Fondazione Dolomiti Dolomites Dolomiten Dolomitis
R A S S E G N A S T A M P A
LUGLIO 2023
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R A S S E G N A S T A M P A
LUGLIO 2023
Alto Adige | 2 luglio 2023
p. 22
Messner: «In montagna c'è sempre il rischio»
trento. Liliana, Filippo, Tommaso, Paolo, Nicolò, Davide, Erika, Gianmarco, Manuela, Martin, Pavel. Bastano i nomi delle vittime della tragedia in Marmolada: ci si saluta, sempre, tutti, anche senza conoscersi, in montagna. Dalla montagna, un anno fa, non sono più tornati. Era il 3 luglio 2022, era domenica. Erano da poco passate le 13.40. Era una giornata splendida, tersa, calda. Lo sanno tutti che è pericolosa, la montagna: puoi scivolare da un sentiero, perdere l'equilibrio, può caderti in testa un sasso. Ma no, nessuno, immagina che sia la montagna a venire giù, a venirti addosso. Nessuno lo pensava. Prima di un anno fa. Prima di averlo visto coi propri occhi: un enorme seracco di ghiaccio che muovendosi sotto la spinta dell'acqua, del ghiaccio sciolto dalle temperature anomale di quei giorni - ultima "spinta" dopo settimane anomale, mesi anomali, anni anomali - si è staccato dalla calotta sommitale, trascinando a valle blocchi di roccia, detriti, massi.Domani le undici vittime verranno ricordate a Passo Fedaia con una cerimonia solenne, per rendere loro omaggio. Le cerimonie Ieri sera a Canazei si è tenuto il dibattito «Marmolada, il futuro della montagna al tempo del cambiamento climatico». Vi ha partecipato, tra gli altri, Reinhold Messner. «La montagna e la natura hanno ritmi diversi da quelli dell'uomo. La natura è creativa e caotica e i cambiamenti possono essere repentini. Certo, quello che è accaduto un anno fa in Marmolada non è, per così dire, naturale. I cambiamenti sono frutto di qualcosa che è sempre avvenuto, così come i crolli. Ma senza dubbio la velocità e la rapidità con cui stanno avvenendo in questi ultimi anni sono il segno di una anomalia di cui l'uomo è senz'altro responsabile», così l'alpinista. La serata è stata moderata dal giornalista della Rai Andrea Selva, autore del documentario che ricostruisce la tragedia con immagini e testimonianze esclusive, che verrà trasmesso domani alle 15.05 su Rai 3 a diffusione nazionale. Messner ne è certo: «Fatti come quelli avvenuti un anno fa continueranno ad accadere, probabilmente non in tempi brevi ma accadranno ancora. Per questo credo che rivedere alcuni tracciati dei sentieri o di vie sia opportuno, anche se le chiusure totali, come quelle dell'anno scorso non hanno ragion d'essere». La montagna è creativa e caotica come tutta la natura, conclude Messner, «non si può vivere non frequentandola e vivendola. Va accettato il fatto che si tratti di ambienti che non sono mai esenti da rischi, anche di fronte alla massima preparazione e alla massima prudenza». La tragediaÈ stato calcolato che in pochi istanti siano piombati lungo la parete nord, 64.000 tonnellate di materiale tra blocchi di ghiaccio, blocchi di roccia, detriti, acqua. Il seracco in caduta aveva trascinato a valle il materiale sotto di sé a velocità impressionanti, viste le pendenze .Una trappola da cui non si può scappare o cercare riparo. In poche ore emergono le proporzioni del dramma: almeno cinque, poi sei vittime. Il bilancio del 3 luglio si chiuderà a sette morti, otto feriti, tredici dispersi. Con solo tre delle sette persone trovate senza vita che avevano già un nome. Un bilancio che poi purtroppo si aggraverà, con il centro della Protezione civile di Canazei che verrà trasformato nel luogo dell'impegno - base delle ricerche e dei soccorsi - e del dolore, con gli spazi in cui erano stati ricomposti i resti delle vittime. In alcuni casi minuti. Alla fine la conta ferale, il bilancio delle vittime, salirà a undici: la trentina di Levico Liliana Bertoldi di 58 anni, i vicentini Filippo Bari, 27enne di Malo, Tommaso Carollo, 48 anni di Thiene, Paolo Dani, 52enne di Valdagno, Nicolò Zavatta 22 anni di Barbarano Mossano), i padovani di Cittadella Davide Miotti, 51 anni e la moglie 44enne Erika Campagnaro, i fidanzati 36enni, trevigiani di Asolo, Gianmarco Gallina e Manuela Piran, i due cittadini della Repubblica Ceca Martin Onuda, 48 anni, e Pavel Dana di 46 anni.Chi è sopravvissuto ha solo avuto fortuna e forse è per questo che quasi tutti faticano a ricordare, ad alta voce almeno. Domani sarà passato un anno e a fotografare l'enormità di quello che è accaduto c'è l'umana inevitabile mancanza di certezze: la Marmolada è rimasta chiusa per mesi, dopo il disastro. Cosa si poteva fare allora? Niente, accadde l'impensabile. Cosa si può fare ora? Niente, nel breve termine. È stata colpa di qualcuno? Dell'uomo, probabilmente, andando indietro nei decenni. Di nessuno, probabilmente, guardando a un anno fa.©RIPRODUZIONE RISERVATA
Alto Adige | 2 luglio 2023
p. 34
Ghiacciai e clima, 5 lunedì col podcast di Todarello
Dolomiti. La tragedia della Marmolada ha anche sottolineato quanto, nella crisi climatica generale, siano in sofferenza gli ecosistemi alpini e quanto dai loro delicati equilibri dipenda il benessere dell'ambiente e in definitiva dell'umanità.I ghiacciai, che di quegli equilibri sono il cuore, rivelano la fragilità di tutto il sistema su due livelli: da un lato, il loro progressivo ritiro è il segno più evidente degli effetti del riscaldamento globale, dall'altro la loro scomparsa ci priverà della importantissima funzione di "termometri del clima", che fino ad oggi ci ha permesso di leggere nel clima del passato per costruire modelli utili a fare proiezioni su quello del futuro.Il podcast "La montagna ferita. Vita e morte di un ghiacciaio", ideato e scritto da Marco Todarello, giornalista di Radio Dolomiti, è un racconto in 5
episodi che porta l'ascoltatore dentro il mondo dei ghiacciai ed è dedicato sia a chi montagna ci vive, e vuole approfondire il tema, sia a chi le terre alte le guarda da lontano e ha bisogno di codici e tracce per comprenderle.Il podcast - letto insieme a Michela Baldessari e realizzato con il supporto tecnico di Alessandro Berti - sarà pubblicato ogni lunedì del mese a partire da domani, 3 luglio (primo anniversario del crollo del ghiacciaio), sul sito web di Alto Adige e sulle principali piattaforme di podcast.A guidare l'ascoltatore in questo viaggio sonoro sono alcuni sopravvissuti di quella mattina terribile ma anche volontari del soccorso alpino, glaciologi, geografi, geologi, rifugisti, alpinisti e scrittori. Il racconto inizia dalla ricostruzione del distacco della placca glaciale che un anno fa ha travolto tre cordate di alpinisti sul versante Nord della Marmolada, con il pesante bilancio di 11 morti e 8 feriti. Ci sono le storie dei sopravvissuti, si spiegano le difficoltà dei soccorritori, le ragioni scientifiche del crollo e i sentimenti sofferti della comunità.Nel secondo episodio la protagonista è la Regina delle Dolomiti, vista nel suo rapporto con i popoli che hanno vissuto ai suoi piedi e con chi oggi vive a Capanna Penìa, il rifugio in vetta.Il terzo è dedicato alla scienza: i ghiacciai sono "creature" in movimento, che dalla notte dei tempi plasmano le rocce delle montagne e si mescolano a esse, ma sono anche le "sentinelle" del clima: non c'è niente in natura che come i ghiacciai riesce a raccontarci con precisione - e con profondità nel passato, fino a 800.000 anni fa - sia le cause dei cambiamenti climatici, sia gli effetti che questi hanno prodotto sul sistema climatico del pianeta.Nel quarto episodio si approfondisce l'impatto dello scioglimento dei ghiacciai sull'economia e sulle scelte che la politica è chiamata a fare, mentre nel quinto a parlare sono scrittori e filosofi, perché spesso i ghiacci perenni hanno abitato i sogni di donne e uomini."La montagna ferita. Vita e morte di un ghiacciaio" è un podcast originale Sie, prodotto da Radio Dolomiti.
Corriere delle Alpi | 2 luglio 2023
p. 11
Oggi il ghiacciaio appare un po' più in salute Ma l'acqua che vi scorre continua a indebolirlo
Francesco Dal Mas
C'è ancora neve sul ghiacciaio della Marmolada, ma è in fusione. Sergio Benigni, del Servizio prevenzione rischi e Cue della Provincia, dopo una ricognizione, lancia il primo allarme. «C'è dell'acqua superficiale che scorre sotto la zona del crollo di un anno fa. Monitoreremo, con sensori innovativi, il contenuto dell'acqua nella neve e nel ghiaccio per capire le dinamiche» fa sapere. Marmolada, dunque, ancora puntualmente osservata un anno dopo la tragedia, nonostante la copertura nivale garantita dalle precipitazioni di un mese fa. Ieri sera a Canazei, per la prima iniziativa della memoria, è arrivato Reinhold Messner, l'alpinista re degli 8 mila. «Il ghiaccio della Marmolada è molto sottile e un anno fa sicuramente il caldo ha avuto la sua parte nel crollo del seracco» dice «Non è detto che questi crolli debbano ripetersi. Anzi, statisticamente non succede negli stessi luoghi. La montagna resta comunque, pericolosa. C'è sempre il rischio della caduta di seracchi, di rocce, di sassi, di acqua. In questo caso, sotto il ghiaccio sottile si formano dei ruscelli che poi possono portare al distacco di pezzi anche grandi».
Questa mattina, sulla vetta del ghiacciaio, a Punta Penia, 3353 metri, salirà don Franco Torresani per celebrare una messa in memoria delle vittime; saranno presenti alcuni parenti ed amici. La salita è accessibile; lo è stata anche l'estate scorsa, sul finire della stagione. Il sindaco di Canazei, Giovanni Bernard, ha compiuto una ricognizione in elicottero, insieme ai tecnici della Protezione civile trentina e al termine ha fatto sapere che quest'estate non sarà ripristinata la zona rossa, a meno che le temperature si alzino oltre misura e i processi di fusione non solo esauriscano la neve ma intacchino anche il ghiacciaio. Semmai verranno chiusi, se necessario, alcuni tra i sentieri più a rischio.
Certo è che sulla base del monitoraggio e degli approfondimenti scientifici, Benigni ha tracciato una diagnosi allarmante dello stato di salute del ghiacciaio. Dal 2000 la Marmolada ha perso 5 ettari di massa glaciale l'anno. Negli ultimi 3 anni – fa sapere Benigni – gli ettari sono diventati 9 l'anno. In febbraio è stato misurato lo spessore di questa massa: era di 26,7 metri. Tanto? No, poco, secondo Benigni. Per lui il ghiacciaio potrebbe non esistere più fra qualche decina d'anni. Si parla di 30.
Un anno dopo quel 3 luglio 2022 – la tragedia ferma l'orologio alle ore 13.43.20 –, il cratere del crollo ha la base ricoperta di neve e una cengia di neve, ghiaccio e roccia sembra separarlo da una seconda ferita, che sta sopra. La parete verticale, invece, è puro ghiaccio, segnata da striature. Una cicatrice bianca e celeste che mette in luce strati di accumuli risalenti a centinaia d'anni fa e che ti porta il cuore a piangere quelle 11 vittime che quel giorno stavano scendendo dopo una mattinata di puro splendore. Il sorvolo in elicottero non evidenzia crepacci come un anno fa. Dai 3 mila metri in su, la montagna appare nelle sue condizioni migliori, sotto, invece, la neve si divide in lingue. In quota , l'unico suono che si avverte è quello dei "ruscellamenti", piccole cascate causate dallo scioglimento di neve e ghiaccio che scorrono sulla roccia ai piedi dell'area interessata dal crollo. Benigni osserva dall'elicottero e commenta: «Proprio la presenza di acqua all'interno della massa di ghiaccio sarebbe stata uno degli elementi che ha provocato il distacco». Secondo quanto è stato accertato, il crollo aveva interessato circa 63.300 metri cubi di ghiaccio precipitati a valle a una velocità di 50-80 metri al secondo, portando con sé roccia e detriti per circa 2,2 chilometri. Un fenomeno devastante che aveva travolto diverse cordate di alpinisti.
Successivamente all'evento, interferometri e radar doppler avevano monitorato sia l'area del crollo, sia le due lingue glaciali che lo delimitano in destra e sinistra orografica. La nicchia di distacco risultava infatti potenzialmente instabile. Il ghiacciaio è monitorato tramite la registrazione e l'analisi dell'andamento di alcuni parametri nivometeorologici: l'andamento della temperatura dell'aria e della copertura nevosa possono infatti fornire una stima della vulnerabilità del ghiacciaio.
Corriere delle Alpi | 2 luglio 2023
p. 11
«Le nostre montagne fragili»
«È trascorso un anno dalla tragedia della Marmolada nella quale hanno perso la vita undici persone. Il Veneto è stato il territorio che ha avuto il maggior numero di vittime, otto sono i veneti che hanno perso la vita: Filippo Bari, Tommaso Carollo, Paolo Dani, Nicolò Zavatta, Davide Miotti, Erika Campagnaro, Gianmarco Gallina e Manuela Piran». Li ricorda uno per uno Luca Zaia, presidente della Regione, in una nota emessa alla vigilia dellla commemorazione ufficiale del tragico evento. «Una tragedia che ha colpito chi la montagna l'amava, la viveva e la affrontava pienamente. Una tragedia che ha lasciato il segno: un dolore indimenticabile nelle famiglie delle vittime e dei feriti, di chi si è speso per portare aiuto. I segni sul ghiacciaio della Regina delle Dolomiti si possono ancora osservare, è una ferita aperta» evidenzia Zaia, aggiungendo che tragedia della Marmolada «ci spinge a tenere a mente quanto sia fragile il territorio delle nostre montagne e quanto sia cambiato e stia cambiando, anche a causa dell'evoluzione climatica». La montagna rappresenta in Veneto uno dei pezzi di territorio più straordinari e apprezzati e, come tale, – conclude il presidente – «dobbiamo fare ogni sforzo per rispettarla e averne cura. Ma con la consapevolezza che anche un ambiente molto frequentato e apparentemente "friendly", come le nostre Dolomiti, può esprimere fenomeni imprevedibili, intensi, pericolosi: sono le leggi della natura, dove il potere dell'uomo non può che arrendersi. La montagna va vissuta, va visitata, va esplorata, non deve trasformarsi in un museo intoccabile che si guarda da lontano. Anche nel ricordo di chi, quel giorno, ha perso la vita o è rimasto ferito, praticando l'attività che amava».
Gazzettino | 2 luglio 2023
p. 9, edizione Belluno
«La montagna è fragile Zona rossa? Non serve»
Domani sarà trascorso un anno dalla strage della Marmolada. Domenica 3 luglio 2022, ore 13.43: dal ghiacciaio di Punta Rocca si stacca un seracco pari a 63.300 metri cubi, che precipita verso valle alla velocità di 50-80 metri al secondo, portando con sé rocce e detriti per circa 2,2 chilometri, fino a travolgere diverse cordate di scialpinisti. Ne muoiono 11 e altri 8 restano feriti, ma servono 18 giorni per completare le ricerche, mobilitando fin dal primo istante 127 operatori di Protezione civile, affiancati da 96 unità di supporto. «Ricordo come se fosse adesso la comunicazione che ho avuto dell'incidente», dice Luca Zaia, presidente della Regione Veneto. Quali erano le informazioni?
«All'inizio le notizie erano molto frammentarie, ma davano comunque la dimensione di un disastro: era crollato un grattacielo di ghiaccio. Alle 14.33 gli elicotteri erano già sul posto, compresi i due di cui avevamo dotato la provincia di Belluno. La tragedia era avvenuta in Trentino, tant'è vero che ho chiamato subito il presidente Maurizio Fugatti, ma naturalmente non c'erano confini nei soccorsi. Purtroppo neanche nel bilancio delle vittime: 8 erano venete, anche se questo l'abbiamo capito solo con il passare dei giorni, grazie all'opera instancabile dei soccorritori, eroi che hanno messo a repentaglio le loro vite. Li vedevamo andare su e giù in missione, per cui ogni volta i familiari dei dispersi si aspettavano di vederli tornare con buone notizie, invece magari arrivavano senza aver trovato nulla. Uno strazio continuo».
Cosa le dicevano i parenti?
«Li ho incontrati con il premier Mario Draghi, erano sotto choc. Lo scenario era da esplosione, quello che restava dei corpi veniva recuperato a più riprese e pietosamente ricomposto nella cella frigo. Nei sacchi c'erano anche i pezzi degli indumenti e delle attrezzature che gli addetti cercavano di associare ai proprietari, per tentare di identificare le vittime in attesa del responso inclemente del Dna, dato che le salme erano irriconoscibili e non c'erano i documenti. In quella situazione terribile e inimmaginabile, è successa una sola cosa bella».
Quale?
«Nella "sala del pianto" allestita a Canazei, c'erano due famiglie disperate, perché non sapevano più nulla dei loro cari. Nel frattempo dall'ospedale di Treviso mi dicevano che in Terapia intensiva era ricoverato un uomo, a cui non era stato possibile dare un nome, tanto che si pensava fosse un turista straniero. Ho chiesto a quei genitori angosciati se i loro figli avessero qualche segno particolare. Uno dei papà mi ha riferito due dettagli relativi a un orecchio e a un piede. A quel punto ho telefonato al Ca' Foncello: "Non mi interessa niente della privacy e me ne assumo ogni responsabilità. Mandatemi le foto dell'orecchio e del piede di quel paziente". Così le ho mostrate ai familiari di Davide Carnielli: era lui, molto grave, ma ancora vivo. Invece non c'è stato nulla da fare per l'altro ragazzo: era Nicolò Zavatta, la vittima più giovane, di cui sono poi andato ai funerali». Un anno dopo, il Tribunale di Trento ha archiviato l'inchiesta per l'imprevedibilità dell'evento. Condivide la valutazione?
«È stata una tragica fatalità. Le vittime erano persone esperte, o comunque accompagnate da guide alpine. Se quel blocco di ghiaccio si fosse staccato di notte, non sarebbe successo niente a nessuno. Purtroppo i cambiamenti climatici, che ci sono sempre stati e sono ancora molto evidenti, ci impongono riflessioni molto profonde sul rapporto tra l'uomo e la natura. La sintesi è che non siamo invincibili: non può passare il concetto che c'è la sicurezza al 100%, che basta fare bollettini e argini per stare tranquilli, perché il rischio zero non
esiste. Dobbiamo difendere l'alpinismo, ma nella consapevolezza che quello sport ha una componente di rischio più alta della corsa in bicicletta, la quale ha una componente di rischio più alta della passeggiata a piedi, la quale ha una componente di rischio più alta del riposo sul divano...».
Sì o no alla "zona rossa"?
«Istituirla solo per la Marmolada, vorrebbe dire essere incoerenti. E tutti gli altri ghiacciai? E tutte le altre montagne? Ho l'impressione che sia una roba tutta italiana quella di pensare sempre al divieto di accesso. Il dissesto idrogeologico è il nostro primo nemico, ma è pure il motivo per cui le Dolomiti sono diventare patrimonio mondiale dell'umanità Unesco: la loro fragilità è anche la loro bellezza. Piuttosto dobbiamo affinare i sistemi di controllo, e in questo la tecnologia ci aiuta con i satelliti e con i sensori, sempre però nella consapevolezza che oltre all'uomo, c'è il fato».
Come finirà la guerra Veneto- Trentino sulla Marmolada?
«È una vicenda legale che si perde nella notte dei tempi. È legittimo che Rocca Pietore e il Veneto difendano un principio, è altrettanto comprensibile che il Trentino difenda lo status quo. Ma con la strage di un anno fa abbiamo dimostrato di saper fare squadra, più che piantare i picchetti per segnare i confini. È una tragedia che ci ha uniti ancora di più attorno alla nostra montagna».
Angela Pederiva
Gazzettino | 2 luglio 2023
p. 26, edizione Belluno
«Quella fu una fatalità: il ghiacciaio resti aperto»
ROCCA PIETORE
A un anno di distanza dal disastro della Marmolada si torna a palare di chiudere la montagna. Era il 3 luglio 2022 quando dal ghiacciaio si staccarono circa 64mila tonnellate di acqua, ghiaccio e detriti rocciosi, con una valanga che uccise 11 alpinisti e ne ferì altri 7. Un mese fa il sindaco trentino di Canazei Giovanni Bernard, in una serata di incontro con la popolazione, aveva affermato come fosse «probabile una chiusura della montagna nella sua parte superiore». Era ipotizzata per i mesi di luglio e agosto, quelli più caldi, ma l'idea sembra essere definitivamente tramontata. E il sindaco di Rocca Pietore, Andrea De Bernardin mette in guardia: «Mai più Marmolada chiusa o si vietino tutte le montagne».
LA QUESTIONE
Chi va in montagna oltre che essere attrezzato e valutare bene le condizioni meteo deve anche mettere nello zaino anche un bel po' di fatalità, perché chi affronta la montagna deve essere conscio che non c'è ascensione o escursione che si fa in montagna a rischio zero. Andrea De Bernardin sottolinea questo aspetto, a un anno dalla sciagura i cui echi crearono non pochi problemi al turismo specialmente della val Pettorina, anche se di fatto questo versante non era stato coinvolto. Tutto era accaduto nel territorio di competenza del comune trentino di Canazei. E il sindaco di Rocca Pietore con fermezza rimanda al mittente le proposte ventilate da alcuni di chiudere il ghiacciaio: «Sono passati dodici mesi, il 3 di luglio è un anno che è successo questa tragedia e in questo tempo la Marmolada è rimasta uguale, anche se c'è un po' più di neve rispetto allo scorso anno perché ha nevicato più tardi. Ma non vedo grosse differenze con l'anno scorso. Io ritengo che ipotizzare o pensare di limitare o precludere totalmente di nuovo l'accesso al ghiacciaio, come lo scorso anno sia profondamente sbagliato».
I CROLLI
E dati alla mono spiega perché. «Durante l'estate 2022 saranno stati almeno dieci i crolli verificati e registrati su alcune montagne dolomitiche - ricorda de Bernardin -. Alcuni passati silenti altri apparsi sulla cronaca. Penso a Cima Uomo, la Moiazza, le Tre cime di Lavaredo, il Sasso Lungo. Sono tutti crolli forse anche legati al cambiamento climatico o a quel fenomeno che chiamano permafrost. Io ritengo allora che se si valuta ancora una chiusura per la Marmolada bisognerebbe limitare anche tutte le altre montagne, in quanto anche lì sussiste il pericolo. Proprio perché noi montanari sappiamo molto bene che i sassi cadono dalle montagne e vengono a valle e non viceversa». «Chi vive sotto le montagne, chi ha le case e vive nei villaggi sotto le montagne sa benissimo che ci può essere l'eventuale crollo da un momento all'altro, nonostante si continuino a fare lavori per la messa in sicurezza dei versanti. Allora cosa si fa? Prendiamo tutto e andiamo via come purtroppo sta succedendo in alcune zone dell'Emilia Romagna?».
Proprio in quest'ottica il sindaco di Rocca Pietore sottolinea che è necessario essere anche un po' di fatalisti. È necessario, secondo De Bernardin, che chi va montagna si doti dell'equipaggiamento: deve sapere dove andare, come comportarsi e che tempo incontrerà. Tutto questo è già un ottimo viatico per poter affrontare la montagna con una certa sicurezza. «Purtroppo - spiega il sindaco di Rocca - le persone che sono state coinvolte nella sciagura del 3 luglio 2022 avevano tutte queste cose, erano persone preparate e attrezzate ad affrontare le insidie della montagna a loro svantaggio ha giocato la sola contante della fatalità e del tragico destino: si sono trovati in quel luogo nel momento sbagliato. Bastava solo che avessero anticipato la loro partenza di una ventina di minuti e non sarebbe successo probabilmente nulla». E De Bernardin ricorda che la tragedia è dietro l'angolo in qualsiasi occasione non solo in vetta. «Mi vengono in mente in questo momento le motociclette che sfrecciano sulla strada del Fedaia - spiega - molte delle quali raggiungono anche velocità folli. Penso che sia molto più rischioso camminare ai lati di una strada di montagna, o guidare su una delle nostre strade
provinciali, regionali, o autostrade che non a salire in Marmolada. Poi il fato ha voluto che quel maledetto 3 luglio dell'anno scorso quel crollo sia avvenuto in quel giorno a quella maledetta ora mentre quelle persone passavano sotto».
Dario FontaniveGazzettino | 2 luglio 2023
p. 26, edizione Belluno
«È impossibile vietare, ma possiamo ridurre il rischio»
BELLUNO
Un anno fa, la tragedia della Marmolada è stata seguita, attimo dopo attimo, dall'assessore regionale alla Protezione civile e all'ambiente, Gianpaolo Bottacin, giunto subito sul luogo del disastro, poco distante da dove oggi la porzione di ghiacciaio collassata appare ancora in tutta la sua evidenza. Nei momenti immediatamente successivi, è stato l'assessore a comunicare, all'Ansa, il primo provvisorio bilancio delle vittime del crollo, tenendo costantemente informato il Capo del Dipartimento della Protezione civile nazionale, Fabrizio Curcio. L'esponente della giunta del presidente Luca Zaia, nello scorso autunno, ad Alleghe, davanti ai famigliari ed amici delle vittime, a nome della Regione, ha firmato il Manifesto etico per la Marmolada, realizzato da guide alpine, Cai e Soccorso alpino del Veneto ed articolato in cinque significativi punti, che invitano a lavorare insieme per costruire una montagna più libera, responsabile, sostenibile e consapevole e in cui si ribadisce che essa va frequentata e vissuta in sicurezza e con responsabilità. Perché andare per i monti comporta dei pericoli. Risulta così di fondamentale importanza essere responsabili e consapevoli del rischio legato a scelte personali e alle mutate condizioni ambientali e climatiche.
Assessore, qual è il suo primo pensiero a dodici mesi dalla tragedia?
«Sicuramente alle vittime. Ci stringiamo ai famigliari, ai parenti, agli amici delle undici persone che hanno perso la vita un anno fa sulla Marmolada. Quanto accaduto dodici mesi fa rappresenta una tragedia devastante ed immane, per il numero di cittadini coinvolti, tra cui esperti dell'ambiente montano, e lascia l'amaro in bocca. È stata una pagina davvero tragica per la storia della nostra montagna. Fa poi riflettere se sia il caso di evitare la tragedia precludendo la montagna».
Quest'argomento, negli scorsi mesi, è stato al centro di un dibattito. Lo è ogniqualvolta accadono drammi. Lei cosa ne pensa?
«È impossibile precludere la montagna, però possiamo ridurre il rischio. Molto spesso si sottovalutano i pericoli e ci si espone al rischio in maniera eccessiva. Fa riflettere chi si avvicina alla montagna con un abbigliamento inadeguato, dall'infradito alla maglietta, o senza aver consultato le previsioni meteorologiche. In montagna il tempo può cambiare improvvisamente ed è necessario essere opportunamente equipaggiati. Non sempre c'è la percezione del rischio. Sta a noi ridurlo, cominciando con un'adeguata preparazione». Qual è il primo approccio per affrontare la montagna in sicurezza?
«Parlando di sicurezza va considerato un primo importante presupposto: la montagna presenta pericoli. È una sua caratteristica come lo è del mare. Il secondo elemento di partenza è che il rischio zero non può esistere». Le cronache estive presentano spesso episodi di interventi di emergenza e salvataggio, talvolta perché l'escursione è stata preparata superficialmente.
«Purtroppo le situazioni si ripetono. Se indosso l'infradito, ovviamente, mi espongo di più al rischio». Com'è la salute delle vette bellunesi?
«Le Dolomiti sono rocce friabili ed inevitabilmente ogni tanto un pezzo si stacca da qualche montagna. Spesso non lo si nota, perché fa notizia il crollo che si vede, collocato magari vicino ad un sentiero. Il geologo Luca Salti sottolinea che questa è la caratteristica delle Dolomiti, sono costituite in questo modo e i ghiaioni sono lì a dimostrarlo».
Sulla tragedia della Marmolada resta la ricerca delle cause di quanto accaduto.
«Sulle eventuali responsabilità si occupano le Procure e i tribunali».
Yvonne ToscaniCorriere della Sera | 2 luglio 2023
p. 19
«Un anno fa mio fratello morì sulla Marmolada Sottovalutati i pericoli»
«Mio fratello passava a farle visita tutte le mattine alle 8.30, prima di andare ad aprire il negozio. Mamma ha 83 anni e vive da sola: da quel 3 luglio non c’è giorno che lei non aspetti che si apra la porta e ricompaia Davide con il suo sorriso contagioso». Un anno dopo il peso della tragedia che ha sconvolto la sua famiglia lo racchiude in quest’immagine dell’anziana madre che non si rassegna alla perdita del figlio: «Continua a ripetere che non è vero, che non è successo realmente e presto lui passerà a salutarla».
Luca Miotti, 53 anni, è il fratello di Davide, di 51, una delle 11 vittime della tragedia della Marmolada. Il 3 luglio dello scorso anno una valanga di ghiaccio staccatasi da Punta Rocca lo travolse mentre era in cordata con la moglie, Erica Campagnaro, 44 anni. Due vite spezzate e due figli di 16 e 25 anni rimasti senza genitori. «Ora sono loro il conforto per mia mamma si commuove Luca . Sono ragazzi forti, ogni giorno si alternano per andarla a trovare».
Luca e Davide avevano un rapporto speciale. «Io ho la mia famiglia e lui la sua, ma non c’era giorno che non ci sentissimo». Un anno dopo non si rassegna alle conclusioni a cui, due settimane fa, è giunto il gip di Trento che ha accolto la richiesta di archiviazione della Procura. Caso chiuso, non ci sono responsabili. Per i magistrati il distacco del seracco che ha ucciso gli escursioni è la conseguenza di «un crollo imprevedibile».
Tra tutti i familiari delle vittime della Marmolada Luca Miotti è l’unico che non accetta che tutto finisca così. «Purtroppo pare che sia solo io a non accettare la decisione della Procura e del gip ammette Ho provato ad avere dei contatti con gli altri familiari, ma fino ad oggi non c’è stata la volontà di un’iniziativa comune. Molte famiglie probabilmente stanno ancora vivendo il loro lutto e ciò, al momento, prevale su tutto».
Luca invece pensa che il modo giusto per ricordare le vittime di quella tragedia è fare chiarezza e individuare eventuali responsabili. «Dopo un anno non riesco a rassegnarmi. Sono arrabbiatissimo all’idea che si voglia far passare tutto per un semplice incidente. Un incidente è quando vai a fare un fuoripista dove c’è un chiaro divieto o quando scivoli mettendo un piede in fallo. Ma qui c’erano delle persone che stavano facendo una passeggiata di routine in un sentiero accessibile e non erano tenute a sapere quali insidie si nascondevano sotto il ghiaccio. Piuttosto doveva saperlo chi ha il compito di fare i controlli e vigilare sulla sicurezza. E invece sulla Marmolada non c’è stata una lettura corretta dei tanti segnali di allarme che da anni continuano ad arrivare».
È proprio questo il tarlo nella mente di Luca: i pericoli sottovalutati. «La comunità scientifica a vari livelli aveva lanciato più di un allarme. Aveva avvertito che il ghiacciaio della Marmolada si riduce di 20 metri all’anno, che assottigliandosi lo spessore l’acqua di fusione crea dei fiumi sotto il ghiaccio che fanno venire meno il collante con la parete rocciosa. Tutto ciò avrebbe dovuto far riflettere chi ha il compito di vigilare: quel pezzo di ghiacciaio si sarebbe potuto staccare da un momento all’altro. Magari non il 3 luglio, ma anche un anno prima o un anno dopo. Perché nessuno ha limitato l’accesso ai sentieri, almeno nelle ore più calde? Forse non è un caso se il crollo è avvenuto proprio nel picco di caldo di quel giorno». E quindi dove andrebbero cercate le responsabilità? «Secondo me la politica non ha agito di conseguenza rispetto ad allarmi noti e magari in base ad altre informazioni che forse sono rimaste nascoste in qualche cassetto».
Luca Miotti si dice determinato ad andare avanti e spera ancora di farlo assieme agli altri familiari. «Per oppormi all’archiviazione io dovrei nominare un perito di parte e tentare di confutare le conclusioni del gip. La cosa è molto impegnativa, anche dal punto di vista economico. Faccio appello anche agli scienziati per fornirmi altri dati a supporto delle mie argomentazioni. Quanto agli altri familiari comprendo che la sofferenza per la scomparsa di un figlio o un fratello ora prevalga su tutto. Spero che, una volta elaborato questo drammatico lutto, altre famiglie capiscano che non è stato il caso a portarci via i nostri cari».
Corriere del Trentino | 2 luglio 2023
p. 2
Marmolada sorvegliata speciale scontro sulle limitazioni Ieri sera in piazza dibattito pubblico Il canto dei monti a passo Fedaia Domani la messa, solenne e intima
TRENTO
Si accende il dibattito sull’eventuale chiusura estiva del ghiacciaio della Marmolada mentre entra nel vivo la tre giorni di commemorazioni di quel tragico 3 luglio 2022, quando una vasta porzione del ghiacciaio crollò provocando undici vittime e otto feriti. Erano le 13:45 quando il seracco, 64 mila tonnellate di acqua, ghiaccio e detriti rocciosi, si staccò causando una valanga lunga 500 metri che scese verso valle a quasi 300 chilometri orari. Quel giorno, in vetta, la temperatura era di 10 gradi sopra lo zero. Le immagini recenti acquisite tramite drone mostrano ancora la profonda cicatrice lasciata dal crollo. Nonostante le abbondanti nevicate tardive e le condizioni meteorologiche favorevoli di quest’anno, però, il ghiacciaio rimane in una fase critica e si teme per la sua stabilità durante l’estate. Il sindaco di Rocca Pietore, Andrea De Bernardin, ammette che «la montagna è imprevedibile. Il rischio zero non esiste, specie quando si fa alpinismo. Ipotizzare delle chiusure sarebbe una forzatura precisa il primo cittadino L’anno scorso abbiamo avuto una decina di frane tra le Tre Cime, Moiazza, Cima Uomo, Le Vette. Cosa dovremmo fare? Fermare tutto preventivamente? Allora perché non fare lo stesso alle Tre Cime o a Sassolungo? Non voglio assolutamente fare polemiche e non ho ricordi di un evento così grave, ma non credo che la soluzione sia chiudere tutto». Di «una cicatrice che non potremo mai dimenticare» parla il presidente del Veneto, Luca Zaia, sottolineando l’importanza di rispettare e proteggere il territorio montano. «La montagna rappresenta, in Veneto, uno dei pezzi di territorio più straordinari e apprezzati; dobbiamo fare ogni sforzo per rispettarla e averne cura. Serve però la consapevolezza che anche un ambiente molto frequentato e apparentemente amichevole può esprimere fenomeni imprevedibili, intensi, pericolosi premette il governatore veneto Sono le leggi della natura, l’uomo non può che arrendersi. La montagna va vissuta, visitata, esplorata, non deve trasformarsi in un museo intoccabile. Anche nel ricordo di chi, quel giorno, ha perso la vita praticando l’attività che amava».
