Edizioni della Fondazione Giacomo Matteotti Collana TESTIMONIANZE E RICERCHE fondata da Angelo G. Sabatini † diretta da Alberto Aghemo e Rossella Pace 5 Rapporto sul sapere. L’intellettuale nel tramonto della politica (2021)
Già pubblicati nella stessa collana 1 Democrazia, istituzioni e consenso. Segni e significati di una crisi (2017) 2 Il Mezzogiorno tra responsabilità e tradimento. Il Meridione dall’intervento straordinario all’età della crisi. I nuovi driver dello sviluppo e la prospettiva mediterranea (2018) 3 Mediterraneo. Tradizione, patrimonio, prospettive. Una proposta per l’innovazione e lo sviluppo (2019) 4 Pandemie. Nell’immaginario e nella realtà, fra suggestioni, storie, significati simbolici (2020, 2021 2a ed.)
RAPPORTO SUL SAPERE L’intellettuale nel tramonto della politica Rosaria Catanoso
Presentazione di Teresa Serra Con un saggio introduttivo di Alberto Aghemo
FONDAZIONE GIACOMO MATTEOTTI
Editing e impaginazione: Patrizia Arizza
STAMPATO IN ITALIA nel mese di novembre 2021 da Fratelli Pittini Snc Viale Ippocrate, 65 - 00161 ROMA (RM) tel. 06 44246855, 06 44243404 ©2021 - Fondazione Giacomo Matteotti - ETS Via Alberto Caroncini, 19 - 00197 ROMA (RM) tel. 06 87800940 info@fondazionematteottiroma.org ISBN 978-88-940861-5-7 Prima edizione In copertina: MARCEL MÖRKENS, Brooklin Theme, United Themes, 2011
Il volume Rapporto sul sapere. L’intellettuale nel tramonto della politica ha lo scopo di comprendere quale sia il posto ricoperto oggi dai pensatori di professione. L’intento è ricercare una connessione critica tra la filosofia, intesa come pensiero speculativo, e il vivere quotidiano. Nell’era dell’economia del sapere è necessario ricreare una sfera pubblica in cui gli intellettuali e le masse possano tornare a dialogare. Siamo immersi ed assorti nelle comunicazioni digitali, in cui a far da padrone sono nuove figure – molto più influenti ed influenzanti – dei classici pensatori di professione: urge dunque riaccendere il dibattito sul rapporto tra massa ed élite culturale, non tanto per riequilibrare la loro impari relazione quanto per trovare, ancora, strade comuni da percorrere. Se è vero, quindi, che gli intellettuali sono lo specchio della cultura e lo spirito del loro tempo, analizzare le relazioni che costoro intrattengono, oggi, con la politica, con la società, con le comunità significherà riflettere filosoficamente sul nostro presente. Lo scopo non è ridestare gli intellettuali dalla loro irrilevanza, ma trovare una forma per sancire una nuova alleanza tra costoro e le nuove forme culturali nell’epoca del digitale. Come la scienza classica ha subito una battuta d’arresto, innanzi ai fenomeni dell’irreversibilità temporale ed al principio di indeterminazione così, innanzi al ruolo marginale rivestito dai maîtres à penser, rispetto ai professionisti della comunicazione virtuale sarà necessario stringere una nuova intesa che generi armonia tra il lavoro dello spirito e l’agire della politica. Per troppo tempo – è questa la conclusione alla quale conduce la ricerca – i filosofi, rinchiusi nella loro torre d’avorio e seduti ad uno scrittoio, hanno teorizzato sui massimi sistemi. È tempo di rinsaldare un pensiero agito, ed un’azione pensata: al cospetto di una politica ormai al tramonto, non è più il momento per nuovi intellettuali, ma per soggetti “agenti”, capaci insieme agli altri di realizzarsi in ciò che fanno. Con una presentazione di Teresa Serra e un saggio introduttivo di Alberto Aghemo. L’Autrice: Rosaria Catanoso (1986), dottore di Ricerca in Metodologie della Filosofia, insegna filosofia nei licei. Collabora con la cattedra di Filosofia Politica del corso di laurea in Filosofia del Dipartimento degli Studi Umanistici dell’Università della Calabria. Membro del Centro per la Filosofia Italiana, pubblica studi e contributi sulla rivista di cultura «Tempo Presente», sul mensile «Segno», sui siti www. dialettica&filosofia.it e sul sito www.filosofiainmovimento.it. Di recente è stata pubblicata la sua ampia monografia Hannah Arendt. Imprevisto ed eccezione lo stupore della storia, Giappichelli, Torino, 2019. È autrice di numerosi studi sulla Arendt, con particolare riferimento alla questione del giudizio e dell’azione politica.
