Rassegna Stampa Dolomiti UNESCO | Settembre 2024

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R A S S E G N A S T A M P A

SETTEMBRE 2024

Fondazione Dolomiti Dolomites Dolomiten Dolomitis

#VIVEREINRIFUGIO AL RIFUGIO RODA DI VAEL

L’Adige | 8 settembre 2024

p. 17

La Usc di Ladins | 13 settembre 2024

p. 3

TGR Trento | 7 settembre 2024

https://www.rainews.it/tgr/trento/video/2024/09/vivere-in-rifugio-incontri-ad-alta-quota-per-una-montagna-diversa-c871f084-980b493f-92d5-842ec14e9008.html

TGR Trail | 7 settembre 2024

https://www.rainews.it/tgr/trail/video/2024/09/dolomites-unesco-sun-vael-501e1811-b0e3-42c8-a1fb7378bd5b8913.html?wt_mc=2.social.fb.redtgrtrail_dolomites-unesco-sunvael.&wt&fbclid=IwY2xjawFLjj5leHRuA2FlbQIxMQABHWYot59rrbpOC3uFun2PFi3Q5GQkO8D1vgTAe9MopeXyHvQ15gTfhyDvw_aem_vrmsXH5ZLxd1FtW3e3wodQ

#VIVEREINRIFUGIO AL RIFUGIO ANTERMOIA

Alto Adige | 15 settembre 2024

p. 34

Vivere in rifugio, il 16 settembre ad Antermoia

dolomiti. Torna questa settimana la rassegna #Vivere in rifugio, seguita da utenti di diverse province. Il 16 settembre è in programma al Rifugio Antermoia nel gruppo del Catinaccio un incontro dal titolo "Il rifugio di ieri, di oggi e di domani". Partecipano in qualità di relatori l'attuale gestore dell'Antermoia Martin Riz, l'architetto Alberto Winterle, il vice presidente della Sat - Società Alpinisti Tridentini Riccardo Giacomelli e la direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco Mara Nemela. Ospiti speciali e testimoni della storia del rifugio i due precedenti gestori: Giuliana Lorenz e Almo Giambisi. L'appuntamento sarà direttamente in rifugio alle 14, ma la registrazione è comunque consigliata. Modera l'incontro Flavio Faoro.È preferibile registrarsi. Si ricorda che l'appuntamento al Rifugio Antermoia è gratuito. Bisogna registrarsi sul sito https://www.dolomitiunesco.info/. Il pranzo è libero e invitiamo a consumarlo prima del nostro incontro presso il Rifugio Antermoia. Questa attività è frutto della collaborazione fra Fondazione Dolomiti Unesco e il rifugista Martin Riz.I temi trattati. La rassegna, organizzata dalla Fondazione Dolomiti Unesco, vedrà di volta in volta la partecipazione di ospiti speciali, per parlare di come sta cambiando la frequentazione delle Dolomiti, della geologia, degli effetti della crisi climatica sul paesaggio, dell'importanza di un approccio prudente e consapevole alla montagna e, più in generale di cosa significa, oggi, vivere le Dolomiti.Sempre sul sito Dolomiti Unesco c'è la necessità di scoprire il calendario degli eventi che si svolgeranno tra settembre e ottobre in tutti i territori delle Dolomiti Patrimonio Mondiale, durante i quali i rifugisti racconteranno agli ospiti il loro lavoro quotidiano, nei suoi aspetti pratici e motivazionali.©RIPRODUZIONE RISERVATA

#VIVEREINRIFUGIO: ESCURSIONE AL GLACIONEVATO DELLA FRADUSTA

Tgr Trento | 26 settembre 2024

https://www.rainews.it/tgr/trento/video/2024/09/da-100-a-2-ettari-addio-fradusta-ormai-non-e-piu-un-ghiacciaio-6027d7b7-0f72-4a9dabcc-0b250f231cc7.html

Da 100 a 2 ettari, addio Fradusta: "Ormai non è più un ghiacciaio" Il sopralluogo della Fondazione Dolomiti Unesco sulle Pale di San Martino: "Si è ritirato a una velocità impressionante"

L’Adige | 24 settembre 2024

p. 29

NOI DOLOMITI: VOLTI E VOCI DAL PATRIMONIO MONDIALE

Alto Adige | 11 settembre 2024

p. 34

GLI EFFETTI DELLA CRISI CLIMATICA SULLE DOLOMITI

Corriere delle Alpi | 3 settembre 2024

p. 16

L’estate più calda dopo il 2003

Potrebbe protrarsi fino a metà di ottobre

L'analisi

Francesco Dal Mas

Ci sono tutte le premesse perché l'estate si protragga fino a metà ottobre. E vada oltre. Lo fanno intendere, secondo i previsori, le temperature degli ultimi mesi. Anche se non sono state le più bollenti. Robert Luciani Thierry, che ad Arabba ha redatto il bollettino di ieri, spiega che nel fine settimana il caldo diminuirà, ma poi risalirà. Intanto per oggi ha previsto minime di 16 gradi a Belluno, però con un'escursione dermica fino a 31 gradi, quindi 15 di differenza. Di più ancora la risalita ad Agordo, da 14 a 30 gradi, mentre Arabba risulterà la località meno bollente, con minima di 12 gradi e massima di 22. Cortina invece? Minima analoga ad Arabba, massima di 24. La cittadina più fredda, pardon meno calda? Auronzo con 10 gradi, però con un'escursione della colonnina di mercurio di ben 18 gradi, fino a 28. Quasi come Pieve di Cadore: 13-28. Bruno Renon, analizzando l'andamento del mese di agosto per l'Arpav di Belluno, conclude che «questo è risultato molto più caldo del normale e generalmente meno piovoso». Le temperature medie nelle valli sono risultate di ben 3°C superiori alla norma, con un'anomalia che è perdurata per quasi tutto agosto e con la fase più calda fra il giorno 10 e il 17.

Se la mettiamo sul piano della statistica, «l'agosto 2024 è risultato il secondo più caldo in assoluto, dietro solo a quello del 2003. Lo zero termico è variato fra un minimo di 3580 metri del giorno 3 e un massimo di 5090 del giorno 11. Lo scarto dalla norma della temperatura media di Belluno da inizio anno è ulteriormente aumentato e ora si assesta sul valore di +1.6°C».

Con il 31 agosto è terminata l'estate meteorologica, che è risultata molto calda, mentre è stata normale per quanto riguarda le precipitazioni. Con i 3°C di anomalia di agosto, i 2°C di luglio e 1°C di giugno, questa stagione si può classificare, mediamente –secondo Renon -, come la seconda più calda dell'ultimo quarantennio, dopo quella, famosa del 2003, anche se da zona a zona la situazione cambia leggermente, tanto che, ad esempio, a Santo Stefano è stato eguagliato il 2003. «Anche andando indietro nel tempo, grazie alla serie storica di 145 anni della città capoluogo di provincia, viene confermata l'eccezionalità dell'estate 2024, la seconda più calda dopo quella del 2003, a pari merito con quella, lontanissima, del 1947». Lo zero termico a metà settimana raggiungerà i 3900 metri, "solo" 600 metri più in alto della Marmolada, 900 più della Cima Grande di Lavaredo, ma nei giorni successivi si fionderà di nuovo oltre i 4 mila metri. «Stanno arrivando correnti meridionali di aria relativamente calda, ma anche un po' più umida. Pertanto tra il riscaldamento diurno in grado d'innescare la convezione e la connessa attività cumuliforme delle ore più calde e la curvatura ciclonica presente sulle Alpi non si potrà scartare del tutto», avverte Luciani, «l'insidia di qualche temporale o rovescio pomeridiano, molto limitata nel tempo e nello spazio». Una prima instabilità potrebbe verificarsi tra domani e giovedì. «A oggi sembra che i maggiori effetti si verifi chino giovedì pomeriggio/sera e venerdì mattina», anticipa Luciani. Renon, dal canto suo, ha misurato anche le precipitazioni. Ebbene, quelle di agosto sono state inferiori alla norma sulle Prealpi e sulle Dolomiti meridionali, con scarti negativi fra il 35% e il 65%, mentre sulle zone più settentrionali, dove i temporali sono stati più frequenti o intensi, lo scarto negativo è stato contenuto (-20% ad Arabba) o nullo, come a Domegge e a Santo Stefano. La frequenza delle precipitazioni è stata leggermente inferiore alla norma, con 7-12 giorni piovosi (7 a Sant'Antonio Tortal, 12 a Santo Stefano) a fronte di una media di 10-13. Il bilancio pluviometrico da inizio anno mostra ancora esuberi notevoli, pur leggermente e irregolarmente ridimensionati, delineando però una situazione piuttosto variegata. Con queste premesse, dunque, l'estate potrebbe continuare ben oltre il limite convenzionale del 21 settembre. L'anno scorso è arrivato al 14 ottobre. Probabilmente tanti vacanzieri lo sanno già, considerato che negli alberghi continuano le prenotazioni per settembre e ottobre, come testimonia il presidente della categoria Walter De Cassan.

Corriere delle Alpi | 3 settembre 2024

p. 16

L’Adige | 9 settembre 2024

p. 9

Montagna Secondo gli esperti di "Climbing for climate" il destino del ghiacciaio, dimezzato in 25 anni, è segnato

Il destino del ghiacciaio della Marmolada è segnato: «La sua vita residua è stimata tra i 13 e i 22 anni. Entro il 2040, l'ascesa alla cima sarà caratterizzata quasi esclusivamente dalla sola presenza di roccia nuda».A dirlo - senza purtroppo stupire nessuno - sono gli esperti dell'Università di Padova. Con le loro rilevazioni hanno potuto accertare come la riduzione media dell'estensione del ghiacciaio - che nel corso del Novecento è stata di 2,2 ettari all'anno - dal 2000 sia raddoppiata, passando a 4,6 ettari all'anno, con una contrazione record tra 2022 e 2023 di oltre 13 ettari, mai registrata in precedenza, anche a causa della tragica frana-valanga del 3 luglio 2022 che costò la vita a undici persone. Un quadro nel quale, dal 2023, il ghiacciaio è sceso sotto la soglia simbolica dei 100 ettari di estensione, meno di un chilometro quadrato. Una superficie più che dimezzata rispetto a 25 anni fa, quando misurava 205 ettari.L'Università di Padova è parte della Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile (Rus), che assieme al Cai, agli atenei di Trento, Verona, Venezia e Brescia (tutte parte della rete Rus), ieri hanno promosso la sesta edizione di "Climbing for climate", incentrato proprio sulle sorti della Regina delle Dolomiti. Ieri una delegazione di Climbing for climate è salita in Marmolada per far conoscere rapidità e drammaticità della fusione del ghiacciaio e lanciare un documento "Un'altra Marmolada", per promuovere il suo ruolo non solo di ambiente perfetto per l'alpinismo e per lo sci ma (secondo la definizione di Dino Buzzati), quello di "montagna maestra", in grado di indirizzare la frequentazione delle alte quote favorendo mitigazione, adattamento e sensibilizzazione al global warming.Il manifesto per "Un'altra Marmolada" è stato sottoscritto ieri dai promotori di Climbing for climate proprio in quota, a Punta Rocca, rilanciando i contenuti degli appelli già proposti in passato dalla Rete delle Università per uno Sviluppo Sostenibile affinché prenda piede una visione unitaria e sostenibile dei ghiacciai, e di quelli promossi per la Marmolada da Mountain Wilderness nel 1998, dal Muse di Trento nel 2007, dal documento Marmolada: per uno sviluppo sostenibile, lanciato nel 2020. Un appello che si rivolge agli amministratori, agli operatori economici, ma anche alle istituzioni universitarie, per fare della Marmolada una montagna-laboratorio dell'adattamento al cambiamento climatico e per una fruizione sostenibile delle alte quote, attraverso una proposta coordinata di fruizione ecomuseale che fa leva sulla eccezionalità della sua storia geologica e glaciologica, dell'epopea alpinistica e turistica, della ricerca scientifica, e infine della sensibilizzazione per la mitigazione e adattamento al cambiamento climatico.I proponenti reclamano una netta inversione di tendenza, si impegnano ad immaginare un'altra Marmolada entro il 2030 e a sostenere iniziative in linea con la gravita del momento storico che stiamo vivendo, di cui la Marmolada è per tutti un monito severo. Prestare attenzione al modo in cui gestiamo un'area diventata cosi fragile ovviamente non basta: la Marmolada è il termometro di una malattia che parte da lontano: non possiamo pensare che il problema sia soltanto locale..

Corriere delle Alpi | 9 settembre 2024

p. 13

Marmolada sentinella del cambiamento Sottoscritto in quota il manifesto sul clima

Alessandro Michielli / belluno

Marmolada sentinella del cambiamento climatico. Ieri mattina, in occasione della sesta edizione di "Climbing for Climate", è stato sottoscritto il documento "Un'altra Marmolada", dedicato alla fruizione futura del ghiacciaio e delle montagne italiane, alla luce delle sfide del cambiamento climatico e della necessaria transizione ecologica.

Il documento rappresenta una strategia di adattamento ad una nuova montagna. Sembra veramente difficile, infatti, fermare i cambiamenti climatici in corso. Effetti che non riguardano solo le aree alpine: dai ghiacciai, infatti, dipende una parte fondamentale dell'approvvigionamento del ciclo idrico che coinvolge la vita sociale ed economica di tutti gli ecosistemi.

Il testo si rivolge agli amministratori, agli operatori economici, ma anche alle istituzioni universitarie, per fare della Marmolada una montagna-laboratorio dell'adattamento al cambiamento climatico: «Questa edizione ci ha permesso di constatare questo problema che abbiamo di fronte», afferma Patrizia Lombardi, professoressa del Politecnico di Torino, presidentessa e coordinatrice della Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile. «Tutti devo rendersi conto come questa nostra economia e modo di vivere, porta ad un impatto ambientale sugli ecosistemi e sulla nostra vita».

Analisi climatologiche

I principali risultati delle analisi climatologiche raccolte dall'Intergovernmental Panel on Climate Change, rivelano che la regione alpina si trova già in una traiettoria di surriscaldamento rispetto al resto del pianeta.

L'incremento di temperatura più forte è per la stagione estiva. Per quanto riguarda le precipitazioni, si prevede un ulteriore spostamento stagionale delle quantità di precipitazioni, dall'estate all'inverno. Si prevede inoltre che l'intensità delle precipitazioni giornaliere aumenterà in tutte le stagioni.

Il cambiamento di temperatura previsto in estate è correlato negativamente con il cambiamento delle precipitazioni, quindi le regioni con un forte riscaldamento medio stagionale mostreranno tipicamente una diminuzione delle precipitazioni più forte. Per contro, per l'inverno si riscontra una correlazione positiva tra variazione della temperatura e variazione delle precipitazioni.

Il manifesto

I proponenti di questo Manifesto reclamano una netta inversione di tendenza, si impegnano ad immaginare un'altra Marmolada entro il 2030 e a sostenere iniziative in linea con la gravità del momento storico che stiamo vivendo, di cui la Marmolada è per tutti un monito severo.

Il manifesto di divide in tre dimensioni. Dimensione politica : per gestire la fase terminale del ghiacciaio è necessario una cabina di regia che superi i vecchi motivi di contenzioso orientati al massimo sfruttamento economico e consenta il coinvolgimento di tutte le amministrazioni e di tutti i soggetti a diverso titolo interessati al ghiacciaio intorno a un grande progetto di riconversione.