Intanto, però, venerdì il sindaco di Canazei, Giovanni Bernard, ammetteva: «Stiamo valutando limitazioni all’accesso al ghiacciaio, ma Punta Penia rimarrà comunque accessibile».
L’acqua, come confermato dalle analisi della Provincia di Trento, sta scorrendo sotto la zona del crollo. La tragedia dell’anno scorso è stata un evento imprevedibile ma ora si pone il problema di dover evitare che si ripeta. «Durante l’estate, sulla scia dell’esperienza dell’anno scorso, dovremo prendere provvedimenti per limitare alcuni settori della Marmolada spiegava il primo cittadino Non vogliamo parlare di zone rosse o di chiusure, ma occorre verificare che alcuni sentieri possano essere percorsi in sicurezza e garantire l’accessibilità a Punta Penia dalla cresta ovest e dai vari sentieri che salgono da passo Fedaia e dalla Val Contrin».
Sergio Benigni, responsabile del servizio Prevenzione rischi della Provincia di Trento, fornisce ulteriori dettagli: «C’è uno spessore di neve maggiore rispetto agli anni scorsi, ma c’è anche dell’acqua superficiale: la neve in fusione percola sulle rocce sotto la zona del crollo. Monitoreremo questo contenuto d’acqua con sensore di ultima generazione».
Ieri mattina, ai 3.343 metri di Punta Penia, con una messa celebrata da don Franco Torresani sono state ricordate le vittime. Oggi alle 15 i canti di montagna del coro Valfassa risuoneranno a passo Fedaia, mentre domani alle 11 si terrà la messa celebrata dall’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi. Sarà quindi inaugurato un luogo di meditazione con alcune panchine dove sedersi a riflettere e una statua della Madonna.
«Questa è una tragedia che ha lasciato il segno commenta ancora Zaia Un dolore indimenticabile, i cui segni sul ghiacciaio della Regina delle Dolomiti si possono ancora osservare: è una ferita aperta e non possiamo abbassare la guardia». A breve ripartiranno i monitoraggi del Cnr con il controllo satellitare delle temperature e con la verifica dell’acqua, sotto la zona del crollo, tramite sensori. «La Marmolada è “attenzionata” conferma il sindaco di Canazei Bernard Se sarà necessario interverremo con provvedimenti che potrebbero limitare alcuni settori, anche se l’obiettivo è mantenere la montagna aperta. Si interverrà garantendo percorsi in sicurezza». E ancora: «Fermo restando che il ghiacciaio è destinato a scomparire tra dieci, massimo venti anni, seguendo una tendenza iniziata ormai nel 1850, quest’anno c’è neve, semplicemente perché ha nevicato tardi», conclude De Bernanrdin.
Corriere del Trentino | 2 luglio 2023
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Il « grande occhio» e i turisti ignari «Celebrare una messa contro l’indifferenza»
Sul ghiacciaio chi non sa e chi ricorderà per sempre
PASSO FEDAIA
Domani fa un anno. Parenti, amici, uomini del Cai e autorità saranno sul Passo, ricorderanno e scopriranno una targa con i nomi dei morti, non lontano dall’altra grande e terribile che sta sopra. Impossibile non vederla. «Ogni mattina che cominciamo il lavoro –confessa Aurelio Soraruf, gestore del rifugio Castiglioni – alziamo gli occhi e la guardiamo, tempo permettendo». È una anomalia nell’andamento del ghiacciaio, una scavo simile ad un grande occhio, la palpebra calata a metà nella parte dove il sole non arriva. Dentro – dicono – ci si sta come in un anfiteatro.
È il pezzo mancante, il ricordo che la Marmolada porta scolpito e che offre di sé per quanto ha fatto, un buco di 6.480 metri cubi di ghiaccio – «ci vorrà un’altra glaciazione per riempirlo» afferma il direttore della funivia di Malga Ciapela Patrick Pomaré – una massa grande quanto un edificio di sei piani per 350 metri quadri di base venuta giù il 3 luglio del 2022 raggiungendo per strada la velocità di 300 chilometri orari. «È incredibile per come è fatta – aggiunge Soraruf – il fondo è piatto e dentro ci si sta come su una terrazza, pare impossibile che la neve si sia mossa da lì».
Erano le 13 e 45, faceva caldo e la montagna era brutta, c’era una neve gialla rigata dall’inquinamento atmosferico e dalla mancanza di precipitazioni, non come oggi che è di un bianco immacolato. Il ghiacciaio morente appariva più esausto del solito, calava di sette centimetri ogni 24 ore e non sembrava in grado di fare del male. Sopra, in quella buca, l’acqua invece stava crescendo e spingeva. C’era tanta gente il 3 luglio, diverse cordate, mentre l’altro ieri se ne vedeva solo una, tre escursionisti che, al binocolo, non si capiva se erano legati o meno.
Più sotto la gente c’è ancora, a godersi il sole, occupata a mangiare canederli e a passeggiare sopra la diga del lago dove l’acqua e l’altezza fanno più paura della montagna. Altri sono in fila all’attacco della funivia di Malga Ciapela. Tra loro una brigata di israeliani, alcuni con in testa la kippah, una famiglia di indiani Sikh con i tradizionali turbanti, e poi francesi, svizzeri, tedeschi, motociclisti inguainati nelle loro tute, mamme occupate a cercare nei Suv il K-way per i loro bambini. Notevole un drappello di giapponesi che si muove all’unisono come fanno gli uccelli in stormo. Insomma, l’altro giorno andava in scena la solita versione del mordi e fuggi, quella d’alta quota non diversa dall’altra che si vede in piazza San Marco a Venezia o al Colosseo: turisti variamente smanicati e parimenti presi dalla frenesia di riempirsi gli occhi temendo di non poter ritenere abbastanza del meraviglioso patrimonio consacrato all’Unesco. «Qualcuno ancora mi ferma e mi chiede se si può salire in macchina fino a punta Penia a 3.343 metri». La boutade non fa più ridere nemmeno lui: il direttore degli impianti la riporta solo perché spiega di cosa stiamo parlando. «In quanto alla disgrazia, la memoria della gente è corta e forse è meglio così. Già nessuno sa più cosa è accaduto sul Mottarone», (due anni fa, 14 morti nella cabina precipitata, ndr) .
C’è un posto tuttavia dove la memoria può ancora raccogliersi nel riserbo e forse durare di più: e sarà oggi, domenica, alle ore 11, quando don Franco Franco Torresani, celebrerà messa a quota 3.343 metri. È un alpinista, era già in vetta ieri sera, si è portato dietro quattro amici, la stola sacerdotale e il necessario per l’Eucarestia in una ascensione che è già preghiera, sulle stesse tracce di chi c’era e ora non c’è più. «Non so quanti fedeli potranno esserci. Arrivare fin qui non è da tutti, c’è la funivia ma sono sempre trenta minuti di passeggiata e poi c’è l’incognita del tempo. Ma non mi importa. Mi atterrò al messale e alle parole dell’enciclica di Papa Francesco Laudato sì’. Dirò della valanga del torpore, mi preoccupa l’abitudine e l’indifferenza, le sole valanghe che dobbiamo temere, quelle che ci fanno perdere il rispetto del creato e perdere di vista la meta».
Carlo Budel gli farà da chierichetto. Budel è sempre lì, guardiano alla memoria, è il custode del rifugio più alto delle Dolomiti e passa le sue estati lassù, a 3.343 metri, servendo pasti e dando riparo agli alpinisti: «Ho parlato con tutti i famigliari delle vittime, gli amici e i parenti. Li conosco tutti e non tutti sono in grado di salire. Al passo stanno allestendo uno schermo e ci collegheremo via skype sempre che il vento ce lo consenta».
Maurizio Davarda è guida alpina, un anno fa era lì, sul ghiacciaio, con un bambino di sei anni. «Siamo partiti un’ora prima e ho avuto la fortuna di rientrare un’ora prima. Non mi va di ricordare perché l’ho scampata. La neve era gialla ed era poca, adesso ce ne è molta, in più faceva caldo».
Aurelio Soraruf del Castiglioni alza lo sguardo e dà un’occhiata ancora una volta al buco, lassù: «Non mi piace il turismo dell’orrore e detesto l’effetto mediatico. L’ho vissuta la canea giornalistica, ho sentito la stupidità di chi diceva ‘incoscienti, se la sono andata a cercare’. Il giorno dopo ero lì che cercavo con gli altri. Quel panettone bianco faceva paura, ma quindici anni fa, quando sporgeva formando dei veri saracchi che avvertivano la gente quando ci passava sotto. Oggi non ci sono più, al loro posto, come vede, ci sono solo rocce nude. Chi poteva dirlo, chi poteva sapere?».
Corriere del Trentino | 2 luglio 2023
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«Servono attività di monitoraggio e politiche a lungo termine»
L’esperto sul ritiro dei ghiacciai
Lorenzo Pastuglia
Trento Non si può dimenticare, specie un disastro, quello della Marmolada, che ancora oggi fa riflettere. Il 3 luglio 2022 una valanga di ghiaccio e roccia si staccava da Punta Rocca e precipitava verso valle, portando via con sé qualsiasi ostacolo lungo il percorso e le giovani anime di 11 escursionisti. Ieri sera, a quasi un anno di distanza, si è tenuto a Canazei l’incontro «Marmolada, il futuro della montagna al tempo del cambiamento climatico».
Il primo evento di una tre-giorni fatta di riflessioni, che si è tenuto in piazza Marconi alle 21 e dove per l’occasione sono intervenuti il governatore Maurizio Fugatti, l’alpinista, esploratore e scrittore Reinhold Messner, il sindaco di Canazei Giovanni Bernard, il direttore dell’Azienda per il turismo della val di Fassa, Paolo Grigolli, e il glaciologo del Muse, Christian Casarotto.
Proprio quest’ultimo si è lasciato andare a un’approfondita riflessione sul futuro dei ghiacciai: «Il disastro della Marmolada dice è la fotocopia di quello che sta avvenendo in tanti altri Paesi, con il loro ritiro per l’aumento delle temperature determinate dall’impronta antropica. Dobbiamo avere la responsabilità di gestire ciò che rimane». Mentre i politici «dovrebbero attuare delle politiche a lungo termine per salvaguardare il Pianeta e ridurre gli impatti umani determinati dall’alimentazione, dai trasporti, dal carico industriale e dal consumo delle risorse. Anche se posso capire che i costi pubblici per questi investimenti non sarebbero indifferenti».
Di conseguenza, un’attività di monitoraggio sarebbe opportuna: «Senza di questa, non possiamo controllare nulla e non saremmo capaci di prendere decisioni quando si tratta di attuare delle pratiche gestionali aggiunge Casarotto Il problema è che in molte persone questo pensiero non è sviluppato. Dovremmo toglierci il paraocchi e fare delle riflessioni, perché oggi la tecnologia ha fatto passi da gigante. Per fare dei bollettini a livello glaciologico, bisogna conoscere le variabili».
Quello della Marmolada è purtroppo un evento «che rispecchia la tendenza globale del ritiro dei ghiacciai dice ancora l’esperto Se ci sono contesti particolari come il Sudamerica o l’Antartide, le cui rispettive condizioni più calde e fredde le isolano dal contesto globale, in tanti altri Paesi la situazione è questa». E sarebbe un rischio, dato che i ghiacciai «sono una risorsa ecosistemica importante per utilizzi e presenza di acqua, ma anche per gli organismi viventi che ci vivono conclude Per questo, ripeto, siamo davanti a dei preoccupanti cambiamenti che vanno monitorati in tutto il contesto alpino. Occorrono però delle politiche importanti, anche per prevenire il surriscaldamento globale che al giorno d’oggi è una seria minaccia».
Come infatti dimostrano anche i dati 2022 in Trentino, comunicati in un evento di poche settimane fa da parte della Commissione Glaciologica Sat. Per l’occasione, era stata sottolineata la preoccupante situazione che vivono i ghiacciai delle vette dei Gruppi della Presanella, Lobbia, Lares, sempre più ristretti nelle loro aree di occupazione, tenendo conto anche dello scioglimento totale sul Gruppo del Careser. Non avevano aiutato neanche le temperature, tra cui l’estate: la più afosa degli ultimi 100 anni nei mesi di giugno, luglio e agosto, inferiore di soli 0,1 gradi rispetto a quella del 2003, in cui la maggior parte dei giorni le temperature massime erano risultate superiori ai 30°. Con nove mesi su 12 aventi un grado o più oltre le medie del 1981-2010 e una media annua superiore di 1,82° rispetto
allo stesso periodo. Temperature preoccupanti che hanno influito anche in quota, provocando altri scioglimenti. Un problema da evitare, così come il rischio che avvengano le tragedie di un anno fa.
Corriere del Veneto - Treviso e Belluno | 2 luglio 2023
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«Ogni anno sulle montagne ci sono tra 50 e 70 morti ma un dramma così ti segna»
Alex Barattin è stato tra i primi ad intervenire «Quando ci chiamarono, ci pareva impossibile e ci chiedemmo: “Ma cosa stanno dicendo?” e pensammo che qualcuno fosse caduto nel seracco (crepaccio del ghiacciaio, ndr ), poi siamo arrivati sul posto e ci siamo resi conto della gravità di quanto era accaduto».
Alex Barattin, delegato del Soccorso Alpino per la zona Dolomiti Bellunesi il 3 luglio 2022, è stato tra i primi ad intervenire sulla Marmolada e il ricordo di quegli attimi e dei giorni seguenti è ancora vivido.
Aveva mai visto una situazione simile?
«Siamo addestrati, tutti i giorni interveniamo per soccorrere feriti. E ogni anno in montagna ci sono tra i 50 e i 70 decessi, ma un crollo così, lascia un segno indelebile anche a chi come noi è abituato alle maxi-emergenze. Tra l’altro ero stato sulla Marmolada due giorni prima, e ancora la settimana precedente. Più che il giorno del disastro, pesarono quelli successivi: fu dura».
Ha mantenuto rapporti con i familiari delle vittime?
«Con alcuni sì, ho continuato a sentirmi. Con tutti gli interventi che facciamo ogni anno, sarebbe meglio non tenere il legame perché il dolore è enorme ma io mi espongo».
Parteciperà alla cerimonia di domani?
«Sì, sarà un momento molto forte. In particolare per le famiglie: per loro sarà durissimo, ne sono certo». In queste ore si parla di limitare gli accessi alla Marmolada, è d’accordo?
«A meno che non ci sia qualcosa di rischioso, io non sono per le limitazioni. Il rischio zero in montagna non esiste, c’è sempre un rischio residuo anche dopo aver controllato e definito tutto, dalle previsione meteorologiche alle tecniche, alle vie di fuga e agli strumenti e attrezzature che si hanno con sé. Se volessimo il rischio zero, allora dovremmo chiudere tutto, non solo la Marmolada». (g. b. )
Alto Adige | 3 luglio 2023
p. 22
Marmolada, oggi alle 11 la messa a Passo Fedaia
BOLZANO
Il dolore dei sopravvissuti e dei familiari delle 11 vittime è una ferita che lacera i cuori. Ad un anno dalla tragedia lo squarcio bianco e azzurro ben visibile sul ghiacciaio di Punta Rocca. Se alle 13.43 minuti del 3 luglio 2022 un rombo annunciò il crollo del seracco, oggi saranno le campane della chiesa a rompere il silenzio. In ricordo delle vittime stamattina è previsto un momento di preghiera. L'appuntamento è a Passo Fedaia, alle 11, presso il piazzale a monte del rifugio Cima Undici. Qui sarà celebrata la messa. In caso di maltempo la celebrazione sarà nella chiesa di Canazei. A seguire, sarà deposta una targa commemorativa. Il distacco interessò circa 63.300 metri cubi di ghiaccio che, misto a roccia e neve, investì ad una velocità di 50-80 metri al secondo alcune cordate. Per undici alpinisti - fra cui Liliana Bertoldi, 58 anni originaria di Pergine e residente a Levico - quella massa diventò una trappola mortale. L'inchiesta è stata archiviata il mese scorso. I periti incaricati dalla procura sono giunti infatti alla conclusione che «sulla base delle conoscenze disponibili l'evento non era prevedibile» e che «non è stato possibile identificare elementi che potessero, qualora osservati nei giorni precedenti, suggerire un alto rischio di crollo imminente».
L’Adige | 3 luglio 2023
p. 10
Corriere delle Alpi | 3 luglio 2023
p. 28
«Tanto dolore nella bellezza assoluta. La montagna deve rimanere aperta»
Francesco Dal Mas
Ai 3.343 metri di Punta Penia, davanti all'improvvisato altare, in mezzo alla neve, Alessandro Corazza legge i nomi di Emanuela Piran, Gianmarco Gallina, Davide Miotti, Erica Campagnaro, Nicola Zavata, Filippo Bari, Paolo Dani, Tommaso Carollo, Liana Bertoldi, Pavel Dana, Martin Ouda. Don Franco Torresani, il re della corsa in montagna, camice bianco, stola dai colori della terra, casco da rocciatore in testa, intona "Il Signore delle Cime", dicendosi sicuro che "il creatore di una così straordinaria bellezza" accoglierà le vittime di tanta tragedia – un anno fa – "sicuramente in Paradiso".
Mille metri più sotto, a passo Valles, i familiari dei morti del 3 luglio 2023, si commuovono. Qualcuno non trattiene le lacrime. Stanno seguendo la messa di don Franco dall'atrio del Rifugio Castiglione, in trasmissione Skipe. Ricordate Riccardo Franchin? 28 anni, è un ingegnere di Barbarano Mossano, nel Basso Vicentino. Alle 13.43 di un anno fa c'era anche lui, al rientro dal ghiacciaio. Oggi può raccontare; è stato uno dei pochi sopravvissuti. «Sentito quel rumore ho alzato la testa: la montagna ci stava piovendo addosso e ho iniziato a correre più che potevo. Questione di pochissimo e sono stato investito dalla valanga. Nemmeno il tempo di provare dolore e ho perso i sensi». È stato recuperato dai soccorritori e ricoverato all'ospedale Santa Chiara di Trento. Si trovava insieme a Nicolò Zavatta, Paolo Dani, Filippo Bari. È lui, accanto a don Franco, a leggere la "Preghiera della montagna". "Signore, fa che io porti con me queste voci dei monti, che mi avvicinano a te. Che io senta vivo il senso di chi cammina con me, come in cordata, dove la stessa sorte ci unisce in un sol corpo, tesi verso l'unica méta. Così sia".
Lo sguardo del sacerdote va a perdersi sulle creste, verso l'altra cima, Punta Rocca, per cercare il cratere. «Mano a mano che salivo, 3 ore con ramponi e piccozza, alzavo ogni tanto lo sguardo e quella "ferita" mi si palesava, ogni volta più incombente, più impressionante" confiderà al termine della liturgia. «Ho avvertito sensazioni quasi traumatiche attraversando quei pochi metri di neve
immacolata dove un anno fa furono travolti gli amici. Chi ha trovato la morte immediata, chi, come Riccardo, per pochi centimetri si è salvato». L'omelia del sacerdote è un'invocazione a diventare piccoli, a perdere il senso dell'onnipotenza, perché il creato e il suo creatore – dice – hanno ben altre dimensioni, progetti ben diversi. Quando il gruppo scenderà e farà tappa al Castiglioni, da Aurelio Soraruf, troverà, insieme ai famigliari, un gruppo di giovani – vicentini – che hanno fondato l'associazione "Un posto in cui tornare". Ed è Riccardo stesso a dire che la Marmolada dovrà sempre rimanere "una montagna aperta". «La vita? Continua» si rassegna Giuseppe Bari, papà di Filippo «Sapere che mio figlio quassù ha trascorso l'ultimo giorno della sua vita… Sapere che non potrà più rivedere la sua compagna, il suo bambino… Mio nipote, che ha 5 anni, quando viene a casa ci dice: non ricordo più la voce di mio papà. E allora glie la ricordiamo in foto».
Ma la tragedia si poteva o no prevedere? Il tema resta, al di là dell'archiviazione della Procura. «Una fatalità» risponde Andrea Bari, fratello di Davide. No, reagisce Luca Miotti, fratello di Davide: «Tanti segnali avrebbero dovuto far prendere delle decisioni agli organi competenti per evitare che turisti e cittadini entrassero liberamente in ghiacciaio». Oggi, a margine della cerimonia ufficiale, sempre quassù ai piedi della Marmolada, il dibattito continuerà.
Gazzettino | 3 luglio 2023
p. 10, edizione Belluno
Marmolada, famiglie divise fra rabbia e rassegnazione
VENEZIA
Un anno dopo la strage della Marmolada, è ancora ben visibile la cicatrice lasciata dal distacco del seracco, nel ghiacciaio di Punta Rocca a quota 3.213. Ma ad essere evidente è anche un'altra crepa, quella nella posizione dei familiari delle 11 vittime, accomunati dal dolore ma divisi fra rabbia e rassegnazione. «Non accetto la logica dell'imprevedibilità», ripete infatti Luca Miotti, fratello di Davide, il 51enne originario di Cittadella morto con la moglie 44enne Erica Campagnaro. «Filippo è stato solo molto sfortunato», dice invece Andrea Bari, fratello del 27enne di Malo deceduto sempre il 3 luglio 2022.
DOLORE
Oggi è il primo anniversario: stamattina alle 11, a Passo Fedaia, la celebrazione religiosa e la targa commemorativa. Molti parenti e amici, ma anche alcuni sopravvissuti, sono tornati in montagna già ieri per le cerimonie, fra cui una messa a 3.343 metri. Miotti pensa invece alla richiesta di opposizione all'archiviazione dell'inchiesta: «Ci sono stati dei segnali ribadisce ai cronisti che avrebbero dovuto far prendere delle decisioni da parte delle istituzioni e degli organi, per evitare che turisti e cittadini entrassero liberamente in questo percorso. Molti glaciologi parlano della Marmolada come di un grande malato che da anni si assottiglia. Se la politica avesse anche solamente limitato l'accesso nelle fasce orarie più calde, mio fratello e altre dieci persone probabilmente a quest'ora sarebbero vive. Gli altri familiari hanno accettato la tragedia? Per molte famiglie il dolore è tutto, è totalizzante. A me rimangono dei sentimenti contrastanti sull'accettazione istituzionale che la cosa era non prevedibile, per cui si salvano tutti».
Davanti alle telecamere Giuseppe Bari si commuove al pensiero del bimbo lasciato da suo figlio Filippo. Ma non c'è rancore nella sua voce: «Mio nipote ha appena compiuto 5 anni e ogni tanto dice: non mi ricordo più la voce di mio papà. È una cosa tremenda, ma è anche il segno che la vita continua». Leonardo Marodin è un amico di Nicolò Zavatta, il 22enne di Barbarano Mossano che è la vittima più giovane. In sua memoria è stata costituita l'associazione "Un posto in cui tornare", con l'obiettivo di promuovere la sostenibilità montana: «Nessuno di noi vuole dare colpe alla montagna. Crediamo che la montagna invece vada tutelata e valorizzata, anche perché poi questo è forse il vero senso dell'alpinismo che Nicolò aveva scelto di praticare».
Sui social Sara Mattiolo dedica alla mamma Liliana Bertoldi, 58enne di Levico, un pensiero carico di fatalismo: «Tu mi hai passato la passione per la montagna e mi hai insegnato ad apprezzarla. Mi hai fatto capire che la vita me la scelgo io, e che è troppo imprevedibile per fare le cose che non mi piacciono».
NIENTE CHIUSURE
Reinhold Messner, il re degli ottomila che sul Nanga Parbat vide scomparire suo fratello Günther, ne ha parlato sabato sera al dibattito di Canazei: «Chi come me ha perso un familiare in quota, comprende meglio di ogni altro che la montagna rappresenta una dimensione che supera ogni nostra capacità di immaginare o pensare. Non c'è rabbia, perché la montagna non compie errori. Nessuno poteva immaginare o prevedere un evento di quelle dimensioni in Marmolada». Ha concordato Christian Casarotto, glaciologo del Muse: «Solo con un mirato monitoraggio, utile a raccogliere dati di dinamica e movimento della massa glaciale, può essere possibile descrivere l'evoluzione della situazione. E la storia del ghiacciaio della Marmolada, che non ha mai fatto registrare eventi di questo tipo, rendeva ingiustificabile mettere in piedi questa attività prima del 3 luglio 2022». Come già il governatore Luca Zaia dal fronte veneto, anche il presidente Maurizio Fugatti dal lato trentino ha escluso zone rosse: «Oggi la Provincia è impegnata nei monitoraggi con sistemi avanzati per indagare la presenza di acqua liquida nel ghiacciaio, ma la montagna deve continuare ad essere vissuta. Le precauzioni sono necessarie, ma allo stesso tempo le montagne non possono essere chiuse».
Angela Pederiva
Alto Adige | 4 luglio 2023
p. 21
Marmolada, un grande abbraccio nel ricordo delle undici vittime
leonardo pontalti CANAZEI
Erano in tanti. Ma non c'erano tutti. Alcuni, tra i familiari delle vittime travolte da una valanga un anno fa in Marmolada, non se la sono sentita. Troppo dura, troppo difficile tornare lassù. Dura anche per chi ha trovato la forza, di esserci, di salire a passo Fedaia, come il papà della trentaseienne bassanese Emanuela Piran, morta col fidanzato Gianmarco Gallina: «È una botta, come l'anno scorso».È stata una mattinata surreale quella delle celebrazioni per l'anniversario della tragedia della Marmolada, in cui sono morte undici persone. La cerimonia si è svolta nella piana sopra la diga del passo Fedaia, da dove partono i sentieri che risalgono la parete nord.Una mattinata intensa, dolorosa, ma scandita - prima ancora che dalla messa e dalla cerimonia con le autorità - dall'affetto, dai sorrisi, dal ritrovarsi dei parenti delle vittime, dei sopravvissuti, dei soccorritori. Uniti da giornate, quelle dell'anno scorso, che solo chi le ha vissute, può comprendere. Commovente l'abbraccio di Michele Zavatta, papà di Nicolò, 22 anni, la più giovane vittima, a Davide Carnielli, il trentino sopravvissuto, dopo che era stato trasferito in ospedale a Treviso senza che si capisse chi fosse, quel giovane senza nome. «Finalmente - gli ha detto - ti posso salutare. Mi ricordo l'anno scorso, quando ci facevano vedere foto e reperti tuoi, chiedendoci se potevano essere di Nicolò. Sono contento che fossi tu, che ti sia salvato». Al di là del momento religioso; al di là delle opportune riflessioni di politici e amministratori; il 3 luglio di quest'anno è stato un momento di grande umanità per persone che dodici mesi fa avevano vissuto giornate disumane e che stanno cercando giorno dopo giorno di andare avanti. Per questo qualcuno ha voluto esserci, qualcuno no. Tutti con la loro diversa capacità di gestire il dolore e i ricordi; sensibilità e sofferenze diverse, tutte da rispettare allo stesso modo. C'è chi ha vissuto l'anniversario con sollievo: «È un cerchio che si chiude - ha spiegato il padre di una delle vittimesiamo tornati qui per cercare di fare pace con l'accaduto, con questo luogo, con la mancanza dei nostri cari». E chi invece ha visto riaprirsi le ferite. Ha detto bene il parroco di Cavalese, don Albino Dell'Eva, che ha concelebrato la messa assieme a don Mario Bravin, parroco di Canazei, Campitello e Alba e a don Franco Torresani, che domenica mattina ha celebrato una messa in cima alla Marmolada: «Sarà più facile che si rimargini la ferita del ghiacciaio, rispetto a quella che ha lacerato per sempre il cuore di tante persone». «Siamo qui - ha aggiunto -per portare assieme il dolore di ciascuno». A ricordare la tragedia da ieri c'è una lapide, realizzata assieme a un piccolo memoriale e a una statua della Madonna dell'Aiuto, pochi metri sopra l'attacco del sentiero 606, che porta al Pian dei Fiacconi e al ghiacciaio. La targa («Nel solco di questa roccia tanto amata, nella stretta del candido ghiaccio avete lasciato la vita. A voi il nostro più caro ricordo e la nostra preghiera», le parole che riporta) è stata svelata dopo la messa alla presenza dei familiari delle vittime. Che hanno poi potuto sciogliersi nell'abbraccio con coloro che avevano condiviso le giornate più strazianti, in Marmolada prima e a Canazei poi: i soccorritori, le forze dell'ordine. Tanti i ricordi condividi con persone che fino a un anno fa erano vicendevolmente sconosciuti e sono stati uniti dall'impegno nei momenti più dolorosi: operatori del Soccorso alpino, della guardia di finanza, della polizia, dei carabinieri, personale medico e sanitario, psicologi. Tutti uniti da un rapporto che - nato nella tragedia - in alcuni casi è diventato amicizia. Al Fedaia ha voluto esserci anche il comandante dei Ris di Parma, il colonnello Giampietro Lago. È al lavoro dei suoi uomini che molti dei familiari devono il riconoscimento dei resti dei loro cari.
L’Adige | 4 luglio 2023
p. 10
Bernard: «Siamo in cordata con voi»
«È un anno, da quel 3 luglio di un anno fa, che voi familiari state percorrendo un percorso in salita, come una parete verticale».È stato commosso il pensiero rivolto dal sindaco di Canazei Giovanni Bernard ai familiari delle vittime, ieri mattina al Fedaia: « Siamo qui per commemorare, cari familiari: fare memoria assieme. Dal 3 luglio scorso il ricordo dei vostri cari è vivo e presente ogni giorno, al pari del vuoto che hanno lasciato, incolmabile. Noi oggi siamo qui, con una parola, un saluto, un abbraccio, per tendervi la mano e affrontare assieme questa salita, proprio come una cordata lungo la parete della Marmolada. Loro, Davide, Emanuela, Erika, Filippo, Gianmarco, Liliana, Martin, Nicolò, Paolo, Pavel, Tommaso, sono con voi e vi incitano ad andare avanti». Nel suo intervento, che ha aperto i saluti delle autorità dopo la messa, Bernard ha poi affrontato anche il tema dell'approccio delle comunità montane alla fruizione delle montagne: «Come autorità locali abbiamo il compito di gestire un territorio e un ambiente unico e fragile: come amministratori dobbiamo affrontare l'impegno e sostenere l'obbligo di preservarlo e farlo progredire, a favore delle prossime generazioni. Nonostante questo non sia un compito facile in un periodo di cambiamento sociale e ambientale, il dialogo, il confronto e la capacità di andare oltre i confini possono essere l'arma in più per vincere questa sfida», ha spiegato rivolgendosi evidentemente al Veneto e al sindaco di Rocca Pietore Andrea De Bernardin, presente ieri al Fedaia e dal quale sono arrivati segnali di distensione dopo gli scontri del passato soprattutto sulle misure restrittive relative alla Marmolada dopo il disastro. Il dirigente generale del Dipartimento della Protezione Civile Raffaele De Col ha confermato come al momento non vi siano - e non vi sia la previsione - di nuove chiusure in vista anche se la
sciagura di un anno fa ha profondamente segnato gli amministratori locali, con Bernard che anche nei mesi scorsi si era detto prudente sulla possibilità di una totale riapertura. Le sue parole sono del resto espressione di saggezza, frutto di chi sa che - nel contesto attuale - dover fare i conti con nuovi problemi legati all'ambiente è tutt'altro che un'ipotesi remota.Le. Po.
L’Adige | 4 luglio 2023
p. 10
«I soccorritori rischiarono la vita»
«In una giornata come questa non possiamo non tornare, ancora una volta, a ringraziare donne e uomini che un anno fa furono impegnati nei soccorsi». Il pensiero ai soccorritori - erano in tantissimi ieri al passo Fedaia di tutte le realtà coinvolte un anno fa, locali e nazionali - è stato rivolto ieri dal presidente della Provincia Maurizio Fugatti: «Nell'evento disastroso della Marmolada, allora, quando ancora non si conosceva la portata dei crolli, chi è intervenuto nelle prime ore ha rischiato davvero la vita. In quei momenti, tentare di salvare vite o purtroppo recuperare corpi, è stata un'attività riguardo alla quale nessuno conosceva i reali rischi. Già dal giorno dopo si valutarono protocolli e misure prudenziali a tutela degli operatori ma in quelle prime ore si andò: chi intervenne andò, rischiando del proprio. Come spesso accade, ma in maniera particolare, visto ciò che era appena accaduto». Fugatti ha rivolto un pensiero ai familiari delle vittime, di cui ha recitato i nomi, a ricordarli ancora una volta: «Siamo qui in un momento particolare, difficile. La vicinanza del Trentino a tutti voi familiari è costante, così come è costante la vicinanza a questi territori che hanno vissuto quei giorni con inquietudine e dolore per una tragedia umanamente devastante, che ci ha fatto capire come la libertà di vivere la montagna non vada mai scissa dalla responsabilità di fronte ai cambiamenti ambientali. Dobbiamo mescolare la voglia di libertà alla responsabilità e alla consapevolezza di scenari cambiati. Come istituzioni dobbiamo continuare a impegnarci perché la montagna possa continuare a essere libera». Per la Regione Veneto era presente l'assessore al territorio Cristiano Corazzari: ««La presenza della Regione Veneto è di vicinanza alle famiglie, di riconoscenza ai volontari, ma anche - afferma l'assessore Corazzari - di impegno per la salvaguardia, il rispetto di un ambiente così delicato. Vogliamo, infatti, che la montagna resti... una montagna da vivere». Le. Po.
