n° 33 dicembre 2012 - febbraio 2013
amminiamo insieme C Periodico della ComunitĂ dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato
Sommario
Camminiamo insieme
Periodico della Comunità parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato N. 33 dicembre 2012 - febbraio 2013
Hanno collaborato a questo numero: mons. Mario Stoppani, don Claudio Chiecca, Mons. Vittorio Formenti, p. Lorenzo Agosti, don Pierino Boselli, Catechisti e Animatori dell’Oratorio, Franco Gheza, Adalberto Migliorati, Silvana Brianza, Cosimo Cossu, Maria Antonia Galli, Commissione di Pastorale Familiare. Contributi di: Messaggero di Sant’Antonio, “Quelli del Coretto”, Ufficio liturgico diocesano, Commissione Caritas Zonale, Direzione Radio Cattolica Zonale E.C.Z., Madri Canossiane Segreteria Agostina Cavalli Impaginazione Giuseppe Sisinni
In copertina Dai Corali della Certosa di Pavia (sec. XV-XVI) Antifona gregoriana della Vigilia di Natale La foto di copertina riproduce un foglio del Libro Corale di musica gregoriana per il servizio liturgico della Certosa. Il testo in lingua latina è il seguente “HODIE SCIETIS QUIA VENIET DOMINUS ET SALVABIT NOS ET MANE VIDEBITIS GLORIAM EIUS” (Oggi saprete che il Signore verrà e ci salverà e domani mattina vedrete la sua gloria). Questa antifona gregoriana veniva cantata dai Monaci della Certosa la sera della Vigilia di Natale (Non c’era allora la Messa di Mezzanotte…) Da notare la lettera iniziale (H di hodie) riccamente miniata e decorata. Viene raffigurato l’arrivo di Maria e Giuseppe alla capanna di Betlemme. Dietro gli illustri personaggi si notano l’asino e il bue, tradizionalmente presenti nel presepe. I Libri Corali miniati sono un’espressione altissima e nobile dell’arte. Ogni Abbazia ne contava non pochi per il servizio liturgico. Alcuni famosissimi pittori (come il Beato Angelico) ne hanno miniati di stupendi. (d.M.)
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Lettera del Parroco La vera gioia del Natale è la nascita di Cristo
Speciale Anno della Fede L’Anno della Fede
Con la Diocesi A.A.A. Vocazioni cercasi
Cultura Costantino tra storia e fede
Testimonianze Quando Dio ti chiama
Spazio missioni “Mi querida abuelita”
Divagando sul Natale Cronache dal “Giornale di Betlemme”
Formazione liturgica Il nuovo rito delle Esequie
Spazio oratorio Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi
Con la parrocchia A proposito della radio parrocchiale
Con la parrocchia Cresime e prime Comunioni
Cronaca Concerto di Natale
Lettera del Parroco Perchè l’uomo possa rigenerarsi nello spirito e nelle opere
La vera gioia del Natale è la nascita di Cristo
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arissimi, sarà difficile che il prossimo Natale ci faccia rivivere l’euforia delle strade illuminate e dell’apparato esteriore delle feste natalizie degli altri anni. Il morso della crisi ci spinge a risparmiare su tante cose e quindi anche su tante esteriorità non essenziali. Sarà per questo un Natale meno cristiano? Credo proprio di no, anzi! Per il cristiano la vera gioia del Natale è la nascita di Cristo. La festa annuale di questa nascita ci fa partecipare al grande mistero, in cui il Figlio di Dio fa il suo ingresso nella storia umana, facendosi carne e salvandoci con il suo amore infinito. L’angelo del Signore porta anche a noi il lieto annuncio rivolto a Giuseppe: “Giuseppe, Figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,18-23). Credenti e non credenti, contempliamo innanzi tutto l’esperienza di Dio, che la Vergine Maria ha vissuto, per farla nostra. Guardiamo a Nazareth e poi a Betlemme, dove Maria accoglie l’annuncio del Signore e diviene Madre di Dio. Fin da quei momenti, in Maria, la Chiesa “esalta il frutto più eccelso della redenzione, e in lei contempla con gioia ciò che essa desidera e spera di essere, anzi, ciò che l’intera umanità è chiamata ad essere”. Lontani da Dio, infatti, noi e la
nostra società non andremo lontano. Conosceremo ulteriormente la schiavitù dei nostri idoli e le ricorrenti insidie del paganesimo e avremo paura anche dei nostri passi: della vita, dell’amore, della famiglia, della libertà, del sacrificio, della giustizia e della pace. Ulteriori pesi saranno messi sulle spalle dei poveri e si annebbieranno le speranze di una vera fraternità tra i popoli. Le conquiste del nostro progresso potranno essere anche la nostra babele. L’augurio che rivolgo a tutti è quel-
lo del profeta Isaia (Is. 9,1.5-6) “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Perchè un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Il suo nome sarà Dio potente, principe della pace”. Auguri a tutti di un vero Natale. La pace di Cristo sia nelle nostre case.
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Don Mario
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Con la Chiesa 11 ottobre 2012 - 24 novembre 2013
L’Anno della Fede
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l 25 gennaio 1959, concludendo nella Basilica di San Paolo fuori le Mura la settimana di preghiere per l’unità dei cristiani, il Beato Giovanni XXIII annunciava al mondo la decisione di convocare un nuovo Concilio. La sorpresa tra i presenti fu grande, anche perché inattesa. Eletto da soli tre mesi al pontificato e scelto presumibilmente perché assicurasse alla Chiesa una pausa di transizione dopo il lungo e drammatico pontificato di Pio XII, il nuovo papa aveva maturato da solo la decisione, limitandosi a comunicarla qualche giorno avanti al suo più autorevole collaboratore, il pro-segretario di stato cardinale Tardini. È risaputo che i cardinali presenti all’incontro rimasero quantomeno perplessi, mentre fu enorme l’eco dell’annuncio sia nel cattolicesimo che nelle altre chiese cristiane, come nella stessa opinione pubblica. Si percepì immediatamente la premessa di un rinnovamento da tempo atteso nella Chiesa, nonché l’esigenza di un rapporto nuovo tra la Chiesa stessa e la società contemporanea in rapida evoluzione. Quanto seguì è cronaca consegnata alla storia nei minimi dettagli. Dopo una fase ante-preparatoria degli anni 1959-1960 seguì la fase preparatoria al Concilio fino al 1962, con una complessa struttura comprendente una commissione centrale e dieci commissioni per i diversi ambiti tematici, con la novità che, dopo un primo momento di monopolio curiale, vennero chiamati a collaborare vescovi,
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teologi ed esperti da tutto il mondo, e tuttavia con la convinzione che l’assise avrebbe avuto tempi rapidi, senza tensioni né dibattiti scabrosi. L’inizio ufficiale veniva fissato dal Pontefice per l’11 ottobre 1962, con la prospettiva di un Concilio che superava la dicotomia dottrina-disciplina caratterizzata dal “si quis dixerit... anathema sit”(sia scomunicato) in favore di una pastoralità che dava ai vescovi del mondo la libertà di sentirsi i veri attori dell’assise ecumenica. I lavori entrarono subito nel vivo, e i primi schemi preparati, come quello sulla liturgia e sulla rivelazione, subirono accelerazioni che portarono alla conclusione dei primi documenti. L’anno successivo Giovanni XIII tornava alla casa del Padre, colpito da un male incurabile. Arrivava al soglio pontificio Paolo VI, il quale era stato membro della commissione preparatoria del Concilio, era intervenuto ai lavori del primo periodo e soprattutto,
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commemorando a Milano il Papa da poco scomparso, affermava: “Potremo noi abbandonare una via così magistralmente tracciata da Giovanni XXIII? Si ha ragione di credere di no”. Fu proprio Paolo VI a dare al Concilio un nuovo respiro di rinnovamento, con la Chiesa che si apriva coraggiosamente al dialogo con il mondo contemporaneo, tema, questo, della sua prima enciclica “Ecclesiam suam”. Il Concilio si concludeva l’8 dicembre 1965. Il giorno prima erano stati promulgati gli ultimi decreti e dichiarazioni che mutavano profondamente, e in positivo, la linea di azione pastorale nella Chiesa. Il clima ecclesiale del primo dopoConcilio tuttavia, è risaputo, suscitò nella Chiesa situazioni spirituali, liturgiche e pastorali caratterizzate da tante luci, ma anche da accentuate ombre. Alcuni valori del passato vennero considerati secondari in nome di una malintesa priorità data all’annuncio del Vangelo e all’impegno sociale nel mondo da parte dei cattolici. Tra i valori giudicati “non primari” rapportati all’impegno di “lotta e contemplazione” dei credenti si privilegiò sovente la prima, a discapito del silenzio, del raccoglimento e della preghiera. A fronte della nascita e dello sviluppo di nuove chiese e di fiorenti comunità nei territori di missione, il mondo occidentale ha assistito nei decenni successivi ad un relativismo sempre più accentuato, a luoghi di preghiera sempre più vuoti: il secolarismo è prevalso nelle scelte soprattutto da parte dei giovani, è venuta meno l’uni-
Con la Chiesa tà attorno al nucleo fondamentale della famiglia, anche con il favore della legalizzazione del divorzio, mentre le neuroscienze hanno continuato a porre paletti sempre più audaci all’etica che intende difendere la vita dal suo concepimento e fino alla naturale conclusione. A distanza di mezzo secolo dal Concilio e di vent’anni dalla promulgazione del nuovo Catechismo le Comunità diocesane e parrocchiali oggi fanno dunque un opportuno esame di coscienza: siamo tutti d’accordo nel prendere atto di un certa stanchezza nella pratica esterna del credere, pur determinata da molteplici fattori, storici, antropologici e sociali. In poche parole: è crisi di fede. I credenti sanno tuttavia che tale virtù teologale è un dono, anche se presuppone il coraggio della relativa accettazione. Ne consegue un’etica che la logica del mondo rifiuta. Ma sanno anche che Dio continua a voler bene alla sua Chiesa, e continua a suscitare miracoli di crescita del Regno. Il pontificato del Beato Giovanni Paolo II ne è stato un esempio eclatante.
Benedetto XVI, dopo averci regalato l’enciclica “Deus caritas est”, proprio per rivitalizzare i momenti di grazia del Concilio, al quale egli, da giovane sacerdote, partecipò come “perito” e portatore di istanze di apertura ecclesiologica, ha voluto farci dono di una nuova, coraggiosa iniziativa, dopo avere istituito nel 2010 il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, evidenziando l’esigenza di un rinnovamento dell’annuncio del Vangelo a seguito delle profonde trasformazioni sociali. Con il documento “La porta della fede” ha invitato tutti, credenti e non, con l’iniziativa dell’ “Anno delle Fede” ad approfondire il dono che abbiamo ricevuto in germe nel battesimo. Scrive il Papa: “Oggi si sente l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia e i rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo. La Chiesa e i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio,
verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza”. Si fa quindi portatore di un’istanza che fu già del suo predecessore, il Beato Giovanni Paolo II: “Quest’anno dev’essere visto come una conseguenza ed un’esigenza postconciliare, ben cosciente delle difficoltà del tempo, soprattutto a riguardo della professione della fede e della sua retta interpretazione. Il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri Conciliari non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all’interno della tradizione della Chiesa. Sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino di questo secolo”.
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don Vittorio Formenti
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Con la Chiesa “Dio parla, anche quando tace...” (Benedetto XVI)
Ho perso la fede...
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pesso, al termine di un processo lento e progressivo, si dice, a se stessi e poi agli altri, che si è perduta la fede. Non si crede più in un Dio personale, che parla all’uomo, si pensa che in realtà non esiste, ci si allontana dalla Chiesa e dai suoi insegnamenti, si smette di credere alle grandi affermazioni del Credo: la vita eterna, la resurrezione... Ma è altrettanto frequente che a tormentare sia la questione del male, della sofferenza: «Se Dio esistesse veramente, non permetterebbe tutto questo». Si scivola lentamente dalla fede all’indifferenza, si pensa e si dice: «La religione non fa più per me; non me ne importa, non mi interessa più...» Ho perso la fede... È proprio vero? La fede sarebbe uguale a un oggetto che si può perdere, a un portafoglio, a un mazzo di chiavi?
si rivolge a noi come un amico si rivolge a un amico. Non sempre... E spesso per non credere più ci aggrappiamo a delle buone ragioni...
Che cos’è la fede? La fede si esprime con le abitudini: andare alla messa di mezzanotte, accendere una candela in una chiesa... Ma la fede non è solo questo. È la fiduciosa risposta a un appello, che si esprime in forma di sete, di slancio verso qualcuno, di un superamento di se stessi. La fede è riconoscere il Dio dei vangeli in chi «attira» verso di lui, in chi propone di camminare con lui. La fede è rispondergli con la propria vita. Ma spesso non si crede più che all’origine di questo slancio ci sia Dio. D’altra parte si ha veramente bisogno di un Dio che
Fede e rifiuto... Certi insegnamenti della chiesa sono trasmessi male e provocano l’allontanamento di fedeli che si ribellano o provano imbarazzo. Ad esempio per quel che concerne la sessualità, la contraccezione o l’eutanasia. Di che si impicciano il Papa e i vescovi, senza cercare di comprendere ciò che dicono e perché lo dicono?
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Fede e oscurità... Non è facile riconoscere che Dio parla all’uomo. Come si può capire qualcuno che non si vede, di cui bisogna indovinare la presenza? Sarebbe così semplice se si manifestasse in piena luce! Eppure, spesso, si tratta solo di aguzzare un po’ la vista... Fede e ferite... Chi non è stato prima o poi ferito o sconvolto dal comportamento di un sacerdote, dall’atteggiamento di un cristiano? Certi scandali che recentemente hanno infangato la Chiesa sono riusciti a screditarla. O altri atteggiamenti della Chiesa, nel corso della storia... Anche la Chiesa e i cristiani non sono esenti da debolezze e imperfezioni.
Fede e dubbi... Perdere la fede spesso vuol dire mettere in dubbio, interrogarsi e porre problemi. Si mette in dubbio la veridicità delle Scritture.
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Si può così perdere fiducia nella Chiesa che trasmette il contenuto stesso della fede. La si accusa di averne complicato i contenuti con «dogmi» ai quali ci si rifiuta di credere. Credere però non significa abbandonare la propria ragione, ma piuttosto aderire a verità trasmesse, che danno senso alla vita, lasciando lavorare l’intelligenza. Fede e prove... Molto spesso sono le grandi prove della vita ad allontanare da Dio. La malattia, la sofferenza, la morte di un figlio sono tragedie, soprattutto se abbiamo pregato per la sua guarigione. Come può un Dio buono permettere tutto questo? La questione dell’assurdità della vita si ripresenta allora con forza e ci si allontana con rabbia. Tuttavia, tanti possono testimoniare di aver sentito nel loro grande dolore la tenerezza di Dio. E tuttavia... Lo si vede spesso: facile lasciar morire la propria fede. Perché la fede, che significa anche «fiducia», non è facile da conservare. Tutti i grandi santi parlano dei loro dubbi, della difficoltà di pregare, dello scoraggiamento, delle lotte da sostenere... San Paolo dice che la fede è un «combattimento». E in effetti serve una buona dose di coraggio per conservare la propria fede contro tutto e contro tutti. Ci vuole coraggio per continuare a pregare, rivolgersi a Dio, anche quando è dura e non si prova niente, non si riesce neppure a urlare la propria sofferenza.
Con la Chiesa Talvolta bisogna cercare risposte alle proprie domande, interrogare i testi biblici, incontrare qualcuno che faccia rinascere il gusto di credere. Spesso è per ignoranza o conformismo che la fede si sgretola, ma ciò non vuol dire che non siamo alla ricerca di qualcosa che ci supera. E questo qualcosa spesso può trasformarsi in qualcuno, per chi lo avrà cercato e quel giorno proverà il sapore della vera gioia.
Per saperne di più Gioia di credere, gioia di vivere Francois Varillon, EDB 2001
Dio è amore. Nient’altro. L’onnipotenza di Dio è l’onnipotenza dell’amore: ne ha la forza, ma anche i limiti. Una spiegazione straordinaria della fede cattolica, che risponde a molte obiezioni attuali all’inse. gnamento della Chiesa. Imparare a credere
Testimonanze «Dio diventa insignificante» Papi
«Dimenticavo di pregare» Miss Dominique
«Ebbene sì, l’ho vissuto. Improvvisamente Dio diventa grigio, insulso. Peggio: sembra cancellato dalla nostra vita. Ho tremato all’idea di averlo perso definitivamente. Ho provato un terribile sgomento che mi ha riportato ai ricordi d’infanzia, a tutti i suoi insegnamenti, che improvvisamente non avevano più senso. Sì, ma non ho mai smesso di pregare Maria, ogni sera prima di addormentarmi. Mai. Anche quando annaspavo nell’egoismo e avevo smesso di assistere alla messa della domenica».
«Per tanti anni spesso dimenticavo di pregare seriamente. Poi, un giorno, ho deciso si tornare a messa. È stato terribile! Per molti mesi piangevo come una fontana dietro gli occhiali da sole e usavo un pacchetto di kleenex a ogni celebrazione. Ogni domenica ero sottoposta a una terapia d’urto! Poi ho fatto la conoscenza dei miei vicini, dei mendicanti (sempre gli stessi). Ho cominciato a rilassarmi. E un giorno sono andata a confessarmi per poter fare la comunione. E ho ripreso il ritmo».
«Mantenere la fede, un combattimento» Prodigue
Dio? Bernard Giraudeau
Franco Ardusso, San Paolo 2005
Le ragioni della fede cristiana spiegate in modo semplice e accessibile. Un testo utilissimo per chi cerca risposte serie alle proprie domande. http://www.pj-online.it Sito internet dedicato soprattutto a giovani che vogliano iniziare un cammino di fede ricco e coinvolgente. Ateismo? No grazie. Credere è ragionevole Walter Brandmiiller, LEV 2010
Agile e originale dialogo tra Walter Brand. mtller (sacerdote e illustre storico della Chiesa) e Ingo Langner (giornalista pubblicista e cineasta) su uno dei più dibattuti interrogativi di sempre: Fede o ateismo? Scienza o religione? Dio o non Dio?
«Non so se sto perdendo la fede. A volte mi dico che forse non l’ho mai avuta, che non era abbastanza forte. Conservare la fede, farla crescere, è una battaglia. E, logicamente, nella vita ci sono momenti in cui si lasciano cadere le braccia, ma ho il coraggio di scrivere, forse per convincere me stesso, che Dio non lascerà mai cadere le braccia, qualunque sia il cammino che ciascuno deve percorrere».
Questa «forza», l’attendo e la spero... anche se vivo nel bel mezzo di un enorme punto interrogativo! Sono cosciente della mia pesantezza, mi sento incapace di andarla a cercare, ma mi può venire incontro... E forse è proprio quello che sta facendo, rendendo più acuta in me questa sete di pace. Non ne so niente. La domanda è enorme. Dio? Chi può rispondere con certezza?
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Con la Diocesi Per nuove responsabilità
A.A.A. Vocazioni cercasi In occasione del sinodo diocesano di dicembre, proponiamo una fotografia della Chiesa bresciana che mette in luce alcuni aspetti critici, primo tra questi la drastica diminuzione delle vocazioni, sia maschili che femminili. Dopo aver letto e capito la portata di questi numeri, non possiamo che agire di conseguenza: come laici chiamati a colmare il grande spazio di responsabilità e trasformare questa in corresponsabilità. È un invito ripetuto, non rifiutiamolo.
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e incontro un angelo e un prete, prima saluto il prete! Così diceva il santo curato d’Ars all’inizio dell’Ottocento. Una recente indagine di Franco Garelli constata invece una caduta di popolarità del clero. È un evidente indizio - scrive - della crisi di riconoscimento sociale che coinvolge il ruolo del prete nella modernità avanzata. I dati: un’ipotesi di lettura L’Annuarium Statisticum Ecclesiae fotografa una forte curva discendente delle vocazioni religiose: se nel 1978 i sacerdoti diocesani in
Italia erano 41.627, nel 2006 essi sono scesi a 33.409, circa il 25% in meno. Il calo dei sacerdoti religiosi è stato anche maggiore: dai 21.500 nel 1978 sono passati a circa 13.000 nel 2007, circa il 40% in meno. Il clero in Italia, dunque, ha sempre meno effettivi ed è sempre più anziano. La situazione bresciana non si discosta da quella italiana. Secondo l’Annuario pontificio, nel 2006 la diocesi di Brescia contava 959,680 battezzati, corrispondenti all’87,7% della popolazione residente. Nel 1950 i battezzati erano
L’intraprendenza apostolica dell’800
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ra il 1815 e il 1846 si contano in Francia circa cinquanta nuove fondazioni di congregazioni femminili. Un fenomeno analogo si verifica in Italia. A Brescia la Compagnia delle Dimesse di sant’Orsola fondata da sant’Angela Merici, è diventata il primo istituto di vita consacrata non claustrale riconosciuto dalla Chiesa (1544). Maria Crocifissa Di Rosa fonda le Ancelle della Carità; Lodovico Pavoni fonda la Congregazione dei Figli di S. Maria Immacolata; Annunciata Cocchetti fonda le Dorotee da Cemmo; Vincenza Ge- rosa e Bartolomea Capitanio fondano le Suore della Carità; Luigi Palazzolo fonda le Suore delle Poverelle; Daniele Comboni fonda i Comboniani; Maddalena Girelli restaura la Compagnia di sant’Angela; Giuseppe Tovini fonda la Scuola editrice; Arcangelo Tadini fonda la congregazione delle Suore operaie della santa casa di Nazareth; Geltrude Comensoli si dedica all’istruzione della gioventù femminile, Giovanni Piamarta fonda la Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth.