Dimensione economico turistica : la Marmolada è chiamata a costruire una nuova immagine di sé promuovendo una frequentazione improntata alla sostenibilità economica, sociale, ambientale: istituzioni, operatori, imprese e associazioni dovranno impegnarsi in un progetto di fruizione alternativo al turismo di massa, che è invece basato su attività ad alto impatto.

Dimensione scientifico culturale : la Marmolada deve essere luogo di formazione e sensibilizzazione al global warming per studenti, insegnanti, cittadini e associazioni. Le Università del Veneto e di Trento si impegnano a promuovere momenti di formazione e iniziative di sensibilizzazione orientate alla sostenibilità. L'evento è stato promosso dalla rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile (Rus) e dal Club Alpino Italiano (Cai), le Università degli Studi di Brescia e Padova, insieme alle altre Università Rus Venete – Università Ca' Foscari Venezia, Università Iuav di Venezia, Università di Verona – all'Università di Trento e alle sezioni Cai di Padova e Brescia.

Corriere delle Alpi | 9 settembre 2024

p. 13

Il T | 15 settembre 2024

p. 14-15

COLLEGAMENTO CORTINA – CIVETTA:

GLI AGGIORNAMENTI

Gazzettino | 14 settembre 2024

p. 2, segue dalla prima, edizione Belluno

«Carosello, adesso o mai più»

Sarà il territorio a dire sì oppure no alla realizzazione Tra Selva e Colle Santa Lucia ci sono opinioni diverse

IL PROGETTO ALLEGHE

Il progetto di collegamento tra le aree sciistiche di Alleghe e di Cortina è al giro di boa: ora o mai più. A stretto giro di posta la Regione incontrerà i Comuni di Selva di Cadore e di Colle Santa Lucia, i cui territori verrebbero interessati dal passaggio dell'impianto, e la Provincia di Belluno. Nonché una rappresentanza di imprenditori locali e cittadini. «In quella sede - ha affermato ieri l'assessore al turismo Federico Caner, presente al taglio del nastro del rinnovo dell'hotel Lorenzini - decideremo una volta per tutte se l'idea avrà un futuro concreto, ed eventualmente seguendo quale strada, oppure no. Tra Selva e Colle, ad esempio, ci sono opinioni diverse. Da sciatore incallito penso sia un'ottima prospettiva: due comprensori spettacolari che si uniscono e diventano ancor più ambiti tanto in inverno quanto in estate. Rivelandosi al contempo un ottimo sistema per ridurre il caotico afflusso delle auto in quota, consentendo alla gente di muoversi in seggiovia tra Alleghe, Zoldo e Cortina».

LA DECISIONE

Sarà il territorio, dunque, a dire sì o no all'impianto. Dal fronte favorevole, molto vasto, si discosta il Comune di Colle Santa Lucia che avanza dei distinguo. In ballo, al momento, ci sono alcuni progetti preliminari di fattibilità. «Noi come Regione non vogliamo imporciha sottolineato Caner - Certo è che treni così, con già 33 milioni finanziati, è difficile che ripassino. Ed è bello pensare che uno sciatore, un escursionista o un ciclista, in arrivo dalla pianura, possa lasciare l'auto in parcheggi ad hoc ad Alleghe o Val di Zoldo e arrivare a Cortina con gli impianti di risalita. Una grande boccata di ossigeno per le strade e il traffico nonché una bella frenata per quell'overtourism sfacciato che tanto sta imperversando». E ha aggiunto: «Ne nascerebbe un carosello che nulla avrebbe da invidiare a quello blasonato del Sella. In inverno ovviamente, con km e km di piste da percorrere senza mai togliere gli sci. Ma anche in estate, una stagione che registra sempre più presenze grazie alla bellezza dei luoghi ma anche all'enogastronomia dei rifugi, agli eventi in quota, alle proposte di qualità per gli ospiti. Infine, ma non da ultimo, va alleggerita la mobilità. Pensiamo ai passi dolomitici, letteralmente presi d'assalto. Ma come fare per ridurre il flusso? Io non sono a favore dell'ipotesi di chiuderli perché, ricordiamo, essi vengono frequentati quotidianamente anche da tante persone che qua vivono e lavorano. Seggiovie e funivie collegate, quindi, potrebbero aiutare non poco a ottimizzare la situazione. Meglio ancora se in sinergia con rotaia e gomma».

LA FILOSOFIA

«Con questo approccio - ha sottolineato Caner - si offrono servizi migliori ai turisti che saranno sempre di più. Vuoi per l'appeal continuamente crescente della montagna, vuoi per le Olimpiadi ma vuoi anche per un "travaso" di gente che stiamo accogliendo dal Trentino Alto Adige che rigetta il suo essere troppo antropizzato. Sì perché quella marcia in più che per anni abbiamo invidiato ai vicini di casa con più soldi e più intraprendenza si sta rivelando per loro un boomerang. E il turismo di qualità scappa, alla ricerca di un territorio e di una natura più incontaminati come i nostri ricchi di pace». Ecco quindi che questi ospiti "in fuga" vanno accolti al meglio, offrendo a loro sostenibilità a tutto tondo. «Ben vengano quindi interventi di miglioria come quelli promossi dall'hotel Lorenzini grazie anche a finanziamenti pubblici - l'opinione dell'assessore - che portano vantaggi ai titolari in primis ma a caduta all'intera valle che si ritrova ad avere servizi più qualificati. Sono felice di dire che gli imprenditori bellunesi hanno risposto benissimo all'uscita dei recenti

bandi tant'è che quello che c'era a disposizione è andato bruciato. Forte scelta politica, la nostra, anche in ambito agricolo con il 42% dei contributi Psr destinato alla montagna che conta solo il 7% delle aziende venete del settore. Se non si fosse capito, quindi, io faccio un tifo sfrenato per la montagna che frequento fin da bambino tant'è che la mia casa delle vacanze ce l'ho ad Alleghe. Dobbiamo offrire ai residenti un buon motivo per non abbandonare questi paesi e per incentivare i giovani a tornare, dopo che si sono formati altrove. E il turismo può giocare un ruolo fondamentale nella creazione di posti di lavoro. Serve un patto sociale tra tutti i soggetti in campo: per quanto riguarda la Regione Veneto posso dire che c'è e che ci sarà sempre».

Raffaella Gabrieli

Gazzettino | 15 settembre 2024

p. 3, segue dalla prima, edizione Belluno

Dal mondo dell'impiantistica è un sì corale quello che si alza al cospetto del progetto regionale di collegare i comprensori sciistici di Alleghe-Zoldo con quello di Cortina. Sulla scia di quanto affermato a Selva di Cadore dall'assessore al turismo Federico Caner, gli imprenditori sostengono che quello in corsa sia un treno da non perdere. E non solo per ragioni economiche delle società interessate, ma anche per creare nuovi posti di lavoro e frenare così lo spopolamento in atto. «Ci appelliamo alle istituzioni viene sottolineato affinché comprendano la valenza di questo percorso per le nostre vallate e non ne ostacolino la prosecuzione».

SUPPORTO

Il progetto, per sommi capi, prevede la realizzazione di una pista che dal monte Fertazza scende in località L'Aiva. Qui nascerebbero due impianti in salita: uno verso lo stesso Fertazza e uno verso la località Fedare, nei pressi del passo Giau, da cui attualmente parte una seggiovia biposto che in pochi minuti conduce da 2.000 agli oltre 2.400 metri di altitudine della forcella Averau, che appartiene al comprensorio ampezzano. Una struttura vintage, quella di Fedare, che con ogni probabilità meriterà un ragionamento a parte in relazione a un possibile rinnovamento.

AVERAU IMPIANTI

Limpido il pensiero del presidente della Averau Impianti srl, che nell'area Cinque Torri gestisce quattro seggiovie: «Come società afferma Marco Zardini siamo pienamente a favore dei collegamenti. Lo abbiamo sempre detto e lo ribadiamo anche in questa occasione. Aspettiamo di venir interpellati dalle istituzioni competenti e in quella sede illustreremo la nostra posizione nei dettagli, compresa la valutazione sulla biposto di Fedare».

VAL FIORENTINA

Ad attendere di approfondire in maniera circostanziata i preliminari di fattibilità è Enrico Pirollo, presidente della Val Fiorentina spa, che amministra gli impianti di risalita nel comune di Selva di Cadore. «Il nostro parere favorevole è scontato ovviamente dichiara . A questo punto non ci resta che esaminare le soluzioni proposte dalla Regione, in termini ambientali ma anche di gestione futura, che significa, ad esempio, fare delle previsioni di sostenibilità economica e comprendere il futuro assetto societario da individuare. Dopo l'imminente confronto che Venezia avrà con i Comuni di Selva di Cadore e di Colle Santa Lucia e con la Provincia di Belluno, ci rendiamo disponibili a un incontro con spirito proattivo e collaborativo».

ALLEGHE FUNIVIE

A spendersi da anni a favore del collegamento Civetta-Cortina è Sergio Pra, presidente di Alleghe Funivie spa. «Ci credo tantissimo sottolinea così come tutti i soci della nostra società. È un progetto strategico per i paesi alto agordini e per la loro gente: va perseguito ora, subito, visto che siamo in questa fase di non ritorno». Per Pra la valenza è invernale ma anche estiva. «Sì, perché l'idea che da Alleghe si possa andare a bere il caffè in Ampezzo e ritornare senza usare l'auto dice è veramente allettante. Certo, lo è per lo sciatore, che senza mai togliersi gli sci riuscirebbe a percorrere chilometri e chilometri di pista in mezzo a panorami fantastici. Ma la stessa cosa vale anche, in estate, per l'escursionista e per l'appassionato di mountain bike. E ancora, per il semplice turista che vuole farsi un giro senza incentivare il traffico».

PASSO GIAU

A questo proposito, Alleghe Funivie nelle scorse settimane estive ha commissionato delle riprese della zona dall'alto. «Per quanto riguarda il passo Giau viene spiegato le immagini sono impressionanti, con veicoli di tutti i tipi parcheggiati ovunque. E quindi con un

impatto ambientale pesantissimo che potrebbe invece essere ridotto grazie a un nuovo tipo di mobilità figlio dei collegamenti a fune». L'appello finale di Pra è rivolto agli amministratori dei territori interessati al passaggio dell'impianto: «Spero tanto che comprendano a fondo l'enorme valenza di questa idea che potrebbe cambiare, in meglio, le sorti delle nostre vallate. Sediamoci tutti a un tavolo a lavorare per un futuro più entusiasmante, anche e soprattutto per le giovani generazioni».

Raffaella Gabrieli

Gazzettino | 20 settembre 2024

p. 3, edizione Belluno

Corriere delle Alpi | 26 settembre 2024

p. 29

Cabinovia per il Giau, servono 90 milioni I sindaci chiedono la stazione intermedia

Francesco Dal Mas

COLLE SANTA LUCIA

La Regione ha 33 milioni a disposizione per il collegamento in cabinovia tra Fedare, sul passo Giau, e il monte Fertazza, a Selva di Cadore. Ma il collegamento partirebbe da forcella Averau e comprenderebbe il rinnovo dell'impianto che da qui scende al passo Giau. E il costo complessivo sarebbe di 90 milioni di euro.

L'assessore regionale al turismo, Federico Caner, è impegnato a trovare il resto dei finanziamenti. Dai privati o da altri centri d'investimento? Al momento la Regione tiene il massimo riserbo. vertice con i sindaci

Nei giorni scorsi, nella sede della Provincia a Belluno, Caner ha incontrato, tra gli altri, i sindaci di Selva di Cadore, Luca Lorenzini, e di Colle Santa Lucia, Paolo Frena.

Il riserbo sull'esito dell'incontro è massimo anche da parte loro. E per un motivo in più: l'interesse che Colle e Selva hanno di realizzare una stazione intermedia al confine tra i due Comuni, comunque in territorio di Colle, là dove inizia la valle che sale al passo Giau. Il costo aggiuntivo, si dice, sarebbe di 5 milioni. E secondo gli impiantisti risulterebbe insostenibile, non solo per la spesa in se stessa, ma soprattutto per quella riferita alla successiva gestione.

In verità il collegamento fino ad oggi considerato e che era stato ipotizzato prima peri Mondiali e poi per le Olimpiadi 2026 – sia dalla Regione che dalle società impiantistiche Cinque Torri di Marco Zardini e Val Fiorentina Seggiovie – mette in conto la costruzione di una cabinovia che sale da località L'Aiva, in comune di Selva di Cadore, fino al passo Giau, precisamente a Fedare. Un secondo tronco s'arrampica sul versante nord del Col Fertazza, anch'esso in territorio di Selva di Cadore, e oggi servito, sull'altro lato, dalla seggiovia della Val Fiorentina.

Il progetto prevede anche il tracciato di una pista che scende dal Fertazza sino a L'Aiva. Sergio Pra, presidente della società Alleghe Funivie, si è sempre dichiarato molto interessato al collegamento perché le cabinovie che salgono da Alleghe e le piste che dalle alture scendono verso il lago, da una parte, e in direzione zoldana, dall'altra, si possono facilmente raccordare. E, di conseguenza, si può salire dallo Zoldano e da Alleghe con gli impianti, scendere con gli sci fino a L'Aiva, salire in cabinovia fino al Giau e da qui fiondarsi verso le 5 Torri e gli impianti delle Tofane. Il sogno nel cassetto degli impiantisti – tra i quali, ad esempio, Stefano Illing (Lagazuoi) – è di potersi rapportare con Arabba e il Sellaronda, o quanto meno con Armentarola, attraverso il passo Val Parola. il problema delle risorse

Tutto okay, dunque? Non proprio. Caner sta appunto cercando le risorse che mancano per completare l'investimento in modo da dare copertura alla tratta tra il Giau e Fertazza. Occorre molto di più di quei 33 milioni di euro. I sindaci, dal canto loro, hanno chiesto formalmente – e unitariamente – che senza rinunciare a L'Aiva, si realizzi una stazione intermedia a Colle.

«È indispensabile per risolvere una volta per tutti, radicalmente, il problema del traffico verso il Giau», spiega da tempo il sindaco

Paolo Frena, che da sempre ha condiviso l'impostazione della Regione e in particolare dell'assessore Caner di orientare gli impianti di risalita, specie quelli verso i passi, come alternativa al traffico automobilistico.

In sostanza, chi arriva a Colle o dalla Val Fiorentina, parcheggerebbe alla stazione intermedia, dove è possibile ricavare anche un grande parcheggio, e da qui salire al Giau in cabinovia.

Magari chiudendo la Sp 638? «Probabilmente non lo permetteranno», spiegano in comune a Colle, «perché non può essere limitata la libertà di circolazione. Ma è certo che una volta, acquisite le possibili aree di parcheggio da parte del Comune, potremmo quanto meno limitare gli accessi alle poche soste che permetteremo».

L'amministrazione Frena ha infatti in programma la sistemazione dei parcheggi al valico, con un intervento da 400 mila euro, come da progetto già definito.

Impiantisti scettici

Il disegno dei sindaci non trova chissà quale accoglienza da parte degli impiantisti, perché ritengono la stazione intermedia un onere inutile.