L’Adige | 5 luglio 2023
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La Marmolada osservata speciale
leonardo pontalti
Dopo il ricordo delle vittime della tragedia della Marmolada del 3 luglio 2022, l'obiettivo è evitare che si ripeta un disastro del genere. Il clima cambia e deve cambiare il modo di vivere la montagna, puntando sulla prevenzione. Da venerdì i ricercatori dell'Università e il Servizio prevenzione rischi della Provincia inizieranno a monitorare lo stato di salute del ghiacciaio.a pagina10 Dopo averlo rivolto dolorosamente al passato, l'altro ieri nel ricordo delle undici vittime, ora lo sguardo va al futuro. Nessuno può dire se ci saranno o meno altri 3 luglio 2022. Ma quello che è accaduto in Marmolada deve rappresentare un monito: sì, può accadere. E si deve fare il possibile per far sì che non accada di nuovo. Lo hanno capito tutti, lo hanno ribadito ieri il sindaco di Canazei Giovanni Bernard e il presidente della Provincia Fugatti: quel che è accaduto è l'effetto dei cambiamenti climatici e deve cambiare il modo di vivere la montagna, con la consapevolezza di avere a che fare con un contesto più fragile, sofferente e complesso. Ma quindi? Fermare i cambiamenti climatici come con un freno d'emergenza su un treno, all'istante, non è possibile: non ci riusciremo noi, non ci riusciranno i nostri figli e probabilmente nemmeno i figli dei nostri figli. Ma tutti, noi, le generazioni attuali e le prossime, possono iniziare a tirare quella leva, per agevolare l'inversione di rotta. Nel frattempo, non resta che fare prevenzione. Per questo già dall'estate scorsa sono iniziati dei monitoraggi che continueranno, come spiega Mauro Gaddo, direttore dell'ufficio previsioni e pianificazione del Servizio prevenzione rischi della Provincia: «Venerdì (dopodomani, ndr) tempo permettendo effettueremo un sorvolo con l'elicottero assieme a ricercatori dell'Università di Trento, con un'apparecchiatura radar in grado non solo di dirci quale sia lo spessore del ghiaccio ma soprattutto di rilevare la presenza di acqua. Ciò che è stato possibile capire dopo un anno è che il distacco del seracco è stato causato da una mole di acqua anomala che ha fatto cedere parte della calotta. Per questo è importante capire quale sia l'andamento del fenomeno. La presenza di acqua in ghiacciaio è normale: c'è quella che scorre in superficie, quella che si infila nei crepacci. Il problema si pone quando l'acqua si accumula alla base del ghiaccio, favorendo un effetto scivolo tra la roccia e il ghiaccio stesso, un po' come accade nelle slavine primaverili, quando grandi moli di neve si staccano a causa dell'acqua che crea una patina tra ghiaccio e neve da un lato ed erba o comunque terreno dall'altro». I monitoraggi che erano iniziati lo scorso anno con la strumentazione portata in quota dal team di Nicola Casagli, professore di Geologia applicata all'Università di Firenze e al servizio della Protezione civile in caso di grandi disastri, erano stati interrotti in inverno, come spiega Gaddo: «Gli interferometri non funzionano in caso di presenza di neve e i radar doppler servivano per lanciare l'allarme a favore dei soccorritori. Ora si è aperta una fase nuova, in cui monitoriamo con altri strumenti e sperimentiamo: abbiamo già fatto sorvoli nei mesi scorsi con le Università di Pisa, Firenze, Padova, il Cnr. Ogni strumento
scientifico a disposizione, ogni metodo di analisi è ben accetto, anche perché noi parliamo di Marmolada che dopo quel che è accaduto è giustamente diventato un campo sperimentale, ma ci sono anche tutti gli altri ghiacciai da tenere d'occhio. E più si lavora, si analizza, si monitora, più sarà possibile avere a disposizione strumenti per affrontare questa fase nuova della convivenza tra uomo e ambiente». Attualmente c'è più neve rispetto allo scorso anno, lo spessore del ghiaccio della calotta si attesta tra i 26 e i 27 metri, la situazione non è così pesante come un anno fa. Ma dobbiamo capire bene quale sia la situazione complessiva, dato che non stiamo parlando di una superficie omogenea, ma si pareti rocciose irregolari su cui si trova il ghiaccio e potrebbero esserci punti in cui il livello è più consistente e altri in cui è più ridotto. I monitoraggi per la verifica della presenza di acqua in questo senso saranno preziosi».
L’Adige | 5 luglio 2023
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Corriere delle Alpi | 13 luglio 2023
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Un radar "spaziale" sulla Marmolada per testare i ghiacci
Supermonitorata la Marmolada, a un anno dalla tragedia con 11 morti. In questi giorni è stata testata un'apparecchiatura radar in grado di penetrare il ghiaccio e analizzare quello che accade sotto la superficie: uno strumento che potrebbe quindi rivelarsi utile per il monitoraggio del ghiacciaio e per verificare la presenza di acqua. Con le alte temperature di questi giorni (e lo zero termico che supera di mille metri l'altezza della Regina delle Dolomiti) non solo si sta sciogliendo l'ultima neve, ma c'è il rischio che l'ablazione intacchi anche il ghiaccio. Alla missione, che ha visto impegnato il Nucleo elicotteri della Provincia autonoma di Trento, ha partecipato personale del Servizio prevenzione rischi e Cue – Protezione civile provinciale – assieme a ricercatori dell'Università di Trento, in particolare il professor Lorenzo Bruzzone del dipartimento di Ingegneria e Scienza dell'informazione
responsabile del Remote sensing laboratory.
I dati acquisiti sono ora oggetto di analisi da parte dei ricercatori dell'Università; l'obiettivo è capire se uno strumento di questo tipo può servire per il monitoraggio del ghiacciaio, fornendo informazioni sul suo spessore e sulla presenza di acqua al suo interno. Lo studio è all'inizio e se il risultato fosse positivo il sistema potrebbe essere impiegato in futuro anche montato su un drone.
Il principio su cui i basa l'apparecchiatura utilizzata sorvolando la Marmolada, naturalmente con dimensioni e caratteristiche diverse, è lo stesso di Rime (Radar for icy moon exploration), il radar spaziale che è stato ideato e studiato da un team di scienziati internazionali sotto la guida di Bruzzone e che è in viaggio con la sonda Juice verso le lune di Giove, con arrivo previsto nel 2030, proprio per verificare cosa si cela sotto la superficie ghiacciata.
Intanto la stessa Provincia di Trento ha stanziato due milioni di euro per il ripristino della sicurezza sul versante nord della Marmolada. È quanto prevede uno dei capitoli della manovra di assestamento della Provincia, attualmente in discussione in prima commissione consiliare. A illustrare la manovra l'assessore provinciale allo sviluppo economico Achille Spinelli che, nel ricordare la tragedia, ha sottolineato l'importanza di «mettere in sicurezza la montagna e di predisporre interventi di monitoraggio della massa glaciale anche alla luce dei cambiamenti climatici».
Francesco Dal MasIl Nuovo Trentino | 7 luglio 2023
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Siccità, precipitazioni violente, bacini di accumulo: la Provincia lavora a «Trentino Clima 2021-2023». Pronto nel 2024
TRENTO
Il mutamento nella distribuzione delle precipitazioni, meno numerose e più intense; la progressiva riduzione delle risorse idriche da ghiaccio, neve e acqua al solo "oro blu"; l'aumento delle temperature e dell'evaporazione, che mette a dura prova le foreste e dell'agricoltura. Sono tanti i volti della crisi climatica in Trentino, anche nella gestione dell'acqua. Il tema sarà al centro dell'incontro «Il Trentino ha sete. Tavola rotonda sul piano idrico provinciale» del Sete Festival di Rovereto, domattina alle 10 (il programma qui a fianco).All'incontro parteciperà anche Lorenzo Giovannini, Professore associato del Dipartimento di Ingegneria Civile Ambientale e Meccanica dell'Università di Trento specializzato nell'elaborazione di modelli metereologici. Gli ambiti di applicazione sono numerosi, dalle previsioni meteo all'indagine di eventi come la tempesta Vaia, dagli studi di applicazione per le fonti energetiche rinnovabili all'agricoltura.In futuro possiamo aspettarci più eventi estremi in Trentino?Questa è una domanda frequente ma a cui è difficile rispondere: proprio perché si parla di eventi estremi, per loro natura sono rari, e costruire statistiche affidabili non è semplice. Le analisi delle proiezioni climatiche fanno presagire che la frequenza di tali eventi probabilmente sarà in aumento, non solo in Trentino ma in tutto il bacino mediterraneo. Questo sul piano statistico, mentre stabilire il collegamento tra il singolo evento e il cambiamento climatico resta complesso. Con un'atmosfera più calda c'è più energia a disposizione per questi fenomeni, inoltre più è alta la temperatura più aumenta il vapore acqueo trattenuto in atmosfera, fenomeno che porta a precipitazioni più intense. Detto questo, è difficile risalire alle cause precise dietro ogni evento.Negli anni come sono mutate le precipitazioni in Trentino?In Italia e in Europa la maggior parte delle precipitazioni sono sempre state causate da perturbazioni atlantiche, che avevano un loro tragitto più o meno stabile. Il cambiamneto climatico sta spostando l'andamento di queste perturbazioni a nord, e gli studi più recenti suggeriscono che l'arco alpino funga proprio da "spartiacque" tra la siccità mediterranea e le piogge a nord. Nell'incontro si parlerà anche della disponibilità d'acqua. A prima vista i dati non mostrano una variazione nella media delle precipitazioni in Trentino: il problema è la loro distribuzione, che cambia anche nella stagionalità. Nelle Alpi in particolare si registra un aumento delle precipitazioni in inverno e una diminuzione in estate. Questo sarà un problema per il piano idrico provinciale, perché l'estate è il periodo in cui necessitiamo di maggiori risorse, dall'acqua potabile all'uso agricolo. I ghiacciai sono una riserva idrica naturale, ma nel prossimo futuro c'è il rischio che non potremo più farci affidamento. Qui si apre il dibattito circa la possibilità di costruire nuovi invasi, ma dobbiamo tenere presente che non sono opere prive di impatto, sia paesaggistico che ecologico, perché si sbarra il decorso naturale di fiumi e torrenti. Purtroppo con la fusione dei ghiacciai viene a mancare una superficie capace di riflettere i raggi solari e il cambiamento si autoalimenta. La ricerca Eurac sugli ultimi 20 anni ha dimostrato che le zone più colpite sono quelle fino ai 1500 metri di quota.All'incontro partecipano i vertici di Coldiretti, albergatori e impiantisti: si parlerà quindi dell'uso dell'acqua in agricoltura e nella produzione di energia. Come si colloca il Trentino nell'uso dell'irrigazione a goccia e nell'adozione di fonti rinnovabili come eolico e solare?Da quanto mi risulta la maggior parte del territorio trentino è già passato dalle girandole alla goccia, si è già fatto molto ma si può fare di più. Recentemente abbiamo concluso anche un progetto di ricerca in cui abbiamo cercato di mettere in campo metolodogie per risparmiare il consumo idrico in agricoltura tramite una sensoristica per misurare l'umidità del terreno e ottimizzare la quantità di acqua utilizzata, anche in base alle precipitazioni previste. Sull'eolico, UniTn collabora con con Adsm, la società che gestisce le pale ad Affi. Il Trentino non è una regione con una grande disponibilità di risorse eoliche, le zone più ventose sono in alta quota dove diventa più difficile installare le pale, sia per una questione paesaggistica che di accessibilità. Per il solare invece c'è la possibilità di aumentare la produzione sia a livello domestico sia con
impianti più grossi. Quindi quale ruolo avranno? L'unico svantaggio è che sono intermittenti. A questo proposito sarà importante investire nella ricerca sulle tecnologie di accumulo e progettare un sistema in cui esse possano convivere con l'energia idroelettrica. I.P. Ilaria PucciniTRENTO. Era lo scorso dicembre quando Appa, l'Agenzia Provinciale Protezione Ambiente, pubblicava il rapporto «I cambiamenti climatici in Trentino. Osservazioni, scenari futuri e impatti», sull'emergenza climatica sul nostro territorio. Un documento preliminare, si specificava nel frontespizio, in attesa dell'elaborazione di un documento più aggiornato e approfondito sullo "Stato del Clima in Trentino". Stando alla tabella di marcia scandita dal più ampio piano «Trentino Clima 2021-2023», la pubblicazione del rapporto definitivo sullo Stato del Clima, strumento chiave per definire la successiva Strategia provinciale di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, era prevista entro fine 2022. La Strategia, dalla prima proposta alla versione definitiva, sarebbe dovuta invece uscire entro il 2023. Ma slitterà al 2024 .Scontiamo dunque alcuni mesi di ritardo, anche se il documento mette in chiaro che viviamo un'emergenza che richiede scelte decise visto il territorio che presenta maggiore vulnerabilità rispetto ad altre aree. Per ora, ciò che è certo è che il rapporto finale per fare il punto sul clima uscirà entro la fine dell'estate, afferma il coordinatore Roberto Barbiero dall'Agenzia, a cui abbiamo chiesto un aggiornamento sui lavori. Può anticiparci qualche nuovo risultato rispetto alle analisi del report di dicembre?In realtà nei suoi contenuti essenziali non ci saranno grandi novità. Alcuni dati saranno più precisi e aggiornati, in particolare quelli sugli scenari futuri. Daremo qualche informazione in più su salute, agricultura e turismo, settori in precedenza non tracciati in dettaglio. Una nuova parte sarà sul suolo e sul paesaggio, con gli impatti o i rischi di impatto portati dal cambiamento climatico nei prossimi anni. Per ora però è difficile dare un quadro di sintesi, perchè ci sono appena arrivati i capitoli dai vari gruppi di lavoro, dopodiché il Muse curerà la parte grafica e poi il documento dovrà essere sottoposto a un controllo finale. E le indicazioni su comportamenti e adattamento?Il report sarà un aggiornamento dello stato dell'arte. La stesura della Strategia sarà il passo successivo, solo allora sarà possibile ragionare su come agire. Sarà un lavoro più complesso che vedrà impegnati più dipartimenti. Quali saranno gli attori coinvolti?Gli stessi incaricati per i due report, preliminare e definitivo: Appa, l'Università di Trento con il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica,la Fondazione Bruno Kessler, la Fondazione Edmud Mach, il Museo delle Scienze e HitHub Innovazione Trentino.Quali tempi possiamo aspettarci per la Strategia?Mentre questo è un report tecnico-scientifico, la Strategia prima di uscire richiederà un percorso di dialogo con diversi portatori d'interesse. Non usciremo senza esserci confrontati con il mondo privato e con gli enti pubblici e senza un processo partecipativo aperto ai cittadini. Le precise modalità le dobbiamo ancora mettere nero su bianco, in ogni caso la Strategia avrà una bozza che prima di essere approvata sarà resa pubblica. I tempi però saranno lunghi, perché l'approvazione sarà un percorso politico e per compierlo bisognerà attendere la nuova Giunta provinciale. Dunque la Strategia di mitigazione e adattamento non uscirà prima dell'anno prossimo. Perché non lavorare indipendentemente dalle elezioni o dalla Giunta?Si è fatto in modo che un documento così importante come la Strategia possa essere validato dalla prossima Giunta, mentre il rapporto scientifico, che è un documento tecnico e non politico, sarà a disposizione di tutti già prima del voto.Dalla sua esperienza pregressa quali misure di mitigazione e adattamento reputa che potremo plausibilmente trovare nella Strategia?Sicuramente ci saranno delle indicazioni sulla riduzione dei gas serra, misura operativa già inclusa nel Peap, il Piano Energetico Ambientale. C'è poi il Piano di tutela delle acque approvato l'anno scorso, che nel suo allegato M include indicazioni di adattamento e di gestione della risorsa idrica. Sugli eventi estremi come siccità e alluvioni non c'è molta ricerca consolidata ma abbiamo un progetto di ricerca in corso assieme all'Eurac di Bolzano. Infine considereremo alcuni degli spunti giunti dalle "Raccomandazioni politiche e misure di adattamento ai cambiamenti climatici" frutto della Conferenza dei Giovani sul Clima in Trentino dello scorso maggio.Quanto saranno concrete le misure consigliate?Il più concrete possibile, posto che le analisi di applicabilità, il tipo di finanziamento e le opere progettuali saranno lasciate ai piani di settore. La strategia sarà uno strumento di supporto alle decisioni ma non decisionale. La costruzione del portafoglio delle misure sarà validata dai tecnici provinciali e poi come ogni strategia includerà un percorso di partecipazione da parte dei cittadini.
Alto Adige | 13 luglio 2023
p. 20
Agricoltura e foreste, sfide legate anche al clima
Bolzano
Soprattutto le condizioni meteorologiche stanno causando problemi agli agricoltori e ai silvicoltori: pressione della neve e vento, il bostrico nei boschi, siccità e tempeste con perdite di raccolto in agricoltura non sono purtroppo mancate, in Alto Adige. A ciò si aggiunge la questione anche emotiva dei grandi predatori. I dati dell'intero territorio sono contenuti nella Relazione agricola & forestale 2022, presentata ieri dall'assessore provinciale Arnold Schuler e dai responsabili delle singole Ripartizioni, che hanno messo in luce alcuni aspetti. «Nonostante le diverse difficoltà e sfide dovute alla struttura su piccola scala, alle altitudini e alla ripidezza dei terreni, vorrei sottolineare gli aspetti positivi: la migrazione delle aziende agricole in tutto l'arco alpino è problematica, mentre nella nostra provincia gli agricoltori e i contadini di montagna restano maggiormente nelle loro aziende a beneficio della popolazione, della tutela del paesaggio e anche del turismo». «Anche il valore aggiunto del settore dell'agriturismo è probabilmente incomparabile a livello mondiale», riassume Schuler. Per poter mantenere tutto questo, la Provincia spende molti fondi propri, ma ancora di più quelli dell'Ue e dello Stato, per sovvenzionare l'agricoltura (di montagna). Ad esempio, negli ultimi 10 anni sono stati erogati più di 300 milioni di euro per contributi al ripristino di strade di montagna e condutture dell'acqua potabile. Nell'assestamento di bilancio di quest'anno, che
sarà votato dal consiglio provinciale a luglio, altri 35 milioni di euro dovrebbero essere destinati all'agricoltura. «La foresta è stressata», ha riassunto Günther Unterthiner, direttore della Ripartizione provinciale Foreste. Quest'anno il volo dei coleotteri è più tardivo rispetto all'anno scorso, ma la valutazione delle trappole a feromoni mostra che molti coleotteri sono sopravvissuti all'inverno. «Alla fine del 2022 avevamo 6.000 ettari di superficie infestata e ci si aspetta un aumento nell'anno in corso», afferma Unterthiner. bolzano. Dai 36 gradi di martedì pomeriggio, nel giro di qualche ora - a Bolzano - la temperatura è scesa rapidamente di una decina di gradi. L'arrivo di una massa di aria fredda proveniente da nord ha cambiato improvvisamente il quadro meteorologico, portando un po' in tutta la provincia una serie di violenti temporali che - secondo le previsioni - proseguiranno per tutta la giornata di oggi. Di buono c'è che, dopo alcune giornate di afa, si è tornati a respirare e soprattutto a dormire la notte. Ma la perturbazione - seppur di breve durata - ha fatto non pochi danni. Due le zone più colpite: Val d'Isarco e Val Sarentina. Alla stazione di rilevamento di Bressanone, in un'ora, sono caduti 60 millimetri d'acqua: mai così tanta pioggia in così poco tempo. Poi sono arrivati i fulmini: ne sono stati contati 4.500. Per finire la grandine, grande come uova che hanno raggiunto i 9 centimetri di diametro. Le foto scattate dai vigili del fuoco volontari raccontano della carrozzeria di diverse auto distrutta; lunotti sfondati; e poi ancora tetti danneggiati e intere vetrate completamente da rifare. Eventi estremi «Non è colpa solo dei cambiamenti climatici - dice il meteorologo Dieter Peterlin -: certi eventi, anche nelle forme più estreme, ci sono sempre stati. Ma sicuramente contribuiscono non poco ad aumentarne frequenza, violenza, pericolosità. Dobbiamo mettere nel conto che, nello spazio di un attimo, si può passare da una situazione caratterizzata da sole e temperature elevate, ad una pioggia torrenziale. Per cui può capitare che - come è successo a Bressanone l'altra notte - in un'ora cadano 60 millimetri d'acqua come non era mai successo prima. Inoltre, a rendere eccezionale l'ultimo evento, è la dimensione dei chicchi di grandine: da 5-6 centimetri fino a 9». Fino a quando questi eventi si scatenano in valle, in genere si può trovare un riparo; la situazione diventa ad alto rischio, se si è impegnati in qualche escursione in montagna o peggio ancora su una ferrata. Di buono c'è che grazie a previsioni meteorologiche sempre più precise qualche precauzione si può prendere. Tanto che certe compagnie di assicurazione si sono preoccupate, martedì sera, di avvisare i clienti con un sms dell'arrivo di possibili grandinate capaci di provocare danni anche a frutteti e vigneti. Anche per questo in Alto Adige ci sono ormai ettari di campagna protetti da impianti anti-grandine: brutti, ma efficaci. Ancora temporaliLa giornata di oggi sarà all'insegna ancora della forte variabilità. «Tutto il territorio provinciale - spiega Peterlin - sarà interessato da nuovi temporali. La situazione tornerà alla normalità a partire da domani. Il fine settimana sarà di nuovo caratterizzato dal sole; le temperature torneranno a salire fino a 35-36 gradi a Bolzano. Martedì, nel capoluogo, si erano registrati 36 gradi di massima che è la temperatura più elevata di quest'estate 2023. Quattro gradi in meno di quella rilevata a Termeno l'11 agosto del 2003: il termometro allora aveva raggiunto i 40,1 gradi. Record storico». Anche l'inizio della nuova settimana dovrebbe essere all'insegna del bel tempo.
L’Alto Adige | 13 luglio 2023
p. 23
La siccità non è finita I bacini idroelettrici sono ai minimi storici
Bolzano
«La situazione ancora non è lì lì per precipitare, ma a livello locale le condizioni sono tali per cui ci sono criticità da tenere sott'occhio, in particolare per quanto riguarda il fiume Adige e l'approvvigionamento idrico, anche delle regioni a sud. Sono ancora le conseguenze che ci portiamo dietro dalla siccità dell'anno scorso». È il quadro fornito da Roberto Dinale, direttore dell'ufficio provinciale Idrologia, idrografia, dighe e glaciologia. Lo conferma Dieter Peterlin, del meteo provinciale: «Dopo circa due anni di siccità, con precipitazioni circa la metà della media, a maggio 2023 ha piovuto circa il doppio rispetto alla media, ma giugno e inizio luglio sono nuovamente sotto».Criticità dietro l'angolo«La situazione è abbastanza complessa e variegata», spiega oltre Dinale, il massimo esperto altoatesino in materia. «I problemi di disponibilità idrica che abbiamo sui bacini di testata si ripercuotono sull'Adige, dove tutti i nodi vengono al pettine. Siamo in una situazione che deve essere attenzionata in modo costante».Attualmente, c'è una criticità bassa, condivisa con Trentino e Veneto. Questa settimana si terrà una ulteriore riunione congiunta, tesa a valutare la situazione. «Siamo in leggero peggioramento. Adesso la disponibilità di acqua sta diminuendo, essendo andato a esaurirsi lo scioglimento nivale. In più, in concomitanza con la stagione turistica, specie sulle coste adriatiche, il fabbisogno che va progressivamente ad aumentare genera maggiori criticità».Pure in alta quota le risorse scarseggiano. «Il 2022 - ancora Dinale - è stato un anno record negativo per i ghiacciai. Il 2023 non si prospetta come un anno altrettanto negativo ma, vuoi per le scarse precipitazioni dell'inverno vuoi per le temperature medie più alte rispetto al passato, non ci aspettiamo un anno positivo. Sarà un anno "normalmente" negativo: la tendenza all'arretramento e alla riduzione dello spessore continuerà anche quest'anno». Lo status quoCominciamo dalle precipitazioni. «Il mese di giugno - così Dinale - è stato piuttosto siccitoso; le precipitazioni di inizio luglio hanno dato un po' di respiro soprattutto nella parte orientale della provincia. Altrove il forte deficit di precipitazione che ci trasciniamo dall'autunno 2021 non è ancora stato recuperato, con le criticità maggiori nel Burgraviato e nella bassa val Venosta». Passiamo alla portata dei corsi d'acqua: «Dopo un mese di maggio in forte recupero, a giugno e nella prima decade di luglio le conduzioni idriche hanno subito una flessione, in virtù del progressivo esaurimento dello scioglimento della neve. Il deficit di portata maggiore rispetto alla norma, dell'ordine del 35%, si continua a registrare sulla parte occidentale della provincia, mentre in Pusteria a giugno la portata media mensile della Rienza è risultata del 18,9% inferiore rispetto alla norma. A Bronzolo, stazione rappresentativa per tutto il bacino del fiume Adige altoatesino, il disavanzo è stato, nello
stesso mese, del 30,6%». Pur non trattandosi di record negativi «la tendenza di questo primo scorcio di luglio desta qualche preoccupazione, essendo dello stesso ordine di grandezza di quella di luglio 2022». Considerando il volume degli invasi idroelettrici, «continua la generale ripresa del volume d'acqua invasato nei grandi bacini idroelettrici, pur con una flessione della velocità di crescita negli ultimi 10 giorni. Continua peraltro a pesare il basso grado di riempimento del serbatoio di Resia dell'ordine del 36,7%, per cui il volume totale invasato in Alto Adige, pari al 55% circa di quello invasabile, rimane ai minimi storici». Se poi passiamo alle acque sotterranee, «la situazione non è omogenea». Se infatti nella città di Bolzano i livelli di falda sono tornati su valori normali, in altre parti del territorio, a cominciare dalla val Venosta, «continuano ad essere piuttosto depressi».Servono più invasi?In Alto Adige, chiarisce Dinale, «abbiamo un buon numero di serbatoi, con utilizzazioni distinte: uso idroelettrico, agricolo, ricreativo. Si tratta di compartimenti stagni». I serbatoi grandi, uguali o superiori ai 5000 metri cubi, ossia ai 5 milioni di litri, sono 120. «Un buon numero, in continuo aumento, anche in funzione dei sussidi economici erogati dalla Provincia. È prevista la realizzazione di nuovi bacini. La giunta attualmente sta studiando delle soluzioni per facilitare le pratiche amministrative per autorizzarne la realizzazione». Bacini di questo tipo sono utili in caso di siccità: «Fungono da polmoni, specie per l'agricoltura». Rispetto all'acqua potabile, invece, «non vediamo trend evidenti di una riduzione delle disponibilità, specie per i centri più grandi, che attingono alle falde sotterranee. Tuttavia, nei Comuni ci si sta attrezzando per avere il maggior numero di sorgenti disponibili che possano essere allacciate, che possano essere attivate o escluse dai sistemi di approvvigionamento. Nell'ultimo decennio ci sono stati anni più o meno abbondanti. L'importante, per via dei cambiamenti climatici, è la flessibilità, magari mettendo in rete più comuni, perché nel caso ci fosse carenza in un comune e maggiore disponibilità in un altro quest'ultimo potrebbe soccorrere il primo. Ci si sta attrezzando per questo». DA.PA
Corriere della Sera | 20 luglio 2023
p. 22
«Sono le Alpi le più colpite dalle variazioni climatiche»
P. Virt.
Mentre il Centrosud è ancora sotto l’effetto dell’afa, la fascia alpina è colpita da forti temporali: oggi allerta gialla dalla Lombardia al Friuli-Venezia Giulia. A che cosa è dovuta questa divisione?
«All’enorme contrasto di temperatura tra masse d’aria tropicale da Sud e quelle oceaniche da Ovest», dice Massimiliano Fazzini, docente di Rischio climatico all’Università di Camerino e responsabile del gruppo di lavoro Sigea sui cambiamenti climatici. «Le Alpi sono l’area di demarcazione. Si forma una forte instabilità: l’aria calda sale rapidamente di quota, crea nuvole cariche di umidità che portano piogge intense, temporali e raffiche di vento».
Martedì ci sono stati effetti simili alla tempesta Vaia. Arpa Veneto riporta una raffica a 188 km/h sulle Pale di San Martino e venti con potenza di uragano. Come si formano fenomeni così intensi?
«Si tratta di correnti violente discendenti chiamate downburst. Precipitano dalla cima dei cumulonembi da 13 km di altezza e alla base hanno velocità paragonabili alle trombe d’aria. L’episodio di martedì però è nato in contesti diversi da Vaia, anche se i risultati sono stati simili. Vaia era una depressione alimentata da un grande riscaldamento del mare che si è scontrata con aria fredda dal Nord Europa. Martedì c’è stato un fenomeno estremo del contrasto tra aria caldissima sahariana e aria più fresca dal Nord Atlantico».
L’alluvione di Moena del 2018, lo scorso anno il crollo del ghiacciaio della Marmolada e colate di fango in val di Fassa. Cosa succede sulle Dolomiti?
«Verso Est le Alpi hanno quote meno elevate: per l’aria atlantica è più facile superare lo spartiacque e scontrarsi con l’aria calda subtropicale. Nelle Alpi orientali i temporali sono più forti e il massimo dell’intensità si verifica in Carnia e in Friuli. Tutti i climatologi sono concordi però nel ritenere le Alpi tra le aree al mondo più colpite dai cambiamenti climatici».
Corriere della Sera | 20 luglio 2023
p. 22
Il paese dei miracolati sfiorati dai tetti volanti
CAMPOLONGO DI CADORE
Se serve un nome come per la tempesta Vaia chiamiamolo Goldrake, «lame rotanti», perché qui le case non hanno tegole ma tetti di lamiera e le loro lame hanno volato vorticando su poggioli, giardini, automobili in cerca di umani che, miracolosamente, non hanno trovato. Nessuno si è fatto un graffio. A Campolongo di Cadore, epicentro del tornado di martedì sera che ha solcato le Dolomiti, la sorpresa di trovarsi incolumi vale quanto lo spavento.
Gabriella Della Torre aveva appena parcheggiato il Minivan. Il peggiore dei parcheggi, a tre metri dal bosco. «Stavo tirando su la veranda quando s’è fatto buio pesto, ho visto le cime delle piante agitarsi poi è arrivato l’inferno. Nel terremoto del 1976 non ho avuto tanta paura». Dove c’era il Van di Gabriella non ci sono case, è stata la foresta a venirle addosso. «Ci siamo appiattiti sul pavimento
e per pochi lunghissimi minuti io e mio marito abbiamo avuto paura di morire». A pochi metri, ci sono una Fiat Punto e una Volkswagen Polo livellate dai tronchi. Il furgone della Bin (azienda acqua e servizi) se l’è cavata meglio, questione di centimetri.
Aldino Di Fabbro, presidente della Regola di Campolongo, fa il giro per il paese, stringe mani. «Quando si dice la beffa. Capita che i deboli e i malati sopravvivono dove i forti periscono. Li vede quegli abeti? Quelli là ancora in piedi, in mezzo al disastro? Sono gialli, quasi senza fogliame, malati di bostrico, un insetto del legname morto che comincia a mangiarsi i vivi. Ebbene, senza foglie, le piante moribonde hanno fatto meno resistenza al vento e sono rimaste in piedi». I vigili del fuoco, «angeli, mi raccomando, scriva così: dopo tre quarti d’ora erano già qua», smontano camini pericolanti, ispezionano case, annotano i danni e raccolgono lamentele: chi pagherà? È la domanda che ricorre. Le «lame rotanti» hanno ancora attaccati i ferri anti caduta-neve e si accumulano buttate là dove si può. Il giorno dopo, Campolongo sembra uno sfasciacarrozze.
Abbiamo eliminato gli abeti a maggio, altrimenti ci scappava il morto Inutile litigare su chi ha la colpa: bisogna pulire i boschi e tagliare gli alberi malati
Il padrone di una Suzuki impreca: «L’ho appena pagata 15 mila euro. Visto come è ora?». Meglio della Polo e della Punto in fondo al campeggio, è una fortuna che dove non c’è da piangere la vita di alcuno ci si possa lamentare dei danni. «La tempesta Vaia non era riuscita a fare tanto spiega il presidente della Regola in Val Visdende sì, in Val Frison anche, ma non qui». Igor Casanova, gestore del camping, scende da una gru, allegro, la faccia del filosofo che ha capito e tira la lezione. «Gli abeti che non sono riusciti a raggiungere il Van dei Della Torre, non ce l’hanno fatta semplicemente perché li abbiamo tolti a maggio. Erano minacciosi. Diversamente sarebbe andata molto male e qui ci scappava il morto. Inutile litigare su chi ha la colpa, se il cambiamento climatico o la sfortuna: bisogna arginare torrenti, pulire boschi e togliere alberi malati».
In tutta la val Comelico le falegnamerie sono piene dei tronchi caduti cinque anni fa. Vento, grandine, tetti che volano, l’estremo è arrivato a Campolongo. «E domani (oggi, ndr) può ripetersi. L’Arpav annuncia un’altra ondata». Ci vorranno 70 anni prima di rivedere abeti dell’altezza di quelli abbattuti. Il bosco che comunque ha avuto la peggio è quello di un privato di Milano, al pezzo vicino ci penserà la comunità. Una casa è rimasta completamente scoperchiata, altre sette a metà. Della prima il padrone probabilmente non ne sa ancora niente: era in ristrutturazione, il vento è entrato nelle finestre vuote, ha fatto da pompa provocando l’esplosione della copertura. «Me la sono vista volare sopra la testa con le ragazze del supermercato che correvano dietro i bidoni della spazzatura», dice Aldino Del Fabbro. «I pezzi sono volati anche sulla mia terrazza aggiunge Manuela De Lorenzo , hanno falciato i pali di ferro della recinzione, il vento bloccava le porte. Siamo vivi per miracolo».