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il 100%, ma allora mancavano le diverse credenze religiose degli immigrati. Nell’Ottocento il numero di sacerdoti ogni mille battezzati era superiore a tre, ma anche oggi è ancora alto: circa uno ogni mille. In Italia invece la densità dei sacerdoti è più bassa, uno ogni 1.724 abitanti, con un indice pari a 0,58. Gli statistici paragonano questa densità con quella dei dentisti (0,60), degli psicologi (0,66) o dei commercialisti (0,89). Anche se i dati dell’Annuario pontificio sono leggermente diversi da quelli dell’Annuario diocesano, concordano nel prevedere ulteriori contrazioni e invecchiamento del clero. Già oggi l’età media dei sacerdoti è di 60 anni, a fronte dei 50 di età media degli italiani con più di 25 anni. La diminuzione del numero dei religiosi e soprattutto delle religiose è ancora più drastica. Bisogna tuttavia ricordare che i dati sociologici relativi ai preti e ai religiosi non appartengono a una dinamica demografica “normale” e faticano a cogliere gli andamenti storici, culturali e spirituali profondi. Valga un esempio per tutti. II diaconato permanente è un ministero ordinato che il Concilio Vaticano II ha ripristinato di recente. Torna a rivestire una grande importanza nella Chiesa come servizio di corresponsabilità. Dal 1980 il numero dei diaconi si è raddoppiato ogni
Con la Diocesi dieci anni. Il diacono condivide le condizioni di vita di tutti i fedeli. Tra i 52 diaconi attuali alcuni sono lavoratori dipendenti, operai o impiegati, altri svolgono lavoro autonomo o lavoro artigianale, altri appartengono alle libere professioni come nel caso di due medici. Col passare degli anni un terzo dei diaconi è già entrato nella condizione di pensionato e può svolgere la funzione quasi a tempo pieno. La Parrocchia, tesoro pastorale e sociale Dal Concilio di Trento in poi la parrocchia e il clero diocesano sono due realtà che si sono sempre intrecciate e sostenute. La parrocchia italiana - afferma Luca Diotallevi - è la “principale istituzione socio religiosa del panorama nazionale e non è sicuramente in imminente pericolo di sparizione”. La chiesa italiana ha saputo assicurare una presenza capillare sul territorio che costituisce un vero tesoro pastorale e sociale. Sacerdote e parrocchia formano un binomio inscindibile, dice il nostro vescovo Luciano. Il 68% dei sacerdoti opera direttamente nelle 473 parrocchie della diocesi. Un parroco novello, rientrato dalla missione, si è accorto però che in Italia una fetta del proprio tempo (il 35%) viene assorbita da compiti non strettamente pastorali. La diminuzione del numero di sacerdoti invita quindi a ristrutturare l’organizzazione ecclesiastica,
non solo per quanto riguarda la dimensione interna della Chiesa, ma anche del tessuto sociale-parrocchiale, che Garelli rileva essere tuttora molto apprezzato dagli italiani anche non credenti. Non pochi vedono buone possibilità future in una rinnovata combinazione di parroci, laici e associazioni cattoliche. Il carisma femminile e le opere dl carità Alcuni paventano che la diminuzione delle religiose nella Chiesa produca una diminuzione di carisma femminile. La riscoperta del diaconato evidenzia invece una novità significativa: la stragrande maggioranza dei diaconi è sposato (67%). Si immagina che la scelta del diaconato sia stata condivisa e allora, nelle statistiche, si dovrebbero contare anche le mogli. In questo caso il carisma femminile viene coinvolto. A proposito di matrimonio, don Gabriele Filippini ricorda con un aneddoto che i sacramenti non sono cinque, non si fermano all’Ordine. Quando Federico Ozanam non ha seguito l’auspicio di S. Francesco de Paoli di farsi prete c’è stato un sacerdote in meno, ma un laico sposato in più. La sua interpretazione del sacramento del matrimonio non è stata meno efficace di un’altra interpretazione dell’ordine. Le tavole dei dati ancora non Io registrano, ma alcune comunità parrocchiali affidano già la preparazione al battesimo alla responsabilità di altre
Densità del clero bresciano dal 1975 al 2010 Anni 1950 1970 1990 2000 2010
Totale sacerdoti 980 1.004 973 915 860
Popolazione 858.243 957.686 1.044.544 1.108.776 1.256.025
Densità del clero 1,14 1,04 0,93 0,82 0,68
Diaconi permanenti
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famiglie, uomini e donne sposati. Altri paventano che la diminuzione del clero e dei religiosi faccia diminuire i servizi assistenziali, educativi, scolastici, sanitari, oltre a quelli più specificamente parrocchiali. Effettivamente i preti, le suore e i religiosi che nel 1970 operavano in parrocchia, negli ospedali, nelle scuole materne, nelle opere di assistenza agli orfani, ai sordomuti, ecc. erano molti, avevano raggiunto il ragguardevole numero di 7.427. La contrazione è stata di 4.721 persone, meno 64%. Bisogna però ricordare che molti Istituti religiosi femminili e maschili sono nati per esercitare la virtù della carità durante le pestilenze, durante le guerre o semplicemente per istruire e assistere i poveri in assenza di responsabilità pubblica. I servizi sociali, sanitari, educativi della comunità cristiana dell’Ottocento sono diventati diritti esigibili da parte dei cittadini dello Stato moderno. La lunga esperienza di Stato sociale che abbiamo alle spalle ha sicuramente influito sulla cultura della responsabilità e molte vocazioni hanno preso la strada dei servizi istituzionali (di carità). E un’ipotesi che i sociologi dovrebbero approfondire perché il calo delle religiose e dei religiosi ha
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Con la Diocesi anticipato di almeno 10 anni quello del clero diocesano e sembra correlato con l’affermarsi del principio universalistico della riforma sanitaria. Il sistema della sanità e dei servizi sociali è riconosciuto in Italia come un modello “integrato” (legge n. 267 del 2000). In una recente relazione alla Cei, il cardinal Bagnasco ha potuto citare ancora 420.000 operatori della Chiesa italiana impegnati in 14.000 servizi sociali e sanitari. La composizione dei soggetti accreditati che erogano i servizi “integrati” continuerà a cambiare (aumentando o diminuendo il contributo dei soggetti ecclesiastici civilmente riconosciuti). È importante che lo Stato conservi la responsabilità pubblica dei servizi sociali e la Chiesa aiuti ad alimentare le motivazioni ideali di una società solidale. Intanto il travaglio è notevole. Quando le suore si ritiravano dalle scuole materne i genitori chiedevano: chi farà dire le preghiere ai bambini? Nelle 270 scuole materne paritarie l’educazione religiosa è svolta da migliaia di ragazze e mamme diplomate che hanno la vocazione per questo lavoro. Altre migliaia hanno la vocazione di servire gli ammalati negli ospedali. Altre migliaia ancora hanno la vocazione di lavorare in una cooperativa sociale per l’integrazione dei disabili. Non è un saldo positivo?
Le tavole dei dati certificano un altro aspetto delicato, la diminuzione delle case o delle comunità religiose: meno 294 sul versante delle religiose e meno 6 sul versante dei religiosi (ma i dati qui coprono un periodo più ristretto). Si tratta a volte di patrimoni fisici, di edifici, di immobili. Ritorna il problema delle autonomie giurisdizionali, ma il sinodo diocesano potrebbe fornire un orientamento alla luce della povertà evangelica e degli strumenti necessari per l’evangelizzazione.
Andamento della presenza di religiose e religiosi nella diocesi Anni 1970 1982 1990 2000 2010 19702010
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Religiose 5.300 3.208 2.749 2.344 1.145 -3.437 (-70%)
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Comunità 486 410 338 237 192 -294 (-61%)
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Religiosi 383 314 286 250 -179 (-42%)
Comunità 45 39 -6 (-13%)
L’essenziale Oltre all’aspetto quantitativo c’è soprattutto l’aspetto culturale, pastorale e teologico. É vero, il 40% dei sacerdoti in uscita non viene sostituito, l’anzianità media di servizio è elevata (supera i 33 anni), ma già altre Chiese locali funzionano con un rapporto clero/residenti molto più basso del nostro e nella società in genere si assiste a una maggiore efficienza con un minor numero di persone. L’indagine di Garelli rileva purtroppo che il 45,2% della popolazione è ormai convinto di poter fare a meno dei preti e delle figure religiose nel proprio rapporto con Dio e questa idea è diffusa anche tra i molti italiani che continuano a dichiararsi cattolici (39,1%). Per ampie quote di popolazione il prete è più un operatore di servizi religiosi che una figura di riferimento spirituale o morale. Di qui la scarsa propensione a instaurare con un sacerdote o con un religioso/religiosa un rapporto di confronto e di arricchimento sui temi personali e spirituali. Sono quasi più frequentati i parlatori dei monasteri di clausura. Alcuni ruoli tradizionali del clero non sono più ritenuti specifici del sacerdote e tanti laici, uomini e donne, collaborano nella liturgia, nella catechesi e nella carità. Migliaia sono i lettori, i catechisti, i ministri straordinari dell’eucarestia, gli animatori degli oratori. Don Enzo Gianmancheri, ricordando don Fossati, sostiene che la specificità del prete non risieda nel sacro, nel morale, nell’ascetico, nello spirituale, ma nel “santo”. E riassume la santità nel gesto finale del ladrone sulla croce: “Ricordati di me quando sarai nel tuo regno”. La santità - concludeva - è il credere in Cristo, prendere sul serio la sua parola, seguirla contro ogni speranza; è la fede e la carità. Franco Gheza
Con la Diocesi Occhi aperti e più fede
Meno tonache
“P
adre, ci mandi un prete. La prego” La ragazzina, dall’inconfondibile profilo andino, aveva affiancato mons. Foresti e lo guardava dolce e ferma. Nell’aeroporto di Quito, in Ecuador, aveva compreso dalle parole di chi lo accompagnava che quello era un vescovo, il vescovo di Brescia, venuto nella sua terra per vedere dove operavano i sacerdoti mandati dentro un progetto missionario. Uno che, ai suoi occhi, poteva. Mons. Foresti, con un sorriso aperto e sorpreso, guardava la bimba e chi lo accompagnava: mons. Franceschetti, mons. Bonfadini, don Voltolini, un sacerdote del posto, il sottoscritto. La fanciulla tornò alla carica: “Ci faccia un dono grande: mandi un prete da noi”. Le dissero che avrebbero provato ad accontentarla. Sono passati trent’anni e ora siamo noi - meglio, alcuni di noi a chiedere di avere un prete. Cosa, per altro, preventivata nelle conversazioni che hanno attraversato il lungo passaggio intercorso. Vuoi per affermare che la generosità missionaria gettava un seme che avrebbe avuto un ritorno di gratuità di sostegno, vuoi per sollecitare la preparazione a un nostro tempo scandito da una Chiesa ristretta nel corpo dei fedeli e dei pastori. Così non stupisce che oggi accada. Come quella ragazzina proviamo a chiedere la carità del sostegno di un prete. Senza pensare che siamo all’anno zero. Senza temere che tutto stia per crollare. Senza supporre che tocchi solo alla Prov-
videnza provvedere e noi si possa stare in intelligente vacanza. Confortano gli studi, le statistiche, i progetti: sono i segni di una consapevolezza intellettuale e di una volontà operativa. Conoscere, capire, agire. Inevitabile la conta delle energie disponibili: se non ci sono le munizioni è un poco problematico ipotizzare guerre; se mancano i soldati è difficile puntare sul controllo dei territorio. In carenza delle une e degli altri vanno definite le priorità irrinunciabili. Quali i cammini di pace che non camuffino male ignobili rese, ma esprimano conquiste preziose? Totalmente condivisibile quanto ripete appassionatamente mons. Monari: la fede animi la vita di persone e comunità, oppure il rischio incombente è che la vita espella la fede dai suoi percorsi. Se tutto servisse, come in un grande sondaggio, a formulare la risposta gradita nel tempo breve, o anche nella stagione che si rinnova, potrebbe non solo essere improduttivo, piuttosto controproducente, nocivo. La personalissima opinione è che vada ascoltata la domanda di un prete. Non di un intellettuale, un sindacalista, un imprenditore, un intrattenitore, un governatore, un assemblatore o quanto altro può servirci nella contingenza temporale. Un prete, un uomo che viva la fede, ne sia testimone e ne diventi guida e maestro credibile. Poi il prete può essere l’una o l’altra o una sintesi di più di quelle figure. Il nocciolo? Che sia uomo di fede vissuta, che rappresenti - pur con tutti i limiti
di peccato personale - la possibilità che la fede sia vita e vita gioiosa. Vita di speranza, anche quando la tragedia sembra adombrare la lontananza di Dio - perché mi hai abbandonato? - e invece, proprio allora, accade che le orme lasciate dal nostro cammino sulla sabbia diminuiscano perché è Lui a caricarci sulle sue spalle e portarci avanti, mentre noi non sappiamo come e perché camminare. Si apre un grande spazio di responsabilità per i laici? No, non si apre ora. C’è da tanto. Diciamocelo: non abbiamo avuto il coraggio cristiano di assumerlo, pensando di poterci nascondere dietro le tonache di vescovi e preti. Fingendo di non vedere: quelle tonache non c’erano più e il tempo della nostra responsabilità di testimoni nella storia corre e ci condanna. Ma c’è il perdono, per chi si converte.
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Adalberto Migliorati
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Cultura A Palazzo Reale di Milano, dal 25 ottobre 2012 al 17 marzo 2013 una mostra celebra l’anniversario del famoso Editto
Costantino tra storia e fede
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13 d.C., Editto di Costantino»: magari come reminiscenza scolastica, come eco di lontani studi, il dato è rimasto impresso nella memoria di tanti. Oltre a questo, però, la memoria restituisce poco altro. Ma una mostra a Palazzo Reale di Milano, che resterà aperta fino a marzo 2013, viene in aiuto spiegando molto di più su Costantino e sul suo tempo. La mostra, intitolata appunto «Costantino 313 d.C.», curata da Gemma Sena Chiesa e Paolo Biscottini, promossa e prodotta da Museo Diocesano, Electa, Comune di Milano e Palazzo Reale, avrà un successivo allestimento a Roma, nelle sedi del Colosseo e del la Curia Iulia (dal 27 marzo al 15 settembre 2013). L’esposizione inaugura una serie di eventi previsti per celebrare il XVII centenario dell’Editto di Milano (l’«Anno costantiniano» inizierà ufficialmente il 6 dicembre 2012). L’idea della mostra è nata tre anni fa nella sede
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del Museo Diocesano di Milano. «Abbiamo pensato — spiega la professoressa Sena Chiesa, docente di archeologia classica — che fosse doveroso riflettere sul 313 d.C. e su Milano, dove è avvenuto un grande cambiamento riguardo alla libertà religiosa e al cristianesimo che, da quel momento, è diventato anche religione imperiale. Costantino ha portato il cristianesimo al centro dell’impero e ha permesso che la Chiesa si espandesse». Ma torniamo al famoso testo che si ricorda anche come «Editto di Milano» o «Editto di tolleranza». Costantino Augusto, allora imperatore romano d’Occidente, e Licinio Augusto, suo omologo d’Oriente, convenuti a Milano, sancirono di fatto la libertà di culto per i cristiani e per i fedeli di qualsiasi altra religione. Il testo, che nell’originale è in latino, recita: «Noi dunque, Costantino Augusto e Licinio Augusto abbiamo risolto
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di accordare ai cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità». L’Editto, che sarebbe più propriamente da definirsi un «rescritto», perché confermava un precedente «editto di tolleranza religiosa» dell’imperatore Galerio (311 d.C.), dava tutta una serie di indicazioni e stabiliva anche che i beni confiscati ai cristiani dovessero essere loro restituiti. Un documento, quindi, che, dopo secoli di persecuzioni, veniva a inaugurare una nuova stagione di «tolleranza». Costantino ed Elena Costantino fu un personaggio storico complesso, le biografie su di lui mescolano storia e leggenda. Fu protagonista di una riorganizzazione dell’impero romano, che egli governò dal 306 d.C., ma solo dal 324 d.C. come unico imperatore. «La vita di Costantino — continua Sena Chiesa — è interessante e affascinante; è un uomo dell’Europa: è nato nell’Europa orientale, è diventato imperatore a York, in Bretagna, una sua capitale è stata Treviri, in Germania, poi ha soggiornato spesso a Milano e a Roma. Alla fine della sua vita ha costruito una nuova capitale, Costantinopoli, nella parte più orientale dell’impero, sul luogo dell’antica Bisanzio». Fu un uomo di fede? «La sua conversione — continua Gemma Sena Chiesa — è raccontata da molti scrittori che ci
Cultura riferiscono della visione di Costantino: in occasione della battaglia di Ponte Milvio (312 d.C.) avrebbe sognato una croce e udito una voce che gli diceva che con quel segno avrebbe sconfitto Massenzio (In hoc signo vinces). Costantino mise il Chrismon, (X e P, le due lettere iniziali, greche, della parola «Cristo») su tutti gli scudi dei suoi soldati e su un labaro (vessillo ndr) che teneva sempre con sé. Questo starebbe a indicare il suo avvicinamento al cristianesimo, anche se egli si fece battezzare solo in punto di morte». Una parte importante della mostra è dedicata alla madre di Costantino. Su di lei le fonti storiche sono spesso contraddittorie. Probabilmente di modeste origini sociali, Elena ebbe il figlio Costantino dall’imperatore Costanzo Cloro. Ripudiata da quest’ultimo, visse lontana dalla corte, ma fu proprio il figlio a riabilitarla e a onorarla del titolo di Augusta. Anche lei si convertì al cristianesimo ed è venerata, in Oriente, come sant’Elena imperatrice. Restò umile e fece del bene, si recò in pellegrinaggio
in Terra Santa dove ritrovò la croce e i chiodi usati nella crocifissione di Cristo, secondo una leggenda che conobbe molte versioni, tra cui quella della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (XIII sec.) mirabilmente rappresentata da Piero della Francesca nella chiesa di San Francesco ad Arezzo. «Abbiamo messo l’accento su Elena — continua la professoressa Sena Chiesa —, perché è una figura femminile straordinaria che rappresenta il potere, ma anche la santità. Una donna moderna che ebbe un ruolo importante nella diffusione del cristianesimo. A Roma fece costruire cattedrali e, in età avanzata, andò a Gerusalemme, dove, per incarico del figlio, fece iniziare la costruzione delle grandi Basiliche sul luogo della Natività e della Risurrezione. Sant’Ambrogio parla di questa donna e la loda perché si comportò da ottima cristiana». E curioso il fatto che anche Elena venga invocata per trovare gli oggetti smarriti, proprio come sant’Antonio. Laura Pisanello Messaggero di Sant’Antonio
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Testimonianze Testimonianza di una nostra parrocchiana entrata da poco a far parte della chiesa cattolica
Quando Dio ti chiama
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uando si parla di Chiesa Cattolica, ai nostri giorni, si ha l’immagine di una fuga, di un allontanamento più o meno esplicito da parte di chi intende proclamare altre professioni di fede oppure rimanere in una sorta di “ limbo”, tra agnosticismo ed ateismo. Tuttavia si possono verificare situazioni del tutto opposte di chi esprime la volontà di entrare a far parte del corpo della nostra Chiesa, in piena consapevolezza , dopo una preparazione adeguata circa i fondamenti del nostro credo. Anche nella nostra piccola comunità parrocchiale si sta verificando un certo avvicinamento alla Religione, e lo si può notare nel numero sempre più crescente di adulti
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che chiedono di entrare a pieno titolo nella famiglia dei credenti in Cristo, attraverso l’assunzione di alcuni sacramenti, che non sono stati accolti in passato per motivi del tutto personali, e che ora diventano importanti per la loro vita. Frequentemente viene richiesto il sacramento della “Confermazione”, ossia la Cresima (in cui vengono confermate le promesse battesimali rafforzando l’appartenenza a Cristo e alla Chiesa) non ricevuta in età adolescenziale; raramente anche il Battesimo, fondamento della vita cristiana, con cui si accede alla realtà della Chiesa. Ecco di seguito la testimonianza di una giovane donna della nostra parrocchia che da adulta ha rice-
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vuto il Battesimo abbracciando la nostra religione. D- A quanti anni sei entrata a far parte della Chiesa cattolica? R- Avevo trenta due anni, nel 2009 . D- Quale religione professavi prima di questa scelta? R- Non essendo stata battezzata, nessuna. Tuttavia bisogna precisare che con questa mia scelta ho reso ufficiale una opzione che intimamente avevo già fatto, avendo avuto radici profondamente cattoliche: infatti, i miei nonni materni erano convinti praticanti della nostra religione. In seguito per motivi estremamente personali, mia mamma decise di non farmi ricevere il sacramento del Battesi-
Testimonianze mo, anche per una sorta di “delusione” nei confronti di particolari atteggiamenti di chiusura, espressi da parte di alcuni componenti del clero della mia nazione. D- Chi ti parlava di Cristo e del Vangelo, quando eri piccola? R- Fortunatamente, dovendo i miei genitori lavorare, io trascorrevo le vacanze estive dalla nonna materna che spesso mi parlava della sua giovinezza, quando studiava presso le suore, e in tal modo mi introduceva nel mondo della religione con la narrazione delle celebrazioni festive. Devo riconoscere che i miei genitori non interferirono negativamente su questa mia sensibilità che si sviluppava in termini di spiritualità; infatti, non mi impedirono di trovare le risposte a certe richieste stimolate dalla formazione che andavo ricevendo dalla nonna. Ricordo che la mamma stessa mi accompagnava a visitare le chiese della mia città, avendo io in precedenza già apprezzato questa esperienza con la nonna che abitava proprio vicino al Duomo. D- Quali sono state le motivazioni che ti hanno invogliato a prendere questa decisione? R- All’età di nove anni, ricevetti dalla nonna un libricino tutto bianco con sulla copertina l’effigie della Madonna, un libricino di preghiere e di riflessioni che mi accompagnò da piccola e inesperta lettrice e che ancora oggi conservo. Vi lessi il “Padre nostro” ed altre invocazioni che memorizzavo, senza comprenderne a pieno il significato. Intanto cresceva in me il bisogno di capire e di vivere ciò che gradatamente entrava a comporre la mia spiritualità. Ricordo il giorno in cui, sentendomi per nulla compresa dagli adulti (genitori e insegnanti), adolescente in crisi, decisi di non andare al Liceo per quella mattinata gelida; mi infilai
dentro una chiesa e là rimasi per ore affidandomi a Colui che sicuramente era in grado di capirmi e di concedermi la pace desiderata. Io sono convinta che sia stato Dio a chiamarmi con la sua forza coinvolgente. D- Quale percorso di formazione hai seguito? R- Da adulta, presa la decisione, ho frequentato un corso a Brescia della durata di due anni, in cui ho appreso i fondamenti della nostra religione; inoltre sono stata seguita da una parrocchiana per un certo periodo di tempo in modo da verificare in concreto cosa significasse essere dei cristiani. Alla fine sono stata battezzata nel Duomo di Brescia, durante la veglia pasquale, dal vescovo Luciano Monari, che mi ha amministrato pure il sacramento della Confermazione. D- Come hanno accolto la tua decisione i tuoi parenti? R- Positivamente, proprio perché rispettosi della mia persona. D- Come è cambiata concretamente la tua vita, successivamente a questo evento? R- Anzitutto posso accedere ai sacramenti, soprattutto all’Eucarestia con cui entro in contatto diretto con Cristo. Partecipare alla S. Messa è un’esperienza per me sempre nuova e coinvolgente. D- Quale principio o verità di fede della religione cattolica ti ha maggiormente interessato e ha rappresentato per te un invito ad aderirvi? R- Sicuramente il messaggio evangelico dell’amore verso il prossimo, l’amore che l’uomo rivolge ad ogni altro essere che incontra sulla propria strada.
