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n° 37 dicembre 2013 - febbraio 2014

amminiamo insieme C Periodico della ComunitĂ dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato


Sommario

Camminiamo insieme

Periodico della Comunità parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato N. 37 dicembre 2013 - febbraio 2014

Hanno collaborato a questo numero: mons. Mario Stoppani, don Claudio Chiecca, mons. Vittorio Formenti, Silvana Brianza, don Carlo Rocchetta, Catechisti e Animatori dell’Oratorio, Annamaria Casali, Azione Cattolica Parrocchiale, Eleonora, Genitori del gruppo Antiochia del Cammino ordinario e dell’A.C.R. Contributi di: C.E.I. (Conferenza Episcopale Italiana), mons. Luciano Monari, mons. Vincenzo Zani, Segretario della Congregazione per l’Educazione cattolica e le Università cattoliche, Uffici pastorali della Diocesi di Brescia, Gruppo missionario parrocchiale, P. Aldino Cazzago Fotografie Erika Zani Segreteria Agostina Cavalli Impaginazione Giuseppe Sisinni

In copertina Vetrata della Natività (opera contemporanea) Fin da bambini abbiamo fatto il presepio. Ci è sempre piaciuto farlo con fantasia e originalità. Quante volte abbiamo guardato con commozione i personaggi del presepio, soprattutto, ovviamente, Gesù Bambino, la Madre Maria e Giuseppe. Senza di loro il presepio non è presepio. Manchino pure il bue o l’asinello, pure gli Angeli che cantano”gloria”; togliamo pure pastori, pecorelle e cammelli, ma loro tre non possono mancare. L’artista di questa vetrata ci ha dato l’essenziale e a noi basta. Forse non saremo “moderni”, o aggiornati ad un Natale neutro o pagano. Ma per noi il Natale è Gesù che nasce per noi, ieri come oggi, e porta gioia e pace. Fortunati noi se Lo sapremo accogliere con amore. Sarà la nostra speranza di vita. Quel fragile Bimbo divino è “Figlio dell’Altissimo e sulle sue spalle sta la capacità di portare ed annientare il male di tutti”. Grazie, Gesù, per essere nato per noi! Tu solo hai avuto compassione per noi peccatori! (d.m.)

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Sommario 3 4 6 10 14 16 24 29 34 40 42 48

Lettera del Parroco A Natale l’amore s’è fatto visibile

Spiritualità Natale: un Bambino segno della speranza

Con la Chiesa Paolo VI trentacinque anni dopo

Con la Chiesa Evangelii Gaudium

Testimonianze La maternità

Con la Diocesi La legge non muta la realtà delle cose

Divagando sul Natale La poesia del Natale...

Vita pastorale Il sogno di ogni coppia

Spazio oratorio Andate e fate discepoli in tutte le nazioni

Vita in parrocchia Una domenica a Lonato in ascolto dello Spirito

Vita in parrocchia Cresime e prime Comunioni

Cronaca Custodire e valorizzare il patrimonio storico e artistico


Lettera del Parroco La famiglia e il silenzio

A Natale l’amore s’è fatto visibile

C

arissimi, due pensieri molto semplici vorrei esprimervi in questo Natale: il primo sulla famiglia e il secondo sul silenzio pieno di Dio, silenzio nel quale avvenne il Mistero del Natale più di duemila anni fa. Se a Natale dimenticassimo la piccola famiglia che da Nazareth giunse a Betlemme perché si compisse la “Promessa”, non sarebbe Natale! Non sarebbe più quella festa che allarga il cuore infondendo fiducia e speranza. E non per quella bontà dolciastra che riemerge solo a Natale e che si dimostra incapace di affrontare l’urto della realtà crudele e dura di ogni giorno, ma per il fatto oggettivo di un Dio che ha “Ha avuto misericordia di noi, ha lasciato il suo trono di gloria, ed è sceso nella valle di lacrime delle nostre abissali miserie per prenderle su di Sé”. Il Natale, prima di appartenere all’uomo, appartiene a Dio: un Dio che si fa visibile e accessibile in “una carne simile a quella di noi peccatori”, direbbe l’apostolo Paolo. A Natale Dio bussa alla porta del cuore di ogni uomo. Bussa per entrare in ogni vita, per essere compagno di viaggio, amico, guida, salvezza. Dio non è stanco dell’umanità e continua a sorprenderci. Scriveva anni fa il card. Martini ai milanesi: “Ci sono tanti modi particolari con cui il futuro di Dio bussa alla porta di una famiglia. E da quando il divino Bambino è guardato con amore da Maria e Giuseppe non è più possibile pensare che ogni

famiglia non sia chiamata ad essere il luogo di rivelazione dell’Amore. Se in una famiglia ci si ama davvero, ci si accoglie, ci si accetta, ci si perdona, ci si aiuta, lì c’è Dio”. Quanto è bello che tutti insieme in famiglia si riviva l’eterna freschezza del Natale! Non è poesia da strapazzo, ma una realtà possibile che riguarda ogni nostra famiglia. In un’epoca e in un contesto culturale che “snobba” o peggio mina la famiglia, è utile riscoprire con semplicità che la famiglia è un bene prezioso per l’uomo, per l’umanità. Non è casuale che tra le prime premure di Papa Francesco quella della famiglia sia prioritaria (vedi il Sinodo mondiale sulla famiglia previsto per il 2014-2015), nonostante le enormi difficoltà e le incomprensioni del nostro tempo circa questo bene prezioso.

Il secondo pensiero è sul silenzio del Natale di Cristo. Quanto accadde duemila anni fa, avvenne proprio nel profondo silenzio della notte, e furono pochi pastori pieni di meraviglia a mettersi in cammino verso Betlemme per vedere quello che era stato annunciato dall’Angelo. Quei pastori, dopo aver visto, tornarono alle loro case con l’animo pieno di gioia. Il vero silenzio interiore non è un vuoto di vita, ma presenza misteriosa della vita. Le cose grandi Dio le compie nel silenzio: così è stato al momento della nascita di Cristo, così è stato nelle notte della risurrezione. Il mistero della nascita di Cristo ha cambiato il corso della storia umana, rendendola storia di salvezza. Se nel presepio fermeremo il nostro sguardo su Maria, contemplando con stupore la sua divina maternità, ci sarà più facile penetrare nel silenzio vivo dell’incarnazione e come i pastori potremo tornare alla vita con l’animo pieno di gioia. “ Non lasciatevi rubare la speranza! Per favore!”. Questo invito che papa Francesco va lanciando da quando è papa, raggiunga anche noi mendicanti di amore. Sia davvero il Natale un segno di speranza per tutti. A tutte le nostre famiglie giungano i migliori auguri di un Natale di speranza. Buon Natale. Don Mario

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Spiritualità La nostra speranza è Gesù

Natale: un Bambino segno della speranza

«N

on lasciatevi rubare la speranza. Per favore». È quasi un grido che papa Francesco sta lanciando spesso nei suoi interventi pubblici. Durante la giornata della gioventù, a Roma, il 24 marzo scorso. Ai giovani del carcere di Casal del Marmo, nella messa in Coena Domini del Giovedì santo. Nella solennità dell’Assunta, il 15 agosto, a Castel Gandolfo. A Cagliari, do-

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menica 22 settembre. È un invito forte che scuote il cuore di tutti, anche se è rivolto soprattutto ai giovani. In questi tempi di sfiducia e di crisi di valori e di lavoro, con tasso di disoccupazione giovanile che ha raggiunto quasi il 40%. «La speranza — sottolinea il Papa — è una grazia, è un dono di Dio, è la virtù di chi, sperimentando il conflitto, la lotta quotidiana tra la vita e la morte, tra il bene e il male,

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crede nella Risurrezione di Cristo, nella vittoria dell’Amore». La speranza, per noi cristiani, ha un volto ben preciso che contempleremo nel mistero del Natale. La nostra speranza è Gesù, la Parola del Padre fatta carne. «Questo per voi il segno: trovete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,12), disse l’angelo ai pastori di Betlemme duemila anni fa.


Spiritualità Un Dio che si presenta bambino per guardare l’umanità dal basso. Come farà prima di consegnarsi liberamente alla morte, al termine della vita, quando si chinerà per lavare i piedi degli apostoli. Un bambino incapace di parlare ma che ci dona la notizia più bella e sconvolgente, quella di cui ciascuno ha immensamente bisogno e che riempie di consolazione: Dio ci ama con una tenerezza senza pari e ci dona la forza di diventare a nostra volta amore. Il bambino di Betlemme ci dice, come ce lo ricorda ogni bambino che nasce nella storia, in ogni parte del mondo, che Dio non si è stancato di noi. Egli sa che noi abbiamo bisogno di non essere soli. Ci vede continuamente mendicanti d’amore, di amicizia, di solidarietà, di tenerezza e ci dice: «Tu non temere, perché io sono con te» (Is 41,10). L’incarnazione del Figlio di Dio unisce il cielo e la terra, elimina le distanze, colma l’abisso creato dalla disobbedienza del peccato. Anche a noi, però, viene chiesto di metterci in cammino, come Maria e Giuseppe, come i pastori. Ci viene chiesto di cercare la luce uscendo dalle tenebre, di compiere l’esodo non sempre facile e indolore dai nostri egoismi, chiusure e autosufficienze. Scriveva il vescovo Tonino Bello (1935-1993): «Andiamo fino a Betlemme, come i pastori. Mettiamoci in cammino senza paura. Il Natale di quest’anno ci farà trovare Gesù e, con lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, la fontana della pace, la gioia del dialogo, la tenerezza della preghiera. E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza». Incontrare Gesù, il segno della speranza, significa impegnarci per il bene. Un racconto indiano narra che, una sera, un anziano capo Cherokee, raccontò al nipote la battaglia che avviene nel cuore

dell’uomo. Gli disse: «Figlio mio, la lotta è fra due lupi che vivono dentro di noi. Uno è infelicità, paura, preoccupazione, gelosia, dispiacere, autocommiserazione, rancore, senso di inferiorità. L’altro è felicità, amore, speranza, serenità, gentilezza, generosità, verità, compassione». Il piccolo rimase pensieroso, poi domandò: «Nonno, quale lupo vince?». Il saggio Cherokee rispose semplicemente: «Quello a cui dai da mangiare». Per la realizzazione felice di noi stessi e per costruire un mondo migliore, secondo il vangelo, c’è certamente bisogno dell’aiuto di Dio ma anche noi dobbiamo fare la nostra parte. Michel Quoist (1921-1997) scrisse: «Se la nota dicesse: “Non è una nota che fa una musica”, non ci sarebbero sinfonie! Se la parola dicesse: “Non è una

parola che può fare una pagina”, non ci sarebbero i libri! Se la pietra dicesse: “Non è una pietra che può alzare un muro”, non ci sarebbero le case! Se la goccia dicesse: “Non è una goccia d’acqua che può fare il fiume”, non ci sarebbe l’oceano! Se il chicco di grano dicesse: “Non è un chicco di grano che può seminare il campo”, non ci sarebbe la messe! Se l’uomo dicesse: “Non è un gesto d’amore che può salvare l’umanità”, non ci sarebbero mai né giustizia né pace, né dignità né felicità nella terra degli uomini. Come la sinfonia ha bisogno di ogni nota, come il libro ha bisogno di ogni parola, come la casa ha bisogno di ogni pietra, come la messe ha bisogno di ogni chicco di grano, così l’umanità intera ha bisogno di te, là, dove sei, unico e dunque insostituibile!».

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Con la Chiesa Dopo 15 anni di pontificato, trentacinque anni fa moriva Paolo VI

Paolo VI trentacinque anni dopo

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ella solennità della Trasfigurazione di trentacinque anni fa moriva Paolo VI dopo quindici anni di pontificato. Una stagione della storia della Chiesa assai complessa. Il Concilio ecumenico Vaticano II aveva aperto una diga di acque feconde. Giovanni XXIII era stato incaricato dallo Spirito Santo a una rinnovata incarnazione dello spirito di fede in un tessuto logoro. La Chiesa come istituzione era forte nella sua organizzazione, ma dopo la II Guerra mondiale aveva smarrito la sintonia con il respiro della gente; la Parola di Cristo non mordeva più la carne della storia umana, aveva perso il ruo-

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lo di bussola nell’orientamento del vivere quotidiano. La «strage inutile» della guerra, i campi di concentramento e di sterminio, il genocidio degli ebrei, degli zingari, degli handicappati e anche dei cri-stiani aveva acceso negli animi una domanda di fuoco: «Ma Dio dov’è?». Le ideologie avevano scavato fossati. La gran parte dei credenti, giustamente preoccupata di ricostruire le città e dar lavoro alle fabbriche, si era adagiata su una fede tradizionale alimentata dai riti e dalla frequenza ai sacramenti e, quindi, ancorata su una secolare e splendida pratica religiosa, ma dal respiro corto. La fede così divenne

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anemica quindi bisognosa di riconquistare valori grandi capaci di offrire una ragione per vivere. Nell’intuizione di papa Giovanni XXIII nell’indire un Concilio ecumenico e soprattutto in Paolo VI nel volerlo continuare pur essendo appena iniziato, c’era il desiderio di tessere il corso della storia moderna con i colori della Redenzione portata da Cristo Gesù. Paolo VI era consapevole che sono le cose ultime della vita che scandiscono il ritmo di marcia dell’esistenza umana. Questo anelito non solo anima tutti i documenti conciliari, ma Paolo VI l’ha fatto riecheggiare anche all’Assemblea delle Nazioni Unite. Dopo aver indicato all’ONU il compito della costruzione della pace e della giustizia tra i popoli, papa Montini ha detto: «Quest’edificio che state costruendo si regge non solo su basi materiali e terrestri, sarebbe un edificio costruito sulla sabbia, ma si regge soprattutto sulle nostre coscienze. [...] Mai come oggi, in un’epoca di tanto progresso umano, si è reso necessario un appello alla coscienza morale dell’uomo! [...] L’edificio della moderna civiltà deve reggersi su principi spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e animarlo». In questo mese di novembre non vogliamo rivestire con i colori dell’autunno la luce dell’aurora, ma dare al tramonto della vita la luce luminosa dell’alba che esce dal grembo del buio per accendere e rafforzare le speranze della giornata. Giovanni Battista Montini ha


Con la Chiesa

vissuto gran parte della sua esistenza a servizio della Chiesa nel confine delle mura vaticane. Concretamente, secondo un’espressione di papa Francesco, ha assorbito «l’odore delle pecore», caratteristica di un buon pastore d’anime, durante il suo ministero episcopale a Milano: la diocesi più grande del mondo sia per il numero di fedeli, di parrocchie e, ovviamente, per la presenza di sacerdoti. La sua esistenza è stata una costante tensione nello scoprire e nel tentare di vivere la volontà di Dio. Il suo sguardo penetrante sapeva cogliere nei frammenti del quotidiano i messaggi di eternità e li comunicava come scialuppa di speranza alle persone care.

Erano i primi passi della «car-riera» ecclesiastica quando morì Benedetto XV. In una lettera ai suoi familiari narra l’evento e la visita dei fedeli romani al papa defunto. In questa lettera il giovane don Montini esprime una singolare riflessione sulla morte che può aprire uno spiraglio di luce sulla nostra fede nell’immortalità. Dopo la descrizione della lunga fila dei fedeli, del servizio d’ordine, ecco finalmente la fila si muove: ecco íl Papa. «... e la mano, stanca di benedire, riposa sul petto augusto e inerte. Si ha la percezione inconsa-pevole di essere di fronte ad una morte simbolica. Perché il più grande enigma umano, la morte, viene a coprire finalmente anche Pietro che si dice vincitore della morte e padrone, testimone

dell’aldilà. Tutta questa folla che passa e contempla e non si sazia, pare che voglia spiare, attraverso le palpebre chiuse, un qualche raggio nascosto dell’alba eterna; guarda e pensa lontano; e neppure prega, perché crede che la preghiera sia già consumata in un trionfo; passa e non parla più, quasi per non svegliare il Dormiente. Pietro, perché dormi? [...1 Già, qui sotto la cupola michelangiolesca anche San Pietro è morto ed è sepolto. Andiamo a pregare -(all’altare della Confessione N.d.R.). Finalmente con la fronte appoggiata sul marmo gelato, si prega, viene sulle labbra il Credo; il Credo, sulla tomba dell’apostolo che piantò il vessillo della Croce, il polo di attrazione dell’umanità, dei secoli della storia, qui dove (Pietro) morendo ha vissuto la verità della fede». Il giovane don Battista, com’era chiamato in famiglia, prosegue la sua lettera ponendo a confronto il dramma di una morte senza speranza, come avvenne nella preistoria, nelle tribù nomadi nei deserti, nelle sabbie tropicali, nelle foreste, gente che «non sa di vivere, se non quando muore». Nella basilica di San Pietro, davanti al feretro di un papa, don Battista descrive la testimonianza perenne di «Pietro che muore e risuscita, muore sapendo di non morire, ma di essere partorito a una vita immensamente più intensa come più grande è la paternità di Dio». Montini, giovane «minutante» alla Segreteria di Stato, saluta Benedetto XV con una preghiera: «Ecco, o Padre, noi ti lasciamo non come orfani, perché la tua paternità veniva da Dio e tu, tante volte, ce l’hai avvicinata questa divina familiarità con la tua benedizione; Tu, come Cristo, hai dato la vita per il tuo gregge, hai pregato che fossimo consumati nell’unità dell’adorazione celeste».

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Con la Chiesa 36a Giornata Nazionale per la Vita - 2 febbraio 2014

Generare futuro

«I

figli sono la pupilla dei nostri occhi... Che ne sarà di noi se non ci prendiamo cura dei nostri occhi? Come potremo andare avanti?». Così Papa Francesco all’apertura della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù ha illuminato ed esortato tutti alla custodia della vita, ricordando che generare ha in sé il germe del futuro. Il figlio si protende verso il domani fin dal grembo materno, accompagnato dalla scelta provvida e consapevole di un uomo e di una donna che si fanno collaboratori del Creatore. La nascita spalanca l’orizzonte verso passi ulteriori che disegneranno il suo futuro, quello dei suoi genitori e della società che lo circonda, nella quale egli è chiamato ad offrire un contributo originale. Questo percorso mette in eviden-

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za “il nesso stretto tra educare e generare: la relazione educativa si innesta nell’atto generativo e nell’esperienza dell’essere figli”, nella consapevolezza che “il bambino impara a vivere guardando ai genitori e agli adulti”. Ogni figlio è volto del “Signore amante della vita” (Sap 11,26), dono per la famiglia e per la società. Generare la vita è generare il futuro anche e soprattutto oggi, nel tempo della crisi; da essa si può uscire mettendo i genitori nella condizione di realizzare le loro scelte e i loro progetti. La testimonianza di giovani sposi e i dati che emergono da inchieste recenti indicano ancora un grande desiderio di generare, che resta mortificato per la carenza di adeguate politiche familiari, per la pressione fiscale e una cultura

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diffidente verso la vita. Favorire questa aspirazione (valutata nella percentuale di 2,2 figli per donna sull’attuale 1,3 di tasso di natalità) porterebbe a invertire la tendenza negativa della natalità, e soprattutto ad arricchirci del contributo unico dei figli, autentico bene sociale oltre che segno fecondo dell’amore sponsale. La società tutta è chiamata a interrogarsi e a decidere quale modello di civiltà e quale cultura intende promuovere, a cominciare da quella palestra decisiva per le nuove generazioni che è la scuola. Per porre i mattoni del futuro siamo sollecitati ad andare verso le periferie esistenziali della società, sostenendo donne, uomini e comunità che si impegnino, come afferma Papa Francesco, per un’autentica “cultura dell’incontro”. Educando al dialogo tra le generazioni potremo unire in modo fecondo la speranza e le fatiche dei giovani con la saggezza, l’esperienza di vita e la tenacia degli anziani. La cultura dell’incontro è indispensabile per coltivare il valore della vita in tutte le sue fasi: dal concepimento alla nascita, educando e rigenerando di giorno in giorno, accompagnando la crescita verso l’età adulta e anziana fino al suo naturale termine, e superare così la cultura dello “scarto”. Si tratta di accogliere con stupore la vita, il mistero che la abita, la sua forza sorgiva, come realtà che sorregge tutte le altre, che è data e si impone da sé e pertanto non può esse-


Con la Chiesa

re soggetta all’arbitrio dell’uomo. L’alleanza per la vita è capace di suscitare ancora autentico progresso per la nostra società, anche da un punto di vista materiale. Infatti il ricorso all’aborto priva ogni anno il nostro Paese anche dell’apporto prezioso di tanti nuovi uomini e donne. Se lamentiamo l’emorragia di energie positive che vive il nostro Paese con l’emigrazione forzata di persone — spesso giovani — dotate di preparazione e professionalità eccellenti, dobbiamo ancor più deplorare il mancato contributo di coloro ai quali è stato impedito di nascere. Ancora oggi, nascere non è una prospettiva sicura per chi ha ricevuto, con il concepimento, il dono della vita. É davvero preoccupante considerare come in Italia l’aspettativa di vita media di un essere umano cali vistosamente se lo consideriamo non alla nascita, ma al concepimento. La nostra società ha bisogno oggi

di solidarietà rinnovata, di uomini e donne che la abitino con responsabilità e siano messi in condizione di svolgere il loro compito di padri e madri, impegnati a superare l’attuale crisi demografica e, con essa, tutte le forme di esclusione. Una esclusione che tocca in particolare chi è ammalato e anziano, magari con il ricorso a forme mascherate di eutanasia. Vengono meno così il senso dell’umano e la capacità del farsi carico che stanno a fondamento della società. “È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori”. Come un giorno si è stati accolti e accompagnati alla vita dai ge-

nitori, che rendono presente la più ampia comunità umana, così nella fase finale la famiglia e la comunità umana accompagnano chi è “rivestito di debolezza” (Eb 5,2), ammalato, anziano, non autosufficiente, non solo restituendo quanto dovuto, ma facendo unità attorno alla persona ora fragile, bisognosa, affidata alle cure e alle mani provvide degli altri. Generare futuro è tenere ben ferma e alta questa relazione di amore e di sostegno, indispensabile per prospettare una comunità umana ancora unita e in crescita, consapevoli che “un popolo che non si prende cura degli anziani e dei bambini e dei giovani non ha futuro, perché maltratta la memoria e la promessa”. Roma, 4 novembre 2013 Memoria di San Carlo Borromeo Il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana

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Con la Chiesa Missionaria, audace, gioiosa: Ecco la Chiesa secondo Francesco

Evangelii Gaudium L’esortazione apostolica di Papa Francesco. Un documento per cambiare passo.