È anche vero, però, che orientare il traffico turistico d'estate verso l'Aiva per chi volesse salire con gli impianti al Giau, diventa un grosso problema di sostenibilità ambientale. Se questo è un versante della medaglia, l'altro è quello della compatibilità ambientale di tutto il progetto.

L'esame da parte dell'assessore Caner e dei suoi uffici è solo ai preliminari. A Belluno si è tenuto il primo incontro con gli amministratori pubblici.

«Immagino che ce ne sarà un altro con gli impiantisti», interviene Sergio Pra, «perché anche a noi dobbiamo dire la nostra». Quindi il prossimo appuntamento sarà proprio con i possibili investitori. A seguire ci sarà il perfezionamento del progetto e l'avvio della procedura autorizzativa. A questo punto si scateneranno gli ambientalisti che fino ad oggi non sono andati oltre il pronunciamento del "da qui non si passa".

Per essere più precisi, il mondo ambientalista accetta il rinnovo, la riqualificazione degli impianti, ma nessuna opera del tutto nuova. E questo è anche l'orientamento del Cai. Compreso il Cai di Livinallongo e di Colle che di fatto è un'unica realtà. Club alpino che ha già palesato tutta la sua contrarietà all'ipotesi di un collegamento tra il passo Falzarego ed Arabba, più precisamente tra Falzarego, Andraz e il monte Cherz.

Difficilmente per le Olimpiadi sarà pronto il progetto per passare all'appalto dei lavori. Ancora più difficile, dunque, ipotizzare la costruzione dell'impianto nei tempi a suo tempo messi in conto.

TRAFFICO SUI PASSI DOLOMITICI

L’Adige | 4 settembre 2024

p. 12

Le associazioni alpinistiche: «Via i motori dalle 9 alle 16»

Massimiliano Bona

«La situazione sui Passi Dolomitici è diventata ormai insostenibile, con ripercussioni evidenti anche sulle strade interne: bisogna intervenire subito e chiudere al traffico motorizzato dalle 9 alle 16»: l'appello stavolta è unitario e a lanciarlo sono associazioni altoatesine e trentine: Cai, Avs, Sat, Lia da Mont Gherdëina e Badia. Coinvolte anche le associazioni alpinistiche di Val di Fassa e Livinallongo. Gli interessati mettono sul piatto 3.700 tessere. E chiedono misure concrete in tempi brevi.L'assessore provinciale altoatesino alla mobilità Daniele Alfreider non rigetta l'appello e dichiara: «Uniamo le forze e cambiamo le regole in Parlamento». Alfreider apre al dialogo e chiede agli ambientalisti di unire le forze per cambiare il Codice della strada in Parlamento. «Mi immagino una Ztl grande come quella di Milano con un sistema in grado di leggere le targhe. Ma va finanziata e serve un pedaggio. Bisogna mettere un tetto alle auto ma essendo strade di collegamento con altre province e regioni non si può imporre un divieto e basta. Come già fatto a Braies ad esempio. Condivido in toto i timori dei valligiani ma la strada da seguire è più lunga e complessa di come viene presentata. Certo, bisogna lavorare assieme». Le associazioni vanno all'attacco. Per loro le «strade panoramiche sono usate come piste da corsa private». Il punto di partenza è il traffico ormai al collasso durante l'alta stagione. «Una parte importante della popolazione delle valli ladine si guadagna da vivere attraverso il turismo. Ma sempre più abitanti delle valli ritengono che i limiti siano stati superati, soprattutto in termini di congestione del traffico. Non si tratta solo del traffico sui passi, ma anche delle strade di collegamento ormai congestionate», spiega Davide Schuen della Lia da Munt Ladinia/Val Badia. Le associazioni alpine locali indicano due grossi problemi: «Da un lato l'enorme quantità di traffico che nei mesi estivi congestiona le strade dei passi, limitando la mobilità degli abitanti e inquinando l'ambiente. Dall'altro, il numero crescente di auto e moto sportive che utilizzano le famose strade panoramiche come piste da corsa private. L'inquinamento acustico è addirittura superiore a quello provocato dal traffico normale. Inoltre, molti di essi viaggiano a velocità eccessive, il che richiede controlli più severi rispetto al passato».Le associazioni alpinistiche

attaccano anche le Apt: «Il pedaggio non ha alcun senso per chi viaggia in Porsche». Gli alpinisti ladini ritengono che un pedaggio sulle strade dei Passi, come proposto di recente dalle associazioni turistiche ed economiche, non abbia alcun senso: «Chi può permettersi una Porsche non sarà certo scoraggiato da un pedaggio», sottolinea Norbert Frenademez del Cai Val Badia. Le organizzazioni ambientaliste hanno recentemente chiesto la chiusura dei passi al traffico motorizzato privato dalle 9 alle 16. «Gli abitanti del luogo, le attività professionali e i trasporti pubblici sarebbero esenti dalla regolamentazione in questione». Pronta la replica di Alfreider: «Non si potranno mai controllare auto e moto una ad una. Serve una Ztl con verifica elettronica delle targhe e questa va finanziata. Quindi meglio il contingentamento con un tetto per auto e moto di passaggio».La richiesta delle associazioni: un progetto pilota per convincere gli scettici. Secondo le sezioni locali delle associazioni alpinistiche i mezzi di trasporto alternativi - come le funivie - sono già disponibili nelle valli dolomitiche, ma bisogna aumentare la frequenza dei bus pubblici e, soprattutto, creare un servizio interprovinciale. Una soluzione simile è stata testata per un breve periodo a Passo Sella, ma è stata cassata prima che potesse avere effetto. Le associazioni alpinistiche delle valli dolomitiche sono tuttavia convinte «che un progetto pilota di diversi anni possa convincere anche gli scettici».

Alto Adige | 4 settembre 2024

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Traffico sui Passi, si accende lo scontro sulla chiusura 9-16

Simeoni (Avs): «Aspettiamo ormai da 20 anni»

massimiliano bona DOLOMITI

«La situazione sui Passi Dolomitici è diventata ormai insostenibile, con ripercussioni evidenti anche sulle strade interne: bisogna intervenire subito e chiudere al traffico motorizzato dalle 9 alle 16»: l'appello stavolta è unitario e a lanciarlo sono Cai, Avs, Sat, Lia da Mont Gherdëina e Badia. Coinvolte anche le associazioni alpinistiche della Val di Fassa e di Livinallongo. Gli interessati mettono sul piatto 3.700 tessere. E chiedono misure concrete in tempi brevi.L'assessore provinciale: «Uniamo le forze e cambiamo le regole in Parlamento».Daniel Alfreider apre al dialogo e chiede agli ambientalisti di unire le forze per cambiare il Codice della Strada in Parlamento. «Mi immagino una Ztl grande come quella di Milano con un sistema in grado di leggere le targhe. Ma va finanziata e serve un pedaggio. Bisogna mettere un tetto alle auto ma essendo strade di collegamento con altre province e regioni non si può imporre un divieto e basta. Come già fatto a Braies ad esempio. Condivido in toto i timori dei valligiani ma la strada da seguire è più lunga e complessa di come viene presentata. Certo, bisogna lavorare assieme». L'attacco: «Strade panoramiche usate come piste da corsa private». Il punto di partenza è il traffico ormai al collasso durante l'alta stagione. «Una parte importante della popolazione delle valli ladine si guadagna da vivere attraverso il turismo. Ma sempre più abitanti delle valli ritengono che i limiti siano stati superati, soprattutto in termini di congestione del traffico. Non si tratta solo del traffico sui passi, ma anche delle strade di collegamento ormai congestionate», spiega Davide Schuen della Lia da Munt Ladinia/Val Badia. Le associazioni alpine locali indicano due grossi problemi: «Da un lato l'enorme quantità di traffico che nei mesi estivi congestiona le strade dei passi, limitando la mobilità degli abitanti e inquinando l'ambiente. Dall'altro, il numero crescente di auto e moto sportive che utilizzano le famose strade panoramiche come piste da corsa private. L'inquinamento acustico è addirittura superiore a quello provocato dal traffico normale. Inoltre, molti di essi viaggiano a velocità eccessive, il che richiede controlli più severi rispetto al passato».Associazioni alpinistiche contro le Apt: «Il pedaggio non ha alcun senso per chi viaggia in Porsche».Gli alpinisti ladini ritengono che un pedaggio sulle strade dei Passi, come proposto di recente dalle associazioni turistiche ed economiche, non abbia alcun senso: «Chi può permettersi una Porsche non sarà certo scoraggiato da un pedaggio», sottolinea Norbert Frenademez del Cai Val Badia. Le organizzazioni ambientaliste hanno recentemente chiesto la chiusura dei passi al traffico motorizzato privato dalle 9 alle 16. «Gli abitanti del luogo, le varie attività e i trasporti pubblici sarebbero esenti dalla regolamentazione in questione». Pronta la replica di Alfreider: «Non si potranno mai controllare auto e moto una ad una. Serve una Ztl con verifica elettronica delle targhe e va finanziata. Quindi meglio il contingentamento con un tetto per auto e moto di passaggio».La richiesta: un progetto pilota per convincere gli scettici.Secondo le sezioni locali delle associazioni alpinistiche i mezzi di trasporto alternativi - come le funivie - sono già disponibili nelle valli dolomitiche, ma bisogna aumentare la frequenza dei bus pubblici e, soprattutto, creare un servizio interprovinciale. Una soluzione simile è stata testata per un breve periodo a Passo Sella, ma è stata cassata prima che potesse avere effetto. Le associazioni alpinistiche delle valli dolomitiche sono tuttavia convinte «che un progetto pilota di diversi anni possa convincere anche gli scettici».©RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 5 settembre 2024

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Associazioni ladine contro il traffico: «Chiudiamo i passi durante l'estate»

Francesco Dal Mas / ARABBA

Chiusura dei passi al traffico motorizzato dalle 9 alle 16, con l'esenzione per abitanti, commercianti e trasporti pubblici. «Ora basta, il limite è stato superato». Parole (scritte) da "Lia da Munt" (Avs Ladinia e Cai Val Badia), "Lia da Mont" (Avs e Cai della Val Gardena), Cai-Sat Alta Val di Fassa e Cai Livinallongo-Colle Santa Lucia, cioè lo scrittore Matteo Righetto.

A cosa si riferiscono? Al traffico sui Passi Dolomitici. Chiedono alle Province di Belluno, Trento e Bolzano e alla Regione Veneto di intervenire contro la congestione. «Il traffico sui passi ha ormai raggiunto livelli insostenibili nei mesi estivi, l'afflusso di macchine, auto sportive e moto è dannoso sia per la qualità della vita degli abitanti sia per i turisti», scrivono le organizzazioni alpine e ambientaliste, «la chiusura temporanea delle strade al trasporto privato in estate è la soluzione più sensata». Una soluzione drastica, insomma, come quella assunta anni fa dalle Province di Bolzano e Trento, con le chiusure per alcune ore del valico Sella.

Le associazioni sono rappresentative di 3.700 appassionati di montagna, chiedono perciò misure concrete contro la congestione del traffico. In primis la chiusura dei valichi, nelle ore centrali del giorno: «Le infrastrutture di trasporto alternative, come le funivie, sono già sufficientemente disponibili nelle valli dolomitiche», spiegano le sezioni locali dei club alpini, mentre sarebbe necessario «aumentare la frequenza dei degli autobus e, soprattutto, creare un servizio inter-provinciale». Perché, invece, non adottare la misura del pedaggio? O quanto meno della Ztl? Non ha molto senso, è la risposta. «Chi può permettersi una Porsche non sarà scoraggiato da un pedaggio», dice Norbert Frenademez del Cai Val Badia.

Il sindaco di Livinallongo Oscar Nagler è cauto. O meglio, concorda nell'analisi che i flussi di traffico turistico verso i passi sono diventati insopportabili, almeno in determinati periodi dell'anno. «Ma chiudere i passi», obietta, «sarebbe rendere invivibili le valli. Abbiamo tutti presente che cos'è la Val di Fassa? La situazione si ripeterebbe tale e quale da noi. Immaginarsi a Cortina». Ma la perplessità del pubblico amministratore di Livinallongo si ferma qui. «Tutti insieme, i Comuni e le Province, nonché la Regione veneto, devono mettersi subito a tavolino per pianificare interventi specifici per l'estate prossima. A cominciare dall'organizzazione di parcheggi a valle e di incremento delle navette cadenzate verso i passi, dove peraltro sarà necessario organizzare, quindi limitare le

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aree di sosta», " afferma il sindaco. Paolo Frena, primo cittadino a Colle Santa Lucia, sta programmando qualcosa del genere anche per il Passo Giau.

Le associazioni alpine considerano con preoccupazione due aree problematiche: da una parte, l'enorme quantità di traffico che d'estate congestiona le strade dei valichi, limitando la mobilità degli abitanti e inquinando l'ambiente. Dall'altra parte, il numero crescente di auto e moto sportive che utilizzano le famose strade panoramiche come piste da corsa private.

Matteo Righetto, da presidente del Cai, da alpinista ma finanche da scrittore, non perde occasione di denunciare, ad esempio, l'inquinamento acustico e da emissioni di queste vetture che è addirittura superiore a quello provocato dal traffico normale. Inoltre, denunciano le associazioni, tante di queste auto, viaggiano a velocità eccessive, il che richiede controlli più severi rispetto al passato. Rilevano, le stesse organizzazioni, che iniziative quali la protesta ciclistica promossa a Passo Gardena dalla Lia per Natura y Usanzes (ma poi vietata) «dimostrano che la popolazione locale ne ha abbastanza del caos da traffico».

Osvaldo Finazzer, titolare di due alberghi sul Pordoi e coordinatore del Comitato operatori turistici dei valichi, è ovviamente contrario alle chiusure. Ammette anche lui, però, che il traffico di moto e auto sportive è eccessivo. «Una soluzione molto semplice del problema è incrementare i controlli e, di conseguenza, le sanzioni. Oggi la vigilanza è limitata, per la carenza di personale. Ma prima di pensare ad altro, si provveda in questa direzione», insiste.

Corriere delle Alpi | 6 settembre 2024

p. 17

Al lavoro per il pedaggio sui passi «Ma serve una norma del Governo»

L'INTERVISTA

Francesco Dal Mas Ztl in quota, come in città? Le fa intravvedere Daniel Alfreider, assessore provinciale dell'Alto Adige, all'Istruzione e cultura ladina, alla Mobilità e alle Infrastrutture. È lui a coordinare il Gruppo interprovinciale che da anni studia possibili soluzioni per il contingentamento del traffico sui valichi. In alternativa, secondo Alfreider, è necessario il pedaggio. Anche per pagare le opere logistiche a valle. Una misura, il pedaggio, allo studio delle Province di Bolzano, Trento e Belluno.

Arriviamo all'introduzione delle Ztl sui Passi?

«Nell'ambito della riforma del Codice della Strada è stata presentata una proposta per una "Ztl in zone Unesco". Questa proposta mira a ridurre la pressione del traffico nelle aree di pregio più delicate, con alcune limitazioni: le zone "off limits" per i non autorizzati non possono durare più di cinque mesi, configurandosi quindi come Zone a Traffico Limitato Temporanee (Ztlt), i cui accessi potranno essere controllati anche elettronicamente. Tuttavia al momento non è possibile chiedere alcun pedaggio».