R- La nostra religione risulta difficile perché richiede cuore ed intelligenza, investendo tutta la nostra entità; pretende da noi una coerenza d’atteggiamenti che possono rasentare “l’eroismo”; il tutto in piena e libera adesione. In altre religioni basta seguire un codice di regole semplici e chiare per sentirsi rispettosi praticanti; Cristo ci invita non tanto al rispetto della lettera quanto all’accoglienza dello spirito del suo messaggio. Essere seguaci di Cristo ci può mettere alla prova ogni giorno in situazioni sempre nuove e da decifrare. D- Quale impressione il popolo dei fedeli ha prodotto in te, fin dall’inizio? R- Apprezzo l’evoluzione della Chiesa che, anche se in modo graduale, ha modificato il proprio atteggiamento rispondendo ai bisogni della società in continuo sviluppo. Io tendo ad valorizzare ogni forma di religiosità, purché vera e sentita da parte di chi la attua. D- Con quali argomenti inviteresti altri a seguire il tuo esempio? R- Ritengo che la nostra religione sia depositaria di un messaggio rivoluzionario invitando l’uomo a ricercare il senso profondo dell’amore, questa forza misteriosa che solo in Cristo può assumere il valore di concreto modello; noi siamo chiamati a intrattenere un continuo dialogo rispettoso dell’altro che può nascere solamente dalla percezione dell’identica dignità umana, originata dall’amore di Dio, che ci ha voluto innalzarci alla dignità di figli suoi. Questo è la motivazione che adotterei per consigliare chiunque volesse scegliere un credo religioso, anche se la via proposta non è di facile realizzazione.
D- Quale messaggio di Cristo ritieni difficile da tradurre in pratica?
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Silvana Brianza
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Spazio missioni La testimonianza di chi ha conosciuto la nuova Beata suor Maria Troncatti, missionaria bresciana
“Mi querida abuelita” “Io ho conosciuto suor Maria Troncatti”. Incontro con il signor Cosimo Cossu, salesiano coadiutore
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on ci potevo credere: l’ultima sua lettera, indirizzata a me per gli auguri anticipati del mio compleanno. Come avesse saputo quello cie poteva accadere. Ha anticipato tutto». In che occasione ha conosciuto suor Maria Troncatti? Insegnavo botanica e materie tecniche nella nostra scuola Agraria di Yanuncay a Cuenca, ma per me era come fossi in Italia e non mi sentivo abbastanza missionario; chiesi all’allora ispettore, don Aurelio Pischedda, se potevo andare in “Oriente”, ossia nella selva o vicariato apostolico di Mendez. La mia richiesta fu accolta e venni inviato nel 1967 a Suola in vista del cambio che sarebbe avvenuto l’anno seguente con il trasferimento del signor Marco Beltrame a Chiguaza. Una nostra missione nell’Oriente
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era impensabile senza almeno un coadiutore per portare avanti “la chakra” (appezzamento di terra). Se no non si viveva e soprattutto non si mangiava! Quindi risaliamo al mese di Settembre del 1967, quando conobbi per la prima volta suor Maria Troncatti. C’è qualche episodio della sua vita che ricorda in modo particolare? Direi, tanti, troppi. Nella prima biografia che scrisse suor M. Domenica Grassiano ci sono molti particolari che le raccontai quando nel 1983 mi venne ad intervistare a San Callisto ed allora ero ancora fresco, ricordavo anche i particolari. Ne racconterò due. Primo episodio. Sappiamo che cos’è essere poveri; ma quando la miseria nera abita in una famiglia le cose sono davvero impossibili da gestire. In quante famiglie a Sucúa non c’era un sucre dispo-
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nibile!!! Se uno si ammalava, purtroppo la sanità non funzionava. Se avevi soldi ti curavi, se no morivi! Ma all’ospedale a Sucúa c’era un Angelo del Signore che vegliava su questi poveracci. Suor Maria seduta nel suo botiquín riceveva tutti, dall’ispettore all’ultimo disgraziato. Quel botiquín era uno stanzino, non vorrei esagerare, forse di 2 metri per 2,5. Una sedia per lei, un piccolo tavolino ed una sedia per un ospite. La gente andava in ospedale da suor Imelda Narea a comperare le medicine ma i soldi... niente soldi, niente medicine. C’era ancora una finestra aperta sotto il sole di Dio: il botiquin di suor Maria. “Madre Maria non ho un centesimo, mi serve...” “Venga stasera, oppure, venga domani mattina”, e la medicina era pronta, certo di nascosto da suor Imelda, ma suor Maria era la responsabile dell’ospedale e questo lo poteva fare, ma lo poteva fare solo lei. Quante vite avrà salvato il nostro Angelo in terra, solo Dio lo sa! E la gente tornava per ringraziare con 4-8 uova, un gallo, una gallina, della frutta. Secondo episodio. Tornavo dalla selva con i ragazzi interni, erano tanti, circa 120 ragazzi e 130-140 ragazze sem pre interne, e tutti i pomeriggi alla chakra a lavorare, tutti — tutte, se no non si poteva andare avanti. Arrivavo in cortile, e c’era una kivaretta addetta all’ospedale che mi aspettava. “Signor Cosimo, venga subito in ospe-dale è urgentissimo, suor
Spazio missioni Maria ha bisogno di Lei”. Praticamente mi accompagnava, casomai cambiassi strada o mi venisse l’idea di non andare. Suor Maria era seduta nel suo botiquín ad aspettarmi con un sorriso che ti rimetteva in grazia di Dio. “Sientese, Cosmito, siente que estard muy cansado” (Si sieda, Cosmito, si sieda che sarà molto stanco). Aveva preparato un bicchiere di ricostituente. In pratica le famose uova che le regalavano in parte venivano sciolte in succo di limone puro con tutto il guscio. Un po’ di miele di canna da zucchero ed era pronto per l’uso. “Tomelo, Cosmito, tomelo que le hard bien” (Prendilo, Cosimo, prendilo che le farà bene). Per fare questa operazione ci vogliono almeno tre giorni, il che vuol dire che lei con giorni in anticipo sapeva che avrebbe potuto ristorare un poveretto e rimetterlo in salute grazie a questo gesto che sapeva di divino. Mai, nemmeno mia mamma, ha avuto con me gesti del genere, ma quando dentro Cristo vive, trova ogni via per arrivare nel cuore di chi ha bisogno di Lui. Questa era la nostra indimenticabile “abuelita”. Quale aspetto della sua testimonianza l’aveva più colpito? Al mattino fra me e lei c’era la gara a chi arrivava prima in chiesa, ma vinceva sempre suor Maria. La trovavo o che girava attorno all’altare sistemando per la messa, che sarebbe stata celebrata a breve, aggiustava le tovaglie o sistemava i fiori e parlottava sotto-voce sempre, sempre... Una volta avvicinandomi mentre lei mi voltava le spalle afferrai qualcosa: Jesusito, Jesusito mio! E poi al suo posto immobile pregava, pregava; ma tutta la sua giornata era una preghiera. Certo, capisco anche che io l’ho conosciuta al suo tra-monto quando le gambe le facevano ci-
Beata suor Maria Troncatti (1883-1969) Tra le Indios Shuar Loro campo di missione è la terra degli indios Shuar nella parte sud-orientale dell’Ecuador. Appena giunti a Mendez Suor Maria si guadagnò la stima di una tribù Shuar operando con un temperino la figlia di un capo ferita da una pallottola. Si stabilirono definitivamente a Macas, un villaggio di coloni circondato dalle abitazioni collettive degli Shuar, in una casetta su una collina. Come don Bosco fu padre e maestro Suor Maria diventò madre, e per 44 anni sarà chiamata da tutti Madrecita. Inizia un difficile lavoro di evangelizzazione in mezzo a rischi di ogni genere. È Infermiera, chirurgo, ortopedico, dentista e anestesista, ma soprattutto catechista ricca di meravigliose risorse di fede, di pazienza e di amorevolezza salesiana. La sua opera per la promozione della donna shuar fiorisce in centinaia di nuove famiglie cristiane, formate per la prima volta su libera scelta personale dei giovani sposi. Svolse la sua attività soprattutto nel campo della formazione e della sanità, all’ospedale Pio XII di Sucúa e in numerosi dispensari. È madre delle missioni del vicariato apostolico di Méndez: Màcas, Méndez, Sevilla don Bosco e Sucúa, con instancabili spostamenti nella selva. Legge il Bollettino salesiano Maria Troncatti nacque a Corteno Golgi in provincia di Brescia, il 16 febbraio 1883 in una numerosa famiglia di allevatori di montagna. Cresce lieta e operosa fra i campi e la cura dei fratellini, in un clima caldo dell’affetto di esemplari genitori. A Corteno arriva il Bollettino salesiano e Maria, ricca di valori cristiani, pensa alla vocazione religiosa. Inizialmente il padre non è d’accordo ma appena la figlia compie la maggiore età, 21 anni, dà il suo consenso. Maria chiede l’ammissione all’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice ed emette la prima prrofessione nel 1908 a Nizza Monferrato. Destinata per le missioni in Ecuador Durante la Prima Guerra Mondiale segue a Varazze corsi di assistenza sanitaria e lavora come infermiera crocerossina nell’ospedale militare. In seguito a un violento tornado Maria promise alla Madonna che se le avesse salvato la vita sarebbe partita per le missioni. La Madonna l’esaudì e Suor Maria chiese alla Madre Generale di andare tra i lebbrosi. Sette anni dopo Madre Caterina Daghero la manda invece in Ecuador. Nel 1925 sbarcò nella baia di Guayaquil e raggiunse Chunchi dove fu infermiera e farmacista per poco tempo. Accompagnate dal vescovo missionario Mons. Comin e da una piccola spedizione, Suor Maria e altre due consorelle si addentrano nella foresta amazzonica.
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Spazio missioni lecca, ma la sua vita di preghiera, lo possono testimoniare ancora in molti, era continua e ininterrotta. Il secondo aspetto era l’aiuto che prestava a tutti: suore, noi salesiani, e direi che per noi aveva una venerazione. Il padre Juan Shutka, come pure monsignor Gabrielli che furono direttori in quel tempo, lo possono testimoniare. Ma anche i ragazzi e le ragazze, i salesiani, le suore e soprattutto la gente comune, direi più bisognosa, era quella che cercava di arrivare sempre al suo famoso botiquín. Quale aspetto del carisma salesiano crede abbia maggiormente incarnato? La risposta qui è davvero lapidaria. Da mibi animas coetera tolle. Per la salvezza di un’anima avrebbe divorato la selva con i denti, camminato chilometri con le sue gambe che non la reggevano più. Sì, pur di salvare una sola anima. Questa è suor Maria Troncatti. Qual era il rapporto di suor Troncatti con i confratelli salesiani? Ho già risposto prima: venerazione. Con tutti. Ognuno di noi si credeva il suo prediletto ed io mi considero ancora il suo prediletto. Ma
che direbbe il padre Shutka? Che direbbe lui dopo l’incendio quando suor Maria lo accolse in ospedale come Maria e Marta accolsero Gesù. Io credo che suor Maria in quei giorni abbia superato le due sorelle. E Marco Beltrame, che al solo ricordare l’abuelita si commuoveva fino alle viscere! Ma sto parlando degli ultimi tre anni, il resto della sua vita missionaria lo si conosce. Don Angelo Botta, che ha presieduto il funerale e tenuto l’omelia funebre e insieme l’abbiamo accompagnata al cimitero! Chi mai dimenticherà, arrivati al cimitero, quel bellissimo arcobaleno a 1800. Tutti con il naso all’insù. La vittima era stata immolata, e la pace tornò a Sucúa. Che cosa prova al pensiero che è imminente la sua beatificazione? Non ci sono parole, dovrei essere un bravo scrittore per dar sfogo ai sentimenti di gioia, di giubilo e gratitudine a Dio, a Maria Ausiliatrice, a don Bosco, a Madre Mazzarello per avermela fatta trovare sul cammino della vita, anche se per un breve periodo. Non so come dire grazie al Signore che si è servito dell’asino di Balaam per riportarla a sé. Fui io, su richiesta
della sua direttrice, ad incitarla per andare agli esercizi spirituali, direi scherzandoci su: “Ma si crede così santa da non voler fare gli esercizi spirituali?”. Oggi a me queste parole pesano come macigni. Sono stato io che l’ho convinta a prendere l’aereo della compagnia TAO per andare a Quito. Sono stato io che ho preso i biglietti da don Roberto Calle all’ultimo minuto. Era il suo biglietto d’ingresso in Cielo, ma non lo potevamo sapere, allora! L’ho accompagnata negli ultimi istanti della vita per almeno tre ore, prima che morisse. Siamo andati insieme fino all’aeroporto con la Jeep del medico, l’ho accompagnata all’aereo, ci siamo salutati; ho visto il portellone chiudersi e poi l’ho rivista Santa, martire perché aveva offerto la sua vita per la pacificazione tra i bianchi e gli Shuar a Sucùa. Oggi piango lacrime dolci, lacrime di gratitudine, che si mescolano a quelle amare quando suor Vittoria Bozza mi diede la sua ultima lettera e non la volli leggere e lei ad insistere, “Guarda che è di suor Maria”. Mi ritrovai seduto sul letto che stavamo preparando per gli ospiti che dovevano venire al suo funerale; non ci potevo credere: l’ultima sua lettera, indirizzata a me per gli auguri anticipati del mio compleanno. Come avesse saputo quello che poteva accadere, ha anticipato tutto. Ha fatto tutto come se lei lo sapesse. Quale aspetto rende particolarmente attuale la testimonianza di santità di suor Troncatti? Anche qui è facile rispondere, anzi facilissimo: E chi è il mio prossimo? Ecco il segreto della sua santità. Amare le persone che avviciniamo dando una testimonianza di vita a tutta prova. Lei era integra, tutta d’un pezzo. Bastava avvicinarla una sola volta e ne restavi affascinato.
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Vivere confidando nella Provvidenza si può!
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ioveva lungo il percorso che da Salvador portava alla missione di Saõ Lorenço a Catù nello stato di Bahia, distante oltre 150 km dalla capitale: ai tropici agosto è il periodo delle piogge che nell’arco della giornata si avvicendano al sole in un gioco continuo di luci ed ombre. Questa alternanza rende la vegetazione lussureggiante ed il clima, anche se caldo umido, molto piacevole.
dall’abbraccio travolgente di decine di bimbi che con voci gioiose ci davano il benvenuto.
Naturalmente la festa era dedicata soprattutto ad Irma e Gabriele per i quali la missione è la seconda casa; nel corso degli anni hanno visto i bimbi crescere e la proprietà, allora fatiscente, trasformarsi anche grazie al loro impegno, in un paradiso terrestre.
Usciti dal traffico caotico della città, arrivammo a destinazione a notte fonda: in verità erano solo le 20, ma in Brasile quando cala il sole è subito buio. Gli ultimi chilometri, su strada sterrata di terra rossa piena di buche, lasciavano intuire che fossimo in piena campagna. Gabriele ci mostrava il paesaggio, ma in verità non si vedeva nulla. Poi il pulmino svoltò a sinistra ed improvvisamente fummo avvolti
Non dimenticherò mai i risvegli all’alba quando il sole salendo dietro le palme tingeva il cielo di rosa e si sentiva solo il canto degli uccelli, lo stormire delle fronde o lo scrosciare della pioggia: sembrava di essere tornati alle origini del mondo. In camera trovai il grande letto cosparso da disegni e biglietti di benvenuto e sul tavolo un vasso-
io ricolmo di frutti tropicali. Ero un po’ frastornata, pensavo di condividere la stanza con i bambini e mi trovavo in un ambiente spazioso, con un bagno privato tutto per me!
Il mattino mi svegliò un suono cantilenante di voci che proveniva da oltre il corridoio, incuriosita attraversai il salone centrale, mi avvicinai pian piano e scoprii la cappella dove alle cinque e trenta del mattino, bimbi, educatori e suore stavano recitando il rosario a cui seguì la lettura del vangelo ed il commento. Il mio arrivo creò un po’ di scompiglio: occhi curiosi mi spiavano, qualcuno cercava di avvicinarsi; una bimba dai grandi occhi nocciola venne ad inginocchiarsi vicino a me, le sue manine si insinuarono nelle mie, mi guardava sorridente ma le sue labbra
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rimanevano mute. Scoprii più tardi che nonostante i suoi cinque anni o forse sei, non parlava ancora. Due mesi prima il giudice aveva deciso di allontanarla dalla famiglia abusante che aveva minato profondamente il suo equilibrio psicofisico. Nel periodo del mio soggiorno insieme alle educatrici, cercammo di farle pronunciare le prime semplici parole, per avviare un faticoso processo che nell’arco di mesi, ne sono certa, la porterà ad esprimersi. Ogni bambino presente nella struttura ha alle spalle una storia di dolori, di violenze, di abusi, di rifiuti da parte di genitori incapaci di dare amore, troppo impegnati nella difficile lotta per la sopravvivenza, dediti all’alcool, ad espedienti, a piccoli e grandi crimini. Ancora una volta, ed in modo più cruento, ho dovuto constatare come la mancanza d’affetto e l’inadeguatezza della famiglia influiscano sullo sviluppo della personalità dei piccoli incidendo profondamente sia sul piano cognitivo che su quello emozionale. Sui loro volti si leggeva il bisogno d’amore, il desiderio di essere abbracciati, l’urgenza di richiamare l’attenzione, che si esprimeva con un piccolo dono, con un abbraccio improvviso, oppure con un gesto violento. Eravamo a tavola la sera in cui arrivarono Naralisi e Daniel, il fratellino di un anno, stretto nelle braccia dell’assistente sociale che li accompagnava. Fu una notte tragica; il piccolo piangeva, gridava e chiamava la mamma, solo la dolcezza e la dedizione della sua educatrice riuscirono a fargli accettare la nuova vita; durante il sonno, però, continuava a chiamare la mamma. Tutti questi fanciulli dai più piccoli ai più grandi, questi bambini abusati, maltrattati, trascurati dai genitori, aspettano trepidanti il giorno delle visite e desiderano
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tornare a casa, perché il legame con la famiglia d’origine è un cordone ombelicale che non si può tagliare. Eppure nonostante le ferite sanno ancora giocare, ridere: si arrampicano sugli alberi, mangiano i frutti acerbi, neppure uno riesce ad arrivare a maturazione; le femmine giocano nel parco; i maschi si impegnano in lunghe partite di calcio. Visti da lontano ci si può illudere che stiano vivendo delle vite normali, ma se li conosci ti accorgi che il loro mondo interiore è fragile e le ferite sono pro-
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fonde e dolorose. La comunità, che rifiuta gli aiuti di stato e vive solo di provvidenza, ospita circa ottanta bambini da 0 a 18 anni, è guidata da cinque suore e da un gruppo di educatori laici provenienti da vari paesi d’Europa e del Brasile. Chi sono questi missionari? Quali esperienze li hanno portati in questo luogo? Sono quasi tutti ex tossicodipendenti riconciliati con la vita attraverso un metodo inventato da suor Elvira: la “Cristoterapia”.
