vi può essere autentica evangelizzazione senza l’esplicita proclamazione che Gesù è il Signore: questo è l’annuncio di fondo che va portato con la vita, prima ancora che con le parole. Poi va sottolineato un secondo pensiero: che tutto il popolo di Dio annuncia il Vangelo. L’affermazione può sembrare scontata, ma così non è. La Chiesa infatti nasce da una iniziativa gratuita di
Dio, che vuole la sua Chiesa come “lievito “ di Dio nel mondo, segno di speranza, “luogo di misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo”. Questo grande popolo, sparso su tutta la terra ha molti volti, non dispone di un unico modello culturale, si incarna nelle varie culture che accolgono Gesù Cristo. Una sola cultura non esaurisce il mistero della redenzione di Cristo. Terzo pensiero: tutti siamo discepoli-missionari; non prima discepoli e poi missionari, ma contemporaneamente discepoli e missionari. Se uno ha fatto realmente esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Così ha fatto la donna samaritana del Vangelo di Giovanni, così ha fatto S. Paolo. Quarto pensiero prezioso: la forza
evangelizzatrice dei semplici. La pietà popolare manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere e rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede. La pietà popolare è un prezioso tesoro della Chiesa cattolica. Bisogna avvicinarsi ad essa con il cuore del Buon Pastore, che non cerca di giudicare, ma di amare Infine va ricordato che la fede vera passa da persona a persona. Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, sulla strada, al lavoro, in famiglia. Lo Spirito arricchisce con carismi diversi gli “araldi” del Vangelo. A proposito dei carismi Papa Francesco fa un’annotazione importante “ E’ nella comunione, anche se costa fatica, che un carisma si rivela autenticamente e misteriosamente fecondo. Se si vive questa sfida, la Chiesa può essere un modello per la pace nel mondo. Cari parrocchiani, domenica 27 aprile 2014, Domenica della Divina Misericordia, saranno proclamati santi i Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, grandi evangelizzatori: siano validi intercessori per la Chiesa di oggi, chiamata a portare il Vangelo al mondo in tempi difficili e travagliati. Cristo è risorto! Buona Pasqua a tutti!
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don Mario
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Con la Chiesa
Ad un anno dall’elezione di Papa Francesco
Le verità scomode di Francesco
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ià un anno è trascorso da quel marzo 2013 quan-do il cardinal Tauran pronunciò con voce tremula e accento francofono il nome di Jorge Mario Bergoglio dal balcone della basilica di San Pietro. La sorpresa fu grande allora, ma in qualche modo lo è ancor più oggi, osservando il radicale cambiamento di clima dentro la Chiesa e fuori di essa provocato dall’arrivo al soglio pontificio del primo papa argentino. «La novità sta tutta nello stile», sostiene un autorevole collega statunitense: un rapporto franco e “personale” con la gente, un’austerità di vita che in tempi di crisi pare doverosa, un linguaggio semplice e pacato, il suo andare al cuore dei problemi... Stupisce il fatto che sia di gran lunga il più popolare leader mondiale, secondo tutti i sondaggi, anche quelli più laici. La gente avverte la sua vicinanza e manifesta il suo affetto per “un uomo della provvidenza”, per “un amico”, per “un coraggioso e coerente testimone dell’amore”, come dicono tanti. Non stupisce, allora, che in queste ultime settimane si stiano concentrando sull’organizzazione da lui presieduta, la Chiesa cattolica, una gran quantità di attacchi concentrici. Quasi per dire: va bene, il papa è popolare ma deve cambiare la Chiesa secondo quello che vuole la gente, o piuttosto secondo quello che pensano determinate categorie od organismi pubblici e privati. Ha cominciato l’Oms,
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Organizzazione mondiale della sanità, che ha voluto indicare le regole dell’educazione sessuale che dovrebbero essere seguite da tutti gli Stati e anche dalle religioni. Poi è arrivata la dichiarazione Onu a proposito degli abusi sui minori, piaga orribile di cui la Chiesa ha pur da vergognarsi, ma che ha approfittato di una questione particolare per cercare di imporre alla Chiesa cattolica di cambiare il suo pensiero etico. Hans Kung, anche lui, ha scritto cercando di scavare il fossato tra papa e Chiesa... Mentre uno dei massimi quotidiani nazionali ha pubblicato i risultati di un sondaggio che indicherà quello che i cattolici vogliono veramente, facendo intendere che quei dati sarebbero una anticipazione dei risultati della consultazione planetaria sulla famiglia lanciata dalla Chiesa cattolica in vista del Sinodo dell’ottobre 2014. Insomma, tutti sanno quello che il papa dovrebbe fare per correggere le storture della Chiesa. Evviva. Sembra che il papa sia “altro” che la Chiesa. Il
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fatto è che il papa dice parole scomode, non ha paura di accusare l’economia che sfrutta gli uomini, le ingiustizie perpetrate dai potenti, la schiavitù dal consumismo, la tutela della vita da prima della culla a dopo la bara, la centralità della relazione uomo-donna nella vita sociale di ogni persona umana, l’importanza della famiglia... Dà fastidio a troppa gente, a lobby e potentati, Francesco. Forse si preferirebbe un papa che si limitasse a baciare i bimbi e le piaghe dei malati, ma rimanendo silente. E invece parla e agisce, mette il dito nelle contraddizioni delle nostre società occidentali, propone soluzioni. Con il sorriso sulle labbra e l’accoglienza pronta, senza demonizzare nessuno: «Chi sono io per giudicare?», suole dire. Agisce e parla come un uomo sicuro di sé (perché sicuro di Dio), ma ancor più sicuro che alle sue spalle il popolo della Chiesa cattolica lo segue: le lunghe congregazioni prima del conclave, quando i cardinali elaborarano il programma del nuovo papa (iniziavano i loro interventi dicendo: «Il nuovo papa dovrebbe...»), appaiono una sicurezza per Bergoglio. «L’amore è universale e ha la vocazione di riunire tutti gli uomini», diceva un filosofo laico come Marcel Conche. La laicità di papa Francesco e il suo continuo richiamo all’amore paiono una prova della giustezza di tale affermazione. Michele Zanzucchi
Con la Chiesa
Un Pontificato all’insegna delle prossimità, del servizio, del dialogo.
Francesco, un vento gagliardo La “Rivoluzione” del vescovo di Roma affidata a novità in tutti i campi
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ratelli e sorelle, buonasera!». Questa le parole con cui Jorge Mario Bergoglio salutò il mondo quella sera del 13 marzo 2013, quando i «fratelli cardinali» lo scelsero «quasi alla fine del mondo» quale vescovo di Roma. Fu, quella, solo la prima di tante sorprese che il papa argentino ci avrebbe riservato. In questo primo anno abbiamo imparato che papa Francesco parla, decide, agisce senza rispetto umano (come un tempo si diceva) obbedendo soltanto alla voce di Dio
e invitando tutti a fare altrettanto. Costatiamo tutti quanto le parole e i gesti del papa “abbiano spirito”: toccano, coinvolgono, scuotono, non lasciano le cose compe prima. Sono l’eco - per l’ascolto interiore profondo e disarmato da cui zampillano: lo avvertiamo a pelle - della voce dello Spirito che parla oggi alla Chiesa e che il papa c’invita ad ascolare e seguire. Novità La novità, certo, sta in prima battuta nel tempo che viviamo e nel-
le istanze antropologiche e sociali che esso avanza. Ma, più in profondità, la novità non sta solo tutta dalla parte dell’uomo e della storia — anche se senza di ciò, sia ben chiaro, non la si potrebbe cogliere —: sta, prima e sopra ogni altra cosa, dalla parte di Dio e del suo Vangelo. L’iniziativa è sempre sua, di Dio: «La vera novità è quella che Dio stesso misteriosamente vuole produrre, quella che egli ispira, quella che egli provoca, quella che egli orienta e accompagna in mille modi». Insomma, la novità è il Van-
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Con la Chiesa
gelo stesso. «Ogni volta — sottolinea il papa — che cerchiamo di recuperare la freschezza originale del Vangelo, spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale». Questione di sguardo Tutto è questione di sguardo. È, questa, una delle formule proposte da papa Francesco. Cogliere il momento propizio, che oggi interpella la Chiesa e ciascuno di noi, significa convertire il nostro sguardo. Guardare con altri occhi e da un’altra prospettiva, dunque: alla missione della Chiesa, a ciò che noi siamo, al mondo. Accogliere ed esercitare, per la fede, uno sguardo nuovo, illuminato dalla luce e dall’amore di Gesù, che è sempre lui per primo a guardarci in modo nuovo. Non lo sguardo triste, spento, annoiato, scettico di chi, in definitiva, è prigioniero di sé stesso, ma quello di chi è liberato dall’amore, libero perciò di amare. Papa Francesco non ha timore di affondare il bisturi dello sperimen-
tato maestro spirituale e della saggia guida pastorale nella piaga che infetta la vita della nostra società e, spesso, anche della Chiesa: l’individualismo sfrenato, ma intimamente vuoto e persino disperato, che si traveste anche sotto i panni di quella “mondanità spirituale” che spinge a vivere anche le cose più sante secondo lo spirito del mondo. Parola e Popolo Papa Bergoglio ci indica una nuova tappa nella testimonianza e nell’annuncio del Vangelo, proponendoci di essere contemplativi della Parola e insieme contemplativi del Popolo di Dio. L’espressione è forte, quasi paradossale, e vuoi essere senz’altro provocatoria: ma per renderci più consapevoli di un tratto fondamentale e qualificante dell’evangelizzazione, soprattutto oggi. È, questa, infatti, un’esigenza del Vangelo: «La contemplazione che lascia fuori gli altri è un inganno». Ma che cosa significa essere contemplativi del Popolo di Dio? L’esercizio stesso del ministero petrino, come lo concepisce e lo vive
papa Francesco — dal momento in cui, affacciandosi dopo il conclave che lo ha eletto alla loggia della basilica di San Pietro, ha invocato l’intercessione della Chiesa di Roma per ricevere la benedizione propiziatrice del Padre —, è posto sotto il segno dell’umiltà, dell’ascolto, della prossimità, del servizio, dell’amore vibrante e concreto al Popolo di Dio. Non è difficile riconoscere, in tutto ciò, un’eco dell’insegnamento del Concilio Vaticano II sulla Chiesa Popolo di Dio in cammino e un dono prezioso delle Chiese del Latino-America. Dov’è tuo fratello? Ciò s’intensifica e ci ferisce al cuore ogni volta di nuovo, crudamente, quando anche a noi, oggi, Dio rivolge la pressante e accorata domanda: «Dov’è Abele, tuo fratello?». In lui, «nel fratello, si trova il permanente prolungamento dell’Incarnazione per ognuno di noi: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”». Proprio per questo, «nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri», così che, «per la Chiesa, l’opzione per i poveri — scandisce il papa — è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica». I poveri, nostri maestri Non si tratta solo di lavorare alacremente, con intelligenza, perseveranza e comunione d’intenti per l’integrazione nella società, a tutti i livelli, di chi in qualunque modo è povero, emarginato, escluso, scartato, ma di disporsi con umiltà a imparare da essi: perché, «con le loro sofferenze, conoscono il Cristo sofferente. È necessario — esorta Bergoglio — che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porte al
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Con la Chiesa
centro del cammino della Chiesa». Dialogo Da tutto questo il papa fa derivare la bellezza e ricchezza di quel dialogo, con tutti e con ciascuno. Il dialogo — commenta papa Francesco — «è molto di più che la comunicazione di una verità. Si realizza per il piacere di parlare e per il bene concreto che si comunica tra coloro che si vogliono bene per mezzo delle parole». In un’espressione — anch’essa inedita e suggestiva — nel dialogo vissuto in Cristo noi «allarghiamo la nostra interiorità»: non solo per comunicare la bellezza e la gioia di quanto abbiamo contemplato dell’amore di Dio, ma — spiega papa Francesco — «per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio». Priorità al tempo Per dare concretezza e realismo a questo affascinante e sfidante programma, ecco infine un salutare principio: «Dare priorità al
tempo». Ascoltiamo papa Francesco: «(Occorre) occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le por teranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzio-
ni chiare e tenaci». Questo saggio e prudente principio — dare priorità al tempo, iniziare processi più che occupare spazi — ci incalza, ma insieme ci dà speranza nell’intraprendere con coraggio le vie percorrendo insieme le quali ciò che oggi lo Spirito dice alla Chiesa possa davvero segnare una tappa nuova dell’evangelizzazione e, per questo, della storia dell’umana civiltà. Piero Coda
Santa Maria della strada (preghiera per chi viaggia) Santa Maria Madre di Dio e Madre nostra, che ci vedi passare davanti, accogli il nostro saluto. Questa è la strada che ci porta al lavoro; questa è la strada che ci riporta a casa. Vergine prudente, veglia sul nostro cammino! Illumina la notte. Dirada la nebbia, rischiara il giorno. Dona saggezza a chi guida. Fa o Maria che possiamo percorrere la strada di ogni giorno sotto la tua protezione. Fa che ognuno di noi ti invochi prima del viaggio e fa che ritorni per dirti grazie. Amen! Don Dario Franzoni
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Fede e attualità
Aborto, eutanasia, adozioni gay, manipolazioni embrionali: scontro senza fine?
Un mondo da costruire insieme
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apa Francesco ha sparigliato le carte sul tavolo. L’ha fatto quando ha pronunciato, a proposito delle scelte gay, la famosa frase: «Chi sono io per giudicare?». Ancor più potrebbe farlo il questionario che è stato distribuito in tutte le diocesi del mondo prima del Sinodo sulla famiglia previsto per ottobre 2014. Un questionario che vuole partire dalle persone concrete, dalle situazioni reali di vita. Una frase e un questionario che dunque ci interpellano, ci invitano a riflettere sul modo con cui ci accostiamo agli altri. A chi la pensa diversamente, in particolare. Sul tipo di convivenza che vogliamo e speriamo per un mondo che cambia velocemente. Questa disposizione d’animo deve essere accompagnata, contemporaneamente, dalla responsabilità di scegliere, di discernere, sia quando si decide quali parole usare, sia soprattutto quando si valutano le leggi da emanare. Parole Le parole “marito” e “moglie” sembra non vadano più di moda, sostituite spesso da “compagno” e
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“compagna” o, ancora, dal più neutro “partner”. A molti questo può dare fastidio, ma si capisce che queste parole si sono diffuse col tempo per tenere conto di una realtà complessa, di situazioni di vita sempre meno incasellabili nel concetto tradizionale di coppia. Verrebbe da dire che oggi ognu-
no sopravvive come può, nella società liquida e multiculturale in cui viviamo, per cui ognuno usa le parole che meglio descrivono la propria condizione di vita. Diverso è il caso, invece, di altre parole, intrise di significato. di storia, di cultura, di sentimento, che si vogliono eliminare in un tentativo maldestro di cancellare significati essenziali dell’avventura umana: papà, babbo, mamma, sposo, sposa, madre, padre. Le prime parole che da migliaia (milioni?) di anni si
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imparano appena nati stanno per essere sostituite, modernizzate, archiviate, dimenticate, in nome del “politicamente corretto”. Sostituite con “genitore l” e “genitore2”, in modo che non ci sia discriminazione verso le coppie omosessuali che portano a scuola i loro bambini. Non c’è neanche bisogno di una vera e propria legge: basta che uno sconosciuto tecnico informatico cambi il nome di due campi nel programma che stampa i libretti scolastici giustificativi delle assenze e il gioco è fatto. Ci si adegua senza accorgersene. Ma è proprio necessario? Quante sono le persone “rattristate” da questa decisione? A scuola non si deve più fare la festa della mamma, per rispetto di chi non ce l’ha (perché morta, separata o sostituita da due padri). Niente presepe, per rispetto delle altre confessioni religiose. Questo mondo nuovo (laico e secolarizzato) è decisamente grigio e poco attraente: chissà, forse si arriverà a proibire i vestiti colorati per non discriminare i daltonici. Ma non discriminare significa appiattire e
Fede e attualità
omologare tutto al ribasso? Non è meglio insegnare che diversità è ricchezza? Infine, ci sono parole che vengono sostituite in modo sleale, un sotterfugio per mascherare la realtà, cancellando la problematicità dei fatti. È il caso della “sgradevole” parola “aborto”: oggi tutti i documenti ufficiali parlano di “diritti sessuali e riproduttivi”. Se proprio si deve par lare di feto, la scienza preferisce una parola neutra, decisamente priva di impatto emotivo: “grumo di cellule”. Ciclicamente ritornano proposte di legge per impedire ai medici l’obiezione di coscienza. Eppure buona parte della popolazione considera (ancora) il feto un essere umano. Leggi Le raccomandazioni Oms per gli standard di educazione sessuale a scuola, uguali per tutti i Paesi, stabiliscono che i genitori “non” possono opporsi. Le Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali/transgender), edite dal Dipartimento per le pari opportunità della presidenza del Consiglio dei ministri, suggeriscono a giornali e televisioni, quando si parla di tematiche relative ai diritti per le persone Lgbt, di usare termini “neutri”, senza dar voce a chi è contrario. Intanto si discute la legge sull’omofobia, dopo la quale forse sarà vietato sostenere che il bambino ha “diritto”, ogni volta che è possibile, a un padre e una madre (i bambini con genitori omosessuali nel nostro Paese sarebbero circa centomila). Nel Parlamento europeo per tre volte si è tentato, invano, di far passare l’aborto come un “diritto umano”. Per legge si cerca di cambiare (a senso unico) la testa della gente. È il modo giusto per ottenere convivenza e rispetto tra diversi? Le leggi su aborto, matrimoni gay, manipolazione degli embrioni
Alcune domande dal questionario in preparazione del Sinodo sulla famiglia 4 - Sulla pastorale per far fronte ad alcune situazioni matrimoniali difficili a) La convivenza ad experimentum è una realtà pastorale rilevante? c) I separati e i divorziati risposati sono una realtà pastorale rilevante? d) Come vivono i battezzati la loro irregolarità? Ne sono consapevoli? Manifestano semplicemente indifferenza? Si sentono emarginati e vivono con sofferenza l’impossibilità di ricevere i sacramenti? f ) Lo snellimento della prassi canonica in ordine al riconoscimento della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale potrebbe offrire un reale contributo positivo alla soluzione delle problematiche delle persone coinvolte? Se sì, in quali forme? g) Come viene annunciata a separati e divorziati risposati la misericordia di Dio e come viene messo in atto il sostegno della Chiesa al loro cammino di fede? 5 - Sulle unioni di persone dello stesso sesso c) Quale attenzione pastorale è possibile avere nei confronti delle persone che hanno scelto di vivere secondo questo tipo di unioni? d) Nel caso di unioni di persone dello stesso sesso che abbiano adottato bambini come comportarsi pastoralmente in vista della trasmissione della fede? 6 - Sull’educazione dei figli in seno alle situazioni di matrimoni irregolari c) Come le Chiese particolari vanno incontro alla necessità dei genitori di questi bambini di offrire un’educazione cristiana ai propri figli?