«L

a gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù»: inizia così l’Evangelii gaudium, con cui papa Francesco affronta il tema dell’annuncio del Vangelo nel mondo di oggi. È un appello a tutti i battezzati, senza distinzioni di ruolo, perché portino agli altri l’amore di Gesù in uno «stato permanente di missione» (25), vincendo «il grande rischio del mondo attuale»: quello di cadere in «una tristezza individualista» (2). Il Papa invita a «recuperare la freschezza originale del Vangelo»: Gesù non va imprigionato entro «schemi noiosi» (11). Occorre «una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (25) e una riforma delle strutture ecclesiali perché «diventino tutte più missionarie» (27). Su questo piano Francesco si mette in gioco in prima persona. Pensa, infatti, anche a «una conversione del papato» perché sia «più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione». Il ruolo delle Conferenze episcopali è da valorizzare realizzando concretamente quel «senso di collegialità» che finora non si è ancora pienamente concretizzato (32). Più che mai necessaria è «una salutare decentralizzazione» (16) e in questa opera di rinnovamento non bisogna aver timore di rivedere consuetudini della Chiesa «non direttamente legate al nucleo del

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Vangelo» (43). Il verbo messo al centro della riflessione è «uscire». Le chiese abbiano ovunque «le porte aperte» perché tutti coloro che sono in ricerca non incontrino «la freddezza di una porta chiusa». Nemmeno le porte dei sacramenti si dovrebbero mai chiudere. L’Eucaristia stessa «non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli». Il che determina «anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia» (47). Molto meglio una Chiesa ferita e sporca, uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa prigioniera di se stessa. Non si abbia paura di lasciarsi inquietare dal fatto che tanti fratelli vivono senza l’amicizia di Gesù (49).

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Su questa via la minaccia più grande è quel «grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando» (83). Non ci si lasci prendere da un «pessimismo sterile» (84). Il cristiano sia sempre segno di speranza (86) attraverso la «rivoluzione della tenerezza» (88). Francesco non nasconde il dissenso verso quanti «si sentono superiori agli altri» perché «irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato» e «invece di evangelizzare classificano gli altri». Netto è anche il giudizio negativo verso coloro che hanno una «cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo» nei bisogni della gente (95). Questa «è una tremenda corruzione con apparenza di bene [...] Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!» (97). La predicazione ha un ruolo fondamentale. Le omelie siano brevi e non abbiano il tono della lezione (138). Chi predica parli ai cuori, evitando il moralismo e l’indottrinamento (142). Il predicatore che non si prepara «è disonesto ed irresponsabile» (145). La predicazione offra «sempre speranza» e non lasci «prigionieri della negatività» (159). Le comunità ecclesiali si guardino da invidie e gelosie: «Chi vo-


Con la Chiesa gliamo evangelizzare con questi comportamenti?» (100). Di fondamentale importanza è far crescere la responsabilità dei laici, finora tenuti «al margine delle decisioni» a causa di «un eccessivo clericalismo» (102). Importante è anche «allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa», in particolare «nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti» (103). Di fronte alla scarsità di vocazioni, «non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione» (107). Oltre a essere povera e per i poveri, la Chiesa voluta da Francesco è coraggiosa nel denunciare l’attuale sistema economico, «ingiusto alla radice» (59). Come disse Giovanni. Paolo II, la Chiesa «non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia» (183). L’ecumenismo è «una via imprescindibile dell’evangelizzazione». Dagli altri c’è sempre da imparare. Per esempio «nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità» (246). Il dialogo interreligioso é a sua volta «una condizione necessaria per la pace nel mondo» e non oscura l’evangelizzazione (250-251). Nel rapporto col mondo il cristiano dia sempre ragione della propria speranza, ma non come un nemico che punta il dito e condanna (271). «Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri» (272). «Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita» (274).

Vescovi e Famiglia

Una Chiesa che cerca risposte Una bella novità, di quelle che ti aspetti da papa Francesco. Da quando si è presentato al balcone della basilica di San Pietro ha fatto affacciare tutta la Chiesa sull’umanità reale, quella che cammina per le strade cercando lavoro, possibilità di vita migliore, accoglienza. I vescovi di tutto il mondo sono stati convocati per ottobre 2014 in una Assemblea Generale straordinaria sul tema “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. Come dire che, se la Chiesa vuole incrociare i destini degli uomini e delle donne di oggi, la prima tappa è la famiglia, quella piccola comunità definita nel Documento preparatorio «fondamentale esperienza umana personale, di coppia e di comunione aperta al dono dei figli». «Proporre il Vangelo sulla famiglia risulta quanto mai urgente e necessario», tanto che neanche questo primo evento basterà ad esaurire la riflessione. che quindi proseguirà nel 2015 con un Sinodo ordinario già in programma e con l’incontro mondiale del papa con le famiglie a Philadelphia, negli Stati Uniti. Una novità anche nel metodo: i vescovi partecipanti al Sinodo avranno tra le mani i risultati di un questionario, con il quale le diverse comunità ecclesiali potranno «partecipare attivamente alla preparazione». Una sfilza di domande che toccano una grande quantità di argomenti di estrema attualità: dall’impatto degli insegnamenti della Chiesa all’apporto specifico delle stesse famiglie alla diffusione della visione cristiana del matrimonio, dalla richiesta di dati statistici affidabili sulle coppie di fatto alle varie problematiche legate al fallimento del matrimonio, oltre all’attenzione pastorale verso le persone che vivono in unioni omosessuali. Le domande riguardano non tanto questioni dottrinali, quanto l’efficacia della testimonianza e delle iniziative per l’accoglienza e il dialogo verso quanti cercano nella comunità cristiana prima di tutto una famiglia di famiglie. Risuona il forte invito di papa Francesco a prendersi cura dei feriti dalla vita, sulla frontiera di quella periferia esistenziale che può essere incontrata in ogni famiglia. E su questa frontiera tutti siamo chiamati a farci, come le famiglie di Lampedusa con i naufraghi, braccia e cuore del Padre.

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Spiritualità “Kecharitòmene” - “Piena di grazia”

Maria, donna bellissima

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vero. Il Vangelo non ci dice nulla del volto di Maria. Come, del resto, non ci dice nulla del volto di Gesù. Forse è meglio. Così a nessuno di noi viene tolta la speranza di sentirsi dire un giorno, magari da un arcangelo di passaggio: “Lo sai che a tua madre e a tuo fratello tu rassomigli tanto?”. Maria, comunque, doveva essere bellissima. Non parlo solo della sua anima, la quale, senza neppure l’ombra del peccato, era limpida a tal punto che Dio vi si specchiava dentro. Come le montagne eterne che, lì sulle Alpi, si riflettono nella immobile trasparenza dei laghi. Parlo, anche, del suo corpo di donna. La teologia, quando arriva a questo punto, sembra sorvolare sulla bellezza fisica di lei. La lascia celebrare ai poeti: “Vergine bella, che di sol vestita, coronata di stelle, al sommo Sole piacesti sì che in te sua luce ascose...”. La affida alle canzoni degli umili: “Mira il tuo popolo, o bella Signora...”. O agli appassionati ritornelli della gente: “Dell’aurora tu sorgi più

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bella... non vi è stella più bella di te”. O alle allusioni liturgiche del “Tota pulchra”. Tutta bella sei, o Maria. Sei splendida, cioè, nell’anima e nel corpo ! Però la teologia non va oltre. Non si sbilan-

cia. Tace sulla bellezza umana di Maria. Forse per pudore. Forse perchè paga di aver speso tutto speculando sul fascino soprannaturale di lei. Eppure, non dovrebbe essere difficile trovare nel Vangelo la spia

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rivelatrice della bellezza corporea di Maria. C’è una parola greca molto importante, carica di significati misteriosi che non sono stati ancora per intero esplicati. Questa parola, che fonda sostanzialmente tutta la serie dei privilegi soprannaturali della fanciulla di Nazareth, risuona nel saluto dell’angelo: “Kecharitomène”. Viene tradotta con l’espressione “piena di grazia”. Ma non potrebbe trovare il suo equivalente in “graziosissima”, con allusioni evidenti anche all’ incantevole splendore del volto umano di Lei? Credo proprio di sì e senza forzature. Così come senza forzature Paolo VI, in un celebre discorso del 1975, ha avuto l’ardire di parlare per la prima volta di Maria come, “la donna vestita di sole, nella quale i raggi purissimi della bellezza umana si incontrano con quelli sovrumani, ma accessibili, della bellezza soprannaturale”. Santa Maria, donna bellissima, attraverso te vogliamo ringraziare il Signore per il mistero della bellezza. Egli l’ha disseminata qua e là


Spiritualità sulla terra, perché, lungo la strada, tenga deste, nel nostro cuore di viandanti, le nostalgie insopprimibili del cielo. La fa risplendere nella maestà delle vette innevate, nell’assorto silenzio dei boschi, nella forza furente del mare, nel brivido profumato dell’erba, nella pace della sera. Ed è un dono che ci inebria di felicità perché, sia pure per un attimo appena, ci concede di mettere lo sguardo nelle feritoie fugaci che danno sull’eterno. La fa rifulgere nelle lacrime di un bambino, nell’armonia del corpo di una donna, nell’incanto degli occhi suoi ridenti e fuggitivi, nel bianco tremore dei vegliardi. Santa Maria, donna bellissima, splendida come un plenilunio di primavera, riconciliaci con la bellezza. Tu lo sai che dura poco nelle nostre mani. Sfiorisce subito sotto i nostri contatti. Si dissecca improvvisamente al soffio delle nostre cupidigie. Si contamina presto all’urto delle nostre latenti lussurie. Non la sappiamo trattare, insomma. Aiutaci, ti preghiamo, a superare le ambiguità della carne. Liberaci dal nostro spirito rozzo. Donaci un cuore puro come il tuo. Restituiscici ad ansie di incontaminate trasparenze. E toglici la tristezza di dover distogliere gli occhi dalle cose belle della vita, per timore che il fascino dell’effimero ci faccia depistare i passi dai sentieri che portano alle soglie dell’eterno. Santa Maria, donna bellissima, facci compren-

dere che sarà la bellezza a salvare il mondo. Non lo preserveranno dalla catastrofe planetaria né la forza del diritto, né la sapienza dei dotti, né la sagacia delle diplomazie. Oggi, purtroppo, nella deriva dei valori, stanno affondando anche le antiche boe che un tempo offrivano ancoraggi stabili alle imbarcazioni in pericolo. Viviamo stagioni crepuscolari. Però, in questa camera oscura della ragione, c’è ancora una luce che potrà impressionare la pellicola del buon senso: è la luce della bellezza.

È per questo, Santa Vergine Maria, che vogliamo sentire il fascino, sempre benefico, anche del tuo umano splendore, così come sentiamo la lusinga, talvolta ingannatrice, delle creature terrene. Perché la contemplazione della tua santità sovrumana ci aiuta già tanto a preservarci dalla palude. Ma sapere che tu sei bellissima nel corpo, oltre che nell’anima, è per tutti noi motivo di incredibile speranza. E ci fa intuire che ogni bellezza della terra è appena un ruvido seme destinato a fiorire nelle serre di lassù.

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Testimonianze La maternità è senz’altro una di quelle realtà che più di tutte sfuggono alla superficialità

La maternità Tutto ciò che è legato alla maternità è misterioso e per questo profondamente “ambivalente”. Fa felice, ma fa anche tanta paura; dà immensa gioia, ma pure frustrazione; dà attimi di pace ma anche tanta ansia.

È

questo il tema al centro della riflessione per questo anno sociale appena iniziato. Gli articoli che proporrò alla vostra attenzione non saranno contributi accademici, né particolarmente ricercati e nuovi nei contenuti, ma avranno la stessa caratteristica di altri miei interventi che hanno trovato spazio in queste pagine: l’esperienza personale posseduta sul tema scelto e il desiderio di condividerla il più semplicemente possibile con chiunque ne abbia interesse.

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Forse è presuntuoso pensare che la propria esperienza sia di spunto per la riflessione e la crescita di qualcun altro. Ciascuno di noi, infatti, esperisce diversamente da tutti gli altri uomini e donne dell’umanità. I motivi per cui scelgo la condivisione possono sembrare forse semplici e poco creativi: in realtà vorrei banalmente andare controcorrente raccontando qualcosa a partire da quanto successo a me avendo fiducia che possa avere un valore anche minimo per qualcun altro,

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per qualcun’altra. Un’esperienza da condividere In questo momento storico, caratterizzato da diffusa incapacità a comunicare davvero attraverso mente, cuore e corpo, senza usare uno schermo come mediatore, in cui spesso siamo inconsapevolmente egocentrici e per questo a volte chiusi in una solitudine sprezzante e orgogliosa, si converrà che l’atteggiamento meno conformista e più rivoluzionario pare proprio sia quello di condividere


Testimonianze qualcosa di sé, con la pretesa che non sia la verità assoluta, ma solo una parte di vita che può illuminare parte della vita di altri. Una scelta del genere non è affatto banale: in un mondo umanamente poco accogliente come il nostro, in cui la norma nel manifestare le appartenenze intellettuali e morali è l’esclusività, può accadere che non si parli di sé se non per imporre la propria visione delle cose ad altre persone, ritenendo che il proprio modo di vedere la realtà sia l’unico valido, l’unico corretto. Al contrario, desidero in queste pagine proporre la dolcezza di quella “condivisione” che non vuole essere imposizione di nulla, ancor meno delle idee, ancor meno delle esperienze, e nemmeno pretesa di ascolto a tutti i costi, ma piuttosto il desiderio forte di mettere in comune un vissuto che so non appartenere solo a me, e che ha richiesto tempo e fatica per essere “digerito”. Ci sono, infatti, circostanze importanti nella vita di ciascuno di noi che esigono proprio di essere “digerite”, e spesso esse si caratterizzano dal forte legame che hanno con qualcosa d’inconoscibile, qualcosa che ci supera e non è controllabile, né facilmente interpretabile. In genere queste circostanze sono riconducibili a eventi o situazioni che abbiano a che fare con un inizio, o con una fine. Gli inizi e le fini ci spaventano, ci interpellano, ci entusiasmano, ci immobilizzano, ci galvanizzano, ci affaticano, ci impegnano, ci addolorano. L’inizio o la fine di un amore, di una vita, di un lavoro, di un’amicizia, della sicurezza economica, della salute, ecc. sono tutti accadimenti che ci costringono — in diversi gradi — a riconoscere, spesso a voce alta, che sono più grandi di noi e sentiamo e sappiamo di non averne completamente il controllo. Essi richiedono uno sforzo importante per essere

superati e il riconoscimento, in ultima analisi, che «da soli sarebbe stato impossibile» e che, altrimenti, mai ce l’avremmo fatta. Ecco, la maternità è di fatto l’esperienza strepitosa di un inizio per eccellenza, che si porta dietro tanti al tri inizi, che ti segna e non ti lascia più come ti trova. È un’esperienza esclusivamente femminile — certamente — ma nella generalità dei casi la si vive con... nel senso che nel suo svolgersi non è appannaggio esclusivo della donna. Coinvolge tanti: le donne vicino alla futura mamma — la sua mamma, le sorelle, le amiche — che spesso ricoprono il ruolo delle “quattro persone” del passo evangelico; gli uomini, che iniziano a diventare padri di uno o più figli e figlie; bambini e bambine, che iniziano a diventare fratelli e sorelle; i genitori, che iniziano a diventare nonni e nonne; gli amici che iniziano a stare vicino a famiglie, non solo a coppie. E si potrebbe continuare. La vera bellezza della maternità Un altro aspetto importante e che mi ha convinto ad affrontare proprio la questione della maternità, è il fatto che oggi l’ambivalenza nei pensieri e nei sentimenti non abbia “cittadinanza”, non trovi posto, sia in qualche modo bandita. E questo è un grave problema culturale che spesso si tende a nascondere e di cui non si considerano sufficientemente le conseguenze interiori ed esteriori sulle persone, su ciascuno di noi. Se ci si pensa bene, la non liceità culturale dell’ambivalenza è una vera tirannia. Significa in pratica che non esiste possibilità di essere malleabili in riferimento alle proprie esperienze, di concedersi spazi e ambiti di riflessione, di reinterpretazione o di migliore e più profonda comprensione o di più ampio sentire e condividere. Come se non ci si potesse sbaglia-

re e non si potesse cambiare. La tirannia della visione unica, dell’unico modo d’intendere, di volere, di sentire, di scegliere: è la tirannia subdola e meschina della superficialità, che non pensa, non approfondisce, non valuta realmente, ma giudica sommariamente, di fatto condannando tutto e tutti. La maternità è senz’altro una di quelle realtà che più di tutte sfuggono alla superficialità o a una loro interpretazione superficiale. La maternità, per essere attraversata con saldezza, richiede un passo in più ver so la profondità dell’abisso di mistero che ciascuno di noi è. Tutto quello che è legato alla maternità è misterioso — il desiderio, il concepimento, la gravidanza, il parto, la nascita, la crescita, l’evoluzione in uomo e donna — e per questo profondamente ambivalente. Fa felice, ma fa anche tanta paura; dà immensa gioia, ma pure altrettanta frustrazione; incoraggia e abbatte; impegna e chiede di prendersela comoda; non c’è nulla da fare se non aspettare, ma devi pure fare tutto perché la vita possa accadere; dà attimi di pace intensissima, ma anche tanta ansia. Negare questo doppio modo di sentire, di pensare, significherebbe abbandonare la vera bellezza della maternità. Significherebbe non accogliere il dono straordinario che si riceve così com’è, ma trasformarlo, ricomporlo, ridurlo in qualcosa che sia più alla nostra portata, più controllabile, in modo che sia coperta l’enormità del mistero che tanto destabilizza e disorienta. Negare l’ambivalenza, significa in qualche modo negare il mistero e pretendere di mettersi al posto di Dio per il quale evidentemente non si dà pensiero o sentimento ambivalente, proprio in quanto è Dio.