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Chi è questa suora? In cosa consiste questa metodologia rieducativa? Quando penso a lei, non posso fare a meno di accostarla a madre Teresa di Calcutta. Suor Elvira lasciò la sua congregazione per dedicarsi ai drogati. Da sola andò ad abitare in un lascito: una grande villa diroccata, sulla collina di Saluzzo e lì, invisa dagli abitanti preoccupati dalla presenza di questi vicini scomodi, iniziò la sua avventura. “Inginocchiati e prega, se non vuoi pregare non importa, pregherò io per te!” E questi giovani se ne stavano lì, affascinati dal carisma della religiosa e a poco a poco cominciavano a pregare. Lei li assisteva nel difficile percorso di uscita dal tunnel, li sosteneva, li incitava; loro coglievano una dimensione diversa della vita; sostituivano la preghiera al metadone, e ciò che pare incredibile, funzionava!
E funziona anche ora, che non può seguirli ad uno ad uno perché lei è anziana e malata e loro sono migliaia sparsi nelle comunità del mondo! L’incontro con Cristo ha aperto nuovi orizzonti, ha dato nuove prospettive alla loro vita, li ha resi così radicali nel seguire il vangelo che si resta stupefatti. Io li ho osservati durante il mio soggiorno, prima scettica, poi titubante ed incredula. A volte parlavo con Graziano, con Irma e Gabriele e leggevo nei loro sguardi le mie stesse perplessità, ma il fatto incontestabile è che questi giovani ormai disintossicati, hanno scelto di restituire il favore ricevuto. “ Ci siamo salvati grazie all’aiuto di tante persone; ora tocca a noi ricambiare! Pregheremo anche per voi!” Durante il giorno in mezzo al rumore assordante che accompagnava l’impegno di questi muratori improvvisati, diretti dalla
straripante energia di Gabriele che non accettava certo che il lavoro seguisse i ritmi brasiliani, ebbene, se ti avvicinavi ti accorgevi che stavano recitando il rosario, e alla fine della giornata stanchi, li trovavi in chiesa per l’adorazione, per le lodi, per la compieta. Noi osservatori esterni sempre più stupiti potevamo solo constatare la radicalità con la quale vivevano la loro nuova esistenza. La potenza della preghiera! Mi piacerebbe che Don Mario, uomo di profonda fede, ci svelasse i percorsi che ci avvicinano a Dio con tanto fervore. È stata una grande lezione di vita, di profondo impatto emozionale. Posso solo affermare condividendo le parole di Irma e Gabriele:” È più quello che si riceve rispetto a ciò che si dà, e… dopo il ricordo, arriva la nostalgia!”
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Maria Antonia Galli
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Divagando sul Natale Lettura semiseria della data che ha cambiato la storia
Cronaca dal “Giornale di Betlemme” Dagli archivi del “Giornale di Betlemme” è stato recuperato l’originale di un articolo di cronaca del 26 dicembre 745 “ab urbe condita” (dalla fondazione di Roma) che proponiamo all’attenzione degli affezionati lettori del nostro bollettino parrocchiale.
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eri si erano diffuse voci insistenti da parte dei pastori della città che hanno richiamato la curiosità di noi cronisti del giornale, per cui, con il mandato del nostro Direttore, siamo andati a verificare tali voci riguardanti l’apparizione straordinaria di una luce intensa che ha rischiarato improvvisamente il cielo buio, in piena notte dicembrina. Sono emersi alcuni dati di cronaca che riportiamo dopo avere accuratamente intervistato buona parte dei pastori stessi, unanimi nell’attestare quanto segue. Nei giorni precedenti al 25 dicembre era stata vista aggirarsi per le vie di Betlemme una coppia di sposi, lui con la barba, camminava a piedi, con un bastone in mano,
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lei era seduta a dorso di un asinello, chiaramente in attesa di partorire. Sono stati visti domandare alloggio alle varie locande della città, ma tutte erano piuttosto piene a causa del censimento in atto ordinato dall’imperatore romano, e comunque l’impressione è stata che gli albergatori volessero evitare il fastidio della presenza di una giovane donna in attesa del parto. Alcuni cittadini affermano di avere sentito abbaiare a lungo i cani, come se avvertissero qualcosa di straordinario che doveva accadere nella notte. I pochi ancora svegli a mezzanotte giurano di avere visto una luce intensa che ha rischiarato improvvisamente il cielo stellato e sgombro da ogni nube, esaltando la visuale della neve fresca caduta
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in precedenza sulle colline circostanti alla città. Tra le stelle era apparsa anche una lunga e luminosa cometa che anche noi abbiamo poi ammirato al tramonto di oggi. I più vecchi hanno subito affermato: quella cometa porta bene! Ma di più: il silenzio profondo della notte è stato rotto da un coro di voci angeliche. Si sono chiaramente sentite le loro parole che ci sono state riferite da tutti gli intervistati: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Appurato che la luce proveniva da una delle stalle di periferia, incuriositi i pastori, con le loro famiglie, si sono rivestiti in fretta e sono andati a origliare chi avesse occupato quella stalla ricavata da
Divagando sul Natale una grotta e dimora abituale di un bue. Giunti alla meta hanno sentito il pianto dolce di un neonato, accudito dal papà che si è subito presentato dicendo: “Piacere, mi chiamo Giuseppe, shalom! Questa è Maria. Ha appena partorito il Bimbo che abbiamo chiamato Gesù. Il nome non l’abbiamo scelto noi, ma è stato suggerito a Maria da un angelo, ma anche a noi è tanto piaciuto, perché al catechismo alla sinagoga del nostro paese di origine - noi proveniamo dal nord: siamo di Nazareth in Galilea - ci hanno sempre spiegato che il termine Gesù è sinonimo di Emmanuele, e ci hanno pure detto che significa Dio con noi”. Le mogli dei pastori, naturalmente, sono state le prime a commentare che dal volto di quel Bimbo traspariva un mistero luminoso e seducente. Era come se volesse trasfondere ai sensi dei presenti la misericordia di un Dio che ci vuole bene. I pastori sono rimasti lì tutta la notte, poiché si sono sentiti come avvinti da tale grande mistero e da una straordinaria gioia interiore, ma hanno subito incaricato le loro donne di tornare a casa a prendere qualche dono: la famigliola era infatti molto povera e necessitava di ogni cosa. Ma non è tutto da Betlemme. Il nostro giornale infatti ha alcuni abbonati che abitano lontano, nella regione della Mesopotamia. Si tratta di studiosi conosciuti come gente istruita e frequentatrice abituale di biblioteche. Noi conosciamo il nome di tre di loro, di professione principi, i nobili Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Sappiamo che da anni leggevano e approfondivano i testi biblici ed erano a conoscenza delle attese del popolo ebraico di un Messia liberatore, oltre che essere esperti nell’interpretazione di antichi scritti di altri popoli. Tutta una serie di indizi li hanno convinti a
mettersi in movimento per venire a Betlemme per verificare il risultato delle loro ricerche. Sappiamo che devono arrivare. Ce lo hanno anticipato altri viaggiatori che li hanno incrociati nei caravanserragli delle rotte che portano a oriente. Costoro ci hanno anche confidato che i tre principi portano con sé dei doni preziosi. A questo punto ci siamo detti: uno più uno fa due, per cui abbiamo maturato la certezza che quei doni sono destinati al Bimbo Gesù. Chissà se la notizia sia già arrivata anche ai nostri politici, sempre ingordi e affamati di ricchezza, primo fra tutti il nostro Re, Erode. Lui è da tutti conosciuto come male-
volo e subdolo, e sarebbe geloso di sapere che quei doni non siano destinati a lui, e non sarebbe mai disposto a cedere la sua sedia ad un nuovo inquilino nel palazzo del potere. Come giornalisti tutti questi avvenimenti ci sono sembrati una notizia scoop. Da una serie di altri numerosi indizi abbiamo maturato la convinzione che lo scoop che oggi rendiamo pubblico sia destinato a cambiare il mondo, e che la data del 25 dicembre resterà come una pietra miliare nella storia dell’umanità. Ricerca negli archivi del “Giornale di Betlemme” a cura di don Vittorio Formenti
Cristo nasce per farci comprendere che l’amore è il primo segreto del mondo, e solo attraverso l’amore è possibile accostarsi al cuore del sofferente come ai piedi di Dio. (Oscar Wilde)
Vedo bimbi intorno a me incapaci di sorriso lanciare sassi nell’acqua degli stagni perché dai cerchi emerga un poco di bontà. Incontro sulla battigia della quotidianità uomini stanchi senza voce e senza identità in cerca affannosa d’uno sprazzo di sereno. Conosco donne pietrificate dal dolore sento urla soffocate negli anfratti delle case ed invocanti invano parole di dolcezza. Penso a madri tristi dal seno inaridito umiliate dalle tenebre di disprezzo e odio in cerca d’aperture di pura umanità. Alziamo i nostri sguardi, fratelli sofferenti miriamo la gran Luce che viene dall’Oriente e lancia i suoi bagliori sull’opprimente buio. Presenza sempre antica e ancora rinnovata ecco il Salvatore che nasce in una grotta facendo germogliare nei cuori dei credenti semi freschi di speranza, di pace e gioia vera. d.V.F.
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II nuovo rito delle Esequie Umanizzazione della morte - Celebrazione della Risurrezione
1 Premesse Ritengo opportuno, in questa comunicazione, partire da alcune premesse viste come chiave di lettura del nuovo Ordo (nuovo Rito). 1.1 Atteggiamento di fondo La nuova edizione del “Rito delle Esequie” è voluta dai Vescovi italiani per rispondere “alla diffusa esigenza pastorale di annunciare il Vangelo della Risurrezione di Cristo in un contesto culturale ed ecclesiale caratterizzato da significativi mutamenti culturali”. È opportuno, presentandone i principali elementi di novità, evidenziarne l’attitudine ad essere strumento efficace d’interpretazione dell’esperienza del morire sui versanti teologico e antropologico, facendo da un lato la confessione della fede pasquale e, dall’altro, l’umanizzazione della morte nel complesso contesto odierno. 1. 2 La liturgia e la vita della Chiesa La Chiesa che cammina nel tempo non è un monolite statico, ma una realtà dinamica capace di incarnare nel tempo, per ritus et praeces, l’annuncio della salvezza (Catechesi) celebrata nei sacramenti (Liturgia) e testimoniata nella vita (Carità). Dentro quest’ambito è da leggere la riforma liturgica che ci aiuta a vedere la Chiesa quale soggetto comunitario, in cui tutti sono partecipi e responsabili in forza dell’appartenenza a Cristo. Per il fatto, poi, che l’azione liturgica è dialogica, si comprende come
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“l ‘actuosa partecipatio” richiamata dalla Costituzione liturgica sia esigita dalla Ecclesia, il popolo di Dio, in quanto al n.° 26 si dice esplicitamente che “le azioni liturgiche non sono mai azioni private, ma celebrazione della Chiesa che è sacramento di unità, cioè popolo santo radunato sotto la guida del Vescovo”. 1. 3 La liturgia realtà dinamica e non statica. La storia della liturgia non ama fissare, imbalsamandoli, alcuni momenti, formulari o espressioni rituali, ma li fa progredire perché aiutino i cristiani, attraverso la celebrazione dei misteri della salvezza, a passare dalla chiesa alla casa, dal tempio al tempo, dal rito alla vita per poter così dare senso compiuto alla storia e alla vita dell’umanità. Per sottolineare questa realtà dinamica può risultare opportuno leggere, in forma sinottica, quanto viene indicato dal Messale di Pio V e di Paolo VI in ordine alla celebrazione della Messa. Il Messale di Pio V, parlando nel Ritus servandus “De ingressu sacerdotis ad altare”, si esprime così: “sacerdos, omnibus paramentis indutus, accipit manu sinistra calicem, quem portat elevatum ante pectus, bursam manu dextera super calicem tenens, et facta reverentia Cruci, accedit ad altare. Procedit omen oculis demissis, incessu gravi, erecto pectore. Stans in medio altaris sub infimum gradum, iunctis manibus ancte pectus, extensis et iunctis pariter digitis, et
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pollice dextero super sinistrum posito in modum Crucis, erectus incipit Missam” (Ritus servandus, Missale Romanum ex decreto Sacrosancti Concilii tridentini restitutum). Tutto è incentrato nel sacerdote, il quale, per altro, deve solo ubbidire alle norme scritte, in quanto “nihil addendum, nihil detraendum, nihil mutandum”. I fedeli non devono interferire, tant’è che il “Sacro ceremoniale” che contiene le rubriche della Santa Messa minutissimamente spiegate, proposto alli novelli sacerdoti dal padre F. Amedeo da Brescia - consecrato dall’Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Leandro Chizzola Archidiacono della Cattedrale di Brescia, e, nel Vescovado della medesima, Vicario Generale, vigilantissimo - si afferma: “Avverta a profferire le parole dell ‘una e dell’altra consecrazione sotto voce, affinché udite dagli ascoltanti della Santa Messa, non si profferiscano poi da questi per ischerzo (La Croix lib. 6 per 2 pag. 154 num 440). Se nello spazio di dieci passi vi fosse la maggior parte di quelli che ascoltano la Santa Messa e quelli udissero le parole della consecrazione, il Celebrante peccherebbe mortalmente (La Croix supr. Citat). Il Missale Romanum di Paolo VI, nella editio tipica tertia, 2002, reimpressio emendata, 2008, nella institutio Generalis, al n.° 16 afferma “Celebratio Missae, ut actio Christi et populi Dei hierarchice ordinati, centrum est totius vitae christiane pro Ecclesia tum universa tum loca-
Formazione liturgica li, ac pro singulis fidelibus”. Al n.° 46, poi, si legge “populo congregato, dum ingreditur sacerdos cum diacono et ministris, cantus ad intro itum incipitur”. A questa ultima annotazione se si accosta il n.° 16 di “Musicam Sacram” si passa dal peccare mortalmente se si fan sentire le parole della consecratio alla gioia del percepire come “Non c ‘è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di un’assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua fede e la sua pietà”. 1.4 La celebrazione delle Esequie e il mistero pasquale di Cristo Il numero 1 della presentazione del nuovo Ordo da parte della Conferenza episcopale italiana attesta come “La risurrezione di Gesù Cristo è il nucleo e il centro della nostra fede”. Ne consegue che “i riti delle esequie cristiane sono da vivere e da comprendere nell’ottica della Pasqua del Signore”. Questo principio basilare è l’esplicazione pastorale del principio dottrinale del n.° 1 dei Praenotanda dove, in forma icastica, si afferma “La liturgia dei funerali è celebrazione del mistero pasquale di Cristo Signore”. Questo principio trova nelle “Precisazioni” della C.E.I. tre annotazioni da tener presente: - al n.° 6 si ricorda: “dopo la monizione introduttiva all’ultima raccomandazione e commiato, possono essere aggiunte brevi parole di cristiano ricordo nei riguardi del defunto; il testo sia precedentemente concordato e non sia pronunciato dall‘Ambone. Si eviti l’esecuzione di canti o musiche estranei alla liturgia”. - al n.° 7 troviamo una proposta: “è opportuno che nella celebrazione delle esequie i fedeli siano invitati a professare la propria fede con la recita del Credo”. - al n.° 9 troviamo, sempre in ordine alla tematica dell’indole pa-
squale, una indicazione da non sottovalutare: “il colore liturgico per la celebrazione esequiale è il viola. Nelle esequie dei bambini si usa il Bianco”. Una annotazione utile: la S.C., al n.° 59 ricorda che i sacramenti e i sacramentali hanno tre funzioni proprie: santificare i fedeli, edificare la Chiesa, rendere culto a Dio. Ritengo, anche nelle esequie, necessario rispettare questa triplice finalità perché è sempre incombente il rischio di scambiare la liturgia e la celebrazione dei sacramenti per un’azione egocentrica e non teocentrica. Lo si può constatare attraverso il soggettivismo e il relativismo che si respira in certe celebrazioni. Muore un cantante e si devono cantare le sue canzoni in chiesa. Muore un giovane e bisogna cantare il brano di quel cantante che piaceva molto a lui. Mi chiedo: “è più importante assecondare la soggettività delle nostre emozioni o salvare l’oggettività della Grazia e la verità dei segni liturgici?”. Benedetto XVI al n.° 36 di Sacramentum Caritatis, ci offre un orientamento contro ogni soggettivismo: “La bellezza intrinseca della liturgia ha come soggetto proprio il Cristo risorto e glorificato nello Spirito Santo, che include la Chiesa nel suo agire”. A proposito di questi spropositi musicali è opportuno ricordare come ai funerali del cantante Lucio Dalla la Chiesa Bolognese non permise, in forma per altro delicata, che durante le esequie si eseguisse la musica dell’autore che, sensibile alla dimensione religiosa della vita e conscio della sua situazione esistenziale, aveva già optato, in precedenza, per il valore profondo della fede. Infatti, dagli archivi della Basilica del Santo di Padova è spuntata una preghiera di Lucio del novembre 2008: “Convinto e sedotto religiosamente dalla presenza di Gesù e di Sant’Antonio,
affido loro la mia anima, la mia vita, il mio lavoro nell ‘umile speranza di essere perdonato dei miei peccati ed essere avvicinato alla loro luce”. 2 Il nuovo rito delle Esequie nel segno della Pasqua 2.1 Visione globale La liturgia delle esequie ha come obiettivo prioritario quello di annunciare il Vangelo della risurrezione di Cristo. L’espressione perentoria che apre le Premesse generali al Rito delle Esequie: “La celebrazione cristiana dei funerali é celebrazione del mistero pasquale di Cristo Signore” sintetizza la visione cristiana del morire e la speranza che permea ogni atto del credente nel distacco da un proprio caro. Questa mentalità pasquale è indispensabile se vogliamo andare oltre la cultura del nostro tempo caratterizzata dalla perdita di un vocabolario gestuale e verbale risultando, per questo, incapace a reagire al sopravvivere della morte, cercando, cosi, la rimozione della morte e del suo impatto simbolico. Per molti la morte, quando entra in scena appare oscena in quanto viene a mancare quell’ars moriendi capace di offrire le premesse credibili del senso da consegnare a chi muore e a chi vive. La nuova edizione del Rito delle Esequie ha lo scopo di “proporre un cammino di fede, scandito a tappe mediante celebrazioni comunitarie” (Presentazione n.° 2). In quest’ottica la dimensione itinerante a tappe dice ritualmente la dimensione pasquale della morte. Nel passare orante di luogo in luogo, attraverso i luoghi emblematici del vivere (casa), del celebrare (chiesa) e del riposo (cimitero), la liturgia proclama la vittoria del Vivente e dei viventi sulla morte, L’indugio rituale di un’assemblea che procede in cammino, sosta, canta la sua fede e la sua speran-
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Formazione liturgica za e saluta con parole accurate un fratello, non è altro che un saper perdere tempo con parole, gesti, canti in una situazione temporale particolarmente delicata e complessa dal versante umano, come è quella del morire, per ridire ancora la speranza cristiana che si radica nella Pasqua del Signore. La nuova edizione del Rito delle Esequie ripropone con forza le risorse simboliche di cui l’intreccio rituale dispone al termine del cammino della vita umana. Quando le parole si fanno rare e l’enigma, la ribellione e il pianto sembrano offuscare la serenità, la liturgia si accosta con delicatezza e con tutta la gamma dei suoi gesti, parole, silenzi, canti, movimenti. L’indicibile si fa dicibile nel simbolo rituale. I mezzi di comunicazione, invece, offrono sempre più immagini di riti funebri dove spesso la liturgia è trasformata in show. L’afasia di fronte alla morte sembra trovare una via d’uscita nel suo contrario o nella spettacolarizzazione o nell’esibizione delle emozioni: in realtà la morte e il suo mistero rimangono sempre al di là del palcoscenico. La liturgia può rivelarsi alternativa affidabile alla morte-spettacolo nella misura in cui celebra la Vita attraversando il morire dell’uomo e non semplicemente e freddamente guardandolo dal di fuori. L’annuncio pasquale, allora, è celebrato dentro l’esperienza della morte dell’uomo attraverso le straordinarie potenzialità del rito cristiano. Il libro intende risvegliare la competenza rituale delle nostre assemblee, la differenziazione ministeriale e una pratica celebrativa raffinata che sappia utilizzare testi di preghiera e gesti con sapienza e maestria, per far gustare, anche in hora mortis nostrae, i cieli nuovi e la terra nuova che ci attendono in comunione con l’evento pasquale di Cristo che risplende nella carne dell’uomo che muore.