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Fede e attualità
ed eutanasia dei bambini terminali sono ormai consolidate o in discussione avanzata in molti Paesi. La società evolve e forse tra qualche anno questi temi saranno meno laceranti. Forse. Ma si possono ignorare quelli che continuano a ritenere il feto “uno di noi”, e sono convinti che nessuno possa arrogarsi il potere di decidere quando una vita non è degna di essere vissuta? E intelligente chiamarli “oscurantisti” e disprezzarli sui giornali e in tv, sperando che si estinguano presto? A volte, poi, gli oscurantisti si prendono la rivincita. In Croazia, nel referendum sui matrimoni gay, il 65 per cento dei votanti ha detto “no”. In Spagna il governo Rayoj sta modificando la baldanzosa legge Zapatero sull’aborto, restringendo i casi in cui è possibile ricorrervi: stupro e minaccia per la salute fisica e psichica della donna. E come non ricordare le numerose manifestazioni francesi contro le nozze gay? Possiamo cambiare avanti e
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indietro le leggi sulla vita e la morale ogni volta che cambia il colore politico al potere? È inevitabile il muro contro muro? Etica Le convinzioni su etica e bioetica sono profondamente radicate nelle persone. Non hanno colore politico, anche se a volte si vestono di ideologia. Sono alla base dei comportamenti che strutturano lo stile di vita e la visione del mondo di ogni individuo. Per questo sono sempre così laceranti. Per questo non si può procedere a spallate con leggi coercitive. Nel suo libro Laici e cattolici in bioetica, Giovanni Fornero è pessimista. Racconta come i tentativi di conciliare le opposte visioni del mondo per trovare qualche posizione comune su “questioni epocali” come aborto, eutanasia. fecondazione assistita e manipolazioni embrionali, siano finora sostanzialmente falliti. Queste questioni sono «un permanente
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motivo di conflitto all’interno delle nostre democrazie». Dunque, che fare? Come gettare ponti? Come trovare una strada di convivenza rispettosa, senza lasciarsi travolgere dall’odio per l’avversario o il diverso? Nella giornata per la vita, il neoeletto segretario Cei, mons. Galantino, ha parlato anche di “qualità della vita”, tema caro ai laici. Papa Francesco sta chiamando i cristiani ad un salto di qualità, a mettersi in discussione, a rischiare «l’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo». Anche dall’altra parte ci sarà una equivalente apertura? La società di oggi è troppo complessa perché una singola concezione del mondo possa pretendere di avere l’unica e l’ultima parola. Pietro Riccio
Con la Diocesi
Le reliquie di don Bosco a Chiari
Don Bosco è qui Un evento importante per la comunità cattolica, ma anche un’occasione per riflettere sul messaggio del santo
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l cammino dell’Urna, che contiene una scultura di don Bosco e del reliquiario con la mano destra del santo, è iniziato tre anni fa e ha fatto tappa in 130 nazioni del mondo, in vista del bicentenario della nascita che si celebrerà il 16 agosto 2015. DON BOSCO È QUI, per INDICARCI la via per ILLUMINARE la strada per SOSTENERCI nella vita per AIUTARCI nel cammino Così è stato scritto sul materiale informativo divulgato dai Salesiani in occasione dell’evento tanto atteso. Inoltre sono state innalzate fervide invocazioni, eccone una: “Don Bosco ritorna, vieni con il tuo corpo benedetto, vieni e non passare invano. Scuotici dal torpore delle nostre abitudini, scuotici dalla falsa sicurezza che pensa di conoscerti abbastanza, ma non si muove come hai fatto e fai Tu... Vieni e donaci il tuo coraggio che ti ha fatto cercare solo anime. Vieni e rendici solidi educatori, appassionati come Te della salvezza dei ragazzi, diventando fantasiosi segni dell’amore di Dio per loro”. Don Bosco, dalla personalità straordinaria ed ecclettica, è una figura di grande rilievo non solo per la dimensione religiosa, ma anche per il particolare contributo socioculturale ch’egli seppe apportare al suo tempo. Basta ripercorrere
le tappe fondamentali della sua esistenza per comprenderne l’unicità. Nato nel 1815 a Becchi, frazione di Castelnuovo d’Asti, da una famiglia di contadini in cui povertà e preghiera avevano il sapore del pane quotidiano, fin da piccolo soffrì la fame ed infinite umiliazioni per poter accedere agli studi. Avviato tardi alla scuola, inserito in classi di marmocchi mentre lui ormai era grande, dovette subire tutte le angherie di cui i ragazzi, da sempre, sono capaci. All’inizio, si lasciava trasportare dal suo temperamento focoso: prendeva
spesso a pugni chi gli si opponeva oppure assumeva le difese dei più deboli usando le mani con una certa disinvoltura. Non aveva certo un carattere dolce e remissivo, anzi dovette percorrere molta strada per esercitare la pazienza, lui che aveva il pugno facile e fremeva di rabbia di fronte all’arroganza altrui. Consapevole dei disastri provocati dalla fame e dall’ignoranza, privilegiava l’amicizia e la frequentazione di piccoli bisognosi di fame e di istruzione, attivando tutti i suoi carismi per intrattenerli ed aiutarli: sapeva fare il giocoliere, il funambolo, il lettore e il narratore.
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Con la Diocesi
Da giovane sacerdote, si prodigò per i ragazzi che gironzolavano nella città di Torino, provenienti dalle campagne, dove scarseggiavano i raccolti, e allo sbando in quanto orfani di padre e di madre morti per colera o tubercolosi. Nei volti tristi di quei ragazzi, nei loro vestiti laceri e sporchi, sotto la dura scorza della loro aggressività don Bosco individuava la sua personale storia, le sue sofferenze, i suoi difetti. Proprio loro diventeranno i protagonisti della sua missione, del senso vero della sua vita. Di fronte ad un violento, intuiva la vicenda di uno che non era stato amato, ne riconosceva le infinite qualità e i peculiari valori. “Certamente è più facile irritarsi che pazientare, ma non bisogna mai avere agitazione nell’animo, disprezzo nello sguardo o insulto sulle labbra.” suggeriva don Bosco, definito l’apostolo dei giovani. Come riuscì lui così focoso ad acquisire quella grande capacità di comprendere? C’è un fatto fondamentale che lui
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sperimentò: ebbe la certezza che Uno lo portava per mano lungo tutta la sua esistenza, fino a trasformarlo da irascibile in mansueto. “Gesù stesso – scriveva– ci disse di imparare da Lui ad essere mansueti ed umili di cuore.” Nel 1834 Giovanni aveva intenzione di entrare in convento per farsi frate, ma, sollecitato da un sogno, andò a Torino per chiedere consiglio a don Giuseppe Cafasso, giovane sacerdote considerato uno dei migliori maestri di vita spirituale; da lui ricevette il consiglio di ultimare gli studi e di entrare in seminario. Così fece e - lui stesso racconta- promise a Dio che avrebbe svestito il suo animo dalle cattive abitudini, avrebbe rinnovato il suo stile di vita e “Non farò più il prestigiatore né il saltimbanco…” dando così l’addio alle corde, su cui tante volte s’era destreggiato come esperto giocoliere, mozzando il fiato alla gente. Il 5 giugno del 1841 venne ordinato sacerdote. La madre abbrac-
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ciandolo gli disse: “Ora sei prete, sei più vicino a Gesù. Io non ho letto i tuoi libri, ma ricordati che cominciare a dire la messa vuol dire cominciare a soffrire…d’ora in poi pensa soltanto alla salvezza delle anime…”. Queste parole gli risuoneranno più volte nella mente, nel corso degli anni futuri, di fronte alle immani difficoltà che si sarebbero opposte alla realizzazione del suo progetto. Nel capoluogo piemontese, alcuni sacerdoti stavano sperimentando l’apertura degli “Oratori” che già avevano avuto successo a Milano. Sorsero pure delle scuole popolari per contrastare l’analfabetismo, ma tutte queste iniziative erano inadeguate a risolvere la complessità del problema. Don Bosco comprese che non bastava riempire le teste di idee, ma era prioritario colmare lo stomaco: “Scuole e lavoro, istruzione ed occupazione sono le uniche possibilità che possono assicurare un avvenire migliore.” Da tempo era attorniato da una
Con la Diocesi
folla di ragazzi cui insegnava il catechismo, ma a cui doveva anche procurare il cibo quotidiano: ciò gli costò persino l’umiliazione di chiedere per loro l’elemosina. Inoltre fu costretto a trasferire la sede dei suoi raduni in luoghi sempre diversi perché il numero crescente dei ragazzi disturbava la quiete dei vicini: come un piccolo esercito don Bosco e i suoi giovani si spostarono dal monte dei Cappuccini alla Consolata, dai portici di un cimitero alla Madonna del Pilone. Per un certo periodo pagò l’affitto di tre stanzette. Di cappella in cappella trovò comunque il modo di poterli incontrare, istruire, catechizzare nella fede, sicuro che il Signore non l’avrebbe mai abbandonato. Scrisse don Bosco: “La sera diedi uno sguardo alla moltitudine di quei ragazzi (quasi trecento) che giocavano. Ero solo, sfinito, la salute compromessa. Ritirandomi in disparte, mi misi a passeggiare da solo e non riuscii a trattenere le lacrime e chiesi a Dio quello che avrei dovuto fare”. Stava lavorando troppo: cappellano, predicatore in diverse parrocchie, scrittore di notte, guida infaticabile di tanti ragazzi. Sebbene privo di mezzi e di soldi, affaticato e senza salute, egli credeva fermamente in Dio e nel suo aiuto. Nel 1846 acquistò per poche lire una tettoia dalla famiglia Pinardi; questo sarà il primo nucleo del suo Oratorio. Inizialmente spedì i suoi giovani presso piccoli artigiani e commercianti della città perché imparassero il mestiere, successivamente, nel 1852, dopo aver ampliato casa Pinardi, aprì scuole di apprendistato presso l’Oratorio stesso. La Provvidenza lo circondò di numerosi collaboratoti: alcuni amici sacerdoti si offrirono per l’insegnamento ai ragazzi: “si faceva scuola ovunque, in cucina, nel dormitorio, in cappella...” Lo stesso don Bosco, facendo prezioso frutto dei
moltissimi mestieri esercitati in gioventù, diventò un vero e proprio maestro di bottega nei suoi laboratori. Il 18 dicembre del 1859 i primi diciassette ragazzi che lo avevano seguito nelle sue fatiche e nei suoi progetti, costituirono la nascente “Congregazione Salesiana”. Non dimenticò certo l’educazione delle ragazze, infatti si avvalse della collaborazione di Maria Mazzarello per la fondazione della “Congregazione delle figlie di Maria Ausiliatrice” a favore delle giovani. Nel 1875, nella chiesa di Maria Ausiliatrice fatta costruire da lui nel prato di Valdocco, consegna la croce ai primi dieci missionari salesiani in partenza per l’America Latina. Negli anni successivi Don Bosco sarà costretto a viaggiare per l’Europa in cerca di aiuti per poter sostenere e promuovere le missioni all’estero, per sfamare le migliaia di giovani negli oratori, per costruire nuove scuole e nuove case. Il 31 gennaio 1887, certo d’aver fatto quanto poteva, consumato per il troppo lavoro, dopo aver profuso tutte le sue ultime forze fisiche per catechizzare i giovani (ne aveva accolto nella sua stanza da letto una trentina per la confessione, solo pochi giorni prima), spirò alzando la mano destra per l’ultima benedizione. Nel marzo del 1934 don Bosco fu
dichiarato santo da papa Pio XI. Egli era solito dare un consiglio ai suoi collaboratori impegnati nel recupero dei ragazzi di strada, un vero e proprio metodo educativo fatto di buone parole al posto di rimproveri: “Procura di dire all’orecchio qualche affettuosa parola, che tu sai, a mano a mano che si presenta l’occasione”. Eccone alcune, raccolte da un suo biografo. “Tu dovresti aiutarmi in una grande impresa. Sai quale? Nell’impresa di farti più buono.” “Quando vuoi che rompiamo le corna al diavolo con una buona confessione?” “Il paradiso non è fatto per i poltroni!” “Non fidarti troppo delle tue forze. Pensa a Dio, sarai più buono e più contento.” “Se tu mi aiuti, voglio renderti felice in questa vita e nell’altra.” Don Bosco sapeva qual era il punto d’arrivo del cammino dell’Oratorio: la santità, la felicità, la pienezza di vita. Quando questa è autentica coincide con il sogno di Dio su di noi. Dio vuole la nostra felicità e don Bosco voleva creare strade giuste per ogni ragazzo. Non importa da dove si parte, ciò che conta è arrivare insieme alla pienezza di vita. Un messaggio di grande attualità.