Corriere delle Alpi | 21 luglio 2023
p. 13
Mercalli: «Non c'è niente di nuovo La Terra ci manda l'ultimo avviso»
Cristiano Cadoni / PADOVA
Temperature sempre più alte, periodi di siccità sempre più lunghi, piogge intense e grandine con chicchi che un tempo raggiungevano i 70 grammi e ora ne pesano 150. Sono i fenomeni estremi dei quali non ci si può più stupire. Luca Mercalli, meteorologo, climatologo e divulgatore scientifico, lo dice da anni e anche ieri - in collegamento video («Perché se posso evito di usare un mezzo», dice) lo ha ribadito in collegamento con la conferenza "Il nuovo clima", promossa dalla Provincia con il vice presidente Vincenzo Gottardo. «Non c'è niente di nuovo in quello che sta succedendo», esordisce Mercalli. «L'atmosfera si carica di energia che viene poi dissipata con questi eventi». C'è sempre un nuovo record per qualcosa: il caldo, la consistenza delle piogge, la forza del vento. Ma al di là delle statistiche, il segnale è chiaro: «L'umanità è in codice rosso. E abbiamo poco tempo per salvarci».
Fino all'altro ieri il tema era il caldo. Gottardo segnala a Mercalli il primo morto dell'estate, per colpo di calore, nel Padovano, un panettiere di Santa Giustina in Colle. Ma il meteorologo non si scompone: «Io credo che di morti per il caldo ce ne siano tanti di più di quelli registrati», dice. «In Europa nel 2022 sono stati 61 mila, in Italia circa 20 mila. Nel 2003, primo anno tropicale dalle nostre parti, erano stati ugualmente 20 mila. C'è qualcuno che continua a definire una bufala i cambiamenti climatici, ma sono trent'anni che tutti gli studi indicano con chiarezza il fenomeno. La Co2 non è mai stata così elevata da 800 mila anni a oggi, è una bomba che dobbiamo disinnescare o esploderà e dopo non ci sarà più niente. Il 2022 è stato l'anno più caldo, questo forse sarà uno dei primi cinque. Cos'altro serve per convincerci? Vogliamo davvero affidarci ancora ai racconti dei nonni che ci dicono quanto erano calde le loro estati o freddi i loro inverni?».
Mercalli cita in rapida sequenza, accompagnando le parole con immagini, tutti i segnali d'allarme: «Nei nostri mari ci sono i pesci tropicali - il pesce istrice, il pesce coniglio, tossici e velenosi - perché la temperatura è salita di 5 gradi; il caldo aumenta e produce un'evaporazione più rapida che è carburante per i temporali estremi; il Po è ai minimi storici; i ghiacciai si riducono, dunque abbiamo un capitale d'acqua sempre più piccolo; se non faremo niente, lo dicono tutti gli indicatori, a fine secolo avremo temperature più alte di 4-5 gradi con conseguenze estreme. Il livello dei mari si alzerà fino a un metro. Riuscite a immaginare che fine farà Venezia?».
L'accordo di Parigi sul clima, che punta a contenere entro i due gradi l'aumento delle temperature, è la bussola per l'umanità. «Ma non lo stiamo rispettando», ammonisce Mercalli. «E siamo al bivio, al momento delle scelte: quello che facciamo oggi segna il futuro. Perfino il World Economic Forum, cioè il gotha della finanza, non qualche ambientalista capriccioso, ha indicato nei cambiamenti
climatici, negli eventi meteo estremi e nella perdita di biodiversità i tre grandi rischi da scongiurare. È proprio una questione di sopravvivenza, se facciamo passare altri dieci anni senza fare niente siamo spacciati».
COSA FARE
La strategia è scritta da un pezzo, tutti dovrebbero conoscerla. Mercalli concede un rapido ripasso: «Bisogna puntare sulle energie rinnovabili e risolvere il problema dello stoccaggio. Favorire la mobilità elettrica, purché i mezzi siano alimentati con energie rinnovabili. Ridurre i viaggi aerei, che inquinano tantissimo, ma anche gli spostamenti inutili nelle città, incentivando il telelavoro. Dobbiamo tagliare, se non proprio eliminare, il consumo di carni rosse: gli allevamenti sono responsabili del 15 per cento delle emissioni. Ed è sempre più urgente fermare la cementificazione, voi in Veneto siete ai primi posti insieme alla Lombardia». Poi, sapendo che effetto fanno queste "prescrizioni", Mercalli si affretta a respingere eventuali osservazioni: «Certo, l'economia può soffrirne. Ma l'economia viene dopo. Oggi dobbiamo salvare l'ambiente, cioè la vita. Altrimenti dopo non ci sarà più economia. Tiriamo fuori la scienza dai cassetti e curiamo il pianeta. Oppure sarà un suicidio collettivo».
Corriere delle Alpi | 1 luglio 2023
p. 23
Gazzettino | 1 luglio 2023
p. 35, edizione Belluno
CORTINA D'AMPEZZO
I Giochi olimpici e paralimpici invernali Milano Cortina si avvicinano, ma i cantieri per realizzare le infrastrutture previste tardano ad aprire. Alla fine si farà tutto in fretta, con ricadute pesanti sui lavoratori. E' il timore espresso dal sindacato Uil, tramite Sonia Bridda, coordinatrice per Belluno: «Vorremmo sensibilizzare e coinvolgere le istituzioni provinciali e regionali, per conoscere l'effettivo stato dei lavori. Pensiamo alle varianti stradali di Cortina, San Vito e Longarone, opere di importanza strategica in un'ottica di miglioramento della competitività. Opere che serviranno anche ad arginare lo spopolamento e a favorire la nascita di nuove imprese. Vorremo conoscere il parere delle istituzioni rispetto a una lista di sette opere, tra le quali il proseguimento a Nord, del quale valutiamo
positivamente le ultime dichiarazioni fatte dal governatore della Regione, frutto di un lavoro fatto nel tavolo delle infrastrutture di Belluno e condiviso da tutti i portatori di interesse». Il sindacato ritiene che ci sia una situazione di stallo, con mancanza di sviluppi concreti rispetto ai cantieri del territorio, come si verifica fra Cadore e Cortina. Federico Cuzzolin, segretario generale Uiltrasporti BellunoTreviso, aggiunge: «Non siamo sereni, nonostante le rassicurazioni che abbiamo sentito, al termine dell'ultima cabina di regia a Venezia. Ci pare che fino ad ora, di concreto, sia stato fatto veramente poco e ogni giorno che passa è un giorno in meno di lavoro. Più di qualcuno ha dichiarato che le varianti stradali bellunesi non saranno pronte per il 2026 e questo, oltre a determinare una perdita di immagine, non ci tranquillizza rispetto a cosa succederà alle opere che resteranno incompiute, o a quelle che, per scelta, non saranno mai realizzate». (mdib)© riproduzione riservata
Corriere delle Alpi | 12 luglio 2023
p. 19
«Antelao, il ghiacciaio non è scomparso»
BELLUNO
Giuseppe Perini, operatore del Comitato Glaciologico Italiano, responsabile del controllo dei ghiacciai delle Dolomiti Orientali, interviene in seguito a un nostro articolo che ha raccontato il convegno "Risorsa Acqua, dalle Dolomiti al mare. Sinergie per l'adattamento" svoltosi nel Rifugio Galassi il 29-30 giugno e 1 luglio, al quale ha partecipato come relatore e accompagnatore. La finalità del convegno era quella di valutare la situazione idrogeologica nel territorio delle Alpi Orientali, compresa la zona della laguna di Venezia.
Perini segnala che «la foto utilizzata non fotografa la realtà odierna perché la stessa risale ad anni scorsi e non mostra la fronte reale del ghiacciaio superiore dell'Antelao «. E aggiunge: » Il ghiacciaio dell'Antelao non è scomparso, come appare in caratteri grandi sul titolo. È vero che i due ghiacciai dell'Antelao (il Superiore e l'Inferiore) si stanno ritirando, ma non sono affatto scomparsi».
Gazzettino | 12 luglio 2023
p. 33, edizione Belluno
Docenti, guide, studenti a lezione di geografia "sul campo"
VAL DI ZOLDO/AGORDINO
Da Belluno, dove si era svolta una prima giornata di studi, alle montagne agordine sino a quelle della Val di Zoldo. Questi gli ambiti ed i luoghi dove da venerdì 7 a domenica 9 luglio si è sviluppata l'ultima edizione del corso interdisciplinare di geografia organizzato ancora una volta dalla Fondazione Dolomiti Unesco e dalla Fondazione Giovanni Angelini. Un corso a cui in tanti non vogliono rinunciare e che anche quest'anno è stato molto richiesto ben 43 le presenze e si è sviluppato ampiamente sul territorio, come testimoniano i ventitré chilometri percorsi nelle due giornate dedicate a inerpicarsi lungo i sentieri delle Dolomiti bellunesi, in particolare fra le montagne della Civetta e della Moiazza.
L'OBIETTIVO
Un corso da sempre pensato come itinerante, volto ad imparare un metodo di osservazione del paesaggio e del territorio completo e dedicato a docenti, accompagnatori e formatori del Cai, accompagnatori di media montagna, guide e tecnici degli Enti locali e, novità di quest'anno, agli studenti di laurea magistrale o di dottorato dell'Università di Padova. Questi ultimi provenienti da diversi percorsi di studio che hanno accolto con entusiasmo la nuova proposta formativa che sarà ripresentata per il 2024. Dopo una prima giornata di studi in sala Bianchi del comune capoluogo, nella seconda giornata i partecipanti hanno raggiunto il rifugio Vazzoler da Capanna Trieste, in territorio comunale di Taibon, attraverso un percorso panoramico di nove chilometri con molte tappe dedicate; a conclusione della giornata, la notte è stata trascorsa in rifugio. Il giorno seguente il gruppo ha attraversato la Val Civetta per poi discendere a casera Pióda (Val di Zoldo). Un'occasione unica per conoscere gli aspetti geologici, geomorfologici, antropici e paesaggistici del gruppo Civetta - Moiazza parte inserita nel sistema numero 3 delle Dolomiti patrimonio mondiale Unesco e guardare alla relazione tra natura e cultura in modo differente. I partecipanti sono infatti stati portati a riflettere sui modi, spesso antropocentrici, con cui si è soliti confrontarsi con i temi dell'uso e dell'abuso delle risorse, della tutela, della definizione del patrimonio, della salute.
L'INTERVENTO
Durante il trekking è infatti intervenuto anche Andrea Ermolao, esperto di medicina dello sport e membro del Consiglio scientifico della Fondazione Angelini, presentando gli studi scientifici relativi al benessere e alla salute in montagna. Il corso ha la collaborazione del Comune di Agordo, della sezione di Agordo del Cai e di quella di Conegliano e del contributo di Cortina Banca.
L’Adige | 23 luglio 2023
p. 16
La Sat invita a salire in quota mettendo nello zaino soprattutto tanta prudenza
Il tempo in questi giorni è fortemente instabile. Si creano temporali in poco tempo, soprattutto in montagna, anche violenti con forte vento, grandine e situazioni imprevedibili di difficile gestione. Tanto più se poi per soccorrere persone in difficoltà deve mettersi in moto la macchina dei soccorsi. E così la Sat, la Società alpinistica tridentina lancia una sorta di appello alla prudenza. Prudenza in montagna, questo chiede la Sat in queste giornate di tempo instabile e forte maltempo e invita i frequentatori della montagna all'attenzione, alla prudenza e a mettere nello zaino le regole necessarie raccomandate dal Tavolo della Prudenza in Montagna. Tra queste, andare in montagna con l'attrezzatura necessaria e corretta, con l'abbigliamento corretto e non vestiti come se si dovesse andare al ballo scolastico. Magari mettendo anche nello zaino dei viveri di sopravvivenza dovesse succedere di restare isolati durante l'arrivo di un temporale che gonfia improvvisamente i ruscelli. Il Tavolo della prudenza è coordinato dalla stessa Sat, da Dolomiti Unesco, dall' Associazione gestori Rifugi del Trentino, dal Soccorso Alpino (su cui ricadono la quasi totalità degli interventi in aiuto alle persone) e il gruppo Speleologico del Trentino, le Guide Alpine del Trentino e Trentino Marketing. La Sat ricorda anche che tutti i rifugi Sat sono aperti. Sono stati affrontati e risolti nel giro di alcune ore i disagi sofferti dai rifugi Roda di Vael e Baita Pederiva, in Val di Fassa, creati dal maltempo nella giornata di venerdì. «I rifugi - ha detto Anna Facchini, presidente della Sat - oltre a essere parte di una offerta turistica, assolvono compiti di sicurezza collettiva in montagna. Il loro servizio non può essere interrotto e solo in caso di necessità possono subire parziali limitazioni di accesso. Trovare riparo dalle intemperie o ristoro nei momenti di difficoltà sarà sempre un servizio garantito dai rifugi». Insomma, una certezza che dà tranquillità ai frequentatori della montagna, ma è ovviamente meglio premunirsi.
Il Nuovo Trentino | 27 luglio 2023
p. 10
Dolomiti: in cima in elicottero, «Influencer irresponsabile»
DOLOMITI
L'associazione Mountain Wilderness si ribella al via vai di turisti che praticano sport estremi nel cuore delle Dolomiti. Questa volta nell'occhio del ciclone è finita l'influencer Giulia Calcaterra, che si è lanciata da Torre Trieste, nel Gruppo del Civetta sulle Dolomiti bellunesi, per ben 4 volte con la tuta alare, dopo essere stata portata in quota dall'elicottero.«Non passa giorno che le Dolomiti non subiscano un nuovo sfregio. - si legge nella nota di Mountain Wilderness - Il 24 luglio Giulia Calcaterra ha utilizzato un elicottero della Elicampiglio/Heliunion per farsi portare, in compagnia di quattro amici, in cima alla Torre Trieste nel Gruppo del Civetta per lanciarsi con il paracadute. Quattro rotazioni per quattro salti, tutti in successione. Le Dolomiti sono state riconosciute come Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO, e la Torre Trieste, con le sue vie alpinistiche storiche rappresenta un luogo di grande valore. Ribadiamo, se mai ce ne fosse bisogno, che l'uso a scopo turistico dell'elicottero in montagna ha un forte impatto ambientale in termini di inquinamento acustico e conseguente disturbo della fauna selvatica. Inoltre contribuisce in modo importante all' inquinamento atmosferico. Evidentemente per Calcaterra sono tutti dettagli trascurabili. Non ci stupiamo, basta un'occhiata al suo profilo Instagram (1 milione di follower) per farsi un'idea dello stile e dell'approccio che contraddistingue le sue "avventure". Ci stupiamo invece che le siano stati concessi i permessi. Si tratta di un'area protetta, un SIC di rilevanza europea, e come tale va rispettato e non trasformato in un teatro per esibizioni e spettacoli personali. Inoltre ci chiediamo se l'autorità aeroportuale competente sia stata informata, poiché l'uso di un elicottero in una zona così delicata richiede il rispetto di precise normative e regolamenti. Il piano di volo va comunicato, vanno rispettati orari e piazzole di decollo e atterraggio. La compagnia di elicotteri aveva tutti i permessi? Dal punto di vista culturale siamo alle solite:le Dolomiti vanno rispettate. Non possiamo permettere che la nostra eredità culturale venga svilita da comportamenti superficiali. Il lancio con il paracadute (nessun problema se la cima fosse stata raggiunta con mezzi leali) potrebbe essere percepito come un'azione eroica, ma la realtà è ben diversa. Ogni azione irresponsabile ha conseguenze che possono danneggiare l'ambiente e la cultura del luogo creando un precedente che veicola un messaggio devastante: metto mano al portafoglio e posso salire su tutte
le cime. È nostro dovere proteggere le Dolomiti e i loro valori unici. Solo attraverso la tutela della natura potremo garantire che le generazioni future possano apprezzare la bellezza della natura, senza comprometterne l'integrità.
Alto Adige | 27 luglio 2023
p. 30
«Più attenzione e rispetto per lo spazio alpino»
Dolomiti
Le Associazioni alpinistiche e ambientaliste chiedono "maggiore rispetto per lo spazio alpino" e lo fanno annunciando con lo slogan "Silenzio anziché frastuono" un incontro - conferenza stampa giovedì 3 agosto, alle 10.30 a passo Sella, presso la stazione a valle della cabinovia Forcella Sassolungo."La protezione delle Alpi - spiegano i membri dei gruppi riuniti nell'iniziativa - è una delle principali preoccupazioni delle organizzazioni alpinistiche e ambientalistiche. Molte persone vivono e lavorano nelle aree montane delle Alpi, che sono sia fonte di sostentamento che habitat. Allo stesso tempo, le Alpi ospitano una diversità unica di flora e fauna e offrono un paesaggio unico.Uno sviluppo incontrollato e senza limiti minaccia lo spazio alpino, ogni nuova invasione ne diminuisce il valore. A causa dei danni già provocati e degli attuali sviluppi errati, le associazioni alpinistiche e le associazioni naturalistiche e ambientaliste chiedono un ripensamento radicale e, soprattutto, un maggiore rispetto per lo spazio alpino".Parteciperanno all'incontggro a passo Sella e prenderanno posizione Georg Simeoni, presidente Avs, Antonio Montani, presidente del Cai nazionale, Roland Stierle, presidente Dav (Deutscher Alpenverein), Elisabeth Ladinser, vice presidente della Federazione Ambientalisti Alto Adige, Claudia Plaikner, presidente dell'Heimatpflegeverband, Heidi Stuffer, presidente dell'associazione Nosc Cunfin.E saranno presenti anche rappresentanti e membri di Österreichischer Alpenverein (Öav), Cai Alto Adige, Socieà Alpinisti Tridentini (Sat), Associazione guide alpine dell'Alto Adige e del Trentino, Mountain Wilderness, Cipra Deutschland e Verein zum Schutz der Bergwelt.Di recente, l'area del passo Sella, in particolare la Città dei Sassi, è stata al centro dell'attenzione per la protesta degli ambientalisti che lamentato lavori di "allargamento del sentiero per far passare in inverno i gatti delle nevi al servizio delle piste di sci vicine".Quanto al gruppo del Sassolungo e alla zona dei Plan de Cunfin, poi, da tempo Verdi e associazioni ambientaliste rinnovano la richiesta di una forma di protezione e salvaguardia ambientale attraverso l'istituzione di un'area protetta o l'inserimento in un'area protetta.E, inoltre, la scelta della sede dell'incontro del 3 agosto alla stazione a valle della cabinovia Forcella Sassolungo richiama il dibattito proprio sul futuro dell'impianto, con il direttivo provinciale del Cai e Heimatpflegeverband Südtirol, Federazione Ambientalisti Alto Adige, Mountain Wilderness Italia e Alpenverein Südtirol che si sono espressi contro il potenziamento dell'infrastruttura.
Alto Adige | 27 luglio 2023
p. 30
Su e giù con elicottero e social dalla torre Trieste del Civetta «Influencer? Meglio i creator»
IL CASO
Influencer o creator per promuovere la montagna bellunese? «Decisamente i creator» suggerisce Elisa Calcamuggi, direttrice marketing della Dmo Dolomiti. «Abbiamo, infatti tre fotografi e videomaker, con il compito di far conoscere ed apprezzare luoghi alternativi a quelli dell'overtourism. E sulla medesima linea si muovono anche i Consorzi turisti della Valle del Biois e della Val Zoldo», precisa. Gli influencer, invece? «Il 24 luglio l'ex velina ed influencer Giulia Calcaterra, un milione di followers, ha utilizza un elicottero della Elicampiglio/Heliunion per farsi portare, in compagnia di quattro amici, in cima alla Torre Trieste nel Gruppo del Civetta per lanciarsi con il paracadute. Quattro rotazioni per quattro salti, tutti in successione», esemplifica, preoccupato, Luigi Casanova, portavoce storico del Movimento Mountain Wilderness. «Quanti, adesso, noleggeranno un elicottero per farsi lo stesso giro o voli analoghi? », si chiede l'ambientalista.
Le Dolomiti sono state riconosciute come Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco, e la Torre Trieste, con le sue vie alpinistiche storiche (tra le altre una via Cassin-Ratti e una Carlesso-Sandri) rappresenta un luogo di grande valore storico, culturale e naturalistico. Probabilmente il volo era autorizzato. D'altra parte in Veneto non esiste una regolamentazione dell'eliski come ce l'hanno le province di Trento e di Bolzano. L'ambientalismo l'ha richiesta ancora nel 2017, per uniformare la pratica del volo sui cieli delle Dolomiti Unesco. Venezia ha sempre detto di sì, ma le due province autonome sono rimaste da sole.
«Ribadiamo, se mai ce ne fosse bisogno, che l'uso a scopo turistico dell'elicottero in montagna ha un forte impatto ambientale in termini di inquinamento acustico e conseguente disturbo della fauna selvatica: gli elicotteri sono fonti di rumore molto elevato e il loro frequente sorvolo può disturbare la fauna selvatica locale, spaventare gli animali e influenzare i loro schemi di comportamento. Questo può avere conseguenze negative sulle popolazioni di animali sensibili al disturbo e sull'ecosistema circostante» osserva Casanova.
REGOLE SEVERE
La direttrice Calcamuggi ricorda che Dmo e Fondazione Dolomiti Unesco stanno collaborando proficuamente, «insieme anche ai Consorzi turistici», per la sostenibilità di ogni possibile attività sulle terre alte.
«Non diciamo che l'eliturismo va proibito, ma sicuramente va severamente regolamentato. Come peraltro va attenzionata – aggiunge la responsabile del marketing Dmo – la vivacità a volte eccessiva degli influencer o di coloro che vengono ingaggiati per promuovere il territorio. Riteniamo anche noi che non si possa trasformare le Dolomiti in un banale parco giochi». «Non possiamo permettere che la nostra eredità culturale venga svilita da comportamenti superficiali» aggiunge al riguardo Casanova.
CAMPAGNA CREATOR
Il consigliere provinciale delegato al turismo, Danilo De Toni, ricorda che la campagna dei creator Dmo è stata preparata attraverso una approfondita analisi con i maggiori esperti del settore e punta alla riscoperta di luoghi ed itinerari poco frequentati, ma suggestivi quanto i più conosciuti. Il tutto, ovviamente, nel rispetto puntuale del patrimonio, anche dal punto di vista simbolico. «Ci stupiamo invece che siano stati concessi i permessi di volare fino in vetta alla torre Trieste e temiamo – puntualizza Casanova – che non sarà la prima e l'ultima volta, Si tratta di una vasta area protetta, di enorme valore naturalistico e paesaggistico, un Sic di rilevanza europea, e come tale va rispettato e gestito e non trasformato in un teatro per esibizioni e spettacoli personali. Inoltre ci chiediamo se l'autorità aeroportuale competente sia stata opportunamente informata, poiché l'uso di un elicottero in una zona così delicata richiede il rispetto di precise normative e regolamenti. Il piano di volo va tassativamente comunicato, vanno rispettati orari e piazzole di decollo e atterraggio».
Francesco Dal Mas
Gazzettino | 27 luglio 2023
p. 2, segue dalla prima
L'influencer scuote le Dolomiti
Farsi portare con l'elicottero su Torre Trieste, cima del Gruppo della Civetta a 2500 metri, per poi lanciarsi con il paracadute e riprendere tutto in un video da pubblicare sui social? Fatto. Ma questa volta l'ennesima impresa di Giulia Calcaterra, influencer da un milione di follower su Instagram che si definisce «malata di adrenalina», ex velina di Striscia la Notizia ed ex naufraga dell'Isola dei Famosi, non ha mancato di suscitare polemiche. E anche decine di commenti negativi sotto il "reel", ovvero il video dell'impresa: «Ma ti rendi conto di cosa stai sponsorizzando?», chiedono alcuni utenti. Ma c'è pure chi plaude all'uscita. Il caso è stato sollevato ieri con una nota di Mountain Wilderness Italia, associazione ambientalista nata per difendere le montagne che ricostruisce l'accaduto.
LA "DENUNCIA"
«Non passa giorno che le Dolomiti non subiscano un nuovo sfregio», premette l'associazione, che spiega: «Questi i fatti, tutti documentati sul profilo Instagram della ex velina. Il 24 luglio Calcaterra utilizza un elicottero della Elicampiglio/Heliunion per farsi portare, in compagnia di quattro amici, in cima alla Torre Trieste nel Gruppo del Civetta per lanciarsi con il paracadute. Quattro rotazioni per quattro salti, tutti in successione». «Le Dolomiti - prosegue Mountain Wilderness - sono state riconosciute come Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco, e la Torre Trieste, con le sue vie alpinistiche storiche (tra le altre una via Cassin-Ratti e una Carlesso-Sandri) rappresenta un luogo di grande valore storico, culturale e naturalistico. Ribadiamo, se mai ce ne fosse bisogno, che l'uso a scopo turistico dell'elicottero in montagna ha un forte impatto ambientale in termini di inquinamento acustico e conseguente disturbo della fauna selvatica. Inoltre l'elicottero contribuisce in modo importante all'inquinamento atmosferico. Evidentemente per la nostra Calcaterra sono tutti dettagli trascurabili».
I DUBBI
L'associazione prosegue sollevando qualche dubbio sulla regolarità dell'operazione: «La compagnia di elicotteri aveva tutti i permessi?». «Ci stupiamo che le siano stati concessi i permessi - dicono . Si tratta di una vasta area protetta, di enorme valore naturalistico e paesaggistico, un sito di interesse comunitario di rilevanza europea, e come tale va rispettato e gestito e non trasformato in un teatro per esibizioni e spettacoli personali. Inoltre ci chiediamo se l'autorità aeroportuale competente sia stata opportunamente informata, poiché l'uso di un elicottero in una zona così delicata richiede il rispetto di precise normative e regolamenti. Il piano di volo va tassativamente comunicato, vanno rispettati orari e piazzole di decollo e atterraggio».
IL MISTERO DEI PERMESSI
E proprio la questione permessi sembra un vero mistero. L'atterraggio di un elicottero in un territorio comunale o comunque sbarcare persone con mezzi in movimento su un territorio va comunicato al Comune di competenza. In questo caso Taibon Agordino, che però tramite il proprio tecnico comunale ieri reperibile spiega di non aver ricevuto alcuna comunicazione di questo tipo per il giorno 24 luglio. Anzi è da un anno che non ne riceve. «La normativa prevede che per voli che non siano di soccorso in caso di atterraggio venga comunicato a comune e carabinieri. Per il passato è accaduto diverse volte, ma in questo caso a noi nessuno ha chiesto nulla», risponde il tecnico comunale. E qui si apre anche un ulteriore capitolo: il tecnico cita la nuova normativa che prevede che per sbarcare persone è necessario avere un operatore a terra in presenza che fa da assistenza quando avviene lo sbarco. Da Elicampiglio, ditta trentina di tour in elicottero, affermano: «Non siamo degli sprovveduti, la nostra azienda opera dal 1993 e siamo dei professionisti. La comunicazione è stata inviata e abbiamo fatto trasporto passeggeri da sotto a sopra».
LA LEGGE
Ma proprio parlando con Elicampiglio emerge che questo tipo di missioni sono vietate in territorio trentino, in Veneto invece no. «C'è una legge provinciale - spiegano - che vieta trasporto passeggeri sopra i 1600 metri in Trentino, perché vogliono tutelare le montagne». Si parla di una normativa di tanti anni fa. Ed è per questo che vengono qui. «Se la legge lo permette noi lo facciamo, nel rispetto delle
regole», concludono. Impossibile infine prendere contatti con l'influencer Calcaterra per avere la sua versione: non ha risposto alle mail e ai messaggi diretti inviati ai suoi social.
Olivia BonettiGazzettino | 27 luglio 2023
p. 2, segue dalla prima, edizione Belluno
«Moltiplicazione di attività ludiche in quota di pari passo con l'aumento dei soccorsi»
È il sociologo bellunese Diego Cason che nell'ultima rivista nazionale del Soccorso alpino ha analizzato «la moltiplicazione delle attività ludiche che trovano nel territorio montano il luogo per il loro esercizio». «Prima del 1985 - spiega - le mountain bike e il down hill non esistevano (oggi determinano 1.078 interventi), il volo libero con deltaplano esiste dal 1971, quello con parapendio dal 1985, lo snow board è giunto in Italia nel 1987, il torrentismo e il canyoning si praticano dal 1986, le zip line si affermarono dopo il 1990, il fun bob è apparso sulle nostre montagne dopo il 2005».
CRESCONO I SOCCORSI
«L'ambiente montano - riflette il sociologo - è sempre più considerato un parco dei divertimenti per la popolazione urbana che ha bisogno di novità in ogni stagione. Come per ogni altra merce desiderano sempre qualcosa di più da godere senza fatica e in tutta (presunta) sicurezza. La crescita delle attività moltiplica le occasioni di infortunio e incidente e quindi espande i potenziali utilizzatori del soccorso. Se associamo queste informazioni con il dato della crescita delle presenze turistiche in montagna, che dal 1996 al 2019 sono cresciute da 59 a 71 milioni (delle quali 23,5 milioni in Süd Tirol e 32,8 milioni in Trentino), la domanda sul perché il numero di interventi è cresciuto ha la sua risposta».
I PERICOLI
Cason prosegue nella sua analisi: «La cosa più grave di questa artificializzazione e mercificazione delle attività in montagna, che riguarda anche l'alpinismo e lo sci alpinismo, è che induce ad una sciocca fiducia nella tecnologia, mentre l'unica sicurezza realmente ottenibile dipende dalla consapevolezza dei propri limiti e delle proprie capacità e dalla conoscenza reale dei rischi inerenti ad ognuna delle attività ricreative o sportive praticate. Ma questa consapevolezza non esiste più, perché la maggior parte delle persone non conoscono l'ambiente montano e lo percepiscono come domestico o addomesticato, mentre la gran parte di questi territori non lo è. Specialmente in età contemporanea, nella quale la maggior parte dei residenti che se ne prendevano cura non ci sono più e i loro eredi si sono trasferiti a fondovalle o in città».
LA SICUREZZA
«Tutti gli osservatori ritengono che il problema della sicurezza sarà uno degli elementi chiave, insieme alla capacità di "inventare" nuove attività per evitare "l'effetto noia", per il successo economico del turismo montano - sottolinea lo studioso -. Già ora molti turisti ritengono il soccorso un servizio offerto dalle loro strutture ricettive e lo pretendono perché presumono di averlo pagato. Il problema è che per godere delle montagne non è necessario inventare nuove attività sportive e ludiche, per questo esistono le palestre, le discoteche e i luna park. Non è necessario devastare l'ambiente montano per soddisfare chi consuma sempre nuovi divertimenti. I monti devono essere rispettati e bisogna apprendere la gioia che essi inducono in chi ne sa cogliere i valori e contemplare la sobria ed elegante bellezza».
I NUMERI
Cason riporta anche qualche dato a livello nazionale. Come le cause che producono una chiamata ai servizi del Soccorso alpino. La prima è la caduta (34,7%) che si verifica prevalentemente durante le attività escursionistiche (46,7%) dove non si usano attrezzature di sicurezza. Considerando che la seconda causa di chiamata è la perdita di orientamento (12,9%), la terza sono i malori o lo sfinimento (14,7%) e la quinta è l'incapacità (9,8%), «si comprende che il 40% delle chiamate potrebbero essere evitate con una crescente consapevolezza dei rischi ai quali si è esposti in territorio montano dove sono attuati il 90% degli interventi».
p. 3, edizione Belluno
Quasi 200mila visualizzazioni ma una valanga di fango social
«Spiace cara Giulia, ma in cima ci saresti dovuta arrivare senza elicottero come hanno fatto molte persone, tra cui chi biasima il tuo modo di creare avventura, cioè io». Il consigliere nazionale del soccorso alpino, Fabio Bristot, Rufus dal suo canale social, ieri ha commentato così l'impresa sulle Dolomiti della influencer Giulia Calcaterra. «Al netto della questione ambientale - ha affermato -, non comunque secondaria, quasi uno sfregio a chi invece ha accettato le dure regole di provarci su appigli ed appoggi, con o senza corda, con o senza staffe, comunque provandoci senza elicottero».
I COMMENTI
L'impresa di Giulia Calcaterra è stata visualizzata da quasi 200mila persone, che hanno lasciato mi piace e commenti. Non è possibile vederne il numero: solo il proprietario dell'account può sapere quanti like ha prodotto il suo video, ma dai commenti sono molti più i
"non mi piace". Molti infatti hanno sottolineato il pericolo ambientale di quel tipo di imprese nelle fragili Dolomiti. Uno tra i tanti: «Siamo sul Civetta, una delle montagne più belle delle Dolomiti, patrimonio mondiale dell'Unesco, dure e fragili allo stesso tempo e voi ci andate 4 volte (non 1, ma 4) in elicottero! Perché non avete fatto quest'esperienza in maniera completa, salendo a piedi, in arrampicata, in qualunque modo potesse essere ad impatto ambientale zero? E perché rispondi solo a chi ti fa i complimenti e non alle persone che pongono queste questioni?». O ancora: «Non credo che salirci in elicottero sia encomiabile. Siamo in uno degli ambienti più delicati al mondo: puoi influenzare al rispetto dell'ambiente anziché all'inquinamento? Personaggi come te dovrebbero influenzare positivamente».
IL RIFUGISTA
Di diverso avviso il gestore del rifugio "Capanna Trieste", contattato ieri al telefono, che dice chiaramente gli ambientalisti e animalisti hanno stufato. «Vadano a lavorare e producano qualcosa, non sempre parlare a lungo per nulla», afferma.
SENTINELLE
Ma l'appello di Mountain Wilderness è chiaro: «È nostro dovere proteggere le Dolomiti e i loro valori unici. Invitiamo nuovamente tutti a essere consapevoli del potere dei social media e dell'importanza di promuovere un turismo rispettoso e sostenibile. Solo attraverso la tutela della natura e del patrimonio culturale potremo garantire che le generazioni future possano ammirare e apprezzare la bellezza e la storia delle Dolomiti, senza compromettere la loro integrità».
I CROLLI
Ricordiamo che proprio l'area del Civetta è quella più colpita dai crolli degli ultimi anni. Le creste del Castello della Busazza, nel gruppo della Civetta, sono collassate nel 2014. Sassi di grandi dimensioni e materiale franoso sono scesi per circa 500 metri (una cinquantina il punto più largo del fronte poi incanalatosi) fino alla base della Torre Trieste, priorio nel punto dell'impresa dell'influencer quindi. Quello era l'ennesimo distacco dopo il crollo di ben più grandi dimensioni del novembre 2013, di fronte al rifugio Tissi, più precisamente sullo zoccolo e lo spigolo della Cima su alto. E in Moiazza, il recente crollo avvenuto sulla Torre Paola, a destra della via Soldà. Ma anche d'inverno, sulla Torre Venezia, sempre nel gruppo Civetta-Moiazza, ci fu il distacco di neve, ghiaccio e sassi. Insomma una lista senza fine a dimostrazione della fragilità delle Dolomiti e del patrimonio a rischio. (Fe.Fa.)