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2.2 Il presbitero e il ministero della consolazione Se dovessimo ex abrupto chiedere a un prete quale deve essere l’ambito della pastorale interessato alla morte, la risposta ovvia è: la Liturgia! Nel Rito delle Esequie, iI presbitero è caratterizzato come educatore della fede e ministro del conforto cristiano (n.° 16 - fidei educator et consolationis minister). Nelle Premesse, tra i compiti specifici del presbitero, viene annoverato quello di recar sollievo alla famiglia del defunto, confortarla nel dolore (n.° 17) secondo questa mentalità. “Ricordino i sacerdoti, che, nell‘esprimere la comprensione materna della Chiesa e nel recare il conforto della fede, le loro parole siano di sollevo al cristiano che crede, senza urtare l’uomo che piange” (Rito delle Esequie n.° 17). La liturgia non deve, tuttavia, mai essere disgiunta dalla condivisione umana e cristiana della morte. La liturgia ha bisogno di essere inverata da altre forme, altri gesti e altri interventi necessari. Fra gli ambiti di vita quotidiana richiamati dal Convegno ecclesiale di Verona vi è tanto la vita affettiva, quanto la fragilità umana: realtà entrambe implicate a pieno titolo nel momento esequiale. Per la prima, vale l’esortazione: “Siamo chiamati a rendere le comunità cristiane maggiormente capaci di curare le ferite dei figli più deboli, prendendoci cura con tenerezza di ogni fragilità e nel contempo orientando su vie sicure i passi dell ‘uomo. Per altro, la dimensione degli affetti non è esclusiva della famiglia; gli affetti innervano di sé ogni condizione umana e danno sapore amicale e spirituale a ogni relazione ecclesiale e sociale”. Continua il documento del Convegno di Verona: “Se l’esperienza della fragilità mette in luce la precarietà della condizione umana, la stessa fragilità è anche occasione
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per prendere coscienza del fatto che l’uomo è una creatura e del valore che egli riveste davanti a Dio. Gesù Cristo, infatti, ci mostra come la verità dell’amore sa trasfigurare anche l’oscuro mistero della sofferenza e della morte nella luce della risurrezione. La vera forza è l’amore di Dio che si é definitivamente rivelato e donato a noi nel mistero pasquale”. Anche il momento della morte dei propri cari, che fa vibrare il mondo affettivo ed evidenzia fortemente la fragilità umana, richiede, da parte della comunità dei credenti, che esprimano la fantasia della carità e la sollecitudine della Chiesa verso ogni uomo. 2.3 La novità del Rito delle Esequie Incontriamo una prima novità di ordine rituale e testuale nel primo capitolo della prima parte: Visita alla famiglia del defunto. Un paragrafo non presente nell’edizione italiana del 1974. Il primo incontro con la famiglia è un momento particolarmente significativo e carico di emozioni. Oggi, sempre più frequentemente, la notizia della morte di un fedele arriva attraverso le agenzie di onoranze funebri. In questo modo viene spesso mortificato un contatto diretto con la famiglia del defunto, che non può essere eluso in quanto pastoralmente molto forte. Il primo incontro con la famiglia, diventa, allora, un momento di condivisione del dolore, di ascolto dei familiari colpiti dal lutto, di conoscenza di alcuni aspetti della vita della persona defunta in vista di un personalizzato ricordo durante la celebrazione delle Esequie. Naturalmente non sempre il Parroco può prendersi carico di questo momento, ecco, allora, la possibilità che la preghiera sia guidata dal diacono o, in sua assenza, anche da laici preparati a questo ministero di comunione e di consolazione.
Formazione liturgica Sempre nel primo capitolo troviamo la seconda novità: Preghiera alla chiusura della bara. Si vuole leggere, alla luce della Parola di Dio, un momento molto delicato quale quello della chiusura della bara, quando il volto del defunto scompare per sempre dalla vista dei familiari. Le nuove orazioni sono costruite attorno al parallelismo: volto del defunto che scompare//volto di Dio che, ora, egli può contemplare; volto del defunto che viene sottratto agli occhi dei suoi cari// volto del defunto che, un giorno, potrà essere di nuovo visto trasfigurato. Il significato è profondo. Trasfigurati nello Spirito dalla gloria del Signore, i cristiani hanno la certezza di scoprire un giorno faccia a faccia colui che non conoscono ancora se non in uno specchio. Nella celebrazione delle esequie, arricchimento significativo è una più varia proposta di esortazioni per introdurre il rito dell’ultima raccomandazione e commiato: vengono offerte dodici proposte di esortazione che possono essere lette o adattate. Sono da segnalare ancora tre adattamenti. Il primo riguarda il pronunciare parole di cristiano commento nei riguardi del defunto. La rubrica consente parole di cristiano ricordo del defunto e vengono date indicazioni per evitare che questo momento assuma espressioni non consone allo stile della liturgia: “Dopo la monizione introduttiva all’ultima raccomandazione e commiato, secondo le consuetudini locali approvate dal Vescovo diocesano, possono essere aggiunte brevi parole di cristiano ricordo nei riguardi del defunto. Il testo sia precedentemente concordato e non sia pronunciato dall’ambone. Si eviti il ricorso a testi o immagini registrate, come pure l’esecuzione di canti o musiche estranee alla liturgia”. Il secondo adattamento risponde
a una richiesta inoltrata da numerosi Vescovi ed esplicitamente approvata in Assemblea Generale. Riguarda la conclusione della celebrazione: “Il rito dell’ultima raccomandazione e del commiato si conclude sempre con la benedizione. Se il sacerdote (o il diacono) accompagna processionalmente il feretro al cimitero non congeda l’assemblea ma aggiunge Benediciamo il Signore”. Si è così inteso dare senso compiuto ai riti di conclusione, anche in relazione al fatto che oggi, nella maggior parte dei casi, al rito dell’ultima raccomandazione e commiato l’assemblea si scioglie e non segue un accompagnamento liturgico al luogo della sepoltura. Il libro liturgico si chiude con una sezione dedicata a testi e melodie. Nella parte dedicata ai testi troviamo, particolarmente ricca, la proposta di formulari per la preghiera dei fedeli. Ai nn. 209/213 sono previsti cinque formulari. Il quarto e il quinto sono di nuova composizione. Quest’ultimo è articolato in otto sezioni. 3 La dimensione evocativa del Canto e il problema della Cremazione 3. 1 Il Canto: invocazione e confronto Celebrare il commiato e cantare la speranza della vita eterna di fronte al dolore della vita scomparsa non è sempre facile. Cantare il Mistero della Pasqua mentre i nostri occhi sono costretti a contemplare il mistero di una separazione irrimediabile, alcune volte è arduo. Questa è la ricchezza contraddittoria del Rito delle Esequie. Dire che questa è la sfida e il perimetro entro cui si snoda la capacità di far vivere ai fedeli l’esperienza di una liturgia capace di aprire allo sguardo di Dio deve anche significare la capacità di non dimenticare gli occhi che piangono dell’uomo. Ne deriva che l’animazione delle esequie
costringe a porsi alcune domande fondamentali, ogni qualvolta ci si proponga di incidere in maniera sostanziale sul vissuto della comunità e, soprattutto, di sostenere umanamente e cristianamente coloro che sono colpiti nel profondo degli affetti (e, talvolta, nella solidità della fede). Cantare allorquando anche le parole salgono a fatica? Come (e perché) mettere in campo il segno festivo per eccellenza, la musica, quando la nostra dimensione umana si trova costretta a transitare per l’ antitesi della festa, per gli antipodi della gioia? Queste domande ci stimolano a non fermarci al versante antropologico del morire, ma a far si che questo versante venga assunto da quello teologico che si concentra essenzialmente sul carattere di dono pasquale del canto cristiano, sulla natura tipicamente comunitaria della musica liturgica e sulla percezione di essa come annuncio del Regno di Dio che si conserva e si compie. Il risuonare del canto diviene gesto di fiducia: segno capace di attingere alle sorgenti della speranza cristiana e di manifestarla all’interno e all’esterno della comunità, capace di rendere testimonianza di carità a chi, in quel momento, è nel dolore e testimonianza di fede. L’intervento sonoro più importante della celebrazione esequiale, secondo le rubriche del Rituale, è il canto di commiato durante l’ultima raccomandazione che ha luogo al termine della Messa esequiale: il n.° 10 delle Premesse generali stabilisce che esso debba essere “un canto che si presti, per il testo e la melodia, a essere eseguito da tutti in modo che tutti lo sentano come un momento culminante del rito”. Il corpo del Rituale qualifica questo canto quasi indispensabile tramite l’annotazione “se non è possibile il canto...” (RE 83 e 106). Il carattere comune dei testi indicati è il tema dell’accoglienza divi-
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Formazione liturgica na, della misericordia e del perdono. Molto più diffusi sono i rimandi ai Salmi in funzione di cornice sonora di momenti di raccoglimento e di processioni da una stazione all’altra del Rito in confonnità con l’annotazione fondamentale delle Premesse generali: “Per esprimere il dolore e per promuovere con efficacia la fiducia, nel compiere i riti per i defUnti la Chiesa ricorre, soprattutto, alle preghiere dei Salmi. Procurino, quindi, i pastori d’anime, non senza un’opportuna e adatta catechesi, di portare, a poco a poco, le loro comunità a una comprensione sempre più chiara e approfondita di almeno alcuni Salmi fra quelli proposti” (RE 12). Questa prospettiva è da recuperare e da promuovere per evitare lo svilimento di certi testi che stravolgono, mortificandola, la liturgia esequiale. Mi permetto segnalare una traduzione balorda del Salmo stupendo della Iniziazione cristiana; il Salmo 22 che, secondo i Padri della Chiesa, ha le immagini poetiche che, in forma velata, rimandano ai sacramenti della Iniziazione cristiana: le acque tranquille richiamano il Battesimo, l’olio che unge il capo rimanda alla Cresima e la mensa preparata prefigura l’Eucaristia. Ebbene la strofa Davanti a me Tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici. Ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca. viene ritradotta in questo testo sostenuto da una musica ritmica esasperata: Ci inviti alla tavola dei tuoi senza chiedere di quanti siamo noi. Ci profumi, ci doni quanto puoi con il calice che non si vuota mai. Come armonizzare questo testo oltremodo ritmato con il ministero della consolazione indispensabile in questa celebrazione? Penso, invece, al n.° 340 del Repertorio Nazionale, un canto semplice nell’espressione, ma di profondo e
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pertinente spessore teologico: L’acqua che ti ha salvato, la linfa dello Spirito, il sangue della Croce ti porta verso il Padre: noi ti dicianio “A Dio”, al Dio che tanto ci ha amato che è fonte di vita che per te è tutto, al nostro Dio. Questo canto condensa la vita del cristiano radicata nei sacramenti richiamati con limpidezza e riconsegnata al Padre, nella casa dove noi lo rivedremo. Valorizzando le proposte del Rito delle Esequie si potrà esperimentare come la celebrazione dei funerali cristiani non mancherà di “riecheggiare la vivezza del linguaggio biblico e la spiritualità di quello liturgico” raccomandate dal n.° 12 del RE. 3.2 La cremazione e la testimonianza della speranza cristiana La parte che maggiormente attira l’attenzione è l’appendice dedicata alla cremazione, problematica tutta contemporanea. La denominazione di appendice vuole richiamare il fatto che la Chiesa continua a ritenere la sepoltura del corpo dei defunti la forma più idonea sia perché è la forma attuata da Cristo sia perché è la forma più idonea a esprimere la pietà dei fedeli verso coloro che sono passati da questo mondo al Padre, e a favorire il ricordo e la preghiera di suffragio da parte di familiari e amici (RE 165). È per questo che “la Chiesa ha molti motivi per essere contraria allo spargere le ceneri in natura, oppure di conservarle in luoghi diversi dal cimitero, come, ad esempio, nelle abitazioni private”. In situazioni simili, per le generazioni successive, la vita di coloro che le hanno precedute scompare senza lasciare traccia (RE 165). In considerazione del fatto che i riti dell’aspersione con l’acqua
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e dell’incensazione sono strettamente pertinenti al corpo, vale la pena ricordare l’insistente avvertimento a omettere questi gesti in presenza delle ceneri: è il corpo, infatti, a essere stato reso tempio dello Spirito nel Battesimo e, in quanto tale, è chiamato a risorgere. La liturgia distingue, con vigore, il corpo da ciò che non lo è più. È il corpo rinato nelle acque battesimali, unto nello Spirito, nutrito nell’Eucaristia e che ha vissuto la carità nella testimonianza quotidiana a essere nuovamente toccato dal gesto rituale a memoria della sua identità e a profezia del suo destino di gloria. Una prassi nuova viene assunta sobriamente dal Rito per rafforzare la fede e la speranza nel Risorto che ci dona una vita che rifiorirà oltre la cenere. Di fronte alla società post-mortale, che ha chiuso gli occhi davanti a sora nostra morte corporale eloquenti e stimolanti sono alcune considerazioni offerteci da uno psichiatra non credente, il prof. Vittorino Andreoli, il quale, descrivendo la figura de Il prete del cimitero, afferma tra l’altro: “Ricordo che quando facevo il chierichetto, e ho cominciato presto, andavo volentieri a servire i funerali. Non so il perché, certo mi affascinava la benedizione della bara con l’acqua santa e l’incenso nel turibolo. Ma è curioso: questi viaggi diretti in paradiso sono stati i miei primi viaggi”. 4 Conclusione Dopo tutto quanto è stato richiamato, per concludere che dire? Ho pensato di consegnare, anzitutto, alcuni flash su come si vive oggi l’esperienza del funerale per risalire, poi, al Concilio con una suggestiva pagina della Lumen Gentium. I flash ce li offre il sociologo bergamasco Marco Mazzano nel libro Quel che resta dei cattolici — Inchiesta sulla crisi della Chiesa in Italia. Senz’altro non approverete, in
Formazione liturgica parte, poche o molte affermazioni. Queste, tuttavia, ci aiutano a percepire il problema del Rito delle Esequie, oggi. In molti contesti, dove la secolarizzazione morde di più, quello del funerale è diventato un rito assurdo. In tanti casi celebrato ancora in Chiesa solo per esplicita mancanza di alternative. Sono convinto che, da qui a qualche anno, lo scenario sarà occupato da un nuovo ceto imprenditoriale di cerimonieri dell’addio di specialisti del commiato. Già oggi, i contatti con il sacerdote per il funerale vengono spesso avviati dall’impresa di pompe funebri e non dai familiari del defunto. Il significato del funerale cattolico si è ridefinito seguendo i dettami dell’individualizzazione. Ho assistito a funerali nei quali le bocche dei partecipanti sono rimaste ben sigillate durante tutto il rito. Un’assenza quasi totale di partecipazione, imbarazzante per gli stessi congiunti del defunto, contriti e concentrati sul proprio dolore, ma, di fatto, assenti dalla cerimonia religiosa. Un parroco esasperato e frustrato dalla celebrazione di decine di funerali del genere mi ha confidato: “peggio dei funerali ci sono solo i matrimoni, perché almeno, durante le esequie, la gente sta seduta e non vaga per la chiesa scattando fotografie”. Non posso dire Il Signore sia con voi e vedere il pubblico rimanere impassibile, in silenzio tombale. Questo cambiamento culturale è innegabile anche in un’area di secolarizzazione decisamente meno avanzata, come il Nord-Est della Lombardia. Don Andrea, parroco di un piccolo comune del bresciano, mi ha raccontato che, quando i parenti si recano da lui per il funerale, lo inondano di dettagli sulla biografia del defunto e che lui, ogni volta, deve spiegar loro che, durante la cerimonia, non parlerà dello scomparso, ma, piuttosto,
della morte e della risurrezione di Cristo. Mi riferisce poi di aver introdotto, quando possibile, l’antica usanza della processione dietro la bara dalla casa alla chiesa perché il morto ci precede nell’accesso alla vita eterna e poi perché la morte va mostrata e non rimossa. Se si avessero ancora dei dubbi si vada a guardare la ricerca sui giovani e la fede. I giovani hanno difficoltà a pensare che la morte significhi la fine di tutto, ma, al tempo stesso, rigettano, o almeno fanno molta fatica ad accettare, le immagini dell’aldilà proposte dalla tradizione cristiana. Soprattutto alla risurrezione, insieme all’anima, del corpo, proprio del nostro corpo terreno, a quella non ci crede più quasi nessuno. Io credo che la ragione di questo scetticismo risieda nel fatto che il corpo è materia e la materia noi moderni tendiamo a pensarla di dominio della scienza e del sapere profano e non della religioneSiccome noi cristiani non siamo come coloro che non hanno speranza, ci nutriamo della certezza che ci viene offerta da una nitida pagina della Lumen Gentium al n.° 49: “Fino a che il Signore non verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con Lui e, distrutta la morte, non gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri, infine, godono della gloria contemplando chiaramente Dio uno e trina, qual é; tutti, però, sebbene in grado e modo diverso, comunichiamo nella stessa carità di Dio e del prossimo e cantiamo al nostro Dio lo stesso inno di gloria. Tutti quelli che sono di Cristo, infatti, avendo il suo Spirito, formano una sola Chiesa e sono uniti a Lui. L’unione, quindi, di coloro che sono in cammino con i fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata, anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali”
(LG 49). Può, forse, risultare inopportuna tanta insistenza? Se è vero che non c’è fede senza annuncio è altrettanto vero che la salvezza ci giunge per via sacramentale. Se la liturgia, allora, non è prioritaria alla evangelizzazione, le è, però, primaria. Se la Chiesa riscopre e continuamente ripropone la Liturgia come centro vitale del suo essere è perché ha acquisito dall’esperienza alcune convinzioni e precisamente: - Senza la liturgia si ha la Chiesa del silenzio. Come è pur vero l’altro aspetto: senza le corrispettive opere le Chiese diventano teatri. - Il rischio delle comunità ‘è di celebrare più di quello che si vive: c’è una preponderanza del celebrato sul vissuto. In questo caso i riti risulterebbero inefficaci e controproducenti. - L’autentico celebrare, allora, è un’operazione necessaria per passare dalla pratica rituale alla prassi ecclesiale, intendendo per pratica rituale l’abilità a porre con competenza un programma rituale istituito adeguandolo coerentemente alle circostanza concrete prassi ecclesiale la capacita di tradurre in mentalità, progettazione, e comportamento ciò che la liturgia celebra. Lo stacco fra liturgia e vita deve, sempre più, essere eliminato. Solo cosi, celebrando e vivendo quotidianamente l’Eucaristia, verremo confermati nella fede pasquale perché viviamo nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvator Gesù Cristo.
Camminiamo insieme
Don Piero Boselli direttore dell’Ufficio liturgico della Diocesi - Il nuovo rito delle Esequie
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Spazio Oratorio Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo” (Lv 26,11-12)
Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi…
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ari amici all’inizio di questo “Anno della fede” voluto fortemente da papa Benedetto ed in prossimità del S. Natale, solennità in cui Dio accetta di condividere la nostra storia facendosi uomo, mi sento di rivolgermi a voi con alcune riflessioni. L’uomo senza un’animazione spirituale cristiana della vita, rischia di curvarsi su se stesso per i propri errori, per le proprie infelicità, per la propria mancanza di senso. L’uomo incapace di “vedere” la luce di Dio che irrompe nella storia manca della forza morale che lo fa essere uomo; manca della capacità di guidare la scala dei valori della propria vita; manca delle ragioni trascendenti che danno la stabilità del vivere e del sostegno alle virtù umane troppo spesso lasciate in balia del soggettivismo e dell’indifferentismo della cultura in cui ci troviamo immersi. L’uomo, da sé, non sa darsi una risposta sulla propria esistenza e sul proprio essere, sul proprio andare e sul suo destino ultimo. L’uomo ricurvo su se stesso si crea degli idoli, che sono fragili e talvolta indegni; è mancante dello slancio verso l’Alto, verso quella sete d’infinito che è propria dell’uomo toccato dalla grazia del mistero dell’Incarnazione e della Risurrezione di Gesù Cristo. Tale Mistero
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permette all’uomo di credere che Dio ha stabilito la sua dimora in mezzo agli uomini e che cammina di fronte ad essi per guidarli nella storia e attraverso la storia, condividendo con l’uomo il tutto della sua esistenza, l’amare, il soffrire, il
gioire ecc.; tranne che la condizione di peccato! Noi gli andiamo incontro e canteremo nel Natale la sua gloria! Gloria di Dio fatto Uomo ricordandoci infondo che la sua gloria, come dice una celebre espressione di Sant’Ireneo, “è l’uomo vivente”. Amici, riconosciamo nel Natale di Cristo la vita nascente dell’uomo! Essa è creatura di Dio, creata a sua immagine e somiglianza, concepita in quell’amore che fa di due esseri, l’uomo e la donna, una vita sola per la gioia del mondo; che fa di due esseri puro dono attraverso cui si manifesta l’amore di Dio per l’umanità, che si fa dono gratuito per l’umanità amata di amore infinito dal suo Creatore.
Camminiamo insieme
D’altra parte il Natale di Gesù è la gloria di Dio: Dio in questo modo vuol farci capire il perché di fatti e avvenimenti inspiegabili e perfino scandalosi, vuole che l’uomo si accorga della continua azione di Dio-Padre (Autocomunicazione, Rivelazione di Dio all’uomo sua creatura) in cerca della sua creatura sperduta nei labirinti mortali da cui da sola non sa uscire. Questo Salvatore che nasce povero e umile e che viene annunciato ai pastori è quel Dio che al momento della sconfitta e delle tragiche conseguenze aveva garantito che qualcuno sarebbe venuto a schiacciare il capo del seduttore per riaprire le strade della Verità e della Vita. Gloria a Dio, cantano gli angeli, e nei cuori inteneriti dei rudi pastori comincia a fiorire la certezza che Dio non giudica e castiga, non abbandona la sua creatura, non si dimentica delle sue promesse e al momento opportuno si fa riconoscere. Il Natale di Gesù rivela oggi come ieri che la gloria di Dio è il suo amore per l’uomo senza condizioni e limiti, è la sua grandezza infinita mai compresa del tutto dall’uomo, è il mistero che lo circonda e invita la mente umana a non scoraggiarsi di cercare. Buon Natale! don Claudio
Spazio Oratorio Cantare è proprio di chi ama
Onoriamo i Santi Serata di riflessione sulle orme di San Francesco, Madre Teresa e Giovanni Paolo II, attraverso le voci del coretto e la lettura di alcuni testi significativi.