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Silvana Brianza
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Spiritualità
Cambia il mio cuore
Preghiera per la guarigione interiore
P
adre di bontà, Padre di amore, ti benedico, ti lodo e ti ringrazio perché per amore ci hai dato Gesù. Grazie, Padre, perché alla luce del tuo Spirito comprendiamo che lui è la luce, la verità, il Buon Pastore che è venuto perché noi abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza. Oggi, Padre, mi voglio presentare davanti a te come tuo figlio. Tu mi conosci per nome. Volgi i tuoi occhi di Padre amoroso sulla mia vita. Tu conosci il mio cuore e le ferite delta mia vita. Tu conosci tutto quello che avrei voluto fare e che non ho fatto; quello che ho compiuto io e il male che mi hanno fatto gli altri. Tu conosci i miei limiti, i miei errori e il mio peccato. Conosci i traumi e i complessi delta mia vita. Oggi, Padre, ti chiedo, per l’amore verso il tuo figlio Gesù Cristo, di effondere sopra di me il tuo Santo Spirito, perché il calore del tuo amore salvifico penetri nel più intimo del mio cuore. Tu, che sani i cuori affranti e fasci le ferite, guarisci qui e ora la mia anima, la mia mente, la mia memoria e tutto il mio spirito. Entra in me, Signore Gesù, come entrasti in quella casa, dove stavano i tuoi discepoli pieni di paura. Tu apparisti in mezzo a loro e dicesti: «Pace a voi». Entra nel mio cuore e donami la pace; riempimi. d’amore. Noi sappiamo che l’amore scaccia il timore. Passa nella mia vita e guarisci il mio cuore. Sappiamo, Signore Gesù, che tu lo
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fai sempre, quando te lo chiediamo; e io te lo sto chiedendo con Maria, nostra Madre, che era alle nozze di Cana quando non c’era più vino e tu rispondesti al suo desiderio cambiando l’acqua in vino. Cambia il mio cuore e dammi un cuore generoso un cuore affabile, pieno di bontà, un cuore nuovo. Fa spuntare in me i frutti della tua presenza. Donami i frutti del tuo Spirito che sono amore, pace e gioia. Che scenda su di me lo spirito delle beatitudini, perché possa gustare e cercare Dio ogni giorno, vivendo senza complessi e senza traumi insieme agli altri, alla mia famiglia, ai miei fratelli. Ti rendo grazie, o Padre, per quello che oggi stai compiendo nella
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mia vita. Ti ringrazio con tutto il cuore, perché mi guarisci, perché mi liberi, perché spezzi le mie catene e mi doni la libertà. Grazie, Signore Gesù, perché sono tempio del tuo Spirito e questo tempio non si può distruggere, perché è la casa. di Dio. Ti ringrazio, Spirito Santo, per la fede, per l’amore che hai messo nel mio cuore. Come sei grande, Signore, Dio Trino e Uno! Che Tu sia benedetto e lodato, o Signore. (Padre Emiliano Tardif)
Con Spiritualità la Chiesa
Quaranta giorni da passare con se stessi
“Benedetto” Tempo Quaresimale O gni anno i cristiani vivono i quaranta giorni della Quaresima nel segno della verità e della scoperta di se stessi. A questo proposito sarebbe interessante ed utile in questo “tempo forte” che ci ponessimo alcune domande: cosa muove i miei comportamenti? Qual è il motore che spinge le mie azioni di ogni giorno? Ovviamente qualcuno potrebbe dire la volontà. Ma sappiamo bene che la volontà è semplicemente l’esecutrice di una motivazione. Quali sono, allora, le motivazioni che ci spingono a comportarci in un determinato modo anziché in un altro? Se ci pensiamo bene, ci accorgeremmo che all’origine di ogni nostro modo d’agire c’è un mondo interiore e profondo che emerge e che tanti chiamano “spiritualità”. Mai come oggi gli uomini hanno un estremo bisogno di spiritualità per vivere da persone autentiche. La spiritualità è fonte di certezze e di serenità per ogni persona. Occorre, quindi, che ci attiviamo per individuare o riscoprire la nostra spiritualità perché la qualità del nostro vivere molto dipende dalle ragioni, dall’impegno e dalla passione che mettiamo in quello che facciamo. In genere siamo abituati a pensare che la vita è lavoro, divertimen-
to, sofferenza...Ma la vita è anche altro: è contemplare, capire, conoscere e scoprire il valore delle persone e delle cose che ci circondano. Dobbiamo smettere di considerare ogni nostra giornata come una pagina di calendario, senza nessuno spirito di contemplazione, senza alcuna attenzione particolare, e imparare, invece, a vedere in essa una grande opportunità che ci viene offerta per fare bene ogni cosa e per far del bene agli altri. Nell’itinerario quaresimale alcune pratiche di vita spirituale ci aiuteranno a scegliere e a vivere il bene. La pratica del digiuno, ci ricorda chi comanda nella nostra vita: noi o i nostri appetiti (materiali e spirituali) più o meno smodati. Per essere realmente in comunione con i tanti fratelli e sorelle che digiunano sempre e non per scelta! La pratica della preghiera, anche se svolta andando al lavoro o a scuola, ci ricorda che non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio. Infine il segno delle Ceneri, ricevuto all’inizio della Quaresima, ci ricorda che tutto quello che facciamo e siamo si risolverà, nell’arco di qualche decennio, in un mucchietto di polvere. Il sacerdote, mentre ha segnato la nostra fronte con della leggera cenere grigia, ci
ha detto: “Ricordati che sei polvere ed in polvere ritornerai…credi e convertiti al Vangelo”. Ce le marchiassimo a fuoco nel cuore e nella memoria queste parole, quando sentiamo l’insoddisfazione e la noia nascere subdole nel nostro cuore. Ce ne ricordassimo durante le liti condominiali o per le questioni di eredità! Ce ne ricordassimo, quando pensando di essere al vertice della carriera ci mangiamo il fegato per la riuscita di qualcun altro! Siamo polvere che Dio trasfigura e illumina… ma siamo nient’altro che un mucchietto di polvere che Dio ha riempito di vita e che a Dio ritornerà. Tempo benedetto, quello quaresimale, in cui siamo chiamati a misurare i nostri limiti, affidandoli al Signore, senza paura di andare all’essenziale nelle nostre scelte e nei nostri percorsi di vita. Dio solo conta, lui solo ci conduce alla scoperta di chi siamo veramente. Ora è il momento favorevole; ora vale la pena di investire! Non abbiamo paura di avventurarci con Gesù nel deserto quaresimale per uscirne più autentici e sereni. Santa Quaresima, ma soprattutto santo cammino di autenticità!
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don Claudio
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Con la Chiesa
Il Papa consiglia quali frasi usare usare all’interno della famiglia
La grammatica di Papa Francesco per la vita coniugale e familiare 1) Condividete la gioia. La prima cosa che voglio condividere con voi è una parola di Gesù: Venite a me, famiglie di tutto il mondo – dice Gesù – e io vi darò ristoro, affinché la vostra gioia sia piena. E questa Parola di Gesù portatela a casa, portatela nel cuore, condividetela in famiglia. 2) Rimanete uniti a Gesù. L’amore ce lo dona sempre Gesù : Lui è la fonte inesauribile. Lì Lui, nel Sacramento, ci dà la sua Parola e ci dà il Pane della vita, perché la nostra gioia sia piena. 3) Restate fedeli. Gli sposi in quel momento (durante la liturgia nuziale) non sanno cosa accadrà, non sanno quali gioie e quali dolori li attendono. Partono come Abramo, si mettono in cammino insieme. E questo è il matrimonio! Partire e camminare insieme. E questo è il matrimonio! Partire e camminare insieme, mano nel-
la mano, affidandosi alla grande mano del Signore. E non fare caso a questa cultura del provvisorio, che ci taglia la vita a pezzi. 4) Abbiate fiducia nella grazia ricevuta. I Sacramenti non servono a decorare la vita. I cristiani si sposano nel Sacramento perché sono consapevoli di averne bisogno! Ne hanno bisogno per essere uniti tra loro e per compiere la missione di genitori. 5) Pregate insieme. Per pregare in famiglia, ci vuole semplicità! Pregare insieme il “ Padre Nostro “, intorno alla tavola, non è una cosa straordinaria : è facile. E pregare insieme il Rosario, in famiglia, è molto bello, dà tanta forza! E anche pregare l’uno per l’altro (….). Questo è pregare in famiglia, e questo fa forte la famiglia : la preghiera. 6) Chiedete scusa. (Gli sposi) han-
no bisogno dell’aiuto di Gesù, per camminare insieme con fiducia, per accogliersi l’un l’altro ogni giorno, e perdonarsi ogni giorno! Avere il coraggio di chiedere scusa, quando in famiglia sbagliamo…. 7) Dite permesso. “ Posso fare questo? Ti piace che faccia questo? “. Col linguaggio del chiedere permesso. 8) Ringraziate. Diciamo grazie, grazie per l’amore! Ma dimmi, quante volte al giorno tu dici grazie a tua moglie, e tu a tuo marito? Quanti giorni passano senza dire questa parola, grazie!. 9) Custodite e annunciate la fede. Le famiglie cristiane sono famiglie missionarie. Sono missionarie anche nella vita di ogni giorno, facendo le cose di tutti i giorni, mettendo in tutto il sale e il lievito della fede! Conservare la fede in famiglia e mettere il sale e il lievito della fede nelle cose di tutti i giorni. 10) Ascoltate i nonni. I nonni sono la saggezza della famiglia. Sono la saggezza di un popolo. E un popolo che non ascolta i nonni, è un popolo che muore! Ascoltare i nonni! Maria e Giuseppe sono la famiglia santificata dalla presenza di Gesù, che è il compimento di tutte le promesse. Papa Francesco
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Si ricostruisce la scuola missionaria grazie alle offerte della Comunità parrocchiale
Padre Sergio ringrazia
C
arissimi, mi e’ stato comunicato che mi avete gentilmente e generosamente donato 800 euro. Vi ringrazio davvero tantissimo: vi ammetto che ho proprio bisogno di questi soldi. Una delle mie scuolette che è in piedi da più di 20 anni (fatta di terra battuta, frasche e bamboo) era ormai ridotta ad uno schifo. Avevo pensato dunque di ricostruirla ma stavolta in muratura. Niente di eccezionale, 4 mura e un tetto di onduline di latta. Per una pur semplice costruzione
in grado di ospitare due piccole aule scolastiche avevo preparato un budget di circa 2000 euro. Già avevo i soldi mandati dal Gruppo Missionario (1200) e già cominciavo a guardarmi in giro per cercare gli altri 800 euro. E siete arrivati voi. Davvero la Provvidenza esiste. Anzi, vi dico che avevo pure dei dubbi sulla costruzione da intraprendere... ma il fatto che i soldi mi siano arrivati senza cercarli mi ha fatto capire che “la scuola s’ha da fare”. Davvero grazie a voi e a tutti co-
loro che hanno contribuito. Che il Signore vi renda merito. Salutissimi p. Sergio
P.S.: In allegato alcune foto del villaggio dove proprio questa mattina (2-12-13) ho iniziato i lavori di costruzione. Il villaggio si chiama Godaipur ed è costituito da una trentina di famiglie di cosiddetti ex fuoricasta Hindu.
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Padre Sergio Targa, autore di Satkhira, un libro che raccoglie i diari dei Gesuiti nel Bengala
Annunciare Cristo in Bangladesh Una puntualizzazione sulla presenza della chiesa cattolica in quelle terre, nelle sue tre fasi: quella dei portoghesi (15171834), quella dei gesuiti e degli altri missionari (1856-1947), quella contemporanea delle “vie nuove” e tra i “tribali”.
L’
arrivo del cristianesimo in Bengala è lega- to alle imprese commerciali e coloniali dei portoghesi dell’inizio del XVI secolo. Dopo l’inaugurazione della via oceanica verso l’Oriente da parte di Vasco De Gama, inglesi, olandesi e francesi avviarono relazioni com-merciali con l’India. Sembra però che solo i portoghesi si preoccupassero dell’evangelizza-zione. Dal 1534 il processo di cristianizzazione divenne istituzio-
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nale, con la fondazione della diocesi di Goa (India). Ma già dal 1517 i portoghesi visitavano il Bengala per fini commerciali, stabilendo basi nei porti di Chittagong e Satgaon. La prima chiesa del Bengala fu inaugurata dai gesuiti il 1° gennaio 1600 a Iswaripur. I gesuiti prima, i domenicani e gli agostiniani poi, si fecero carico dell’evangelizzazione. Non sappiamo molto circa il numero dei cristiani, ma le fon-
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ti agostiniane riferiscono che nel 1682 la po-polazione cattolica adulta del Bengala contava circa 27mila battezzati, di cui 14.120 nel Bengala orientale. Degna di nota è l’impresa di un bengalese, battezzato con il nome di Antonio Di Rosario, che dal 1670 girò le regioni a nord e sud di Dhaka, convertendo molta gente delle caste basse. Lo sviluppo della missione portoghese, tuttavia, non fu impressionante. Nel giro di due secoli l’influenza
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portoghese sull’India lasciò il passo a quella inglese. Il cambiamento si rifletteva sulla fedeltà religiosa del popolo. Molti erano cristiani solo di nome, poiché restavano legati a pratiche “pagane”. D’altro canto, i nuovi cristiani cantavano inni e recitavano a memoria preghiere in lingua straniera. L’istruzione religiosa era lasciata a catechisti locali, non pa gati, con scarsi risultati. Insomma, in questa prima fase, la gente si convertiva sì al cristianesimo, ma ritornava volentieri all’induismo. I missionari del Pime La seconda fase cominciò nel 1856, con l’arrivo del padre Antonio Marietti del Pontificio istituto missione estere (Pime). Avendo visto che i musulmani e gli indù non erano interessati al cristianesimo, il Pime si rivolse ai Rishi di Jessore e Shimulia e ai Namasudras di Khulna e Sundarbon. I Rishi erano — e sono ancora — di bassa casta, disprezzati per il loro tradizionale lavoro del cuoio e segnati dall’infamante marchio dell’intoccabilità. I missionari del Pime vi rimasero fino al 1927, quando si trasferirono nel Bengala settentrionale, dove le popolazioni tribali promettevano un nuovo e più fertile terreno missionario. La missione del Pime tra i Rishi fu marcata dalla frustrazione. I missionari spesso si lamentavano che i Rishi erano troppo “ipocriti, egoisti e sensuali per accettare veramente il cristianesi mo”. Erano pronti a convertirsi per un pugno di riso, per tornare all’induismo appena esaurite le scorte. A Jessore e Shimulia subentrarono i salesiani fino al 1958, dando importanza alla scuola e specialmente all’istruzione religiosa, senza molti risultati. Pur valorizzando l’approccio spirituale, non conquistarono la fiducia dei Rishi. L’amministratore apostolico, mons. Vincenzo Scuderi, in occasione della sua visita
a Shimulia nel 1937, commentò: “Penso che dobbiamo interessarci alla vita sociale e civile della gente”. Contemporaneamente al Pime e ai salesiani, al sud lavorarono con i Rishi anche i gesuiti (1918-1954), non senza difficoltà. La missione era fragile e soffriva la scarsità di personale missionario. C’erano solo due gesuiti nel vasto territorio di Satkhira-Borodol. Lo zelo dei missionari non era poi sostenuto dalle autorità ecclesiastiche di
Calcutta, piuttosto scettiche sulla missione tra i Rishi. L’annuncio e i bisogni della gente L’attività dei gesuiti rifletteva la teologia del tempo e la realtà della gente. Di solito visitavano i villaggi Rishi, che chiedevano di diventare cristiani. Tali richieste nascondevano normalmente un interesse altro: la gente sperava di risolvere qualche suo grave problema con l’aiuto dei missionari. Ad esempio, nell’aprile 1937, una delegazio-
Le vie nuove I missionari percepirono che solo una condivisione più radicale e un riconoscimento più pieno della vita dei bengalesi potevano aprire la strada a nuove imprese missionarie. Perciò, negli anni Ottanta, i saveriani, succeduti ai salesiani e gesuiti (1952), hanno avviato alcune nuove esperienze, chiamate “vie nuove”. Un tentativo di pensare l’evangelizzazione con progetti di presenza e dialogo con la cultura bengalese. Con coraggio sono stati avviati un Ashram cristiano (un monastero strutturato sulla tradizione indù), due centri di dialogo a Dhaka e a Khulna, una presenza fra i musulmani a Bagachara e una fra i Rishi di Tala-Kampur. Altri si sono impegnati nel servizio ai bambini di strada e in attività di sviluppo sociale. Non era solo un tentativo di bypassare certe strutture parrocchiali, formatesi in quartieri a maggioranza cristiani che potevano benissimo passare alla responsabilità del clero locale, ma un’applicazione della nuova teologia missionaria del Vaticano II. Da una parte si voleva stimolare e sfidare il tradizionale lavoro parrocchiale, dall’altra stabilire un nuovo modello di missione nel quale l’obiettivo primario non fosse la conversione, ma lo sviluppo umano integrale. In verità, la conversione era considerata dalla maggioranza dei missionari come la ratio con cui misurare il successo o meno dell’evangelizzazione. Se la recezione del Vangelo da parte di una cultura in massima parte si basa sulla risonanza del primo nella seconda, ci sono contesti e popoli dove la risonanza è prodotta in una varietà di toni e melodie. Il missionario, infatti, non è l’autore del messaggio che annuncia e non ne controlla il germoglio. Un bengalese potrebbe non riconoscere Gesù come “Figlio di Dio”, ma forse come profeta, guaritore o filosofo. In pratica, anche nel caso di un rifiuto chiaro, il messaggio o parte di esso è informalmente riconosciuto e assimilato. Insomma, un missionario è e sarà sempre un ospite e straniero, portatore di un dono prezioso, la cui natura esige rispetto e gratitudine. (s. t.)