Come nessun pedaggio?

«I nostri parlamentari a Roma hanno proposto un emendamento per garantire la possibilità di richiedere anche un contributo d'accesso, ma al momento non ci sono le maggioranze necessarie per approvare tale proposta. Invito le associazioni che hanno firmato la lettera ad aiutarci a portare avanti a livello nazionale questa idea. Una volta introdotta la norma, sarà necessario capire se e in che modo potrà essere applicata ai passi dolomitici. Essendo di fatto delle strade di collegamento tra Province e Regioni».

Lei, dunque, si appella alle associazioni ladine che nei giorni scorsi hanno chiesto la chiusura dei Passi dalle 9 alle 16?

«Premetto: anche per me c'è troppo traffico e soprattutto troppo traffico di macchine e moto che non si tiene alle regole. Ma per quanto riguarda la richiesta di una chiusura temporanea dei passi voglio immaginare che nessuno pensi a una chiusura totale, giusto? Perché ci saranno persone che avranno in ogni caso il diritto di passare (rifugisti, chi lavora da una e dall'altra parte di un passo, trasporto pubblico). Pertanto, posso solo ripeterlo ancora una volta: anche per una teorica chiusura servirebbe un sistema di gestione». Che cosa intende?

«Punti di controllo, personale, sistema di gestione autorizzazioni, infrastrutture quali rotonde, corsie preferenziali, parcheggi di contenimento e postazioni infopoint. Queste misure servirebbero in ogni caso. Allora la mia proposta è da tempo questa: iniziare proprio con queste misure e con un pedaggio per riuscire a finanziare tali investimenti. Perché nel momento in cui i singoli passi vengono chiusi per qualche ora senza misure propedeutiche, nelle valli e nei paesi si scatenerebbe un caos totale».

Si fa un gran discutere di overtourism. Esiste davvero o è una finzione, come taluni sostengono?

«Il turismo è stato la fortuna delle nostre valli. Ma siamo arrivati a un punto dove è importante avere una gestione chiara e valorizzare di più il nostro territorio, soprattutto la nostra gente. Per quanto riguarda la mobilità, con il prezioso sostegno delle Forze dell'ordine e alcuni Comuni, il nostro compito è di promuove il controllo delle regole esistenti, come i limiti di velocità, il contrasto ai parcheggi abusivi e il rispetto dei limiti di decibel. In alcuni Comuni sono state installate barriere fisiche per prevenire i parcheggi abusivi e segnaletica "park&ride" per facilitare l'uso di parcheggi dedicati e anche radar fissi di controllo velocità. Inoltre, sono stati implementati sistemi di gestione dei parcheggi e promosso l'uso del trasporto pubblico locale».

Con queste iniziative a valle, si può dunque procedere alla chiusure?

«Il contingentamento e il pedaggio per l'accesso alle aree sensibili rappresentano le misure più efficaci, ma anche più difficili da implementare e sono attualmente oggetto di approfondimenti legali e discussioni con i ministeri (perché oggi attualmente non autorizzate a livello legislativo) anche insieme alle altre Province e Regioni».

Per quanto riguarda la promozione dell'utilizzo di mezzi di trasporto sostenibili, voi in Alto Adige avete promosso il Guest Pass. Come è andata la sperimentazione?

«L'obiettivo è che gli ospiti, anche se arrivano in macchina, lascino il veicolo in garage durante il loro soggiorno in Alto Adige e si spostino utilizzando i mezzi pubblici. Iniziativa nuova in questa estate 2024 che ha già portato grandi risultati».

Come coordinamento delle tre Province quali iniziative state portando avanti per regolamentare i flussi?

«Le Province hanno implementato un sistema di monitoraggio del traffico e, attraverso un protocollo d'intesa, hanno accordato una collaborazione per regolamentare e decongestionare i flussi di traffico sui Passi. L'arma più efficiente per gestire il traffico è l'introduzione di un pedaggio; tuttavia, manca uno strumento legale che lo permetta. Siamo in contatto con il Ministero e con il legislatore a livello nazionale per capire come arrivare a una base giuridica che possa aiutare a raggiungere l'obiettivo. Nel frattempo, stiamo lavorando su altri fronti, come il potenziamento del trasporto pubblico che collega le varie province. Tuttavia, vi è margine per migliorare la collaborazione. Un esempio? la linea di autobus Dobbiaco–Rifugio Auronzo ha notevoli problemi dovuti all'eccessivo numero di macchine dirette al rifugio e la difficoltà di trovare una soluzione per dare precedenza al trasporto pubblico».

Corriere delle Alpi | 6 settembre 2024

p. 17

Righetto: «Siamo giunti al limite Noi vogliamo la chiusura»

L'analisi

«Perché presentiamo una proposta forte com'è la chiusura dei passi dalle 9 alle 16? Perché siamo arrivati al limite». Così l'alpinista e scrittore Matteo Righetto spiega la richiesta delle associazioni alpinistiche dell'area intorno al Sella. «È chiaro che questa richiesta va discussa con tutti gli attori del territorio, ma dopo anni di confronti sul tema del congestionamento del traffico in valle e in quota bisogna arrivare rapidamente ad una soluzione», afferma il presidente del Cai di Livinallongo e Colle Santa Lucia. «È chiaro inoltre», precisa Righetto, «che non s'intende una chiusura totale del traffico, che sarà permesso ovviamente a chi vive e lavora sui passi».

L'interrogativo di fondo è questo: «Perché si salvaguarda il centro storico di una città e non il patrimonio naturalistico dell'alta montagna? Ne soffrono gli abitanti, la fauna, gli alpinisti in cordata che non riescono a sentirsi l'un l'altro a 3 mila metri per il rumore delle motociclette? Lo sappiamo che sul Giau si effettuano corse clandestine di auto? Insomma, possiamo dire, noi che vi abitiamo, che non se ne può più?».

Ecco spiegato perché anche Righetto ha sottoscritto il documento delle associazioni alpinistiche. «È evidente che le eventuali chiusure a fasce orarie devono essere accompagnate», afferma, «dal potenziamento del servizio dei trasporti pubblici e anche da adattamento del trasporto a fune, che deve rivedere le tariffe».

L'introduzione delle Ztl e, quindi, dei flussi controllati? Anche questa è una possibile soluzione, secondo Righetto. Insomma, per il presidente del Cai, le soluzioni possono essere più d'una, secondo le caratteristiche e le esigenze del percorso, della valle–«L'importante è che si abbia una visione sistemica».

No, invece, al pedaggio, perché sul Giau o sul Pordoi ci si troverà – secondo Righetto - con lo stesso numero (abnorme) di auto, ma tutte di grossa cilindrata, magari sportive, cioè di proprietari che non hanno problemi a pagarsi il ticket. «Avremmo probabilmente un turismo ancora più volgare, più scomposto», sottolinea lo scrittore, perché «con la proposta di un pedaggio si valuta il problema economico, non quello ecologico».

Corriere delle Alpi | 15 settembre 2024

p. 25

Il Cai: «Siamo contro la montagna chiusa No al pedaggio, meglio le prenotazioni»

il focus

Francesco Dal Mas

L'overtourism? «Non si combatte certo penalizzando i turisti, ma destagionalizzando», dice Antonio Montani, presidente nazionale del Cai. «Le Dolomiti Unesco sono un'opportunità, una risorsa per la protezione delle nostre montagne, non problema, tanto meno un limite». I passi da chiudere? «No, semmai da regolamentare», suggerisce Renato Frigo, presidente regionale del Cai. Di molti problemi si è trattato al Consiglio nazionale, il massimo organismo del Cai, che si è svolto a Pieve di Cadore, a conclusione della settimana nazionale dell'escursionismo.

«Abbiamo tenuto un Consiglio nazionale allargato ai delegati provenienti da tutte le regioni italiane, per cui», dice il presidente Montani, «siamo stati resi partecipi delle emergenze ambientali di ogni territorio, perché ci eravamo proposti di porre a terra le politiche ambientali che ci eravamo dati con l'assemblea di Roma dell'anno scorso. Di certo noi come Cai vogliamo porci come sentinelle di una vigilanza attiva, ma senza imporre nulla dall'alto, bensì confrontandoci con gli attori nei territori».

E proprio in questa prospettiva il Consiglio nazionale ha dato mandato al presidente del Veneto, Frigo, di chiedere e promuovere un incontro con la Fondazione Dolomiti Unesco.

DOLOMITI UNESCO

«Non abbiamo mai detto, noi come Cai, che le Dolomiti vanno tolte dalla lista Unesco perché la Fondazione non provvede alla loro tutela», precisa Montani. «Semmai abbiamo sostenuto che probabilmente occorre più protagonismo nella tutela stessa, ma da parte del territorio nel suo complesso. Il Cai cercherà un confronto con la Fondazione, ma insieme agli enti locali e possibilmente ai soci affinchè insieme si possa avviare un rilancio della specifica azione di tutela delle valli», precisa il presidente regionale, facendo riferimento alla tutela che oggi l'Unesco riserva alle quote più alte dei raggruppamenti dolomitici.

PASSI CHIUSI

Parlando di valli, dunque, si fa riferimento anzitutto ai passi, ai valichi. Alcune sezioni del Cai, come quella di Livinallongo, hanno chiesto la chiusura dei passi alcune ore al giorno. «Non credo che sia questa la soluzione», precisa Montani. «O meglio, può essere l'opzione di un territorio, ma non è la ricetta da calare dall'alto. Come approccio culturale, infatti, noi non concepiamo la montagna chiusa. Valle per valle si deve decidere insieme qual è la soluzione migliore per conservare la propria vivibilità». «Una regolamentazione del flusso automobilistico è sicuramente necessaria», dice Frigo. «Anzi urgente, provvedendo anzitutto attraverso l'implementazione della vigilanza da parte delle forze dell'ordine, specie contro le corse più o meno regolari di auto o moto». Contrario alla chiusura tout court il Cai lo è anche nei confronti del pedaggio, a meno che non sia una scelta condivisa dal territorio er specifiche e limitate esigenze. «Altrimenti la montagna è destinata ai ricchi», è la deriva temuta da Frigo. Una scelta tra le più sagge potrebbe essere la prenotazione. «In ogni caso bisogna provvedere ai servizi a valle, di navette e parcheggi per le auto. Comunque stando attenti a non intasare il fondovalle».

OVERTOURISM

Uno dei temi da affrontare al tavolo con la Fondazione è l'overtourism. «E' un problema che riguarda determinate aree, non altre», suggerisce il presidente Montani, «e allora la soluzione più saggia è quella di destagionalizzare e di promuovere un'azione di marketing per far conoscere e valorizzare le aree ancora poco frequentate. Ovviamente per destagionalizzare bisogna adeguare anche i servizi».

NUOVI COLLEGAMENTI Incrementare

Dunque, gli impianti di risalita come alternativa alle auto? «Ce ne sono già a sufficienza»,risponde Frigo. «Noi siamo del parere di aggiornare, semmai di riqualificare l'impiantistica che c'è, rinunciando a nuovi collegamenti, di cui ancora si parla, pure in queste ore».

DIGA DEL VANOI

Fra i tanti temi discussi al Consiglio, il dibattito si è incentrato anche su quelllo che si teme il nuovo Vajont.

«Non diciamo pregiudizialmente di no», precisa il presidente Montani. «Diciamo invece che vanno ascoltati autenticamente i territori. E insieme a loro i tecnici, gli esperti».

«Se il territorio per ragioni ponderate si dice contrario», prosegue. « non si può imporre un'opera solo perché qualcuno la ritiene di interesse nazionale. Comunque, come abbiamo puntualizzato in un comunicato, non si può prescindere dal confronto con la pianura agricola che ha bisogno di irrigazione. E' evidente che insieme vanno trovate soluzioni alternative. E oggi, purtroppo, si spreca troppa acqua».

PANNELLI FOTOVOLTAICI

Impianti eolici e pannelli fotovoltaici? Si ma con estrema prudenza. «Questo», conclude il presidente Montani, «è stato uno dei temi più dibattuti al Consiglio nazionale. I pannelli a terra, ad esempio, proprio no; ve li immaginate le vostre valli con parchi di questo tipo? Semmai si utilizzino le coperture di qualche complesso industriale. Certo, il problema è delicato, perché l'energia da fonte rinnovabile è irrinunciabile».

NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO

Corriere delle Alpi | 2 settembre 2024

p. 15

Già 2.692 interventi per escursionisti illesi «Un dovere soccorrerli»

Francesco Dal Mas / BELLUNO

La verità sul soccorso in montagna. L'aumento in Veneto è solo del 3%, mentre a livello nazionale è addirittura in forte decremento. Invece fa riflettere la quota intorno al 37-39 per cento di interventi dell'elicottero o dei volontari da terra che si muovono in aiuto a escursionisti comunque illesi. È tutta gente che se ne approfitta? Assolutamente no, a sentire Fabio "Rufus" Bristot, già capo del Cnsas provinciale, da qualche anno componente della Direzione nazionale del Corpo del Soccorso alpino. Il quale fa chiarezza anche su tanti altri aspetti.

I DATI "VERI"

A causa del maltempo in primavera, in ambito nazionale gli interventi del Soccorso alpino fino a oggi risultano in diminuzione (-4,8%, con -11,3% di persone soccorse), mentre nel Bellunese, nel Veneto e in Trentino Aldo Adige danno uno scostamento in positivo del 3%. Alle 19.30 del 31 agosto le statistiche del Cnsas nazionale registravano 7.396 interventi effettuati, con 6.801 persone che avevano ricevuto prestazioni, da parte di oltre 18 mila volontari. La quota maggiore di uscite si riferisce a escursionisti italiani, per il 79%. E, dato molto significativo, il 91% non è socio Cai, non gode comunque di assicurazioni, se non privata, e di specifica tutela sanitaria. Il 66% sono maschi e la fascia più coinvolta è quella tra i 50 e i 60 anni, seguita – «stranamente quest'anno», come sottolinea Bristot –da quella tra i 20 ed i 30 anni. «È un dato veramente anomalo: si tratta del 14,1% degli interventi, mentre la prima fascia ha il 17,02».

La terza età che chiede più aiuto è quella tra i 60 ed i 70 anni, con un 13%. Le cause degli incidenti? Sono ascrivibili anzitutto alla caduta per il 34,6% e allo scivolata per l'8,9%.

PRIMEGGIANO LE SCIVOLATE

«Quindi possiamo dire che quasi un escursionista o camminatore su due, tra quelli che ricorrono al nostro servizio, o scivola o cade. Quest'anno c'è stato un incremento significativo col 12,6%, comunque in linea con il trend del 2023, di persone che hanno accusato malore a vario titolo». Tra le attività più coinvolte rimane sempre l'escursionismo, con il 47,7%. Le bike sono al 7,8%, in progressivo aumento. E questa tendenza viene registrata anche dall'alpinismo e da quella che ormai è diventata, anche per gli stranieri, la "corsa" alle ferrate.

MORTI E FERITI

Rifacciamo un passo indietro. Tra le persone recuperate, gli esiti mortali risultano purtroppo 284, ai quali si aggiungono 62 dispersi, 3.763 feriti e 2.692 illesi. «I morti sono di numero inferiore a quelli dell'anno scorso», spiega Rufus, «perché in maggio e giugno è sempre piovuto per cui in montagna ci sono state meno uscite (quindi anche del Cnsas).