Corriere delle Alpi | 28 luglio 2023
p. 20
L'alpinismo ricalca i suoi primi passi Ascesa al Pelmo sulla via del 1857 Marcella Corrà / BELLUNO
L'alpinismo sulle Dolomiti torna alle sue origini, al Pelmo. Sono passati 166 anni da quando l'inglese John Ball, naturalista e botanico, compie la prima ascensione nota al Pelmo, inaugurando la storia alpinistica delle Dolomiti. Era il 19 settembre 1857. Due mesi dopo, a Londra, nasce l'Alpine Club, primo club alpino del mondo. Oggi Simon Richardson, attuale presidente dell'Alpine Club e ottimo alpinista, salirà sul Pelmo, alla vigilia della consegna dei premi Pelmo d'oro a San Tomaso Agordino (domani alle 10.15), uno dei quali proprio al Club inglese. Richardson sarà accompagnato da Enrico Geremia, presidente delle Guide alpine del Veneto. Per lui, arrivato ieri all'aeroporto di Verona, quello nel Bellunese sarà un vero tour de force: oggi la scalata al Pelmo, domani la consegna del Pelmo d'oro, nel pomeriggio di domani e poi domenica al rifugio Tissi e quindi tra domenica e lunedì in visita al passo Giau. Non è stato facile organizzare tutto, ha spiegato il presidente del Cai veneto, Renato Frigo, che ha ringraziato la Casa comune (Cai, soccorso alpino, guide alpine) che è l'asse portante, con Provincia e Bim del premio.
LA NUOVA GUIDA TABACCO
L'occasione per raccontare gli eventi collaterali del Pelmo d'oro, come la scalata al Pelmo, è stata la presentazione della nuova guida Tabacco, realizzata per il 25esimo del premio e stampata in 5.000 copie che saranno consegnate ai premiati e poi ai consorzi turistici. È una guida particolare, come ha spiegato il direttore commerciale della Tabacco, Alessandro Specogna. Prima di tutto è quanto di più green si possa immaginare parlando di una cartina: non contiene cellulosa, ma è fatta di roccia, cioè di carbonato di calcio (per l'80-85 per cento), tenuto assieme da una resina. «Più costoso della classica carta e più difficile da lavorare, ha spiegato Specogna, ma è il risultato è una cartina molto maneggevole, impermeabile e antistrappo e quindi molta amata dagli escursionisti». Cinquanta per settanta le sue misure, scala 1:25.000.
Specogna ha raccontato la storia della casa editrice Tabacco, che realizza mappe cartacee e ora anche digitali, il cui fondatore Giuseppe Tabacco ha ricevuto il premio speciale della Provincia nel 2021. In tempi di alta tecnologia, alla Tabacco il disegno delle rocce rimane un prodotto artistico, mentre non si disegnano più i sentieri con il pennino a china.
Quest'anno l'edizione numero 25 del Pelmo d'oro è davvero ricca di eventi collaterali, molti dei quali ospitati a San Tomaso e organizzati dal Comune e dal territorio. In tutto questo spicca la riedizione del libro "Pelmo d'altri tempi" di Giovanni Angelini, stampato nel 1987.
Rispetto all'originale, la nuova edizione, curata dalla Fondazione Angelini, ha oltre cento pagine in più, soprattutto è ricca di fotografie. "Era praticamente un oggetto di antiquariato, introvabile" ha spiegato Ester Cason Angelini. L'impianto è ovviamente lo stesso dell'autore: l'appassionato di alpinismo si troverà in mano un testo fondamentale per conoscere la storia delle Dolomiti, non solo quella del Pelmo. A molti alpinisti importanti Angelini dedicò dei capitoli, compreso a John Ball, con aneddoti e curiosità sulla sua vita (l'inglese sposò una italiana, figlia di un botanico).
Corriere delle Alpi | 30 luglio 2023
p. 21
Scalata sulle orme di John Ball Geremia e Richardson in cima
il tributo
Sulle orme di John Ball in cima al Pelmo: venerdì alle 6 di mattina una cordata formata da Enrico Geremia, presidente delle guide alpine del Veneto e dall'alpinista inglese Simon Richardson, è partita dal rifugio Venezia per percorrere la via Normale e tramite la cengia di Ball arrivare sulla cima del Pelmo. Tre ore di scalata (una salita abbastanza veloce) sul percorso che quasi 166 anni fa fece il naturalista Ball che con la sua ascensione al Pelmo ha dato il via all'alpinismo sulle Dolomiti.
Tornato in patria, poco tempo dopo, venne fondato l'Alpine club, primo club alpino del mondo, di cui Ball divenne il primo presidente. Il sodalizio, che non è esattamente come il Cai, è ora presieduto da Richardson.
«È un club elitario – spiega Geremia – formato solo da 1500 soci, mentre il Cai italiano ha 330mila soci e tutti si possono iscrivere. All'Alpine club invece si entra solo se si ha alle spalle un importante curriculum alpinistico».
Ma che tipo di alpinista è Richardson?
«È un alpinista di stampo classico, non fa l'arrampicata pura ma quella dove si usano ramponi, scarponi di alpinismo, dove si attraversano ghiacciai: il suo teatro di ascensione è il monte Bianco».
Ovviamente in Inghilterra non ci sono montagne, quindi gli alpinisti inglesi organizzano spedizioni fuori dalla patria, in Europa ma anche in tutto il mondo. «Abbiamo passato del tempo durante la salita per parlare, per scambiarci opinioni sull'alpinismo. Molto bella anche la serata al rifugio Venezia la sera prima. Simon è assolutamente entusiasta di tutto il programma che gli abbiamo proposto per questi giorni, dal Tizzi, al Vazzoler e poi al Giau». Dal palco dell'Arena 1082, Richardson, dopo aver ricevuto il premio speciale della Fondazione Unesco, ha donato a sua volta al presidente Padrin la copia di un dipinto dell'Ottocento, raffigurante il Pelmo, realizzato da un artista amico di Ball.
Gazzettino | 28 luglio 2023
p. 7, edizione Belluno
Carta topografica Tabacco per il Pelmo d'oro
BELLUNO
Per celebrare l'anniversario del premio Pelmo d'oro, che domani spegnerà la 25esima candelina, in arrivo un regalo speciale: un'edizione inedita della carta topografica Tabacco, una tiratura di 5000 mila copie che saranno distribuite negli uffici turistici dolomitici, pronte a orientare i turisti che vorranno ammirare la montagna che per prima è stata via di una vera ascensione alpinistica, nel 1857, a opera dell'irlandese John Ball. Una storia raccontata anche nel libro "Pelmo d'altri tempi" di Giovanni Angelini, rimesso a nuovo per l'occasione.
IL DOPPIO OMAGGIO
A presentare l'evento il presidente della Provincia, Roberto Padrin: «Un'edizione speciale e premiati di altissimo livello. A San Tomaso Agordino si sta realizzando una bellissima cerimonia, una giusta e degna cornice per un'iniziativa nata 25 anni fa che ha raccolto attorno a sé Cai, Soccorso alpino, Consorzio Bim e Guide alpine. Abbiamo voluto farci due regali speciali: la carta celebrativa edita da Tabacco e la riedizione del libro di Giovanni Angelini, del 1987, un insieme di racconti, aneddoti ora completato anche da una serie di immagini fotografiche nuove».
IN SCALA 1 A 25MILA
La casa editrice Tabacco è rinomata per i suoi prodotti cartografici, specialmente le carte dei sentieri che ancora oggi sono un prezioso supporto per gli escursionisti e gli appassionati di montagna. La carta speciale del Pelmo è una rappresentazione in scala 1 a 25mila, 50 per 70 centimetri, tutta in materiale green.
«NIENTE CELLULOSA»
Così Alessandro Speconia, direttore commerciale della casa editrice Tabacco: «Come casa editrice abbiamo iniziato a utilizzare un supporto diverso, che non usa la cellulosa: niente abbattimento di alberi e nemmeno sprechi per la produzione della carta; stampiamo
su materiale ottenuto all'85 percento da scarti di lavorazione della pietra, tenuto insieme da una piccola percentuale di resina. Un prodotto che va incontro alle esigenze degli escursionisti: impermeabile e antistrappo».
Nell'era della tecnologia, il Pelmo è stato ancora tutto disegnato a mano: «Il disegno delle rocce è la cifra che ci contraddistingueprosegue Speconia-: da sempre utilizziamo un disegno capace di cogliere in modo più preciso la topografia per dare all'escursionista una rappresentazione realistica sulla configurazione dei rilievi che sta esplorando. È questo ancora l'ultimo atto artistico della realizzazione, manuale, essendo il resto cambiato moltissimo per un enorme database di informazione cartografica, una stringa di dati numerici georiferiti e correlati con le posizioni satellitari».
Alto Adige | 4 luglio 2023
p. 21
Traffico sui passi, Alfreider da Salvini
Bolzano
«Traffico, velocità e rumore sui passi dolomitici: il governo ci sostenga»: l'assessore provinciale Daniel Alfreider ha incontrato ieri a Roma il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini. Alfreider era a Roma per partecipare alla cabina di regia sulle Olimpiadi invernali. «Ne ho approfittato per parlare con il ministro del nostro impegno per affrontare il problema sempre più grave del traffico sui passi, in particolare le moto». Lo spunto sono le regole del nuovo codice della strada, aggiunge Alfreider, «che spingono sulla sicurezza come elemento prioritario». Tra le misure presentate da Alfreider a Salvini c'è l'installazione di radar fissi, non mobili, al di fuori dei centri abitati, «visto che le moto arrivano sempre più presto alla mattina, anche alle 6». Per i nuovi radar non serve una modifica al codice della strada, «ma l'assenso del commissario del governo, con cui c'è un'ottima collaborazione». Salvini, riferisce Alfreider, «si è dichiarato d'accordo. Ci ha detto "andate avanti". In Austria i controlli sono stati rafforzati, così molte moto arrivano da noi».
Alto Adige | 1 luglio 2023
p. 19
Chiusura estiva di passo Nigra
A Carezza cresce il malcontento
davide pasquali carezza. Se ne mormorava già dall'anno scorso; le prove generali si sono tenute l'11 giugno; il 24 settembre, sempre con il sostegno del Comune di Nova Levante, si terrà il bis: strada del passo Nigra chiusa ai mezzi motorizzati da San Cipriano a Carezza (Franzin), dalle ore 10 alle ore 16. Si sale solo con la nuova funivia, alla sua prima stagione estiva. L'intenzione del Comune di Tires per l'anno prossimo, annunciata dal sindaco Gernot Psenner nei giorni scorsi tra la perplessità di turisti, escursionisti e titolari di numerose attività ricettive e gastronomiche, è di chiudere tutti i giorni di luglio e agosto. «A rischio sopravvivenza una dozzina fra malghe, ristoranti e alberghi», è la protesta. Tra chi si oppone c'è Renate Robatscher, da 33 anni titolare del conosciuto e frequentatissimo albergo ristorante Jolanda ai piedi del Catinaccio, fra i più spettacolari belvedere di Carezza e non solo: «Se chiudono la strada, sarò costretta a mollare tutto».«Chiusura priva di senso»«Con la chiusura nelle ore centrali della giornata - sostiene - non si risolve il problema, si sposterà solo il traffico. Partiranno tutti prima. Stamattina già alle 6 sono passate le prime Maserati e Porsche. Si è imposto il limite dei 60 all'ora, ma in estate i controlli sono quasi inesistenti. Se li facessero davvero, come in Svizzera o Germania, dove i radar funzionano anche di notte, sui social la cosa rimbalzerebbe subito e tutti viaggerebbero più piano».La strada del Nigra è relativamente tranquilla e poco frequentata. «La Statale da Nova Levante a Carezza conta il quadruplo di passaggi... E poi, anche se si chiudesse a San Cipriano, il traffico attraverso Tires passerebbe comunque», sostiene.Questo lo scenario prospettato: se si chiudesse la strada, impedendo di arrivare ai parcheggi in quota, diventerebbe difficile e in alcuni casi impossibile raggiungere a piedi malghe e rifugi assai amati: Plafötsch, Hanicker Schwaige, Passo Nigra, Hagner, Schiller, Jocher, Messner, Heinzen, Masarè, nonché i ristoranti Jolanda, Duca di Pistoia, Ochsenhütte.«Molta gente che viene qui da me per pranzare e trascorrere qualche ora al sole parte dalla val di Fassa o da Bolzano», prosegue Robatscher. «Tanti sono anziani, non vengono a piedi, men che meno in bici». Il giorno della prima chiusura,
«avevo un gruppo che aveva prenotato da molto tempo; ho chiesto venisse istituito uno shuttle, niente, alla fine ci hanno messo una carrozza».Una cosa buffa, prosegue, «è che in previsione della chiusura sono state contattate le organizzazioni turistiche, tipo di Merano: avvertite i vostri ospiti che se vogliono passare lo devono fare prima delle 10. Così il traffico c'è stato lo stesso». Alla seconda giornata di chiusura, a settembre, la cosa avrebbe ancora meno senso, sostiene: «La settimana prima ci sarà la festa delle baite, una marea di gente, parcheggiano ovunque, non passano neanche i mezzi di soccorso. Quel giorno sì avrebbe avuto senso chiudere la strada».Gli scenari«Quest'anno hanno fortemente ridotto le corriere da Bolzano. Il 185, prima, da San Cipriano saliva a Costalunga e poi scendeva al Paolina. Una corsa senza cambi ogni ora. Adesso c'è solo una corsa diretta la mattina. Io avevo tanti clienti che salivano da Bolzano all'ora di pranzo, adesso non vengono più. Non è che per mangiare a mezzogiorno partono alle 9 di mattina e la sera non sanno come fare a scendere». Gli unici vantaggi così potrebbero essere per la nuova funivia che sale a Malga Frommer. «I bolzanini sono i più arrabbiati di tutti. Noi pure, perché l'impianto ha portato a un eccesso di ciclisti: vengono giù come forsennati, fuori sentiero, rovinano prati, pascoli, bosco», riferisce Robatscher. E aggiunge: «Se dovessero chiudere la strada, le persone di certo non passeggeranno sull'asfalto fra Nigra e Carezza, al massimo sul comodo, bel Sentiero delle Perle, accessibile pure ai passeggini». Se Tires spinge per chiudere, il comune di Nova Levante sembra incerto. Sostiene la doppia chiusura di quest'anno, ma dopo la presa di posizione contraria della Bürgerliste (all'opposizione), il sindaco Markus Dejori ora ha mutato atteggiamento, sostenendo, come il collega di Cornedo Albin Kofler, che la chiusura di Passo Nigra andrebbe a incrementare il traffico in val d'Ega.«Una cosa buffa», commenta la titolare della Jolanda. «Hanno deciso insieme, lo dimostrano i documenti programmatici firmati dagli assessori alla mobilità di Tires e Nova Levante e dalle associazioni turistiche. A chi nel 2022 negava ci fosse l'intenzione di chiudere, io li ho mostrati, durante una riunione dell'Hgv locale».Malghe off limitsQui non è come all'Alpe di Siusi, dove se sali in auto o in cabinovia arrivi sempre al punto zero. Qui, viene ricordato, ci sono almeno una dozzina di attività che si possono raggiungere solo a piedi, partendo dai parcheggi lungo la strada prima, sul o dopo passo Nigra. «Non si potrà più andare alle malghe», è l'allarme. Molti gestori temono, ma non parlano apertamente. «Anche in paese a Nova Levante, chi ha un negozio in centro è preoccupato per la propria attività». Pochi si oppongono apertamente, come nel caso del mega progetto di chalet diffusi a malga Angerle a Carezza (230 posti letto, poi 60), fermato da due sentenze del Tar. I progetti del nuovo Coronelle, del nuovo Santner, della funivia di Tires, in paese non piacciono a tutti, ma si sono levate poche voci contrarie. Idem ora, con la chiusura della strada provinciale. «Non è possibile creare simili danni economici, aziendali. Nei giorni senz'auto dovremo chiudere. La gente dove andrà? Inutile attirare turisti se poi è tutto chiuso», ancora l'albergatrice. Attività in venditaIl turismo, dice Robatscher, «è cambiato. Non c'è più l'effetto Covid». I segnali già ci sono. Senza fare nomi, tre notissime malghe in zona Nigra quest'estate non hanno aperto per carenza di personale. Tra malga Frommer e Costalunga due alberghi con ristorante sono in vendita, come pure una malga ristorante aperta da pochi anni, mentre in zona Grand Hotel Carezza sono chiusi e in vendita un B&B e un ristorante pizzeria. Chiusi anche una braceria e un altro bar ristorante pizzeria. Sempre a Carezza due rinomati hotel hanno chiuso bar e ristorante agli esterni, curando solo i loro ospiti interni. «Sia a Nova Levante che a Tires, per chi soggiorna in B&B o appartamenti è quasi impossibile trovare un ristorante», va oltre la titolare della Jolanda, che chiosa: «E adesso, i pochi locali che lavorano rischiano di chiudere. Dovrebbero essere contenti che lavoriamo, tanto, con passione, da anni. Noi in autunno dovremmo ristrutturare: cappotto, nuovi interni, anche per dare una chance alla generazione dopo. Ma con questi presupposti, chi ce lo fa fare? Se le prospettive sono queste, venderò ai cinesi. Le richieste ci sono».
Alto Adige | 19 luglio 2023
p. 19
Strada del Nigra, Dejori: «Non vogliamo chiudere solo ridurre il traffico»
davide pasquali carezza
«Nel gruppo di lavoro con il Comune di Tires, le due aziende di soggiorno e la Carezza Event non si è mai parlato di una chiusura della strada provinciale di passo Nigra tutti i giorni di luglio e agosto 2024 dalle ore 10 alle ore 16. Un primo esperimento si è tenuto l'11 giugno; dopo i necessari aggiustamenti - su ordinanza, comunicazione e cartellonistica - ce ne sarà un altro il 24 settembre. Sono solo prove per vedere come va, cosa funziona, cosa non funziona». Lo dice il sindaco di Nova Levante, Markus Dejori.La Statale e la Provinciale«In paese - precisa - ci dobbiamo occupare di due realtà: la SS241 per passo Costalunga, la strada in quota più trafficata delle Dolomiti, e la Provinciale del Nigra, la panoramica in buona parte su nostro terreno comunale». Sulla Statale, al di fuori del centro abitato, in base al Codice della strada sono pochi i margini di manovra. «Non possiamo vietare il transito a nessuno, è la strada che collega Bolzano alla val di Fassa». Si tenta di rallentare il traffico in paese: speed box, sagome "finte" di vigili, dossi rialzati, isole spartitraffico. Si impone il divieto di sorpasso. «La gran parte rispetta, ma c'è un 20% di auto e moto che non lo fa. E su migliaia di passaggi quotidiani sono tanti, troppi».Ci sarebbero delle soluzioni di medio periodo, forse però nemmeno risolutive: «Una variante del paese costerebbe 45-50 milioni, ma non si sa esattamente dove farla passare e, comunque, il traffico di transito di auto e moto non diminuirebbe». A Carezza ora si sta spostando la strada a sud, verso il bosco: sottopasso per gli slittini, 280 nuovi posti auto (saranno a pagamento), 10 per bus, più 25 per camper (il posteggio provvisorio sarà eliminato). E una curva volutamente cieca per fare rallentare i patiti dell'alta velocità. La Provinciale del passo Nigra è un altro paio di maniche: «È stata portata all'attenzione quando a Tires si è pensato di costruire la funivia, con tutte le polemiche che poi sono seguite. C'era collegato un concetto di mobilità
alternativa, per accedere senza auto a San Cipriano dalla cabinovia dell'Alpe di Siusi, con contestuale riduzione del traffico anche sulla Provinciale per passo Nigra. Il progetto però era rimasto nel cassetto, finché un paio di anni fa è stato istituito il gruppo di lavoro fra i due paesi». Nova Levante ha risanato il parcheggio di malga Frommer, ora a pagamento. «Non per fare soldi, ma per poterlo gestire bene, tenerlo pulito, riducendo anche il traffico incentivando l'uso del bus». Lo stesso è stato fatto a passo Nigra, da quest'anno. «Ma tutti salgono ancora in auto, non rinunciano alla comodità».Qui, come al Paolina a Carezza, a detta di Dejori il costo è minimo, «per poter ripagare rifiuti e toilette». Non così al lago di Carezza, dove il parcheggio da quest'anno è direttamente gestito dal Comune con prezzi più elevati, turistici: «Non vogliamo che le auto si fermino un quarto d'ora: solo cestini pieni di rifiuti. Vogliamo che la gente cammini nella natura».Niente chiusura, ma riduzionePer la Provinciale di passo Nigra non si parla più di chiusura totale al traffico. «La prima giornata - così Dejori - è stata comunicata poco, si è sbagliato un po'. Chiedere le autorizzazioni al Commissariato del governo è molto complicato. Non si voleva una chiusura completa; solo un paio di giorni prima, i volontari si sono chiesti quando far passare i bus. Ma i bus, come chiunque altro, secondo l'ordinanza non potevano transitare...» Come pure contadini ed esercenti. Nel gruppo di lavoro e nelle videoconferenze con la cittadinanza, tiene a chiarire il sindaco, «si è sempre e solo parlato di riduzione del traffico; su quella a grandi linee tutti erano d'accordo».La prima domenica senz'auto, l'11 giugno, «era solo una prova, per vedere cosa andava male e cosa andava bene. Adesso organizzeremo altre videoconferenze con gli interessati». Ma per il futuro è ancora tutto da definire: «Non si è stabilito se si chiuderà un giorno a settimana, uno al mese, tre a estate, gli orari. Vogliamo solo ridurre il traffico: a una certa ora della giornata, quando i parcheggi cominciano a essere pieni, dev'essere vietato un certo tipo di passaggio motorizzato». Insomma, «niente raduni di Porsche e colonne di 47 moto». Ma dovrà essere consentito il passaggio a contadini, ristoratori. Dejori comprende la preoccupazione della dozzina di attività lungo la strada, in caso di chiusura nelle ore centrali del giorno. «È il concetto di Low emission zone dell'assessore Daniel Alfreider: quando i parcheggi alle 10 cominciano a essere pieni, scatta il rosso; chi ha l'autorizzazione invece può passare».Per il 24 settembre si cerca una soluzione più soft: «Vogliamo fare arrivare quassù più gente, ma non con auto, moto, quad. Se mangio alla Ochsenhütte e sento un'accelerazione ogni due minuti, non mi gusto il pranzo. La nostra idea è: si salga a piedi, in bici, anche in auto ma fino a una certa ora, le 10, le 11». L'11 giugno a detta di Dejori sulla Provinciale c'era un bel movimento: «Senz'auto questa strada è un'avventura, specie per le famiglie: senza rumore». Anche da Nova Levante sono saliti molti paesani, anche anziani, a piedi, in bici. «In paese non c'è una strada pianeggiante, solo salite o discese». Per migliorare la situazione «con il Servizio strade si è approntato un sentiero pedonale, per ora è finito dal Nigra alla Jolanda, poi lo proseguiremo».«Faremo meglio»L'ordinanza di chiusura di giugno è stata chiesta dalla Carezza Event, «una società legata agli impiantisti e che si occupa di organizzare le gare di Coppa del Mondo di snowboard e telemark, e della Rosadira Bike estiva». È stata richiesta per una manifestazione, tipo la Maratona dles Dolomites: la Giornata delle Famiglie. «Bisogna richiederla così - spiega Dejori - anche se non era nelle nostre intenzioni una "Sperre" totale; è venuta un po' male, ma secondo il Codice della strada funziona così: non è ancora possibile chiudere una strada per motivi ambientali, neanche nel patrimonio Unesco. L'ho spiegato al Dachverband: su questo dovrebbero impegnarsi». In modo che a Roma si cambino le regole.Per ora, si cerca la mediazione: «L'intenzione è di mettersi d'accordo con tutti gli interessati». Per supplire durante la chiusura e venire incontro ai clienti anziani di ristoranti e malghe, che di certo non ci arrivano in bici o a piedi, si cercheranno altre soluzioni. Per il futuro si pensa magari agli autobus a idrogeno, a zero emissioni. A giugno si è messo in piedi un servizio carrozza, «più romantico»; il 24 settembre si farà il bis: «Stiamo valutando gli orari, dove girerà. Magari da malga Frommer a malga Franzin, quattro viaggi al mattino, quattro al pomeriggio». Comunque sia, tiene a precisare, «in futuro si pensa che chi avrà la prenotazione nei vari locali possa accedervi, avrà un pass; oggi ci sono tanti sistemi, le app. Si arriverà anche in auto, ma con traffico ridotto. Sarà molto più bello».Il sindaco conclude così: «Dovremo migliorare la comunicazione. A giugno si è sbagliato anche con la cartellonistica. Dovremo migliorare certi aspetti. Ovvio ci siano discussioni con gli agricoltori. D'altra parte, ricordo le prime edizioni del Sella Ronda Bike Day... volavano le parolacce! E le limitazioni funzioneranno solo se correlate a infrastrutture adeguate: parcheggi a valle presso la funivia, buoni servizi di bus navetta».
Alto Adige | 8 luglio 2023
p. 34
Braies, meno auto d'estate: accessi su prenotazione ezio danielivalle di braies. Partirà da lunedì 10 luglio e durerà fino al 10 settembre la limitazione al traffico sulla strada che porta al lago di Braies. Il provvedimento rinnova quelli presi le estati scorse. Ci sarà un accesso auto prenotabile digitalmente dalle 9.30 alle 16 e gli automobilisti autorizzati possono superare il punto di accesso sulla strada principale verso il lago (le telecamere leggono il numero di targa). Chi non è autorizzato a passare può uscire da una rotatoria e raggiungere la valle e il lago di Braies con i mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta. Le navette per il lago sono le linee 439 e 442, per le quali sono necessari prenotazione e pagamento online. Per i titolari dell'AltoAdigePass, alcuni posti sono riservati anche senza prenotazione online. Sono esenti (con permesso di transito) ospiti di ristoranti, negozi e altri fornitori di servizi della Valle di Braies e gli ospiti in vacanza nella Valle di Braies per l'intera durata del loro soggiorno. Le navette e i parcheggi possono essere prenotati e pagati su www.prags.bz/ticket. Questo sistema lo scorso anno ha fatto registrare una percentuale giornaliera del 24,6 in meno di traffico individuale. "L'impatto sulla natura e
sull'ambiente si è notevolmente ridotto - ha detto il sindaco di Braies Friedrich Mittermair - La situazione è destinata a migliorare perché i parcheggi sono aumentati con l'allestimento di due aree di sosta e con infopoint dedicati alla mobilità". Tre Cime e Val Fiscalina. Fino al 15 ottobre per raggiungere le Tre Cime di Lavaredo evitando la strada a pedaggio dopo il lago di Misurina è attivo un autobus navetta da Dobbiaco: il bus va prenotato sul sito www.drei-zinnen.bz/ticket. I biglietti rimanenti, se disponibili, possono essere acquistati alla stazione degli autobus o dei treni di Dobbiaco. I possessori di Alto Adige Pass viaggiano alla tariffa prevista dall'associazione dei trasporti, ma devono prenotare il posto online. Infine traffico limitato anche in valle Fiscalina, raggiungibile fino all'8 ottobre con il Fischleintal Shuttle 440 (da Sesto), a piedi o in bicicletta. Per l'accesso in auto sono previste chiusure temporanee dalle 9 alle 16. Per i visitatori da fuori Sesto, c'è l'autobus della linea 446 Dobbiaco - San Candido, con la possibilità di cambiare con il bus navetta alla stazione a valle della funivia del Monte Elmo. Per la navetta Fischleintal non è necessaria la prenotazione.
Corriere dell’Alto Adige | 11 luglio 2023
p. 2
L’accesso a prenotazione funziona. Braies, niente più code per il lago
Aldo De Pellegrin BOLZANO
Alla seconda stagione di limitazioni e controlli, la vicenda degli enormi, incontrollati ed ingombranti afflussi turistici alla valle ed al Lago di Braies e delle gradi problematiche, soprattutto logistiche, che avevano portato con sé, si avvia alla normalizzazione. Una normalizzazione non certo intesa nel numero degli accessi, che restano sempre, soprattutto in luglio ed in agosto, assai elevati ma bensì vista sotto il profilo organizzativo della loro razionalizzazione e dei relativi controlli volti ad evitare il superamento della misura di turismo quotidianamente sostenibile da una vallata alpina, bellissima ma di per sé anche assai stretta e di conseguenza anche con dei confini fisici alle sue possibilità di accoglienza.
Limiti che, negli anni successivi all’esordio televisivo del Lago di Pietro il forestale, erano stati messi ripetutamente a dura prova tanto da far temere un collasso imminente se non si fosse deciso di intervenire con misure anche drastiche, ma ormai divenute indispensabili. Solo in questo senso, per un paio di stagioni il Covid ha dato una mano, ma dall’estate 2021 gli interventi sono divenuti improcrastinabili. Un lavoro complesso e difficile, che lo scorso ha dato i primi risultati con la digitalizzazione delle prenotazioni, sia dei parcheggio per le auto e moto private come pure dei posti sulle navette del servizio pubblico in partenza dalle stazioni ferroviarie di Dobbiaco e di Monguelfo. Un sistema, anche questo, che ha mostrato spesso anche i suoi limini ma che ha anche indicato la strada sulla quale operare per la sua ottimizzazione.
«Quest’anno afferma il sindaco di Braies Friedrich Mittermair superata la prima giornata di limitazioni possiamo dire che, assieme alla Provincia, abbiamo risolto il grosso dei problemi ed i fatti ce lo stanno dimostrando».
I consueti, massicci afflussi si sono registrati anche ieri, ma sono scomparse le code e sia residenti che ospiti sono unanimi nel valutare che il sistema funziona. «Abbiamo lavorato per un intero anno alla messa a punto dei punti deboli del sistema prosegue Mittermair ed oggi, con una squadra di 10 addetti e addette forniamo un servizio snello e completo fin dall’arrivo dell’ospite in valle. All’ingresso, dopo la rotonda sulla statale ed il sottopasso ferroviario, abbiamo creato un parcheggio tampone, dove la sosta è concessa solo per 15 minuti per consultare l’info point in cui sono attivi tre addetti per l’intera durata delle limitazioni orarie. Qui anche coloro che dovessero arrivare disinformati sulle modalità di accesso previste, e sono ancora molti, proprio coloro che l’anno scorso creavano le code, troveranno informazioni ed anche assistenza per un’eventuale prenotazione tardiva, ricettività permettendo. Sono quaranta posti in tutto che consentono però di liberare gli spazi di accesso alla sbarra, il cui sistema di lettura automatizzato delle targhe è stata dotato di fibra ottica velocizzando quindi al massimo l’autorizzazione di apertura».
Un complesso di interventi che giustifica anche i 40 euro a vettura del ticket che però, se prenotato almeno con un giorno d’anticipo offre anche un bonus di 20 euro da consumarsi presso le strutture convenzionate. «É un sistema sostiene Mittermair che coinvolge anche le nostre aziende gastronomiche che hanno aderito con soddisfazione e che in questo modo raccolgono anch’esse prenotazioni utili. Nella sostanza è un cerchio che si chiude e siamo davvero soddisfatti per aver trovato una soluzione compatibile e che, allo stato delle cose sta soddisfacendo tutti». La conferma alle parole del sindaco giunge anche da Alex Trenker, titolare dell’omonimo hotel di San Vito di Braies: «tutti gli ospiti che ho accolto oggi si sono detti soddisfatti. Non hanno avuto nessun problema e questo è un bene per tutti!». Intanto i social sono già inondati di foto delle acque turchesi del lago e per i prossimi due giorni il parcheggio è già esaurito.
Corriere delle Alpi | 31 luglio 2023
p. 17
Numero chiuso e prenotazioni on-line: così si combatte l'assalto alle Tre Cime
il caso
Le lunghe code registrate in questi giorni lungo la strada che da Misurina conduce alle Tre Cime di Lavaredo riportano in auge il sempre attuale problema dell'overtourism, cioè del sovraffollamento turistico, pesante eredità post pandemia. Le Tre Cime di Lavaredo si presentano, anche per l'estate in corso, come uno dei luoghi più affollati d'Italia, quotidianamente preso d'assalto come testimoniato da video che stanno spopolando in sui social in cui risalta la marea umana che fa a gara per accaparrarsi un posto sulle navette che transitano per Misurina, provenienti tanto dal versante bellunese che dalla vicina Pusteria dove le partenze sono concentrate a Dobbiaco.
Così che torna in auge, ancora una volta, la necessità di adottare un'attività di contrasto all'afflusso tanto massiccio quanto incontrollato, che il più delle volte vede protagonisti turisti non adeguatamente preparati, mal equipaggiati e soprattutto poco irrispettosi dei luoghi. Per quanto riguarda specificatamente le Tre Cime di Lavaredo, il problema è sempre lo stesso. La presenza di una comoda strada che permette di raggiungere la destinazione senza alcuna fatica per corpo e mente rappresenta inevitabilmente un forte incentivo alle visite. Anche solo per scattare una fotografia di ricordo da postare sui social.
L'unico deterrente ad oggi adottato "tocca" le tasche visto che l'accesso alle Tre Cime di Lavaredo è arrivato a costare ben 30 euro. L'aumento del pedaggio, promosso negli anni scorsi dall'amministrazione comunale di Auronzo guidata dalla sindaca Tatiana Pais Becher, venne inizialmente contestato ma oggi si presenta come una misura perfettamente in linea con quanto sostenuto di recente dal Ministro al turismo Daniela Santanché che per frenare il fenomeno ha proposto, tra le altre cose, di aumentare i prezzi d'accesso alle più rinomate mete turistiche dello Stivale, incentivando parallelamente la scoperta di luoghi alternativi.
Una limitazione arriverà, probabilmente già a partire dalla prossima estate, con l'introduzione degli accessi a numero chiuso e la relativa prenotazione in anticipo del parcheggio tramite la rete. L'amministrazione comunale di Auronzo è al lavoro da tempo per trovare la soluzione. I sopralluoghi si infittiscono e terminata la stagione turistica estiva dovrebbero iniziare i lavori di posa della fibra che permetterà di lanciare l'altrettanto atteso sistema di prenotazione da remoto.