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ne Rishi di Borodol andò in visita dai gesuiti a Calcutta, sostenendo che l’intero villaggio voleva farsi cristiano, poiché oppresso da un zamindar (latifondista) e dalla polizia. La risposta positiva dei gesuiti segnò il secondo inizio della missione di Satkhira, che dal 1930 era praticamente chiusa. Diversamente dagli altri missionari, i gesuiti compresero che i Rishi cercavano sicurezza e protezione. Questo non impedì ai Rishi di tradire la loro nuova religione, a causa di un matrimo-nio illegale oppure di un rifiuto da parte dei missionari di costruire una scuola o di difendere un criminale in tribunale. Ciò spingeva tutto il villaggio, già cristiano, a ritornare all’induismo. Cambiò anche il comportamento dei missionari. Infatti, dal 1937, essi decisero di rimanere sul posto nonostante gli insuccessi. Mentre, fino al 1930, i Rishi che tornavano all’induismo erano abbandonati a se stessi. Si negava loro l’assistenza nel bisogno, giungendo perfino a chiedere un deposito in denaro per garantire la stabilità delle conversioni. Pian piano, dall’idea di conversione come evento puntuale si passò all’idea di conversione come processo graduale.
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La relazione tra missionari e destinatari del Vangelo risultava problematica. I nuovi cristiani a malapena soddisfacevano le attese dei missionari, che sperimentavano una grande frustrazione di fronte a gente poco o niente interessata alla “vera religione”. D’altro canto, i missionari evangelizzavano, senza importarsi delle conseguenze della loro attività. Si sentivano più obbligati a mettere in discussione il comportamento della gente e meno il proprio metodo. Una nuova coscienza della missione cominciò a prendere piede nei missionari soltanto con il Concilio Vaticano II. L’inculturazione del messaggio Sebbene il missionario non abbia il controllo della recezione del messaggio evangelico, può però verificarne la trasmissione e comunicazione. Purtroppo, in Bangladesh oggi il cristianesimo rimane un corpo estraneo, incapace di ricreare la cultura nella quale è stato piantato. Spesso il fascino del messaggio si perde in proposizioni cervellotiche che, sebbene teologicamente perfette, non riescono a guadagnare l’anima bengalese.
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Le nostre celebrazioni sono troppo sofisticate, se paragonate alle esplosioni di gioia del culto induista. La perfezione dogmatica del magistero cattolico non sembra considerare il bisogno di coinvolgimento emotivo della religiosità popolare bengalese. La Chiesa cattolica del Bangladesh è ancora troppo occidentale per esercitare qualche attrazione culturale. Forse la sua gerarchia soffre di un complesso di inferiorità, diversamente dalla Chiesa indiana, e si identifica troppo rapidamente con le tradizioni liturgiche e teologiche occidentali, invece di creare iniziative che possano generare alla vita cristiana dei “nuovi” bengalesi. Per quanto complessa sia la questione dell’inculturazione, si può applicare al Bangladesh ciò che il teologo Jacob Parappally scrive dell’India: “Un discepolo di Cristo può essere consolato dal fatto di sapere che, al di là del rifiuto, c’è un’abbondante recezione di Gesù in India”. Fortunatamente, grazie e nonostante gli sforzi missionari, il messaggio dell’alterità cristiana trova le proprie vie di comunicazione anche in Bangladesh. p. Sergio Targa
Cronaca
Un nostro parrocchiano ripercorre la sua vita attraverso il racconto degli episodi più salienti
Quan’ che ‘ndae a Milà In tempo di crisi è utile ricordare quanto il benessere di cui abbiam goduto era germogliato tanti anni fa in un terreno ben più arido di sostanze, ma ricco di risorse interiori.
“Q
uand’ero bambino, nel periodo in cui frequentavo la scuola elementare, la vita era difficile per tutti a causa delle condizioni economiche disagiate, che ci permettevano a mala pena di sopravvivere. Infatti, ci capitava spesso di prendere “in prestito” qualche frutto colto dai numerosi alberi della nostra campagna, con il solo scopo di lenire i morsi della fame che ci accompagnava quotidianamente. Già da allora imparai a riconoscere la diversa natura delle persone: alcune dotate di grande sensibilità chiudevano un occhio sapendo che il gesto nasceva da un vero bisogno; altre più grette non esitavano a mettere in atto offese e punizioni. Ricordo quella volta in cui fui picchiato per aver sottratto delle rape destinate all’alimentazione del bestiame. In questo contesto, affrontai gli ultimi anni della scuola dell’obbligo e poi iniziai immediatamente a lavorare per poter aiutare in casa “ad andare avanti”. Il lavoro in campagna era, allora, malpagato e, non appena si presentò la possibilità di entrare
nell’edilizia, iniziò la mia storia lavorativa vera e propria, durata più di cinquant’anni . Una vita veramente dura: avevo solo tredici anni e mia madre mi svegliava alle quattro del mattino per andare a prendere il treno a
Chiari in direzione Milano. Inforcavo la bici e, tenendo ben stretto il sacchetto che conteneva il mio pranzo, davo l’avvio ad una giornata tutta di corsa: sì perché, nonostante tutto, l’entusiasmo era alle stelle e la voglia di crescere e di migliorare le proprie condizioni erano immense; questo il vero motore di quel ragazzino gracile ma “tutto nervi”! I primi anni, perfino il viaggio in treno era una sfida non da poco: non avevo diritto alla “tessera di abbonamento” in quanto troppo giovane; soldi non ce n’erano e quindi dovevo arrangiarmi ad arrivare a destinazione senza farmi
beccare dal controllore. Inoltre, mi capitava di dormire sopra il portabagagli perché non c’era posto a sedere. Fortunatamente gli altri viaggiatori mi aiutavano affinché arrivassi a Lambrate senza “sorprese”: si era creato un bel clima di solidarietà tra pendolari, e anche lì persone sensibili dimostravano di capire la situazione offrendomi il proprio sostegno. Dalla stazione al cantiere c’erano quattro chilometri che io ovviamente percorrevo a piedi, anzi di corsa, per arrivare in orario (soldi per poter acquistare il biglietto del filobus, neanche a parlarne!). All’inizio il mio ruolo era quello di manovale al servizio dei muratori più esperti, ma il mio impegno fin da subito si espresse al massimo; il mio compito, tra gli altri, era quello di tenere colmi i secchi di malta mentre i muratori intonacavano o costruivano muri, un lavoro duro per un ragazzino minuto, ma ricordo la grande passione con cui lo svolgevo. In quegli anni la voglia di imparare era molta, ma “il lavoro lo dovevi rubare”: nessuno ti insegnava
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Cronaca
niente, anzi l’errore veniva punito duramente. Per questo motivo, finivo di pranzare prima degli altri e mi esercitavo per conto mio ad usare la cazzuola per impratichirmi e per imparare il mestiere. Il pranzo... sovente non avevo nulla da mettere sotto i denti, perché quel pezzo di pane, portato da casa e custodito gelosamente nel sacchetto, l’avevo già divorato sul treno; fortunatamente c’era sempre qualche buona anima che condivideva il suo altrettanto misero pasto e così si tirava a sera. All’età di diciassette anni, vi fu un inverno in cui mi chiamarono a spalare la neve sui marciapiedi milanesi. Ero a casa per il maltempo e accettai di buon grado perché il lavoro notturno era pagato bene, anche se poi tornavo a casa la mattina completamente fradicio. Andò avanti così per parecchio tempo, ma poi l’impegno cominciò a dare i suoi frutti e il mio operato veniva apprezzato, tant’è che gli impresari mi ricercavano offrendomi compensi sempre maggiori. Oltretutto, in quel periodo si lavorava “senza libri” e quindi era facile cambiare datore di lavoro. Iniziai ben presto un nuovo cantiere in quello che ora è il quartiere “Giambellino”, ma che al nostro arrivo era immerso nella campagna, alla periferia di Milano. Qui facevamo “la settimana” dal lunedì al sabato e dormivamo in una baracca di metallo sparendo completamente sotto la coperta, cercando di sfuggire al freddo pungente e alla compagnia di grossi topi. La mia crescita professionale progrediva speditamente e con essa anche un miglioramento delle condizioni economiche: qualche volta ci capitava di mangiare in una trattoria e, insieme ad un piatto di minestra calda, consumavamo un sacco di panini... quelli non si pagavano!
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Negli anni successivi ormai ero diventato un muratore in gamba e cominciavano ad affidarmi dei lavori a “cottimo”: si lavorava ancora più alacremente e alle quattro del pomeriggio avevo già ultimato un’intera stanza da cima a fondo. Nel contempo, cresceva in me l’amore per la bicicletta e riuscii a intrecciare lavoro e passione allenandomi prima e dopo il cantiere usando la bici come mezzo di trasporto: centinaia di chilometri intervallati da una riposante giornata lavorativa...” D- Sui cantieri d’allora erano garantite le fondamentali norme per la sicurezza del lavoratore? R- La mia storia lavorativa fu ricca di esperienze positive, ma anche di qualche episodio che oggi ricordo con emozione per lo scampato pericolo; infatti, in almeno tre occasioni rischiai realmente di giocarmi la pelle. Un giorno, mentre lavoravo all’ultimo piano di un palazzo, il ponteggio crollò sotto il peso dei materiali e io mi lanciai verso una finestra rimanendo aggrappato al davanzale a venti metri di altezza: ripensandoci, ora son sicuro che insieme ai miei buoni riflessi ci fu la mano di Qualcuno che mi permise di poterlo raccontare. Indubbiamente il tema della sicurezza era pressoché sconosciuto da parte del costruttore, ma noi stessi ci esponevamo a grossi rischi senza porci troppi problemi. Negli ultimi anni “milanesi” guidavo il pulmino e trasportavo il personale: un’ulteriore responsabilità nei confronti della ditta e soprattutto degli operai che dovevo riportare a casa incolumi, nonostante la gravosa stanchezza. D- C’è un episodio che ricordi con allegria? R- Un giorno sentimmo delle voci che gridavano “Celentano! Celentano!”; uscimmo dal cantiere e ci
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trovammo vicini al famoso cantante accompagnato da un gruppo di amici (scoprimmo poi che abitava in quella via): fummo immortalati in una foto che conservo ancora oggi e, a modo nostro, per un attimo facemmo parte anche noi dello storico “Clan”. D- Cosa ne pensi della situazione attuale di crisi soprattutto nell’edilizia? R- Noi iniziammo con grande entusiasmo e tanta voglia di fare per emergere da una situazione disagevole e spesso disperata: ci si voleva riscattare come persone costruendoci pian piano un futuro tutto nostro. Ho l’impressione che questa forza di reagire non sia sempre viva e costante nelle persone che oggi hanno perso il lavoro. D- Che importanza hanno avuto i rapporti con le persone nella tua vita professionale? R- Sin dalle prime esperienze incontrai molte persone che mi diedero una mano disinteressatamente, ed io ricambiai con la stessa moneta, solo per il piacere di farlo. Dall’altra parte ne conobbi altre che non si dimostrarono certamente amiche, ma da tutte imparai qualcosa che mi servì per crescere e per affrontare i piccoli e grandi problemi della vita. È impressionante come la tua storia si sia intrecciata con quella di altri che magari a malapena sei riuscito a conoscere, ma che con i loro gesti possono aver influenzato positivamente o negativamente la tua vita: a distanza di anni ti accorgi dell’importanza di una parola, di un gesto che rimane ancora vivo nella memoria e nel cuore. Marco Piscioli
Cronaca
Introduzione alla Santa Messa Domenica 23-02-2014
71° anniversario di Nicolajewka
I
l nostro Beato Don Carlo Gnocchi ci aiuta a disporci a questa celebrazione con spirito di memoria e di ricordo nei confronti di tutti i Caduti di tutte le guerre. Ed in particolare ai numerosi eroi di Nicolajewka. Nel suo libro - Cristo con gli Alpini Don Carlo scrive: “Nella storia di questa valanga di uomini che cozza undici volte contro la ferrea parete della sua prigionia e la sfonda, è difficile raccogliere episodi individuali. Tutti hanno dato fino all’estenuazione, fino all’eroismo. Dio fu con loro, ma gli uomini furono degni di Dio.” E ancora leggiamo: “Dalla primavera infausta del 1943, dal giorno che, per chiaro miracolo del Signore, approdai, dal fronte russo in tragico sfacelo, all’Italia ignara e rifiorente, ho sempre portato nel cuore, fermi, aperti e
pungenti, gli occhi dei miei morti. E la loro insonne inquietudine ha sempre adombrato la mia pace. Se il tempo riusciva a confondere e sfocare i contorni di quella inenarrabile tragedia, così come, in certi giorni della ritirata, la tormenta annientava il cielo e la terra, gli uomini e le cose, in una nube gelida e spettrale, lo sguardo disperato dei miei morti rimaneva sempre sbarrato sull’anima mia. Come fari spauriti nella nebbia invernale. L’altra sera, in una chiara e fredda sera invernale spazzata dal vento, i miei piccoli, gli orfani dei miei Alpini dormivano nei grandi letti bianchi della casa austera e serena da poco preparata per loro. E nell’oscurità frusciante di innocenti pensieri e di sogni ridenti, tornai a rivedere gli occhi densi e trafiggenti dei miei morti. Lente e stanche le palpebre del sonno scendevano su di essi. Ora,
finalmente, i miei morti riposavano in pace.” Nel segno della beatitudine di Don Carlo Gnocchi, sempre più il nostro Beato, tutti gli Alpini si ritrovano a commemorare i propri e gli altrui morti, convinti che il Signore saprà stendere il bianco sudario della sua misericordia su tutti coloro Caduti nell’adempimento del loro dovere. Attraverso la Croce, gli Alpini hanno esaltato la loro umanità; essa è stata il faro nell’ultimo respiro e sostegno al loro pellegrinare. Nel tuo Tempio, o Signore di tutti gli uomini, ti chiediamo la pace dei giusti per tutti i caduti e dispersi dei fronti di guerra di ogni epoca, affinché il loro riposo sia monito e ragione per il nostro convivere civile.
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Spazio oratorio
L’oratorio una casa che accoglie, coinvolge, accompagna, propone
Settimana educativa dell’Oratorio
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na settimana fatta d’incontri, testimonianze, emozioni e voglia di stare insieme. Stiamo parlando della “Settimana Educativa dell’Oratorio 2014”, svoltasi da lunedì 27 Gennaio a domenica 2 Febbraio. Nella prima serata il saloncino dell’Oratorio ha ospitato un incontro dedicato alla nascita del progetto educativo della struttura stessa. Partendo dal titolo stesso del progetto: “L’oratorio una casa che accoglie, coinvolge, accompagna, propone”, è stato don Angelo Gelmini (curato dal 1997 al 2003) a guidare i presenti in questo percorso. A introdurlo l’attuale curato dell’Oratorio, don Claudio Chiecca: “Il nostro progetto educativo nacque proprio con don Angelo. Nel tempo laici e sacerdoti hanno compiuto un lavoro mirabile, ognuno portando il proprio bagaglio d’esperienza”. È toccato poi a don Angelo ripercorrere quegli anni: “La mia esperienza è stata
arricchita grazie al periodo vissuto qui. Chi prima di me aveva lavorato ha avuto la grande capacità di portare avanti il tutto con grande cuore. Poi trovai delle grandi persone e un grande ambiente, quello del nostro Oratorio. Un ambiente vivo: tutto ciò ha permesso la nascita di un percorso educativo che prosegue con successo”. Mercoledì 29 Gennaio, sempre nel saloncino, spazio al secondo appuntamento: padre Aldino Cazzago ha presentato il libro “Giovanni Paolo II - ama gli altri popoli come il tuo”. “La mia ricerca -ha raccontato padre Cazzago- parte dall’amore per la propria patria di Giovanni Paolo II, la Polonia. Nel testo sono presenti alcune poesie che Wojtyla scrisse quando era vescovo di Cracovia. In queste egli individuò la patria come luogo fondamentale per ogni persona. Allo stesso tempo, grazie a queste si può capire il suo grande desiderio di unità dei popoli. Nella seconda parte, poi, è
presente una riflessione partendo dal celebre discorso che Giovanni Paolo II fece alle Nazioni Unite”. La serata successiva l’ultimo appuntamento al saloncino. “Adolescenti … una risorsa per la comunità” il titolo dell’incontro che ha avuto come relatrice la psicologa Silvia Baresi. Chiuso il capitolo dedicato a incontri e appuntamenti culturali, venerdì 31 alle 20:30 la Cappella dell’Oratorio ha ospitato una messa in memoria di tutti i giovani defunti e dei benefattori dell’Oratorio. Il giorno seguente la commissione di pastorale famigliare si è riunita per una simpatica “pizzata” per le famiglie. Domenica 2 Febbraio, festa della Presentazione al Tempio del Signore (o Candelora), l’ultima giornata della settimana educativa: alle 9:30, nella parrocchiale, la messa di ringraziamento per i collaboratori dela Parrocchia e dell’Oratorio. Dopo la celebrazione, l’Azione cattolica di Castrezzato è scesa in strada con la “Marcia della pace 201”, in collaborazione con i
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catechisti e l’Istituto Comprensivo statale. La partenza è avvenuta da piazza Pavoni; il corteo ha toccato poi via Roma, via Risorgimento e via Torri e per poi terminare all’Oratorio. Grande partecipazione di tutta la comunità: nonostante il cielo grigio e la pioggia caduta nella parte finale della manifestazione sono stati molti quelli che non hanno voluto mancare. Il tema scelto è stato “La pace soffia forte”: proprio a questo proposito tutti i partecipanti hanno effettuato il corteo con una piccola girandola. Da sottolineare, inoltre, come ogni bambino ha decorato a piacere quest’ultima, scrivendo su di essa dei pensieri riguardanti la pace. La scelta del simbolo per questa marcia della pace non è stato casuale: questo rappresenta, infatti, la voglia di gioco e spensieratezza, diritto fondamentale per i bambini e per i ragazzi. Così, nonostante il cielo grigio, il centro storico del paese per qualche minuto è stato colorato da un centinaio di girandole (prodotte con cartoncini con i colori della bandiera della pace, ovvero viola, blu, azzurro, verde, giallo, arancio e rosso). La conclusione è avvenuta al teatro dell’Oratorio. Qui tutti i presenti hanno potuto ascoltare alcune letture proposte dai ragazzi della primaria e della secondaria del paese: tutte avevano come tema centrale quello della pace del mondo. Chiusura della settimana educativa, infine, affidata a “Quelli del Coretto di S. Maria degli Angeli”: i piccoli coristi, al teatro dell’oratorio, hanno proposto il concerto “Ti seguirò dovunque tu vada”. L’esibizione è stata dedicata a S. Chiara, Edith Stein (S. Teresa Benedetta della Croce) e S. Massimiliano Kolbe: durante il concerto sono state proiettate le immagini che si riferiscono alla vita dei tre santi e letti alcuni passi tratti dalle loro opere. A. Facchi
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Alla scoperta di tre grandi Santi insieme al “Coretto di Santa Maria degli Angeli”
La Pace soffia forte Santa Chiara, Padre Kolbe ed Edith Stein: tre personalità di elevato spessore morale e spirituale.