Rispettare gli illesi

Fa riflettere, per contro, il gran numero delle persone illese recuperate. «È un fenomeno», puntualizza ancora Bristot, «che si è incrementato esponenzialmente negli ultimi 2 anni. Però va fatta chiarezza. L'illeso dal punto di vista della diagnostica sanitaria è considerato tale, però si tratta di persone che possono trovarsi in pericolo di vita, considerate le condizioni ambientali in cui si trovano. Oppure temono di trovarsi in una situazione di rischio evolutivo; magari stanno bene, ma temono il temporale in rapido arrivo e, di conseguenza, la compromissione del loro stato di salute, magari già precario, con prevedibile peggioramento a causa del tempo

Possono sentirsi sottoposte a un pericolo mortale; sto bene, sono in grado di muovermi, ma so di avere un'incapacità tecnica per evitare scivolate, cadute, precipitazioni. E poi, in tanti casi, può intervenire anche la paura, se non il terrore, ad impedire di proseguire». Sui social esplode talvolta l'irrisione in presenza di soccorsi all'illeso. «È necessario più rispetto, perché siamo nella maggior parte dei casi in presenza di condizioni davvero a rischio», insiste Bristot. «E il Servizio sanitario nazionale con il Soccorso Alpino non può girarsi dall'altra parte solo perché chi chiede aiuto non è ferito, non ha un malore evidente o addirittura è deceduto».

IL TICKET

È peraltro diventata quasi una moda, dopo qualche soccorso singolare, rivoltarsi contro l'illeso e ammonirlo: adesso devi pagare. Giustissimo, ma», argomenta Bristot, «non bisogna generalizzare. Intanto la Regione Veneto fin dal 1999 fa pagare un ticket significativo per il soccorso non strettamente sanitario. Così avviene in altre Regioni alpine, non nel resto d'Italia. «Manca una norma di riferimento nazionale che uniformi l'onerosità del servizio. E questo dovrebbe essere compito della Conferenza Stato Regioni. Un percorso da tradurre in precise linee guida». Anche perché, se oggi il 37% dei soccorsi riguarda persone illese, solo 10 anni fa la percentuale era del 22%.

Corriere delle Alpi | 2 settembre 2024

p. 15

«La montagna è ormai una moda Poco preparati da fuori regione»

L'analisi

«Manca una cultura della montagna, mentre è in esplosione quella che io chiamo la "moda della montagna"», sono le parole di Fabio Bristot, referente nazionale del Soccorso Alpino. «Che cosa significa questo diverso approccio? Non ci si organizza per tempo, non si pianifica la gita, non si rapporta l'itinerario con le proprie condizioni fisiche (e finanche psicologiche), non si tiene conto della propria esperienza e delle condizioni di coloro con i quali ci si accompagna, addirittura non si leggono nemmeno i bollettini meteo».

NECESSARIE LINEE GUIDA

Ecco perché secondo il e dirigente del Cnsas, bisogna definire e implementare un programma di "educazione" all'approccio con la montagna, anzitutto da parte degli attori principali, il Cai, le Guide alpine, il Soccorso Alpino e lo stesso Servizio Sanitario Nazionale. Lo si fa nel Bellunese, in Veneto, ma non nel resto d'Italia da dove provengono tanti turisti che si fiondano in quota spesso privi di una qualsiasi preparazione. «I vademecum da soli non bastano. Neppure i video sui social. Dev'essere un'azione continuata, che inizia dalla scuola». La consapevolezza delle scelte è indispensabile, tra l'altro, per non mettere a repentaglio la vita stessa del soccorritore. La consapevolezza – insiste Bristot – dei propri limiti, ma anche di quelli di chi ci accompagna; spesso sono sottovalutati.

SFINiMENTO

Troppi i soccorsi per sfinimento, dunque? E questi presunti illesi come vanno valutati? «E' solo uno dei casi. Ecco perché insisto sulla consapevolezza dei propri limiti e quindi sull'educazione all'approccio con l'alta quota. Non si può fare la prima uscita – è solo un esempio – affrontando 500 metri di dislivello, addirittura mille. Ritorno al binomio cultura e moda della montagna. È qui che nei prossimi 10 anni si giocherà l'impegno a contrarre il numero degli interventi e delle persone soccorse, soprattutto in relazione agli esiti invalidanti. Una delle conseguenze di cui mai si parla, è quell'invalidità leggera ma talvolta anche grave che queste persone si portano appresso per il resto della vita. Oltre, ben s'intende, agli esiti mortali che dobbiamo in tutti i modi prevenire».

STRANIERI

Quanto alla consapevolezza dei limiti, quindi dei rischi, quale differenza c'è tra l'escursionista ed alpinista italiano e quello straniero? «L'alpinista straniero, specie quello di cultura tedesca, è più rigoroso, in fatto di informazioni. Sia l'alpinista che l'escursionista dell'Est

europeo come quello anglosassone è più fatalista. Un esempio? Noi ci preoccupiamo se la moglie o la compagna dopo mezzora non è ancora arrivata. Io ho vissuto situazioni particolari di inglesi che dopo un giorno non avevano ancora dato l'allarme». Fdm

Corriere del Veneto | 5 settembre 2024

p. 4, edizione Treviso – Belluno

Quest’estate venti vittime e quasi dieci interventi al giorno dei soccorritori «Troppi rischi per un selfie»

Crescono i turisti sui monti ma molti sono impreparati

BELLUNO

Sono in media dieci al giorno gli interventi del Soccorso alpino del Veneto, svolti in collaborazione con il Suem, in seguito ad incidenti avvenuti in montagna quest’estate. Venti i morti nelle Dolomiti venete da giugno fino a ieri, riferisce l’Usl Dolomiti, «un numero davvero importante che deve far riflettere sulla necessità di avere prudenza e consapevolezza del limiti».

La montagna, si sa, non è mai esente da rischi, anche nel caso di esperti scalatori, ma se la si affronta non adeguatamente equipaggiati o con scarsa preparazione, le probabilità di trovarsi in difficoltà aumentano notevolmente. Quest’anno, in particolare, sono stati registrati il 3% di interventi di soccorso in più rispetto al 2023, aumentate del 12% le persone recuperate. Da inizio anno oltre 800 le missioni dell’elisoccorso del 118. Agosto, per gli incidenti ad alta quota, è stato però il mese peggiore: 211, con 7 giornate con oltre 10 interventi. In questi primi tre giorni di settembre sono già stati effettuati 19 interventi. Falco 2, il secondo elicottero dell’Ulss Dolomiti per il periodo estivo, ha già all’attivo 152 interventi in meno di due mesi (lo scorso anno erano stati 130 in 60 giorni). Abbigliamento inadeguato e mancanza di preparazione sui percorsi, tra le cause principali che hanno portato, perlopiù camminatori improvvisati, a chiedere l’intervento dei soccorsi per incidenti o anche solo per la perdita di orientamento. «Quest’estate gli incidenti in montagna sono aumentati rispetto allo scorso anno – spiega il vice delegato del Soccorso Alpino Dolomiti Bellunesi Mario Brunello- un trend purtroppo in crescita dal post Covid, ossia dall’intensificarsi della frequentazione dei luoghi montani per praticare attività fisica all’aria aperta o per trascorrere del tempo immersi nella natura. La causa che li accomuna è l’imprudenza, in particolare percorrere i sentieri senza adeguate calzature o senza avere pianificato il percorso».

Diversi gli interventi dei soccorritori anche per sfinimento: ossia chi sale ad alta quota, magari solo per scattarsi un selfie e poi non riesce più a continuare il percorso. «Ci capita spesso di partire per recuperare escursionisti che si ritrovano al buio e non riescono a rientrare – spiega il delegato dei soccorritori veneti - il tutto perché si avventurano senza preparazione: vedono una foto postata sui social e raggiungono la località indicata. Ad esempio, al lago di Sorapis durante l’estate facciamo ormai un intervento al giorno per incidenti di questo tipo». La montagna è di tutti, anche se non è per tutti, visto il numero di incidenti anche fatali. «Non basta avere un cellulare per controllare il percorso – spiega il volontario del Soccorso Alpino del Veneto - in molti punti non c’è linea, dunque occorre avere ben chiaro dove portano i sentieri. Chi frequenta la montagna con adeguata preparazione conosce il pericolo e si avventura attrezzato per affrontare anche la notte in parete». Un’alta percentuale di sinistri riguarda anche i ciclisti. «Negli ultimi due anni c’è l’abitudine di noleggiare la bici elettrica per tour della montagna – spiega l’esperto -, chiunque dunque sale senza fatica, ma per scendere serve preparazione e si moltiplicano gli incidenti in bici anche di ciclisti minorenni».

Corriere delle Alpi | 24 settembre 2024

p. 18

L'estate rovente dei soccorritori: 12 uscite al giorno per gli elicotteri

Cristina Contento / belluno È un ritmo quotidiano scandito da 141 chiamate al giorno al Suem 118, 58 missioni, 57 persone soccorse, 331 accessi nei pronto soccorso. In tre mesi 460 interventi con Falco 1 e 2. È il palpito della lunga estate calda della sanità d'urgenza, che pulsa in montagna dal 20 giugno al 22 settembre, periodo durante il quale si moltiplicano mezzi di soccorso e necessità. Nelle statistiche spicca l'impegno contemporaneo dei due elicotteri: di quei 460 voli in tre mesi, ben 419 sono stati effettuati dal 6 luglio al 22 settembre (periodo di attività dei due Falco), il 29% in più rispetto allo stesso periodo del 2023. L'Ulss1 ha tirato le somme del lavoro svolto dalla rete di soccorso, un bilancio che parla anche delle fatture emesse per i voli non sanitari dell'elisoccorso: al 31 agosto, nel 2024 erano già state staccate 194 fatture per un totale di 953.755 euro. Il 70% dei destinatari viene dall'estero: Germania e Francia in testa, poi l'Inghilterra.

La rete emergenza

La foto scattata dal commissario Giuseppe Dal Ben (con la direttrice De Marco e il responsabile del Dipartimento prevenzione Cinquetti) offre la visione di una rete sollecitata al massimo nel coordinare Suem, Pronti soccorso, Punti di primo soccorso, elicotteri, postazioni di ambulanza, volontari chiamati anche ai turni di notte, ambulanze aggiuntive, guardie mediche e medicina turistica. Una rete che ogni giorno mette in campo due équipe di elisoccorso con medico rianimatore, infermiere, tecnici di elisoccorso e aereonautico

Dal 20 giugno al 18 settembre sono state quasi 13 mila le chiamate al 118, 5.361 le missioni dei mezzi, 5.212 le persone soccorse dal Suem, 30.097 gli accessi ai Pronto soccorso. Una media di 141 al giorno chiamate al Suem, con picchi che raddoppiano: come le 275 dell'11 agosto e le 264 di Ferragosto. Per quel che riguarda le missioni (in media 58 al giorno), il top è stato toccato l'11 agosto con 93. Gli interventi per il 92,2% sono avvenuti in ambulanza, il 7,8% in elisoccorso. Una persona su due manifestava codici seri, ma il 32% era in codice verde; il 14% è stato preso in pericolo di vita (codice rosso). Quanto ai luoghi di intervento di mezzi e sanitari, il 56% è stato effettuato nelle case, il 16,3 negli istituti di ricovero, il 14.7% in strada. La maggioranza delle cause è di natura traumatica. In tre mesi sono state soccorse 5.212 persone (in media 57 al giorno). Oltre un terzo della torta riguarda utenti sopra gli 80 anni di età, il 24% tra i 65 e i 79. Quasi il 70% è di provenienza Usl 1. Elisoccorso

La linea rossa delle missioni in elicottero si è impennata da giugno ad agosto rispetto al 2023. Il grafico giorno per giorno è un elettocardiogramma da "ricovero", con picchi di 12 missioni l'11, il 16 e il 23 agosto. Ma in almeno 10 giorni dell'estate si sono contate almeno 10 missioni. Il periodo di impiego di Falco 2 ha visto l'impennata del 29% di missioni: 419 (242 di Falco 1 e 177 di Falco 2; 24 interventi a Treviso, Trento e Friuli). «Interventi importanti in realtà toste», ha sottolineato Dal Ben. «Non è che si prende l'elisoccorso in più per fare la spesa».

Il 35% dei soccorsi è stato per traumi poco gravi, il 34% per codici ancora più leggeri, il 4% per decessi e il 7% per pericolo di vita. Cadore e Agordino i luoghi più battuti con 178 e 97 interventi; ci si abbassa a 30 e 31 tra Belluno e Feltre, si scende a quota 14 nello Zoldano.

Pronto soccorso

Sono 30.097 gli accessi nei tre mesi estivi per una media di 331 al giorno (media annua 277). Il picco massimo il 12 agosto con 484 utenti, ma sono 78 su 90 le giornate con accessi sopra la media annuale. Gli incrementi rispetto a luglio e agosto 2023 sfiorano il 10%. Ma come sta l'utente dei Pronto soccorso? Più di uno su due (56,7%) ha codice bianco, cioè deve farsi controllare; quasi il 24% è in codice verde; i casi veramente a rischio non raggiungono il 20%. Un utente su 4 è fra i 45 e i 60 anni, il 27% tra i 15 e i 44 anni; il 77% viene dalla Ulss Dolomiti.

«In questi tre mesi», Conclude Dal Ben, «bbiamo potuto contare su una squadra meravigliosa che ringrazio. Perchè è così che l'Ulss vede la collaborazione con Soccorso alpino, mondo del volontariato e Finanza: un mondo che gira attorno ai soccorsi. Forse la gente lo dà per scontato, ma non è così: dietro ci sono persone che danno tutto».