Il progetto è stato sostenuto dal MiC – Direzione Generale per l’Educazione, la ricerca e gli istituti culturali.
INDICE
Teresa Serra Presentazione
p. 11
Alberto Aghemo Dalla riflessione al like: il resistibile declino del pensiero critico
p. 17
Premessa
p. 33
Capitolo 1 L’intellettuale? Origine ed evoluzione 1.1 1.2 1.3
Una figura ambigua e problematica Tra significati e segni Crisi, rottura e riqualificazione
p. 35 p. 52 p. 79
Capitolo 2 Quello strano legame tra politica e cultura 2.1 2.2 2.3
Il fare contingente del politico Tra un fare impolitico e un pensiero in-attuale Pensiero e azioni. Dall’egemonia alla sconfitta
p. 103 p. 125 p. 137
Capitolo 3 Intellettuali dallo scrittoio al virtuale 3.1 3.2 3.3
Mala tempora currunt? Una speranza contro un destino ineluttabile In mare aperto. Non da soli
p. 171 p. 193 p. 208
Bibliografia
p. 219
Indice dei nomi
p. 239
Presentazione Il volume Rapporto sul sapere. L’intellettuale nel tramonto della politica ha lo scopo di comprendere quale sia il posto ricoperto oggi dai pensatori di professione. L’intento è quello di ricercare una connessione critica tra la filosofia, intesa come pensiero speculativo, e il vivere quotidiano. Nell’era dell’economia del sapere è necessario ricreare una sfera pubblica in cui gli intellettuali e le masse possano dialogare. Immersi e assorti nelle comunicazioni digitali, in cui a far da padrone sono nuove figure – molto più influenti e influenzanti dei classici pensatori di professione – urge riproporre il dibattito sul rapporto tra massa ed élite culturale. Attenta al ruolo degli intellettuali, all’evoluzione avvenuta nel tempo e al rapporto tra intellettuali e politica e tra intellettuali e filosofia, l’autrice non sottovaluta nessuno dei molteplici aspetti che coinvolgono la variegata e problematica attività dei pensatori di professione. Il suo studio, che si avvale non solo di una ricostruzione storica, ma anche del riferimento a una schiera di autori di primaria importanza, non cela un ampio retroterra culturale che permette di analizzare con particolare acume alcune fondamentali discussioni sull’argomento. Ma, anche, di suffragare punti di vista personali che riguardano il rapporto tra intellettuali e filosofia. Classici temi. Ma all’autrice non sfugge soprattutto la questione del linguaggio e, quindi, della comunicazione nell’era del digitale. Se traspare una sorta di nostalgia per la figura di un intellettuale che si ponga sempre al di sopra dell’omologazione e sia in grado di creare una comunicazione con la società e la politica, non viene meno la consapevolezza che siamo di fronte a una trasformazione dovuta anche alle novità dei linguaggi e alla presenza di una massa di influencer che tendono a influire sulle masse e ad assumere il ruolo tradizionalmente svolto dagli intellettuali. Con una differenza di fondo. L’intellettuale ha sempre svolto questo compito, pur con tutte le differenze rilevabili in relazione ai vari contesti e alle varie soggettività, in un ambito ristretto del sociale e con un sottofondo culturale di ampio profilo, l’influencer, che di questo alto profilo difficilmente dispone, ha dalla parte sua, invece, una ampia platea di persone, prive di capacità critica, per cui svolge un’opera di manipolazione che tende a omologare scelte ed esigenze del sociale facendo disintegrare ogni capacità critica.