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omenica 2 febbraio, a conclusione del mese della pace e della settimana educativa dell’oratorio, la nostra comunità ha vissuto una giornata contrassegnata da parole e gesti di profondo valore, supportati dalla fiducia che ogni scelta d’amore rappresenti un’occasione di crescita e alimenti barlumi di speranza. Nel corso della mattina, giovani e adulti hanno percorso le vie del nostro paese con girandole di pensieri e desideri, affidati al soffio di quel “vento di pace”, forte e vigoroso, in grado di avvicinare da un capo all’altro il nostro tanto amato, quanto bistrattato mondo. Alcuni bambini hanno portato in corteo le loro pietre d’inciampo, oggetti concreti della memoria del male, sui quali sono state tracciate parole e disegni di bene. L’accogliente teatro dell’oratorio ha ospitato tante persone, bambini e ragazzi, genitori e nonni, sia al mattino, per una riflessione sul valore della Pace (quella con la lettera maiuscola!) attraverso poesie, pensieri, canti e danze, sia il pomeriggio, quando le note e le voci del “coretto di Santa Maria de-
gli Angeli” hanno voluto raccontare ed onorare la memoria di tre grandi Santi: Santa Chiara, Padre Kolbe ed Edith Stein. E lo hanno fatto con tanto impegno e viva dedizione! Come sappiamo, la pace si concretizza attraverso le scelte e le azioni di esseri umani profondamente consapevoli del valore della vita e del rispetto che le è dovuto. E i santi si possono a buon diritto definire “donne e uomini di pace”. Essi agiscono per mezzo della grazia divina, con le mani di Gesù, con la fede di Gesù, con le piaghe di Gesù, con l’amore di Gesù. Un amore vero, intenso, che si manifesta nei confronti del prossimo, di tutti gli uomini, soprattutto di chi soffre, del povero, del misero, di chi è distante da Dio. In Italia, tra i tanti luoghi di Pace, ce n’è uno, in particolare, al quale tutti noi siamo particolarmente
affezionati: Assisi! Chi, tra le mura di questa cittadina, non ha provato un senso di serenità, di quiete, di armonia? Chi non si è lasciato avvolgere dalla luce della tomba benedetta di San Francesco o non ha riflettuto, nella penombra della Porziuncola, sul significato profondo del perdono? Chi, infine, risalendo le pendici del Monte Subasio e inoltrandosi nel bosco di lecci dell’Eremo delle Carceri, non ha sentito quel profumo inebriante di pace che pervade lo spirito? Assisi è un balsamo per l’anima! In questo luogo la grazia ha invaso una ragazza determinata e generosa, Chiara, “pianticella di Francesco”; lei, affascinata dalla testimonianza e dalle parole di Gesù, ha voluto servirlo rinunciando ad ogni bene terreno, vivendo con semplicità e in povertà. Chiara ha appena dodici anni, quando Francesco d’Assisi compie il gesto di spogliarsi di tutti i vestiti per restituirli al padre Bernardone. Conquistata dal suo esempio, sette anni dopo, la sera della domenica delle Palme, fugge da casa e corre alla Porziuncola, dove il santo le fa indossare un saio da penitente
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e le taglia i capelli. All’interno del chiostro di San Damiano Chiara dà vita a una famiglia di claustrali radicalmente povere, immerse nella preghiera per sé e per gli altri, al servizio di tutti, preoccupate per tutti. Chiamate popolarmente “Damianite” e da Francesco “Povere Dame”, saranno per sempre note come “Clarisse”. Chiara vive immersa nel Vangelo, facendo della Parola la sua abitazione. Scopre così gli immensi spazi racchiusi nel suo cuore: Niente è tanto grande scrive - quanto il cuore dell’uomo, perché proprio lì, nell’intimo, abita Dio! Questa scoperta la rende attenta alla realtà circostante: alle compagne con cui vive, alle vicende della città, a quanti si rivolgono a lei, vicini e lontani. Dall’interno del chiostro di San Damiano, Chiara si sente sorella di ogni creatura e presenta tutti a Dio, Datore di ogni bene. Papa Gregorio IX le concede il “privilegio della povertà”, confermato da Innocenzo IV con una solenne bolla del 1253. Prima di morire, Chiara sigillerà la sua vita con un ultimo rendimento di grazie:“Tu, Signore, che mi hai creato, sii benedetto!” La scelta legata alle figure di Padre Kolbe ed Edith Stein, distanti ben sette secoli da Santa Chiara, è nata dal desiderio di comprendere come l’assurdità della guerra e il tremendo mistero del male, che Auschwitz ha incarnato intorno
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alla metà del Novecento, siano stati per loro teatro di redenzione e santificazione. In ogni tempo, nella tragica esperienza del male estremo, si fanno strada, con determinazione e con fede, le voci di chi continua, nonostante tutto, ad amare: ad aprire spiragli di luce, a tracciare vie di generosità, a spalancare porte di speranza. Massimilano Kolbe, ebreo polacco, laureato in filosofia e teologia, appassionato di matematica, fisica e astronomia, è un Francescano. Nel 1917 egli fonda la Milizia dell’Immacolata, un’associazione cattolica finalizzata alla conversione di tutti gli uomini per mezzo di Maria. Pur dovendo fare i conti, per tutta la vita, con la croce della tubercolosi, non perde mai l’ardore di annunciare la buona notizia al mondo, e lo fa in ogni istante e in ogni luogo: nel sanatorio di Zacopane in cui viene ricoverato, a Cracovia dove dà vita al giornale “Il cavaliere dell’immacolata, a Varsavia in cui fonda “Niepokalanow”, la ‘Città di Maria’ (una vera e propria città della stampa), a Nagasaki, dove realizza la “Città di Maria” con un giornale che presto raggiunge le 18 mila copie mensili in lingua giapponese. Ai frati impegnati nell’editoria Kolbe ricorda: Ogni numero del giornale deve essere preparato in ginocchio e pubblicato con la preghiera. Quando ormai la Seconda Guerra Mondiale
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è alle porte, padre Kolbe rifiuta di prendere la cittadinanza tedesca per salvarsi dalle persecuzioni antisemite e, vista l’origine del suo cognome, viene imprigionato. I suoi carcerieri lo maltrattano e gli fanno indossare un abito civile, perché il saio francescano li infastidisce. Il 28 maggio del 1941 viene trasferito nel campo di sterminio di Auschwitz. In quanto sacerdote è destinato ai lavori più umilianti, come il trasporto dei cadaveri al crematorio. Alla fine di luglio, padre Kolbe viene trasferito al Blocco 14, dove i prigionieri sono addetti alla mietitura nei campi. Uno di loro riesce a fuggire e, secondo l’inesorabile legge del campo, dieci prigionieri sono destinati al bunker della morte. Padre Kolbe si offre in cambio di uno dei prescelti, un padre di famiglia, suo compagno di prigionia. Dopo quattordici giorni di agonia, senza acqua né cibo, le SS intervengono con una iniezione di acido fenico; il francescano, martire volontario, tende il braccio dicendo: “Ave Maria”. Sono le sue ultime parole. È il 14 agosto 1941. Molto tempo prima padre Kolbe aveva affermato: “Vorrei essere come polvere, per viaggiare con il vento e raggiungere ogni parte del mondo e predicare la Buona Novella.” Quando i carcerieri nazisti bruciano il suo corpo nel forno crematorio, non sanno di realizzare così la sua più bella profezia. Edith Stein nasce a Breslavia, capitale della Slesia prussiana e a 14 anni abbandona la fede dei padri, divenendo atea. A Gottinga diventa discepola di Edmund Husserl, il fondatore della scuola fenomenologica. Ha fama di brillante filosofa e frequenta gruppi di femministe attive per il diritto di voto alla donne. Il 1917 è un anno chiave per Edith. L’Italia subisce la disfatta di Caporetto, in Russia scoppia la rivoluzione Bolscevica, ma a Fatima la Madonna appare ai pastorelli e,
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come detto prima, proprio in Polonia nasce la Milizia dell’Immacolata di padre Kolbe. Nel novembre del 1917 muore Adolf Reinach, assistente di Husserl, al quale Edith è legata da rapporti di profonda amicizia. Alla vista della moglie di Adolf, una giovane vedova credente, Edith dirà: “ Questo è stato il mio primo incontro con la croce e con la forza divina che trasmette ai suoi portatori ... Fu il momento in cui la mia irreligiosità crollò e Cristo rifulse “. Decisiva per la sua conversione al cattolicesimo è la vita di santa Teresa d’Avila, letta in una notte d’estate del 1921. Edith, che ha cercato a lungo la verità, la trova nel mistero della Croce; scopre che non è un’idea, un concetto, ma una persona, anzi la Persona per eccellenza. Edith, convertita al cattolicesimo, è attratta fin da subito dal Carmelo, un Ordine contemplativo orientato verso la devozione specifica a Maria. Assume, così, il nome di Suor Teresa Benedetta della Croce. Dopo la notte dei cristalli, la sua presenza, in quanto non ariana, al Carmelo di Colonia rappresenta un pericolo per l’intera comunità; fugge, perciò, in Olanda. Ma nel 1942 neppure questo Paese è più sicuro per lei. Il due agosto due agenti della Gestapo bussano al portone del Carmelo di Echt per prelevare suor Stein insieme alla sorella Rosa. Vengono trasferite nel campo di sterminio di Auschwitz- Birkenau. Il nove agosto, con la sorella e altri deportati, suor Teresa varca la soglia della camera a gas, suggellando la propria vita col martirio: non ha ancora compiuto cinquantuno anni. Il sacrificio esemplare di Padre Kolbe e Edith Stein - in uno scenario di odio e atrocità, che rivela, in modo plateale, quanto l’uomo possa allontanarsi da se stesso e da Dio- questo sacrificio rappresenta la speranza della vittoria del bene sul male. Giovanni Paolo II,
nel libro Memoria e identità afferma: “Potrebbe sembrare che il male dei campi di concentramento, della camere a gas, della crudeltà di certi interventi di polizia, infine della guerra totale e dei sistemi basati sulla prepotenza -un male, tra l’altro, che cancellava in modo programmatico la presenza della croce-, potrebbe sembrare, dico, che quel male fosse più potente di ogni bene. Se, tuttavia, guardiamo con occhio più penetrante la storia dei popoli e delle nazioni che hanno attraversato la prova dei sistemi totalitari e delle persecuzioni a causa della fede, scopriremo che proprio lì si è rivelata con chiarezza la presenza vittoriosa della croce di Cristo. […] Non è divenuto forse un segno di vittoria sul male il sacrificio di Massimiliano Kolbe nel campo di sterminio di Auschwitz? E non è stata tale la vicenda di Edith Stein - grande pensatrice della scuola di Husserl - che, bruciata nel forno crematorio di Birkenau, condivise la sorte di molti altri figli e figlie di Israele? E oltre a queste due figure, che si è soliti nominare insieme, quanti altri, in quella storia dolorosa, si stagliano tra i compagni di prigionia per la grandezza della testimonianza resa a Cristo crocifisso e risorto!” In questo mondo in cui fa notizia ciò che è tragicamente disumano, parlare di Santi è un modo per recuperare la vera essenza dell’uo-
mo, non una scelta azzardata e inattuabile, ma concretamente realizzabile a partire dalla rivalutazione di alcuni valori di cui i più piccoli sono privilegiati portavoce: l’affetto, l’ascolto, la gentilezza, l’umiltà, la condivisione, il rispetto. Le bambine, le ragazze, i musicisti e tutti i componenti del “coretto di Santa Maria degli Angeli”, con semplicità e con gioia, hanno narrato scelte di vita (come quella di Santa Chiara che taglia i suoi capelli), hanno pregato con le parole della fede (dall’emozionante Fratello Sole e Sorella Luna di San Francesco, al prorompente Gam Gam del Salmo 23), hanno adorato il Signore con versi d’amore (come le splendide parole del brano Solo tu sei Santo). È stato bello sentire tante voci unite nell’esprimere la gioia di vivere, vedere tanti sorrisi pronti a sbaragliare le perplessità e le diffidenze di noi adulti, percepire il battito di cuori capaci di amare, veramente!
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Il bene della società è legato al bene della famiglia
Famiglia e matrimonio: beni primari
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arissimi, la famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell’istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o addirittura, dubbiose o quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti. Consapevole che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell’umanità, la Chiesa vuole far giungere la sua voce ed offrire il suo aiuto a chi, già conoscendo il valore del matrimonio e della famiglia, cerca di viverlo fedelmente a chi, incerto ed ansioso, è alla ricerca della verità ed a chi è ingiustamente impedito di vivere liberamente il proprio progetto familiare. Sostenendo i primi, illuminando i secondi ed aiutando gli altri, la Chiesa offre il suo servizio ad ogni uomo pensoso dei destini del matrimonio e della famiglia (GeS 52). In particolare essa si rivolge ai giovani, che stanno per iniziare il loro cammino verso il matrimonio e la famiglia, al fine di aprire loro nuovi orizzonti, aiutandoli a scoprire la bellezza e la grandezza della vocazione all’amore e al servizio della vita.