NOTIZIE DAL MONDO AMBIENTALISTA

L’Adige | 4 settembre 2024

p. 12

L'attacco Mountain Wilderness contro la Fondazione Unesco

«C'è un solo responsabile del fallimento del progetto Dolomiti Unesco. È il decisore politico, alquanto sfaticato: il Consiglio d'amministrazione della Fondazione». Non ci va leggero Luigi Casanova, presidente di Mountain Wilderness che interviene a seguito delle polemiche dei giorni scorsi, sollevate dalla provocazione di Antonio Montani, presidente del Cai, il Club Alpino italiano. Casanova verga un lungo documento in cui ricostruisce la storia delle Dolomiti patrimonio Unesco e poi propone di ridefinire, «alla luce dei cambiamenti climatici e dei temi dell'overturism l'intero piano di gestione, finanziandolo fin nel dettaglio delle proposte».Casanova ricorda che trentun anni fa Mountain Wilderness Italia, Legambiente e Sos Dolomites organizzarono a Cortina un'articolata iniziativa tesa a proporre all'Unesco l'inserimento dell'intero arco delle Dolomiti nell'elenco dei grandi Monumenti del Mondo. Si raccolsero oltre 10 mila firme. L'iniziativa venne portata all'attenzione del Ministero dei Beni Culturali. «Da lì - ricorda Casanova - ebbe inizio un lungo processo istituzionale, culturale e sociale, non privo di difficoltà, che condusse al successo di Siviglia, quando il 26 giugno 2009 le Dolomiti vennero dichiarate dall'Unesco Patrimonio naturale dell'umanità». Ma la scelta fu aspramente criticata dall'associazione in quanto l'aver scelto di tutelare solo gli ambiti rocciosi e le aree già parco naturale impediva l'avvio di un progetto di tutela complessiva dell'area dolomitica compresa fra i fondovalle fino agli alpeggi. Secondo Casanova era chiaro che le Dolomiti sarebbero diventate un banale marchio turistico. Non solo, ma nella scelta venivano esclusi dalla tutela Unesco gruppi montani strategici fra i quali il Sassolungo, il Sella-Boè, i Monzoni-Costalunga, le Piccole Dolomiti. «La Strategia Complessiva di Gestione (Scg) approvata a Siviglia prevedeva come obiettivi basilari la conservazione del bene: tale strategia doveva mirare a gestire il livello accettabile di visitatori». Insomma, molti dei problemi erano già presenti in partenza. Secondo Casanova «un percorso mai iniziato, anzi, a oggi divenuto in alcune amministrazioni obiettivo da disconoscere (Regione Trentino Alto Adige)». Casanova ricorda che nel 2019 11 associazioni ambientaliste abbandonarono il progetto: «La motivazione stava nel fatto che il piano di gestione, ricco di contenuti ritenuti da noi

21 e pilota. In carne e ossa, la rete mobilita ogni giorno oltre 200 persone: venti medici nei Pronto soccorso e nei Punti di primo intervento, 72 infermieri tra Suem e Pronto soccorso, 30 tra Oss e autisti, 45 volontari di ambulanze, senza contare le squadre a terra di Soccorso alpino e Finanza e altri enti. Quando non sono i soccorritori "laici" a dar man forte, ecco i due cittadini che hanno salvato due vite umane a Cortina e Lamon, utilizzando il defibrillatore di strada. «È stata un'estate molto impegnativa e partecipata, noi abbiamo cercato di garantire la maggiore sicurezza sanitaria possibile», dice Dal Ben. I numeri

positivi, veniva fin da subito abbandonato. La responsabilità di tanta sciatteria e disinteresse ricade totalmente nel Consiglio di amministrazione della Fondazione». Tra i nodi c'erano anche i cambiamenti climatici e gli accessi turistici. Si invocarono scelte coraggiose miranti al numero chiuso degli accessi. «Se la Fondazione ha fallito nella sua mission a nostro avviso la prima causa sta nella scelta del 2009 di arrivare a tutelare solo gli ambiti di alta quota». È stata potenziata «la viabilità stradale, c'è stata la diffusione di aree parcheggio per favorire l'uso dell'auto privata, la demolizione del servizio di trasporto pubblico, potenziamento delle aree sciabili, potenziamento delle strutture ricettive». A questo si è accompagnata un'azione devastante delle pubbliche amministrazioni (Province di Bolzano e Trento, Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia) nel favorire l'urbanizzazione delle alte quote e nella colpevole assenza di controllo da parte del Ministero dell'Ambiente». Per Casanova «la Fondazione si è rinchiusa in un fortino dal quale non escono notizie e studi sul patrimonio da tutelare, sui flussi del turismo e l'impatto che sta portando sulle alte quote e sulla vita quotidiana delle popolazioni che vi abitano». Siamo in emergenza per Mountain Wilderness e dunque si propone di «chiudere al transito delle auto private la strada delle Tre Cime di Lavaredo, oltre alla regolamentazione severa del traffico sui passi dolomitici; - limitare o vietare gli accessi nelle aree già oggi oltremodo antropizzate o in situazioni dove da tempo i limiti sostenibili sono stati superati; - contrastare l'intensificazione e il potenziamento delle infrastrutture o un loro uso inappropriato che porti impatti negativi sui valori del bene, vietare la pratica dell'eliturismo, avviare una politica conservazionistica dei beni naturali, praticare una politica di contenimento del potenziamento dei rifugi, evitare con coraggio gli interventi legati al potenziamento delle aree sciabili».

Corriere delle Alpi | 4 settembre 2024

p. 19

Mw: «La tutela dell'Unesco sia estesa anche alle valli»

BELLUNO

Gli ambientalisti Mountain Wilderness non chiede l'uscita delle Dolomiti dalla lista Unesco, ma sottolinea che la Fondazione Dolomiti Unesco è votata al fallimento se non tutelerà anche le valli, oltre alle creste. E per valli gli ambientalisti intendono anche i passi. Quindi sollecitano l'Istituto con sede a Cortina a «chiudere al transito delle auto private la strada delle Tre Cime di Lavaredo, oltre alla regolamentazione severa del traffico sui passi dolomitici». Il fallimento sarà certo – secondo l'associazione – se non si limitano o vietano gli accessi nelle aree già oggi oltremodo antropizzate o in situazioni dove da tempo i limiti sostenibili sono stati superati. È da vietare anche la pratica dell'eliturismo. E se la tutela del sito Unesco dev'essere puntuale, non può prescindere da una politica di contenimento del potenziamento dei rifugi, sia privati che del Cai o della Sat. «Da evitare», insiste Gigi Casanova, presidente del movimento ambientalista, «con coraggio i silenzi o gli interventi minimali e subito trascurati legati al potenziamento delle aree sciabili, dal Comelico per arrivare a Cortina, dal Catinaccio alle Dolomiti di Brenta, dalle Pale di San Martino al Latemar».

Per gli ambientalisti di MW, quanto avvenuto a Cortina fra le Tofane e passo Falzarego e verso le 5 Torri in occasione dei Mondiali di sci alpino– dove si è arrivati perfino all'uso dell'esplosivo sulle rocce – «è scandaloso, come è scandaloso il silenzio tenuto sulla proposta dei tre collegamenti sciistici privati fra Cortina e Val Badia, Arabba e Monte Civetta o il potenziamento dell'area sciabile verso la Marmolada». Per Casanova era invece auspicabile che si promuovesse una revisione totale delle aree sciabili, arrivando a sostenere nel tempo immediato una opzione zero nel potenziamento di questa attività, limitando gli interventi solo a minime razionalizzazioni e aggiornamenti anche tecnologici.

«Se la Fondazione Dolomiti Unesco ha fallito nella sua mission a nostro avviso la prima causa sta nella scelta del 2009 di arrivare a tutelare solo gli ambiti di alta quota», si legge nella nota del consiglio direttivo di Mountain Wilderness Italia. «I nove siti indicati meritevoli di tutela, per lo più rocciosi, hanno permesso di evitare, scientemente, una valutazione complessiva di quanto accadeva nelle immediate pertinenze: potenziamento della viabilità stradale, diffusione di aree parcheggio per favorire l'auto privata, demolizione del servizio di trasporto pubblico, potenziamento progressivo delle aree sciabili, potenziamento delle strutture ricettive – anche i rifugi in alta quota –, azione pressante di marketing turistico diffusa ovunque con un uso strumentale del marchio Dolomiti Unesco, anche laddove questo non coinvolge il territorio».

«All'insieme già di per sé preoccupante», aggiunge l'associazione, «si è accompagnata un'azione devastante delle pubbliche amministrazioni (Provincia autonoma di Bolzano, Provincia autonoma di Trento, Regione Veneto, Regione Friuli Venezia Giulia) nel favorire l'urbanizzazione delle alte quote e nella colpevole assenza di controllo e proposta da parte del Ministero dell'Ambiente. In ogni situazione si è favorito e ancora si favorisce il diffondersi del turismo di massa». Secondo Mountain Wilderness Italia è mancata anche un'attenzione alla biodiversità.

Gazzettino | 4 settembre 2024

p. 10, edizione Belluno

Corriere del Trentino | 4 settembre 2024

p. 3

«Dolomiti Unesco, la fondazione ha fallito la mission Colpe politiche»

Mountain wilderness dura. Passi, appello di Cai, Sat e Avs

Marika Giovannini

TRENTO

Il documento corposo ripercorre la storia del riconoscimento Unesco per le Dolomiti, dal 1993 in poi. Arrivando fino alle polemiche attuali e alle proposte, aleggiate in questo periodo, di togliere all’arco dolomitico quel patrocinio che lo inserisce tra i monumenti patrimonio dell’umanità. «Un fallimento» è il giudizio netto di Mountain wilderness. Che nel testo firmato dal consiglio direttivo analizza la situazione e indica la direzione da seguire.

Sotto la lente dell’associazione guidata da Luigi Casanova c’è la Fondazione Dolomiti Unesco. E, in particolare, il suo consiglio d’amministrazione, la cui «sciatteria» tuona il consiglio direttivo aveva portato già nel 2019 Mw a lasciare il collegio dei soci sostenitori.

Oggi l’associazione rilancia. Entrando nel merito «dei problemi mai affrontati, che attendono risposte da decenni». Risposte che avverte Mountain Wilderness diventano «più che mai urgenti visti i cambiamenti climatici in atto e le severe conseguenze che questi stanno portando all’ambiente alpino nel complesso, in modo ancora più severo nelle fragili Dolomiti». E che riguardano anche l’overtourism. «Se la Fondazione Dolomiti Unesco ha fallito nella sua mission prosegue il documento a nostro avviso la prima causa sta nella scelta del 2009 di arrivare a tutelare solo gli ambiti di alta quota». Permettendo, nelle aree sottostanti, la creazione di strade, parcheggi, nuove aree sciabili, strutture ricettive in quota. «All’insieme di per sé preoccupante aggiunge l’associazione si è accompagnata un’azione devastante delle pubbliche amministrazioni nel favorire l’urbanizzazione delle alte quote e nella colpevole assenza di controllo e proposta da parte del ministero dell’Ambiente. In ogni situazione si è favorito e ancora si favorisce il diffondersi del turismo di massa».

Negativo il giudizio anche sul potenziamento della biodiversità e sulla formazione. «La fondazione si è rinchiusa in un fortino» è l’accusa di Mw. Che torna, infine, sulle «emergenze» mai affrontate dall’ente. Come il divieto alla pratica dell’eliturismo, «oggi alimentata perfino dove questa attività dovrebbe risultare vietata per legge». O come il sostegno a una politica «di contenimento del potenziamento dei rifugi, sia privati che del Cai o della Sat» e la limitazione degli accessi «nelle aree già oggi oltremodo antropizzate». Sotto la lente anche piste e impianti: per Mw, infatti, si dovrebbero «evitare con coraggio i silenzi o gli interventi minimali e subito trascurati legati al potenziamento delle aree sciabili».

«La situazione è talmente grave avverte l’associazione da chiedere fin da subito alla fondazione di riprendere un percorso di revisione del piano, ancorandolo a investimenti economici e finanziari condivisi dai territori interessati. Un aggiornamento dovuto anche per far fronte in modo innovativo agli effetti dei cambiamenti climatici e per rispondere in modo incisivo alle recenti modifiche introdotte dal Parlamento all’articolo 9 della Costituzione».

E a puntare l’attenzione, ancora una volta, sulla questione della limitazione del traffico in quota sono in queste ore le sezioni dell’Alpenverein, del Cai e della Sat della val Badia, della val di Fassa, della val Gardena e di Livinallongo. Che in una nota congiunta invocano «interventi contro la congestione del traffico intorno ai passi dolomitici». Una questione che da anni fa discutere, quella della circolazione dei mezzi privati sui passi attorno al gruppo del Sella. E per la quale oggi le associazioni alpine chiedono una soluzione: «Il traffico sui passi dicono ha ormai raggiunto dimensioni insopportabili». Che fare? Se il pedaggio «non scoraggerebbe gli

automobilisti», una «chiusura temporanea al traffico privato sulle strade dolomitiche nei mesi estivi» potrebbe invece dare risultati positivi.

Corriere del Veneto | 4 settembre 2024

p. 10, edizione Treviso – Belluno

«Mountain Wilderness» attacca Dolomiti Unesco: area non tutelata

Belluno

In opposizione a chi pensa al futuro progettando di allargare comprensori sciistici, realizzare impianti e creare parcheggi, «Mountain Wilderness» si batte per preservare il territorio evitando interventi di questa natura.

In una nota diffusa ieri, l’organizzazione ambientalista si scaglia contro la politica fallimentare della Fondazione «Dolomiti Unesco» che si sarebbe limitata «a tutelare solo gli ambiti di alta quota» evitando di valutare «quanto accadeva nelle immediate pertinenze». Un atteggiamento che avrebbe permesso una serie di azioni quali il «potenziamento della viabilità stradale, la diffusione di areeparcheggio per favorire l’auto privata, la demolizione del servizio di trasporto pubblico, il potenziamento progressivo delle aree sciabili e delle strutture ricettive compresi i rifugi in alta quota, l’azione pressante di marketing turistico diffusa ovunque con un uso strumentale del marchio Dolomiti Unesco, anche laddove questo non coinvolge il territorio».

Le Province autonome di Bolzano e Trento, Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia avrebbero favorito l’urbanizzazione delle alte quote nella colpevole assenza di controllo e proposta da parte del ministero dell’Ambiente. «In ogni situazione sottolinea la nota si è favorito e ancora si favorisce il diffondersi del turismo di massa».

Un altro tema «riguarda la cancellazione dai programmi della Fondazione dell’attuazione del programma di gestione 2020-2040», che prevedeva di affrontare alcune «emergenze» come chiudere il transito delle auto private sulla strada delle Tre Cime di Lavaredo e regolamentare il traffico sui Passi dolomitici e limitare o vietare gli accessi «nelle aree già oggi oltremodo antropizzate», contrastare il potenziamento delle infrastrutture o un loro uso inappropriato. (U.C.)

NOTIZIE DAI CLUB ALPINI

Corriere delle Alpi | 12 settembre 2024

p. 20

Il CAI: “Noi al fianco della Fondazione Dolomiti UNESCO”

Il coordinamento delle 18 sezioni Cai della provincia di Belluno conferma il pieno appoggio al lavoro della Fondazione Dolomiti Unesco nel momento in cui, di fronte all'assalto senza regole alle montagne a cui si è assistito quest'estate, qualcuno mette in dubbio la bontà del riconoscimento "Dolomiti patrimonio naturale dell'umanità".

Le sezioni del Cai (che rappresentano 13 mila soci) hanno inviato ai vertici della Fondazione, una lettera per ribadire la posizione del Cai. «Il traffico motorizzato sui passi dolomitici i parcheggi selvaggi lungo i bordi delle strade, la concentrazione di masse di turisti in taluni punti, unita alla carenza di regolamentazione, la realizzazione di nuove infrastrutture con cantieri aperti nel bel mezzo della stagione turistica: problemi che non dipendono certo dalla Fondazione Dolomiti Unesco. Gli attori competenti ad affrontare tali tematiche sono molti, a iniziare dalle istituzioni politiche e amministrative nazionali, regionali, provinciali, comunali, agli enti preposti, anche con il contributo della società civile attraverso le associazioni in rappresentanza delle popolazioni e delle imprese».

Ma quel che serve ribadire è che «non sono in discussione i valori fondanti del riconoscimento Dolomiti Unesco e quanto percorso in questi primi 15 anni, da Siviglia ad oggi, auspicando una nuova ventata di sensibilizzazione alla conservazione, comunicazione e valorizzazione unitaria del bene, regolamentando dove è necessario, valorizzando la cultura e storia delle popolazioni, informando e formando i nuovi fruitori delle montagne dolomitiche, dedicando studi e proponendo soluzioni al cosiddetto overtourism, promuovendo stanzialità, destagionalizzazione e indirizzo verso le destinazioni meno conosciute e poco frequentate».