Basterà la prenotazione on line a scongiurare il fenomeno dell'overtourism alle Tre Cime di Lavaredo? Probabilmente no, perché la sensazione è che il punto di non ritorno sia stato già superato. Un po' come avvenuto per il lago di Braies dove la sovraesposizione mediatica incentivata dalle fiction televisive, inizialmente benedetta dagli operatori turistici, oggi presenta inesorabilmente un conto salatissimo.
«Le presenze alle Tre Cime anche quest'anno non conoscono domenica o lunedì. Ogni giorno della stagione estiva è diventato uguale all'altro», ha sottolineato il consigliere comunale Nicola Bombassei, delegato alle vicende di Misurina e Tre Cime di Lavaredo. «L'unica cosa che possiamo e dobbiamo fare, in ottica futura, è mettere ordine ai parcheggi attraverso un piano ben studiato che impatti il meno possibile sul territorio. Il contrasto al parcheggio selvaggio dovrà passare tramite una riorganizzazione degli spazi, che non significa necessariamente riduzione dell'affluenza. Abbiamo le idee chiare in merito ma come spesso avviene, la strada della burocrazia si presenta complessa. Prenotazioni on line? È la strada che stiamo percorrendo. Tutto però passerà da una rete veloce. Stiamo lavorando per avere la fibra. Purtroppo Enel, che doveva portare la linea lungo la strada fino a Rinbianco in modalità interrata, eliminando contestualmente la linea aerea, ha fatto sapere che non riuscirà per l'autunno come inizialmente programmato. Pensavamo di sfruttare questo intervento per inaugurare la fibra ma ci troviamo costretti ad aggirare il problema cercando una soluzione alternativa. Il tutto consapevoli che in quota i lavori possono essere concentrati solo in determinati mesi dell'anno. Il tempo stringe, gli obiettivi sono stati già fissati, vedremo di realizzarli nel minor tempo possibile, ben consci delle difficoltà».
Gianluca De RosaLA RICHIESTA DI TUTELA
Alto Adige | 6 luglio 2023
p. 34
«Il parco naturale per il Sassolungo deve ancora attendere»
Val gardena. Ieri il Consiglio provinciale ha discusso nuovamente i temi legati alla tutela del gruppo del Sassolungo e dell'area dei Plan de Cunfin. "Sono anni che portiamo avanti il tema e ancora la Giunta non è riuscita a concretizzare tante belle parole - ha
dichiarato la capogruppo dei Verdi Brigitte Foppa - Di nuovo il presidente Kompatscher e l'assessora Kuenzer si sono espressi a favore della tutela di questo territorio prezioso per il paesaggio e la biodiversità. Ancora però pare che i tempi non siano maturi. In accordo con il Team K, che ha presentato una mozione simile alla nostra, abbiamo deciso di sospendere la trattazione in attesa di sviluppi. Se ne riparla a settembre in Consiglio provinciale. La fine della legislatura sarà all'insegna della tutela di natura e montagna. Intanto resteremo vigili sugli sviluppi"."Per l'ennesima volta - hanno commentato a loro volta Franz Ploner e Paul Köllensperger - il Team K ha proposto in Consiglio provinciale che il Gruppo del Sassolungo e i PIan de Cunfin vengano inseriti nel Parco naturale SciliarCatinaccio e quindi posti sotto tutela. La Svp ha espresso il proprio sostegno a questa proposta, ma non ha voluto mettere ai voti la mozione, in attesa dei risultati dei gruppi di lavoro sul territorio, e ha chiesto una sospensione". Il Team K ha accettato la proposta nel merito della questione: "Ora terremo d'occhio il modo in cui la Giunta provinciale si muoverà su questo tema nei prossimi mesi e se, alla fine, questi territori verranno messi sotto tutela - hanno concluso Ploner e Köllensperger, primi firmatari della mozione- Dalla discussione in aula abbiamo ottenuto che la Giunta provinciale è nettamente favorevole alla tutela del Sassolungo e dei Plan de Cunfin, e contraria all'ampliamento della cabinovia. Anche questo può essere considerato un successo".Sul tema si era espressa nei giorni scorsi anche l'associazione locale Nosc Cunfin: "Inserire il Sassolungo e i Plan de Cunfin sotto la tutela di un parco naturale sarebbe un progetto storico che le nostre prossime generazioni ricorderebbero con soddisfazione e gratitudine".
Alto Adige | 7 luglio 2023
p. 34
«La cabInovia al Sassolungo non deve essere smantellata»
EZIO DANIELI passo sella
Il direttivo provinciale del Cai è contro il potenziamento dell'impianto di risalita fra passo Sella e la Forcella del Sassolungo e si è detto favorevole allo smantellamento dell'attuale cabinovia. L'assessore provinciale alla mobilità Daniel Alfreider è invece contrario alla cancellazione della cabinovia "perché è uno dei più caratteristici e storici fra gli impianti di risalita esistenti in provincia ed è un punto fermo degli impianti funiviari realizzati. Fa parte della nostra storia. Ed è proprio per questo che oramai è parte integrante del patrimonio culturale del nostro territorio".Un patrimonio che intendente preservare?"È fondamentale mantenere questa infrastruttura, nel pieno e assoluto rispetto di quanto c'è oggi e della natura che viviamo sul Sassolungo. Occorre modernizzare l'impianto con interventi di rinnovo non troppo impattanti. Non penso che l'ovovia sia in discussione",La Provincia come intende procedere in merito alla cabinovia?"Non vogliamo creare qualcosa di completamente nuovo, né intendiamo potenziare l'impianto attuale. Anche se questo aspetto dipende anche dalla volontà della società che è proprietaria".Il Cai ribadisce l'idea di procedere ad uno smantellamento."Smantellare un'opera storica, così ben integrata nell'ambiente, che esiste da tempo e nessuno ha mai messo in dubbio? Non sono d'accordo. Io sono contrario a smantellare qualcosa di esistente".Chi sostiene questa tesi sono le associazioni ambientaliste. Che chiedono anche se è stata già rinnovata la convenzione di 10 anni."La concessione scade tra un anno e mezzo. Ma vogliamo che la stessa identica concessione vada avanti, com'è stato negli ultimi decenni". La società proprietaria dell'impianto, la Piz Da Sella di Marzola, sostiene che non è più sostenibile economicamente mantenere in attività la cabinovia."Questo è un altro tema, che andrà affrontato partendo dai ragionamenti dei concessionari. Le considerazioni economiche sono legittime e sono possibili vari scenari, ma pensare addirittura di smantellare di un impianto esistente a impatto ridotto, che fa parte dell'area e che è sempre stato visto dalla comunità come un'opera pionieristica, oltre che parte di questo scenario, lo vedo come una perdita".
Alto Adige | 7 luglio 2023
p. 17
Tutela delle Dolomiti «No alla svendita»
bolzano. «La Svp non mette un freno alla svendita delle montagne»: l'attacco arriva dal TeamK. È stata approvata ieri in consiglio provinciale la cosiddetta legge Unesco, che regola la gestione delle denominazioni Unesco, come le Dolomiti. «Di per sé, si tratta di una legge ben formulata e importante», commenta Paul Köllensperger, che ha presentato un emendamento «per impedire la svendita delle nostre montagne. È ancora ben impressa nei nostri ricordi la (s)vendita di 900 metri quadrati di terreno demaniale sotto il Catinaccio nel cosiddetto "Gartl" da parte della giunta provinciale a un privato. Respingendo l'emendamento la Svp ha dimostrato ancora una volta da che parte sta». Bocciato anche un emendamento del Team K, che impegnava la giunta provinciale ad acquisire i pareri di Avs, Cai e Fondazione Dolomiti Unesco per i piani o progetti che possano pregiudicare l'integrità delle Dolomiti.
Corriere dell’Alto Adige | 13 luglio 2023
p. 6
Nos Cunfin:si alla tutela del Sassolungo
Aldo De Pellegrin
I terreni dei Piani di Cunfin devono rimanere intatti, a costituire un gioiello naturale ai piedi del Sassolungo. La zona è il territorio delle sorgenti d’acqua potabile per l’intero abitato di Ortisei oltre ad essere è un biotopo umido ricco di biodiversità e habitat ideale per una flora e una fauna degne di essere protette. Parliamo dell’ormai rarissimo gallo cedrone ma anche delle famose “scarpette della Madonna”, piante che godono della massima protezione in Europa. Tutto ciò è stato ribadito ancora una volta dal gruppo di iniziativa Nosc Cunfin, che a fine giugno ha illustrato il tema anche ai rappresentanti delle guide di media montagna. Nel corso dell’incontro si è discusso della situazione attuale del Sassolungo, dei Piani di Cunfin e della Città dei Sassi con i partecipanti provenienti da tutta la Val Gardena, da Castelrotto e da Siusi. Tutti si sono detti favorevoli alla tutela definitiva dell’area intorno al gruppo del Sassolungo, con la creazione di un Parco naturale, che è anche la richiesta avanzata alle autorità provinciali dal gruppo Nosc Cunfin, mentre sono state confermate le recenti modifiche al paesaggio, gli sconfinamenti delle piste da sci e ciclabile che attraversano la famosa Città dei Sassi. La novità è che i gestori dell’impianto per la Forcella del Sassolungo dal 24 giugno scorso hanno deciso di far pagare anche alle guide alpine la corsa per salire alla Forcella. Anche per questo: «un parco Naturale per il gruppo del Sassolungo e i Piani incontaminati del Cunfin! è improcrastinabile!» sostengono i portavoce di Nosc Cunfin che nei giorni successivi hanno incontrato la Giunta comunale di Ortisei ed anche gli amministratori del Comune di Castelrotto con la sindaco Cristina Palanch. Sull’onda di questi incontri locali il gruppo sta lavorando ad una nuova petizione chiamata «Un parco naturale per il gruppo del Sassolungo e i Piani di Cunfin» con il lancio a livello nazionale che è previsto per settembre. Per l’autunno invece si stanno preparando le serate informative in Val Gardena e a Castelrotto volte alla sensibilizzazione dei cittadini: «Se riportiamo il Gruppo del Sassolungo alla sua originaria integrità naturale senza impianti di risalita conclude la nota quest’area potrà a maggior ragione ricevere finalmente lo status di protezione che merita e che il masterplan “Vision Gherdëina” del 2014 già prevedeva».
L’Adige | 2 luglio 2023
p. 12
«Corsa per le Olimpiadi saremo pronti in tempo»
chiara zomer
Sarà una corsa, ma alla fine si taglierà il traguardo in tempo. Parola di Tito Giovannini, nel Cda di Fondazione Milano Cortina 2026, in quota Trentino. È nella stanza dei bottoni, mentre i territori aspettano qualche certezza. Dottor Giovannini, ce la facciamo per il 2026?«Ovviamente sì. Dobbiamo farcela. Non c'è alternativa. I ritardi devono essere recuperati».L'ottimismo della volontà. Siete tranquilli?«Non siamo tranquillissimi, ma moderatamente tranquilli sì. Soprattutto per quel che riguarda il Trentino e per quanto riguarda gli impianti sportivi e il villaggio olimpico. Certo, non abbassiamo la guardia, a causa del Covid qualcuno dice che ci sono stati quattro anni sprecati. Questo non è vero, ma certo ha causato un grosso problema, che si è aggiunto ad altri». In Trentino siamo vicini all'appalto per l'impianto di Predazzo ed è conclusa la progettazione per Tesero. Ma per il villaggio olimpico, sempre a Predazzo, si procede a rilento.«Lì siamo leggermente più indietro rispetto al resto, anche perché è un intervento un po' più complesso, sono coinvolti l'amministrazione locale, la Guardia di Finanza, il Demanio. Ma i tempi per realizzare le opere sportive ci sono». Se il collaudo è nel 2025, nel 2024 devono partire i lavori.«Sì il 2024 sarà l'anno dei cantieri. Le piste sono praticamente a posto, dovremo fare qualche ritocco a quelle che ospiteranno le gare pre olimpiche e nell'inverno 2024 - 2025 i test olimpici. Comunque sono prioritari gli interventi sugli impianti. Se la palazzina non viene completata, pazienza. Abbiamo bisogno di fare le cose bene, non in fretta. Anche per realizzare cose che poi siano gestibili e sostenibili».A proposito di ritardi, brutto lo stop al Tar per l'impianto di Anterselva. Inatteso, immagino.«Il Tar e i ricorsi sono in agguato, in Italia. Anche lì però, c'è già un impianto di altissimo livello, in ottime condizioni, gli interventi migliorativi là non ci preoccupano molto. L'impasse al Tar è legata alle solite scaramucce tra aziende, davvero non ci preoccupa».Dal punto di vista finanziario, avete annunciato l'obiettivo di uscire in attivo. Realizzabile? «Noi abbiamo detto in pareggio».Sarebbe comunque un inedito in Italia.«Di altri eventi simili in passato, non so e non posso dire. Chiaramente abbiamo costi importanti, un bilancio organizzativo che ruota attorno ai 1,5 miliardi, e lì stiamo rimanendo. Poi dico sempre che siamo in ballo: l'importante a questo punto è che si realizzi un evento di grandissima qualità. Non dico che quel miliardo e mezzo non possa aumentare, ma non è l'euro in più che fa la differenza. L'importante è fare il possibile per garantire non solo la sostenibilità economica attuale, ma soprattutto futura. Dobbiamo fare in modo che questi impianti non siano cattedrali nel deserto».Poteva esserlo il
palaghiaccio di Baselga? Quella rinuncia è stata dolorosa ma necessaria in un'ottica di sostenibilità?«Dolorosa come sempre, quando un progetto ti sembra fattibile e poi si decide di farlo altrove. Emozionalmente posso capire. Ma in quel progetto c'erano aspetti di eredità futura, diciamo così, che causavano problemi. Ci sarebbe stato un aggravio pesante per un'amministrazione comunale piccola come quella di Piné, che avrebbe dovuto garantire la gestione futura. Ti tremano le gambe. Io credo che rinunciare sia stata una scelta azzeccata. Anche perché l'eredità futura di Baselga è impostata. L'impianto è di altissimo livello, ed è già in fase di valutazione, tra la Federazione italiana e quella internazionale, la realizzazione di eventi di livello».Nessuna anticipazione, oltre a quel che è già uscito nei mesi scorsi?«Assieme alla Lombardia il Trentino sarà candidato ai giochi olimpici giovanili del 2028. E poi si sta lavorando in modo riservato per preparare il dopo il 2026. Ma si parla di eventi di coppa del mondo e campionati del mondo, nulla di programmato, ma le federazioni lavorano».Quindi perdita ricompensata.«Io non parlerei di perdita ma di scelta oculata. Io la vedo così».Torniamo ai conti. La fondazione Milano Cortina ha chiuso il bilancio 2022 con 54 milioni di passivo. È preoccupante o è in linea con le previsioni, posto che l'attività della Fondazione è per definizione spalmata da qui al 2026?«È così. L'obiettivo è avere oggi del debito, per poi andare in pareggio tra tre anni: oggi va realizzata la maggior parte degli investimenti, che saranno pronti per gli anni prossimi, quando entreranno anche gli sponsor e inizieranno ad entrare le diverse tranche dei finanziamenti. Ma l'obiettivo è raggiungere il pareggio di bilancio nel 2026, il bilancio in rosso oggi non può essere visto come uno scandalo».A proposito di sponsor. Sembra ci sia difficoltà a trovarli. È perché la corsa verso le olimpiadi è iniziata in anni difficili, tra Covid e successiva crisi, o l'evento è ora meno appetibile? In sintesi, gli sponsor arrivano, o vanno cercati con fatica?«Bisogna cercarli con difficoltà. L'appetibilità dell'evento è ancora alta, ma sono anche molto alti gli importi che chiediamo. C'è un atteggiamento molto attento da parte delle aziende, ma oggi nel mondo delle sponsorizzazioni c'è sempre maggior cautela. Ci si chiede: "I miei clienti e i miei potenziali interlocutori hanno già grande attenzione per le olimpiadi, evento bello ma che si svolgerà tra tre anni?" Alcuni aspettano. Ma l'obiettivo è quello di arrivare a 600 milioni. E credo che alla fine arriveremo agli importi annunciati».L'opinione pubblica è pronta? E quanto serve un'opinione pubblica ben disposta verso le olimpiadi?«Chi si occupa di sport e forse chi vive in val di Fiemme, sa tutto, si informa. Credo che l'attenzione dell'opinione pubblica sarà però generalmente più attenta sotto data».Quando il territorio si preparerà ad accogliere atleti e visitatori. A proposito di questo, nel business plan avete fatto previsioni riguardo a quante persone può portare in generale questa olimpiade e nello specifico in Trentino, per la sua parte?«Abbiamo fatto solo stime spannometriche, non ha senso dare delle cifre. Solo tra addetti ai lavori, tra atleti e dirigenti, sponsor, media, in Trentino agli eventi ci sarà una quantità di persone che varierà da 7 a 10 mila, ma molta gente sarà in val di Fiemme per un giorno, perché magari risiederanno a Cortina e verranno per seguire la singola competizione. Per il resto, non ha senso dare numeri adesso. Io credo che l'obiettivo che dobbiamo porci è che il Trentino, tutto il Trentino, sia il più accogliente possibile. Il pubblico extraeuropeo che arriverà in Italia arriverà perché appassionato di queste discipline, certo. Ma sarà anche interessato a visitare altri luoghi se la proposta turistica sarà interessante».
p. 26
Due settimane di attesa poi il Dpcm sulle Olimpiadi
CORTINA
Viva attesa del nuovo Dpcm per partire con le varie gare d'appalto olimpiche. Quella per la pista di bob, per la verità, è già in corso. Le buste verranno aperte il 30 luglio. Per quella data il provvedimento governativo sarà già varato.
Ieri, dalla cabina di regia con ministeri, Fondazione Milano Cortina, Società infrastrutture, Regioni, Province e Comuni, si è capito che ci vorranno ancora dieci giorni, forse quindici, perché il ministero Economia e finanze ha chiesto delle precisazioni. Entro l'inizio della prossima settimana, il Dpcm sarà al vaglio del Consiglio dei ministri.
«A Cortina lo attendiamo con ansia, ma anche con fiducia», afferma il sindaco Gianluca Lorenzi, «perché dà puntuale copertura giuridica alla gara per la pista, considerata dalla società Simico, la più iconica fra le opere olimpiche. Non solo, il Dpcm dà il via libera anche alle gare per il villaggio di Fiames, ovviamente confermato, e per il primo stralcio della circonvallazione di Cortina, dalla statale Alemagna fino ai campi Apollonio».
Quanto, ancora alla nuova Eugenio Monti, agosto servirà per l'assegnazione formale del cantiere, mentre i lavori dovrebbero iniziare a settembre.
Ieri il presidente della Fondazione e del Coni, Giovanni Malagò, si è complimentato con l'ad di Infrastrutture Milano-Cortina, Luigi Valerio Sant'Andrea, per aver accelerato l'iter tecnico burocratico della pista di bob, oltre che per la qualità del progetto. Malagò ha riferito di un recente vertice con il Comitato olimpico internazionale che ha raccomandato il rispetto della tempistica degli impianti sportivi, che devono necessariamente essere pronti fra un anno e mezzo, quindi per il febbraio 2025, per le pre-gare.
«Mi pare che Sant'Andrea abbia recuperato efficacemente sui ritardi del passato», ha commentato il sindaco Lorenzi. «Adesso si tratta di andare avanti senza farci distrarre da nulla».
La "distrazione" sarebbe il villaggio olimpico proposto all'ex Eni di Borca? «Sinceramente non capisco l'insistenza. La scelta di Fiames è stata fatta. Il progetto è in fase avanzata di redazione. Perché ancora tante e tale turbativa? Dove si vuole andare a parare? Si remi per la buona riuscita delle Olimpiadi; ne guadagneranno tutte le Dolomiti».
Tra fine anno e inizio 2024 partiranno anche gli altri cantieri, bretella della circonvallazione e opere relative nonché il villaggio. Il ministro dello sport, Andrea Abodi, salendo domani a Treviso per partecipare a "L'Alfabeto del futuro", farà senz'altro il punto della situazione. Le sorprese sono sempre dietro l'angolo. L'ultimo caso è quello dello stadio del biathlon di Anterselva, centro nevralgico della disciplina in Italia. Il Tar di Bolzano ha fermato momentaneamente l'appalto da 40 milioni per l'ampliamento. Visto il ricorso presentato dall'impresa seconda classificata per l'appalto.
È la grande paura che si ammette anche a Cortina, per le opere ai piedi delle Tofane. Il sindaco di Anterselva, Thomas Schuster, ha rassicurato: il cantiere è ancora ampiamente nei tempi previsti.
«Noi a Cortina abbiamo invece i te mpi contati», ammette il sindaco Lorenzi. «Ma ci regge la fiducia che l'efficacia e la trasparenza dei percorsi siano davvero premianti». Francesco Dal Mas
p. 34, edizione Belluno
Opere olimpiche: ruspe all'orizzonte
CORTINA
Nei prossimi anni ci saranno cantieri ovunque, nella valle d'Ampezzo, per realizzare alcune delle opere, sportive e infrastrutturali, previste per i Giochi olimpici e paralimpici invernali Milano Cortina 2026. A cominciare da settembre, con l'avvio della riqualificazione della pista per le gare di bob, skeleton e slittino, fra gli abitanti di Ronco e Cadelverzo, c'è la possibilità di assistere a continui scavi e costruzioni. Lo ha confermato il sindaco ampezzano Gianluca Lorenzi, nelle sue comunicazioni, che hanno chiuso il consiglio comunale di ieri mattina: «Ho voluto avere qualche dato in più da Luigivalerio Sant'Andrea, commissario per le opere dei Giochi 2026, sui lavori, i cantieri che coinvolgeranno Cortina, e voglio renderlo noto». IL PIANOIn ordine cronologico, il primo cantiere ad avviarsi potrebbe essere quello del nuovo Sliding Centre, con scadenze diverse. In questi giorni è aperto il bando europeo, per individuare l'impresa che costruirà il nuovo impianto sportivo, che prevede 807 giorni di lavoro, sino alla consegna dell'opera finita, il 15 novembre 2025. Con un conto a ritroso si arriva addirittura a fine agosto 2023, per i primi colpi di ruspa, se dovessero rimanere questi i termini. È previsto che il solo budello di cemento, da gelare artificialmente, sia utilizzabile ormai dall'inverno precedente, dalla fine del 2024, per le gare test di inizio 2025, a un anno dai Giochi. Oltre alle opere sportive, si guarda alle strade, da fare prima del cantiere più grande mai visto in Ampezzo, per la variante alla statale di Alemagna. Questo però sarà posticipato, per non intralciare i Giochi, e si avvierà nell'estate 2026. «La sistemazione del Lungoboite e del ponte Corona potrebbe plausibilmente iniziare a novembre, oppure dicembre 2023, con il termine del cantiere nel dicembre 2024», ha spiegato ieri il sindaco Lorenzi. I VANTAGGIQuest'opera dovrà contribuire a togliere il traffico dalle strade e dalle piazze del centro, spostando i veicoli lungo l'asta del torrente Boite. Sempre aspettando che finisca l'eterno cantiere Anas per il nuovo manufatto di Crignes. I mesi scorsi sono state posate le lunghe travi d'acciaio, ora si aspetta che Anas finisca l'intervento. «Per la bretella di penetrazione, a sud di Cortina, è plausibile l'inizio del cantiere nel maggio 2024, con la fine nell'ottobre 2025», ha detto ancora Lorenzi. Questa strada, sulla sinistra orografica del Boite, dovrebbe portare il traffico di ingresso al paese, proveniente dal Cadore, da Coiana sotto la attuale via delle Guide Alpine, le due caserme di Carabinieri e Vigili del fuoco, per superare il torrente Boite e arrivare nel piazzale di Revis, sotto le scuole, il tennis, il cimitero. Lì dovrebbe sorgere un nuovo parcheggio interrato multipiano, con annessa la stazione a valle di una nuova cabinovia, per avviare gli sciatori ai comprensori di Socrepes, Tofana, Ra Vales, Cinque Torri, sino ai passi Falzarego e Giau. Marco Dibona© riproduzione riservata
Corriere del Trentino | 4 luglio 2023
p. 10
Brenta Open, la montagna inclusiva tra atleti e alpinisti
Chiara Marsilli
La montagna, lo sa bene chi la conosce, non è solo sfida fisica: è soprattutto una gara con i propri limiti mentali, un banco di prova di qualità umane e morali. La nona edizione di Brenta Open è l’appuntamento nato per promuovere una montagna inclusiva e accessibile a tutti, dimostrando come le terre alte siano aperte a chiunque voglia conquistarle. L’evento si terrà l’8 e il 9 luglio nella splendida cornice del Rifugio XII Apostoli, a 2.489 metri di altitudine, e vedrà protagonisti gli atleti paralimpici Nicolle Boroni, Gianluigi Rosa e Kevin Ferrari e persone con disabilità, con la partecipazione dei ragazzi del Liceo Scientifico per le professioni del turismo di montagna di Tione di Trento.
Ospite speciale l’alpinista trentino Ermanno Salvaterra, cresciuto proprio al Rifugio XII Apostoli gestito dalla sua famiglia. «Brenta Open è un evento dove la storia di pochi diventa conquista di molti e che vuole ricordare e sottolineare come la forza di volontà, con soluzioni innovative e inaspettate, sia in grado di rendere accessibili luoghi naturali che nell’immaginario presentano barriere insormontabili», spiega Luca D’Angelo, direttore dell’Apt Dolomiti Paganella. Le Dolomiti, nel 2009 riconosciute Patrimonio Unesco, sono un bene comunitario che appartiene veramente a tutti: «Qualcosa di possibile solo se se diventa fruibile dall’intera comunità, indipendentemente dalle caratteristiche fisiche del singolo» ricordano gli organizzatori di Dolomiti Open, l’associazione sportiva dilettantistica nata per stimolare e divulgare la cultura di uno sport accessibile e inclusivo.
L’intero programma è gratuito e a libera partecipazione di chi si vorrà unire. La due giorni in quota prenderà il via la mattina di sabato 8 luglio, quando i partecipanti si ritroveranno al parcheggio di Malga Movlina in Val Algone per salire al Rifugio XII Apostoli, dove dal pomeriggio sarà possibile ascoltare racconti e suoni DoloMitici con il giornalista di montagna Rosario Fichera e altri interpreti. A seguire, le «Interviste impossibili» di Marcello Palmieri con i pionieri dell’alpinismo Dolomitico.
Domenica 9 luglio la giornata sarà dedicata alla scalata della Cima XII Apostoli (2.699 metri) e delle torri di Cima d’Angola (2.959 metri) da parte degli atleti paralimpici. Per chi volesse mettersi alla prova in un ambiente più controllato, dalle 9 alle 13 sarà possibile fare delle prove libere sulla parete della palestra d’arrampicata del Rifugio XII Apostoli o un’escursione a cima Susat 2.890 metri. Per tutti, prima di pranzo sarà possibile assistere al concerto «Echi dalle cime», un’esecuzione «in botta e risposta» dalle cime tra il sax di Michele Selva e la tromba di Michele Pavesi, come un abbraccio di musica alle montagne. Brenta Open si chiuderà con le date speciali del 19 luglio e 9 agosto a Molveno e del 24 agosto a Pinzolo, tre serate evento aperte al pubblico durante le quali sarà possibile vivere il racconto di Brenta Open attraverso immagini, musica e le storie dei protagonisti.
L’Adige | 8 luglio 2023
p. 33
Tre disabili sfidano i limiti
GIULIANO BELTRAMIRENDENA - Trasformare i vincoli in opportunità. Sembra uno slogan usato dai formatori aziendali e spesso lo è. Ma c'è anche chi ne fa una ragione di vita: chi ha vinto battaglie partendo dalle retrovie. Ci concederanno di dire dalle sfighe? E ci sono persone capaci di dimostrare che la montagna è per tutti. Noi obiettiamo: non per tutti (il politicamente corretto non funziona), ma per i coraggiosi: per coloro, appunto, che sanno osare.Tutto ciò per annunciare "Brenta open", che fra oggi e domani, partendo dal mitico rifugio XII Apostoli porterà disabili in parete. Con tre testimonial simbolo proprio della capacità di osare: Nicolle Boroni (alpinista e influencer che gioca in casa: infatti è rendenera di Bocenago), Gianluigi Rosa (atleta paralimpico di hockey, di Lavis) e Kevin Ferrari (alpinista paralimpico di Puegnago del Garda, zona Salò, con all'attivo spedizioni anche all'estero), uniti da una caratteristica, un'amputazione agli arti. E da un'altra: la capacità di gettare il cuore oltre l'ostacolo."Brenta Open", fra oggi e domani, una "due giorni" (giunta alla nona edizione) lanciata da Simone Elmi, guida alpina di Molveno (supportata anche dall'Apt Madonna di Campiglio), con l'obiettivo di rendere le Dolomiti Patrimonio dell'Umanità fruibili da tutti, perché nell'umanità ci sono dentro tutti. "Dolomiti Open", l'associazione sportiva dilettantistica nata per stimolare e divulgare la cultura di uno sport accessibile e inclusivo, aspetta chi vuol venire. Perché si definisce «una grande famiglia che comprende guide alpine, giornalisti, sportivi, appassionati di montagna e persone attive nel mondo della cultura».Oggi sarà dedicato all'arrivo dei partecipanti, condito con alcuni momenti culturali; domani, invece, la cordata di "Brenta Open", divisa in due gruppi con gli atleti e gli organizzatori insieme alle guide alpine appositamente formate per l'accompagnamento di persone con disabilità, scalerà la cima XII Apostoli (guardando il mondo dai 2.699 metri di altezza) e la cima d'Agola, un centinaio di metri più in basso. Alle 11.30 la suggestione ammaliante della musica: concerto da una vetta all'altra, con Michele Selva al sax e Michele Pavesi alla tromba. Niente da aggiungere, perché il rischio di scivolare nella retorica è troppo facile.Avviso degli organizzatori: «Tutti gli alpinisti e gli escursionisti che lo desiderano potranno unirsi alla "compagnia" di Brenta Open. Nel frattempo, nel parco della Conca Verde, a Madonna di Campiglio, è allestita la mostra fotografica che ripercorre le otto edizioni precedenti. L'edizione di quest'anno sarà invece raccontata al pubblico in 3 incontri speciali: il 19 luglio e il 9 agosto a Molveno, nel piazzale della chiesa, il 24 agosto a Pinzolo, in piazza Carera».Altro racconta con orgoglio chi organizza. Ad esempio che da diverse edizioni si aggiungono alla compagnia gli studenti del liceo scientifico per le professioni del turismo di montagna di Tione. Quest'anno, poi, per la prima volta si aggiunge il famoso alpinista e guida alpina Ermanno Salvaterra, "l'uomo del Torre", come è conosciuto, per le straordinarie imprese compiute sul Cerro Torre e la conoscenza della Patagonia. Fra l'altro la sua famiglia ha gestito per 60 anni il XII Apostoli.Il programma prevede per questa mattina il ritrovo al parcheggio di malga Movlina, in Val d'Algone, e l'inizio del trekking per raggiungere il rifugio XII Apostoli. Domattina, sveglia presto, e via verso le vette, verso il cielo.
Gazzettino | 12 luglio 2023
p. 34, edizione Belluno
La sfida di Pesce: percorrere il "Durissini" con i disabili
Da oggi a sabato si sviluppa, fra Cortina e Auronzo, la Cadini Experience di Moreno Pesce e dei suoi compagni del Team 3 Gambe. L'evento è stato pensato per rendere protagoniste, in montagna, anche le persone che hanno difficoltà motorie. L'impegnativa organizzazione coinvolge la società Cortina 360, che gestisce la palestra di roccia Lino Lacedelli; Fondazione Cortina, che organizza i grandi eventi sportivi, in vista di Olimpiadi e Paralimpiadi 2026; il Cai Veneto.
Il programma prevede oggi l'arrivo a Cortina, con la sistemazione. Domani mattina si arrampicherà, alla palestra di roccia di Sopiazes, accanto allo stadio Olimpico, a pochi passi dalla pista da bob Eugenio Monti. Nel pomeriggio trasferimento a Misurina, per un trekking pomeridiano e la salita al rifugio Città di Carpi. Venerdì 14 ci sarà il trekking lungo il sentiero attrezzato Durissini, attorno ai Cadini di Misurina, passando per il rifugio Fonda Savio. «Quello dei Cadini di Misurina è un viaggio che da molti anni ho in sospeso con quelle montagne dichiara Pesce e sono curioso di guardare i panorami che si possono ammirare dalle bellissime forcelle di quel gruppo dolomitico. Per me è un percorso interrotto a suo tempo e che punto a concludere. E' un anello difficile. Non è un sentiero facile il Durissimi. Questo è il motivo per il quale ho chiesto il supporto e l'accompagnamento delle guide alpine». Il progetto Cadini Experience vuole dare una risposta al problema dell'invalidità, lanciando un messaggio di inclusione e di avviamento allo sport, il completamento del percorso attorno ai Cadini di Misurina da parte di un team di persone con e senza disabilità. Sarà sottolineata l'importanza della motivazione personale, che permette di raggiungere obiettivi che altrimenti parrebbero impossibili.
LA PRUDENZA
È però altrettanto importante la valutazione delle proprie capacità, basata su una accurata preparazione, fisica e mentale. Tutto ciò senza dimenticare l'aspetto fondamentale della collaborazione, dello spirito di squadra, che deve essere collaborativo e non competitivo. Inevitabile il ruolo della prudenza, oltre alle competenze, per valutare la fattibilità di qualsiasi esperienza, così da poterla mettere in atto in modo professionale e sicuro. Tutto ciò nella certezza che il movimento, anche in montagna, fa bene alle persone con disabilità fisiche o sensoriali. Anche questo progetto viene a sommarsi a tante altre iniziative, in una Cortina che guarda ai sempre
più vicini Giochi paralimpici invernali 2026
Messaggero Veneto | 7 luglio 2023
p. 34, edizione Pordenone
I cento siti geologici mondiali Inserita anche la frana del Toc
fabiano filippin
Nuovo riconoscimento internazionale per il Vajont dopo la tutela da parte delle Nazioni Unite: la frana del monte Toc è stata infatti inclusa tra i primi 100 siti geologici di interesse mondiale da parte della "International union of geological science". Si tratta dell'associazione che raggruppa gli esperti del settore del pianeta, condividendo ogni informazione utile raccolta sul campo. La notizia è stata ufficializzata in queste ore ai Comuni di Erto e Casso e Longarone e alle Regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto. A annunciare l'evento è stato Mario Soldati, il presidente della società nazionale di geografia fisica e geomorfologia, docente all'università di Modena.