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In un momento storico nel quale la famiglia è oggetto di numerose forze che cercano di distruggerla o comunque di deformarla, la Chiesa, consapevole che il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia (GeS 47), sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, assicurandone la piena vitalità e promozione umana e cristiana, contribuendo così al rinnovamento della società e dello stesso popolo di Dio. Per fare ciò è importante saper “Educare all’Amore e ai Sacramenti”, ad esempio insegnare ai fidanzati che non si sta assieme ma si cammina assieme, che quello che stanno vivendo non è un tempo vuoto ma sacramentale in preparazione al matrimonio (se si arriva immaturi si rischia di fare un buco nell’acqua); non si dovrebbe dire “prepararsi al matrimonio”, sembra un punto di arrivo, ma prepararsi per il cammino del matrimonio che duri nel tempo. L’Amore è un’arte che si impara con l’esercizio, va bene chiedere di essere amati ma bisogna contraccambiare senza essere possessivi; inoltre si deve discernere la fantasia dalla realtà, tra quello che sono le proprie aspettative sull’altro e quello che l’altro è veramente e saperlo prendere ed accettare come è, distinguere quindi tra bene apparente e bene reale, il primo soddisfa solo il proprio piacere il
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secondo aiuta a costruire una famiglia ed una società buona. E’ il Sacramento che rende indissolubile il matrimonio, il problema è farlo comprendere oggi. Tutto ciò che si lega al Cristianesimo è Sacramento noi stessi siamo carne viva di Cristo e quindi Sacramento, la fedeltà è un MUST (dovere) per il cristiano perché Cristo è fedele alla Chiesa. Quindi non bisogna resistere a tutti i costi per far vivere la famiglia e l’amore, ma il saper condividere le gioie e i dolori per far arricchire l’Amore della coppia. Bisogna puntare al massimo come pastorale per ottenere risultati discreti, non bisogna abbassare la montagna ma dare i mezzi agli sposi per salire la cima. Bisogna imparare a valorizzare i separati o i conviventi facendoli sentire parte della Chiesa (non condividere l’errore ma saper capire l’errante non lasciandolo solo). Infine si dovrebbe saper dare una visione della vita non individualista o all’insegna dell’egoismo, ma votarsi alla provvidenza per crescere in simbiosi con ciò che Dio ci chiede, andando verso Lui come già a suo tempo, Lui è venuto verso noi; manca in effetti la consapevolezza di ciò che ci tiene uniti in Dio, i Sacramenti non vanno vissuti solo in quel momento da quelle persone, ma bisogna farli diventare vissuto quotidiano e condivisibile da tutti come Famiglia/Chiesa. La Commissione della Pastorale della Famiglia
Con la Parrocchia
Resoconto della riunione della Commissione della Pastorale della Famiglia
Le relazioni dentro la Famiglia
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opo la pizzata in Famiglia che si è svolta durante la settimana dell’oratorio ed ha ottenuto un buona partecipazione, sabato 22 febbraio ha avuto luogo l’incontro in Oratorio con Padre Sergio di Villa Regia, accompagnato da una splendida coppia di coniugi di Milano: Mariarita e Sandro. Di seguito un breve sunto della serata che aveva come tema: “Le relazioni dentro la Famiglia”. Oggi esiste un’immagine collettiva della famiglia che è molto ri-
stretta. Non è più un progetto di coppia comune per portare avanti la storia familiare ma è l’aspetto della realizzazione personale che prevale. Questo avviene anche nel rapporto genitoriale dove il figlio diventa una proiezione narcisistica del genitore e rappresenta il massimo della realizzazione di se. Quindi io faccio, il figlio, solo quando lo posso fare al meglio, altrimenti non posso farlo! Possiamo dire che, in generale oggi le persone hanno una difficoltà a proiettarsi oltre di sé ed
oltre al presente; sono molto enfatizzati gli aspetti emotivi ed affettivi a discapito degli aspetti di vincolo. Quindi è più importante quello che io provo quello che mi emoziona, momento per momento, piuttosto che fare un progetto a lungo termine. Questo è molto vero per esempio per quanto riguarda il legame di coppia e che si riscontra con la sempre maggior difficoltà a contrarre matrimonio e con l’aumento delle convivenze da parte delle nuove generazioni. L’essere vincolato per sempre
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risulta infatti non conveniente nell’ottica di vivere sull’onda più del sentimento e dell’oggi; “Io adesso sto bene insieme a te, perchè mi devo vincolare per il futuro insieme a te? Finche dura stiamo insieme, poi si vedrà!”……. Definizione di famiglia: elaborato dopo tanti anni di ricerche di studi clinici. Organizzazione che tiene insieme le differenze originarie dell’umano; differenze di genere, di generazioni e di stirpi e che ha come compito specifico il generare. La famiglia è per sua natura insieme di luci ombre un insieme di aspetti più facili e più difficoltosi. Non possiamo pensare che le famiglie che devono essere il cuore ed il motore del cambiamento e del rinnovamento della società, possono essere le famiglie del mulino bianco in cui tutti si danno dei buffetti, si vogliono bene, in cui la mamma prepara la torta tutti i giorni, il papà non torna mai
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stanco oppure appena tornato dal lavoro si mette a giocare con i figli. Queste famiglie infatti non esistono, non sono queste le famiglie migliori, anzi, spesso queste sono le famiglie più pericolose perchè tutti gli aspetti della differenza e le conflittualità li hanno messi sotto il tappeto e quindi non si sa come verranno fuori. Perchè le famiglie funzionino bene è necessario comprendere che nelle famiglie ci sono tanti aspetti di nutrimento e di risorsa ma anche tanti aspetti di differenza che, lungi dall’essere demonizzati, devono semplicemente essere gestiti nel migliore modo possibile per la famiglia, perchè queste differenze, se pur faticose, alimentano questa organizzazione che è la famiglia. Papa Francesco a tal proposito in occasione dell’incontro delle famiglie in pellegrinaggio a Roma il 26 ottobre 2013 ha detto: “Alcune settimane fa, in questa piazza, ho detto che per portare avanti una fa-
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miglia è necessario usare tre parole. Voglio ripeterlo. Tre parole: permesso, grazie, scusa. Tre parole chiave! Chiediamo permesso per non essere invadenti in famiglia. “Posso fare questo? Ti piace che faccia questo?”. Col linguaggio del chiedere permesso. Diciamo grazie, grazie per l’amore! Ma dimmi, quante volte al giorno tu dici grazie a tua moglie, e tu a tuo marito? Quanti giorni passano senza dire questa parola, grazie! E l’ultima: scusa. Tutti sbagliamo e alle volte qualcuno si offende nella famiglia e nel matrimonio, e alcune volte - io dico - volano i piatti, si dicono parole forti, ma sentite questo consiglio: non finire la giornata senza fare la pace. La pace si rifà ogni giorno in famiglia! “Scusatemi”, ecco, e si rincomincia di nuovo. Permesso, grazie, scusa! .....Facciamo queste tre parole in famiglia! Perdonarsi ogni giorno!” Parlando di generazioni, spesso sentiamo parlare di solidarietà tra le generazioni come aspetto cru-
Con la Parrocchia
ciale nella società, sono però solo belle parole se noi non abbiamo uno sguardo intergenerazionale all’interno della famiglia. Infatti la centratura sul singolo, sull’individuo o al massimo sulla relazione genitoriale, ci fa perdere di vista il fatto che in realtà noi siamo anelli di una catena; una catena che è la storia della nostra famiglia. La storia della nostra famiglia, seppur non presente a livello consapevole dentro di noi, in realtà abita la mente in ciascuno di noi. Ad esempio quello che abbiamo vissuto nella relazione con i nostri genitori, rivive in noi nella relazione con i nostri figli in maniera più o meno consapevole. Addirittura lo scambio intergenerazionale non è solo così prossimale, ma avviene anche con storie antiche nella famiglia che hanno ancora ripercussioni sui vissuti famigliari. Quindi questo riconoscersi famiglia dentro una storia, ci deve far prendere coscienza che c’è un legame forte con la nostra famiglia che non si può sciogliere mai, è un legame per sempre. Posso infatti dire, non sono più tuo padre o tuo figlio, ma questo non può essere la realtà vera. Possiamo rielaborare questo legame ma non possiamo cancellarlo. Dunque tutte le persone di una famiglia sono interdipendenti l’una dall’altra e possiamo dire che nella famiglia i destini sono tutti tra di loro incrociati sui fratelli genitori, zii, zio ecc. Le mie scelte si ripercuotono su tutto il tessuto famigliare. Papa Francesco in un altra occasione ha detto: “Ma vi domando: “Voi ascoltate i nonni? Voi aprite il vostro cuore alla memoria che ci danno i nonni? I nonni sono la saggezza della famiglia, sono la saggezza di un popolo. E un popolo che non ascolta i nonni, è un popolo che muore! Ogni famiglia, come quella di Nazareth, è inserita nella storia di un popolo e non può esistere senza le
generazioni precedenti.” La famiglia ha il compito di generare Generare non vuol dire solo dare alla luce un figlio, può voler dire anche procreare, ma vuol dire soprattutto prendersi cura di qualcosa/qualcuno al di fuori di me (un figlio, un vicino, un progetto che sto portando avanti, un lavoro), possono essere tante cose non soltanto una vita, certamente però, in primo luogo una vita. Questo è importante perchè molte famiglie procreano ma non sono generative, non si prendono cura. Non tutte le famiglie sono una risorsa del sociale, ma lo diventano quando in primo luogo diventano una famiglia; quando si fa la scelta generativa fino in fondo, quindi non soltanto mette alla luce ma, si prende cura. Il terzo step della generatività è quello di lasciare andare. Dunque è realmente generativo chi da la vita e poi è capace di lasciarla andare. Chi si sente parte di una storia famigliare e si sente generato è a sua volta capace di lasciar andare chi ha generato. Chi si riconosce parte di una catena capisce che serve lasciar andare l’altro per portare avanti un altro anello. Chi invece pensa che non ci sia nessuno prima di lui, pecca di assolutismo e quindi di falso creazionismo, creo la vita e quindi è tutta mia. Se costruisco la mia
famiglia pensando ad un luogo in cui devo star bene io in cui mi tengo in piedi io non sto portando avanti un vero modello famigliare. Sul versante individualista, alla prova delle ricerche, questo atteggiamento non porta neanche felicità alle persone e benessere individuale. I figli che crescono dentro famiglie individualiste, sono poi persone che hanno più difficoltà ad adattarsi, mentre le persone che crescono in una famiglia non del mulino bianco, ma che nelle difficoltà si riconoscono parte di una storia, e che comprendo di esser parte di una catena in cui io sono un anello, queste persone sono quelle che hanno un livello di benessere individuale maggiore. Ringraziamo tutti quelli che hanno partecipato alla serata, un ringraziamento particolare a Padre Sergio, Mariarita e Sandro per la loro disponibilità e grande capacità nel saper creare l’atmosfera giusta per una serata diversa. La Commissione della Pastorale della Famiglia
Prossimi incontri della Commissione della Pastorale della Famiglia 6 aprile
S. Messa al Santuario della Madonna di Caravaggio alle 15,30 Partenza ore 14,00 dal piazzale dell’Oratorio con mezzi propri
1 maggio Pellegrinaggio al Santuario di Monte Berico (VI) Partenza p.le dell’Oratorio ore 07,15 e rientro in serata (18,00) le iscrizioni si raccoglieranno presso la segreteria dell’Oratorio
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Con la Parrocchia
Il Cristo ligneo collocato nella Chiesa Parrocchiale
Il Cristo della Parrocchiale
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l grande Crocifisso ligneo: dimensioni reali, policromo, di ottima fattura, anatomia sapiente, modellato armonioso... è opera realizzata tra il 1790 e il 1830 c., in area altoatesina o austriaca, scuola pedemontana o d’oltralpe. La zona di provenienza è chiaramente leggibile nei contenuti stilistici che la scultura presenta, nonché per le soluzioni formali di chiara influenza teutonica. Anche l’espressività alta della sofferenza del Cristo ci riporta ad alcuni contenuti teologici tipici della zona geografica citata, e ciò sin dai primordi dell’arte scultorea montana (a partire dal secolo XII e seguenti), in questo caso con gradevoli rimandi all’eleganza formale lombardo-veneta. È manufatto che esce da una bottega e dalle mani di un Maestro di ottima tradizione e sapiente mestiere. L’arte dell’intaglio è sempre stata, nelle valli trentine o austriache, conosciuta e apprezzata sin dalla più remota antichità, così come quella della policromia a
base di colori naturali, uniti a collanti forti e resistenti, stesi su imprimitura “leggera” a base di gesso di Bologna e colla di pesce. Il soggetto, scolpito in blocco compatto di cirmolo, si presenta integro in tutte le sue parti fondamentali, e non ha mai subito integrazioni anatomiche, fatta salva l’originale policromia che, forse perché sporca o ammalorata, è stata coperta (senza essere eliminata) con un secondo e più tardivo
Il Crocifisso viene donato alla Chiesa parrocchiale dall’arciprete Mario Stoppani, in occasione del decennio di parrocchiano e del quarantesimo della sua ordinazione sacerdotale, in memoria dei suoi cari genitori Giuseppe e Cesira. Sarà ufficialmente benedetto e inaugurato la Domenica delle Palme nella Messa delle ore 10.30.
strato di colore. Anche il drappo presenta una doratura in foglia ripresa o parzialmente restaurata. La scultura si presentava priva della croce originale, che è stata riproposta seguendo l’iconografia tradizionale e le dimensioni canoniche. Così come si è studiato un supporto idoneo a conservare in verticale il Cristo, con un sostegno policromo che non fosse né invasivo, né evasivo delle armonie insite nell’opera scultorea stessa. Si è pensato quindi ad un “corpo” ligneo massiccio, mobile, che attinge forme e icona dalla tradizione più genuina e arcaica italiana, ma che rispetta al massimo livello l’originale impianto sacro, senza prevaricarne il “metodo”, e tanto meno diminuirne la drammaticità e i valori formali espressi (si consiglia di lasciare tale “base” spoglia di fronzoli, orpelli e fiori che andrebbero ad alterare l’equilibrio di sobria armonia che esiste tra il supporto e la scultura). Osservato là dove è stato collocato, dentro alla maestosa Parrocchiale di Castrezzato, il Cristo in croce si inserisce e armonizza perfettamente con le atmosfere coloristiche e architettoniche dell’edificio chiesastico, regalando alla zona pre-presbiteriale e all’Arco Santo, valori forti di devozione e fede, insieme ad un notevole arricchimento del patrimonio artistico locale. Prof. G. Mario Andrico
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Con la Parrocchia
Eletti i responsabili per il triennio 2014-2017
Rinnovate le cariche di A. C.
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l 9 Dicembre 2013 si sono svolte le elezioni del nuovo Consiglio Parrocchiale di Azione Cattolica per il nuovo triennio 2014/2017. I nuovi eletti sono di seguito in ordine di responsabilità: presidente Festa Mirta, resp. ACR Premoli Paola, resp. ACG Saronni Simona, resp. Adulti Zerbini Mara. Dopo la preghiera introduttiva il presidente ha tenuto la sua relazione sui progetti da individuare per rendere l’AC viva in Parrocchia,sulle prospettive l’associazione territoriale ha valutato le proposte diocesane e si è interrogata sul proprio modo di accogliere il mandato missionario. Con il programma 2014/2017 intendiamo cominciare a concretizzare le scelte della nostra missionarietà, della spiritualità, della formazione, affinché tutti possano cogliere il volto di un’Azione Cattolica che si rinnova pur restando fedele alla propria storia. L’inizio di questo nuovo triennio è il momento opportuno per fare il punto della situazione delle adesioni non come un fatto puramente burocratico, ma come “Termometro” della qualità della vita associativa a livello parrocchiale e diocesana. Sappiamo bene, infatti, che dietro i numeri ci sono i volti delle persone,dei nostri ragazzi, dei nostri educatori che condividono con noi l’ esperienza associativa. Infatti siamo chiamati a verificare la qualità della vita ordinaria,degli appuntamenti che abbiamo e che offriremo per la formazione dei nostri educatori,dei legami che costruiremo con la nostra comu-
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nità.Non nascondiamo la debolezza di esperienze negative che non vengono percepite come significative,laddove vi siano persone nuove che sono entrate pienamente a far parte dell’AC è necessario una cura particolare affinché proseguano il loro cammino di piena adesione, di impegno, di crescita della responsabilità laicale come ragazzi,giovani e adulti. L’AC ha l’impegno di portare alla luce del Vg attraverso lo strumento associativo, uno strumento ordinario del nostro essere AC, ma che sta diventando sempre meno scontato: il Gruppo. Infatti l’AC non è teoria ma necessità di una vita vissuta, di relazioni, di impegno comune,e questo lo si può sperimentare vivendo momenti di gruppo e di condivisione. In questo ultimo periodo siamo stati chiamati a vivere il percorso assembleare e il rinnovo delle responsabilità associative.Questa assemblea parrocchiale è stata un occasione per rinnovare il proprio impegno di fronte alla comunità e perché no un’occasione per quei “simpatizzanti” che magari hanno già condiviso nel corso di questi anni con noi tratti del cammino,e che in quel cammino possono proseguire con lo stesso impegno fino ad oggi usato, anche se in modo più anonimo,ma pur sempre dimostrando il loro stile laicale di AC. Sappiamo bene che l’AC è uno strumento associativo non fine a se stesso, o a carattere unicamente intrassociativo.Essa, infatti, deve costruire un modo efficace per fare incontrare tante persone
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con il Signore, per aiutarle a porsi al servizio della Chiesa e a crescere in umanità; e a noi che già ne facciamo parte è proprio chiesto un impegno affinché ciò si realizzi nella nostra comunità. In questo nuovo triennio ci siamo proposti di intraprendere un percorso con speciale attenzione stando dentro la realtà che ci porta ogni giorno a leggere e condividere la vita delle persone, con le proprie gioie,le speranze e le fatiche.E’ qui che vogliamo attuare un autentica dimensione di annuncio del Vg che, spesso diviene oggi “primo annuncio” per tutti coloro che camminano con noi. Intendiamo intraprendere questo percorso perché la dimensione di testimonianza di una vita radicalmente ancorata al Vg e, in questo capace di una lettura intelligente,sensibile e rispettosa della vita dell’altro,sia lo stile della nostra evangelizzazione. E’uno stile che vogliamo e possiamo assumere unitariamente,dai ragazzi dell’ACR, AI Giovanissimi, agli adulti (genitori stessi dei nostri ragazzi) ciascuno dentro il proprio contesto, rendendolo presente in tutte le nostre attività perché divenga la cifra del nostro essere cristiani. Affinché le scelte fondamentali prendono forma è necessario mettere in atto anche alcune azioni concrete. Intendiamo rinnovare con forza (e nel limite delle nostre possibilità) le scelte compiute per renderle patrimonio di tutta l’associazione.