12
TERESA SERRA
La disponibilità dei mezzi di comunicazione di massa non può che produrre una trasformazione significativa del ruolo dell’intellettuale che, nella congerie contemporanea, finisce col soggiacere alla ricerca del consenso, alla spettacolarizzazione, alla perdita della capacità argomentativa caratteristica della comunicazione mediale, alle conseguenze dell’industria culturale. Diventa, così, un produttore attento alle leggi del mercato. Da questo punto di vista le pagine che leggiamo ci forniscono anche un’analisi della contemporaneità e ci spingono a riflettere sulla perdita del senso di responsabilità dell’intellettuale che, di fronte alla «fattuale constatazione di un mondo in perenne evoluzione», mette il proprio ego al centro del suo agire e pensare, rinuncia a farsi le domande fondamentali su una contemporaneità multiforme e ‘liquida’. E rinuncia, soprattutto, ad avvertire la necessità della libertà dalle sirene del potere, dal quale si fa irretire senza la consapevolezza dei molteplici profili teorici, filosofici oltre che pratici, legati alla politica. Sotto questo profilo, l’autrice cerca la connessione critica tra la filosofia, intesa come ‘pensiero speculativo’ e il vivere quotidiano, con la piena «consapevolezza delle nuove forme culturali presenti nell’epoca del digitale». Gli interrogativi che il testo suscita sono, quindi, molteplici. Tra cui interviene anche il tema del rapporto tra scienza e tecnica. Il nostro tempo, si domanda ancora Rosaria Catanoso, ha forse demandato “alla tecnica alla scienza e alla medicina, quel ruolo oracolare un tempo ricoperto dagli intellettuali?”. Tralasciando le molte suggestioni vorrei soffermarmi su questa domanda particolare che, a mio parere, coinvolge anch’essa lo sguardo alla contemporaneità e ai suoi linguaggi. Come afferma l’autrice: «Sull’uso della parola, certamente, si misurano le capacità produttive dell’intellettuale. La parola non è solo un mezzo di comunicazione, ma nel suo essere performante genera relazioni, innovando e trasformando in modo impareggiabile». La potenza sensibile della comunicazione e dell’immagine e le possibilità che l’uso dello strumento comunicativo della rete porta con sé impongono uno sguardo sulla realtà odierna da una prospettiva che ne modifica contorni e contenuti. Evento mediatico ed evento reale risultano interconnessi e legati a una spettacolarità che nasconde dietro le quinte la realtà concreta, che viene semplificata e alterata. Ne vengono coinvolti anche i rapporti intersoggettivi e, quindi, il politico, e ne viene alterata anche quella forma comunicazionale che è il diritto.
PRESENTAZIONE
13
Al di là delle possibilità che scienza e tecnica offrono all’uomo, da non sottovalutare, è chiara, infatti, la ricaduta sulla definizione della soggettività e sull’identità dell’uomo, da una parte, e, dall’altra, sulla qualità della vita e sull’organizzazione politica che possono derivare dalla direzione che il futuro sembra aver preso. Possiamo intravedere il rischio di annullamento di ogni diversificazione, che fa emergere un collettivo funzionale in cui ogni azione e responsabilità individuale si perde nell’incanto suscitato dalle reti comunicative. Evitare di fare di questo gioco della ‘simulazione assoluta’, che è il virtuale, il nostro gioco potrebbe essere il vero compito critico dell’intellettuale e della politica che devono tendere a fare del digitale uno strumento e non un fine. La comunicazione mediale ha creato, dunque, nuove forme di visibilità che, trasformando anche il rapporto tra apparenzaza mediatica e potere, modificano i contorni della stessa relazionalità e lo stesso concetto di potere che viene, superficialmente, accostato al numero dei consensi. La comunicazione mediale, nella quale prevale l’informazionale, non esprime l’istanza dialogica, «di intersoggettività, di incontro interpersonale, ma piuttosto è un passaggio di dati informativi, svincolato totalmente dal momento dialogico, lo sostituisce con espedienti mediali che fanno della comunicazione-informazione una sorta di automatismo con cui i destinatari rispondono in parte ai messaggi dei mezzi di comunicazione di massa, quasi che essi rappresentino i terminali di un circuito la cui funzione risiederebbe esclusivamente nel rendere possibile la circolazione incessante dei messaggi»1.Si connettono, così, tecnocrazia ed economia, comunicazione mediale e realtà virtuale, trasversalità e globalità. Il cyberspazio non è più fantascienza e realizza uno spazio non spazio che si caratterizza per la sua non territorialità e atemporalità, dissolvendo contemporaneamente tradizione e futuro e imponendo di vivere in un continuo presente. Non v’è dubbio che filosofia, politica e cultura sono, anche, un problema di relazionalità e intersoggettività che rimanda, comunque, anche al rapporto tra soggetto e struttura, tra cui dobbiamo inserire la stessa struttura comunicativa che, se alterata, diventa strumento di dominio e non medium dell’intersoggettività. A ciò deve aggiungersi che l’apparente libertà della comunicazione via web, che consente a tutti di intervenire, soggiace al potere delRicci, F., I linguaggi del potere. Costruttori di significato, distruttori di senso, Giappichelli, Torino 2003.