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Una mamma

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Con la Diocesi Il vescovo sulla normativa in discussione al Parlamento

La legge non muta la realtà delle cose Mons. Luciano Monari indica chiari punti di riferimento e di orientamento per il dibattito, spesso confuso, in atto sul progetto di legge contro I’omofobia. È sempre la persona a dover essere rispettata

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l Parlamento italiano discuterà una legge contro l’omofobia; questa legge vuole estendere all’omofobia quanto è stato stabilito dalla legge Mancino contro il razzismo. Nel nostro Paese, infatti, non è lecito sostenere dottrine razziste perché il razzismo è considerato - giustamente - contrario ai principi fondamentali della società e della cultura di cui facciamo parte; in modo simile non si potranno avanzare tesi omofobe perché il rispetto degli omosessuali è considerato una necessità assoluta per la convivenza nel nostro Paese. Tutto bene; ma che cosa significa? Se il discorso è il rispetto di chi ha orientamenti omosessuali, della loro dignità di persone, della loro libertà personale, non ci sono obiezioni. Il soggetto dei “diritti della persona” è, appunto, la persona umana, prima e indipendentemente dalle sue qualificazioni ulteriori: piccolo o grande, ricco o povero, italiano o francese, bianco o nero...; aggiungere a questa lista anche la precisazione: “eterosessuale od omosessuale” non crea certo problemi. Si può anche dire che, siccome è facile sentire giudizi sprezzanti e derisori nei confronti delle persone con tendenze omosessuali, è giustificata una legge che tuteli il loro diritto a essere socialmente rispettati. Ma la legge vuole anche decidere che l’eterosessualità e la omosessua-

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lità sono omologabili come due modi equivalenti di vivere la sessualità? Sarebbe un fatto curioso se non altro perché la totalità delle persone umane viventi nascono dall’incontro di uno spermatozoo maschile e di un uovo femminile. Bisognerà dunque riconoscere all’eterosessualità almeno la caratteristica di essere procreatrice, continuatrice della specie, cosa che non può essere evidentemente affermata dell’omosessualità. Mettere tutto sullo stesso piano significa negare che la procreazione significhi qualche cosa, che sia un valore, che sia utile alla società, che produca futuro e speranza... Capisco che viviamo in una cultura dove i valori tradizionali sono contestati e ciascuno si costruisce una scala di valori assolutamente personale; ma omettere la considerazione che solo l’unione di

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maschio e femmina è feconda e fa nascere dei figli mi sembra uno scotoma piuttosto notevole. Vuol dire che dobbiamo disprezzare (o anche solo: valutare meno) chi vive una tendenza omosessuale? Non ci sono dubbi: no. La tendenza omosessuale non diminuisce di un millimetro la dignità della persona e non dice nulla del grado di creatività che chi sperimenta pulsioni omosessuali può esprimere e offrire alla società. Persone con pulsioni omosessuali hanno dato contributi immensi alla società per la loro sensibilità, attenzione, senso artistico; non sono certo inferiori agli altri. Ma questo vuol dire che l’impulso omosessuale è equivalente a quello che conduce verso l’altro sesso? La natura ha inventato il sesso per avere una forma di riproduzione che permettesse una varietà maggiore delle specie e degli individui. Riproduzione sessuata significa che si uniscono due patrimoni genetici diversi; questi, uniti, costruiscono un individuo nuovo, che non è la donazione dell’uno o dell’altro (cioè la produzione di un individuo con il patrimonio genetico identico a quello di un altro individo da cui deriva), ma un individuo inedito, portatore di una forma umana nuova e quindi suscitatore di una attesa nuova. È questo il valore significativo dell’eterosessualità. Se nella storia della cultura c’è stato un tabù, questo è il tabù


Con la Diocesi dell’incesto; e il tabù dell’incesto nasce esattamente dal timore di bloccare l’alterità, di chiudere il futuro nel cerchio limitato della propria famiglia. L’incontro sessuale deve rivolgersi al diverso se si vuole che i patrimoni genetici si arricchiscano e non degradino col succedersi delle generazioni. Nella omosessualità è presente la fatica di accettare il diverso, di rischiare la comunicazione con un individuo che sia sessualmente “altro”. Che questa inclinazione sia legata al patrimonio genetico, che dipenda da esperienze psicologiche dell’infanzia, dal rapporto col padre o con la madre o da qualsiasi altra causa non lo so; a chiarire questo interrogativo si dedicheranno le persone che hanno competenze in biologia, psicologia, comportamento umano. Nello stesso modo diventa difficile giudicare gli atti omosessuali e non è questo il problema della legge. Non c’è dubbio che alla persona omosessuale

vanno riconosciuti gli stessi diritti della persona (e i medesimi doveri) che sono riconosciuti agli altri. Così a nessuno è lecito disprezzare o deridere una persona orno sessuale; tra l’altro questo modo di fare tradisce una insicurezza di identità e quindi dice forse più cose sul derisore che sul deriso. Ma questo non significa che due comportamenti diversi, che danno contributi del tutto diversi alla edificazione della società umana, debbano essere pensati equivalenti per decreto. Le decisioni giuridiche possono comandare o proibire, ma non mutano la realtà delle cose. Spero dunque che la legge non voglia decidere che cosa si debba pensare sulla sessualità etero o orno che sia; che non voglia chiudere la riflessione come se tutto fosse chiaro e chi la pensa diversamente sia soltanto un depravato che immette veleni nel corpo sociale. Se si vogliono colpire i comportamenti lesivi della

dignità delle persone con tendenze omosessuali, d’accordo, si dovrà però spiegare perché non bastino le leggi vigenti e relative aggravanti (“per motivi abbietti”) riconosciute e applicate da decenni. Se invece si vuole proibire di fare una distinzione tra comportamenti omosessuali ed eterosessuali, la legge farà un buco nell’acqua. Non è proibendo di parlare e di discutere che si raggiungeranno convinzioni vere sulla questione, che si comprenderà meglio la sessualità e che si costruirà una società più umana.

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mons. Luciano Monari Vescovo di Brescia

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Attualità Aiutarli per la comprensione di sè e della loro vocazione umana e cristiana

Omosessualità

«S

e una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte. Il problema non è avere queste tendenze, sono fratelli, il problema è fare lobby... Questo è il problema più grave». Così, secondo gli organi di stampa, Papa Francesco avrebbe risposto alla domanda di un giornalista nel viaggio di ritorno da Rio de Janeiro. L’intervista apparsa su La Civiltà Cattolica conferma questo suo atteggiamento: «Se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo, io ho detto ciò che dice il Catechismo. Una volta una persona mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi: “Secondo te Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia». Abbiamo preso in esame la pedofilia, il peccato di pedofilia, passiamo ora alla spinosa questione dell’omosessualità. Non di rado vengono stabiliti stretti legami tra le due cose, ma non è su questa pista, per altro offensiva in partenza, che vogliamo metterci, quanto sul problema più generale: l’essere attratti da persone del proprio

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stesso sesso, l’essere caratterizzati da un orientamento sessuale che coglie soltanto questi/e come propri “naturali” partner. La questione è molto complessa. Investe infatti il tema dell’identità di genere e il collocarla o meno sul piano della sola costruzione sociale. Cose queste su cui più volte si è riflettuto sulla rivista. Senza nessuna pretesa esaustiva provo a richiamare che dell’omosessualità, nella storia, non è stata data una lettura univoca, ma — ci piaccia o no — ogni cultura si è regolata di-versamente. La storia registra posizioni assolute di condanna, con legislazioni severissime, e, d’altra parte, posizioni permissive, soprattutto al maschile, senza remore di sorta. Vario anche l’atteggiamento religioso. Tuttavia ebraismo, cristianesimo e islam da sempre si sono schierati su posizioni contrarie. Nei momenti storici di maggiore collusione tra potere politico e potere religioso, l’omosessualità è stata considerata un crimine passibile di morte. Dalla condanna all’approccio Dalle Scritture ebraico-cristiane -Antico e Nuovo Testamentoemerge una condanna senza appello. Sulla stessa linea i Padri della Chiesa. Non mancano, tuttavia, riletture attuali delle Scritture, come dei Padri, volte a dimostrare l’infondatezza degli approcci. Di fatto, una crepa nell’impianto socio-religioso si è aperta a partire dal secolo XIX. Diciamo, approssimativamente, che la stagione della rivendicazione dei diritti è anda-

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ta enucleandone sempre di nuovi, sulla linea delle li-bertà personali e della propria autode-terminazione. Una cosa è certa: dietro la condanna dell’omosessualità c’è il ri-fiuto di ogni uso della sessualità non diretto alla procreazione. La sessualità, l’esercizio della sessualità è legittimo solo nell’ambito di una struttura sociale, la famiglia, risultante di due soggetti umani di sesso diverso, giuridicamente uniti al fine di procreare, perpetuando la comunità umana. Ovviamente, stando così le cose, l’omosessualità è apparsa un attentato alla stabilità sociale. La coppia omosessuale ostenterebbe una simulazione della famiglia e pretenderebbe d’esservi equiparata. Chi sono io per giudicare i gay? Se così si è espresso Papa Francesco, figurarsi la sottoscritta. E tuttavia occorre farlo il discorso, non certo per chiudere le porte e rinnovare condanne, ma per chiedersi cosa c’è dietro al fenomeno così come lo viviamo. La nostra cultura a ragione o a torto nella sua valorizzazione ossessiva della sessualità e dei presunti diritti a essa inerenti ha finito, io credo, con il confondere il rispetto dovuto all’orientamento con la giustificazione, a partire dall’orientamento, di famiglie fittizie. Una cosa, infatti, è il rispetto verso i singoli e le coppie che vivono situazioni affettive stabili, ben-ché diverse dai cliché istituzionali, una cosa è l’estendere i medesimi diritti sino al matrimonio (sacramento) e alla procreazione (assistita o surrogata), a persone dello stesso


Attualità sesso. In altre parole, dinanzi al rapporto tra omosessuali è lungimirante non precipitarsi a giudicare, tanta e tale è la gamma delle situazioni personali. Bisogna mettere in atto un’attitudine di sincero rispetto e offrire comprensione e accoglienza vera. Altro, invece, è reagire alla pressione esercitata, facendo lobby, per imporre come diritto umano qualcosa che è oggettivamente difficile leggere come tale. Entriamo così nella questione spinosa delle lobby, dei gruppi di pressione socioeconomica e culturale. Non credo che l’orientamento sessuale sia indifferente. Accetto — non posso negare l’evidenza — che si diano forme di-verse di orientamento omosessuale. Ma i nodi non possono essere sciolti con la logica dei diritti di una minoranza; né la minoranza può imporre il suo punto di vista alla collettività. Sia chiaro, a me personalmente è capitato di doverti fermare davanti a un rapporto nobile, vero, tra persone omosessuali. Ho dovuto, confesso mio malgrado, scansare ogni parvenza di pregiudizio. Ma questa rispettosa empatia non può tradursi — né questo è l’unico caso — in forme legislative di tipo matrimoniale. Le parole hanno pure una loro ragion d’essere. Questo — anche se ci sono indicazioni ecclesiali severe — non vieta una regolamentazione civile dei rapporti delle coppie omosessuali, in vita e in morte. Non supponiamola né chiamiamola però “matrimonio”: manca la materia prima. Domande vere e ricorrenti Una domanda tuttavia vorrei farmi, senza con ciò incorrere nell’accusa di omofobia. Abbiamo scoperto adesso il fenomeno dell’omosessualità? Esso ha davvero i numeri che gli vengono attribuiti? Essere gay o lesbiche na-

sce davvero da un orientamento sessuale o non è piuttosto un atteggiamento posticcio, un essere alla page, nel perverso gioco della presunta “indifferenza” di genere? E in particolare, se è vero storicamente che i rapporti omosessuali hanno un incremento nei luoghi selettivi a partire dal sesso (caserme, carceri, collegi, seminari), questo dato, come Chiesa, non ha niente da dirci? Qualche anno fa a Gerusalemme un’amica di pellegrinaggio ebbe la pessima idea di sorreggere un ebreo osservante che saliva le scale. Ne ebbe insulti, a lei incomprensibili ma evidenti: ne aveva inficiato la purità come donna e, visibilmente, come non ebrea. Prendo le mosse da lontano per chiedermi se l’omofilia, ben celata dietro atteggiamenti ufficiali omofobi di uomini di Chiesa, non nasca tanto da un orientamento sessuale, quanto piuttosto da un dispositivo intellettuale che guarda con disprezzo le donne e le esclude dalla propria vita e soprattutto dalla Chiesa. Ricordo con orrore la tranquillità con cui, a proposito di un ecclesiastico pescato a “fornicare” con prostituti dello stesso sesso, mi si fece notare — più di trent’anni fa — che, però, non era stato sorpreso con una donna. Segno evidente che nella scala della depravazione quello era il livello infimo, intollerabile. Non mi pare che le cose siano mutate. L’omofilia ecclesiastica sceglie pizzi e merletti; sceglie l’intransigenza della condanna; sceglie la professione pubblica di misoginia. Ma tutto ciò è intollerabile nella misura in cui diventa lobby, cordata che all’infinito genera una sequela affine, un atteggiamento univoco in quelli che detengono il potere o che vi aspirano. Basta con il sacro, con i suoi teoremi deliranti; basta con una comprensione di sé smisurata e infondata; basta

con la presunzione d’essere non uomini di Dio, ma Dio stesso, oltre il bene e il male. Basta con un’educazione sessuofoba; basta con la misoginia quale scudo unico e valevole, come strenua difesa dei valori del celibato. Sono questi i luoghi di coltura dell’omofilia ecclesiastica. Il che ferisce il corpo della Chiesa e soprattutto impedisce il riconoscimento in pienezza dei battezzati come tali, senza discriminazioni di sesso, razza, cultura. Nessuna riforma è possibile se non si accetta la sfida della diversità, la stima della diversità. Non ci si può condannare al ghetto, al gruppo chiuso. La Chiesa è di tutti. E, guardando alla società, mi chiedo anche se nel dichiararsi lesbiche di tante donne non ci sia il bisogno di trovare un antidoto alla violenza maschile e se nel professarsi gay di tanti maschi non ci sia la paura e lo sconcerto verso un modello di donna, davanti a cui si teme d’essere inadeguati. Mi chiedo insomma se alle spalle del fenomeno nella sua esplosione culturale non ci siano carenze forti a livello formativo; se dietro la cosiddetta scelta del proprio orientamento sessuale non ci sia la difficoltà di accettare o elaborare nuovi modelli di mascolinità e femminilità. Ma i problemi posti non toccano ovviamente quelli che davvero e senza alibi, e pagando di persona, si dichiarano omosessuali: sono nostri/e fratelli/sorelle, nostri/e compagni/e di cammino, talora anche di fede. Bisogna accettarli/e come tali; aiutarli/e e accompagnarli/e, senza fobie, verso la migliore comprensione di sé e della loro vocazione umana e cristiana.

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Cettina Militello

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Vita pastorale I valori della famiglia

La famiglia, bene di tutti

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agliare il ramo su cui si è seduti: una delle cose meno intelligenti che si possano fare. Eppure, è il rischio che corre la nostra società. Nella crisi generalizzata, politica ed economica, istituzionale e relazionale, la famiglia rimane un punto di riferimento. Lo attestano continuamente sondaggi e altre forme di rilevamento del sentire comune. Un rapporto del Censis di qualche mese fa confermava che la famiglia mantiene una importanza centrale per gli italiani. Alla richiesta di individuare cosa realmente conti nella propria vita, più del 96% ha indicato la famiglia in cui è nato, e una quota analoga la famiglia che si è costruito, mentre per il 35% il

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padre o la madre rappresentano il proprio modello valoriale. Esperienza umana imprescindibile, porto sicuro e ponte per il futuro, la famiglia, però, patisce gli effetti dell’ormai generalizzata «precarietà»: aumentano costantemente le unioni libere e i genitori single, le famiglie ricostituite superano il milione di unità e un bimbo su quattro nasce fuori dal matrimonio. Basta questo per dire che è superata? La famiglia, oggi, ha tanti problemi, ma non è il problema del Paese. Occorrerebbe cominciare a considerarla come una risorsa, anzi la principale risorsa del Paese. Per questo, una società in affanno dovrebbe sostenere la famiglia, elemento di solidità e di speranza,

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che spesso supplisce alle carenze politiche e sociali. Invece, cosa succede? La si mette sul banco degli imputati, attribuendole colpe non sue; la si carica di responsabilità proprie di altre istituzioni; la si priva di valenza sociale e di rappresentanza politica. Negli ultimi tempi, poi, è soggetta agli attacchi di ideologie radicali e individualistiche che, con il pretesto di difendere diritti civili dell’individuo, vorrebbero ridurre la famiglia a uno dei possibili «accordi affettivi» tra persone. Si è già cominciato a chiamare «tradizionale» — come fosse retaggio del passato — la famiglia che dall’alba dei tempi si costituisce tra un uomo e una donna quale promessa stabile di amore, aper-


Spazio Vita pastorale Oratorio ta all’accoglienza della vita e alla cura delle nuove generazioni. Contro le reali preoccupazioni e i veri interessi delle famiglia, certi amministratori hanno proposto di sostituire nei moduli scolastici le parole più belle del mondo, «padre» e «madre», con un asettico «genitore 1» e «genitore 2». Così, pensano, saranno sullo stesso piano i bambini delle coppie eterosessuali e quelli delle omosessuali. E visto che ci siamo, qualcuno ha cominciato a cancellare dal calendario scolastico le feste del papà e della mamma. Appare sempre più evidente che

una maggioranza silenziosa (che tira la cinghia e, malgrado tutto, manda avanti il Paese) risulta sopraffatta da una minoranza arrogante e rumorosa che, lamentando discriminazioni (spesso presunte), intende introdurre la logica secondo cui ogni desiderio, ritenuto diritto, si dovrebbe affermare come valore fondamentale. La famiglia va rimessa al centro dell’attenzione della Chiesa e del Paese. Nell’interesse di tutti. Non c’è un «privato» borghese da difendere, ma un «bene comune» da tutelare e alimentare. Papa Francesco, nel suo messag-

gio alla Settimana Sociale dei cattolici italiani (12-15 settembre), affermava che «la famiglia è ben più che “tema”: è vita, è tessuto quotidiano, è cammino di generazioni che si trasmettono la fede insieme con l’amore e con i valori morali fondamentali, è solidarietà concreta, fatica, pazienza, e anche progetto, speranza, futuro. Tutto questo, che la comunità cristiana vive nella luce della fede, della speranza e della carità, non è mai tenuto per sé, ma diventa ogni giorno lievito nella pasta dell’intera società, per il suo maggior bene comune».

Consultorio Diocesano I NUOVI SERVIZI: NOVE PERCORSI DI GRUPPO COMPLETAMENTE GRATUITI GRUPPO GENITORI GRUPPO GENITORI GRUPPO PER FIGLI Tenendo conto delle diverse fasce SEPARATI/DIVORZIATI DI SEPARATI/DIVORZIATI d’età, si propone un percorso di Nel difficile cammino di costituzio- Le comprensibili difficoltà dei figli confronto e acquisizione di nuove ne di una nuova stabilità genitoria- vengono prese in considerazione competenze genitoriali. le, si offrono spazi di confronto. in un percorso di elaborazione e rafforzamento

GRUPPO FIDANZATI Dopo il percorso di fede verso il matrimonio, per i fidanzati si propone un cammino nelle dinamiche relazionali di coppia.

GRUPPO COPPIE Tenendo conto delle diverse fasce d’età, si propone un percorso di scambio di esperienze relazionali coniugali, per rafforzare e rinnovare i legami.

GRUPPO DEL LUTTO Con rispetto e delicatezza della situazione di lutto nel mondo familiare, si propone un percorso per “saper dire” e “saper reimpostare” la propria vita.

GRUPPO DEL CANTO PRE E POST NATALE Si tratta di due percorsi distinti per rafforzare il legame e l’accoglienza tra le neo mamme e i loro bambini, attraverso tecniche ludico-musicali proposte da un esperto psicofonista.

GRUPPO NEO PAPÀ Non importa quanti figli si hanno, ogni volta si è chiamati diversamente a diventare papà! Per questo si propongono percorsi di “nascita” nella paternità.

GRUPPO GENITORI AFFIDATARI E ADOTTIVI Si propongono percorsi di confronto per coloro che da molti anni sono genitori adottivi e affidatari, al fine di rafforzare e ridisegnare questo grande mandato.

Per informazioni: Consultorio Diocesano 030.395613 — via Schivardi, 58 Brescia Camminiamo insieme

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Spazio missioni Il padre Saveriano impegnato in missione nel Bangladesh

Lettera di Padre Sergio Targa

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roprio questa mattina sono ritornato a Borodol dopo una assenza di circa due settimane. Infatti sono di ritorno da un veloce viaggio ad Osaka in Giappone dove in un centro studi asiatici dei saveriani, rappresento il Bangladesh. A parte i viaggi (non mi piace assolutamente volare e se potessi andare in Giappone o da qualsiasi altra parte con la mia vecchia e scassatissima moto, evitando di volare appunto, ci andrei di sicuro) l’incontro è andato bene. Tra Settembre e Ottobre dovrebbe uscire una monografia centrata sul tema dei Diritti dell’Uomo in Asia, soprattutto in relazione alle religioni asiatiche. Borodol è davvero ai confini del mondo: venendo dal Giappone poi, tante cose saltano all’occhio subito: dall’ordine al disordine, dalla pulizia quasi maniacale del Giappone alla pulizia, diciamo, più moderata di questi posti. Dal silenzio al baccano strutturale... eppure è anche di questo tipo di Bangladesh che sono innamorato: tutto sembra in perenne confusione, eppur si muove!! Borodol è sempre Borodol. Le piogge quest’anno sono state abbondanti, e non sono ancora finite. Le strade sono molto rovinate: il fango è dappertutto. Le mie scuolette tra i fuori casta Rishi procedono a balzi: purtroppo le mie continue assenze da Borodol negli ultimi mesi (sono l’economo dei Saveriani, e quest’estate, in assenza del superiore e del suo vice, ho dovuto fare anche le loro veci; ciò mi ha obbligato ad andare spesso

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in città per le più diverse ragioni) hanno portato come conseguenza un allentamento della supervisione. Spero di rifarmi nei prossimi mesi! Purtroppo i miei maestri/e se non sentono il mio fiato sul collo, non fanno quello che dovrebbero. Le occasioni sono sempre troppe per imbrogliare le carte, e non fare quello che dovrebbero. Talvolta mi arrabbio per questa mancanza di disciplina e di moralità (del lavoro intendo) ma poi come faccio ad arrabbiarmi? Quando penso che io nonostante tutto ho tre pasti e un posto sicuro dove stare ogni giorno, allora devo tacere ed accettare anche quello che è difficile accettare. La loro povertà è disgustosa perchè non è certamente la sobrietà o l’austerità che pure io cerco di vivere e proclamare; la loro povertà è uguale a miseria nera, disumana, un qualcosa che rovina il tessuto umano e sociale appunto. Noi non sappiamo e non possiamo capire o calcolare che tipo di guai o rotture o ferite secoli di miseria impossibile hanno prodotto in loro. E questo li pone sempre dalla parte della ragione! Spesso si fanno avanti insistentemente e chiedono di tutto: dai soldi per far studiare i figli, ai soldi per pagare le medicine, ai soldi per riparare la loro casa (è un eufemismo, ovviamente: nelle loro case noi non ci metteremmo nemmeno le capre) e non è mai finita! E noi ci stanchiamo, non sopportiamo questa mentalità da mendicanti... ma poi pensandoci: come si può

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dargli torto? E se fossimo noi nei loro panni? E se avessimo noi i loro problemi? Non hanno forse un diritto a sognare qualcosa di diverso per loro e i loro figli? È per questo che dico che alla fine, nonostante tutto, loro hanno sempre ragione: io ho la pancia piena, e loro no. Ma ogni tanto perdiamo la pazienza. Ci dimentichiamo che noi siamo ospiti in questo paese. Ci dimentichiamo e allora pretendiamo che loro debbano imparare. E noi facciamo i maestri! Ancora una volta a pontificare. A dimenticare che anche noi come loro siamo tutti discepoli dell’unico Maestro. E che anche noi dobbiamo imparare. E che anche noi dobbiamo essere più umili, smetterla di fare i padri eterni, scendere dal piedistallo e diventare compagni di viaggio di gente che da secoli soffre emarginazione e disagi di ogni tipo. La nostra insofferenza di missionari cresce soprattutto quando ci si scontra con una realtà che è molto diversa da quella che noi sogniamo. Quando le cose non vanno come vorremmo che andassero. Quando vediamo che la nostra gente sembra non dare importanza ai valori che per noi sono importanti: solidarietà, amicizia, verità, giustizia, pace etc. E allora ci rendiamo conto che questi sono valori Cristiani che ci vorrà tempo prima che vengano assunti. Non sopportiamo quando per esempio uno per fare il proprio interesse è disposto a fare qualsiasi cosa! Non sopportiamo che non ci siano persone in grado di fare qualco-


Spazio missioni

sa semplicemente e solamente gratuitamente. Non sopportiamo che la verità sia continuamente distorta e trasformata in menzogna a secondo degli interessi del momento. ecc. ecc. Insomma ci rendiamo conto che il Cristo dei vangeli è ancora lontano dall’essere recepito, o almeno cosi’ a noi pare. Poi però dobbiamo fare esame di coscenza anche noi: e noi Cristiani di vecchia data, quanto abbiamo recepito questi valori? Sono le nostre società più cristiane di queste che comunque non sono nemmeno ufficalmente Cristiane! Ma ancor più: quanto io sono Cristiano e quanto io vivo quello che predico? Ancora c’è da rendersi conto e ripartire da capo, e riconoscere che anche per me il Cristianesimo vero e realizzato o compiuto rimane un traguardo ancora da raggiungere!