L'iter si è concluso solo dopo un'accurata istruttoria selettiva da parte di trenta valutatori che hanno analizzato oltre 180 luoghi sparsi in 56 Paesi. L'inserimento dei detriti del Toc tra i siti più significativi apre ovviamente le porte a un'altra serie di iniziative nel nome del Vajont. Dagli stage degli atenei ai convegni passando per forme di turismo intelligente, sono infatti molteplici le possibilità di sviluppo del territorio che derivano dalla decisione dei massimi esperti della materia.
«Siamo ancor più contenti per questa ennesima attestazione del valore storico della tragedia – ha commentato il sindaco di Erto e Casso e presidente del Parco naturale delle Dolomiti friulane Fernando Carrara –. Tra poche settimane in valle si terranno le cerimonie per il 60º anniversario della sciagura. Ottenere un marchio internazionale che va a aggiungersi a quelli già esistenti non fa che vincolare
positivamente il futuro di queste terre: nessuno un domani potrà negare quanto accadde la notte del 9 ottobre 1963 o cercare di minimizzarlo».
Sulla stessa linea d'onda il primo cittadino di Longarone e presidente della Provincia di Belluno, Roberto Padrin. «Siamo soddisfatti perché non solo la politica e le istituzioni ma anche i professionisti certificano nero su bianco la portata immane della catastrofe e i suoi effetti sull'ecosistema – ha detto da parte sua Padrin, che è pure a capo della fondazione Vajont –. La frana del monte Toc rappresenta un monito rivolto agli uomini perché non sottovalutino la Natura e il riconoscimento delle ultime ore è un segnale che va proprio in questo senso" ha osservato infine l'assessore all'ambiente della Regione Fvg Fabio Scoccimarro. La candidatura internazionale dell'immensa porzione di rilievo collassata ai piedi della diga di Erto e Casso è stata avanzata mesi fa da una commissione di esperti della International association of geomorphologist. Il gruppo di componenti dello Iag ha trovato sostegno e impulso nei colleghi dell'ateneo di Modena e Reggio Emilia e dell'Istituto di protezione idrogeologica di Padova che fa capo al Consiglio nazionale delle ricerche.
In particolare è stato valutato l'impatto avuto dal crollo sul paesaggio: è quasi impossibile che un fatto storico modifichi il panorama in pochi secondi, come invece avvenuto sessanta anni fa quando la valle venne riempita da quasi 300 milioni di metri cubi di inerti. Certamente si discuterà anche di questo a Longarone il prossimo ottobre quando, nell'imminenza delle commemorazioni vere e proprie, la cittadina bellunese ospiterà una delegazione mondiale di geologi. Si tratterà di una delle maggiori riunioni di accademici mai tenutasi prima d'ora in Italia. All'aspetto morale e di ricordo si affianca quindi la concretezza dello studio per evitare il ripetersi di tragedie analoghe .
L’Adige | 8 luglio 2023
p. 5
Tonina: «La diga del Vanoi vedrete, non si farà mai» Ma il Consorzio insiste gigi zoppellolamon. La diga sul Vanoi che la Regione Veneto, tramite il Consorzio Bonifica del Brenta, «non si farà». È quello che i sindaci della zona volevano sentirsi dire, ed è quello che il vicepresidente della giunta provinciale (e assessore) Mario Tonina è andato a dirgli, proprio sul crinale della val Cortella dove il «serbatoio» si vorrebbe costruire.Un incontro che è servito a chiedere conto di tante domande. A ricevere a Mario Tonina c'erano il giovane sindaco di Lamon, Loris Maccagnan, e il suo vice Gian Pietro Da Rugna; ma anche il sindaco di Canal San Bovo Bortolo Rattin e quello di Cinte Tesino, Leonardo Ceccato. Perché la diga sorgerebbe al confine di Lamon (tecnicamente: metà diga sarebbe su Lamon, il resto su territorio trentino) ed il l bacino della diga - lungo 4,5 chilometri, per 33 milioni di metri cubi d'acqua - sarebbe tutto in terra trentina: la sponda destra orografica su Cinte, quella sinistra su Canal San Bovo.«La mia posizione su questa opera è sempre stata chiara - ha detto loro Tonina, rassicurando - Non si deve fare e non lo permetteremo. Prima che una decisione politica, sono i tecnici a dire che la val Cortella è una zona che presenta tutta una serie di criticità dal punto di vista geologico e idrogeologico».E il sopralluogo è stato proprio nel punto della grande frana che nel 2010 si è abbattuta sul torrente, documentata su queste pagine l'altroieri con le foto di Renato Orsingher.Tonina ha anche spiegato che il governatore Luca Zaia si è mosso da solo, senza coinvolgere Maurizio Fugatti o la giunta: «Lo hanno fatto senza mai essersi confrontati con noi - garantisce Tonina - Su questo tema Zaia non ha mai contattato il presidente Fugatti». Affermazione smentita nell'aula del Consiglio Regionale Veneto, dal capogruppo leghista Pan, nella seduta di quasi un anno fa nella quale dichiarava che sono stati avvertiti la Provincia di Trento e Dolomiti Energia (ed è nel verbale pubblico della sessione).La domanda è sempre la stessa: perché, dopo sessant'anni dai primi progetti (che videro protagonista anche l'Enel) , questa volta la diga del Vanoi ha ottenuto un iter velocissimo ed è arrivata a essere inserita nei progetti nazionali del Pnrr?I peggiori timori sembrano concretizzarsi, dato che a maggio il governo ha nominato il commissario straordinario per la siccità, il veronese Nicola Dall'Acqua . Che fra gli altri compiti, ha dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini il via libera per costruire al più presto invasi e «serbatoi» di acqua per l'uso irriguo in pianura padana.E qui la lettura dei retroscena la fa direttamente il vicepresidente della giunta provinciale, Tonina: «Il Veneto pensava che con la nomina del commissario potesse avere campo libero - dice l'assessore trentino - In conferenza Stato-Regioni io e il presidente altoatesino Arno Kompatscher abbiamo presentato un emendamento per introdurre la necessità del rispetto del nostro statuto di autonomia, per ogni decisione che prenderà il commissario. Il Veneto ci ha votato contro, ma noi in questo modo ci siamo tutelati. Se non trovano la nostra condivisione sull'opera, se la sognano» .Durante l'incontro poi si è parlato anche della risposta che, in settimana, il Consorzio Bonifica del Brenta ha inviato in risposta alla lettera dei tre sindaci (lettera che non è mai stata resa pubblica, perché «non è il caso», a detta dei primi cittadini ai quali l'avevamo chiesta).Nella replica alla lunga serie di osservazioni (ad esempio sulle criticità geologiche dell'area, ma anche sulla modalità che non ha tenuto conto delle comunità locali interessate), il Consorzio veneto sembra non essere per nulla spaventato dai «niet» di Trento. Anzi.«L'opera - afferma il Consorzio - si è classificata ai vertici di una recente graduatoria nazionale sulle opere di valenza strategica e di conseguenza il nostro Consorzio, con apposito decreto di finanziamento, è stato incaricato dal Ministero delle Politiche Agricole di approfondire gli studi già in passato. Siamo ancora in una fase di progettazione, per
cui si ritiene sia presto per poter avere un quadro ben definito, e per questo non vi abbiamo ancora contattato».D'altronde, per il Consorzio non si capisce dove stia la novità: della progettazione dell'opera se ne parla almeno dagli anni '60, ma adesso ci sono dei buoni motivi in più per realizzarla.«Il cambiamento climatico - prosegue infatti il testo la lettera arrivata dal Brenta - impone di esaminare tutte le soluzioni che garantiscano il miglioramento delle condizioni di sicurezza idraulica del territorio. Una migliore regolazione dei deflussi porta a vari benefici ambientali, pensiamo poi allo sviluppo del settore turistico legato alla fruizione di specchi acquei».E poi, secondo la lettera del Consorzio Brenta, è ancora tutto da discutere: «Nostro primario obiettivo è che l'opera, molto attesa dalla vallata del Brenta, non crei problemi al territorio locale. La diga potrebbe favorire anche benefici locali che abbiamo la massima volontà di condividere. Saremo ben lieti di collaborare con il territorio, pur non essendo noi i decisori finali. Restiamo quindi molto volentieri a disposizione per incontrarvi».
Corriere delle Alpi | 8 luglio 2023
p. 27
Un nuovo modo di progettare I geologi tornano a parlare di Vajont
longarone
Sessant'anni anni dopo, il disastro del Vajont ha insegnato davvero qualcosa? La diga è ancora in piedi, è un "orgoglio" dell'ingegneria italiana del dopoguerra. Ma dal punto di vista della scienza della terra? Nel 2013, in occasione del Cinquantennale, i geologi italiani salirono a Longarone per chiedere perdono degli errori dei colleghi. E per proporre una riconciliazione.
E dieci anni dopo quel "mea culpa"? I geologi ritorneranno ai piedi della diga del Vajont, il 29 e 30 settembre, per dire che non sono ancora del tutto soddisfatti. Ma anche per ammettere che il nuovo concetto di utilizzo delle scienze geologiche in fase di Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica, preliminare alla progettazione e realizzazione dell'opera, prevista nel Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, è un passo avanti. Perché determina – così hanno spiegato ieri a Palazzo Piloni, in Provincia – un nuovo paradigma di approccio alla progettazione, che vede il geologo inserito a pieno titolo nel gruppo di progettazione.
Ne hanno trattato, ieri in Provincia, Arcangelo Francesco Violo presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, il vicepresidente Paolo Spagna, e il presidente dell'Ordine regionale dei geologi di Veneto, Giorgio Giacchetti. Erano presenti anche Roberto Padrin sindaco di Longarone e Antonio Carrara, primo cittadino di Erto e Casso.
Violo ha detto chiaro e tondo che in base al nuovo Codice, non vi può essere opera pubblica, soprattutto se di notevoli dimensioni come quelle olimpiche, che non passi per una puntuale indagine geologica. Ed ecco che il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ha visionato alcuni progetti infrastrutturali, ha trovato che vi erano dei problemi ed ha fissato delle prescrizioni.
L'opera più discussa pare sia stata la variante di Longarone, per la quale i rappresentanti del Consiglio nazionale dei geologi hanno sollevati la necessità di correzioni. In particolare nell'attraversamento delle zone umide lungo il Piave, da Pian di Vedoia alla Fiera di Longarone. Tant'è che si è deciso di abbandonare la muraglia di ghiaia lungo il Piave e di affidarsi ai viadotti. Violo ha fra l'altro aggiunto che per questa infrastruttura come per le altre è sì indispensabile l'indagine relativa alla progettazione, per fare in modo che i rischi siano ridotti vicino a quota zero ("non possono essere eliminati del tutto"), ma è altrettanto necessario fissare il monitoraggio successivo – cioè una volta che l'opera sia in corso – e garantire la conseguente manutenzione. Si tratta, cioè, di mettere in conto anche la spesa di eventuali interventi. E questo vale per tutte le opere comprese nello stanziamento dei 2 miliardi che si investiranno in provincia di Belluno.
È evidente che non potevano mancare, al riguardo, precisi riferimenti a situazioni molto esposte, dalla diga di Vanoi all'ex Villaggio Eni. Paolo Spagna è stato esplicito nel condividere le preoccupazioni dei residenti della valle del Vanoi e della Provincia di Trento sulle ricadute che avrebbe la costruzione di un invaso come quello ipotizzato. Al di là della t enuta dei versanti di montagna coinvolti dal bacino, non si può prescindere, secondo i geologi, da un'indagine su tutto il contesto ambientale, quello ben più vasto dell'ambito del serbatoio. La valutazione che va fatta e di cui si dovrà tener conto, nel rispetto proprio del Codice dei contratti, è di carattere tecnico scientifico, quindi anche geologico, ma pure sociale ed economico. Ritorna, dunque, il confronto fra costi e benefici. Vale lo stesso discorso per l'ex villaggio Eni, dove, si è osservato, l'esistenza del movimento franoso non è un qualcosa che si può superare modificando semplicemente la mappe. Violo l'ha confidato con chiarezza: c'è l'esigenza di fare in fretta, di stringere i tempi per recuperare i ritardi, ma attenzione, ad esempio, ai commissariamenti e alle semplificazione, specificatamente alle deroghe. Un richiamo, dunque, a coinvolgere sempre e dovunque i geologi. Mentre – ha sottolineato, con amarezza, Spagna non lo si è fatto nel caso di Borca di Cadore, cioè nella proposta di rilancio dell'ex Eni come sede del villaggio olimpico. I temi ritorneranno nel convegno di fine settembre, in cui è stato auspicato che ci possa essere anche un sereno confronto tra i geologi e le istituzioni, la Regione in primis. A tema potrebbe essere proprio il Vanoi come caso esemplificativo. Il presidente nazionale Violo si è chiesto, ad esempio, se la costruzione di invasi è proprio la soluzione ottimale per risolvere il problema della siccità. Lui ha dei punti interrogativi.
Francesco Dal Mas
Corriere delle Alpi | 12 luglio 2023
p. 17
Italia Nostra contro la Regione «Sfrontata sul progetto del Vanoi»
Giù le mani dal Vanoi. Nessuna diga è compatibile. Lo sostiene, in termini perentori, Italia Nostra, che boccia il progetto di invaso approvato dalla Regione Veneto e richiama la Provincia di Trento alla più dura opposizione. L'organizzazione, ricordando i tanti no, anche istituzionali, del passato, afferma che: «Pure nella proposta di oggi sono prevalenti gli aspetti idroelettrici e quello irriguo dell'assetata pianura e delle sue monocolture agricole, gestite a nostro avviso ancora in modo superficiale e dispendioso». Ma quello che sconcerta dell'intera vicenda, secondo Italia Nostra, è il metodo adottato dalla Regione Veneto: «Nell'imporsi e affidare a una ditta privata il progetto, in assenza di una minima concertazione con i sindaci interessati e con la Provincia autonoma di Trento». Di più. Per l'autorevole associazione, la Regione Veneto ha avuto: «La sfrontatezza di imporre a un'altra realtà istituzionale un'opera tanto impattante: si rimane basiti. Qualunque amministrazione che porti rispetto ai cittadini avrebbe prima avviato un confronto con le popolazioni interessate. Qualora si fosse trovato un improbabile consenso si sarebbe dovuto aprire un confronto con i servizi della Provincia di Trento e gli steakholders». Inoltre, in base ai riscontri di Italia Nostra, la progettazione utilizzata per affidare l'incarico del progetto esecutivo: «Sembra essere priva di indagini aggiornate sul profilo geologico». Eppure il percorso che l'Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente, sta seguendo nel rapporto "I cambiamenti climatici in Trentino" avrebbe dovuto fare da base per ogni decisione. Come del resto non si ritrova traccia di un solo passaggio sulle valenze naturalistiche e paesaggistiche della valle e dei corsi d'acqua interessati, specie del territorio del Vanoi ancora relativamente integro. Non si è affrontato alcun studio sui rischi sanitari. Dal punto di vista identitario e paesaggistico la eventuale costruzione della diga romperebbe l'incantesimo di una vallata miracolosamente ancora integra e sconvolgerebbe delicati equilibri naturalistici, storici, culturali. Quali, poi, sono le garanzie di sicurezza proposte? «Assenti», afferma Italia Nostra. Tutti e due i versanti (Canal San Bovo e Cinte Tesino) sono classificati nella zona rossa di rischio geologico. L'associazione ricorda che già nel 2010 una frana di grandi dimensioni era caduta in Val Cordella, interessando la vecchia strada e sconvolgendo gli equilibri già precari del versante. «Dopo Vaia i rischi sono aumentati, si contano a decine le frane sui versanti. Nel progetto non si trovano risposte a questi temi se non la riedizione dei vecchi studi del 1959 che già allora evidenziavano problemi da non sottostimare. E della possibile modifica del microclima dell'intera vallata? Non una parola».
Il Nuovo Trentino | 14 luglio 2023
p. 1
«Diga sul Vanoi? La vogliono»
SOVRAMONTE (BL). No, no e ancora no. Ma dall'altra parte «costruire una diga fa girare tanti soldi. Tanti, tanti soldi». E così il sindaco di Sovramonte Federico Dalla Torre spiega che «La vogliono fortemente, perché è un'occasione unica e irripetibile. Ci sono i soldi, e se non si fa adesso, non si fa più».Ecco spiegata la fretta del governatore Zaia e del suo assessore Caner, che zitti zitti hanno affidato al Consorzio di Bonifica del Brenta l'incarico di progettazione. Con lo scopo di rifornire di acqua la pianura veneta.«Ma abbiamo uno studio di fattibilità per lo svuotamento dei bacini di Ponte Serra e dello Schener: dice che si potrebbe ampliare la capacità di acqua di nove milioni di metri cubi lungo il Cismon, senza dover fare un altro invaso» dice il sindaco del paese che si affaccia sulla Val Rosna. E chi lo ha fatto lo studio? «La Regione Veneto, nel 2010!»Dalla Torre, comunque, resta contrario e convinto che l'opera è «irrealizzabile». Soprattutto per i gravissimi problemi di stabilità geologica dei versanti della Val Cortella, dove dovrebbe svilupparsi il bacino di 4,5 chilometri di fronte a Canal San Bovo, tutto in territorio trentino. «Non ci hanno detto niente, neanche a noi comuni di Belluno» dice il sindaco. E sul rischio geologico, ricorda, la situazione della Val Cortella è drammaticamente simile a quella del monte Toc, sopra la diga del Vajont: «Anche lì si sapeva, ma fu tutto insabbiato. Almeno stavolta non si venga a dire che nessuno lo aveva detto prima. Non è possibile, ma la vogliono fortemente» conclude il primo cittadino, in accordo anche con Lamon.gigi zoppello A PAGINA 3
Il Nuovo Trentino | 14 luglio 2023 p. 3
«Diga sul Vanoi? Ci provano con forza»
gigi zoppello sovramonte (BL). In questi giorni il sindaco Federico Dalla Torre di Sovramonte, comune bellunese che si affaccia fino alle sponde del Cismon, ha rilanciato l'idea: inutile fare una nuova grande diga sul Vanoi, meglio svuotare dai detriti i bacini di POnte
Serra e dello Schener: si recupererebbero nove milioni di metri cubi di capienza. Abbastanza per soddisfare la «sete» del Consorzio di Bonifica del Brenta.Dalla Torre, questo progetto ce l'avete fermo dal 2010...Guardi che questo progetto non è di Sovramonte: è stato fatto dalla Regione Veneto! E non è un'idea, è uno studio di fattibilità, completo. Lo ha fatto la Regione perché, essendo interessati due Comuni (Sovramonte e Lamon), serviva un ente terzo.Cosa dice questo vostro progetto?Il progetto diceva già 13 anni fa che nel bacino della diga di Ponte Serra si possono svuotare 4 milioni e mezzo di metri cubi di ghiaia, che sono lì dall'alluvione del 1966. In questo momento, la profondità dell'acqua nell'invaso è di neanche 80 centimetri. E lo stesso vale per lo Schener...Nel bacino dello Schener c'è molto materiale?Il bacino dello Schener è più profondo, ma anche lì, sul fondo, ci sono circa 4 milioni e mezzo di metri cubi, arrivati sempre nel 1966 con la grande alluvione. Ma c'è una differenza: mentre la diga di Ponte Serra è antiquata, è un'opera costruita nel 1908 ed intervenire non è facile perché si tratta anche di un monumento storico tutelato, sullo Schener ci sono più possibilità e più facilità di intervento.Ma lei cosa ne pensa del progetto della diga sul Vanoi sul versante del Trentino?Quello che penso l'ho detto più e più volte: sono contrario, anzi contrarissimo. Per cominciare, svuotiamo i laghi e laghetti che ci sono sul corso del Cismon e del Brenta. Ma la diga farebbe anche energia elettrica. Ricordo che allo sviluppo economico del Veneto, il nostro territorio ha dato un tributo altissimo, con due dighe (POnte Serra e Pontet) e ben tre centrali idroelettriche. E l'energia prodotta per mezzo secolo è andata tutta a Porto Marghera. È inutile che mi parlino di ricadute sul territorio: sì, qualche posto di lavoro, ma poi...E non avere mai preso le compensazioni per i sovracanoni di occupazione del suolo?I sovracanoni non c'erano, non abbiamo mai visto un lira in passato.L'avete detto all'assessore veneto all'Agricoltura, Federico Caner?Gli ho fatto pervenire le nostre idee. E su questo andiamo a braccetto con Lamon. Certo, per loro è facile fare una diga, c'è dietro un conto economico, la diga fa girare tanti soldi, tanti tanti soldi. Ma Caner dice che è una soluzione per avere una riserva di acqua per la pianura.Qui abbiamo imparato da tempo che il bacino di una diga lo uufruisci al massimo per 25 anni. Poi dopo si ritroveranno con la stessa situzione di riempimento che abbiamo sul Cismon. Ricordiamoci che il Vanoi trasporta un sacco di materiale, è un torrente libero. Nel 1966 la maggior parte della ghiaia che è finita a Ponte Serra veniva dal Vanoi. E coa vi ha risposto l'assessore Caner?Niente. Nessuna convocazione. E in più, hanno presentato il progetto del Vanoi nel Pnrr senza nemmeno chiedercelo. Né a noi né ai trentini. Ma lo svuotamento dei bacini esistenti quello sì, sarebbe transizione ecologica.E poi, ricordiamoci che se fanno una diga sul Vanoi, i problemi poi li abbiamo noi.E al governatore Zaia, lo avete fatto presente?Zaia... è affacendato in altre cose, ma i suoi assessori dovrebbero informarsi. Sindaco Dalla Torre, mi dica: con tutto quello che si è venuti a sapere sui rischi della val Cortella, e la contrarietà dei Trentini, questa diga si farà o no?Ci sono forti pressioni, c ci stanno provando fortemente, questo è certo. Anche perché, è chiaro, questa è un'occasione unica e se non la prendono al volo, non si ripresenterà più. Ci sono i soldi, c'è il progetto...Ma questo è un progetto ancora incompleto, fra l'altro manca uno studio geologico attuale, quello presentato è la fotocopia di quello del 1989...Ma infatti secondo me è un'opera infattibile! C'è un grosso problema di responsabilità sulla parte del rischio geologico. Ecco: questo ora lo sanno tutti, anche dai documenti della Provincia di Trento, e non venga fuori un domani che non era stato detto. Perché allora sarebbe come il monte Toc al Vajont, dove l'allarme c'era stato per una possibile frana, ma fu insabbiato tutto per costruire l'invaso.Anche perché un incidente alla diga vi coinvolgerebbe nella parte veneta.Un incidente alla diga sul Vanoi spazzerebbe via Fonzaso e tutta la parte della Vallata del Cismon da Val Rosna alla piana. Gli insediamenti di Sovramonte e Lamon sono un po' più in alto, ma pensate a tutta la statale del Rolle, e a tutto quello che c'è nel fondovalle... non è fattibile, il rischio è altissimo.Eppure il Veneto...Eppure ci stanno provando fortemente, proprio perché è un'occasione irripetibile. Ed è un grande business che fa girare tanti, tanti soldi. Questo è chiaro.
L’Adige | 22 luglio 2023
p. 29
Salvini apre alla diga
E le autorità venete spingono per l'opera
Andrea Orsolin
VANOI
Della diga in val Cortella (nella foto) se ne parla anche nelle aule romane. L'apertura all'opera del ministro delle infrastrutture Matteo Salvini («Il ministero ha pubblicato un avviso per opere nel settore idrico, sta raccogliendo le proposte di intervento di medio periodo presentate dalle Regioni. La diga del Vanoi sarà valutata nell'ambito di tale procedimento») ha suscitato la preoccupazione della senatrice Aurora Floridia (Alleanza Verdi e Sinistra).«È un progetto obsoleto - ha affermato Floridia - già bocciato per problemi di pericolosità, per il rischio molto elevato di frane, e che neanche le comunità locali vogliono per non rischiare un nuovo tragico Vajont. È assurdo che si pensi ancora a questa infrastruttura costosa, fuori dal tempo, rischiosa per l'incolumità delle persone e altamente impattante su un territorio già geologicamente fragile».Se l'assessore all'ambiente Mario Tonina sostiene che senza l'assenso trentino non si fa nulla, nella pedemontana vicentina si spinge perché il bacino diventi al più presto realtà. La crisi idrica ha fatto aumentare l'attenzione. Oltre che per la popolazione e a fini irrigui, la diga verrebbe utilizzata per laminare le piene e per produrre energia idroelettrica. «È indispensabile per gli importanti problemi di siccità che abbiamo, ma serve una regia sovraregionale, quindi nazionale» ha detto Simone Bontorin, sindaco di Romano d'Ezzelino dove a inizio mese si è svolto un consiglio straordinario per esprimere il sostegno alla realizzazione della diga. Insomma, il territorio bassanese confida di avere presto la banca d'acqua del Vanoi, ma è consapevole che l'ostacolo del Trentino è difficile da superare. «Raggruppiamo le energie e puntiamo alla meta per risolvere i problemi
una volta per tutti - ha detto Enzo Sonza, il presidente del Consorzio di Bonifica Brenta che si occupa della progettazione dell'opera da 150 milioni di euro - La diga sarebbe un toccasana per la nostra vallata. Siccità e cambiamenti climatici non aspettano certamente noi».«Siamo consapevoli che serve reagire alla crisi idrica, ma bisogna farlo in modo intelligente e sicuro - afferma Tonina - sono anni che i tecnici hanno dato parere tecnico negativo ad un'eventuale diga del Vanoi. Il Trentino sta investendo in prevenzione e quest'opera va contro i nostri principi».
L’Adige | 30 luglio 2023
p. 29
Sat, 6 buoni motivi per dire "no" alla diga
Andrea Orsolin
VANOI
Si aggiunge anche la Sat al coro di voci contrarie alla Diga del Vanoi, l'imponente opera che la Regione Veneto vorrebbe costruire in Val Cortella per trattenere l'acqua e utilizzarla a fini irrigui e idroelettrici, nonché per la laminazione delle piene. Il muro da 116 metri verrebbe costruito in Veneto, ma l'invaso da 33 milioni di metri cubi coinvolgerebbe i territori di Canal San Bovo e Cinte Tesino. «Andrebbe a stravolgere un sistema fluviale ormai unico nel panorama delle Alpi Orientali» ha scritto la Sat in un comunicato, avanzando sei obiezioni in merito alla discussa opera. Ecco quali.Sistema fluvialeLa diga stravolge un sistema fluviale unico, costituito da ambienti ripariali per fauna Ittica ed avifauna. Nel torrente Vanoi vivono la trota marmorata e lo scazzone, tutte e due in pericolo critico.Potenziali crolliI versanti destro e sinistro dell'ipotetico lago presentano pericolosità geologica massima (P4, secondo la carta di Sintesi Geologica), dovuta a potenziali crolli e alla particolare situazione lito-geomorfologica dei versanti franosi. Questa situazione ha già causato delle frane che potrebbero generare, in caso di invaso, un'onda tipo Vajont che può colpire i paesi e le infrastrutture sottostanti.Fragilità dei versantiNel 1958 furono eseguite delle perforazioni di sondaggio per capire quanto i versanti fossero solidi per la tenuta delle spalle dello sbarramento. I sondaggi in sponda destra, sul lato di Lamon, non dettero un risultato compatibile, vista la presenza di cavità sabbiose sotterranee e non roccia di solida. I tecnici decretarono la non conformità di quel sito per la diga.Influenza sul microclimaLa diga verrà invasata e svasata per 4 volte all'anno, fino a raggiungere il volume di 132 milioni di metri cubi utili per i fabbisogni del Consorzio Brenta. Lo specchio d'acqua avrà una forte evaporazione che potrebbe cambiare il microclima della valle del Vanoi con più umidità e malesseri per la gente locale che ci vive. In Primiero c'è l'esempio della vicina diga di Pontet, molto più piccola, costruita all'inizio degli anni '60 che ha influenzato notevolmente il clima della valle, rendendola notevolmente più piovosa e umida, con formazioni di nebbie stagnanti in certi periodi dell'anno, prima a tutti sconosciute.Trentino già sfruttatoIl Trentino ha già creato un completo sfruttamento delle acque. Nel Vanoi e nel Primiero sono stati completamente sfruttati tutti gli invasi, captando ogni portata utile alla produzione, stravolgendo ambienti dove la natura ci ha messo anni per riadattarsi. Intendere l'ambiente come una natura da assoggettare e sottomettere per l'interesse umano è una forma anacronistica e conclusa del passato. Svuotare i sedimenti della diga di Ponte Serra e, più a valle, del lago del Corlo, sarebbe una soluzione meno impattante.Traffico sullo SchenerI lavori di un invaso di quel tipo provocherebbero una situazione logistica difficile per gli utenti della strada dello Schener (porta di accesso principale a Primiero e Vanoi). Ci sarebbe un ulteriore aggravio del traffico pesante fino a fine lavori che influirà in maniera negativa sui collegamenti per gli ospedali, le scuole, il turismo e il traffico commerciale della valle.
Alto Adige | 19 luglio 2023
p. 20
Stop al marketing del turismo No di Achammer
All'assessora Maria Hochgruber Kuenzer, che preoccupata dall'acquisto di masi da parte di investitori stranieri chiedeva di fermare per cinque anni il marketing turistico, aveva replicato in prima battuta il consigliere Manfred Vallazza, dell'ala contadina della Svp come l'assessora. Ora interviene direttamente l'Obmann, assessore all'Economia, durante un dibattito in val Pusteria, il principale bacino di voti della collega di giunta e del consigliere. «Una battuta d'arresto non mi convince. Non possiamo respingere tutto ciò che è nuovo solo perché questo è lo spirito dei tempi», così Philipp Achammer, «Piuttosto, sosteniamo una crescita di qualità. È importante non dare per scontati i posti di lavoro». Il consigliere Helmuth Renzler prende le parti di Maria Hochgruber Kuenzer e sentito da Rai Südtirol commenta le previsioni sul turismo: «Il numero degli ospiti continua a crescere. Da qualche settimana la nostra bella provincia è invasa. Rumore di motociclette qui, ingorghi là. Non può andare avanti così».
Corriere dell’Alto Adige | 19 luglio 2023
p. 4
Stop alla pubblicità turistica, Svp divisa Kuenzer propone 5 anni di moratoria. Altolà di Achammer: non è la soluzione
Aldo De Pellegrin BOLZANO
Nei periodi turistici di alta stagione l’Alto Adige accumula giornate da bollino nero sull’autostrada del Brennero e sulle principali arterie provinciali, per non parlare del traffico sui passi dolomitici per cui ormai da anni si studiano freni e limitazioni. Gli hotspot della provincia sono sovraffollati, non solo a causa del turismo mordi e fuggi, e continuano a richiedere investimenti anche sensibili per calmierare la situazione mentre anche i rifugi alpini in determinati periodi si trovano a far fronte a masse di visitatori che ricordano più un pubblico da stadio che non degli appassionati di montagna. Con le pretese di servizi che si allineano a quelli delle spiagge più frequentate piuttosto che a quelle suggerite dalla sostenibilità alpina. Si può e si deve porre un freno a tutto ciò?
Per l’assessora all’urbanistica Maria Hochgruber Kuenzer sì tanto che nei giorni scorsi ha proposto alla giunta provinciale, in nome della sostenibilità presente e futura di cui si dibatte spesso anche in Alto Adige, uno stop immediato e deciso alla pubblicità per la destinazione altoatesina, chiedendo che l’Idm provinciale si adegui alla misura. La proposta però non è stata accolta bene neppure all’interno della stessa Svp e, dopo il consigliere ladino Manfred Vallazza che si è pubblicamente dissociato sostenendo come: «questa non sia la strada per difendere e mantenere la nostra amata terra», ieri anche l’assessore provinciale all’economia e segretario della Svp Philipp Achammer ha respinto l’idea di uno stop alla pubblicitá per la destinazione Alto Adige: «Un simile divieto non mi convince. Dobbiamo stare attenti a non respingere o addirittura a vietare tutto ciò che è nuovo solo sulla base delle tendenze del momento». In un dibattito in Val Pusteria Achammer ha aggiunto che: «quelo che dobbiamo fare è sostenere una crescita buona e qualitativa che porti valore aggiunto a tutti. É importante non dare tutto per scontato, come ad esempio i posti di lavoro nella nostra Provincia!». Da parte sua Idm e Unione albergatori e pubblici esercenti (Hgv), non sembrano aver intenzione di fermarsi ma piuttosto di puntare su una pubblicità mirata. Proprio ieri hanno rilanciato il “marchio di sostenibilità Alto Adige” che viene assegnato alle strutture ricettive e gastronomiche e alle destinazioni che rispettano i criteri di sostenibilità. Nel frattempo, il marchio di sostenibilità Alto Adige è stato conferito a 46 strutture ricettive e gli ospiti interessati all’offerta sostenibile delle strutture ricettive da adesso possono anche trovarle facilmente e velocemente sul portale di prenotazione dell’Hgv, Booking Südtirol, dove grazie a un filtro, le strutture ricettive con almeno uno dei tre marchi del programma ufficiale di sostenibilità vengono identificate nei risultati di ricerca come “alloggio sostenibile”. Insomma, sul portale di prenotazione “Booking Südtirol”, il tema della sostenibilità ha un ruolo molto importante.
Corriere del Veneto | 19 luglio 2023
p. 10, edizione Treviso - Belluno
Auronzo, l’albergo di Meister divide: «Ci ostacolano, ma siamo in regola»
L’imprenditore: «Dicono che agiamo per conto della malavita, ma lo fanno per screditarci»
AURONZO
Alex Meister, titolare del San Luis di Avelengo (Merano), parla dell’albergo che vorrebbe realizzare ad Auronzo di Cadore immerso nei boschi di Collalto, 38 camere (60 assunzioni di personale). Contro il progetto c’è l’esposto di un privato cittadino alla procura, l’ex sindaco Tatiana Pais Becher e gli ambientalisti.
Perché Auronzo?
«Costruire il val Gardena e in val Badia non ha senso, c’è già un’offerta eccessiva. Ci siamo presentati all’ex sindaca, le abbiamo detto che avremmo voluto costruire un albergo tipo il San Luis e lei si era detta entusiasta».