Ennio De Simoi, vice coordinatore delle sezioni bellunesi, spiega ancora meglio il senso della lettera: «Prima di tutto c'è l'appoggio alla Fondazione Unesco e al lavoro che sta facendo. Poi l'abbiamo mandata anche alla parte politica locale – il presidente della Provincia – per sottolineare che non ci piace ricevere osservazioni e critiche e magari imposizioni da chi non conosce il territorio, non vive qui e vorrebbe comandare in casa d'altri. E per dire che noi ci siamo, se si vuole discutere di soluzioni».

Il coordinamento delle sezioni Cai bellunesi è disponibile a partecipare a iniziative e tavoli di lavoro per trovare soluzioni e per migliorare la frequentazione e la promozione della montagna, come «soggetto qualificato grazie alla conoscenza derivante dalla capillare presenza delle nostre sezioni su tutto il territorio provinciale».

«Si parla tanto di overtourism, ma è limitato ad alcune zone che vanno regolamentate», continua De Simoi, «anche con l'utilizzo di un ticket: non poniamo preclusioni su nulla». Ma.co.

Gazzettino | 12 settembre 2024

p. 12, edizione Belluno segue dalla prima

Cai: «Pieno sostegno alla Fondazione»

Il sodalizio prende le distanze da Mountain Wilderness che aveva imputato all'organismo la scarsa tutela delle terre alte CORTINA

Il coordinamento delle sezioni bellunesi del Club alpino italiano esprime totale sostegno alla Fondazione Dolomiti Unesco. Il Cai non mette in discussione il marchio Unesco, riconosciuto alle Dolomiti quindici anni fa. «Come confermatoci direttamente dal presidente generale Antonio Montani, il Cai non ha mai chiesto di togliere questo riconoscimento. Sarebbe anacronistico, ben sapendo che il Cai stesso ha da sempre sostenuto le Dolomiti Unesco, fin dalla candidatura, e che nel caso contrario non ci troverebbe d'accordo in alcun modo», scrive Luigi Topran d'Agata (nel tondo), coordinatore delle diciotto sezioni Cai della provincia di Belluno, con oltre tredicimila soci, il più grande coordinamento di sezioni di montagna all'interno del Cai.

LA SOLIDARIETÀ

La lettera è inviata a Stefano Zanier, che presiede la Fondazione, per conto della Provincia di Udine; a Roberto Padrin, presidente della Provincia di Belluno; a Mara Nemela, che dirige la Fondazione. «Il riconoscimento Unesco alle Dolomiti, patrimonio naturale dell'umanità, è stato un percorso indubbiamente complesso, reso possibile dalla condivisione di territori e istituzioni molto diverse tra loro, ma che avevano la volontà di tutelare, valorizzare e promuovere le Dolomiti nel loro insieme», continua il coordinatore. Topran d'Agata ritorna quindi sulle critiche, espresse nell'ultimo periodo alla Fondazione Unesco, accusata di non tutelare a sufficienza il territorio: «Sappiamo bene che il traffico motorizzato sui passi nelle Dolomiti; i parcheggi selvaggi ai bordi delle strade; la concentrazione di masse di turisti in taluni punti, unita alla carenza di regolamentazione; la realizzazione di nuove infrastrutture, con cantieri aperti nel mezzo della stagione turistica, non dipendono da Fondazione Dolomiti Unesco. Gli attori competenti ad affrontare tali tematiche, che possono dare una soluzione, sono molti: le istituzioni politiche e amministrative nazionali, regionali, provinciali, comunali; gli enti, anche con il contributo della società civile, attraverso le associazioni in rappresentanza delle popolazioni e delle imprese. Non sono assolutamente in discussione i valori fondanti del riconoscimento Dolomiti Unesco e quanto percorso in questi primi quindici anni, auspicando una nuova ventata di sensibilizzazione alla conservazione, comunicazione e valorizzazione unitaria del bene seriale Dolomiti Unesco».

L'OBIETTIVO

Suggerisce quindi: «E' un percorso che continua, regolamentando dove è necessario, valorizzando cultura e storia delle popolazioni, informando e formando i nuovi usufruitori delle montagne dolomitiche, dedicando studi e proponendo soluzioni al cosiddetto overtourism, più urlato che reale, salvo limitate situazioni. Si deve promuovere stanzialità, destagionalizzazione e indirizzo verso le destinazioni meno conosciute e poco frequentate. Proseguire nel percorso intrapreso per armonizzare le politiche di gestione delle Dolomiti Unesco, pur tra enti e istituzioni profondamente differenti, però con territori e popolazioni aventi cultura e storia molto simili». Il coordinamento Cai della Provincia di Belluno, con competenza sul 41% del territorio Dolomiti Unesco, esprime senza indugio e con piena convinzione il sostegno al marchio e alla Fondazione: «Siamo disponibili a partecipare a iniziative, tavoli di lavoro, finalizzati a soluzioni per migliorare frequentazione e promozione della montagna, ritenendoci soggetto qualificato, grazie alla conoscenza derivante dalla capillare presenza delle nostre sezioni su tutto il territorio provinciale; gestendo la rete sentieristica Cai; conoscendo l'escursionismo e la sua evoluzione; le difficoltà del vivere in montagna, però anche le opportunità. C'è tanto lavoro da fare e siamo pronti a collaborare».

Gazzettino | 13 settembre 2024

p. 11, segue dalla prima, edizione Belluno

Corriere delle Alpi | 13 settembre 2024

p. 19

NOTIZIE DAI RIFUGI

Dolomiten | 21 settembre 2024

p. 13

Alto Adige | 21 settembre 2024

p. 14

La Corte dei conti sul rifugio Santner «Danno erariale di 600mila euro»

paolo tagliente

Bolzano

Com'è possibile che 900 metri quadrati di proprietà demaniale, a 2734 metri d'altezza, proprio sotto la parete ovest del Catinaccio, in un angolo di paradiso nel cuore delle Dolomiti patrimonio dell'Unesco, vengano venduti a un privato per la cifra irrisoria di 27.450 euro? E com'è possibile che una particella fondiaria diventi particella edificiale e su di essa sia sorto poi, al posto del vecchio e piccolo, il

nuovo e futuristico rifugio Santner? Domande che, un paio di anni fa, dopo l'interrogazione presentata in consiglio provinciale dal leader del TeamK, Paul Köllensperger, si erano posti in molti in Alto Adige. Tante erano state le proteste da parte di associazioni ambientaliste, da parte del Cai e da tantissimi comuni cittadini. Erano state anche raccolte 55mila firme contro la "svendita delle Dolomiti" e Köllensperger aveva anche presentato un esposto alla Corte dei conti. Sulla vicenda sembrava essere calato il silenzio. Ma non era così. Prendendo spunto dalla grande eco data alla vicenda dagli organi di informazione e dall'esposto del TeamK, i militari del nucleo di Polizia economico finanziaria delle Fiamme gialle hanno dato il via a un'indagine su quell'operazione, con l'ipotesi che il prezzo pagato dalla società privata non sarebbe coerente e di molto inferiore a quello di mercato. Ora, sulla base di quanto emerso, la Procura della Corte dei Conti di Bolzano ha quantificato in 600mila euro il danno causato alla Provincia da quella vendita e ha inviato a due dirigenti della Provincia stessa un invito a dedurre. La condotta contestata dall'autorità giudiziaria contabile riguarda il prezzo di vendita, quei 27.450 euro, legato all'applicazione del prezzo di 30 euro al metro quadro stabilito per i terreni improduttivi. Secondo le indagini della Finanza, i dirigenti pubblici ora chiamati a rispondere dell'ipotesi di danno erariale sarebbero stati pienamente consapevoli, fin dai primi contatti con l'impresa interessata all'acquisto, dell'intenzione di ampliare il rifugio Santner, costruito nel 1956 su terreno del Comune di Tires, e aumentarne la cubatura. Circostanza, questa, che li avrebbe dovuti indurre a chiedere all'ufficio Estimo una nuova stima del prezzo di cessione, che avrebbe dovuto considerare quel terreno non come improduttivo, ma come "edificabile". Per questo, la Procura contabile contesta loro l'aver intenzionalmente accettato di vendere un bene del patrimonio indisponibile della Provincia a un prezzo di gran lunga inferiore al suo valore reale, senza chiedere un'ulteriore stima adeguata alla natura del terreno. L'invito a fornire deduzioni notificato ai due dirigenti vale anche come costituzione in mora e invito al pagamento degli importi dovuti. Köllensperger all'attacco«Si arriva quando il danno è ormai stato fatto - tuona il consigliere del TeamK - ma spero che questo serva come deterrente per il futuro. Il mio rammarico è che la richiesta di risarcimento sia arrivata a due burocrati e non all'intera giunta provinciale della passata legislatura o comunque a chi, a suo tempo, ha votato a favore alla vendita. Vale la pena sottolineare che la stessa società cui sono stati svenduti i 900 metri, a poca distanza, aveva comperato circa 200 metri di terreno, la vecchia struttura e la teleferica, pagandoli 460mila euro». Köllensperger ricorda come, per ben due volte, il suo disegno di legge per evitare nuove cessioni di terreni demaniali in aree protette è stato respinto dalla Svp. «Siamo di fronte a una vicenda gestita interamente dalla Svp e il mio disegno di legge avrebbe dato loro fastidio. E devo dire che colpevole è stato anche il silenzio della Fondazione Unesco».Zanella soddisfattoCarlo Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige, saluta con favore l'intervento della Procura della Corte dei conti, ma si rammarica che a pagare siano due funzionari. «Fossi stato in loro avrei valutato meglio - spiega Zanella - ma è chiaro che dietro di loro c'è un intero sistema e tutto era già stato previsto. Certo è che adesso, dopo l'indagine della Finanza e l'intervento della Corte dei conti, è stato fissato un limite chiaro. Certe operazioni non saranno più ammesse e noi associazioni veglieremo con severità. Non lasceremo più passare nulla». ©RIPRODUZIONE RISERVAT

Corriere dell’Alto Adige | 21 settembre 2024

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Indagine sul rifugio Santner «Danno da seicentomila euro»

La vendita del terreno nel mirino della Corte dei conti: «Doveva essere considerato area edificabile» Francesco Mariucci

BOLZANO

Seicentomila euro, pari alla differenza tra la valutazione dell’area come stimata dai periti e il prezzo effettivo di vendita: a tanto ammonta il danno erariale che la Procura regionale della Corte dei conti contesta a due dirigenti della Provincia autonoma di Bolzano, a seguito della compravendita del terreno sul quale sorge il rifugio Santner in versione rinnovata, con una cubatura superiore di circa nove volte rispetto all’originale datato 1956. Ai due dirigenti indagati si tratterebbe di Daniel Bedin, della ripartizione Amministrazione del patrimonio, e Albert Wurzer, dell’Agenzia del demanio la Guardia di finanza ha notificato un invito a fornire deduzioni. Il caso scuote la politica: l’indagine delle Fiamme gialle infatti, parte da alcune notizie apparse sulla stampa locale nel 2022, e da un esposto del consigliere provinciale del Team K Paul Köllensperger, che sul tema aveva portato avanti una raccolta firme che è arrivata a contare oltre 55mila sottoscrizioni. Siamo nel Parco naturale Sciliar-Catinaccio, uno dei nove gruppi montuosi delle Dolomiti riconosciuti patrimonio mondiale dell’Unesco, tra i principali luoghi cartolina dell’Alto Adige: qui, sulla parete ovest del Catinaccio a 2734 metri d’altezza, venne costruito nel 1956 il rifugio Santner. Lo stesso terreno che, con delibera del giugno 2019, fu venduto dall’amministrazione provinciale ad un privato: Stefan Perathoner, già rappresentante dei rifugisti privati all’interno dell’associazione albergatori (Hgv) e consigliere comunale della Svp nel Comune di Castelrotto. Il punto, secondo l’accusa di Köllensperger e la successiva indagine della Finanza, è il prezzo a cui l’area è stata venduta: 27.450 euro per 900 metri quadrati, così come stabilito al tempo dall’Ufficio Estimo ed Espropri sulla base del valore di 30,50 euro al metro quadrato valido per i terreni improduttivi. Una cifra considerata irrisoria: le indagini delle Fiamme gialle infatti, hanno dimostrato come i dirigenti pubblici coinvolti, oggi chiamati a rispondere dell’ipotesi di danno erariale, fossero pienamente consapevoli fin dalle prime interlocuzioni con l’impresa interessata all’acquisto (la Judith + Stefan Perathoner Snc) dell’intenzione di ampliare il rifugio e aumentarne la cubatura, come poi puntualmente accaduto. Stando alla ricostruzione dei militari, la volontà di ampliare il rifugio avrebbe dovuto indurre i dirigenti a chiedere all’Ufficio Estimo una nuova stima del prezzo di cessione, che avrebbe dovuto tener conto del terreno non come improduttivo ma come edificabile. Da qui il danno per le casse pubbliche stimato in seicentomila euro. «Con l’invito a fornire deduzioni, che vale anche come costituzione in mora

e invito al pagamento degli importi dovuti, la Procura contabile contesta ai due dirigenti l’aver intenzionalmente accettato di vendere un bene del patrimonio indisponibile della Provincia a un prezzo di gran lunga inferiore al suo valore reale, omettendo di chiedere un’ulteriore stima adeguata alla natura del terreno oggetto di alienazione» si legge in una nota diramata ieri dalla Guardia di finanza. «Ci sono volute numerose interrogazioni, due disegni di legge, esposti alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti, la raccolta di 55mila firme, due anni di attesa. Ho subito pressioni e ricevuto querele. Ma il tempo è galantuomo e oggi possiamo festeggiare un primo, significativo passo avanti nella vicenda della demo-ricostruzione del rifugio Passo Santner, sotto la cima del Catinaccio. Il danno ormai è fatto, ma tutto questo servirà almeno da monito per il futuro. Peccato che, come al solito, alla fine a pagare saranno due funzionari pubblici e non la Svp che è la vera responsabile di questo scempio, in un parco naturale che è anche Patrimonio dell’umanità Unesco» commenta il consigliere provinciale Paul Köllensperger. Il leader del Team K porta avanti anche la battaglia sui fondi (1,2 milioni di euro) che successivamente sono stati destinati dalla Provincia alla ristrutturazione del rifugio: «Si tratta di interventi per il sostegno di rifugi alpini come previsti dalla legge provinciale» fu al tempo la replica di Palazzo Widmann.