Non so che impressione vi faranno queste mie parole. Spero non vi deludano e non vi diano un impressione cupa di quanto succede o viviamo a queste latitudini. Questi pensieri sono e, sono convinto, dovrebbero essere, i miei compagni di viaggio sempre: un modo per essere sempre consapevole di chi sono, e dove sono e con chi sono e per Chi lavoro! La cosa che immagino sia la vera novità che solo il Cristianesimo può portare da queste parti sia la gratuità, o la grazia: quell’atteggiamento che porta al dono di sè disinteressato. Ma quando ciò diventerà patrimonio culturale di questo popolo e soprattutto della gente Rishi con i quali e per i quali lavoro, non mi è dato di sapere. A me rimane il compito di essere compagno di viaggio di questa

gente che ha sofferto e continua a soffrire tanto. Il resto è nelle mani di Dio. A noi il compito di lasciarci mangiare, di diventare pane spezzato, eucarestia appunto, quella con il grembiule ai fianchi nell’atto di lavare i piedi, soprattutto quando sono sporchi e puzzolenti a causa di secoli di prevaricazioni. Ricordiamoci nella preghiera e grazie per l’aiuto che ci fornite costantemente: anche quello è un modo per lasciarci mangiare! Ciao ciao.

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Padre Sergio

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Divagando sul Natale Neanche i poeti sfuggono al fascino del Natale

La poesia del Natale... il Natale nella Poesia

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ccolo! Immancabile, il Natale arriva con tutta la magia che sa suscitare fuori di noi e dentro di noi, anche se non più giovani e ormai avvezzi ad accogliere la ciclicità delle ricorrenze. Ogni anno abbiamo la tentazione di dire che non è più come il Natale di un tempo, che ha perso quel fascino e quella intima vitalità che animava la nostra infanzia; ma basta qualche lucina sfavillante tra gli addobbi dorati, qualche baluginar di stella nel profondo blu del cielo, qualche dolce nota della nostra tradizione religiosa e i nostri cuori si sciolgono alla tenerezza. Sicuramente abbiamo la maturità di capire che tutto ciò non corrisponde pienamente al senso vero della festività religiosa, ma ci lasciamo ugualmente invadere da quella dolcezza che ci fa sentire tutti più buoni e ben disposti verso gli altri. Non dimentichiamo certo i problemi che ci amareggiano né i grandi temi che affliggono l’umanità, ma vogliamo (e ci diamo da fare per ricreare) quel calore che alimenta l’amore. Anche i poeti non sono stati immuni dal fascino esercitato dalla ricorrenza del Santo Natale; molti di loro hanno dedicato alla festività versi di grande intensità poetica esprimendo l’intima meraviglia dei sentimenti indotti dalla nascita del Cristo.

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Umberto Saba così riesce ad esprimere il suo Natale.

Nella notte di Natale Nella notte di Natale Io scrivo nella mia dolce stanzetta, d’una candela al tenue chiarore, ed una forza indomita d’amore muove la stanca mano che si affretta. Come debole e dolce il suon dell’ore! Forse il bene invocato oggi m’aspetta. Una serenità quasi perfetta calma i battiti ardenti del mio cuore. Notte fredda e stellata di Natale, sai tu dirmi la fonte onde zampilla improvvisa la mia speranza buona? E’ forse il sogno di Gesù che brilla nell’anima dolente ed immortale del giovane che ama, che perdona? Dunque scoperta di quanto l’amore espresso da Cristo, se accolto dal nostro cuore con tutta la gamma dei buoni sentimenti, sia in grado di cambiare la nostra percezione della vita.

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Roberto Piumini con un linguaggio semplice ma accattivante coglie il senso profondo del Natale spogliato da tutti gli orpelli mondani, ma arricchito dalla relazione con l’altro, una relazione rinnovata dalla forza del dono di sé.

Natale Quest’anno Natale Mi ha fatto un bel dono Un dono speciale Mi ha dato allegria Canzoni cantate In gran compagnia Mi ha dato pensieri Parole e sorrisi Di amici sinceri Non voglio più niente Dei vecchi regali Ad ogni Natale Io voglio la gente


Divagando sul Natale Bertolt Brecht con pochi tratti essenziali non può far altro che riconoscere la necessità della nascita di Cristo per ridar dignità all’uomo.

Siete disposti a fare queste cose sia pure per un giorno solo? Allora per voi Natale durerà per tutto l’anno.

Alla vigilia di Natale Oggi siamo seduti, alla vigilia di Natale, noi, gente misera, in una gelida stanzetta, il vento corre fuori, il vento entra. Vieni, buon Signore Gesù, da noi, volgi lo sguardo: perché tu ci sei davvero necessario.

Henry van Dike attraverso delle secche ed inoppugnabili richieste, inchioda l’uomo alle sue responsabilità: è urgente un cambiamento, anzi uno stravolgimento del comune pensare per riconsegnare al Natale il suo più veritiero significato. Siete disposti a dimenticare quel che avete fatto per gli Altri e a ricordare quel che gli altri hanno fatto per Voi? A ignorare quel che il mondo vi deve e a pensare a ciò che voi dovete al mondo? A mettere i vostri diritti in fondo al quadro, i vostri doveri nel mezzo e la possibilità di fare un po’ di più del vostro dovere in primo piano? Ad accorgervi che i vostri simili esistono come voi, e a cercare di guardare dietro i volti per vedere il cuore ? A capire che probabilmente la sola ragione della vostra esistenza non è ciò che voi avrete dalla Vita, ma ciò che darete alla Vita? A non lamentarvi per come va l’universo e a cercare intorno a voi un luogo in cui potrete seminare qualche granello di Felicità?

Non si può non dar voce ad un grande donna, oggi beata Madre Teresa di Calcutta, capace di usare le parole come lame taglienti, prive di qualsiasi ambiguità, dritte verso il centro del cuore.

È Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano. È Natale ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare l’altro. È Natale ogni volta che non accetti quei principi che relegano gli oppressi ai margini della società. È Natale ogni volta che speri con quelli che disperano nella povertà fisica e spirituale. È Natale ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza. È Natale ogni volta che permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri.

Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi: e dunque vieni sempre, Signore… Noi siamo tutti lontani, smarriti, né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo: vieni, Signore. Vieni sempre, Signore.

Se così non fosse, le lievi gioie che invadono la nostra vita, la poesia che riscalda certi percorsi della nostra esistenza e che solo all’apparenza danno senso al nostro cammino, una volta svanite ci lascerebbero aridi, svuotati e di nuovo disarmati di fronte ai grandi quesiti sul significato vero ed inalterato della nostra esistenza; se non fosse nato Cristo, se Cristo non nascesse tuttora, se non ci concedesse questo grande dono avremmo una possibilità in meno per condurre a buon fine ciò che a noi è stato donato. Chiara Lubrich, fondatrice del Movimento dei Focolari, in un suo scritto rivolto ad una sua prima amica, così le augurava “Che la morte non ti rubi nulla perché hai già donato tutto”

Padre David Maria Turoldo nella sua lirica “Vieni di notte” innalza un’ angosciante invocazione al Signore che solo con la sua venuta può compensare le numerose fragilità dell’uomo.

Da parte nostra,a tutti un augurio sincero affinché non si aspetti il Natale per essere migliori!

Silvana Brianza

Vieni di notte Vieni di notte, ma nel nostro cuore è sempre notte: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni in silenzio, noi non sappiamo più cosa dirci: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni in solitudine, ma ognuno di noi è sempre più solo: e dunque vieni sempre, Signore…

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Vita in Parrocchia Intervista con la signora Giovanna Lenza

Mi lascia fare?

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el Novembre 2012 ho avuto il piacere di essere contattato tramite mail da una professoressa dell’Università di Auckland in Nuova Zelanda circa i suoi studi sul “teatro femminile” fatto negli Oratori del nord Italia prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale. Daniela Cavallaro, questo il nome della professoressa, mi disse che digitando “Teatro educativo nordItalia” nel motore di ricerca di internet del suo computer in Nuova Zelanda subito le appariva il link del sito internet del nostro Oratorio, dove nella pagina della storia avevo pubblicato uno spezzone del libro di mons. Vittorio Formenti “L’Oratorio ieri” edito da Ruffini nel 1998 che parlava proprio del lavoro teatrale fatto dai sacerdoti, dalle suore poverelle e da alcuni laici negli Oratori (maschile e femminile) di quel tempo. Dopo esserci conosciuti tramite mail ed esserci passati delle informazioni preliminari la prof.ssa Cavallaro ha espresso il desiderio di incontrare alcune persone che fecero parte della compagnia teatrale dei nostri Oratori per porgere loro alcune domande. Come non pensare a Giannina? Da quella prima mail ho scoperto una miniera d’oro e ascoltato storie bellissime, come ad esempio, quella della macchina per scrivere che i nazisti lasciarono in Oratorio alla fine della seconda guerra mondiale e con la quale venivano scritti, proprio da Giannina, gli in-

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viti alle recite; e così via... L’incontro si è realizzato nel Maggio del 2013 (pochi mesi prima della tragica morte di Giannina) e di seguito viene riportata una sintesi riadattata dell’intervista fatta a Giannina che le rende ragione di tanto lavoro fatto negli ambienti parrocchiali insieme ai sacerdoti, alle suore e ai laici che si sono occupati di educare le giovani generazioni e, soprattutto emerge un bel pezzo di storia della vita della Parrocchia fatta da gente laboriosa e povera ma soprattutto felice e dignitosa. D. Lei alla fine della guerra aveva già vent’anni? G. Ventidue anni. A ventidue anni ho iniziato il mio lavoro, la mia collaborazione con le suore, mettendo in scena piccole scenette e poi più avanti sempre cose migliori. Più passava il tempo, più

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noi miglioravamo nello scegliere i testi e nel mettere in scena le cose drammatiche, […] o familiari, o sentimentali. Insomma, eravamo piene di entusiasmo e di buona volontà. Proprio perché il Signore ci ha aiutato. Perché io fin dall’inizio ho dato alla mia vita uno scopo, un unico ideale: l’Azione Cattolica […]. Visto il mio entusiasmo e la mia preparazione, sono stata mandata in Umbria a Città di Castello con due sacerdoti e due signore maestre a fare catechismo. I sacerdoti in parrocchia facevano la missione e io e le maestre andavamo nelle scuole a fare il catechismo. Insomma è stata per me una soddisfazione grande perché due settimane vuol dire che il centro diocesano ha avuto di me una certa fiducia […]. Dopo, quando sono tornata a Castrezzato per ricordare il venticinquesimo di fondazione dell’Associazione abbiamo messo in scena l’operetta Il miracolo di Lourdes, tre atti bellissimi ed intensi. Siccome c’era un certo Mario Ruffini della mia età, bravissimo appassionato della musica, con il permesso del parroco mi sono affidata a lui per la parte musicale. Io avevo il testo, lui l’ha messo in musica… undici strumenti musicali… una capacità enorme quel ragazzo! È stato un trionfo! ll presidente diocesano di Azione cattolica visto tutto l’apparato, la messa in scena, l’entusiasmo delle ragazze, ha scritto alla parrocchia dandole prestigio e dicendo che c’erano delle collaboratrici in gamba, forti,


Vita in Parrocchia entusiaste e soprattutto ben radicate nel tessuto della vita parrocchiale. D. Deve essere stata una bella soddisfazione. G. E la mia mamma, grazie che mi ha lasciato il tempo di frequentare la scuola e di fare tutto nell’Azione Cattolica. Avevamo anche un piccolo negozio, l’abbiamo poi trasformato in un negozio grande, che ora è affittato, ma io non facevo niente... La mia mamma mi lasciava tutto il tempo possibile di partecipare alle attività dell’Associazione Cattolica. Ho frequentato la scuola per avere il crocifisso di propagandista; perché allora la propagandista era in auge, erano chiamate presso le parrocchie. Era importante, dietro il sacerdote c’era la propagandista. Il corso durava tre anni al termine del quale si riceveva il crocifisso come segno di capacità di andare in propaganda (missione). Cosa succede poi? Mi confido con il mio padre spirituale, il parroco don Bonfadini, il quale aveva di me una stima profonda, più di quella che meritavo. “Sono pronta, ho detto, per il crocifisso?”. “Cosa? Cosa dice? Dimentichi quell’idea. Assolutamente la dimentichi. La sua parrocchia è la propaganda”. Ho dovuto rinunciare. Un dispiacere per la mia mamma… Ho ascoltato lui, ho rinunciato al crocifisso di propagandista, e sono rimasta in parrocchia. D. Se possiamo tornare al teatro, il teatro qui a Castrezzato è cominciato solo dopo la guerra? Che suore c’erano? G. Nel ’48 con piccole recite. Allora c’erano le suore poverelle. Brave! Ne sento la mancanza… Sono passate madre Nanda, madre Reparata, tutte entusiaste. Loro avevano un repertorio forte di libretti, se non li avevano li chiedevano a Bergamo, alla loro casa, o presso suore che conoscevano. D. Quindi, quali ragazze facevano parte del teatro?

G. Tante! erano brave e preparate… D. Erano ragazze che studiavano? G. No no, tutte operaie, o cameriere, povera gente insomma […]! D. Sto pensando a queste ragazze che facevano le operaie. Quando venivano a fare le prove? Quando si svolgevano le prove, la sera? G. Di sera, presso l’asilo Tito Speri dove risiedevano le suore […]. A Fare le prove si cominciava un mese prima dello spettacolo. La madre in persona le dirigeva. C’era un gruppo di ragazze incredibile; Fra queste ce ne era una che non si ricordava mai a memoria la parte, ma improvvisando riusciva sempre a cavarsela in modo meraviglioso: bravissima! Anche nel campo maschile c’era un gruppo straordinario di giovani (sposati e non) che hanno inscenato cose interessanti come: Caporal Simon, drammatico; Il cardinale, drammatico; Battaglia di cuori, drammatico. Li guidava il curato dell’Oratorio maschile di allora, don Pierino […]. D. Mi ha detto che una delle occasioni per cui si recitava era la festa della mamma […]. Quanti spettacoli all’anno si facevano in genere? G. Dunque, d’estate no, ma solo di primavera. Si facevano anche operette. Ricordo Occhio di falco, perché don Arturo aveva uno straordinario repertorio di queste operette… Intendo operette recito-cantate, bastavano quattro persone per ogni operetta. […] Don Arturo aveva un pianoforte a coda meraviglioso e ci aiutava anche nelle prove […]. D. E Lei però non ha recitato? G. Mai, assolutamente. Non ho mai neppure provato. Perché non mi sentivo capace. A insegnare e dirigere sì suggerendo i gesti, i movimenti di scena… Quello sì mi piaceva farlo! Ma dopo no… Il recitare assolutamente, mai […]. D. Mi ha detto che per la festa

della mamma ovviamente venivano le mamme. Chi altro veniva agli spettacoli? G. Oltre alle mamme, c’era tutto il paese! Avevo la faccia tosta, scrivevo gli inviti a macchina (quella che i nazisti lasciarono a don Arturo all’Oratorio maschile), poche parole e poi andavo nelle scuole. Una volta una maestra mi ha rimproverato: “Lei viene a disturbare le lezioni”. Perché portavo direttamente in classe gli inviti. I ragazzi della scuola li conoscevo bene, dicevo loro: “Prendi il biglietto e portalo alla tua mamma”. Così la sera della recita il teatro si riempiva, bastava proprio un piccolo biglietto per me era una grande soddisfazione. Dopo poi il curato aveva parole per le mamme che non le so dire. Prima dello spettacolo, due parole ma di quelle fatte bene, con criterio, con delicatezza, elogiando la responsabilità della mamma, per dire che le mamme lacrimavano un pochino. Loro, sapendo che don Pierino aveva per loro queste dolci parole, venivano e il teatrino era pieno. D. Ma potevano venire anche i papà? Gli uomini? G. Sì, però di solito i papà per quelle cose lì non erano proprio portati... Però quando don Pierino metteva in scena delle commedie di una certa drammaticità all’Oratorio maschile, allora la partecipazione era corale, uomini e donne […]. D. Ogni spettacolo veniva messo in scena una volta sola o veniva anche replicato? G. Anche ripetuto se ne valeva la pena. Se veniva magari la richiesta da parte del pubblico, che delle volte gridava a gran voce: “Bis, bis, bis…”; magari la domenica pomeriggio successiva dopo la dottrina delle 14:30, noi replicavamo circa un’ora dopo. D. Ed è mai capitato di andare a recitare lo spettacolo da qualche altra parte?

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Vita in Parrocchia G. Sì, sì, a Cologne. Sono andati a fare Occhio di falco, bellissimo… E poi Paggio fiorito. Questa opera era di “teatro promiscuo” (maschi e femmine), però. Quella fu la prima volta che la parrocchia ha fatto del teatro promiscuo […]. D. Le attività teatrali continuano ancora oggi? E Lei, è ancora coinvolta? G. No, no, se non sporadicamente. Ultimamente ho fatto Mamma dono di Dio e poi Tovini e Zammarchi […]. Lo scopo di questo ultimo spettacolo è stato quello di ricordare queste due figure: mons. Zammarchi un nostro concittadino, di un’intelligenza… deve sapere che fece una conferenza molto importante per quell’epoca sulla fisica dell’atomo al teatro Grande di Brescia […]. Lui viveva a Brescia, ma veniva a Castrezzato il sabato in treno (al tempo qui c’era una stazione). Un suo cugino lo andava poi a prendere col calesse, perché era di campagna, e lo riportava il lunedì per riprendere il treno. Monsignore passeggiava spesso in paese, quando incontrava degli uomini che lo salutavano dicendo: “Riverisco Monsignore”; lui rispondeva: “Sacerdote di Dio, buongiorno. Sono sacerdote di Dio!”. D. Ma Lei in che modo ha aiutato a organizzare questi ultimi spettacoli? G. Ho fatto la parte del “direttore artistico”, aiutata da alcune mamme e da alcune ragazze che prendevano parte ai recital. Ovvio che tutto è stato fatto col permesso dell’attuale parroco, don Mario. Prima ho chiesto: “Mi lascia fare?” […]. D. Quindi Lei ha aiutato le persone, gli attori, le attrici, a preparare la messa in scena. Ha ancora tante energie! È stata una bella soddisfazione? G. Si si, precisamente. È uno scopo di vita per me […]. D. Secondo Lei, questa esperienza del teatro che cosa ha dato

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alle ragazze del dopoguerra, alle ragazze del ’48, ’50? In che modo le ha aiutate a crescere? G. Noi avevamo come punto di riferimento la scuola per l’infanzia Tito Speri, dove c’erano le suore. Là passavamo la nostra domenica e dove ci ritrovavamo tante volte la sera. Là preparavamo le nostre recite decidendo prima a chi assegnare le varie parti. […] Ci ritrovavamo di solito la domenica e le suore dovevano dirci: “Andate a casa adesso, basta, dobbiamo ritirarci anche noi”. […] Scopo di noi ragazze era ritrovarsi con le suore al Tito Speri, quello era il nostro Oratorio, perché i maschi si ritrovavano quì alla casa “Pio XI”. Certo quest’ultimo era tutt’altro ambiente, più spazioso… Noi ci accontentavamo di un ambiente più piccolo, anche se molto accogliente. Le ragazze erano sempre contentissime, ci si accontentava di veramente di poco […]. D. Insomma, Lei ha proprio dei bei ricordi del teatro che si faceva negli Oratori di quei tempi? G. Molto ma molto. Bellissimi ricordi. Adesso non sono ancora in pace, gliel’ho già detto, mi piacerebbe mettere in scena qualcosa d’altro, forse Battaglia di cuori che è un recital meraviglioso in 3 atti. Forse è un po’ lungo... Allora ho pensato di ridurlo a un prologo e un atto… l’ho già riscritto! Volevo metterlo in scena per la festa della mamma ma non ho ancora chiesto al parroco il permesso […]. C’è un ragazzino che, penso, frequenti la prima media che quando mi incontra mi chiede sempre: “Giannina, non fai più niente?”. D. Sono questi ragazzini di 10-12 anni che Lei vorrebbe stimolare a fare teatro adesso? G. Già! L’altra mattina recandomi dal fornaio per strada pensavo tra me: “ho proprio un bel coraggio, alla mia età volere ricominciare a mettere in scena qualcosa”. D. Be’, Lei ci mette il testo, l’entu-