L’area individuata è rivendicata dalle Regole.
«Non c’è alcun contenzioso, sulle carte al catasto quel terreno è del Comune. La rivendicazione è solo informale».
L’ex sindaca è contraria.
«So perché. Qualcuno ha chiamato la questura, la Finanza, ha parlato di mafia. Ci hanno accusati di agire per conto della malavita. In Comune si sono spaventati».
Perché queste accuse?
«Per ostacolarci. Ma da me possono venire questura, Guardia di Finanza, è tutto pulito. Sono state anche controllate le nostre carte, in banca. La banca ha risposto sui nostri conti correnti. Sulla provenienza dei soldi. È tutto a posto ovviamente, la nostra società è in possesso di un rating di legalità rilasciato dall’Agcm (autorità garante della concorrenze e del mercato)».
Delatori?
«C’è grande attenzione alle infiltrazioni mafiose in vista delle Olimpiadi. Siamo arrivati noi, con i soldi, e ovviamente abbiamo attirato l’attenzione. La gente si chiede da dove vengono i soldi e subito pensa alla mafia».
La Pais Becher cosa dice?
«Era entusiasta, poi ha smesso di rivolgerci la parola. Non ci hanno più risposto».
Dario Vecellio Galeno. Lui vi parla?
«Sin dall’inizio ci ha appoggiato. Alla presentazione pubblica (lo scorso marzo, ndr) la sala era strapiena, 160 del paese, tutti favorevoli. Ora hanno raccolto 35 mila firme contro il nostro progetto in un paese da 3 mila abitanti, questo la dice tutta. Il giorno successivo l’amministrazione ha approvato la delibera. Ora son saltate fuori le torbiere». Che torbiere?
«Esistono davvero, su queste torbiere crescono piante meravigliose. Allora abbiamo cambiato completamente il progetto per preservarle, abbiamo fatto tutto su palafitte. Ma gli ambientalisti comunque non sono contenti».
E della polemica che con voi la montagna diventa a pagamento, cosa dice?
«Tutto parte dal fatto che all’incontro pubblico ci hanno chiesto quanto si pagherebbe per alloggiare lì. Io ho risposto sinceramente, 4500 euro a persona al giorno, come al San Luis. Allora la gente dice “ah, perché così tanto? Io non potrò più andar lì dentro”. Ma non ci andava nemmeno prima. Era un pascolo». Non ci passano sentieri?
«Neanche uno. Non diamo fastidio a nessuno, non ci vedono, non ci sentono».
Il Nuovo Trentino | 22 luglio 2023
p. 3, segue dalla prima
Mega-cava sotto la Marmolada
A inizio luglio a Canazei si ricordavano le vittime del crollo della Marmolada. E in tanti avevano avuto parole ispirate sulla «sacralità della montagna». Peccato che qualche mese prima il Comune di Canazei e l'Asuc hanno dato il via libera ad un progetto di grande impatto ambientale: l'ampliamento della cava di inerti della ditta Sevis a Pian Trevisan. Va detto che la zona è magnifica: rappresenta il primo tratto dell'Avisio, in un ambiente boschivo spettacolare, sotto il Gran Vernel. Ma è anche una zona da tempo deturpata dalle cave di ghiaia.Quella della Sevis, ditta di movimento terra di Soraga, ha un'estensione di 114.317 metri quadri, ma nel 2019 la Provincia ha ristretto l'area di cava a 38.618 m2. Ed ora spunta la nuova richiesta alla Valutazione di Impatto Ambientale: tornare a una cava quattro volte più grande. Il progetto non è da poco, e prevede il disboscamento di migliaia di metri cubi di legname, che peraltro si prenderebbe l'Asuc che è proprietaria dei terreni. Che peraltro dalla concessione avrà un'entrata economica «di oltre 70.000 euro all'anno». E la concessione avrebbe la durata di 18 anni. Dopo i quali la ditta si impegna a «ripristinare» tutto com'era. Nel 2041. Il Presidente della Asuc però, Rinaldo Debertol, spiega che l'autorizzazione non è ancora arrivata e comunque la parte da disboscare non dovrebbe essere più di 50-100 metri cubi di legname. «Il ripristino dopo 18 anni è fattibile, si sta già facendo ora per il primo lotto, ha concluso.Gigi zoppello e astrid panizza bertolini A PAGINA 3
Era la sera dell'1 luglio scorso, quando a Canazei si ricordavano, in una serata, le vittime del crollo della Marmolada. E in tanti, dal presidente Fugatti al sindaco di Canazei, avevano avuto parole ispirate sulla «sacralità della montagna». Come ad esempio Paolo Grigolli, direttore dell'Azienda per il turismo della Val di Fassa, il quale aveva ha evidenziato come sia «necessario cambiare il modo di andare in montagna, nella ricerca di quel rispetto per l'ambiente che non vede più l'uomo come dominus della natura, ma elemento che ne fa parte, come scrive anche Papa Francesco nell'enciclica 'Laudato sì' (...). L'obiettivo dei prossimi anni è trovare equilibrio (...) riuscendo a vivere in armonia con l'ambiente che ci circonda».Peccato che qualche mese prima il Comune di Canazei, e l'Asuc, hanno dato il via libera ad un progetto di grande impatto ambientale: l'ampliamento della cava di inerti della ditta Sevis a Pian Trevisan. Va detto che la zona è magnifica: rappresenta il primo tratto dell'Avisio, in un ambiente boschivo spettacolare, sotto il Gran Vernel. Ma è anche una zona da tempo deturpata dalle cave di ghiaia.Quella della Sevis, ditta di movimento terra di Soraga, ha un'estensione di 114.317 metri quadri, ma nel 2019 la Provincia ha ristretto l'area di cava a 38.618 m2. Ed ora spunta la nuova richiesta alla Valutazione di Impatto Ambientale: tornare a una cava quattro volte più grande.Il progetto non è da poco, e prevede il disboscamento di migliaia di metri cubi di legname, che peraltro si prenderebbe l'Asuc che è proprietaria dei terreni. Che peraltro dalla concessione avrà un'entrata economica «di oltre 70.000 euro all'anno». E la concessione avrebbe la durata di 18 anni. Dopo i quali la ditta si impegna a «ripristinare» tutto com'era. Nel 2041.La cava si trova a 1700 metri di quota, in uno scenario favoloso. È stata l'Asuc di Canazei a pensare all'ampliamento: «ha predisposto un progetto di massima per l'integrale coltivazione del giacimento sottoposto a screening, il cui percorso di verifica si è concluso con il provvedimento n° S305/2020 fascicolo n. 17.6/2020-280 U372 per la Via. La concessione ha definito sia i tempi (fino a 18 anni) sia i volumi di scavo (fino a 200.000 metri cubi), ai quali ci si è attenuti nella predisposizione del presente progetto esecutivo».La Valutazione di impatto ambientale è ancora in itinere per la parte più ampia, e conclusa per il lotto 1, ovvero la riapertura della vecchia cava esistente. A preoccupare però è l'ampliamento del nuovo fronte: «Lo scavo avviene per trance
discendenti lungo un fronte dello sviluppo di ca. 150 m. tra le quote 1660 msm e 1636 msm (piazzale di lavorazione) con l'ausilio di un escavatore e una pala gommata e uno o più camion di trasporto del tout-venant all'impianto.Progressivamente all'abbassamento delle trance la scarpata a monte sarà profilata su un angolo di stabilità di 35°, sulla base delle verifiche di stabilità contenute nella relazione geologica e geotecnica, senza operare con il rinverdimento, in quanto sarà soggetta ad una ripresa nella fase 2 di coltivazione (post 2041)».Che cosa ci sarà in cava? «Materiali da scavo gestiti come sottoprodotto; Limi da lavaggio inerti ; Materie prime provenienti da operazioni di recupero di rifiuti inerti appartenenti alle tipologie 7.1; Materie prime da recupero rifiuti da terre e rocce da scavo ».Ovviamente, verrà rifatta tutta la parte di lavorazione: «L'ammodernamento dell'impianto riguarda la sezione della macinazione, lavaggio e selezione degli aggregati naturali, da realizzare in una struttura coperta dietro il capannone esistente che ospita l'impianto di depurazione . Tutta la nuova sezione di macinazione-lavaggio e selezione sarà chiusa da una struttura metallica con tamponamenti in legno di larice e copertura in lamiera zincata testa di moro».C'è poi il taglio del bosco, oggetto dell'accordo con l'Asuc, che si terrà i tronchi.E le «osservazioni»? Poche, e blande. Il Servizio Fauna raccomanda la tutela del gallo cedrone, limitando il taglio dei tronchi nel periodo della nidificazione; gli altri Servizi, sostanzialmente, non hanno nulla da ridire.
Corriere delle Alpi | 2 luglio 2023
p. 26
Rifugio Pian de Fontana Oggi festa per i 50 anni LONGARONE
Festa oggi per i 30 del rifugio di Pian de Fontana. La struttura, di proprietà del Comune di Longarone con gestione affidata alla sezione Cai, è vicino alla valle del Grisol, accessibile tramite la frazione di Soffranco. Si tratta di uno dei punti più significativi dell'Alta via 1, a 1632 metri di quota, all'interno del Parco delle Dolomiti Bellunesi. Da diversi anni la gestione è affidata alla coppia vicentina Elena Zamberlan/Antonio Tedde che hanno sempre puntato sulla sostenibilità. Il Cai e il Comune hanno organizzato una cerimonia in vetta per ricordare l'anniversario che coincide anche con il trentennale del Parco. Appuntamento alle 10. 30 con ritrovo al rifugio. Alle 11 ci sarà il saluto delle autorità, alle 11. 30 la messa officiata da don Rinaldo Ottone. Alle 13 invece il pranzo per i vari partecipanti con intrattenimento musicale a cura del gruppo "Voci dalle Dolomiti". Gli organizzatori, dato il grande afflusso di mezzi previsto, consigliano di parcheggiare nella piana di Casera Pepin.
Corriere delle Alpi | 4 luglio 2023
p. 24
Trent'anni di Pian de Fontana Longarone in festa per il rifugio
Festa in alta quota per i 30 anni del rifugio Pian de Fontana. La struttura, situata a 1.632 metri sopra la zona della valle del Grisol in località Soffranco, è di proprietà del Comune di Longarone con la gestione curata dalla sezione Cai longaronese.
Il Cai, guidato da poche settimane dal nuovo presidente Antonio De Bona, ha così chiamato a raccolta istituzioni e simpatizzanti che hanno affollato la cima per la cerimonia di rito. La messa, celebrata per l'occasione da don Rinaldo Ottone, è stata dedicata a due amanti della montagna recentemente scomparsi: Stefano Feltrin da Fortogna e Nemorino De Cesero da Igne.
«Sicuramente è stata una giornata veramente speciale e molto partecipata considerando che il rifugio si può raggiungere solo a piedi», ha commentato il sindaco Roberto Padrin, «per noi Pian de Fontana è un piccolo gioiello del nostro patrimonio comunale gestito con passione e professionalità dalla coppia Elena Zamberlan ed Antonio Tedde da ormai più di 20 anni. Grazie al Cai di Longarone che negli anni ha sempre provveduto alla sistemazione del sentiero, anche quando la zona ha subito seri danni per via di Vaia e ha voluto organizzare una bellissima giornata. Per l'occasione abbiamo anche celebrato i 30 anni del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi e con noi c'erano anche le massime autorità dei carabinieri forestali del Parco».
Tra il pubblico presente anche il primo gestore Marco Zuliani e il presidente del Parco delle Dolomiti, Ennio Vigne: «Con questo rifugio condividiamo in pratica la data di nascita», ha detto Vigne, «il nostro ente è nato il giorno dopo ovvero il 12 luglio 1993. Per noi è un punto fondamentale e ci stiamo attivando per progetti di valorizzazione nel Longaronese dalla riqualificazione della Casera Pepin nella valle del Grisol fino al punto di accesso al parco nell'ex distretto sanitario. Stiamo lavorando con il Comune e l'assessore Elena De Bona che da qualche mese è entrata nel nostro cda».
I due gestori sono soddisfatti per una scelta di vita che li ha appagati e per il sempre costante afflusso di visitatori da tutto il mondo grazie all'inserimento nell'Alta Via numero 1 e alla spinta dei marchi del Parco e delle Dolomiti Unesco.
La storia dell'edificio è lunga: era una malga per il pascolo di vacche abbandonata dagli anni Sessanta e poi recuperata su progetto dell'amministrazione comunale del sindaco Ilario Venturoli nei primi anni Ottanta, grazie in particolare alla spinta dell'assessore dell'epoca Piergiacomo De Cesero che oggi guida il gruppo degli Amici della valle del Grisol che si occupa della tutela ambientale. Nel corso degli anni molti volontari del Cai e non solo e ditte hanno lavorato con il Comune per poi rendere operativo il rifugio. Tra le maestranze da ricordare Orazio e Stefano Salvador, Giovanni Da Canal, Giovanni Feltrin Falco e Vittorino Bez, oltre che l'impresa Italo Burigo che nel 1990 ha realizzato la teleferica per portare la merce che ancora oggi è perfettamente funzionale. Nel corso degli anni più recenti ci sono stati molti lavori migliorativi con la creazione di cucine e posti letto ma anche di un impianto fotovoltaico e uno piccolo idroelettrico che ha reso l'edificio tra i più innovativi tecnologicamente in Italia. Il rifugio è aperto fino a settembre con 48 posti interni e 32 esterni, oltre a 24 posti letto. Enrico De Col
Corriere delle Alpi | 10 luglio 2023
p. 16
C'è il tutto esaurito nei rifugi delle Alte Vie «Per gli italiani è difficile trovare posto»
Francesco Dal Mas / BELLUNO
I paradossi dell'alta montagna. L'Alta Via N.1, che va dal lago di Braies a Belluno, ha i posti letto nei rifugi quasi del tutto esauriti, tanto che va a vuoto il 30% delle prenotazioni. L'Alta Via N.2 che scende dal Pordoi, sale al San Pellegrino, s'inoltra per le Pale di San Martino e si conclude a Feltre, segna anch'essa presenze da record. Le altre Alte Vie? Assai pochi gli arrivi. I rifugi delle Dolomiti, in ogni caso, hanno frequenze rassicuranti come quelle dell'inizio estate 2022.
E gli impianti di risalita? Parliamo sempre di alta montagna. «La stagione, dopo il maltempo, è partita bene», ammette Marco Grigoletto, presidente regionale dell'Anef, l'associazione degli impiantisti. «È davvero interessante il trasporto di biciclette; una vera invasione di appassionati. Soprattutto stranieri».
Una famiglia di neozelandesi (padre, madre e tre figli) la scorsa notte hanno fatto tappa al rifugio Città di Fiume, al cospetto del Pelmo, lungo l'Alta Via N.1: «I neozelandesi», confermano dal rifugio Carestiato, «sono una delle comunità che stanno scoprendo di più le Dolomiti».
Ritorniamo al Città di Fiume:. «Soprattutto durante la settimana arrivano», informa Mario Fiorentini, il gestore, «americani (davvero tanti), tedeschi, ovviamente, sud coreani, perfino cinesi, inglesi, spagnoli, escursionisti dall'est Europa. Tutti hanno prenotato ancora quest'inverno. Gli italiani telefonano qualche giorno prima della loro vacanza, ma è ovvio che difficilmente trovano posto».
Dopo tre o quattro telefonate presso i rifugi a portata di gamba, non trovando risposta, disdicono l'unica prenotazione individuata e rinviano la vacanza alla prossima estate. «Perdiamo in questo modo una percentuale considerevole di escursionisti, quindi di turisti», constata, amareggiato, Fiorentini. «Sarebbe sufficiente che un qualche organo provinciale (dmo?) si facesse carico di un minimo di coordinamento per suggerire le alternative che pure ci sono».
Sull'Alta Via N.2 la frequenza è molto consistente fino al Passo Pellegrino. Nel tratto successivo, per incrementarla, i rifugi si sono coordinati per il "PaleRonda", che infatti, ha subito rilanciato il percorso, che passa anche dal Mulaz, sopra Falcade. I rifugi Dal Piaz e Boz, che si trovano anch'essi sull'Alta Via N.2, ma nel tratto meno praticato, hanno lanciato un'idea che sta dando ottimi risultati, il "ParcoRonda", da Paneveggio alle Dolomiti Bellunesi. L'intraprendenza, dunque, premia. «Questa sembra proprio la stagione del grande ritorno degli stranieri», confermano dal rifugio Carestiato, che si trova sopra il Passo Duran. «Riempiono la settimana, mentre gli italiani arrivano più numerosi il sabato e la domenica. Abbiamo registrato, con molto interesse, l'arrivo inatteso dei più diversi asiatici e mai avremmo immaginato di avere così tanti americani».
Per alcune settimane il meteo di pomeriggio non ha dato tregua e questo ha influito a inizio stagione su arrivi e presenze, soprattutto su quelli degli Italiani. «Come l'estate scorsa, abbiamo continuato a ricevere tanti israeliani; ne ho tre pure questa notte»,– informa Fiorentini, «È evidente che chi arriva da così lontano non teme di certo il meteo».
In questi giorni il Cai veneto ha concluso una prima ricognizione sulla ripartenza estiva: «Se l'anno scorso, nonostante la siccità, abbiamo registrato numeri e presenze da record», anticipa il presidente regionale, Renato Frigo, «quest'anno andremo oltre, nonostante il meteo. Dall'indagine che abbiamo compiuto ci risulta che i fine settimana vedono la maggior parte dei nostri rifugi con i posti letto esauriti. Certo, basta una previsione meteo non rassicurante per far disdire le prenotazioni. Ma noi incrociamo le dita». Questa è l'incertezza che vive anche il mondo del trasporto funiviario. «La novità di quest'estate è in verità una conferma», conclude Grigoletto. «L'afflusso di stranieri che supera abbondantemente già quello positivo di un anno fa. E lo straniero è anche un ospite che di solito non si risparmia. Quindi è davvero il benvenuto».
Gazzettino | 27 luglio 2023
p. 11, edizione Belluno
«Sentinelle dalla Marmolada da 70 anni»
Era il 1953 quando, quasi per una scommessa con l'amico Luciano Luciani che aveva gestito il Rifugio Falier l'anno prima, Nino Del Bon boscaiolo di Forno di Canale, oggi Canale d'Agordo, saliva con la moglie Agnese Zuliani e il figlio Dante di appena sei mesi per la prima volta il sentiero della val Ombretta, per prendere possesso del Rifugio "Onorio Falier". Un presidio a 2mila metri ai piedi della "Parete d'argento", la sud della Marmolada, struttura di proprietà della Sezione Cai di Venezia, che pochi conoscevano: quasi nessuno ci saliva perché allora il turismo di massa era ancora lontano. Da quel lontano giorno del giugno 1953, Nino e Agnese Del Bon al Rifugio Falier ci hanno trascorso ben quarant'anni di ammirevole dedizione a questo lavoro per poi passare il testimone al figlio Dante Del Bon che con la moglie Franca per altri 30 anni ha portato avanti la tradizione e il 10 settembre si festeggeranno i 70 anni di gestione Del Bon nel rifugio simbolo della Marmolada "bellunese".
GLI ALBORI
Nino e Agnese Dal Bon nei loro quarant'anni di lavoro in quota hanno visto nascere e svilupparsi quel turismo montano dei grandi numeri. Hanno accolto schiere di turisti che salivano al Falier volentieri per scambiare due chiacchiere con Nino, ma per lo più per gustare quel prelibato strudel di Agnese e godersi al tempo stesso un panorama unico e stupendo della parete sud della "Regina Marmolada". Al Falier sono saliti i più bei nomi dell'alpinismo dolomitico da Reinhold Messner a Maurizio Giordani, Armando Aste e Franco Solina, da Igor Koller (il cecoslovacco che trent'anni fa aprì una delle vie più difficili sulla sud: la via del "Pesce") a Giovanni Battista Vinatzer e Hans Mariacher. Molti di questi alpinisti salivano la parete sud della Marmolada con la sicurezza che a ogni appiglio a ogni chiodo conficcato nella roccia viva, c'era Nino che con il suo binocolo li seguiva costantemente dal rifugio, pronto a dare l'allarme a valle se qualcosa fosse andato storto. Un presidio importante il Rifugio Falier ed è sempre stato anche per i vari casi di soccorso in montagna: si prestava perfettamente a diventare un ottima base per coordinare le ricerche o per coordinare i recuperi accolti sempre dalla generosità e dalla disponibilità di Nino e Agnese.
LA SVOLTA
Nel 1993 dopo ben quarant'anni di ininterrotta gestione Nino e Agnese decidono che era venuto il tempo di passare la mano. Convocano i loro due figli Dante e Bruino e prima di rimettere la gestione nelle mani del Cai di Venezia chiedono se uno dei due fosse stato intenzionato a continuare questa gestione. Così Dante decide di provare per un anno, un anno che ormai sono diventati trenta di appassionata gestione, portata avanti con professionalità nel segno della tradizione e degli insegnamenti dei genitori. Al suo fianco la moglie Franca e della figlia Sara che forse un giorno prenderà il testimone per continuare nel segno della terza generazione. Dante ricorda così il discorso del padre: «Ci disse se uno dei noi due figli fosse stato intenzionato a continuare la gestione del Falier. Io risposi "ci provo io". Forse non ero convinto al cento per cento ma mi dispiaceva vedere il tanto lavoro dei miei genitori di quei quarant'anni passare di mano senza provarci. Direi che anche per me e mia moglie Franca è stata una scommessa, una scommessa che ora dopo trent'anni di gestione considero per noi unica e irripetibile in quanto ogni anno che saliamo quassù in estate proviamo sempre delle emozioni nuove e diverse».
LA STORIA
Il Rifugio fu inaugurato il 15 agosto 1911 col nome di "Rifugio Ombretta" denominazione della valle omonima dove sorge. Durante la prima guerra mondiale fu adibito a comando della 206esima compagnia "Val Cordevole" comandata dal Capitano Arturo Andreoletti, il quale continuerà anche nel dopo guerra ad avere un legame particolare con questo Rifugio dolomitico, tanto che per molte estati divenne un suo ospite fisso, trascorrendo dei lunghi periodi di ferie. Proprio durante la Grande guerra il Rifugio Ombretta venne distrutto dai bombardamenti nell'aprile del 1917 da parte dell'artiglieria Austriaca. Fu ricostruito nel 1939 grazie al contributo economico del conte Onorio Falier, ed è di proprietà della Sezione Cai di Venezia.
LA TRADIZIONE
E ogni mese di giugno, quando la famiglia Del Bon sale al Rifugio Falier per aprire la stagione la grande tradizione avviata ancora da Nino e Agnese si ripete. Molte persone del paese e tanti altri amici si radunano a casa di Dante e Franca. Poi una lunga comitiva parte alla volta della val Ombretta: chi porta una cassa di birra, chi una damigiana di vino in quanto lassù non si arriva con la funivia e nemmeno con il camion. Si porta ancora tutto a mano o con l'elicottero. E allora per l'apertura tutti quanti salgono portando qualcosa: una splendida tradizione che continua a ripetersi ogni anno.
Dario Fontanive
Corriere delle Alpi | 29 luglio 2023
p. 20
Una colata detritica lambisce la turbina del rifugio Berti
COMELICO SUPERIORE
Ha del miracoloso quanto avvenuto nei giorni scorsi a poche centinaia di metri dal rifugio Berti. Una colata detritica di enormi dimensioni è venuta giù dalla vicina Cima Popera, arrivando a lambire la casetta in legno all'interno della quale è custodita la turbina che di fatto rappresenta il "motore" della struttura. Il ghiaione, per quanto potente nella sua discesa, spinto dalle abbondanti piogge miste a grandine che nei giorni scorsi hanno imperversato in lungo ed in largo nella zona, si è fermata praticamente a ridosso della casetta, sfiorandola senza tuttavia arrecare danni. L'iniziale grido di dolore dei gestori del rifugio si è così tramutato presto in sospiro di sollievo. «Se la casetta fosse stata travolta saremmo rimasti senz'aqua e senza luce. Questo avrebbe significato chiusura certa e mille sacrifici andati in fumo», racconta Bruno Martini, gestore del Berti, «il ghiaione è sceso giù per cinque, seicento metri. Parliamo di milioni di
metri cubi. È la natura, non possiamo farci nulla. Per fortuna in quella zona non ci sono sentieri, nessuno si è fatto male. La ghiaia è scesa all'interno di uno dei tanti canaloni di quell'area. Il rifugio dista qualche centinaia di metri, lì c'è però la nostra turbina ed i pensieri erano tutti rivolti a quella situazione».
Non è la prima volta che la ghiaia è venuta giù da Cima Popera.
«Anche questa volta, come già in passato, è successo in un orario in cui fortunatamente non c'era gente in zona. È stato di sera, al rifugio c'eravamo solo noi. Ci siamo ritrovati la scena davanti agli occhi mentre fuori grandinava. Non è stata una bella situazione. Episodi così iniziano a ripetersi sempre più frequentemente. La montagna sta cambiando pelle, ce ne stiamo accorgendo anche noi quassù. Va tutto bene quando non vengono riportati danni ingenti e quando, soprattutto, nessuno si fa male. In passato le colate detritiche si sono avvicinate di più al rifugio ed ai sentieri. La vecchia ferrata Roghel è stata investita dai cedimenti innumerevoli volte. Non per questo la nostra missione di sentinelle della montagna è cambiata o cambierà: ringraziamo tutti coloro che ci hanno mostrato sostegno e solidarietà ed andiamo avanti con la stessa voglia di prima».
Corriere delle Alpi | 2 luglio 2023
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Rete sentieristica Cai: tracciati in buono stato ma serve collaborazione
FELTRE
I sentieri gestiti dal Cai Feltre si presentano generalmente in buono stato di salute. «Siamo in fase avanzata con le ricognizioni. Abbiamo fatto la ricognizione di quasi tutti i sentieri di nostra competenza e a differenza degli scorsi anni abbiamo riscontrato meno criticità, meno necessità di interventi da fare», spiega il responsabile della rete dei sentieri del Cai Feltre Stefano Zannini. «Detto ciò, siamo al corrente di alcune situazioni che meritano attenzione».
Una è lungo l'Alta via, sul Troi dei Caserìn, dove c'è un passaggio di qualche metro che le slavine e le piogge primaverili hanno dilavato, cancellando il sentiero. Alcuni schianti di piante interessano il sentiero 804 nei pressi della malga Zoccarè. Si aggiungono poi in generale dei tratti sparsi dove la vegetazione è rigogliosa e rende alle volte difficile identificare il tracciato.
«Stiamo organizzando gli interventi. La difficoltà principale che troviamo al momento è quella di far combaciare la disponibilità dei volontari con il meteo», prosegue Zannini.
Negli ultimi due anni, sono una settantina le persone che a vario titolo hanno prestato almeno una giornata di lavoro sui sentieri, con alcuni fedelissimi che intervengono anche due, tre, quattro volte l'anno e un gruppo più allargato che dà la propria disponibilità a seconda delle esigenze lavorative. «Questo fa pensare da un lato che da un lato il bacino potenziale di volontari al quale possiamo attingere è ampio, ma non è semplice far combaciare la disponibilità con il meteo o le ferie», evidenzia. «Inevitabilmente gli interventi devono seguire una priorità ed essere adattati in funzione della disponibilità di persone che ci sono».
Il responsabile dei sentieri del Cai Feltre lancia poi un appello: «Collaborare non significa solamente o necessariamente prendere la motosega, il decespugliatore o la motosega. Un aiuto enorme può essere fatto con un impegno piccolissimo, che è semplicemente quello di segnalare alla mail sentieri@caifeltre.it lo stato in cui si è trovato il sentiero che si è percorso, sia che presenti dei problemi, sia che si trovi in buono stato. Questa informazione, che richiede due minuti, evita magari ore di ricognizione».
Sono circa 270 i chilometri di estensione complessiva della rete sentieristica sotto la regia del Cai. «Quello a cui stiamo assistendo da alcuni anni a questa parte, soprattutto dalla tempesta Vaia in poi, è che la necessità di intervenire è più elevata fa sia per l'aumentato numero di sentieri che ci sono, sia per gli eventi atmosferici», commenta Zannini.
«Se fino a quindici-venti anni fa, su un sentiero era possibile intervenire una volta e si era sereni che fosse percorribile per tutta la stagione escursionistica, oggi invece alcuni sentieri richiedono tre-quattro, anche cinque interventi l'anno», commenta. «Questo fondamentalmente a causa di due motivi, il primo gli schianti di piante che avvengono soprattutto a seguito di raffiche di vento molto forti, il secondo per il fatto che le precipitazioni sono alle volte di fortissima intensità e questo caus a piccole frane, smottamenti o cedimenti dello stesso sentiero».
Il Nuovo Trentino | 5 luglio 2023
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Il Parco Adamello Brenta analizza i suoi ghiacciai
caderzone. Proseguirà fino al 2024 il progetto che prevede la realizzazione di una carta geomorfologica del Geoparco Adamello Brenta. L'iniziativa è stata presentata ieri in occasione del secondo incontro del ciclo «Giornate dei ghiacciai», promosso dalla Cabina di regia delle aree protette e dei ghiacciai. Prevede la realizzazione di un database geomorfologico per conoscere il territorio del Parco e comprenderne l'evoluzione. Sono già stati realizzati alcuni prodotti preliminari, tra cui un saggio cartografico sulla zona del Pian dela Nana e sul lago di Tovel. Nel corso della serata si è parlato anche dell'evoluzione dei paesaggi di alta montagna e dei paesaggi periglaciali. «Un agente del cambiamento molto importante, assieme alla forza di gravità, è il ciclo del gelo e del disgelo, di cui è protagonista l'acqua - ha spiegato Alberto Carton, docente all'Università di Padova - che, infiltrandosi fra le rocce e poi ghiacciando, genera fratture e detriti che poi si accumulano sui versanti delle montagne e ai loro piedi. Altri fattori di cambiamento sono i movimenti di ghiaccio, Rock glacier e permafrost presenti nel suolo».Per il professore «l'evoluzione del paesaggio periglaciale è meno problematica quando interessa solo gli ambienti naturali, mentre se interessa anche zone antropizzate (ad esempio dove ci sono strade) può presentare problemi di gestione. Quanto ai crolli di grandi pareti, in periodi estivi, hanno mostrato come eventi del genere siano dovuti ancora una volta al degrado del ghiaccio presente nella roccia in forma di permafrost». Il presidente del Parco Walter Ferrazza ha sottolineato l'importanza della riflessione proposta, a un anno dalla tragedia in Marmolada: «Il mondo sta cambiando. Siamo qui per imparare e per insegnare cosa è possibile fare. Il fatto che i nostri figli non vedranno quello che abbiamo visto noi, sul piano ecologico, ambientale, paesaggistico, è un pensiero incredibile. Abbiamo l'obbligo di affrontare questa prospettiva e di trasmettere alle nuove generazioni validi strumenti per una corretta gestione del territorio». Era presente anche l'assessore provinciale al turismo, Roberto Failoni, il quale ha auspicato che «in queste giornate più che allarmismi possano uscire consigli».
Corriere delle Alpi | 13 luglio 2023
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Trent'anni di Parco tra tutela e promozione Vigne: «L'unicità è un valore aggiunto»
Trent'anni di crescita, investimenti e cultura del territorio. Si celebra proprio in questi giorni il compleanno del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, che in occasione dell'importante traguardo sta organizzando vari eventi, ma è anche il momento di una riflessione sul percorso fatto fin qui. «Il Parco entra nell'età matura», afferma il presidente, Ennio Vigne, «e in questi anni ha saputo strutturarsi e cambiare l'approccio della gente rispetto alla sua presenza. Nel tempo la visione dei bellunesi è cambiata molto: siamo passati da una accettazione difficile, alla consapevolezza della funzione strategica del Parco, che non è solo di tutela ma anche di promozione del territorio».
Una spinta in più, secondo Vigne, l'ha data anche l'inserimento delle Dolomiti nel patrimonio Unesco: «Che ha rafforzato la comprensione di quanto il Parco sia un valore aggiunto. Parco e Unesco certificano l'unicità di un territorio straordinario, ma soprattutto stanno attirando turisti da tutto il Mondo, mossi proprio dalla certificazione dell'altissima, unica, qualità ambientale di questo territorio». Il percorso, soprattutto in termini promozionali, potrebbe non finire mai, anche perché gli interessi dei turisti cambiano in continuazione, ma con alcuni punti fermi: «Guardiamo con interesse a quello che si sta facendo altrove e cerchiamo sempre di imparare», afferma Vigne.
Ma all'interno del Parco è un periodo importante anche in termini di investimenti: «Stiamo facendo lavori per un milione di euro nella sistemazione dei sentieri e altri 9 milioni si stanno investendo per l'efficientamento delle strutture presenti nel territorio dell'area protetta. Inoltre si continua a lavorare sull'informazione e sulla diffusione della ricerca scientifica. Solo per fare un esempio, ricordo che all'interno del Paco abbiamo un terzo delle specie floreali nazionali. Questo dà solo un'idea dell'eccezionalità del nostro territorio, quindi dobbiamo essere sempre più bravi nel saper comunicare la nostra unicità».
Alcuni limiti dovuti alla difficile accessibilità, tuttavia, non potranno che rimanere: «Abbiamo zone a tutela integrale», ricorda il presidente Vigne, «ed è giusto che sia così, oltre al fatto che molte zone sono raggiungibili solo dai più esperti e non può essere altrimenti. Certi posti bisogna conquistarseli e gustarseli con una maggiore cultura dell'approccio alla montagna. Credo che non sia nostro compito promuovere un turismo di massa e indiscriminato, il nostro compito è quello di far sì che gli escursionisti del Parco siano consapevoli dell'eccezionalità di quello che stanno visitando. Per intenderci: non si va in montagna in ciabatte. Sembra scontato, ma ai Cadini abbiamo dovuto scriverlo sui cartelli perché continuava a succedere. Questo è uno dei nostri compiti: quello di sollecitare un approccio culturale più consapevole e quindi più sicuro alla montagna».
Vigne torna poi sul valore aggiunto portato dal Parco al territorio: «Anche economico. È un aspetto che si è fatto strada nella comunità negli ultimi anni. La tutela è importante e le r egole, divieti compresi, hanno un senso perché l'unicità va protetta, ma la crescita socio economica dei territori del Parco è sotto gli occhi di tutti».