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’idea di condividere insieme la festa dei Santi, meditando sulla credibilità della loro esistenza, sull’umanità del loro agire e sulla straordinaria tensione verso Dio è stata accolta con gioia e viva partecipazione. Quando si parla di Santi, si ha come l’impressione di affrontare un argomento “alto”, che riguarda persone straordinarie, fuori dal comune, quasi irraggiungibili. Eppure, sfogliando le pagine della loro esistenza, si rimane stupiti dalla concretezza dei loro gesti e dall’autenticità delle loro azioni … azioni d’amore. I Santi, inebriati dall’amore di Dio, sentono l’incontenibile desiderio di condividere questa gioia incommensurabile con tutti, perché in ogni essere umano vedono riflessa l’immagine del Bene. Sono coraggiosi, i Santi: sanno dire di no a ciò che per costume è sì, sanno essere alternativi al pressappochismo, alla mediocrità, al non senso. La loro esistenza ripercorre le venature della croce di Cristo, quella croce che la sera del primo novembre è stata tracciata e illuminata dai ceri splendenti, portati dalle mani delle nostre coriste. Ben vengano, quindi, l’entusiasmo e la bontà delle bambine e delle ragazze del coretto, dei musicisti e di chi li guida con tanta passione. L’ entusiasmo dei piccoli può essere spiazzante, ma anche coinvolgente. Ho immaginato che San Francesco
fosse lì, tra loro, mentre intonavano le note del “Dolce sentire” per rinnovare la lode a Dio e farci godere della bellezza del creato. Il canto è un’espressione della nostra umanità che ha origini antiche, è speranza e ci permette di intessere una relazione particolare, tutta nostra, con Dio. Il Salmo 46 (47) dice: “Cantate inni a Dio, cantate inni, cantate inni al nostro re, cantate inni; perché Dio è re
del senso delle nostre esistenze. Sant’Agostino diceva: “Cantare è proprio di chi ama” e, come ben ricordiamo, anche il detto “Chi canta bene, prega due volte” annovera natali piuttosto remoti. Il canto è bello, è coinvolgente, è consolatore, è liberatorio. Il nostro coretto ce lo dimostra! Proviamo ad accompagnarlo sulle note speciali dedicate a Dio e ci ritroveremo a gioire insieme, nell’Amore. E. C.
Ringraziamento per la musica e per il canto
di tutta la terra, cantate inni con arte”. Il canto, perciò, è qualcosa di artistico, di bello. Tôb è la parola ebraica che troviamo tradotta con l’aggettivo “bello”, ma che ingloba in sé una serie infinita di significati. Tôb è la bellezza, ma è anche la bontà. È l’armonia, la bellezza interiore di chi, nella tensione verso Dio, prova gioia. Nella serata in onore dei Santi, anche le voci del nostro coretto, nella loro semplicità e spontaneità, ci hanno aiutato ad incontrare il Signore e hanno cercato di smantellare in noi quella cappa di sfiducia e pessimismo che talvolta ci accompagna, per dar spazio alla gioia della speranza, alla ricerca
Grazie, Signore, per averci dato il canto: al tuo cospetto cogliamo la sua meravigliosa armonia. Quando canto per te ti ascolto nel mio stesso canto. Alleluia. Grazie, Signore, per i canti: e per te che nel canto sei la musica. Quando canto per te, sei già presente nella mia capacità di cantare. Alleluia. Amen.
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Madre Teresa di Calcutta
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Vita pastorale Note di Pastorale per separati, divorziati. Documentazione per celebrare il Matrimonio.
Comunione ai cattolici in situazioni particolari
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Possono i divorziati fare la Comunione? I coniugi cattolici separati o divorziati, ma non risposati né conviventi, non sono “irregolari”, ma in “situazione difficile”, e quindi possono accostarsi alla Santa Comunione, se hanno tutte le altre condizioni richieste per ricevere il Sacramento (Grazia di Dio). Gli “irregolari”, cioè i cattolici che vivono una situazione coniugale contraria all’ideale evangelico del matrimonio, non sono ammessi alla Comunione Eucaristica in quanto la loro “situazione esistenziale è in contraddizione con la fede annunciata e celebrata nei Sacramenti” (Direttorio di pastorale familiare, 198). Non sono, però, esclusi dalla comunione ecclesiale e da quella salvezza che possono raggiungere in tanti altri modi attraverso la preghiera, la carità e l’onestà di vita.
Non basta essere regolarmente sposati per essere buoni cristiani. Le norme prevedono che anche gli “irregolari” possano accostarsi alla mensa Eucaristica a condizione che accettino di astenersi dagli atti propri dei coniugi pur vivendo un vincolo di affetto e di mutuo aiuto (cf Direttorio 220). Per questo il sacerdote non può rifiutare la comunione per non ledere la buona fama né violare l’intimità della coscienza (can. 220).
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Quali sono le condizioni richieste per essere Padrino/ Madrina ai Sacramenti del Battesimo, della Cresima e per essere Testimoni al Sacramento del Matrimonio? Il Padrino, la Madrina o il Testimone deve dichiarare di essere consapevole delle responsabilità che si assume davanti a Dio e alla Chie-
sa Cattolica e di 1. aver compiuto il 16.mo anno di età 2. professare la religione cattolica 3. aver ricevuto tutti e tre i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana, Battesimo, Cresima, Eucaristia; 4. contribuire all’educazione morale e religiosa nei confronti del/la cresimando/a; 5. impegnarsi a condurre una vita cristiana, conforme alla fede ed all’incarico che si assumo (ai sensi del Can. 874 del Codice di Diritto Canonico); 6. non trovarsi in nessuna di quelle condizioni indicate dalla Conferenza Episcopale Italiana il 28 Aprile 1979 (convivenza, matri- monio civile, nuovo matrimonio o convivenza dopo il divorzio). 7. non appartenere ad organizzazioni o associazioni condannate dalla Chiesa; 8. rinnovare infine, com’è suo dovere, la Professione di Fede Cristiana Cattolica. I Cresimandi che non sono stati battezzati in parrocchia devono presentare il certificato di battesimo richiedendolo alla parrocchia dove è stato celebrato ad uso cresima o matrimonio.
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Quali sono i documenti necessari per la Celebrazione del Matrimonio? Il matrimonio celebrato con rito religioso cattolico produce anche effetti civili. Prende il nome di Ma-
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Vita pastorale trimonio Concordatario poiché si basa sul Concordato tra la Santa Sede e lo Stato Italiano. Procedura da seguire e documenti necessari I documenti necessari per la celebrazione del matrimonio con rito religioso comprendono tutti quelli previsti per il matrimonio civile, e inoltre: - Attestato di frequenza al corso prematrimoniale. La Chiesa Cattolica richiede ai futuri sposi la partecipazione a un apposito corso preparatorio al matrimonio, da seguire presso una delle Parrocchie di provenienza oppure in una terza a scelta; la durata di tale corso di solito non supera i due mesi; - Certificato di battesimo ad uso matrimonio, rilasciato da non più di sei mesi. Tale documento viene rilasciato dalla Chiesa in cui è stato ricevuto il sacramento. Nel caso in cui sia impossibile procurarsi un certificato di battesimo recente o anche vecchio, sarà sufficiente andare dal Parroco insieme ad un’altra persona (cristiana) che confermi il ricevimento del sacramento. - Certificato di Cresima. Deve essere richiesto al parroco della parrocchia in cui è avvenuto il battesimo. Di solito, la Cresima è annotata nel certificato di battesimo. Se così non fosse, il certificato va richiesto alla parrocchia in cui si è svolta la cerimonia. - Prova di Stato Libero Ecclesiastico della persona. È necessaria quando uno degli sposi, dopo aver compiuto il sedicesimo anno di età, è stato residente in diocesi diverse da quella attuale. La Prova di Stato Libero avviene alla presenza di due testimoni: il Parroco istruisce un “processicolo” e raccoglie la testimonianza di due persone che hanno conosciuto lo sposo (o la sposa) nel periodo in cui ha avuto
la residenza in un’altra diocesi. Se non vi sono testimoni, la prova avviene tramite giuramento dell’interessato. Prodotti tali certificati, il parroco consegna ai futuri sposi la richiesta di pubblicazioni civili da portare in Comune. Quindi si procede con la prassi civile, aI termine della quale, l’Ufficiale di Stato Civile rilascerà il cer tificato di avvenute pubblicazioni civili. Tale documento, insieme ai certificati religiosi, verrà poi portato al Parroco che interrogherà separatamente i futuri sposi, durante il cosiddetto “Consenso”. Accertata l’assenza di irregolarità, il Parroco provvede alle “Pubblicazioni Religiose”. Le pubblicazioni, che indicano le generalità degli sposi e il luogo in cui intendono celebrare il matrimonio, vanno esposte in parrocchia o in entrambe se gli sposi non appartengono alla stessa. Qualora la coppia abbia deciso di sposarsi presso una Diocesi differente dalla propria, il Parroco di quest’ultima rilascia un modulo denominato stato dei documenti che, vidimato dalla Curia, andrà consegnafo alla Parrocchia prescelta per poter proce-
dere al matrimonio. Subito dopo la celebrazione, il Parroco compila l’atto di matrimonio in duplice originale ed entro i successivi 5 giorni ne trasmette una copia all’ufficiale di stato civile del comune in cui è avvenuto il matrimonio stesso. L’ufficiale trascrive l’atto il giorno seguente e comunica l’avvenuto adempimento al parroco. Effetti del Matrimonio Concordatario Il matrimonio concordatario produce gli stessi effetti del matrimonio civile: non dal momento della trascrizione, ma da quello della celebrazione, anche se l’ufficiale dello stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto. È opportuno che i candidati o i fidanzati, i padrini, le madrine, i testimoni e i genitori, in occasione del rito della Eucarestia, della Cresima, e del Matrimonio, si accostino ai Sacramenti della Confessione e Comunione.
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Ufficio liturgico diocesano
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Con la Chiesa Padre Lorenzo Agosti ci ricorda alcune ricorrenze significative nella sua Congregazione
Bicentenario dell’oratorio fondato dal beato Lodovico Pavoni C
arissimo don Mario, ti invio in allegato un breve testo su alcuni eventi che stanno caratterizzando quest’anno la nostra Congregazione, a cominciare dal bicentenario dell’oratorio fondato dal beato Pavoni. Vedi se può interessare la sua pubblicazione sul prossimo Bollettino parrocchiale. Sono tornato da qualche giorno dal Brasile, dove sono rimasto per quattro settimane. Da qui fin quasi a Natale ho ancora diversi appuntamenti impegnativi, con la conclusione delle celebrazioni di quest’anno (il 10 e il 2 dicembre a Brescia) e con la partecipazione l‘8 dicembre, nelle Filippine, alla creazione canonica della parrocchia che il Vescovo di Antipolo affiderà alla nostra Congregazione e che sarà dedicata al beato Lodovico Pavoni. Sarà la prima parrocchia a lui dedicata nel mondo, proprio nel decimo anniversario della sua beatificazione. Tra l’altro il 4 dicembre si aprirà ufficialmente nell’arcidiocesi di S. Paulo in Brasile il processo su una sorprendente guarigione là avvenuta, ottenuta dal Signore per intercessione del beato Pavoni. Si confida che questo evento possa portare alla sua canonizzazione. Spero che il tuo ministero pastorale a Castrezzato proceda sempre accompagnato efficacemente dalla grazia del Signore. Se non potremo vederci prima, sarà per il giorno dopo il Natale. Ti ricordo nella preghiera, ti ringrazio e ti saluto di cuore. P. Lorenzo
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uecento anni fa, nel maggio del 1812, Lodovico Pavoni, prete da cinque anni, dava inizio in Brescia ad un oratorio festivo e serale, aperto ai giovani più poveri ed emarginati, che si raccoglievano per la formazione cristiana, per pregare, per avere una guida, per fare gruppo, per un sano divertimento. In breve furono più di 250 i giovani che qui si riunivano. Questa fondazione è la prima realizzazione della missione educativa di padre Pavoni. Nel 1818 egli compirà un ulteriore passo. Accanto all’oratorio fonda un istituto, per consentire a molti giovani di avere una famiglia e un luogo di avviamento al lavoro. L’educazione attraverso il lavoro è l’attuazione più originale della sua missione. A lui si riconosce l’avvio in Italia delle prime scuole professionali, tra cui la scuola grafica (1821), con cui ha realizzato un significativo apostolato editoriale, continuato nella sua Congregazione con l’attività
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dell’editrice Ancora. La Congregazione dei Pavoniani ha promosso nel 2012, che coincide con il decimo anniversario della beatificazione del Fondatore, varie iniziative nelle nazioni dove ha esteso il suo carisma, caratterizzate da uno slogan dello stesso padre Pavoni: “Concepiamo sui giovani le più belle speranze”. Tra le altre è stato pubblicato un libro su questo argomento, scritto dal prof. G. Grasselli e intitolato: “A quella porzione della gioventù che f r sempre la prediletta “. L ‘Oratorio del beato Lodovico Pavoni nel bicentenario della fondazione. 1812-2012. E un secondo libro, sempre del prof. Grasselli, è in via di pubblicazione, collegato ad un altro anniversario: Sulle orme di Lodovico Pavoni — Nel centenario del ritorno dei Pavoniani a Brescia. 1912-2012. L’iniziativa più rilevante della Congregazione è stata certamente l’apertura, nel mese di ottobre, di una scuola in Burkina Faso, in fa-
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vore di ragazzi sordomuti, aspetto che rientra nel carisma pavoniano. Un’altra iniziativa significativa sarà, il prossimo 8 dicembre, la fondazione di una parrocchia nelle Filippine, che sarà dedicata al beato Lodovico Pavoni. La Congregazione intende così offrire il proprio apporto nella Chiesa alla nuova evangelizzazione soprattutto delle giovani generazioni. A questo scopo potrà contribuire anche Ia diffusione della conoscenza e della venerazione verso il beato Lodovico Pavoni (1784-1849), una figura che si colloca tra i grandi educatori e i santi patroni dei giovani. Un santo che, dalla piazza centrale del nostro paese a lui dedicata, richiama a tutti l’importanza di un forte impegno educativo e certamente benedice e protegge quanti con fiducia ricorrono alla sua intercessione. Padre Lorenzo Agosti Religioso pavoniano
Caritas e Carità Convegno zonale Caritas - Cossirano, 22 settembre 2012
Impegnati per il bene comune L
a nozione di bene comune e la sua promozione Il bene comune consiste nel “rendere accessibile all’uomo tutto ciò di cui ha bisogno, per condurre una vita veramente umana”. (Gaudium et spes, 26). Il compito di promuovere il bene comune spetta prima di tutto alla comunità civile. Ma a questo proposito la comunità civile deve valorizzare “l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati, sulla base del principio di sussidiarietà” (Costituzione italiana, art. 118). Tra i cittadini associati, da valorizzare, sono anche le comunità ecclesiali. Il bene comune non è la somma di beni individuali ma il “bene indivisibile per tutti” - fondato sull’uguale dignità di tutte le persone che comprende e trascende il bene dell’individuo per estendersi a tutta la comunità e a tutte le comunità, non solo a parte di esse. Riflettendo su questa nozione si coglie quanta strada ci sia da fare da parte di tutti, nell’ambito sociale, politico ed anche ecclesiale. La Chiesa ha promosso nei secoli il bene comune con dedizione, inventando e consolidando strutture nell’ambito educativo (scuole), sanitario (ospedali), economico (banche)... che sono entrate poi nei dettato costituzionale come esigenze da garantire da parte di tutti e di ciascuno. La promozione del bene comune e impegno civile. «La comunità civile e la chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio
di tutti in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo» (GS, 76). «Raccomando anche a voi, come alle altre Chiese che sono in Italia, l’impegno a suscitare una nuova generazione di uomini e donne capaci di assumersi responsabilità dirette nei vari ambiti del sociale, in modo particolare in quello politico» (Benedetto XVI ad Aquileia, 7 maggio 2011). Incontro con i poveri e testimonianza della carità. Povertà non è solo mancanza di cose. Povero è chi manca di sé, di vita, di amore, di fiducia, di coscienza, di umanità, di speranza, di solidarietà; povero è chi non ha rapporti con sé, con la realtà, con gli altri. Un modo preferenziale di testimoniare la carità è la solidarietà verso chi è povero, indifeso, non autosufficiente, perché vecchio, malato, disabile, immigrato, alcolizzato, drogato, barbone. Sono quelli che Paolo chiama le parti più deboli del corpo ecclesiale (I Cor 12,15-27). Senza questa solidarietà concreta, senza attenzione perseverante ai bisogni spirituali e materiali dei fratelli, non c’è vera e piena fede in Cristo. “Quello che avete fatto all’ultimo dei miei fratelli, l’avete fiato a me” (cfr. Mt 25). A questo riguardo Benedetto XVI, durante la Visita pastorale nel Nordest, aveva lanciato messaggi molto concreti: «Continuate a testimoniare l’amore di Dio anche con la promozione del bene comune: il bene di tutti e di ciascuno. Continuare ad offrire il vostro contributo per umanizzare gli spazi della con-
vivenza civile. Suscitare una nuova generazione di uomini e donne capaci di assumersi responsabilità dirette nei vari ambi- ti del sociale, in modo particolare in quello politico, capaci di edificare una “vita buona” a favore e al servizio di tutti». «La missione prioritaria che il Signore vi affida oggi, rinnovati dall’incontro personale con Lui, è quella di testimoniare l’amore di Dio per l’uomo. Siete chiamati a farlo prima di tutto con le opere dell’autore e le scelte di vita in favore delle persone concrete, a partire da quelle più deboli, fragili, indifese, non autosufficienti, come i poveri, gli anziani, i malati, i disabili, quelle che san Paolo chiama le parti più deboli del corpo ecclesiale (cfr. 1 Car 12,15-27). Le idee e le realizzazioni nell’approccio alla longevità, preziosa risorsa per le relazioni umane, sono una bella e innovativa testimonianza della carità evangelica proiettata in dimensione sociale». Alla luce dell’esortazione del papa e nella promozione del bene comune, ossia “il bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo”. In questo ambito sono stati posti i seguenti quesiti: • Su quali aspetti, che paiono carenti o particolarmente bisognosi, le comunità cristiane oggi sono maggiormente sti- molate a impegnarsi per perseguire il bene comune? • Quali settori o aspetti socio-culturali sollecitano oggi la collaborazione e la partecipazione attiva delle nostre Chiese? Con quali realtà e soggetti pubblici è prioritario oggi collaborare sul territorio in vista del bene comune?
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Spazio Con la Parrocchia oratorio L’importanza della radio parrocchiale
A proposito della radio parrocchiale Recentemente si è tenuta a Castenedolo, presso la sede della Emittente Cattolica Zonale (E.C.Z.), il 26 novembre 2012, l’Assemblea dei Soci dell’E.C.Z. cui è affiliata anche la nostra Radio Parrocchiale. L’incontro è stato introdotto da una Relazione di Mons. Giacomo Canobbio, Delegato Vescovile per la Pastorale della Cultura, dal titolo “La radio al servizio della parrocchia: strumento prezioso per la pastorale”. È risaputo quanto sia utile il collegamento con la parrocchia, non solo per seguire le celebrazioni liturgiche, ma anche per interpretare in chiave cristiana i fatti e per portare il vangelo negli ambiti della vita concreta della gente. Per aiutare i parrocchiani a rendersi conto della preziosità del servizio della Radio parrocchiale, presentiamo qui la comunicazione del Direttore Responsabile dell’E.C.Z. Dott. Stefania Brunelli e il PALINSESTO della Radio ECZ per l’anno 2012/ 2013. Invitiamo pertanto i parrocchiani, non solo a seguire le funzioni che vengono fatte in chiesa negli orari consentiti, ma anche ad inoltrarsi nell’ascolto dell’ECZ negli altri orari, assaporando le ricche proposte di ascolto. Grazie.