Con la Parrocchia
L’annuale celebrazione degi anniversari di matrimonio Domenica 19-01-2014
Deserto, Grazia, Speranza rischiarano la strada
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omenica diciannove gennaio, poco più di una ventina di coppie ha accolto l’invito del parroco ad unirsi nella comunitaria celebrazione dei rispettivi anniversari di matrimonio: erano presenti coniugi con cinquantacinque anni di unione nuziale sacramentale, altri con cinquanta, così pure quaranta, trentacinque, trenta e, gradevole sorpresa, una giovane coppia che insieme a noi tutti ha voluto festeggiare il primo anno del loro matrimonio. Aria di gran festa: volti distesi, saluti cordiali, un clima di calorosa familiarità tra persone che pure non si frequentano ogni giorno, ma che sentono di aver qualcosa in comune, di aver alimentato quel progetto di perseveranza e di fedeltà, oggi ritenuto da molti “una follia”. Il momento decisamente più coinvolgente si è concretizzato nell’atto del rinnovo silenzioso, intimo e personale delle fatidiche promesse nuziali, carico dei propositi allora formulati con l’ardore e l‘entusiasmo della giovinezza. In quel lontano giorno ci è stato chie-
sto: “Siete disposti nella nuova vita del matrimonio ad amarvi l’un l’altro per tutta la vita?”. Speriamo che il nostro “sì” non sia mai stato rinnegato dalla tentazione e dall’egoismo, riuscendo così a dare compimento al mistero del sacramento con il quale il Signore ha scelto di essere presente in mezzo a noi. Le parole del parroco don Mario Stoppani sono calate nel nostro animo con la stessa semplicità e disinvoltura con cui sono state espresse: dense di un grande significato attraverso un codice chiaro ed efficace, frutto - penso - del contatto quotidiano con le complesse problematiche in cui si dibatte la famiglia oggi, costretta a respirare questo clima di fragilità e di relativismo. Anzitutto, ci è stato chiesto di riscoprire il senso profondo della nostra scelta fatta tanti anni fa. Il messaggio ruota attorno a tre parolechiave: deserto, grazia e speranza Deserto: è necessario spegnere tutti i rumori, le distrazioni che ci avvolgono e stordiscono, per rientrare in noi stessi e riattivare il senso primitivo della nostra scelta, andando alle radici, alle mo-
tivazioni che ci avevano spinto ad abbracciare il matrimonio come forma di vita, con quella determinata persona. Grazia: è difficile per la persona umana garantire coerentemente ciò che si è promesso se non sorretti dalla vigilanza divina, dal benevolo sguardo di Dio a cui dobbiamo chiedere di colmare le nostre infinite lacune. Speranza: sorgente da cui dobbiamo lasciarsi illuminare nella gestione della nostra vita familiare, in modo da trasmettere anche ai nostri figli quella luce che può rischiarare il cammino anche in mezzo alle ombre che inevitabilmente arrivano ad offuscare la strada e la mente. È doveroso trasmettere nel concreto del vivere la gioia dello stare insieme, del condividere interagendo per una crescita personale e di coppia. La preghiera conclusiva della celebrazione ci esorta ad un gesto di grande umiltà: “Ci perdoniamo a vicenda se qualcosa ha offuscato la serenità del nostro amore e la pace delle pareti domestiche e chiediamo che la tua grazia ci tenga sempre uniti durante la nostra vita terrena” . Silvana Brianza
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Vita in Parrocchia
Dalla Commissione Liturgica
Le prossime iniziative liturgiche
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unedì 10 febbraio scorso la Commissione Liturgica si è incontrata per esaminare le iniziative liturgiche dei prossimi mesi. Erano presenti undici membri della commissione. Per quanto riguardava la Quaresima si sono confermate le iniziative degli scorsi anni: Via Crucis in chiesa e in Paese; animazione delle messe domenicali; Giornata parrocchiale della Caritas (Ia di Quaresima) e soprattutto le Celebrazioni solenni della Settimana Santa (dal 13 al 20 aprile). Per la Festa dei Patroni, 29 giugno, (che quest’anno cade proprio in domenica) si è previsto il Concer-
Orari prenotazioni Sante Messe e Uffici Lunedì pomeriggio dalle ore 16,00 alle ore 18,30 Martedì mattina dalle ore 9,30 alle ore 12,00 Martedì pomeriggio dalle ore 15,30 alle ore 18,30
to il sabato sera precedente e poi la celebrazione del 60° di ordinazione sacerdotale del nostro concittadino Mons. Osvaldo Mingotti (alle ore 10 del 29 giugno). Nella festa dei Patroni avrà luogo il tradizionale pranzo comunitario in oratorio (domenica 29 giugno, ore 12,30). Le iniziative culturali e festose della Comunità, nonché la presentazione della figura di mons. Osvaldo, saranno fatte conoscere nel prossimo Bollettino che uscirà a metà giugno. Per quanto riguarda il 40° di Ordinazione sacerdotale del nostro Arciprete don Mario Stoppani (1974-2014) e del suo
Per una Missione “Cre-attiva” Da qualche mese il Gruppo Missionario si ritrova con cadenza periodica, ogni mercoledì sera all’oratorio per un Laboratorio Cre-attivo, durante il quale vengono pensati e realizzati del lavori che verranno poi proposti alle bancarelle per raccogliere fondi da destinare ai missionari. C’è chi dipinge e chi ricama, chi cuce e chi confeziona, le proposte sono tante e varie, unico comun denominatore, stare insieme, condividere e scambiare quattro chiacchiere mentre si lavora. Quest’anno poi il Gruppo Missionario si è arricchito di nuovi membri, tra cui alcune ragazze delle scuole medie che hanno portato tanto entusiasmo e allegria. A chiunque abbia un pò di tempo da dedicare o semplicemente voglia di venire per imparare a fare qualcosa con le proprie mani, c’è posto per tutti, noi vi aspettiamo! A presto.
Giovedì mattina
Il Gruppo Missionario
dalle ore 9,30 alle ore 12,00
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Decennio di Parrocchiato (20042014), la celebrazione è prevista per la prima domenica di ottobre (5 ottobre 2014), nella previsione della presenza tra noi della Madonna di Fatima (dal 7 al 13 ottobre). Le Cresime e le Prime Comunioni saranno celebrate quest’anno domenica 16 novembre con la felice presenza dell’Arcivescovo Angelo Vincenzo Zani che già conosciamo. Le Feste di San Luigi quest’anno avranno luogo nei giorni 12, 13 e 14 settembre.
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VIAGGIO A ROMA
CON UDIENZA PAPALE
L’AVIS e l’AIDO , in collaborazione con la PARROCCHIA, organizzano per la prossima estate un viaggio a Roma di tre giorni con udienza papale. PROGRAMMA Domenica 24 agosto 2014 Alle ore 23,00 - partenza davanti alla Casa di Riposo “MAGGI”. Lunedì 25 agosto 2014 Arrivo a Roma in mattinata: colazione e incontro con la Guida turistica e inizio della visita alla città. Mezzogiorno: pranzo libero. Pomeriggio: visita a Roma. Sera: cena in albergo e pernottamento. Martedì 26 agosto 2014 Colazione in albergo. Partenza in pullman e visita a Roma tutta la giornata con pranzo libero. Sera: cena in albergo e (dopo-cena) uscita in pulman Roma By night. Pernottamento in albergo. Mercoledì 27 agosto 2014 Colazione in albergo e poi ci incamminiamo per partecipare all’Udienza di papa Francesco. Rientro per il pranzo in albergo. Dopo pranzo: partenza per Castrezzato. Quota del viaggio € 210,00 (€. 190,00 per i ragazzi dai 4 ai 12 anni) comprendente: 2 giorni con mezza pensione e il pranzo di Mercoledì 27 agosto, tassa di soggiorno, Guida turistica per l’intero viaggio, Servizio pullman “Gran Turismo”, Prenotazione Udienza papale e biglietti tutto compreso (Escluso mance, extra personali, ed eventuali entrate ai Musei). Iscrizione entro il 15 maggio fino ad esaurimento posti presso la Canonica il martedì e il giovedì dalle 9,30 alle 12,00. Oppure presso la Sede AVIS la Domenica dalle ore 10,00 alle 11,30. €. 100,00 per cad. iscritto da versare al momento dell’iscrizione. Il saldo di € 110,00 ( 90,00 per i ragazzi) andrà fatto entro il 15 di agosto. N.B. Portare la Carta dì identità valida.
Vita in Parrocchia
In margine alla storia secolare di Castrezzato
La casa più bella del paese L
a pubblicazione dello splendido volume “Castello e chiese di Castrezzato” ha colmato un vuoto che si protraeva da troppo tempo. Tutti noi castrezzatesi siamo debitori di un grazie riconoscente innanzi tutto all’Arch. Valentino Volta il quale, con la competenza professionale che lo contraddistingue da sempre, ma soprattutto con la rara capacità di leggere e attualizzare i segni del passato e della storia, ci ha fatto un dono da conservare tra le cose preziose delle nostre case. Il grazie va, naturalmente, anche a Mons. Mario, mentore dell’iniziativa, nonché ai generosi sponsor che l’hanno sostenuta. La lettura del volume mi ha personalmente convinto come, nella nostra storia pressoché millenaria, si siano cancellati dalla memoria collettiva termini di luoghi e cose in uso per secoli. Così nessuno più a Castrezzato parla di fossa magna, di recetto, di gazzo, di contrata Fugandini, di Porta di Restel bruciato, oppure di prestinaro, di beccaro (pur se, per i nostri anziani, il macellaio è ancora il bechér) o di aromatario. E allora perché non fare memoria di termini toponomastici forse altrettanto destinati all’oblio, ma non citati dal volume perché legati al nostro dialetto? Attingo per questo alla mia memoria di ragazzo: il riferimento è grosso modo all’inizio degli anni cinquanta del secolo scorso. Chi allora entrava in paese provenendo da Rovato passava accanto al pés. Un esperto di semantica mi dice che probabilmente si tratta di un termine d’origine celtica sinonimo di “passaggio”. Il pés era semplicemente un ponticello sul fosso irriguo che proveniva da S.
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Giuseppe al limitare delle prime abitazioni. Dalla strada polverosa immetteva ai campi coltivati, ma era caratterizzato anche dalla presenza sui bordi del fossato di consumate lastre di pietra sulle quali le donne resentavano la biancheria per stenderla poi alla cura del sole, soprattutto in primavera, dopo averla lavata a casa nei vecchi mastelli di legno con la lisciva, con il sapone fatto in casa con grasso di maiale e potassa, o magari solo con la cenere dei camini, il detersivo dei poveri. Lavoro duro d’altri tempi, prima della scoperta delle moderne, provvidenziali lavatrici. Proseguendo si arrivava al Railì. Il quadrivio un tempo metteva in scena una vera corte dei miracoli, pullulante di negozi, botteghe artigianali e personaggi eclettici, con il baricentro rappresentato dall’osteria della pergolina nonché dalle pompine, triplice fonte di acqua purissima, dissetante e fresca anche nella calura estiva, ma altresì informatissima emittente di radio-scarpa per la diffusione di notizie relative al “si dice”. Oggi di quella realtà sociale non rimane praticamente nulla. Ho manifestato di recente la mia personale soddisfazione a Celeste Venturini per avere ridato un minimo di lustro, con l’apertura del bel negozio di abbigliamento, a quello che da sempre è stato considerato, a torto o a ragione, il più nobile dei cantù del paese, dove sono nato e vissuto. IL “rivellino”, termine che si trova anche nel vocabolario francese (ravelin), spagnolo e portoghese (rebellin) era l’avamposto della porta principale che introduceva in un castello importante. E quello di Castrezzato lo era di diritto. L’Arch. Volta ne parla con competenza nel volume.
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Tra coloro che oggi, dopo il semaforo del railì, curvano a sinistra, sono ancora numerosi quanti affermano di andare verso la stasiù. Il trenino della linea ferroviaria Rovato-Cremona non corre più dal 1956, ma la vecchia stazione ove facevano sosta le littorine degli anni trenta -nonne degli attuali treni dell’alta velocità- evoca ancora ricordi struggenti di viaggi e fantasie. Chi invece prosegue a sud, giunge alle carére. Il termine fa evidente riferimento al passaggio dei carriaggi agricoli trainati dai cavalli, emblema della nostra economia rurale fino al primo dopoguerra e oltre. Lì il paese finiva e iniziava la rotabile diretta alla campagna, termine generico del vocabolario, ma per noi toponimo di una località nella quale si concentravano numerose cascine abitate da decine di famiglie, per la maggior parte poveri salariati mal pagati con tante bocche da sfamare, ricchi solo di una fede profonda e convinta. Oggi in quei casali ristrutturati sono rimasti pochi, valenti imprenditori agricoli, dotati di efficienti macchinari sostitutivi del lavoro di decine di braccianti, mentre la Campagna è conosciuta anche fuori Castrezzato per il noto ristorante di pesce, ritrovo di tanti gourmet provenienti pure da fuori provincia. A nord del pase si percorreva la peschéra. Ne accenna anche Valentino Volta. Dai nostri nonni ho sempre sentito raccontare che il laghetto da cui prende tale nome la via, regno incontrastato di rane e bose e dove forse si poteva anche realmente pescare, fu il residuo della profonda cava ove i volontari del tempo attinsero sassi e ghiaia per la costruzione della nuova chiesa settecentesca, l’attuale parrocchia-
PELLEGRINAGGIO A
MEDJUGORJE
Dal 11 al 17 agosto 2014 Per informazioni rivolgersi a: Gabriella Noli tel 030 71 46 567 Celestina Scalvini tel 030 71 45 29
COSTO COMPLESSIVO
€ 300
,00
Anticipo all’iscrizione € 125,00
É richiesta la Carta di identità (non scaduta e senza timbro). Iscrizioni fino ad esaurimento posti.
Vita in Parrocchia
le. Lasciando la peschéra, via IV Novembre per molti resta la cuntràda dei morcc, termine retaggio dei due cimiteri che si svilupparono intorno alle due antiche chiese medievali prima delle leggi napoleoniche che hanno istituito l’obbligo dell’inumazione fuori dagli abitati. E per i vecchi castrezzatesi il nostro curatissimo camposanto era ed è ancora il campètt. Si arrivava dunque alle due piazze: quella della chiesa, e quella della pesa. La ricordiamo in tanti la vecchia pesa pubblica di fronte alla casa natale di Mons. Angelo Zammarchi e al negozio di frutta e verdura di Felice Pedrinelli, con il relativo casello al centro della piazza. Vi sono passati un’infinità di carri di fieno, di paglia, di granaglie e quant’altro. Dalla piazza si proseguiva per il cablónc, il citato Campo Lungo del volume, lasciando sulla sinistra l’antica porta sud del castello ad arco gotico corrispondente all’attuale passaggio sotto la torre campanaria, denominata Porta S. Antonio. La prosecuzione del Campo Lungo, ora via Cesare Battisti, richiama un’altra tipica località: la casèla. Il ricordo va all’allora avveniristico mulino elettromeccanico della famiglia Tedeschi, che sostituì nel tempo quello più antico alimentato dal movimento della grande ruota, mossa dalla corrente del fosso tutt’ora esistente. Per me la visita a quel complesso apparato di tramogge e pale rotanti per la macina del grano, ove si avvertiva
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intenso il profumo accattivante della farina bianca, rappresentava un vero alimento alla curiosità del conoscere: ha costituito una delle nostre rare visite culturali di scolari della quale conservo precisa memoria. Volta scrive che al Cantù dei Genués sono realmente approdate famiglie provenienti dalla Liguria, e ne ricorda una in particolare: i Gueggio. Ma personalmente amo supporre che anche il cognome Cuneo abbia alimentato la denominazione del cantù. L’unica new entry contemporanea in questo elenco di località, per quanto mi è dato di sapere, è quella relativa alle “case dei puffi”. Vorrei concludere accennando ad un vicolo che, per me, evocava anche una delle storie affascinanti narrate durante i lunghi inverni dalle nonne nel tepore delle stalle, mentre lavoravano pazientemente di ago e filo per rattoppare panni già consunti, e che ha fatto il giro in varie case di Castrezzato: aveva come soggetto le astruse vicende di una fantomatica gamba d’oro, con finale a sorpresa. Erano i tempi nei quali nessuno in paese possedeva il bagno con l’acqua corrente, e per la più elementare delle necessità corporali si ricorreva alle latrine dei löcc, ma chi si trovava in paese per la spesa o altro non poteva ricorrere al caffè dei bar, allora inesistenti. E allora si inoltrava nello stresandèl de le mèrde, l’anti-
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co vicolo Broli, così denominato in quanto due alti muri delimitavano i broli delle avite famiglie Torri e Biloni. Era stretto, dunque solo pedonale, e leggermente ricurvo, per cui poteva assicurare un minimo di privacy per quanti … si trovavano nel bisogno. Tali semplici memorie vorrebbero contribuire a renderci edotti di come Castrezzato, nel giro di due-tre generazioni, abbia mutato completamente i propri connotati. E’ arrivato, abbondante, il benessere, alimentato tra l’altro dal sudore di tanti pendolari, uomini e donne, che ogni giorno sono saliti sul treno da Chiari per Milano o sui pulmini delle squadrette edili. Le nostre case sono oggi tutte belle e dotate di ogni possibile confort. Ringraziamone il Signore. Ma rammentiamo che la casa più bella del paese era e resta la nostra stupenda chiesa parrocchiale, la casa di cui ogni castrezzatese battezzato può di diritto sentirsi comproprietario, pur se non pochi ne disertano la frequentazione. Ci ha accolti per l’ingresso nella comunità dei credenti, nei momenti esaltanti della nostra crescita nella fede, nelle cerimonie di matrimonio e negli anniversari, e ci accoglierà quando consegneremo il testimone di vita a chi verrà dopo di noi. Ritengo che il volercelo rammentare abbia costituito uno degli scopi principali dell’apprezzata, meticolosa ricerca di Valentino VolDon Vittorio ta.