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siasmo… G. …E dopo certo c’è chi mi aiuta. Un’amica intima incoraggiandomi mi ha detto: “Conta su di me quando hai bisogno”. D. Bene, no? Perfetto! C’è qualche altra cosa che non le ho chiesto che vuole raccontarmi? Per esempio: avete mai fatto vite di santi? G. No, mai. Mai nessuna vita di santi. Forse non c’era il librettino. D. No perché per esempio i Salesiani – le Salesiane – facevano sempre vite di Sante. Queste erano le ultime curiosità. Adesso spegniamo il registratore. Signora, La ringrazio tanto del suo tempo, della sua disponibilità. […] Farò trascrivere da una mia assistente all’università questi appunti, poi gliene manderò una copia tramite mail a don Claudio così lei potrà avere un ricordo. Le posso chiedere di farle una foto? Le dispiace? G. Ma volentieri. Penso che al di là del carattere, dobbiamo essere tutti un po’ grati a chi come e con Giannina si è speso per educare le giovani generazioni della nostra comunità parrocchiale. Forse allora i mezzi erano poveri ed umili erano le condizioni delle famiglie, ma le energie umane e spirituali messe in campo erano grandi. Grazie a Giannina che ora ci guarda dalla piazza d’oro della Gerusalemme celeste (magari litigando un po’ con S. Pietro per fare qualche recital lassù in Paradiso). Semplicemente Grazie a Lei e a tutti coloro che nel tempo hanno collaborato a fare la storia della nostra parrocchia. Semplicemente grazie! don Claudio Chiecca


Vita pastorale Pastorale delle famiglie

Il sogno di ogni coppia

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ssere felici: è questo il sogno di ogni coppia.E non potrebbe essere altrimenti: l’amore con la “A” maiuscola, è indirizzato alla felicità. Il problema è sapere come questo sogno si realizzi. Le risposte, su tale punto, sono vaghe e risultano legate più a contenuti di tipo romantico che hai valori profondi dell’incontro uomo-donna nel matrimonio. In che modo è possibile essere felici come sposi,non evadendo, ma vivendo la coniugalità e realizzadone il significando più alto? Per i credenti la domanda si fa ancora più specifica:come attuare la vocazione alla santità a cui sono

chiamati, non malgrado o nonostante, ma proprio grazie e in forza del sacramento nuziale celebrato una volta per sempre? Gli interrogativi sono indubbiamente complessi e conoscono percorsi specifici da coppia a coppia, ma essi si impongono e non possono essere disattesi come secondari o di scarso rilievo: è in gioco la riuscita o meno dell’esistenza coniugale, con quanto comporta per gli sposi stessi, i figli, la chiesa e la società. Ci è di aiuto, in questa ricerca, la scrittrice Milena Jesenska che ha intrattenuto unalunga relazione affettiva con F.Kafka. Nei suoi scritti, ella si chiede se sia

corretto sposarsi per essere felici e spiega che se qualcuno si sposasse ponendosi come scopo primario la ricerca della propria felicità compirebbe una scelta egoistica, destinata al fallimento. Sarebbe infatti come dire al patner:” il motivo per il quale mi unisco a te non è l’amore per te,ma la mia realizzazione”. In un simile ragionamento, il coniuge sarebbe solo uno strumento, un mezzo, per il raggiungimento di un fine che riguarda solo me, al punto che quando questi non lo soddisfacesse più sarei autorizzato ad abbandonarlo. Il matrimonio costituirebbe l’espressione del più crudo egocentrismo

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Vita pastorale e non realizzerebbe la felicità di nessuno dei due. In realtà, il patto coniugale è sempre un impegno a due, orientato ad accettare l’identità dell’altro, perchè si senta libero di essere ciò che è, e lo sia. Una tale idea di matrimonio lascia intuire come ci si sposi non per cercare anzitutto la felicità, ma per consentire al coniuge di sentirsi realizzato nell’incontro con l’altro da sè. Quando questa tensione è reciproca il matrimonio rende felici entrambi. Sposarsi significa incontrare una persona che non ti lascia solo, ma anzi vuole esserti vicino, anche se sbagli. I due scelgono il matrimonio non perchè cercano la felicità come una realtà isolata o isolabile dal loro incontro di amore, ma perchè sognano di poter realizzare un’esistenza condivisa, dove ognuno possa far emergere la parte migliore di sè e la offra all’altro-altra. L’amore coniugale è il superamento dell’IO e il sostegno ad una fragile coscienza di sè. E’ allora che i coniugi sperimentano un matrimonio felice, quando si pongono in un effettivo atteggiamento di altruismo e di oblatività. Il ragionamento della Jesenska lascia intravvedere come la felicità della coppia sia legata ad una armonica coniugazione di due valori essenziali: la persona e la comunione,il valore della persona-uomo e della personadonna nella ricchezza di ciò che sono in se stessi e l’uno per l’altra, e il valore di una comunione dove ognuno ami il coniuge ricercando innanzitutto non la propria, ma la sua felicità. Solo quando si passa dal chiedersi: “Che cosa mi dà lui/ lei, perchè io sia felice “ ,alla domanda :”Che cosa sto facendo io, perchè lui/lei sia felice?”, si è sulla buona strada per realizzare un incontro matrimoniale felice. E tale è la valenza dell’autentico amore tra due sposi:non ricerca di sè, ma desiderio e attivazione del bene dell’altro, vivendo in unità sia il ri-

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spetto della persona sia la ricerca di una comunione libera e liberante. È quanto esprime il poeta libanese G.K.Gibran in un celebre testo sul matrimonio: Voi siete nati insieme e insieme starete per sempre. Insieme, quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni. Insieme nella silenziosa memoria di Dio vi sia spazio nella vostra unità. E tra voi danzino i venti dei cieli. Amatevi l’uno con l’altra ma non fatene una prigione di amore. Piuttosto vi sia tra le rive delle vostre anime come un movimento di mare. Riempitevi a vicenda le coppe, ma non bevete ad una coppa sola. Datevi cibo a vicenda, ma non mangiate dello stesso pane. Cantate e danzate insieme e siate giocondi, ma ognuno di voi sia solo, come sole sono le corde del liuto, sebbene vibrino diuna musica eguale. La comunione quindi esprime lo spazio amico entro cui le persone sono se stesse e tuttavia si incontrano, donandosi, accogliendosi, condividendo le rispettive esistenze. Quanto è vero a livello generale è costitutivo per la realizzazione di un matrimonio felice. L’incontro tra la persona-uomo e la personadonna non può essere fondato sulla mortificazione di una delle due o, al contrario, sulla pianificazione/annullamento delle differenze , ma sulla preziosità irripetibile di ognuna e su uno scambio oblativo entro cui ogni coniuge sia se stesso e tuttavia esperimenti una gratuita consegna di sè all’altro: un IO-TU che diventa un NOI e un NOI che valorizzi l’IO-TU. Questo richiede di essere costruito giorno dopo giorno, in un percorso di verifica e maturazione che suppone

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una veglia incessante e la ricerca di un dialogo affettivo intessuto di disponibilità, di amorevolezza e di positività. E tale è il contenuto della “Tenerezza” come vocazione, progetto di vita ed “Estetica spirituale”dell’amore. Educare alla tenerezza non è orientare a qualcosa al di fuori di sè, ma fare venire alla luce un’attitudine che è già in noi, orientando a crescere verso una forna di vita che caratterizzi tutto il nostro IO-SPIRITUALECORPOREO e il nostro essere con gli altri: il bisogno di sentirsi amati e sentire di amare, per imparare a dire grazie con la vita. La tenerezza si colloca in questa triplice direzione: • sentire di essere amati • sentire di amare • inchinarsi all’infinita Tenerezza che ci dona ad ogni istante a noi stessi. “Sentire”........perchè non basta essere amati, bisogna saperlo, sentirlo. La tenerezza suppone questa autoconsapevolezza. È allora che il “sentire” si trasforma in risposta amante che fa della dolcezza il segno distintivo e della soavità uno stile di vita. Entrambe le attitudini, sentire di essere amati e sentire di amare,rimandano al riconoscimento adorante di Dio, sorgente dell’Amore e sua patria.

Don Carlo Rocchetta docente all’istituto telogico di Assisi responsabile del centro Familiare “Casa della tenerezza” a Perugia


Con la Diocesi Dagli uffici pastorali della diocesi

Linee diocesane per la Pastorale Battesimale

I

l contesto culturale e socioreligioso dell’Italia è profondamente mutato negli ultimi venti anni, come rilevano le più recenti ricerche sociologiche sull’argomento. La diminuzione dei numero dei praticanti rappresenta forse il tratto più vistoso di un fenomeno vasto e complesso che sta modificando volto e linguaggi, foline aggregative e abitudini delle comunità cristiane. Nonostante questo, nella nostra Diocesi la prassi del Battesimo neo-natale rimane ancora molto diffusa e comune. È vero che talora si levano voci critiche che auspicano un radicale cambiamento e propongono di celebrare il Battesimo solo per gli adulti oppure solo per quei neonati la cui famiglia, segnata da una coscienza matura di fede, vive una prassi sacramentale abituale. Non sembra però che tale visione possa essere sostenuta: ragioni teologiche, indicazioni magisteriali e motivazioni pastorali mostrano la non perseguibilità di questa ipotesi, che potrebbe adombrare la ricerca di una Chiesa di “puri” e di “perfetti”, tentazione spesso ricorrente nella storia della Chiesa, alla quale tuttavia non bisogna cedere, pena la perdita della stessa identità ecclesiale. Non può essere, inoltre, sottovalutata l’auto-comprensione di fede presente in parecchi genitori che — pur non pienamente consapevoli o anche sostenuti da motivazioni parzialmente erronee

— chiedono comunque il Battesimo per i loro figli. D’altra parte, se il Battesimo dei bambini sembra essere oggi spesso problematico e poco efficace per la stessa famiglia che lo chiede, forse una parte di responsabi-

lità va ascritta alla stessa comunità cristiana. Nella prassi abituale infatti il Battesimo rimane qualcosa di isolato; spesso, anche per la forma celebrativa adottata, è colto nei suoi esiti ed effetti più individuali che ecclesiali. Inoltre il Batte-

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Spazio Con la Diocesi Oratorio simo neonatale rimane per lo più racchiuso nel solo momento liturgico-rituale, senza essere accompagnato dalla preoccupazione per un’adeguata e reale inserzione del piccolo e della sua famiglia in un percorso di iniziazione alla vita cristiana che continui anche nell’ampio periodo post-battesimale. Questa lettura critica della prassi battesimale sollecita il passaggio dall’idea di alcuni incontri in preparazione al Battesimo a una pastorale di evangelizzazione che, avendo come protagonista principale la famiglia, colga il Battesimo dei bambini all’interno del più ampio percorso di iniziazione cristiana. A partire dal 2003 la nostra Diocesi ha introdotto un modello rinnovato di iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi (dai 6 ai 12 anni circa), insistendo soprattutto sull’importanza e la necessità dell’accompagnamento dei genitori, chiamati a fare loro stessi un cammino di fede insieme con i figli. Ora si desidera completare quel rinnovamento, ponendo particolare attenzione alla pastorale battesimale. L’iniziazione cristiana infatti non incomincia a sei anni, ma con il Battesimo, che, nella stragrande maggioranza dei casi, viene celebrato nella nostra Diocesi nei primi mesi di vita. La responsabilità della famiglia nella educazione cristiana di questi figli incomincia perciò prima dell’età scolare; e, di conseguenza, la parrocchia fin dal Battesimo dei piccoli «deve offrire ai genitori — dichiara la Conferenza Episcopale Italiana - gli elementi essenziali che li aiutino a fornire ai figli l’alfabeto cristiano». Sollecitati da questa autorevole richiesta, gli Uffici pastorali diocesani più direttamente interessati (Famiglia, Catechesi, Oratori e Pastorale giovanile, Liturgia, Scuola, Vocazioni e Tempi dello spirito) hanno accolto il desiderio del Ve-

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scovo Luciano e dei Consigli Diocesani, perché venisse completato il rinnovamento dell’iniziazione cristiana con l’elaborazione di un testo per la “pastorale battesimale”. Con questa espressione si intende il cammino di fede che la comunità cristiana e la famiglia sono chiamate a vivere dalla nascita di un figlio fino all’inizio del percorso per il completamento del cammino di iniziazione cristiana dei fanciulli e ragazzi, verso i sei anni. Il presente testo fa quindi riferimento non solo alla preparazione e alla celebrazione del Battesimo, ma anche alla pastorale post-battesimale nei primi sei anni di vita. In pratica, al “modello” rinnovato di iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi (ICFR) si affianca e si aggiunge ora un “modello” rinnovato di iniziazione cristiana dei bambini (ICB). Lo scopo è fornire alle parrocchie e alle unità pastorali un aiuto, perché, da un lato, la pastorale battesimale diventi un momento di grazia non solo per i bambini ma anche per i genitori e l’intera loro famiglia; dall’altro, sia garantita un’adeguata continuità e coerenza tra l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi e l’iniziazione cristiana dei bambini. La proposta del “modello” rinnovato di iniziazione cristiana dei bambini (o “pastorale battesimale”) si avvale di due strumenti pastorali. Il primo è costituito dal presente testo, che, come lascia intendere il sottotitolo “Linee diocesane per la pastorale battesimale”, intende offrire gli orientamenti di fondo della pastorale battesimale nella nostra Diocesi. Essendo quello più autorevole, normativo e, almeno relativamente, più duraturo — anche perché presenta le indicazioni del Direttorio per la celebrazione e la pastorale dei sacramenti nella Diocesi di Brescia, emanato con decre-

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to dal Vescovo Giulio Sanguineti il 5 aprile 2007 — viene stampato in forma cartacea. Il testo si compone di due capitoli riguardanti, rispettivamente, da un lato, una introduzione alla pastorale battesimale, dall’altro, una presentazione più specifica delle indicazioni del Direttorio diocesano. Il tutto si conclude con un’appendice, in cui si offre in foinia schematica la traccia di quel possibile itinerario di fede con le famiglie prima e dopo il Battesimo che viene trattato e sviluppato nel secondo strumento pastorale. Questo secondo strumento ha più il carattere di sussidio e presenta una serie di schede operative per gli incontri con i genitori, che devono essere continuamente aggiornate e possono essere riviste, completate o sostituite da altri strumenti didattici facilmente accessibili. Di conseguenza si è ritenuto opportuno di non stamparlo, ma di renderlo disponibile alla Diocesi in formato digitale, mediante l’accesso al sito internet (www, diocesi.brescia.it/icb). Il Signore accompagni con la sua grazia questa particolare attenzione diocesana alla pastorale battesimale, che esprime e realizza la vocazione della Chiesa, chiamata, come madre, a generare nello Spirito sempre nuovi figli di Dio. Gli Uffici Pastorali della Diocesi di Brescia


Spazio Vita pastorale Oratorio

Programma dell’anno 2013/14 della Pastorale della Famiglia Partecipazione Convegno Sposarsi Oggi

09/11/2013 (Centro Paolo VI)

Animazione dell’incontro con i Fidanzati

09/11/2013

Animazione S. Messa della Famiglia

29/12/2013

Pizzata per le Famiglie (settimana educativa dell’oratorio)

sabato 1/02/2014

Incontro per le famiglie

22/02/2014 (in oratorio)

Incontro per le famiglie

22/03/2014 (in oratorio)

Pellegrinaggio per le Famiglie a Caravaggio

6/04/14 (pomeriggio)

Pellegrinaggio per le Famiglie al Santuario di Monte Berico (Vicenza)

01/05/2014

Animazione Veglia di Pentecoste

07/06/2014

Anno pastorale 2013-2014 Scheda generale raccolta dati bambini - ragazzi iscritti agli itinerari di fede parrocchiali NUOVO MODELLO ICFR Prima Tappa Bambini iscritti al Gruppo Betlemme Seconda Tappa Bambini iscritti ai Gruppi Nazaret Bambini iscritti ai Gruppi Cafarnao Terza Tappa Bambini iscritti ai Gruppi Gerusalemme Bambini iscritti ai Gruppi Emmaus Quarta Tappa Ragazzi iscritti ai Gruppi Antiochia Quinta Tappa Ragazzi iscritti ai Gruppi Betania Ragazzi iscritti ai Gruppi Sichar

Cammino unico 52 Cammino ordinario ACR 35 (-10) 2 (+10) 28 14 38 32

12 14

36

10

20 26

17 9

TOTALI Totali bambini iscritti al tempo preliminare di evangelizzazione dei genitori Totali bambini iscritti al Cammino Ordinario Totali bambini iscritti e tesserati al Cammino ACR Totale complessivo dei bambini e ragazzi iscritti agli itinerari di fede parrocchiali

52 267 78 397

Bambini Prima Confessione (Gr. Cafarnao Ordinario e ACR) Cresima e Prima Comunione (Gr. Antiochia Ordinario e ACR)

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Spazio Oratorio Una testimonianza diretta della Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro

Andate e fate discepoli in tutte le nazioni

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on una mia amica di Chiari e 7 ragazzi di Pavia, con don Angelo Rodella, salesiano responsabile del nostro gruppo, dal 19 Luglio al 14 Agosto siamo andati in Brasile per partecipare alla GMG (Giornata Mondiale della Gioventù). Il viaggio, sia di andata che di ritorno è stato molto lungo, poiché per arrivare in America Latina ci sono volute 12h di aereo con uno scalo a Madrid. Il paese dove alloggiavamo si chiamava Niteroi , in una scuola salesiana, che distava un’ora e mezza con l’autobus da casa Italia e dalla spiaggia di Copacabana a Rio de Janeiro dove si è svolta la GMG. Durante I tre gorni precedenti alla settimana della GMG, siamo andati a vedere le cascate dell’ Iguazu, che si trovano sul confine

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tra Brasile e Argentina (spettacolo surreale). A tutti coloro che partecipavano alla GMG, è stato consegnato un Kit che comprendeva: un cappellino, due magliette, due pass che utilizzavamo per i pasti e per i mezzi di trasporto, una croce e due libretti per le preghiere. La settimana è stata molto intensa, tutte le mattine ci recavamo a Casa Italia dove, nella parrocchia di S. Giuda Taddeo, partecipavamo alle catechesi e alla messa (le catechesi erano spiegate da vescovi italiani). La prima catechesi è stata fatta da Monsignor Bruno (vescovo di Napoli), il quale ci ha parlato della speranza e ci ha detto di non aver paura degli ostacoli perché con la speranza si possono sempre superare. Nella seconda catechesi, Monsignor Bruno Forte,

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ha paragonato la luce all’utopia e la notte al disincanto, l’uomo è stato creato per riscoprire l’altro e se si è da soli non si è mai felici. Egli ha concludo dicendoci che si può vivere senza sapere il perché,ma non si può vivere senza sapere per chi, quindi bisogna credere nell’impossibile possibilità di Dio”. La terza catechesi l’ha tenuta Monsignor Eduardo Menichelli (vescovo delle Marche), il quale ci ha detto che la fede non può essere sganciata dalla vita, il tema trattato è il compito dei discepoli ed il contenuto del loro annuncio che è Gesù Cristo. Come Gesù disse ai suoi discepoli “andate, ammaestrate e battezzate”, così noi uomini per essere buoni cristiani dobbiamo far nostre queste tre parole come motto nel costume cristiano. Il 26 di luglio nel primo pomeriggio ci siamo recati alla spiaggia di Copacabana per attendere l’arrivo del Papa. Mentre ci avvicinavamo alla meta, incontravamo gruppi sempre più numerosi di giovani che sventolavano bandiere di ogni nazionalità. Una sensazione bellissima ci pervadeva, eravamo tutti diversi e talmente uguali, tutti lì con un solo scopo: incontrare “il Successore di Pietro”, che quella sera avrebbe presieduto la Via Crucis. Il 27 luglio, dopo poche ore di sonno, siamo ripartiti da Niteroi per raggiungere ancora la spiaggia di Copacabana, con una adrenalina


Spazio Oratorio in corpo che ci avrebbe accompagnato per i prossimi due giorni. Intanto che aspettavamo l’arrivo del Papa per la Veglia, la spiaggia si è riempita fino all’inverosimile formando una coda umana lunga diversi kilometri. Mentre il Papa si avvicinava, lungo il tragitto, tutti i giovani si accalcavano alle transenne per vederlo da vicino, piangendo di gioia per l’emozione e lanciando magliette sciarpe e cappellini che venivano raccolti e depositati nella Papa-mobile. Quando il Santo Padre è salito sul palco, un coro formato pensate da tre milioni di ragazzi si è alzato all’unisono, tutti gridavamo “esta es la joventud del Papa” (questa è la gioventù del Papa). In quel mo-

mento ho sentito un brivido attraversarmi tutto il corpo, mi sentivo partecipe di un qualcosa di immenso, magnifico, di potente ed infallibile che certamente avrebbe segnato per sempre la mia vita. Il messaggio che ci è stato consegnato durante la Veglia è il seguente : “Andate e fate discepoli in tutte le nazioni”. Due momenti intensi, tra tanti, li abbiamo vissuti quando il Papa ci ha chiesto di

pregare in silenzio e durante il momento di adorazione, un silenzio assoluto è calato sulla spiaggia era quasi irreale, sembrava fossimo spariti, eravamo invece tre milioni di ragazzi raccolti in preghiera. Per fortuna quella notte non ha piovuto, perché abbiamo “dormito” in spiaggia per essere pronti per la S. Messa conclusiva del giorno successivo. Ringrazio i miei genitori che mi hanno dato la possibilità di vivere questa incredibile esperienza nonostante non fossi abituata a star lontano da casa per così tanto tempo. Annamaria Casali