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rmai da molti anni, per l’esattezza dal 1990 ed ufficialmente dal `93 la sua parrocchia con altre 63 comunità è socia dell’ECZ, l’Emittente Cattolica zonale, la radio nata dall’esigenza, dettata dall’entrata in vigore della Legge Mammì, di salvare la voce delle singole parrocchie che fino a quel momento nel “far west” dell’etere arrivava grazie alle tante radio parrocchiali nate negli anni 80. La nuova legge imponeva oneri troppo gravosi per le piccole realtà radiofoniche locali, così in Diocesi si pensò alla possibilità di realizzare una nuova radio in grado di rispondere a tutte le disposizioni previste e capace di diventare voce delle singole parrocchie, prevedendo magari spazi a loro completamente riservati. Se la costituzione della nuova emittente, alla quale le ex radio parrocchiali cedettero i rispettivi impianti, fu da un certo punto di vista relativamente semplice, più complesso si è rivelato l’iter legislativo per ottenere la possibilità, riconosciuta a ciascuna parroc-
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chia, di gestire autonomamente alcuni momenti della programmazione. Finalmente nel luglio 2001, l’autorizzazione alla “differenziazione dei programmi” (questo è il termine tecnico corretto) è arrivata. E’ evidente che ad ogni autorizzazione concessa il Ministero contrappone limiti e disposizioni che ne regolano l’esercizio. Così la legge prevede tassativamente che la differenziazione sia possibile per non più di 5 ore al giorno ( a dire il vero 4 ore e 55 minuti) in fasce orarie prestabilite (dall’Assemblea dei soci) e non diversificabili nonché la registrazione quotidiana della messa in onda locale (delle ore in cui si trasmette di fatto) ed
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il mantenimento della stessa per i tre mesi successivi( a questo proposito stiamo provvedendo a preparare un sistema di registrazione che verrà poi fornito alle parrocchie che ancora non ne sono dotate). Naturalmente la registrazione deve avvenire grazie a strumenti idonei. Disposizioni, queste, che devono essere rispettate pena il ritiro dell’autorizzazione e lo spegnimento dei singoli impianti. Una volta terminata la messa in onda locale è fondamentale (pena pesanti multe ministeriali) la ripresa del segnale e della programmazione dell’ECZ che deve essere in onda 24 ore su 24. Ricordiamo poi che nel caso in cui nelle ore previste per la differenziazione si desideri mandare in onda(in diretta o in differita) programmi diversi dalle celebrazioni liturgiche, è indispensabile comunicare con il debito anticipo alla sede centrale contenuti, orari e date della trasmissione in modo da escludere il perpetrarsi di eventuali violazioni alla normativa vigente. È evidente che ciascuno preferi-
Con Spazio la Parrocchia oratorio rebbe essere libero di fare come vuole e di non avere vincoli. Le fasce orarie, che devono rispondere alle esigenze di 64 parrocchie, con messe celebrate spesso in orari differenti, oltre a rispettare la programmazione realizzata dalla sede centrale, costringono inevitabilmente a qualche rinuncia. E’ anche vero però che l’alternativa è quella di non potere usufruire di alcun servizio ovvero nessuna messa, nessuna piccola trasmissione locale. Infine crediamo sia importante, fermo restando la validità del “piccolo”, fare conoscere la propria realtà e gli sforzi di quanti vi collaborano quotidianamente ad una platea più vasta, come potrebbe essere quella provinciale. Non dimentichiamo poi, che il comunicare e quindi diffondere una particolare iniziativa al di fuori della nostra realtà locale può spesso fungere da valido stimolo e da esempio per gli altri. Il Direttore responsabile Dott. Stefania Brunelli
La frequenza di Radio ECZ per Castrezzato è
87.800 Mhz
Fasce per la differenziazione Dal lunedì al sabato dalle 7.00 alle 7.30 dalle 8.00 alle 9.30 dalle 18.00 alle 19.30 dalle 20.00 alle 21.30 Domenica dalle 8.30 dalle 18.00
alle 12.00 alle 19.30
Palinsesto 2012-2013 Lunedì 07.00 inBlu Notizie 07.06 Oggi in edicola 07.40 Riflessioni Kolbe 08.00 RG Radio Vaticana 08.16 Zoom 08.30 Recita del S. Rosario 09.03 Celebrazione della S. Messa 10.03 Block Notes 10.09 Popoli tra sogni e speranze 11.30 Oggi parliamo di... 12.30 ECZ Giornale 12.37 Cosa c’è da vedere 13.30 ECZ Giornale 13.37 Cosa c’è da vedere 15.00 Pomeriggio inBlu 17.00 Serata inBlu 18.00 Fuori gioco! 19.03 Celebrazione della S. Messa 19.40 ECZ Giornale 19.46 Cosa c’è da vedere 20.05 Fuori gioco! (R) 21.00 Oggi parliamo di... (R) Martedì 07.00 inBlu Notizie 07.06 Oggi in edicola 07.40 Riflessioni Kolbe 08.00 RG Radio Vaticana 08.16 Zoom 08.30 Recita del S. Rosario 09.03 Celebrazione della S. Messa 10.03 Block Notes 10.09 Letture 12.30 ECZ Giornale 12.37 Cosa c’è da vedere 13.30 ECZ Giornale 13.37 Cosa c’è da vedere 15.00 Pomeriggio inBlu 17.00 Serata inBlu 19,03 Celebrazione della S. Messa 19.40 ECZ Giornale 19.46 Cosa c’è da vedere 20.05 Bienvenida america latina 21.00 A ruota libera (R) (solo il primo e terzo martedì del mese) Mercoledì 07.00 inBlu Notizie 07.06 Oggi in edicola 07.40 Riflessioni Kolbe 08.00 RG Radio Vaticana 08.16 Zoom 08.30 Recita del S. Rosario 09.03 Celebrazione della S. Messa 10.03 Block Notes 10.09 Informazione liturgico pastorale 12.30 ECZ Giornale 12.37 Cosa c’è da vedere 13.30 ECZ Giornale 13.37 Cosa c’è da vedere 15.00 Pomeriggio inBlu 17.00 Serata inBlu
19.03 Celebrazione della S. Messa 19.40 ECZ Giornale 19.46 Cosa c’è da vedere Gìovedì 07.00 inBlu Notizie 07.06 Oggi in edicola 07.40 Riflessioni Kolbe 08.00 RG Radio Vaticana 08.16 Zoom 08.30 Recita del S. Rosario 09.03 Celebrazione della S. Messa 10.03 Block Notes 10.09 Giovedì insieme 11.09 Il punto della settimana 12.30 ECZ Giornale 12.37 Cosa c’è da vedere 13.30 ECZ Giornale 13.37 Cosa c’è da vedere 15.00 Pomeriggio inBlu 17.00 Serata inBlu 19.03 Celebrazione della S. Messa 19.40 ECZ Giornale 19.46 Cosa c’è da vedere Venerdì 07,00 inBlu Notizie 07.06 Oggi in edicola 07.40 Riflessioni Kolbe 08.00 RG Radio Vaticana 08.16 Zoom 08.30 Recita del S. Rosario 09.03 Celebrazione della S. Messa 10.03 Block Notes 10.09 Insieme... all’opera! 11.09 A ruota libera... (solo il secondo e quarto venerdì del mese) 12.15 Cucina e tradizione 12.30 ECZ Giornale 12.37 Cosa c’è da vedere 13.30 ECZ Giornale 13.37 Cosa c’è da vedere 15.00 Pomeriggio inBlu 17.00 Serata inBlu 19.03 Celebrazione della S. Messa 19.40 ECZ Giornale 19.46 Cosa c’è da vedere Sabato 07.00 inBlu Notizie 07.06 Oggi in edicola 07.40 Riflessioni Kolbe 08.00 RG Radio Vaticana 09.03 Amico liscio 12.15 Cucina e tradizione 12.30 Block Notes 15.06 Pomeriggio inBlu 17.07 II punto della settimana (R) 19.00 Celebrazione della S. Messa 21.00 Insieme... all’opera! (R) Domenica 07.40 Riflessioni Kolbe 09.00 Celebrazione della S. Messa 10.30 Celebrazione della S. Messa 15.00 La buona novella 18.00 Celebrazione della S. Messa
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Spazio Oratorio oratorio
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Spazio Con la Parrocchia oratorio 28 ottobre 2012
Cresime e Prime Comunioni
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omenica 28 ottobre, Festa della Dedicazione della Chiesa parrocchiale, Mons. Vittorio Formenti, Delegato dal Vescovo di Brescia Mons. Monari, ha conferito il sacramento della Confermazione a 54 pre-adolescenti, che nella stessa celebrazione hanno ricevuto la Prima Comunione secondo le nuove modalità previste dalla Diocesi circa l’iniziazione cristiana dei fanciulli. Presentiamo in queste pagine i momenti salienti della celebrazione. La celebrazione è stata bellissima e ordinata: sono stati molto bravi sia i ragazzi che i genitori e i padrini e il Coretto.
Mons. Vittorio intrattiene i cresimandi, i genitori ed i Padrini prima della cerimonia. Dà la parola al geom. G.Manenti, che illustra l’iniziativa missionaria svolta da lui in estate, con la moglie Irma, la maestra Maria Antonia Galli ed alcuni volontari, in una missione di Suor Elvira nello Stato di Bahia.
Mons. Vittorio e il Parroco concelebrano la messa delle Cresime.
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Don Vittorio presenta al popolo l’affresco recuperato ( e da lui donato) alla Parrocchia in ringraziamento alla Madonna degli Angeli. Si tratta del 2° strappo, avvenuto in epoca imprecisata e ricuperato fortunosamente in una dimora gentilizia bresciana.
La bellissima foto di gruppo dei Cresimati e Comunicati, in bella posa davanti all’altare maggiore.
Con la Parrocchia Il programma della Commissione pastorale della famiglia
La famiglia a 50 anni dal Concilio
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arissime Famiglie, come ben sapete, è il 50° anniversario del Concilio Vaticano II, iniziato nell’ottobre del ‘62 da Papa Giovanni XXIII e portato a compimento da Papa Paolo VI nel dicembre del ‘65. La domanda spontanea è: ”Che ne è del Concilio dopo 50 anni?” il Concilio è vivo e va tenuto vivo, come pietra miliare, per quanto riguarda la famiglia che viene esplicitamente presa in considerazione dalla Gaudium et Spes (gioia e speranza): la dignità del matrimonio e della famiglia (47-52). Questo importante documento del Concilio ribadisce che la famiglia è la cellula fondamentale della comunità ecclesiale e quella civile e da essa comincia la redenzione della società umana. Il Concilio vede la famiglia come un luminoso servizio alla vita e condanna severamente l’aborto e l’infanticidio come “abominevoli delitti”. Infine il Concilio raccomanda particolare attenzione alla famiglia come “scuola di umanità più ricca” da parte di coloro che vi sono più direttamente interessati: genitori, sacerdoti, autorità civili, medici, psicologi ecc. Il concilio, in poche parole, è il primo grande alleato della famiglia. I suoi insegnamenti non vanno dimenticati. Sull’onda emotiva di quanto testè enunciato, la nostra Commissione Pastorale della Famiglia ha così ripreso il proprio cammino. Il 24 Novembre si è tenuto il primo incontro (la Pizzata con le famiglie): una serata in allegria all’oratorio,
alla quale hanno partecipato numerose famiglie, introdotta da un pensiero di Monsignor Mario: «la Chiesa deve annunciare il Vangelo nella predicazione, nella catechesi ma soprattutto nella testimonianza concreta, per realizzare questo progetto, tutti, dobbiamo collaborare». A questo proposito vogliamo farvi memoria dei prossimi incontri formativi che la pastorale delle famiglie propone in un percorso educativo e costruttivo, in vista di una duplice meta:
4) Il 21 aprile 2013 presso la Comunità di Villa Regia a Lonato si terrà una giornata “full immersion” dedicata alle famiglie. 5) Il 18 maggio 2013 la pastorale della famiglia animerà la Veglia di Pentecoste. Stiamo pensando di proporre un pellegrinaggio per le famiglie, potrebbe svolgersi il 1 Maggio 2013 (la diocesi ne ha organizzato uno alla Madonna della Formigula a corticelle di Pieve a Dello. Sono bene accette proposte alternative).
- Il simposio di Pastorale Famigliare del 15-6-2013 “Famiglia pietra viva della comunità”
«Ogni situazione può diventare bella e ogni difficoltà viene affrontata con speranza se hai qualcuno da amare, se hai un grembo fiducioso che ti accoglie. Sono le relazioni benefiche e importanti che trasformano tutto l’universo, perché ci cambiano il modo di vedere, di sentire, di gustare ogni istante della nostra vita. Le radici di una famiglia devono attingere dall’inesauribile e benefica sorgente dell’amore coniugale, abitato e trasformato dalla presenza di Gesù Cristo. Solo così, la piccola chiesa domestica, potrà fondare e nutrire la grande chiesa universale» don G. Comini
- Contributo alla preparazione ed allo svolgimento del Sinodo Diocesano per le unità pastorali. 1) Il 30 dicembre è la giornata della Sacra Famiglia, la S. Messa sarà animata dalla pastorale della famiglia. In questa occasione, verrà distribuita a tutte le famiglie l’immagine benedetta dell’icona raffigurante la Sacra Famiglia inaugurata durante l’IMF (incontro mondiale delle famiglie) 2) Il 16 febbraio 2013 in oratorio ci sarà un incontro che avrà come relatori: i missionari della Comunità di Villaregia (Teresa e padre Sergio) 3) Il 16 marzo 2013 in oratorio ci sarà un incontro che avrà come tema: “Famiglia chiesa domestica”, relatore Don Giorgio Comini (direttore della Pastorale famigliare della Diocesi di Brescia)
Nel salutarvi, fiduciosi nella vs. piena adesione ai ns. inviti, con queste semplici parole vogliamo augurarvi che il Santo Natale vi faccia riscoprire il gusto delle cose semplici e dello stare insieme. Tanti Auguri.
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La Pastorale della Famiglia
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Vita in parrocchia
Con la Parrocchia Cronaca dell’assemblea annuale tenuta in San Lorenzo il 24 ottobre 2012
Incontro dei Lettori
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Il Parroco introduce e relaziona. Importanza del Ministero del Lettore e il suo inserimento nella commissione liturgica (dai documenti della Chiesa dopo il Concilio)
Il canto, i gesti e gli atteggiamenti del corpo, il silenzio liturgico (par. 56) hanno la loro importanza (lo stare in piedi, o seduti, o inginocchiati hanno il loro preciso significato).
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La Liturgia della Parola comprende: la proclamazione delle Letture bibliche (sempre fatta dall’ambone), il salmo responsoriale, l’acclamazione prima della Lettura del Vangelo (l’Alleluia), l’omelia (la predica), la Professione di fede (il Credo), la preghiera universale. Con la preparazione dei doni inizia la liturgia eucaristica.
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Importanza e dignità della celebrazione eucaristica (dall’Ordinamento generale del Messale Romano). La proclamazione della Parola di Dio è particolarmente rilevante nella celebrazione del Mistero eucaristico. Nella celebrazione della messa (nella quale si perpetua il Sacrificio della Croce) Cristo è realmente presente A) Nell’Assemblea riunita nel suo nome B) Nella persona del Ministro (il Vescovo o il presbitero) C) Nella sua Parola (che viene onorata, incensata, baciata, portata processionalmente) D) In modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche del pane e del vino consacrati.
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Tra i diversi elementi della Messa, sta la Lettura della Parola di Dio e la sua spiegazione (paragr. 29 dell’Ord. gen. Mess. Rom.). Il Presidente della Celebrazione Eucaristica (che è il Presbitero) ha delle competenze che solo lui può svolgere, par. 30/31/32. Il sacerdote - in quanto Presidente - formula le preghiere a nome della Chiesa e della Comunità riunita.
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capacità di adattamento nel Gruppo dei Lettori. Procurarsi prima, se è possibile, il foglietto, oppure (ed è meglio) avere il Messalino festivo o feriale: c’è anche la possibilità dell’abbonamento. Vita cristiana serena, esemplare, generosa. Auguri a tutti e grazie per la vostra collaborazione.
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Spazio per gli interventi dei presenti.
Rinnovo abbonamento al bollettino per l’anno 2013
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Cosa è richiesto al lettore? a) Puntualità b) Preparazione nella lettura del testo (mai improvvisare) c) Voce alta d) Guardare l’uditorio, ogni tanto e) Respiri opportuni e pause giuste, evitando i due estremi (la fretta e la prolissità studiata) f ) Attenzione all’uditorio (la partecipazione prevalente dei bambini o degli anziani esige duttilità e malleabilità) g) Rispettare la tempistica nel salire o scendere dai gradini dell’ambone. h) Farsi capire mentre si legge (leggere con la lingua legata o oscura non permette la comprensione).
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La nostra situazione: il grazie a chi legge ed a chi organizza. Reperimento di nuove disponibilità. Avere cura particolarmente delle messe domenicali. Curare con particolare attenzione le Feste e le Solennità. Fraternità e
Le Incaricate passeranno a ritirare la quota di abbonamento per l’anno prossimo, che rimane ancora di € 15,00. Vi ringraziamo per la fiducia che ci accordate! Camminiamo Insieme, il nostro bollettino, rimane ancora la via più diretta per seguire la vita della Parrocchia e dell’Oratorio e offrire occasioni di formazione cristiana delle famiglie. Alle Incaricate per la distribuzione il nostro vivissimo ringraziamento.
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Con la Diocesi Rovato, 17 ottobre 2012
Incontro del vescovo Monari con i preti della Macrozona
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Introduzione del Vescovo: “Quale figura di prete emerge dal Vaticano II? Lo scarto inevitabile tra il modello ideale e la realtà concreta. Il soggetto della pastorale in diocesi è il Vescovo con il suo presbiterio. Non c’è azione pastorale personale (nel senso di avulsa dal contesto della comunione con il presbiterio).Via principale perché si realizzi l’azione pastorale della diocesi sono la comunicazione e l’amore fraterno. Quello che interessa è di creare, edificare autentiche comunità cristiane. Edificare una comunità è tutto e comporta tanti fattori: occorre distinguere le cose più importanti da quelle relative. L’orientamento verso questo obiettivo è il fine delle stesse Unità pastorali. Il Vescovo è qui per ascoltare. Si da il via agli interventi.
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Parroco di Coccaglio: il problema del linguaggio. Per portare il vangelo occorre rendersi comprensibili all’uomo d’oggi.
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Don Rivadossi fa rilevare la tristezza, a volte, dei rapporti tra i preti. La più bella predica è la comunione tra i preti. Don Gianni Donni, Rovato. La realtà odierna è complessa: c’è un marasma di linguaggi e di messaggi.
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Don Battista Rossi, Azzano. La realtà ci sta superando. Bisogna privilegiare la missionari età. Chi ci segue sarà più o meno il 20%. Compito primario è annunciare alla società attuale il Vangelo.
all’oggi che avanza. C’è da parte nostra timore e frammentazione. Occorre dare fiducia vera ai laici, conferendo loro alcune forme di responsabilità diretta. La pastorale si è fatta complicata: è necessario semplificarla. Chiede al Vescovo di dare alcune linee orientative al presbiterio, in sintonia con i dettami pastorali del Vaticano II°: tra queste alcune linee chiare sull’obbedienza.
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Don Angelo Mosca, Pontoglio. Non siamo più maggioranza, ma minoranza. Occorre prenderne atto.
Don Antonio Tonoletti. Provocatoriamente rileva che non è bene che parroci e curati vadano d’accordo (Lo diceva anche Mons. Morstabilini) Occorre insistere sull’iniziazione cristiana degli adulti (il RICA).
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Don Daniele Faita - Cellatica. C’è carenza nelle società di memoria, di relazioni, di creatività. Don Fattorini - Adro. La nuova evangelizzazione è urgente. In merito c’è un buon libro di Brognoli (Verona). Don Angelo Veraldi presenta la propria esperienza personale di ministero extra- parrocchiale.
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Don Renato MusattiOspitaletto. Abbiamo oggi timore di fronte
Il vescovo risponde. Occorre riordinare le domande e le risposte per non ripetersi. Si mostra d’accordo sulla questione del linguaggio. Giovanni XXIII parlava di “aggiornamento”: occorre oggi consapevolezza di fede autentica e profonda. Pure necessaria è la comunione nel presbiterio. L’immagine usata da S. Paolo: le membra più indecorose sono trattate con maggior rispetto; fuor di metafora, al centro della Comunità dobbiamo mettere quelli che contano di meno, i più deboli, i più poveri. Circa i problemi di irregolarità matrimoniale. La disciplina della Chiesa è nota. È vero che non siamo soddisfatti di alcune soluzioni adottate. Anche per i bresciani, non c’è formula pastorale che converta tutti. Fa presente che se ci sono preti anziani da visitare da parte del Vescovo, lo si faccia sapere a Mons. Polvara. Sulla forma-
Con la Diocesi zione dei laici: assumersi responsabilità diretta per alcune cose? Occorre richiamare i laici a legare la loro professione concreta alla fede: evangelizzazione e missionarietà. Leggendo il passato, noi rileviamo che i cosiddetti Ordini Mendicanti avevano svolto questa funzione per il rinnovamento della Chiesa. Molto importante l’iniziazione cristiana degli adulti. Riscoprire la Quaresima come tempo opportuno dell’iniziazione cristiana degli adulti. Sarebbe bello giungere alla rinnovazione delle promesse battesimali nella veglia pasquale dopo un vero itinerario personale e comunitario dei 40 giorni antecedenti. Il Vescovo rileva che la frammentazione dei preti è conseguenza della frammentazione della società in generale. La società contemporanea è frutto di una impostazione empirica e tecnico-pratica del vivere sociale. Occorre riscoprire la Liturgia come forza di comunione incredibile all’interno della Chiesa. Bisogna aiutare i nostri cristiani a rendersi conto di quanto stiamo facendo: andando in Chiesa si dice di sì alla Parola che salva. Nell’azione pastorale la creatività è preziosa. Siamo in tempo di crisi su vari fronti: ma quando si va in crisi bisognerebbe riconoscere gli errori che stanno alla base della crisi. Il bisogno suscita creatività. Ringrazia e saluta i presenti. L’incontro chiude alle ore 12,00. don Mario
Date dei Battesimi dell’anno 2013 13 Gennaio Festa del Battesimo del Signore. 10 Febbraio 30 Marzo Sabato Santo Veglia Pasquale. 14 Aprile Domenica II di Pasqua. 12 Maggio Ascensione. 9 Giugno 14 Luglio 11 Agosto 8 Settembre 13 Ottobre 17 Novembre 8 Dicembre
Ore 11,00 Ore 11,00 Ore 21,00 circa Ore 11,00 Ore 11,00 Ore 11,00 Ore 11,00 Ore 11,00 Ore 11,00 Ore 11,00 Ore 11,00 Ore 11,00
La redazione e i collaboratori augurano alla Comunità di Castrezzato
un sereno Natale e un felice 2013 Festa degli Anniversari di Matrimonio Domenica 20 gennaio 2013 celebreremo in Parrocchia la festa degli Anniversari di Matrimonio secondo le modalità già collaudate. Le coppie che nel corso del 2012 hanno celebrato degli anniversari significativi di nozze sono invitate alla Messa delle ore 11. Informazioni presso l’Ufficio parrocchiale, nelle giornate di lunedì e martedì (mattino e pomeriggio). Sul tavolino, in chiesa sono disponibili i fogli informativi sull’iniziativa. Le iscrizioni devono pervenire entro la Festa dell’Epifania. Invitiamo le coppie di sposi che hanno ricordato gli anniversari di matrimonio e soprattutto il 25° e il 50° a prendervi parte, estendendo l’invito a parenti e amici. Ai partecipanti sarà dato un ricordo della ricorrenza.