1
14
TERESA SERRA
le compagnie tecnologiche che gestiscono i networks, col rischio dell’eliminazione della molteplicità e di una omologazione dei comportamenti. Ricorda l’autrice, a tal proposito, che «i nuovi miti sono ormai gli strateghi, da Steve Jobs a Zuckerberg. I social e i software sui quali viaggiano hanno amplificato la possibilità di comunicare universalmente, ma non hanno davvero incrementato la capacità del pensiero di elaborare». Quando il territorio fisico viene sostituito da un territorio artificiale, il rischio di un panopticon diventa reale attraverso una tecnica che impone il ricorso alla codificazione informatica. Il che ci avvia verso il trend orwelliano contro cui, soprattutto alle generazioni che nascono, vivono e crescono nel predominio del digitale, non sembra essere data alcuna opportunità di quell’intervento critico che li farebbe uscire dal gioco del virtuale. Anche perché alcuni aspetti positivi dell’utilizzo del digitale ne sottolineano l’importanza e l’utilità. Come precisa l’autrice, se nel panottico benthamiano i detenuti sono isolati per imporre una disciplina, «gli abitanti del panottico digitale, al contrario, comunicano intensamente l’uno con l’altro e si denudano volontariamente. La società del controllo digitale fa un uso massiccio della libertà: essa è possibile soltanto grazie all’autoesposizione, all’autodenudamento volontari». Ovunque crediamo d’essere noi a scegliere. In realtà, c’è un sistema che ci dice cosa pensare, cosa desiderare, come divertirci. E mai come nel tempo in cui il privato appare alla mercé dei social, dei mezzi di comunicazione, creando un ibrido – a tratti trasparente – che non è più riconoscibile né nello spazio intimo né in quello pubblico, rischiamo di perdere quella libertà da salvaguardare. Infatti, ciascuno, sottoposto alla costante attenzione della rete e dei molteplici e invisibili sistemi di controllo che rilevano gli spostamenti, registrano gli acquisti, risulta essere complice, acconsentendo, di forme sempre più subdole di sorveglianze, «ottenute senza che quasi la gente se ne renda conto, attraverso la pressione del consumo». Per Rosaria Catanoso è tempo di rinsaldare un pensiero agito, e un’azione pensata. L’intellettuale deve assumere la veste di un soggetto agente, capace, insieme agli altri, di realizzarsi in ciò che fanno, un essere pensante e non un soggetto soggiogato dal potere che deriva dal numero dei consensi. L’ultima parte del volume si pone la domanda: «La fine della politica come grande narrazione ha condotto all’ineffettualità
PRESENTAZIONE
15
dell’intellettuale? In altre parole, c’è un legame tra la fine delle grandi ideologie novecentesche e la crisi in cui versa la figura dell’intellettuale?» Nel tentativo di rispondere a questa complessa problematica, l’autrice opera un’analisi attenta della contemporaneità che sembrerebbe condurre a una risposta pessimistica. Ma che trova una risposta aperta a possibilità positive quando parla di una speranza contro un destino ineluttabile. Anche se, ricorda l’autrice, purtroppo gli intellettuali che provano a trasmettere le proprie idee attraverso i media divengono funzionali allo spettacolo. Eppure gli intellettuali potrebbero ancora avere il compito di trovare degli anticorpi a una tale pandemia incontrollata, avere il compito, come si è detto, di evitare di fare del virtuale, il nostro gioco. Ci sarà ancora posto per gli intellettuali, ma quali potranno essere gli intellettuali del ventunesimo secolo? Nati e cresciuti, occorre ricordarlo, nell’atmosfera del ventunesimo secolo così ben tratteggiata dall’autrice? La risposta non è semplice e l’autrice, alla fine, pone l’accento sul senso di responsabilità che deve caratterizzare l’intellettuale, al pari di ogni uomo, e sul suo senso di appartenenza a una comunità, sulla visione di un uomo che «non eleverà a idoli le opere delle proprie mani o ancor di più non farà idolatria di se stesso», che dovrà agire, kantianamente, «senza però ridurre gli altri ai propri interessi e alle proprie voglie. Senza misconoscerli nella loro unicità e verità». «In conclusione nella società delle abilità, della tecnica e del saper fare, essere intellettuali significherà possedere le virtù, intese come ‘abilità a esistere’, in grado di darci stabilità e consistenza per poter dar vita a nuove comunità politiche e di pensiero». Un compito arduo e forse, a questo punto, sovrumano, teso a modificare una società ormai preda di costruttori di significato e distruttori di senso. Teresa Serra