Semplicemente Giannina

“L

a vita di Cristo non fu scritta mentre Egli era in vita,eppure egli compì,sulla terra,la più grande impresa:redense il mondo e insegnò all’umanità ad amare il Padre.La sua opera continua rimanere tale, e noi, suoi piccoli strumenti, mettiamo la nostra parte e poi dobbiamo scomparire.”(Madre Teresa). “Dal silenzio alla lode; da un impegno programmato razionalmente,all’avventura della fede;dal lasciare tutto all’abbandono sulle ali del mistero;dal desiderio di battere la strada di una carriera all’immolazione: «Va e ripara la mia Casa!» Allora… adesso! Questo eri tu cara Giannina un piccolo strumento nelle mani di Dio, dove hai saputo portare la sua parola attraverso le tue preghiere, il tuo impegno nell’Azione Cattolica a cui hai dedicato la tua giovinezza come promotrice e nel tempo hai sempre proseguito dando l’esempio di cristiana semplice e devota. Nel tuo cammino di fede hai saputo trasmettere

questo tuo stile di vita, attraverso le tue rappresentazioni teatrali, anche se pur incontrando difficoltà, hai sempre proseguito a testa alta senza abbatterti, continuando nella tua preghiera quotidiana. Ti vogliamo ricordare esprimendo il nostro amore di Dio con il nostro servizio alla comunità rimanendo sensibili ed attenti alle diverse necessità certi che essere educatori di AC significa saper donare gratuitamente e con il cuore seguendo il tuo esempio. Ci affidiamo alla Madonna e a suo Figlio perché ci sostengano e ci proteggano con la certezza che ora anche tu insieme a loro ci starai sorridendo e vegliando. Un abbraccio e una preghiera. L’Azione cattolica di Castrezzato La Presidente Festa Mirta

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Spazio Oratorio

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Spazio Oratorio Dalla parte di chi lavora per la buona riuscita dell’evento

Vi racconto la mia Giornata Mondiale della Gioventù

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ari Parrocchiani, mi chiamo Eleonora e tanti di voi mi conoscono come la mamma di Aaron. Mi è stata offerta dal nostro don Claudio la possibilità di poter condividere con voi la mia esperienza estiva nell’organizzazione della “GMG - Giornata Mondiale della Gioventù” che si è tenuta in Brasile, a Rio de Janeiro, a fine Luglio. Lavoro dal 2005 presso BBC Services Missionary & Voluntary Travel, un’agenzia di viaggi specializzata in biglietteria aerea per il terzo settore, cioè quel settore che supporta i missionari, i volontari, le onlus e le organizzazioni non governative in giro per il mondo. Da anni ci occupiamo anche di organizzare i viaggi per la GMG seguendo i ragazzi delle varie Diocesi in questa esperienza che spesso, per tanti di essi, rappresenta una delle più profonde e toccanti del loro percorso di crescita. Contagiati poi dall’entusiasmo di Papa Francesco, quest’anno in Brasile i ragazzi sono stati davvero tanti da seguire. La mia preparazione alla GMG ha avuto inizio a Gennaio 2013, quando mi è stato chiesto di lasciare la famiglia per dieci giorni, per recarmi in Brasile ad assistere a livello tecnico il migliaio di ragazzi che partivano con noi. Dopo averne parlato con mio marito, ho accettato la proposta ed ho iniziato a frequentare diversi corsi preparatori, compreso un corso di lingua

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portoghese che è durato fino alla mia partenza avvenuta da Milano il 27 luglio con destinazione San Paolo, luogo dove ho prestato il mio servizio. Sono atterrata quando papa Francesco stava concludendo il suo intervento a Rio. Vi chiederete: “ma perché a San Paolo quando la GMG era a Rio?” Perché tanti ragazzi arrivavano da Rio in pullman per ripartire alla volta di casa, soprattutto quelli fra loro che seguendo la “missione” di papa Francesco avevano deciso di unire all’incontro con il Santo Padre un’esperienza missionaria, presso i tanti Ordini Religiosi che prestano la loro opera di evangelizzazione in quel paese. Il mio compito è stato proprio quello di assistere questi ragazzi alla fine della loro forte esperienza, guidandoli al meglio delle mie possibilità, affinché potessero rientrare in Italia senza disguidi e poter a loro volta contagiare d’en-

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tusiasmo familiari e amici. Era la prima volta che andavo in Brasile e all’inizio ero spaesata nel vedere quanto è grande quel paese! Ho iniziato subito il mio lavoro d’assistenza e operazioni di checkin per i tanti gruppi delle più svariate parrocchie italiane, dal Trentino alla Sicilia. Ogni giorno facevo accoglienza in aeroporto ai tanti ragazzi che arrivavano a gruppi di 100/200. Si presentavano sempre con valigie troppo pesanti, chitarre e altri effetti che come ben sapete dovrebbero viaggiare in stiva ed allora mi prodigavo per sistemare tutto e tutti, evitando ai ragazzi inutili esborsi di denaro. Ero lì per loro e grazie anche alla collaborazione dei dipendenti aeroportuali brasiliani, che ho trovato davvero molto disponibili, sono rientrati tutti senza problemi. Vi assicuro che alla sera andavo volentieri a riposare, ma felice nel cuore! Ero davvero emozionata nel trovarmi in mezzo a tutti quei giovani che si presentavano per rientrare nelle loro patrie d’origine. Sono stata fiera di aver rappresentato l’Italia in una iniziativa mondiale e commossa nel vedere uniti, per uno stesso Credo, ragazzi di tutte le nazionalità. Il 6 Agosto scorso sono rientrata a casa, con la bandiera brasiliana sulle mie spalle e orgogliosa di aver vissuto, anche se solo come organizzatrice, questo grande evento. Alla prossima GMG! Eleonora


Spazio Oratorio 13-15 settembre 2013

Grande successo per l’edizione 2013 della Festa di San Luigi

A

ncora una volta, grazie ai numerosi volontari dell’oratorio, la tre giorni di sport, buon cibo e divertimento è riuscita a coinvolgere la comunità e anche numerose persone provenienti da fuori paese. Ma andiamo a ripercorrere queste giornate. La partenza è avvenuta nella serata di venerdì 13 settembre, tutta dedicata allo sport. Al campo sportivo si sono sfidati bambini e ragazzi per un quadrangolare di calcio. Nell’arena spazio poi al twirling delle majorette Stelle Granata e all’esibizione di ginnastica artistica Estate 83. La serata è stata poi chiusa dalla musica a 360° di dj Pepito. Ancora sport protagonista nella giornata di sabato: prima il quadrangolare di calcio dedicato alla memoria di Gianluca Molari, poi le esibizioni di karate (scuola Genocchio) e ballo (scuola Obiettivo Danza). Le note dell’orchestra Cristian Villani hanno poi chiuso la serata. Domenica 15 le celebrazioni sono entrate nel vivo. Alle 9.30, nella messa tenutasi in oratorio, si è ringraziata e salutata suor Ernesta, che dopo diversi anni lascia la nostra comunità. Allo stesso tempo è stata accolta ufficialmente suor Teti, che ha iniziato così il suo servizio. Nella stessa funzione, inoltre, è stato ricordato il trentesimo di

ordinazione sacerdotale di padre Aldino Cazzago e il decimo di ordinazione a diacono permanente di Massimo Sala. Dopo la funzione religiosa, i membri della Commissione Famiglia del Cpp Parrocchiale hanno raccolto delle firme per l’iniziativa “Uno di Noi”. Lo scopo di quest’ultima è di veder garantita dalle istituzioni comunitarie europee la protezione giuridica della dignità e del diritto alla vita di ogni essere umano fin dal concepimento. Chiusa la mattinata è stata l’ora di un ottimo spiedo, preparato con cura dai volontari attivi nei tre giorni in cucina. Il pomeriggio è stato poi caratte-

rizzato dalla mostra e benedizione di animali: questi ultimi sono stati protagonisti anche di una simpatica e divertente sfilata. Gli animali più simpatici, inoltre, hanno ricevuto un premio. Ma non solo: ben riuscita anche l’esercitazione di primo soccorso messa in scena dal Cosp in collaborazione con Vigili del Fuoco e Protezione Civile di Chiari. La serata di domenica 15 settembre, nonostante il cattivo tempo, ha visto tantissima gente affollare l’oratorio, prima per gustare gli ottimi piatti della cucina, poi per la vista dei bellissimi fuochi d’artificio che, come per tradizione, hanno chiuso la festa e dato l’arrivederci al prossimo anno.

Grazie per l’invito alla Festa del Ciao Un invito accettato con entusiasmo e con la voglia di condividere con i nostri figli una domenica diversa dalle altre. “Non c’è gioco senza TE” e anche noi genitori ci siamo messi in gioco e non solo per le attività svolte insieme ai nostri ragazzi ma soprattutto con l’intento di avvicinarci di più al loro percorso formativo cristiano. Il risultato è stato una giornata coinvolgente e divertente. Felici di aver saputo cogliere questa occasione, ringraziamo tutti gli educatori ACR. Emanuela e Roberta

P.S.: Grazie anche ai ragazzi dell’ACG che si sono adoperati per la preparazione del pranzo.

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Vita in parrocchia L’esperienza dei genitori, padrini e madrine e dei ragazzi dei gruppi Emmaus (Cresima e 1a Comunione)

Una domenica a Lonato in ascolto dello Spirito

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omenica 27 Ottobre, al termine del cammino di preparazione ai sacramenti della Confermazione e della Prima Comunione dei nostri figli, noi genitori, i nostri figli con i loro Catechisti, Educatori ACR, i padrini e le madrine abbiamo colto l’invito ad una giornata di ritiro e di riflessione presso la Comunità Missionaria di Villaregia a Lonato (BS) (per informazioni: www.cmv.it). Giunti di buon mattino nel bellissimo centro missionario, siamo stati accolti da Rita, Lucia e Padre Siro, tre missionari che hanno una lunga esperienza nelle varie case che la loro congregazione ha in giro per il mondo. Raggruppati i bambini in un’altra sala, noi genitori e padrini ci siamo accomodati in una modernissima sala multimediale dove, dopo il canto iniziale, Rita ha iniziato a parlarci del sacramento della Confermazione. La missionaria, attraverso un modo di parlare vivace e appassionato, ha cercato di spiegarci il significato della discesa dello Spirito Santo su di noi, e sui nostri figli, anche attraverso esempi concreti e usando simbolicamente dell’acqua, un cero, del fuoco, dell’olio e il vento. È stato molto bello ascoltarla, perché partendo dal racconto del suo personale ed emozionante ricordo della Cresima, ci ha fatto riflettere su molti argomenti. Non è stato un ascolto passivo, ma siamo stati chiamati più volte ad interagire con lei, raccontandole alcune no-

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stre esperienze e pensieri. Dopo una pausa caffè, la seconda parte della mattinata è stata condotta da Padre Siro, missionario partito dalla provincia di Venezia, e che nella sua esperienza ha vissuto in varie parti del mondo. Lui ci ha parlato della Prima Comunione e alla fine ci ha coinvolto in un gioco con dei ceri in cui dovevamo rappresentare chi i nostri figli, chi delle persone buone, e chi dei cattivi. È stato importante poterci confrontare reciprocamente tra genitori e imparare cose nuove. Significativo è stato anche il momento del pranzo comunitario, che abbiamo consumato con i nostri bambini e altri due gruppi di preghiera che si erano fermati presso i missionari anche a dormire. Dopo un primo piatto offertoci dai missionari, abbiamo condiviso tra noi il pranzo al sacco che ci eravamo portati. Una cosa gioiosa

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che ci ha fatto riflettere, se non altro per il modo semplice in cui si è svolta. Dopo aver aiutato a risistemare la sala pranzo, i bambini hanno potuto sfogarsi nel grande giardino. Abbiamo infine partecipato alla S. Messa, animata da tutti i missionari e concelebrata da padre Siro e da Don Mario, giunto tra noi dopo pranzo. Verso le 17 siamo risaliti in macchina, con la gioia nel cuore per aver vissuto una giornata speciale con i nostri figli. Ringraziamo di cuore i nostri sacerdoti, i catechisti degli adulti che ci hanno seguiti in questi anni. Ringraziamo i Catechisti e gli Educatori dell’ACR dei nostri ragazzi che con pazienza e costanza li hanno guidati a questo appuntamento importante. Ringraziamo i missionari che ci hanno aiutati per l’intensa e proficua giornata di preparazione alla celebrazione dei sacramenti della Confermazione e della Prima Eucaristia dei nostri ragazzi. Porteremo per sempre nel cuore la carica e la gioia delle esperienze fatti in questi anni, che ci hanno aiutato a prepararci ai sacramenti come famiglia!! Genitori dei Gruppi Antiochia del Cammino Ordinario e dell’ACR


Vita in parrocchia Manifestazioni a favore delle missioni

Un bel ottobre missionario

I

l Gruppo Missionario Parrocchiale ringrazia tutti quanti si sono adoperati per la buona riuscita delle iniziative proposte durante l’Ottobre Missionario e per la vendita delle torte organizzata per sostenere le opere dei nostri missionari castrezzatesi. Ringraziamo in particolare i ragazzi dei “gruppi Betania” del Cammino Ordinario di catechesi per aver

prestato il loro aiuto alla “cena del povero” e per la “bancarella missionaria”. Ringraziamo tutte le persone di buona volontà che hanno prestato il loro validissimo contributo in cucina (senza di loro non avremmo potuto portare a termine le iniziative) e tutti quelli che hanno preso parte a diverso titolo alle iniziative proposte.

Da quest’anno il Gruppo Missionario ha un appuntamento fisso. Ci troviamo ogni mercoledì sera in Oratorio per un laboratorio creativo, chiunque voglia prendervi parte non deve far altro che venire in Oratorio verso le 21,00. Ci troviamo nell’aula S. Agnese Martire (piano terra). Venite a trovarci!

Il nostro Diacono permanente Massimo Sala, che attualmente svolge il suo ministero a Travagliato, incontra Papa Francesco in San Pietro lo scorso giugno, nel corso del pellegrinaggio diocesano a Roma.

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Vita in parrocchia 3 novembre 2013 - Omelia di mons. Vincenzo Zani

Cresime e Prime Comunioni

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ari adolescenti, padrini e madrine, cari fedeli, sono lieto di ritornare a rappresentare il Vescovo Luciano oggi, nella comunità parrocchiale di Castrezzato, per questa celebrazione speciale nella quale voi ragazzi e ragazze riceverete il sacramento della Cresima e vi accosterete per la prima volta all’Eucaristia, accogliendo in voi la presenza stessa di Gesù. So che vi siete preparati a questo evento, attraverso un lungo cammino, insieme ai vostri genitori, ai catechisti e ai sacerdoti. E oggi tutta la comunità parrocchiale gioisce con voi per questa tappa importante della vostra vita di cristiani. Cosa succederà tra poco? Si rinnoveranno per ciascuno di voi due esperienze straordinarie, le stesse che gli apostoli hanno vissuto con Gesù duemila anni fa: e cioè l’ultima cena svoltasi il giovedì santo nel Cenacolo e la discesa dello Spirito Santo su ciascuno di loro nella festa di Pentecoste. Già conoscete bene il significato di questi due sacramenti, la Cresima e l’Eucaristia, ma ci vogliamo preparare ulteriormente in questo momento, lasciandoci guidare dalla parola di Dio che abbiamo appena ascoltato; essa ci insegna chiaramente che questi sacramenti sono radicati nella vita stessa di Gesù e costituiscono l’inizio della Chiesa. La prima lettura descrive la discesa dello Spirito Santo. Dice che la festa di pentecoste stava per finire; era iniziata la sera precedente, si era protratta durante la notte e

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verso le nove del mattino, mentre gli Apostoli con Maria sono riuniti in preghiera, giunge un vento ga-

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gliardo che riempie tutta la casa e tutti i presenti. Lo Spirito si presenta sotto l’aspetto di lingue di fuoco che si posano su ciascuno, e comunica loro il potere di una parola infuocata che si esprime in molteplici lingue. Gli Apostoli ricordano che Gesù aveva loro promesso che dopo la sua partenza avrebbe mandato lo Spirito Consolatore, e perciò constatano che quella promessa si sta realizzando in pienezza. L’evento avviene in un luogo delimitato e coinvolge un numero ristretto di persone, ma da questo momento, a partire da quelle persone, ha inizio una diffusione del Vangelo dalle dimensioni sconfinate. Il dono della parola, primo carisma suscitato dallo Spirito, è finalizzato alla lode del Padre e all’annuncio, perché tutti, per la testimonianza dei discepoli, possano aprirsi alla fede e rendere gloria a Dio. Due sono le caratteristiche che contraddistinguono questa nuova capacità di comunicazione conferita dallo Spirito: in primo luogo essa è comprensibile a ciascuno, realizzando l’unità delle lingue distrutta da Babele (Gen 11,1-9); in secondo luogo è una parola che fa chiarezza, perché spiega e interpreta tutto ciò che è accaduto nella storia della salvezza e nella vita di Gesù. E’ la parola dell’amore, è la luce della verità. Lo Spirito irrompe e trasforma il cuore dei discepoli rendendoli capaci di intuire, seguire, testimoniare le vie di Dio per guidare tutte le genti alla piena comunione con lui,


Vita in parrocchia nell’unità della fede in Gesù Cristo, crocifisso e risorto. Nella seconda lettura abbiamo ascoltato la descrizione dell’evento più importante accaduto la sera del giovedì santo, quando Gesù ha consumato con gli Apostoli la cena della Pasqua ebraica, prima di essere crocifisso: lì egli ha istituito l’Eucaristia. Ha preso il pane, e dopo aver reso grazie, l’ha spezzato e ha detto: “Questo è il mio corpo che è per voi”. L’Eucaristia è veramente il corpo di Gesù che si fa presente quando il sacerdote celebra la Messa; è il corpo di Gesù che rimane presente nel pane consacrato anche dopo la Messa e viene custodito nel tabernacolo, (con accanto una piccola luce sempre accesa), a significare che lì permane la presenza di Gesù (che possiamo sempre visitare). Ma oltre a questo, Gesù ha aggiunto: “Mangiate questo pane”. Egli ha voluto consegnarsi a noi e diventare nostro cibo, nostro sostegno per alimentare la vera vita, la vita dello Spirito che abita in noi. Inoltre, Gesù ha usato anche un’espressione che ci fa comprendere un altro significato dell’Eucaristia: “Fate questo in memoria di me”. Quando noi partecipiamo alla santa Messa, il sacerdote non ripete dei gesti vuoti e senza significato, ma rende presente il patto che Gesù ha compiuto nella Pasqua e cioè la sua immolazione, il suo donarsi fino alla morte per liberarci dalla schiavitù del peccato. Il pane dell’offerta, spezzato nella morte di Gesù, dona a noi la vita. Ricevere la comunione significa entrare in questo patto, accogliere il dono straordinario dell’amore di Dio e impegnarci a trasformare il nostro comportamento rendendolo più simile allo stile di vita che Gesù ha portato quando ha dato se stesso per noi. Nella pagina del Vangelo di Luca abbiamo ascoltato la narrazione di un fatto di grande importanza

accaduto verso la fine della vita pubblica di Gesù, nella città di Gerico, un luogo che era ritenuto la porta di accesso alla terra promessa. Qui, dove Giosuè aveva assistito alla caduta delle mura della città, Gesù vede l’ingresso nel Regno di Zaccheo, che era un uomo ricco. Dobbiamo ricordare che Gesù aveva pronunciato una sentenza molto forte contro il legame con la ricchezza perché questa può rendere schiavi; aveva detto: “E’ più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli” (Lc 18,25). Gesù ha sempre lottato contro la ricchezza, poiché chi è ricco si sente già sicuro e potente e non avverte il

bisogno di incontrare il Signore e nemmeno del suo aiuto. Nel brano del Vangelo di oggi viene descritta l’esperienza di quest’uomo, ricco e peccatore, che però si è incuriosito di vedere Gesù, di cui aveva sentito parlare dai suoi compaesani, e sale sull’albero per vederlo bene senza essere visto dagli altri. E così accade un incontro tanto speciale da costituire una delle perle preziose e uno degli eventi più conosciuti del Vangelo. Gesù gli chiede di incontrarlo a casa sua e, dice il Vangelo: “Zaccheo in fretta scese e lo accolse pieno di gioia” (Lc 9,6). L’incontro con Gesù segna la conversione di Zaccheo il quale, come conseguenza, decide di dare la metà dei suoi beni ai poveri e di

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restituire con abbondanza tutto ciò che aveva frodato. L’incontro con il Signore fa capire che le ricchezze devono essere utilizzate non in senso egoistico, ma per costruire il bene, per aiutare il prossimo, soprattutto quelli che versano nel bisogno. Gesù è venuto per incontrare e salvare tutti, anche i ricchi, i peccatori e quelli che non credono. E così noi possiamo vedere in questa pagina cosa accade quando si conosce Gesù: incontro, accoglienza, conversione, vita nuova. Questi elementi sono fondamen-

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tali per chi crede e debbono essere ripetuti e vissuti ogni giorno e ad ogni età della nostra esistenza. Essi valgono anche per voi ragazzi, ma valgono per i vostri genitori, per i vostri catechisti, per noi sacerdoti: se vogliamo essere felici e liberi, dobbiamo incontrare il Signore, attraverso la sua Parola, i sacramenti e la preghiera e testimoniare a tutti la gioia della vita cristiana. Cari ragazzi, il sacramento della Confermazione e l’Eucaristia che riceverete tra poco sono doni mol-