Una processione in Parrocchia durante gli anni ‘80
Vita in Parrocchia
L’amata nipote scrive
Lettera per il compleanno di una nonna speciale
A
nna, la mia nonna... piccola grande donna... poco tempo ho, ma per te ne prendo un po’, per farti il dono più bello che ho, le parole che ti scriverò. Hai un carattere fragile e forte allo stesso tempo, la tua dolcezza mi ha accompagnato, le tue parole quanti consigli mi hanno dato, quando da piccola le tue mani, i miei capelli hanno accarezzato “quanto mi piaceva “ . Hai asciugato i miei pianti di bambina e addolcito i dolori di ragazza, hai sorriso e gioito con me quando sei diventata Nonna Bis. I tuoi capelli sempre cotonati, il tuo vestire sempre ordinato, il tuo amore sempre incondizionato, in questo giorno mi son seduta e ho pensato, che tutto questo mi hai lasciato, e quando penso alla fortuna di averti ancora vicina e poterti chiamare ancora “nonnina” mi sento felice come da bambina e ti starò sempre vicina. Tanti baci e abbracci per i tuoi splendidi 87 anni! Con affetto e amore, grazie tua Lorena
Trova anche tu la pace interiore: è l’augurio di Buona Pasqua per te e per la tua famiglia
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Il canto purifica l’anima - Dalla Corale Don Arturo Moladori
Cantare in coro per pregare Dove cercare un dono pari al tuo canto? Vorrei donarti – e forse non basta – il sibilo del vento che ora si leva, i lidi battuti dal mare, la voce dei fiumi sulle petraie delle valli. (Virgilio, Ecloga V, vv. 81-84)
L
’essere umano ha il privilegio di poter esprimere se stesso e comunicare con gli altri tramite molteplici forme esteticamente elevate ed efficaci. Attraverso l’arte, la letteratura, la recitazione, la danza, la musica, il canto, egli proietta all’esterno di sé la sua concezione del mondo, le idee, i valori, il suo senso estetico, soddisfacendo contemporaneamente il naturale bisogno di relazione e di comunicazione, che gli permette la costruzione e la definizione della sua personalità nel rapporto con gli altri. Così agisce efficacemente nel divenire storico in cui si trova. Tra le forme espressive sopra citate il canto è forse quella che più di ogni altra coinvolge il soggetto agente, che non usa strumenti altri da sé, ma la sua stessa fisicità, cui unisce la sua intenzionalità, nonché l’interpretazione personale di quanto intende veicolare all’ascoltatore. Si realizza così quella speciale alchimia per cui il suono, “uscendo” da chi canta, percorre e usa spazi e mezzi fisici per sollecitare l’emozionalità dell’uditorio, per indirizzare i singoli pensieri ad un’unica idea di bellezza e di armonia. Si canta per amore, per dolore, per gioire, per riflettere, per pregare. Da quest’ultimo punto di vista la dimensione corale del canto costituisce un valore aggiunto. Il cantare in coro ha uno spiccato valore educativo: non si tratta solo di cantare bene (che è già tantis-
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simo), ma di cantare insieme, di mettere se stessi e le proprie peculiarità e capacità al servizio di un unico scopo; si tratta di seguire un direttore, di ascoltare e di ascoltarsi, di comprendere testi, di comunicarne i contenuti con dinamiche sonore, di interpretare e tradurre la volontà espressiva dell’autore, rinnovandola ad ogni esecuzione, che non è mai uguale ad un’altra. Come unico è il timbro vocale di ciascuno, così unico è l’amalgama di un coro, frutto della fusione delle voci di chi lo compone. Meraviglia della polifonia: la realizzazione di una perfetta unione armonica attraverso l’accordo di voci diverse. La Chiesa ha tenuto e tiene in grande considerazione il canto, facendone parte integrante della sua liturgia. Il canto purifica l’anima, … provoca il senso delle cose divine, infonde diletto, toglie ogni melanconia e tranquillizza la coscienza (S. Giovanni Crisostomo, prefazione al Salmo 41). Il coro in ambito liturgico eleva a Dio la lode dei fedeli, rappresenta metaforicamente l’unione della Chiesa pur nella diversità dei suoi carismi, l’armonia delle “voci” dei suoi fedeli. S. Agostino, parlando dei canti religiosi, diceva: Sento che le nostre anime si elevano nella fiamma della pietà con un ardore ed una elevazione maggiore per quelle sante parole, quando sono accompagnate dal canto, e tutti i diversi sentimenti del nostro
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spirito trovano nel canto una loro propria modulazione, che li risveglia in forza di un non so quale occulto, intimo rapporto. La comunità di Castrezzato ha il merito e la fortuna di avere una Schola cantorum che da anni accompagna le celebrazioni, fedele alla dimensione liturgica e all’ambito parrocchiale in cui è nata e cresciuta, e che contemporaneamente cerca di realizzare concerti che, nel tempo, si sono via via caratterizzati come valide proposte culturali rivolte alla comunità. L’impegno del coro, del suo Direttore e del suo Presidente, in questi ultimi anni, è stato quello di proseguire nel percorso di miglioramento tecnico-vocale, ampliando contemporaneamente il repertorio, ma anche di esplorare generi ed ambiti musicali nuovi. Questo non certo per velleitari tentativi di trasformismo, quanto per confrontarsi con ciò che, pur allontanandosi dalla nostra tradizione musicale, attinge comunque dalla medesima matrice cristiana e/o culturale: solo accettando il confronto con ciò che è culturalmente diverso o lontano da noi abbiamo modo di approfondire la nostra identità culturale, musicale, solo cercando di comprendere le interpretazioni e le motivazioni degli altri abbiamo l’opportunità di rinsaldare o chiarire a noi stessi le nostre. Il coro ha avuto così l’opportunità di mettersi alla prova, esercitando
Vita in Parrocchia
la propria vocalità in stili e modi di cantare diversi. Si è dedicato allo studio di opere dei più grandi musicisti classici e moderni: Bach, Vivaldi, Mozart, Charpentier, Saint-Saëns, spaziando dalla polifonia classica alla musica popolare, dallo spiritual al gospel, a brani di autori contemporanei. Infatti in occasione del Natale 2012 e 2013 ha eseguito i “Magnificat” dei compositori contemporanei Christoph Schönherr e John Rutter. Particolarmente significativa per la crescita del coro si è rivelata la sua partecipazione ad importanti manifestazioni ed eventi di carattere religioso e culturale. Nel 2010, in occasione delle celebrazioni per il bicentenario dell’indipendenza dell’Argentina, ha eseguito la Misa Criolla del musicista argentino Ariel Ramirez nella splendida cornice del Teatro Grande di Brescia, nel Duomo di Milano e nel Duomo di Parma. Nel 2012 ha aperto la manifestazione “Patì sotto Ponzio Pilato”, tradizionale appuntamento di concerti quaresimali nell’antica chiesa di Sant’Agata a Brescia, eseguendo il magnifico Stabat Mater di F. J. Haydn. Numerosi infine sono stati gli impegni nell’autunno 2013: in ottobre, il coro ha partecipato alla rassegna corale organizzata dall’USCI (Unione Società Corali Italiane, delegazione di Brescia), tenendo un concerto nella chiesa di “S. Rocco” a Fornaci; in novembre è stato protagonista della commemorazione del decimo anniversario della strage di Nassiriya, presso la parrocchiale di Pisogne; l’8 dicembre ha tenuto un concerto presso la Chiesa di S. Maria Immacolata dei padri Pavoniani a Brescia; il 13 dicembre, con altri due gruppi corali, ha eseguito la Misa Criolla e Navidad nuestra di Ramirez, in una serata musicale organizzata a scopo benefico nella Chiesa di San Giovanni a Brescia. Certamente l’impegno è notevole, soprattutto se si tien conto del
fatto che mesi di prove spesso si “traducono” in un’esecuzione che può rivelarsi ottima o mediocre, tante sono le variabili che possono intervenire in questo meraviglioso esercizio artistico. Spesso, è innegabile, il desiderio di proporre opere di notevole bellezza e valore ha fatto sì che il coro, con una buona dose di sana e meravigliosa incoscienza, si avventurasse in percorsi davvero irti di difficoltà, con risultati comunque apprezzabili; questo però ha anche portato qualche tensione e un po’ di stanchezza, come è naturale e giusto che sia in un ambito “corale”, vivo ed in divenire, dove si realizzano le dinamiche relazionali riscontrabili in ogni gruppo ed entrano inevitabilmente in gioco le vicende personali e i caratteri di ciascuno. E’ evidente che ciò che sostiene chi fa parte di un coro è la passione per il canto; questo termine, oggi abusato e banalizzato, deriva dal greco antico, dal verbo che indica una forte partecipazione emotiva, un’adesione autentica e profonda ad un’attività, un pensiero, un’idea. Come coristi del coro “Don Arturo Moladori” vorremmo trasmettere questa nostra passione, vorremmo che questa avventura di musica e cultura proseguisse, si consolidasse nel tempo, negli anni futuri, perché le giovani generazioni,
oggi così desolatamente distanti da queste realtà, abbiano sotto gli occhi la possibilità, l’opportunità concreta di riavvicinarvisi, riscoprendo in esse il valore del bene e del bello, d’un estetismo elevante, formativo e non fine a se stesso. Perché questo avvenga, è necessario il ricambio, bisogna che il coro si arricchisca di voci nuove per continuare a vivere, di persone che abbiano voglia di mettersi in gioco, di impegnarsi, semplicemente. Pensiamo che la comunità di Castrezzato debba cercare di salvaguardare in ogni modo il suo coro, di sostenerlo nelle forme e nei modi che ciascuno riterrà migliori; ci aspettiamo dunque l’arrivo di nuovi, numerosi coristi, anche da comuni vicini, come è già accaduto. Il coro è aperto a tutti, serve solo essere intonati e aver la buona volontà di partecipare alle prove settimanali, affidandosi alla guida del nostro ottimo direttore, M° Giuseppe Gelmini. Ulteriori notizie si trovano sul sito web del coro “Don Arturo Moladori”: www.corocastrezzato.it Dunque: “Poiché la nostra felicità nel cielo - scrive Paul Claudel - sarà dì cantare tutti insieme, perché non cominciare subito?”
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Maria Elena Bonfiglio
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Calendario liturgico
Calendario liturgico pastorale Aprile 05 V Domenica di Quaresima. Memoria di S. Pietro Martire titolare della nostra chiesa di S. Pietro. 11 Venerdì - Memoria dell’ Addolorata - Ore 9,30 Messa per le spose e le mamme. SETTIMANA SANTA 13 Domenica delle Palme e della Passione del Signore. Inizio delle Sante Quarantore. Programma solito. 14 Lunedì Santo. S. Messe ore 8,00-9,30-20,00. 15 Martedì santo. S. Messe come il Lunedì. Ore 20 (dopo la Messa) Processione eucaristica nel Centro storico del Paese. 16 Mercoledì Santo. Ore 9,30 S. Messa alla Casa di Riposo (“Pasqua dell’Ospite”) Ore 20,30 Liturgia penitenziale per tutti in chiesa parrocchiale. 17 Giovedì Santo. Ore 20,30 S. Messa solenne in Coena Domini e Lavanda dei piedi. 18 Venerdì Santo. Ore 15 Azione litugica in Morte del Signore. Ore 20,30 Processione con il Cristo Morto. 19 Sabato Santo. Ore 20,30 Solenne Veglia Pasquale in Resurrezione del Signore. 20 Pasqua di Risurrezione. Orario festivo Sante Messe. Ore 17,30 Vespri pasquali. 21 Lunedì dell’Angelo (Orario festivo Sante Messe) - Ottava di Pasqua. 22 Martedì dopo Pasqua. Da oggi entra in vigore l’orario estivo delle sante Messe. Feriali: ore 8,00 e 20,00. Festivo e prefestivo (sabato) serale: ore 18,30. 25 S. Marco Evangelista. Festa della Liberazione. Ore 11,00 S. Messa alla chiesa di S. Rocco al Cimitero a suffragio dei Caduti. 27 Domenica II di Pasqua e della Divina Misericordia. Canonizzazione di Papa Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II (in Piazza S. Pietro)
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Maggio 01 S. Giuseppe Lavoratore. Inizio del Mese Mariano in Chiesa. Ore 20,00 S. Rosario e S. Messa. 04 Domenica IV di Pasqua. 11 Domenica IV di Pasqua. Ore 11,00 Messa e Battesimi comunitari. 18 Domenica V di Pasqua 22 Memoria di S. Rita da Cascia. 25 Domenica VI di Pasqua. 26 Memoria di S. Filippo Neri. Festa della B. Vergine di Caravaggio. 27 Festa della Visitazione della B. Vergine Maria. Ore 20,30 S. Rosario e chiusura del Mese di Maria in chiesa parrocchiale con processione interna. 30 Venerdì Inizio della Novena di Pentecoste.
Giugno 01 Domenica - Solennità dell’Ascensione del Signore. Inizio del Mese del S. Cuore. 08 Solennità di Pentecoste. 15 Solennità della S. ma Trinità. 21 Festa liturgica di S. Luigi Gonzaga. 22 Solennità del S.S. Corpo e Sangue di Cristo. 24 Natività di S. Giovanni Battista. Settimana dei Patroni Pietro e Paolo. N.B. Il programma della Festa dei Patroni sarà pubblicato sul prossimo Bollettino che uscirà alla metà di giugno. 27 Memoria liturgica di S. Cirillo di Alessandria. 28 (Sabato) S. Ireneo, vescovo e dottore della Chiesa. Ore 21,00 Concerto dei Patroni (chiesa parrocchiale) 29 Solennità dei Patroni Pietro e Paolo Apostoli. Ore 10,00 Celebrazione del 60° di Ordinazione sacerdotale di mons. Osvaldo Mingotti 30 Memoria liturgica dei Primi Martiri della Chiesa Romana.
Anagrafe parrocchiale
Anagrafe parrocchiale Rinati in Cristo (battesimi)
Nella luce di Cristo (defunti)
Barbareschi Rebecca di Damiano e Bertassi Paola Olivini Greta di Alen e Alghisi Valentina Briola Gaia di Thomas e Rezzola Ileana Ferrari Sofia di Maurizio e Pé Roberta
Platto Celeste di anni 90 Zammarchi Lorenzo di anni 75 Bissolotti Gloria “angioletto chiamata alla gloria del cielo appena nata“ Turra Luigi di anni 87 Bindelli Maria di anni 95 Baroni Benito di anni 78 Lopresto Rosaria di anni 89 Zucchetti Emilia Bruna di anni 71 Machina Pasquale di anni 72 Marconi Andrea di anni 78 Garibotti Marianna di anni 87
Auguri alla Comunità per una Santa Pasqua L a redazione di “Camminiamo Insieme” e i collaboratori tutti, rivolgono ai lettori e alla Comunità parrocchiale i migliori auguri di una Santa Pasqua di Resurrezione Camminiamo insieme
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