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Cronaca Il coro Don Arturo Moladori nel tradizionale concerto natalizio
Concerto di Natale
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l tradizionale concerto natalizio del coro “Don Arturo Moladori” anche quest’anno ruoterà attorno a Maria, figura centrale nel mistero dell’Incarnazione. Già lo scorso anno infatti era stato proposto il Magnificat di Antonio Vivaldi, quest’anno sarà presentato il Magnificat di un musicista tedesco contemporaneo, Christoph Schönherr (1952). Egli ha scritto questa composizione nel 2004-2005 per il decimo anniversario del Festival Internazionale del Coro C. H. O. I. R., che si riunisce ogni anno a Ochsenhausen, un comune tedesco situato nel land del Baden-Württemberg, per lezioni e concerti. Molte parti di questo Magnificat sono state composte all’interno delle mura dell’ex Abbazia Benedettina di Ochsenhausen, ora Accademia Statale per i Giovani Musicisti del Baden-Württemberg. Si tratta di un’opera moderna, per certi versi lontana dal repertorio del nostro coro, che unisce sapientemente swing, jazz, funk, ritmi latini, pop, rock, gospel: una sfida stimolante che aiuterà i coristi a crescere artisticamente, grazie all’esplorazione di nuovi ambiti musicali, e che mira a coinvolgere anche i ragazzi, i giovani, forse talvolta intimoriti dalla musica classica. L’autore utilizza il testo latino del Magnificat e il coro canta in latino, mentre la voce solista, che rappresenta Maria, canta lo stesso testo ma nella traduzione inglese,
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tranne nei casi in cui essa stessa si unisce al coro; quest’ultimo fa da sfondo alle sezioni soliste, riprendendo-i pensieri di Maria ed esprimendoli in modo corale; laddove invece il solista non canta, il coro rappresenta il popolo, la cosiddetta turba nella tradizione musicale. Il compositore stesso afferma che l’uso simultaneo di una lingua antica, il latino, e di una lingua moderna, l’inglese, ha per lui un preciso significato: “la vicenda di Maria è antica, ma non ha perso la sua attualità e viene narrata nella lingua della musica rock e jazz”. Per questo dunque Maria canta in lingua, musica e stile contemporaneo. Del resto nella composizione è presentata in tutta la sua profonda umanità, è una donna che gioisce e piange, per questo è con noi nelle nostre lotte e sofferenze.
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Quest’opera la ritrae come una giovane donna forte, che canta la sua felicità per la grazia che ha ottenuto presso Dio, ma che, esprimendo il suo concetto di Dio, si pone nettamente a favore dei poveri e dei bisognosi: L ‘anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore... Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. In realtà si tratta di parole forti, sorprendentemente moderne, per musicare le quali Schönherr usa elementi stilistici della musica rock e funk: il cuore della composizione infatti è nei due movimenti centrali: Fecit potentiam e Deposuit potentes. Questi sono collegati con gli altri movimenti dell’opera attraverso idee musicali espresse nel sorprendente brano Dispersit super-
Cronaca bos, dove il coro si cimenta anche in un “parlato ritmico” che si scioglie poi in un “vociare di popolo” di grande impatto emotivo. Non mancano movimenti di grande dolcezza e di impostazione classica, come Et exaltavit humiles, nel quale il crescendo esprime musicalmente il movimento dell’innalzamento (“ha esaltato gli umili”), cosi come la ripetizione, spostata continuamente verso l’alto, delle medesime frasi sia mu-
sicali sia del testo, fino a giungere al forte, subito stemperato da un piano che puntualizza quasi con stupore la parola humiles. Travolgenti il Gloria Patri a ritmo di samba e l’Amen finale in stile gospel. Si tratta senz’altro di una proposta d’ascolto che potrebbe risultare inizialmente spiazzante, soprattutto per chi ci segue da anni; ma sicuramente apprezzabili, secondo noi, sono la capacità di speri-
mentare, il tentativo di esprimersi e parlare alle persone, a chi ci ascolta, anche con linguaggi nuovi. E quest’anno il nostro modo di porgere a tutta la comunità gli auguri di pace e serenità di cui abbiamo tanto bisogno si traduce in questo canto e in questa musica piena di gioia dirompente. M. Elena Bonfiglio
Il presepe, rappresentazione dell’incarnazione di Dio
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ella spiritualità carmelitana, il mistero dell'incarnazione è considerato come il più grande miracolo con cui la gloria di Dio scende sulla terra e l'amore misericordioso abbraccia tutto il genere umano. Dio si fa uomo. Diventa il nostro amico, il nostro fratello, il nostro grande Padre che viene a incontrare ciascuno nel proprio essere. il grande momento in cui ciò si realizza, è il Mistero del Natale. Un'alba nuova sorge all'orizzonte del cammino dell'umanità. D'ora innanzi gli sguardi saranno rivolti a quell'aurora di vita, di gioia, di pace, di salute, di bontà, di misericordia, di beatitudine, di amore e di speranza. Questo è il grande dono del Santo Natale. Quando oggi si celebra la festa del Natale, si riprende sotto diversi punti di vista tutto ciò che ha colpito da secoli i nostri padri e le nostre madri. Non si fa semplicemente memoria di un avvenimento storico, ma si cerca di celebrarlo
come l'irruzione dell'Amore divino che viene a colmare ogni esistenza con la sua bontà e pace. I nostri genitori ci hanno insegnato come dobbiamo contemplare il Santo Bambino per accogliere nel nostro
cuore l'amore divino che egli vuole portare nel mondo. Luigi, Gianluca Briola e Nadia Guerrini (ideatori di questo presepio)
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Cronaca A piedi da Castrezzato a Santiago de Compostela e ritorno
Due valorosi pellegrini
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ue nostri concittadini, dopo aver ricevuto la benedizione dei pellegrini in chiesa prima di partire, hanno effettuato dal 28 agosto al 3 ottobre 2012 un impegnativo pellegrinaggio a piedi al celebre santuario di Santiago de Compostela in Spagna (migliaia di Km…) con sosta al Santuario di Lourdes, nel ritorno. Eccoli in queste due foto: li riconoscete? Quanto a resistenza, non si lasciano battere da nessuno! Congratulazioni!
Federica Bariselli, il 15 novembre 2012, ha conseguito la Laurea in Fisioterapia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Brescia. Alla dottoressa Bariselli i nostri complimenti e l’augurio che possa aver assaporato nel successo scolastico solo la prima delle grandi gioie che la vita ci può regalare.
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Cronaca Due gravi lutti nella nostra comunità
Nella preghiera il nostro ricordo Due gravissimi lutti hanno funestato questi mesi di autunno: la tragica morte sulla strada di Michela Lupatini (16 ottobre) e l’incidente mortale sul lavoro del giovane papà Zini Daniele “mago” (9 novembre). Alle famiglie delle due carissime vittime porgiamo ancora le nostre più sincere condoglianze ed assicuriamo un ricordo affettuoso nella preghiera. La redazione del Bollettino ha gentilmente richiesto ai famigliari di Michela alcune foto, accompagnate da un pensiero. Essi hanno accolto il nostro invito e ci hanno consegnato le due foto che qui riproduciamo, accompagnandole con un pensiero affettuoso. C’è da ricordare che anche Michela aveva fatto quest’estate il cammino di Santiago e ne era rimasta entusiasta.
Daniele “Mago” Zini
Ricordando Michela
“Sol chi non lascia eredità di affetti, poca gioia ha nell’urna”. Tu ne hai lasciati di affetti, Michela, e chi ti ha voluto bene vorrebbe riaverti qui. Ma bisogna guardare oltre e Tu ci hai sempre insegnato che si può. Il tuo sorriso, la tua dolce fermezza ci faranno compagnia e ci aiuteranno a percorrere il cammino che ci resta, triste perché senza di te, ma pieno di speranza, perché alla fine ci ritroveremo nella luce che non muore. I tuoi cari.
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Cronaca Il saluto alla consorella delle Madri Canossiane, sepolta nel nostro cimitero il 30 ottobre 2012
In memoria di Madre Cesarina Biloni
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asciare questa vita terrena per quella dell'eternità a 96 anni, significa portarsi via una lunga storia personale e di vita consacrata a Dio. Più di una volta la nostra cara M: Cesarina ha bussato alla porta del Paradiso, ma doveva percorrere, ancora„ la via della Purificazione, che è stata per Lei, davvero lunga e dolorosa. Coloro che l'hanno conosciuta, e sono tanti, la ricordano come una persona amabile, precisa, comprensiva, serena e contenta della scelta della sua vita. M. Cesarina sapeva incoraggiare, apprezzare, mettere in risalto il ben che le sorelle compivano, e con semplicità chiedeva scusa per le sue mancanze e peri suoi limiti. Aveva la capacità di costruire pace e armonia là dove c'era qualche scaramuccia ed era attenta a dirimere le piccole. inevitabili incomprensioni. La lettura, i lavori di ricamo e di cucito, erano per M. Cesarina la sua occupazione giornaliera, da quando fu trasferita ad Iseo nel 2001. Finché le fu possibile si dedicò ad aiutare le sorelle inferme in piccoli servizi o a tenere loro compagnia. Mantenne sempre molto vivi i rapporti con i suoi familiari che le hanno sempre manifestato il loro affetto con frequenti visite e telefonate..(Anche il cugino dall'Australia, periodicamente le telefonava ed essa ne godeva profondamente.) Col passare del tempo, le sofferenze fisiche diventarono sempre più acute ma M. Cesarina non Si
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lamentò mai e ringraziava quanti le procuravano sollievo. M. Cesarina passava le sue giornate pregando , meditando, nutrendosi di buone letture e accogliendo sempre sorridente le persone che le facevano visita. Ripeteva speso: "Signore, aiutami ad accettare con pazienza e amore, ogni contrattempo" Con te e per te, carissima madre Cesarina, diciamo "grazie al Signore che ha fatto fruttifica re i semi di bene da te sparsi con abbondanza
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nel cuore dei bimbi della scuola materna e delle adolescenti che frequentavano la scuola di lavoro di Gardone Riviera nei 25 anni della tua permanenza in quel paese tanto ospitale e che tanto hai amato. Madre Cesarina, d'ora innanzi, libera dagli affanni terreni, invoca pace, luce amore e gioia per la Chiesa, per il mondo, per l'Istituto e per tutti coloro che hai incrociato sul tuo lungo sentiero di vita.
Cronaca Madre Cesarina nel ricordo di don Pollini
Guarda e fa secondo l’esempio ricevuto
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hi sia stata Madre Cesarina probabilmente resterà in gran parte solo nel cuore di Dio, semplice e schiva com’ era lei, incapace ed estranea ad ogni forma di protagonismo. Ho avuto la grazia di avere da sempre la sua predilezione, poiché portavo il nome (Giovanni) del giovane fratello, sacerdote salesiano, scomparso prematuramente in terra straniera, di cui lei custodiva l’affettuosa memoria. Quando divenni sacerdote, questa sua predilezione divenne ancor più intensa e si tradusse nel preziosissimo dono della sua costante e fedele preghiera per me. Vorrei ricordare Madre Cesarina a partire dalle cose (almeno alcune) che lei mi ha insegnato, non con le parole, ma col suo esempio. La gioia del quotidiano e l’amore per le cose ordinarie: ricordo Madre Cesarina la domenica pomeriggio, nella casa delle madri Canossiane, che era l’oratorio per noi bambini e ragazzi, mentre vendeva dolcetti o gelati, oppure mentre faceva una partita a carte con noi o semplicemente in conversazione con chi era presente. In queste circostanze ciò che mi colpiva era sempre il suo volto. Stava facendo cose piccole, qualcuno potrebbe addirittura giudicarle banali, eppure in queste cose ordinarie lei era presente in modo consapevole e gioioso tanto che sembrava, e certamente era così, che ciò che faceva fosse la cosa più importante al mondo e che mai avrebbe voluto fare altro. Amare
ciò che siamo, ciò che facciamo, con una gioia non cercata distrattamente all’ esterno ma coltivata dentro di noi. La passione apostolica: mi pare di vedere ancora Madre Cesarina impegnata nella diffusione della stampa cattolica o dei foglietti dell’Apostolato della preghiera: ricordo anche di essermi più volte trovato tra le mani la sua corona quando, nel mese di maggio, recitavamo il Rosario davanti alla grotta della Madonna delle Madri, oppure quando, col suo sguardo premuroso e cortese, in chiesa mi passava il suo messalino perché io potessi seguire meglio l’ ascolto della Parola di Dio. Piccoli gesti, carichi di passione e amore, come anima di ogni forma di annuncio. La fedele appartenenza alla Famiglia Canossiana: la mia vocazione al sacerdozio ha trovato nell’ esempio delle nostre Madri Canossiane uno stimolo preziosissimo, e in Madre Cesarina un esempio speciale. Credo che se, per qualsiasi motivo, fosse andata perduta la regola di Santa Maddalena per le sue suore, guardando a Madre Cesarina si sarebbe potuto riscriverla fedelmente. La gioia di essere stata chiamata alla vita consacrata come Madre Canossiana. L’amore alla Parrocchia e alla comunità: Madre Cesarina trovava sempre il modo più discreto e silenzioso per mettersi al servizio della Parrocchia. Anzitutto stimava i sacerdoti, dando a tutti noi un’ esempio limpido e sincero, poi prestava i suoi servizi con dedizione e
gioia; tra i tanti servizi che svolse a Gardone, ricordo, ad esempio, il lungo periodo nel quale andava la domenica mattina, nella frazione di San Michele, a fare catechismo ai bambini e a partecipare con loro alla Santa Messa. La capacità di anteporre il bene della comunità al proprio. L’ amore al servizio: quando noi ragazzi ci fermavamo il sabato o la domenica sera a cena con le Madri, era impossibile superare in velocità Madre Cesarina che, appena finita la cena già indossava il grembiule per mettersi al lavandino, posto che nessuno poteva “rubarle”. È solo un piccolo indizio, fra i tanti del suo stile: donarsi con slancio dove poteva esserci un bisogno. Se lasciassi scorrere i ricordi e la penna, credo che mi dilungherei più di quanto già ho fatto, facendo torto alla memoria di Madre Cesarina che, se potesse, probabilmente cancellerebbe la maggior parte delle cose che ho scritto. Ringrazio il Signore di essermi trovato sul suo cammino perché ciò mi ha concesso la grazia di conoscere una persona straordinaria che è stata Madre Cesarina. Ora la immagino esile e felice, austera e nello stesso tempo capace di accoglienza autentica verso tutti, camminare alla presenza del Signore trasfigurata dalla malattia che se ce ne fosse stato bisogno, l’ha purificata, ma soprattutto ne ha provato la robustezza interiore. Sono certo che dal cielo continua ad intessere con l’Onnipotente preghiere e suppliche per tutti coloro che ha conosciuto ed amato, in particolare per la famiglia canossiana e per la comunità di Gardone Riviera che così a lungo a servito con passione e autentico spirito evangelico. Vorrei applicare a me stesso e proporre anche a chi l’ ha conosciuta, il motto di Santa Maddalena: Guarda e fa secondo l’ esempio ricevuto.
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Calendario liturgico
Calendario liturgico pastorale Dicembre 2012 Feste Natalizie 21 Venerdì - ore 20,30: Liturgia penitenziale e confessioni per tutti. 22 Sabato - Mattino e pomeriggio: Tempo destinato alle confessioni natalizie. Ore 20,45: Concerto di Natale (quest’anno si tiene nel Teatro/Auditorium dell’Oratorio) 23 Domenica IV di Avvento - Orario festivo delle Sante Messe. 24 Lunedì - Vigilia di Natale. Mattino e pomeriggio: tempo destinato alle confessioni. Sono presenti i confessori straordinari. Ore 24,00 Messa di mezzanotte. 25 Solennità del Natale. Orario festivo delle Sante Messe. (Ore 8 - 9,30 - 11,00 - 18,00) 26 Festa di S. Stefano. Orario festivo delle Sante Messe. 27 S. Giovanni Apostolo ed Evangelista. 28 Santi Innocenti Martiri. 30 Domenica della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. N.B. Le Messe festive sono animate dalla Commissione Pastorale della Famiglia. 31 S. Silvestro Papa. Ore 18,00 S. Messa pro populo e canto del Te Deum (indulgenza plenaria).
Gennaio 2013 – Mese della Pace 1 Solennità di Maria Santissima, Madre di Dio. Giornata mondiale della PACE. Ore 18,00: S. Messa vespertina e Canto del Veni Creator per il nuovo Anno (Indulgenza Plenaria) 3 Santo Nome di Gesù. 4 Primo Venerdì de mese: S. Comunione ai Malati.
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6 Solennità dell’Epifania. Orario festivo delle S. Messe. N.B. nel pomeriggio: Presepe vivente e S. Messa per le famiglie e bacio a Gesù Bambino. 10 Giovedì: a S. Bernardino di Chiari Ritiro mensile dei sacerdoti. 13 Festa del Battesimo di Gesù. Battesimi comunitari (ore 11,00) 17 S. Antonio Abate, Patrono della vita agricola . N.B. Oggi e domani: Benedizione delle stalle e degli allevamenti. 18 Venerdì - Inizio dell’Ottavario di Preghiera per l’Unità dei Cristiani (18-25 gennaio) 20 Domenica II del T.O. Ore 11,00: S. Messa degli Anniversari di Nozze. 21 S. Agnese, Vergine e Martire. 24 Giovedì - Ore 20: inizio dei Sacri Tridui dei Defunti (25, 26 e 27 gennaio) 27 Domenica III del T.O. Ore 18,00 S. Messa conclusiva dei Tridui. 31 Festa di S. Giovanni Bosco. N.B. In serata, nella chiesetta dell’Oratorio, ore 20,30 S. Messa a suffragio di tutti i giovani defunti. Febbraio 2013 2 Presentazione del Signore. Candelora. 3 San Biagio. Benedizione della gola. 11 B. V. di Lourdes 13 Mercoledì delle Ceneri; inizio della Quaresima. 15 S.S. Faustino e Giovita, Patroni della Diocesi 17 Domenica I di Quaresima 24 Domenica II di Quaresima
Anagrafe parrocchiale
Anagrafe parrocchiale Rinati in Cristo (battesimi)
Nella luce di Cristo (defunti)
Trenta Giorgia di Cristian e Alfieri Chiara Briola Edoardo di Cristian e Coccaglio Daniela Gabriele Nicholas Gino di Maurizio e Carotenuto Mariateresa Abiendi Francesca di Alessandro e Maestrelli Moira Paccani Nicholas di Luigi e Machina Marina Pozzi Diana di Andrea e Baresi Chiara Satta Serena di Aldo e Cannatella Rosanna Lochis Lorenzo di Giuliano e Noci Alessandra Tozzi Asia di Luca e Incorvaia Tiziana
Salvoni Eugenia di anni 78 Olivari Caterina di anni 68 Lorini Adele di anni 84 Turra Eugenia di anni 94 Zanini Arduino di anni 66 Lupatini Michela di anni 30 Zini Daniele di anni 34 Suor Cesarina Biloni - Canossiana di anni 96 Zilioli Guglielmo di anni 62 Pighetti Francesca di anni 78
Indulgenza plenaria per l’Anno della fede È stato pubblicato, il decreto della Penitenzieria Apostolica che ha annunciato la concessione dell’indulgenza plenaria per l’intero Anno della fede, quindi dall’ 11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013. L’indulgenza verrà concessa in occasione di «particolari esercizi di pietà» ai fedeli pentiti, confessati e comunicati, che pregheranno secondo le intenzioni del Papa. Quattro le occasioni indicate dal decreto: durante almeno tre lezioni sugli Atti Concilio Vaticano II e sugli articoli del Catechismo del 1992; in pellegrinaggio a una Basilica papale, una catacomba cristiana o una chiesa Cattedrale; ogni volta che parteciperanno ad una celebrazione
eucaristica; se rinnoveranno le promesse battesimali in formule legittime. Chi non potrà partecipare materialmente a queste occasioni potrà comunque lucrare l’indulgenza quando, «particolarmente nei momenti in cui le parole dei Sommo Pontefice o dei vescovi diocesani verranno trasmesse per televisione e radio», recheranno le preghiere richieste nelle proprie case o nei luoghi dove l’impedimento li trattiene. E il caso delle monache di clausura, dei carcerati, degli anziani e degli infermi, come pure di «coloro che, in ospedale o in altri luoghi di cura, prestano servizio continuativo ai malati».
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