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to speciali che vi aiutano a entrare in una comunione profonda con il Signore e ad avere in voi la forza del suo Spirito che vi svela la verità e vi aiuta a compiere il bene. Spalancate il vostro cuore e la vostra mente al Figlio di Dio che oggi si dona a voi; se fate questo darete alla vostra vita una base sicura, un valore, un significato, una direzione e un’apertura del tutto particolari. Accogliere Cristo vuol dire non vivere mai più per se stessi o da soli, ma mettersi in dialogo, pregarlo, entrare in compagnia con Lui, che è Dio, e, come è accaduto a Zaccheo, cambiare vita aiutando il prossimo e così realizzare una vera fraternità con tutti, soprattutto con coloro che soffrono o sono soli. E ora, illuminati da queste parole della Sacra Scrittura, ci prepariamo a vivere con grande attenzione i segni sacramentali. In particolare, il dono dello Spirito Santo scenderà su ciascuno di voi attraverso alcuni passaggi. Anzitutto, faremo la rinnovazione delle promesse battesimali. Con il Battesimo già vi è stato dato il soffio dello Spirito; ma ora rinnoviamo la nostra decisa volontà di rinunciare al male e a tutto ciò che è contro l’uomo e contro il piano di Dio, e allo stesso tempo esprimiamo il nostro desiderio convinto di credere in Dio, che è amore e Padre, nel Figlio suo Gesù e nello Spirito, ed insieme di aderire alla Chiesa, la comunità dei credenti. Subito dopo, il Vescovo ed i sacerdoti vi imporranno le mani per invocare la discesa della pienezza dello Spirito Paraclito, il Consolatore potente, colui che dona la sapienza, l’intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il santo timore. Poi arriveremo al cuore del sacramento della Confermazione, quando il Vescovo, ungendo la fronte con il crisma, pronuncerà queste parole: “Ricevi il sigillo


Vita in parrocchia dello Spirito Santo che ti è dato in dono”. L’unzione è segno di appartenenza a Cristo, il quale è l’unto di Dio. E da quel momento, ciascuno di voi cari cresimandi porterete impresso nel vostro cuore, nella vostra mente questo sigillo; entrate in una comunione profonda e speciale con Gesù, venite assimilati a Lui e come Lui siete mandati a testimoniare nel mondo le meraviglie che Dio vi ha dato in Cristo. Alla fine, riceverete dal Vescovo il gesto di pace. Cristo dopo la sua morte e Risurrezione, apparendo ai discepoli e alle donne, li saluta augurando loro la pace: “Pace a voi!”. Anche il rito della Cresima conclude con questo augurio e diventa l’invito perché ogni cresimando sia nella sua vita costruttore e testimone della pace che viene dall’alto. Carissimi, i sacramenti che oggi ricevete sono fondati sulla fede in Gesù Cristo e nella Chiesa. E noi stiamo vivendo con tutta la Chiesa proprio l’Anno della fede che

si concluderà a fine novembre; quando Papa Benedetto ha indetto questo anno ci ha invitato a viverlo come un tempo di grazia, un tempo rinnovamento e di “conversione al Signore” (PF 6). E ha voluto utilizzare l’icona suggestiva della “porta” che ci introduce nella vita di comunione con Dio. Cristo è la “porta” aperta per tutti gli uomini e per tutti i popoli. Varcare quella soglia, significa rispondere alla chiamata di una persona che ci ama, cioè di Cristo, e “immettersi in un cammino che dura tutta la vita” (PF 1). Poco fa don Mario vi ha chiamato per nome e voi avete risposto eccomi; è stata come la chiamata a seguire Gesù ed avete iniziato un itinerario lungo il quale occorre mantenersi sempre desti e vigili. Ma la porta non serve solo per entrare; essa è fatta anche per uscire. E Papa Francesco continua a sottolineare con molto vigore l’importanza che il cristiano esca dal tempio e vada nel mondo, incon-

tro ai fratelli che hanno bisogno, incontro agli ultimi per dare testimonianza della propria fede viva, del Vangelo vissuto. “Andate, senza paura, a servire”, ha detto il Papa ai milioni di giovani riuniti a Rio de Janeiro e in altre circostanze. Cari ragazzi, per diventare testimoni autentici e cristiani maturi occorre essere sicuri che il Signore ci ama e non ci abbandona mai. Io vi auguro che la grazia dei sacramenti della Cresima e dell’Eucaristia vi sostenga sempre lungo il viaggio della vostra vita. Siate fedeli a questo incontro, rinnovate il vostro sì a Gesù abitando nella sua casa attraverso la preghiera, l’ascolto della sua Parola e accostandovi spesso all’Eucaristia. Ma poi sappiate uscire dall’incontro speciale con il Signore, per dire con coraggio e fierezza che siete cristiani e per impegnarvi a dare anche voi la vostra vita amando il prossimo ed essendo portatori di gioia e di pace.

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+ A. Vincenzo Zani

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Divagando sul Natale Il bue protagonista in questa favola sul Natale

E il bue rinunciò alla sua razione di fieno Nella singolare connessione di Isaia 1,3; Abacuc 3,2; Esodo 25,18-20, con la mangiatoia appaiono i due animali come rappresentazione dell’umanità che, davanti al Bambino, davanti all’umile comparsa di Dio nella stalla, arriva alla conoscenza e, nella povertà di tale nascita, riceve l’epifania che ora a tutti insegna a vedere. L’iconografia cristiana già ben presto ha colto questo motivo. Nessuna raffigurazione del presepe rinuncerà al bue e all’asino. Benedetto XVI - “L’infanzia di Gesù” - Ed. Rizzoli

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er ordine della superiore Autorità celeste l’Arcangelo Gabriele incaricò un gabbiano di annunciare a tutti gli animali della regione palestinese l’imminente nascita del Salvatore del mondo. Si riservò tuttavia di avvertire personalmente il bue che viveva tranquillo in un anfratto naturale alla periferia di Betlemme in compagnia dei ragni e di qualche simpatico topolino. Lo avvertì che nella grotta sarebbero giunti in serata due ospiti importanti, suscitando la sua incredulità. Due personaggi che vengono qui da me? - pensò tra sé. E tuttavia una sensazione positiva gli faceva intuire che stava per succedere qualcosa di straordinario, anche perché quel giorno tutto gli era parso più bello del solito: la neve caduta nella notte precedente gli pareva più bianca, il sole del giorno più caldo e luminoso, l’aria più tersa e perfino profumata, il tramonto più rosso. Ora le prime stelle in cielo gli apparivano particolarmente lucenti, e la luna crescente sorridente che mai. Iniziò per il bue una a notte d’attesa caratterizzata da un insolito silenzio: non sentiva l’ululato del lupo, il gufo e le civette non coccoveggiavano, i cavalli delle stalle vicine non nitrivano, i pipistrelli non stridevano. Lui se ne stava accovacciato nei

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suoi pensieri e interrogativi, anche perchè la notte si faceva sempre più fredda. Ma ripensando all’annuncio dell’Arcangelo, nonostante dovesse ancora consumare il suo pasto di fieno e fosse molto stanco per avere duramente arato tutto il giorno al servizio del suo padrone, decise di mettersi subito all’opera, spazzando con la coda ogni angolo della grotta. Dal prato antistante colse alcune essenze profumate e le portò nell’anfratto per purificare l’aria dell’ambiente. Tacimolò pure alcuni rami secchi dalla siepe vicina per il fuoco. Stava per appisolarsi quando, verso le undici, si affacciò all’ingresso un tale Giuseppe della tribù di Davide, trainando con la cordicella un asinello sul cui dorso era seduta la sua giovane sposa, di nome Maria, visibilmente stanca e sofferente a causa delle prime doglie del parto. La coppia si presentò al bue affermando di venire da molto lontano, dalla Galilea. Ambedue si dissero amareggiati e delusi perchè a Betlemme nessuno aveva loro offerto ospitalità. Il bue allora si rattristò e uscì subito dalla grotta per fare spazio ai graditi ospiti. Di lì a poco, intorno alla mezzanotte, gli pervenne un vagito, mentre la grotta si illuminò all’improvviso di una luce intensa ed appagante. Subito avvertì un’armonia soave

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che non aveva mai udito nemmeno dagli usignoli in primavera: alzando lo sguardo stupefatto vide alcuni angeli che fungevano da coristi volteggiare festanti sulla grotta. Pur affamato, quella notte decise seduta stante di rinunciare alla sua razione di fieno, perchè Maria potesse utilizzarla per adagiarvi nella mangiatoia il bambino appena nato. Si affacciò allora alla grotta. Maria gli sorrise, Giuseppe gli accarezzò la fronte. Ebbe perfino la sensazione che il bambino appena arrivato gli tendesse la manina. Si schermì per la sua mole che occupava buona parte della piccola stalla, ma cercò subito il modo di rendersi utile, sdraiandosi accanto all’asinello per scaldare con il suo alito caldo il neonato di nome Gesù. Nella sua vita il bue non aveva mai provato una felicità tanto intensa ed appagante. Don Vittorio Formenti


Vita in parrocchia Presentato il libro sul castello e le chiese di Castrezzato

Castello e chiese di Castrezzato

S

abato 16 novembre 2013, alle ore 20,30, nella chiesa parrocchiale , è stato presentato alla cittadinanza ed ai parrocchiani un libro interessante sulla storia di Castrezzato e delle sue chiese: dalla fondazione del castello (il termine tecnico è “receptus”, luogo sicuro di riparo e protezione in caso di pericolo) e del borgo che lo circonda fino ad arrivare all’Ottocento. La storia di Castrezzato viene ricostruita in questo libro del prof. Valentino Volta, tra i massimi esperti di storia dell’arte della nostra provincia.L’incontro è stato aperto da un rappresentante del Consiglio pastorale, signora Cristina Marini, che ha dato il benvenuto sottolineando l’importanza culturale e storica dell’iniziativa e leggendo una lettera di felicitazioni inviata da mons. Vittorio Formenti, nativo di Castrezzato, impossibilitato a presenziare per impegni, ma molto partecipe all’iniziativa che realizza un sogno da lui sempre coltivato. È intervenuta la Corale Don Arturo Moladori che ha accolto i presenti con il “Te Deum” di A. Diabelli. Poi è intervenuto il nostro Parroco mons. Mario Stoppani (con l’intervento riportato per esteso in questo articolo) sottolineando soprattutto che la ragione vera di questa pubblicazione è stato il dovere di riscoprire e custodire il patrimonio d’arte e di storia avuto in consegna dai nostri antenati e permetterne la fruizione anche ai contemporanei. In seguito è intervenuta il Sindaco Gabriella Lupatini che ha evidenziato quanto “questa occasione sia più unica che rara per favorire un

approfondimento storico e culturale sul nostro paese”. Presente anche mons. Federico Pellegrini, Direttore dell’Ufficio dei Beni culturali ecclesiastici, che ha rimarcato che la Chiesa è effettivamente meritevole di dare il suo apporto fondamentale per la salvaguardia del ricco patrimonio culturale sacro del nostro Territorio. Finalmente è stato il turno dell’autore dell’opera Valentino Volta che si è posto l’obiettivo di illustrare il senso dell’opera non già riassumendo il libro, ma evidenziandone il filo conduttore identificato in 16 punti qui riassunti schematicamente. La caratterizzazione della relazione di Volta è stata prevalentemente artistica, proprio per incoraggiare la cittadinanza a guardare le opere e a godere dell’emozione che suscitano. L’informazione fondamentale che Volta ha fornito è quella della data di nascita del Comune di Castrezzato: il 27 maggio 1220, come risulta dal “Privilegium

et immunitas castri de Castrezago“. L’autore è passato ad illustrare “il mistero delle tre chiese in una piazza non piazza”, rivelando che i tre edifici costituivano in buona parte la cinta muraria del castello. Volta ha rimarcato lo straordinario valore artistico del ciclo pittorico di Carlo Innocenzo Carloni autore dei magnifici affreschi della chiesa parrocchiale e del suo discepolo Pietro Scalvini, autore degli affreschi della sacrestia e dell’affresco della contro/facciata (La consegna delle chiavi a S. Pietro). Infine è intervenuto il responsabile della ricca documentazione fotografica sig. Basilio Rodella (Ditta BAMS di Montichiari) che ha invitato i presenti a fare del libro un vero vademecum storico/artistico per riscoprire il patrimonio d’arte del paese. Molto gradita è stata la partecipazione degli Amministratori dei Comuni viciniori, invitati a presenziare, come pure la presenza di mons. Osvaldo Mingotti, nativo del posto e legato ovviamente a Castrezzato e alla sua chiesa dove è stato ordinato sacerdote il 27 giugno 1954. Infine la Corale ha concluso egregiamente la serata con alcuni brani musicali dedicati alla Madonna, particolarmente venerata dai castrezzatesi con il titolo di S. Maria degli Angeli. Ricordiamo che il libro è in distribuzione in sacrestia e in canonica. A quanti hanno in vari modi collaborato alla realizzazione dell’opera va il nostro sincero grazie.

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il cronista

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Vita in parrocchia L’intervento del parroco mons. Mario Stoppani alla presentazione del libro “Castello e chiese di Castrezzato”

Custodire e valorizzare il patrimonio storico e artistico

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on vivo compiacimento do il mio benvenuto a questo incontro nel quale sarà presentata la ricerca sulle origini e sullo sviluppo del “receptus” (castello) di Castrezzato e delle sue chiese. Castrezzato è un centro notevole che ha una storia di tutto rispetto, degna di essere conosciuta da chi ci vive o ha avuto legami significativi con questa terra. Poter disporre di una raccolta di dati e notizie circa questo borgo e il suo territorio era un desiderio che nutrivo da tempo, dai primi anni da quando sono entrato in servizio pastorale a questa Comunità alla quale sento di appartenere non solo come parroco, ma anche come cittadino. Una premessa è necessaria: fare ricerche sugli inizi e lo sviluppo dell’insediamento civile confluito nell’attuale area comunale di Castrezzato non è impresa agevole e priva di rischi. Non ci si spiegherebbero in altro modo le difficoltà ed alcuni dubbi degli storici al riguardo: a problematiche complesse, infatti, non ci sono soluzioni sbrigative. Per quanto ci si impegni a distinguere i dati sicuri da quelli incerti, non sempre si può giungere a conclusioni definitive. Tuttavia molti elementi sono chiaramente documentati da fonti sicure: come per esempio l’Atto con da data di fondazione del castrum di Castrezzato (Privilegium et immunitas castri de Castrezago del 27 maggio 1220), Atto che può essere appropriatamente consi-

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derato l’Atto di nascita del nostro Comune. Ed è su questi dati che occorre fondarsi. È quanto si è prefisso l’Autore del testo della presente opera: il prof. Valentino Volta, architetto e docente universitario di chiara fama ed esperto in questo genere di ricerche. Al lavoro di indagine storica si accompagna una pregevole documentazione fotografica curata da un Ditta esperta del settore: la BAMS Photo Rodella di Montichiari. Dobbiamo convenire che gli studi circa la storia di Castrezzato hanno

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avuto nel passato un valido punto di riferimento nel dotto storico bresciano Mons. Paolo Guerrini. È a lui che si deve un contributo rilevante (sia pure non esaustivo e risolutore) nel campo della ricerca su Castrezzato. Fu lui a curare nel 1934, su commissione dell’arciprete mons. Pietro Santi, un libretto, ormai introvabile, sulla storia di Castrezzato, riunendo altri suoi studi precedenti in merito. Ed è sempre del Guerrini la premessa storica riportata nel lavoro editoriale curato dal mio predecessore


Vita in parrocchia don Giovanni Tossi, dal titolo “Storia di una Comunità. Cinquant’anni di vita religiosa e civile a Castrezzato” (Anno 1996). Pure interessante è l’articolo a cura dell’Ing. Bruno Chinotti (1922-1990) dal titolo “Storia di Castrezzato”. Il presente studio del Volta è effettivamente nuovo nell’impostazione e nell’indagine e dà un contributo originale alla ricerca, offrendo materiale interessante per i futuri studiosi, desiderosi di ricostruire un profilo attendibile della Comunità di Castrezzato, della sua evoluzione storica, nonché della sua connotazione chiaramente religiosa e popolare che l’ha contraddistinta. È innegabile - e lo coglie anche il distratto visitatore che viene da fuori - che la Piazza centrale di Santa Maria degli Angeli sulla quale si affacciano armoniosamente la chiesa parrocchiale dedicata agli apostoli Pietro e Paolo, la chiesetta di San Lorenzo e la chiesa di San Pietro Martire, si presenta davvero come un suggestivo ”biglietto da visita” dell’agglomerato castrezzatese. Incastonati nel Centro storico stanno gli edifici di culto succitati, con l’ex Monte di Pietà, sopravvissuto al riassetto plateale degli anni ‘90 del secolo scorso. Dobbiamo all’Autore del testo I’ innegabile merito di aver consolidato la paternità degli affreschi delle cupole “lenticolari” e della volta della chiesa dei Patroni Pietro e Paolo: paternità che è dell’esimio pittore Carlo Innocenzo Carloni e non del pittore bresciano Pietro Scalvini (discepolo del primo) come si era quasi sempre ritenuto. Dello Scalvini rimane comunque la paternità certa del dipinto della controfacciata con il mandato conferito a Pietro, della pala dell’altare della Madonna degli Angeli (firmata e datata 1771), nonchè dell’affresco ardito ed innovativo della volta della sacrestia (datato 1767) e della piccola volta di S. Lorenzo. La parrocchiale è

davvero “uno scrigno prezioso di arti applicate” (V. Volta). In merito alla storia di Castrezzato, un dato è evidente: che l’impronta della fede si è intrecciata con quella civile e sociale. Senza questo riferimento la storia del paese sarebbe incomprensibile e mutila. Il cristianesimo è stato un riferimento culturale vitale che ha permesso ad una popolazione quasi esclusivamente rurale di dotarsi di prestigiosi luoghi di culto giunti in buono stato fino a noi. È un vanto di Castrezzato soprattutto la sua bella chiesa (una delle più belle del bresciano dei sec. XVIII-XIX), il cui restauro interno realizzato con perizia e intelligenza dall’arciprete don Agostino Bonfadini negli anni ‘60 del secolo scorso, ancora regge alla sfida del tempo. Conoscere, apprezzare e valorizzare la storia del passato diventa per noi un impegno convinto di conservazione per permettere ai contemporanei la fruizione della bellezza artistica ed espressiva che abbiamo ricevuto in dono dalle generazioni che

ci hanno preceduto. È un dato di fatto che un popolo di coltivatori della terra coriacei e popolani, guidato da saggi ed intraprendenti Pastori , ha espresso anche nell’arte la bellezza della fede, in una sintesi vitale tra dimensione umana, religiosa, sociale e civile all’interno di una realtà umana che ha le sue zone d’ombra, ma che è contraddistinta da molteplici dati positivi. Ai generosi sostenitori che per amore dell’arte e della ricerca storica si sono fatti carico in misura determinante del costo dell’opera, va il nostro vivo apprezzamento e la nostra gratitudine. Senza il loro apporto concreto non si sarebbe potuto realizzare l’impresa. Sono certo che questa fatica generosa e competente contribuirà efficacemente a far conoscere ed apprezzare innanzi tutto ai parrocchiani e ai cittadini di Castrezzato - e poi a chiunque altro voglia conoscere la storia - le preziose vestigia del nostro passato ed a tenerne vive le radici culturali. don Mario

La Corale A. Moladori che ha impreziosito la serata.

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Vita in parrocchia L’intervento del sindaco Gabriella Lupatini alla presentazione del libro su Castrezzato

Il libro un’occasione di approfondimento culturale

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Amministrazione comunale è onorata di presenziare con i suoi amministratori e con voi cittadini alla presentazione del volume “II Castello e le Chiese di Castrezzato”. Quest’opera ha il merito di consegnare all’intera comunità una documentazione storica pregevole e ricca nei contenuti, raffinata nella sua espressione editoriale. Ci troviamo di fronte ad un esempio di valorizzazione del patrimonio storico ed artistico della comunità di Castrezzato che, colmando una grave lacuna culturale esistente, offrirà a quanti consulteranno il testo una occasione più unica che rara di approfondimento della storia e delle nostre tradizioni. Del resto il senso di appartenenza alla propria comunità deve partire dal passato nella ricerca delle proprie origini; senza memoria storica non c’è un’autentica comprensione del presente. Conoscere poi la ricchezza del nostro patrimonio artistico significa riconoscere i sacrifici che sono stati necessari per la costruzione e la conservazione dei tesori artistici, probabilmente mai conosciuti. Un’attenta lettura del testo ci aiuterà a ritrovare anche il senso di gratitudine e di ammirazione verso quanti ci hanno preceduto e che hanno lavorato senza risparmiarsi, sostenuti dai valori solidi che hanno costruito la civiltà.

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Ritengo che collocare il dono di questa pubblicazione alla cittadinanza intera nel contesto della “festa del ringraziamento” sia stata una scelta appropriata. Ma il momento che stiamo vivendo è stato possibile perché “qualcuno” non si è limitato a credere nella importanza di dare a Castrezzato una autorevole raccolta di testimonianze, ma, considerandola una vera necessità culturale, ha perseverato fino alla sua realizzazione. Giunga dunque la riconoscenza dei castrezzatesi al rev.do Parroco Mons. Mario Stoppani per essere riuscito nella faticosa impresa. Il suo profondo legame con la nostra comunità nella presenza quotidiana di servizio, la sua con-

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solidata sensibilità culturale, la sua evidente passione per la storia, la scelta attenta di collaboratori competenti , quali il prof. Valentino Volta, per la ricerca e la catalogazione storica e il sig. Rodella per la documentazione iconografica, il suo discreto coinvolgimento di persone sensibili a sostenere il costo dell’opera, gli hanno consentito questa sera di raccogliere il frutto meritato di tanta fatica e di renderlo fruibile a tutti. Riceviamo volentieri questo dono come comunità civile, sicuri che questa pubblicazione ci arricchirà come persone e sarà un tesoro prezioso che non potrà mancare nelle nostre case. Il Sindaco Gabriella Lupatini


Vita in parrocchia I 16 punti affrontati dall’autore del libro su Castrezzato, arch. V. Volta, durante la presentazione

Alla scoperta dell’arte in Castrezzato

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i parlerò un po’ meno di Storia e un po’ più di testimonianza d’Arte: il mistero delle tre chiese; la riscoperta della forma urbis, ossia del recetto originario: com’era - ricordare il disegno del Corbellini, 1765 con S. Pietro intra moenia con il campanile; il certificato di nascita: 27 maggio 1220, due anni prima del terremoto che ha distrutto la città; il basso Medioevo: la torre di S. Antonio (trecentesca con affreschi del primo Cinquecento), S. Maria degli Angeli 1458, a spese del Comune; II Cinquecento: Zanetti (pittori, gli stampatori, l’agronomo = Anello) Matteo Olivieri; 1513 = peste ed erezione di S. Rocco - 1515 = istituzione del Monte di Pietà = nominato però in una carta 1530 perché gestito dalla Confraternita del SS. Sacramento S. Pietro Martire (1603) per mezzo di padre Teofilo Lupatini superiore dei Domenicani; gli intagli di G. B. Lancini (ancona di S. Pietro Martire, statua vestita, ancona del Suffragio con tela di Pietro Marone); 1717, Giacomo Silva (committente il dr. Antonio Codeferini di Riva) per l’altare del SS. Sacramento in S. Pietro in Castello; 1750, 29 giugno, prima pietra della nuova parrocchiale di Domenico Corbellini, parroco G. B. Leali proveniente da Lu-

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mezzane S. Apollonio, nativo di Carcina; Carlo Innocenzo Carloni (1758), l’equivoco della Barigozzi-Brini che leggendo la data 1767 della sagrestia, diede tutto al Carloni (1765, Carloni è a Scaria, santuario di Riva di Porlezza); Pietro Scalvini 1758 al seguito di Carlo Innocenzo Carloni: = le chiavi di Pietro; 1767 = sagrestia e S. Lorenzo, 1771 = pala di S. Maria degli Angeli; l’oratorio di S. Lorenzo 1765, progetto di Domenico Corbellini; 1772, riprende la facciata con i lavori d’arredo interno: Bernar-

dino Carboni, Angelo Lepreni, Carlo Cristini, G. B. Ogna; 14. 1778, Ludovico Gallina per la pala maggiore absidale (ha ventisei anni, muore nel 1786 a 34 anni); 15. Cattaneo, Teosa; 16. parroco Angelo Rigosa 1839, la canonica, l’ospedale = ristrutturazione di Ludovico Martinengo di Chiari; l’incontro con i bergamaschi per i due altari neoclassici: Comotti, Galletti, Pagani, Guadagnini (1854) Fraccaroli (1864)

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Valentino Volta

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Vita in parrocchia La lettera di don Vittorio Formenti all’autore del libro su Castrezzato

La memoria del passato per costruire il nuovo

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ll.mo e caro Architetto Volta, la presentazione del volume che ripercorre le vicende storiche legate al castello e alle chiese di Castrezzato mi trova partecipe mediante una soddisfazione da me compressa ed accumulata nel tempo, essendo a conoscenza che pressoché tutte le Comunità limitrofe al paese avevano dato spazio da tempo a pubblicazioni analoghe. L’uomo vive soprattutto di speranze e di attese, ma senza la memoria del passato non può edificare nuovi progetti materiali, e soprattutto non può fare fronte alla costruzione di un umanesimo fondato sui valori della vita che non tramon-

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tano. In particolare, noi castrezzatesi siamo fieri di poter esercitare il nostro credo in una delle più belle chiese della bassa bresciana, edificata con il sudore e le offerte dei nostri antenati, per la maggior parte poveri contadini, mezzadri e salariati agricoli. Il farne memoria significa anche ricuperare quella fede, con le sue manifestazioni, in Cristo Via, Verità e Vita, fede che ci illumina il cammino della vita e accompagna i nostri passi nella quotidianità e nella storia. Le sono personalmente grato, caro Architetto, per l’impegno di meticolosa ricerca da Lei messo in atto, oltre al supporto offerto al nostro amato Parroco Mons. Mario

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per altre vicende legate alla parrocchia, e se gli impegni di ufficio non mi permettono di partecipare alla presentazione del volume, Le assicuro che quando lo avrò tra le mani lo divorerò nella lettura immediata e gratificante di ricorsi alla storia di ieri e di oggi delle chiese da me frequentate fin dalla fanciullezza, e in particolare del tempio dove sono stato generato alla vita cristiana, dove ho celebrato la mia prima Santa Messa, e dove ho dato l’“arrivederci” a familiari e a tanti parenti ed amici. Con ossequio e rinnovata cordialità don Vittorio Formenti


Vita in parrocchia Un nuovo libro di padre Aldino Cazzago

Giovanni Paolo II: “Ama gli altri popoli come il tuo!”

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adre Aldino Cazzago ci ha offerto un altro prezioso libro partorito dalla sua appassionata ricerca ecclesiologica, affidandone la stampa, come per le precedenti sue pubblicazioni, all’Editrice Jaca Book. Questa volta ha rivolto la sua documentata ricerca su una figura che ha già avuto una larga parte di attenzione nella pubblicistica internazionale anche non strettamente cattolica, il Beato Giovanni Paolo II. E, tuttavia, è riuscito a dirci tante cose nuove affrontando temi di etica internazionale, partendo dal concetto di patria che, per Karol Woytjla, lavoratore e studente, poi prete, vescovo e papa, ha significato scandagliare le vicende di una nazione simbolo di una eroica fedeltà alla storia cristiana nonostante le travagliate vicende alle quali il popolo polacco è passato soprattutto con due regimi, quello nazista prima e poi quello marxista imposto dall’egemonia sovietica. L’Autore cita quella “testimonianza della verità di Dio, della verità rivelata attraverso il Cristo e della propria convinzione a proposito di questa verità” che ha permesso alla Polonia di conservare pressoché intatta la sua identità cristiana, nonostante gli inenarrabili soprusi subiti da ambedue i regimi. E sarà proprio la Polonia, sotto l’influsso del pensiero e dell’azione di Giovanni Paolo II,

a determinare avvenimenti che hanno contribuito a mutare i destini dell’intera Europa uscita dalla seconda guerra mondiale. Il volume, particolarmente ricco di citazioni tratte dal magistero e dalla penna di scrittore del Papa polacco, con una straordinaria documentazione bibliografica e di note, frutto dell’acume di attento ricercatore che ha sempre contraddistinto Padre Aldino, ci riporta alla profonda convinzione tante volte citata dal Papa delle comuni radici cristiane dell’Europa, che i politici riuniti a Bruxelles si sono rifiutati di recepire nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in nome di un laicismo di fatto inteso ad enucleare i diritti dei cittadini, ma finendo per esaltare il solo pri-

mato della finanza, mortificando gli aneliti profondi della persona legati ad una storia feconda partorita dalle biblioteche e dalle scuole dei benedettini, dall’impegno di tanti santi e maestri di umanesimo autentico che hanno immesso nelle nostre vene la tolleranza e la capacità di dialogo con tutti coloro che hanno una storia diversa dalla nostra. L’appello “ama gli altri popoli come il tuo” è un invito a superare il gretto provincialismo che ha ispirato anche larga parte della nostra politica, e che giustifica il “vergogna” di Papa Francesco -peraltro contestato da molti- per la morte atroce di fratelli colpevoli solo di nutrire speranze in un avvenire senza guerra e senza fame, come hanno fatto milioni di italiani emigrando soprattutto prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale, fino alla fine degli anni cinquanta.

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don Vittorio

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Spazio Oratorio Cronaca 01 ottobre 2013 - parole lette al funerale di Santina Formenti

Alla cara Santina Formenti A C lla cara nonna Santina… …alla nostra nonna… ma anche semplicemente alla cara Santina… a tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerla… a tutti quelli che hanno avuto la fortuna di relazionarsi con lei, che hanno provato a capire qualcosa di lei… a tutte queste persone, lei ha lasciato qualcosa nel cuore! Perché altrimenti non saremmo qui, oggi. Ti abbiamo riportata in questa bella chiesa della quale eri molto orgogliosa! Ringraziamo per questo Don Mario e Don Claudio che ci hanno sempre dato affetto. Qui sei stata battezzata, qui hai cantato l’Ave Maria per il cinquantesimo dell’ordinazione di Monsignor Zammarchi… ed il canto è sempre stato una tua grande passione. Qui ti sei sposata con il nonno… qui hai conosciuto sacerdoti del calibro di Don Pietro Santi, del quale tu ci raccontavi che ti avesse insegnato che un buon cristiano non deve solo recitare “Pater Noster e Ave Maria” ma deve anche tirarsi su le maniche… darsi da fare nel concreto… e tu ce ne hai dato l’esempio! Qui hai conosciuto Don Pierino che ha assistito i tuoi cari fratelli Paolo e Francesca, mancati nel duro periodo della guerra. Qui hai anche conosciuto Don Santo, Don Arturo e la maestra Sala che ti ha istruita e che ti ha anche educata all’amore per la nostra bella Patria. Dal tuo amato paese hai saputo però anche staccarti, per seguire le strade dei tuoi figli e star loro vicino. Hai abitato diversi paesi, conosciuto tante persone e tutti ti hanno sempre voluto bene per i tuoi

grandi slanci generosi e per la tua schiettezza. Per i tuoi ideali e per la tua famiglia ti sei sacrificata tutta la vita e hai trasmesso ai tuoi figli e ai tuoi nipoti una Fede autentica in Dio e nella Madonna, assieme a valori quali l’onestà, l’impegno e l’altruismo. Ci hai insegnato anche tante preghiere della tua infanzia. In questi giorni ci vengono in mente tante cose, e tra queste ricordiamo che una volta la tua mamma Angelia, durante un tuo ricovero in ospedale, ti disse queste parole: “Mi dispiace che sei in ospedale, ma almeno ora ti riposerai!”… Ora noi ti diciamo: “Ci dispiace non vederti più, ma dopo una vita pienamente vissuta, riposerai in Cielo!” Ti affidiamo al Sacro Cuore di Gesù ed alla Vergine degli Angeli, dei quali eri tanto devota, perché ti prendano sotto la loro speciale protezione! Noi ti ricorderemo e ti porteremo dentro di noi per sempre! E tu prega per noi! Ciao, un bacio, tuo figlio Paolino e tutti noi

ara nonna, oggi sei soltanto un po’ più lontana da noi, ma sei ancora presente nel tuo Spirito e nei nostri cuori. Ora sarai più vicina al nonno e alla tua amata sorella Lavinia ed anche alla tua mamma Angelina e il tuo fratello Mario, che durante questi anni di malattia li hai più volte invocati. Oggi è la festa di Santa Teresa di Gesù Bambino e una delle preghiere che recitavi spesso nei momenti difficili era proprio quella a Santa Teresa di Gesù Bambino ed ora la reciteremo ancora: “Oh piccola Teresa del Bambino Gesù, che nella tua breve carriera mortale fosti specchio di angelica purezza, di tenerissimo amore, di generoso abbandono in Dio, ora che godi in cielo il premio delle tue virtù, rivolgi uno sguardo di compassione a me che in te confido. Tu che vivesti eroicamente lo spirito di rinuncia, tu che additasti a tutte le anime “la piccola via dell’infanzia spirituale” quale mezzo sicuro per giungere alla felicità eterna, tu che affermasti di voler passare il tuo Paradiso a far del bene sulla terra, e promettesti di mandare sui tuoi fedeli “una pioggia di rose, guarda alla mia afflizione e mantieni le tue promesse. Dì per me una parola a quella Vergine Immacolata di cui fosti il fiore prediletto, alla Regina Celeste che ti sorrise sul mattino della vita; dille che mi ottenga la Grazia che ora tanto desidero…e l’accompagni con una benedizione che mi fortifichi in vita, mi difenda in morte e mi conduca alla beata etermotà”. Nonna, grazie per l’amore che ci hai dato!

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Cronaca Scomparso nell’agosto 2013

In memoria di Gian Luca Molari

N

on poteva mancare per Luca un ricordo tanto semplice quanto speciale come era lui... Gian Luca Molari, come lo hanno descritto i suoi amatissimi nipoti, interpretando il sentimento di famigliari e tanti, tantissimi amici, una persona speciale alla quale hanno voluto dire grazie. Grazie per avere dimostrato tanta umiltà e pazienza durante i nove mesi nei quali hai combattuto contro una malattia devastante che a soli 37 anni ti ha portato via da tutti coloro che ti volevano bene. Grazie per esserti mostrato sempre forte e pieno di spirito da tutti noi. Ce l’hai messa tutta... ci hai provato con forza, coraggio e con grande dignità in questa tua battaglia. Ora tu sei felice... è solo questo che ci da forza. Sei il nostro angelo preferito. Per sempre nel cuore di chi ti vuole bene. Un ringraziamento speciale dalla famiglia a tutte le persone uniche che gli sono state vicino. (da parte di chi ti ha voluto bene)

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Date dei Battesimi dell’anno 2014

Rinnovo abbonamento al bollettino per l’anno 2014 Le Incaricate passeranno a ritirare la quota di abbonamento per l’anno prossimo, che rimane ancora di € 15,00. Vi ringraziamo per la fiducia che ci accordate! Camminiamo Insieme, il nostro bollettino, rimane ancora la via più diretta per seguire la vita della Parrocchia e dell’Oratorio e offrire occasioni di formazione cristiana delle famiglie. Alle Incaricate per la distribuzione il nostro vivissimo ringraziamento.

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12 Gennaio Festa del Battesimo del Signore.

Ore 11,00

9 Febbraio

Ore 11,00

19 Aprile Sabato Santo Veglia Pasquale.

Ore 21,00 circa

11 Maggio Ascensione.

Ore 11,00

8 Giugno

Ore 11,00

13 Luglio

Ore 11,00

10 Agosto

Ore 11,00

14 Settembre

Ore 11,00

12 Ottobre

Ore 11,00

16 Novembre

Ore 11,00

14 Dicembre

Ore 11,00

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Cronaca Antonio e Cisio, recentemente scomparsi quasi in contemporanea

In ricordo dei fratelli Lupatini

V

ivo cordoglio in tutto il paese ha suscitato lo scorso settembre la scomparsa , quasi in contemporanea, dei due fratelli Antonio e Bernardo (detto Cisio) Lupatini. Tantissimi amici e conoscenti sono passati a porgere l’estremo saluto ai due fratelli, soprattutto a Toni, conosciuto da tutti anche per la sua attività sociale. Toni era stato attivo anche nell’aiuto solidale ai poveri e ai bisognosi. Lo possiamo vedere in queste due foto scattate in Brasile alcuni anni fa nella partecipazione a sostegno delle missioni di Suor Elvira nello Stato di Bahia. Porgiamo ancora ai famigliari le condoglianze per il grave lutto che li ha colpiti.

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Calendario liturgico

Calendario liturgico pastorale Dicembre 2013 13 Memoria liturgica di S. Lucia. 15 Domenica III di Avvento. 22 Domenica IV di Avvento 24 Vigilia di Natale. Ore 24,00 Messa solenne nella Notte Santa. 25 Solennità del Natale di nostro Signore Gesù Cristo. Orario festivo delle sante Messe: ore 8,00 - 9,30 - 11,00 - 18,00. Ore 17,30 Vespri di Natale 26 Festa di S.S tefano Protomartire. Orario festivo delle sante Messe. 29 Festa della santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria. Messe festive animate dal Gruppo di Pastorale familiare. 31 S. Silvestro Papa. Ore 16,00 Adorazione del Santissimo Sacramento. Ore 18,00 Messa di Ringraziamento e canto del Te Deum (Indulgenza plenaria). Dalle ore 21,00 alle 23,00 prosegue l’Adorazione.

Gennaio 2014 – Mese della Pace 1 Solennità di Maria Madre di Dio. Giornata mondiale della Pace. Orario festivo delle S. Messe. Ore 17,30 Vespri Canto del Veni Creator sul nuovo Anno. 3 Primo Venerdì del Mese. S. Comunione ai malati. 5 Domenica II dopo Natale. 6 Solennità dell’Epifania. Ore 15,30 circa Messa per le famiglie e i bambini (dopo il Presepe vivente) 12 Festa del Battesimo del Signore. Ore 11,00 Battesimi comunitari. 15-16 -17 Benedizione delle stalle e degli animali in occasione della festa di S. Antonio Abate. (17 gennaio) 18-25 Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani. 19 Domenica II del tempo ordinario. Ore 11,00 Messa degli Anniversari di Nozze. 20 Santi Fabiano e Sebastiano Martiri, Titolari della chiesa del Suffragio. 21 S. Agnese Vergine e Martire 22 S. Vincenzo diacono e Martire. 23 Giovedì- Ore 20,00 S. Messa di inizio dei Sacri Tridui dei Defunti.

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24-25 Sacri Tridui 26 Domenica III del Tempo ordinario. Ore 18,00 Messa conclusiva dei Sacri Tridui 27 S. Angela Merici bresciana, Fondatrice della Compagnia di S. Orsola. 28 S. Tommaso d’Aquino teologo e sacerdote. Dottore della Chiesa. 31 S. Giovanni Bosco, padre e maestro dei giovani. Ore 20,45: Riunione ordinaria del Consiglio pastorale in Oratorio. Febbraio 2014 2 Festa della Presentazione al Tempio di nostro Signore. Candelora. Giornata nazionale per la Vita. 3 S. Biagio vescovo e martire. Benedizione della gola dopo le Sante Messe (ore 8,00 - 9,30 - 17,00 - 19,00) 7 Primo Venerdì del mese (S. Cuore) 9 Domenica V del Tempo ordinario. 11 Madonna di Lourdes. Giornata mondiale del Malato. Ore 9,30 Messa alla Casa di Riposo e Unzione dei malati. 16 Domenica VI del Tempo ordinario. 17 Memoria liturgica dei Sette santi Fondatori (Servi di Maria). Festa al Convento del Monte Orfano. 22 Festa della Cattedra di S. Pietro. 23 Domenica VII del Tempo ordinario. Marzo 2014 2 Domenica VIII del Tempo ordinario. 5 Mercoledì delle Ceneri. Giorno di astinenza e digiuno. Imposizione delle Sacre Ceneri alle messe di orario (Ore 8,00 - 9,30 - 16,00 Casa Riposo - 17,00 - 19,00 - 20,30) 8 Memoria liturgica di san Giovanni di Dio (Fatebenefratelli) 9 Domenica I di Quaresima. 12 S. Luigi Orione sacerdote. 16 Domenica II di Quaresima 19 Festa di S. Giuseppe Sposo della B. Vergine Maria (S. Messe ore 8,00 - 9,30 -19,00) 23 Domenica III di Quaresima 25 Festa dell’Annunciazione del Signore. 30 Domenica IV di Quaresima


Anagrafe parrocchiale

Anagrafe parrocchiale Rinati in Cristo (battesimi)

Nella luce di Cristo (defunti)

Bloise Raffaele di Benedetto e Picone Elena Casali Leonardo di Sergio e Machina Bianca Lo Giudice Comensoli Eleonora di Giuseppe e Rizzini Silvia Peci Ginevra di Angelo e Lancini Mirella Piseddu Arianna Aurora di Cristiano e Mazzotti Alessandra Roncali Diego di Gabriele e Nava Daniela Briola Matteo di Giovanni e Chiari Milena Fogliata Mattia di Mauro e Bocchi Laura Biloni Alessandro di Davide e Calabria Anna Festa Tommaso di Massimiliano e Festa Michela Galloni Diego di Alessandro e Zucchetti Erika Martinelli Tommaso di Giuseppe e Teti Rosanna Tomasoni Alice di Ivan e Gilberti Laura

Formenti Santina di anni 93 Vezzoli Maria di anni 80 Betella Natale di anni 77 Parma Bernardo di anni 92 Metelli Giuseppe di anni 81 Fogliata Giuseppe di anni 82 Baresi Gian Fausto di anni 63 Alborghetti Sergio di anni 53

Uniti in Cristo (matrimoni) C’è Luca con Berardi Francesca

Festa degli Anniversari di Matrimonio Domenica 19 gennaio 2014 celebreremo in Parrocchia la festa degli Anniversari di Matrimonio secondo le modalità già collaudate. Le coppie che nel corso del 2013 hanno celebrato degli anniversari significativi di nozze sono invitate alla Messa delle ore 11. Informazioni presso l’Ufficio parrocchiale, nelle giornate di lunedì e martedì (mattino e pomeriggio). Sul tavolino, in chiesa sono disponibili i fogli informativi sull’iniziativa. Le iscrizioni devono pervenire entro la Festa dell’Epifania. Invitiamo le coppie di sposi che hanno ricordato gli anniversari di matrimonio e soprattutto il 25° e il 50° a prendervi parte, estendendo l’invito a parenti e amici. Ai partecipanti sarà dato un ricordo della ricorrenza.

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