L’Adige | 22 settembre 2024

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Condanna per aver svenduto il terreno del rifugio, «bene indisponibile» della Provincia di Bolzano

paolo tagliente

Com'è possibile che 900 metri quadrati di proprietà demaniale, a 2. 734 metri d'altezza, proprio sotto la parete ovest del Catinaccio, in un angolo di paradiso nel cuore delle Dolomiti patrimonio dell'Unesco, vengano venduti a un privato per la cifra irrisoria di 27.450 euro? E com'è possibile che una particella fondiaria diventi particella edificiale e su di essa sia sorto poi, al posto del vecchio e piccolo, il nuovo e futuristico rifugio Santner? Domande che, un paio di anni fa, dopo l'interrogazione presentata in consiglio provinciale dal leader del TeamK, Paul Köllensperger, si erano posti in molti in Alto Adige. Tante erano state le proteste da parte di associazioni ambientaliste, da parte del Cai e da tantissimi comuni cittadini. Erano state anche raccolte 55mila firme contro la "svendita delle Dolomiti" e Köllensperger aveva anche presentato un esposto alla Corte dei conti. Sulla vicenda sembrava essere calato il silenzio. Ma non era così. Prendendo spunto dalla grande eco data alla vicenda dagli organi di informazione e dall'esposto del TeamK, i militari del nucleo di Polizia economico finanziaria delle Fiamme gialle hanno dato il via a un'indagine su quell'operazione, con l'ipotesi che il prezzo pagato dalla società privata non sarebbe coerente e di molto inferiore a quello di mercato. Ora, sulla base di quanto emerso, la Procura della Corte dei Conti di Bolzano ha quantificato in 600mila euro il danno causato alla Provincia da quella vendita e ha inviato a due dirigenti della Provincia stessa un invito a dedurre. La condotta contestata dall'autorità giudiziaria contabile riguarda il prezzo di vendita, quei 27. 450 euro, legato all'applicazione del prezzo di 30 euro al metro quadro stabilito per i terreni improduttivi. Secondo le indagini della Finanza, i dirigenti pubblici ora chiamati a rispondere dell'ipotesi di danno erariale sarebbero stati pienamente consapevoli, fin dai primi contatti con l'impresa interessata all'acquisto, dell'intenzione di ampliare il rifugio Santner, costruito nel 1956 su terreno del Comune di Tires, e aumentarne la cubatura. Circostanza, questa, che li avrebbe dovuti indurre a chiedere all'ufficio Estimo una nuova stima del prezzo di cessione, che avrebbe dovuto considerare quel terreno non come improduttivo, ma come "edificabile". Per questo, la Procura contabile contesta loro l'aver intenzionalmente accettato di vendere un bene del patrimonio indisponibile della Provincia a un prezzo di gran lunga inferiore al suo valore reale, senza chiedere un'ulteriore stima adeguata alla natura del terreno. L'invito a fornire deduzioni notificato ai due dirigenti vale anche come costituzione in mora e invito al pagamento degli importi dovuti. «Si arriva quando il danno è ormai stato fatto - tuona il consigliere del TeamK -, ma spero che questo serva come deterrente per il futuro. Il mio rammarico è che la richiesta di risarcimento sia arrivata a due burocrati e non all'intera giunta provinciale della passata legislatura o comunque a chi, a suo tempo, ha votato a favore alla vendita. Vale la pena sottolineare che la stessa società cui sono stati svenduti i 900 metri, a poca distanza, aveva comperato circa 200 metri di terreno, la vecchia struttura e la teleferica, pagandoli 460mila euro». Köllensperger ricorda come, per ben due volte, il suo disegno di legge per evitare nuove cessioni di terreni demaniali in aree protette è stato respinto dalla Svp. Carlo Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige, saluta con favore l'intervento della Procura della Corte dei conti, ma si rammarica che a pagare siano due funzionari. «Fossi stato in loro avrei valutato meglio - spiega Zanella - ma è chiaro che dietro di loro c'è un intero sistema e tutto era già stato previsto».

Alto Adige | 22 settembre 2024

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Corte dei conti, dirigenti nei guai «Bisogna cambiare le regole»

Bolzano

«Tutta la normativa sulla responsabilità dei dirigenti andrebbe riaggiornata ai principi di ragionevolezza. Anche un recente pronunciamento della Corte costituzionale va in questa direzione». È il commento di Antonio Lampis, direttore di dipartimento cultura italiana e sviluppo economico della Provincia nonché segretario del Dirap (il sindacato dei dirigenti), dopo che l'inchiesta della Procura della Conte dei conti ha contestato un danno erariale di 600 mila euro a due dirigenti, per la vendita di un'area sulla quale oggi sorge

il nuovo ed ampliato rifugio Santner. Ricordiamo che l'inchiesta nasce da un esposto del consigliere provinciale del TeamK Paul Köllensperger che contestava sia la scelta di vendere un terreno nel parco naturale Sciliar-Catinaccio sia il prezzo.Secondo la Procura contabile, i due dirigenti informati del fatto che il terreno sarebbe servito per rifare e ampliare il rifugio, avrebbero dovuto chiedere all'ufficio Estimo una nuova stima del prezzo di cessione (cifra irrisoria di 27.450 euro). Stima che avrebbe dovuto considerare quel terreno non come improduttivo, ma come "edificabile". La Guardia di Finanza ha notificato ai dirigenti l'invito a dedurre, ovvero a chiarire quanto successo. L'inchiesta - al di là di quelli che potranno essere i prossimi sviluppi - riapre il dibattito generale sulle responsabilità dei dirigenti pubblici; da cui deriva spesso la "paura della firma" per cui i tempi della burocrazia si allungano sempre più. I politici «Il mio rammarico - il commento di Köllensperger - è che la richiesta di risarcimento sia arrivata a due burocrati e non all'intera giunta provinciale della passata legislatura o comunque a chi, a suo tempo, ha votato a favore della vendita».È vero che l'alienazione dell'area in questione era stata approvata nel 2022 con una delibera della giunta provinciale di allora, ma almeno per ora non risulta che l'inchiesta della magistratura contabile riguardi i politici. E il motivo è semplice: oggi le maggiori responsabilità di un procedimento amministrativo sono in carico a loro che, per altro, percepiscono delle indennità di funzione per il ruolo ricoperto. Visto il carico di responsabilità e il rischio inchieste con possibili onerosi risarcimenti di danni erariali, tutti hanno un'assicurazione che però non copre in caso di dolo. «Da quello che ricordo - dice l'allora assessore Arnold Schuler - il Patrimonio aveva chiesto al Demanio se quel terreno avesse un valore istituzionale e la risposta era stata negativa. Quindi la pratica era stata seguita come sempre dai funzionari». «Su onestà, correttezza e professionalità dei dirigenti provinciali - assicura l'ex assessore al Patrimonio Massimo Bessone - sono pronto a mettere le mani sul fuoco. Si chiarirà tutto, ne sono più che convinto». La riforma Intanto, a Roma, Palazzo Chigi rilancia la proposta di legge Foti (FdI) sulla riforma delle funzioni di controllo della Corte dei conti che si basa su due misure. La prima riguarda il controllo preventivo di legittimità sugli atti da parte dei giudici contabili. Se un atto supera la verifica, non sarà più possibile sottoporre a giudizio per responsabilità erariale i funzionari che lo hanno adottato. Ammesso l'errore in buona fede, non il dolo. L'altra misura riguarda l'introduzione del tetto alla responsabilità colposa, limitando a due anni di stipendio la sanzione patrimoniale massima del funzionario responsabile del danno erariale. A.M.©RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere dell’Alto Adige | 22 settembre 2024

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«Caso Santner, la politica rifletta Ma non è finita: c’è l’ipotesi ferrata»

BOLZANO «Quello che mi dispiace è che gli unici che ci rimettono sono due funzionari, quando in realtà è nato tutto a monte. E non dimentichiamo che oltre all’indagine della Corte dei conti e all’esposto in Procura, sono state raccolte 55 mila firme contro la “svendita delle Dolomiti”: alla politica, dovrebbe far pensare». Carlo Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige, commenta così la notizia dell’indagine della magistratura contabile sulla vendita del terreno del rifugio Santner e sul presunto danno erariale da 600 mila euro. Una battaglia che Zanella combatte fin dall’inizio, e che non ha intenzione di mollare. «Anche perché già si vocifera di una possibile nuova via ferrata verso cima Catinaccio, per attirare più clienti». Torna ad accendersi il dibattito sulla grande «piramide» di alluminio costruita nel parco naturale Sciliar-Catinaccio. Nel 2019, il terreno su cui sorgeva il vecchio rifugio, costruito nel 1956, è stato venduto dall’amministrazione provinciale a un privato, Stefan Perathoner, già rappresentante dei rifugisti privati dell’Hgv e consigliere comunale dell’Svp a Castelrotto. I primi a insinuare il dubbio che si trattasse di un’operazione torbida furono gli ambientalisti, e Paul Köllensperger (Team K) accese il dibattito in sede politica (con due interrogazioni alla giunta provinciale e una richiesta di accesso agli atti) e giudiziaria (con un esposto alla Procura e l’altro alla Corte dei conti). È stata la magistratura contabile la prima a muoversi, con l’indagine del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza, partita nel 2022, anno del taglio del nastro per il nuovo rifugio, e culminata nell’invito a dedurre notificato venerdì a due dirigenti provinciali. Il nodo riguarda il prezzo di vendita dei 900 metri quadri di terreno: poco più di 27 mila euro, ossia 30 al metro quadro, che è il tariffario applicato ai terreni classificati come «improduttivi». Secondo le Fiamme gialle, i due funzionari sarebbero stati consapevoli, «fin dalle prime interlocuzioni con l’impresa interessata all’acquisto» (la Judith+Stefan Perathoner snc) dell’intenzione di ampliare il rifugio e aumentarne (di nove volte) la cubatura, e avrebbero dovuto chiedere all’ufficio Estimo una nuova stima del prezzo di cessione, che avrebbe dovuto considerare quel terreno come «edificabile». Tesi condivisa da Zanella. «È nato tutto male afferma . Quattro anni fa, il progetto per la ristrutturazione del Santner venne presentato per la prima volta alla Commissione paritetica rifugi, ma Cai e Avs si opposero. Venne ripresentato e bocciato di nuovo l’anno dopo. Tornò in commissione una terza volta, ma Cai e Avs non vennero convocati, e così il progetto passò. Per altro, avallato da Fondazione Unesco e Ufficio parchi». Di quelle che erano le intenzioni degli acquirenti, sostiene, «si sapeva già tutto. Tanto che su una rivista, uscì un articolo che parlava del sogno romantico di due ragazzi di riaprire il rifugio. E di ampliarlo». Per Zanella si tratta di «un’oscenità. Senza contare che un rifugio, lassù, deve lavorare. Mi spaventa che ora si possa andare avanti con altre iniziative». Per esempio, con la realizzazione di una nuova via ferrata. «Esiste già quella tra il rifugio Coronelle e il Santner ricorda il presidente del Cai Alto Adige , ma circolano già diverse voci di una possibile nuova ferrata dal Santner a cima Catinaccio, dove attualmente esiste una via alpinistica di secondo grado». E c’è anche il timore di un nuovo impianto di risalita. Alle spalle del rifugio, è già stata ampliata la vecchia teleferica, attualmente usata per il trasporto di materiale «e, a volte, del personale del rifugio». Un precedente c’è già. «Basti pensare a cosa è successo con la funivia di Tires (tra San Cipriano a malga Frommer, realizzata nel 2022 al costo di 15,5 milioni di euro, coperti per il 75% da fondi pubblici, ndr ): in quel caso, i contributi sono stati concessi quando era già pendente il ricorso

di noi associazioni ambientaliste al Tar. Io, della politica, non mi fido più: se c’è da andare avanti, passano sopra qualsiasi cosa. Ma almeno adesso ci sono i social ad accendere il dibattito, e a mettere i bastoni tra le ruote».

Sul caso Santner interviene anche Massimo Bessone, ex assessore provinciale al Patrimonio. «Ben venga che si indaghi afferma . È tutto una bolla di sapone. Una guerra politica fatta male, su questioni inesistenti. E che va a colpire dei dipendenti provinciali che sono ottime persone, capaci, corrette e oneste».

Alto Adige | 23 settembre 2024

p. 12

Corriere delle Alpi | 23 settembre 2024 p. 19

L’Adige | 24 settembre 2024 p. 32

Corriere delle Alpi | 22 settembre 2024

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«Ressa ai rifugi: allungheremo la stagione»

Fancesco Dal Mas / Belluno

Il rifugio Tissi, ai piedi del Civetta, ha chiuso ieri la stagione. Il Torrani, in vetta (3 mila metri circa) concluderà il 30 settembre. Oggi il Dal Piaz saluterà gli ospiti. Il 7° Alpini lo farà sempre oggi, con un concerto, mentre ieri ha ospitato la Fondazione Angelini. Per la prima volta, il Lacedelli, davanti alle Tre Cime, non chiuderà come da programma Cai (il 21 settembre) ma proseguirà per una settimana. Così pure tanti altri rifugi, mentre alcuni continueranno fino a metà ottobre. È tempo di bilanci, dunque, per i presìdi delle quote più alte. E la linea per la prossima stagione pare tracciata: «Ci sono troppi turisti, bisogna andare verso la destagionalizzazione, ossia allungare il tempo di apertura dei nostri rifugi».

«Concludiamo una stagione iniziata sotto i peggiori auspici, per il maltempo, e conclusa alla grande, in alcuni casi con un eccesso di visitatori, per cui bisogna pensare a dei rimedi per il prossimo anno», dice Ennio De Simoi, feltrino, vicecoordinatore Cai delle Sezioni Dolomiti Bellunesi. Basta un dato per rendere l'idea: l'Alta Via numero 1 a fine luglio aveva registrato all'arrivo di Belluno più di 500 transiti, in buona parte di stranieri, l'anno scorso neppure la meta, nello stesso periodo. «In agosto sono stati molti di più. Ma anche adesso, con settembre al giro di boa, abbiamo canadesi che telefonano per sapere se i rifugi dell'Alta Via 2 sono ancora aperti, e americani che concludono, soddisfattissimi i 13 giorni di percorso», racconta De Simoi. Tutti felici e contenti, dunque? Non proprio. «I rifugi alpini sono pochi (e tali resteranno, per decisione del Cai), non riescono a soddisfare la domanda crescente di ospitalità. Gli stranieri si prenotano a cominciare dall'autunno precedente. Gli italiani arrivano all'ultimo momento. E non trovano posto, se non accontentandosi di dormire col proprio sacco a pelo in qualche angolo del rifugio». Quindi? «Bisogna prenotare al più tardi tra febbraio e marzo. Ma soprattutto», suggerisce De Simoi «occorre promuovere una campagna di decongestionamento dei giorni, delle settimane di picco. Magari scegliendo altre destinazioni. E un'apposita app del Cai è uno strumento utilissimo al riguardo». De Simoi è anche componente dei vertici Dmo. «La destagionalizzazione è il nostro obiettivo, anche nei rifugi», conferma. «Ben sapendo, tuttavia, che ci sono situazioni in cui bisogna chiudere al 21 settembre perché se viene una botta di freddo e magari anche di neve si congela l'acqua. E per non far saltare le tubazioni, bisogna svuotarle, rendendo impossibile l'ospitalità». Laura de Rocco segue per il Cai i rifugi della sezione di Belluno: «A volte ci sono condizioni davvero oggettive che impediscono la destagionalizzazione. Ci sono rifugi che non sono esposti completamente al sole e magari ne ricevono i raggi solo due ore al giorno. È un problema rimanere all'ombra per quasi tutti la giornata, a quote dove le temperature si abbassano. Per contro, ci sono strutture esposte per buona parte della giornata e che possono continuare l'attività fino a ottobre ». Quanto, poi, all'afflusso di escursionisti stranieri, in aumento esponenziale, i tour operator e le agenzie possono rappresentare un'opportunità ma anche un rischio. Un solo esempio: prenotano per un tot numero di posti letto, arrivano con metà escursionisti. E il danno è irreparabile. «Non bisogna dimenticare che un rifugista è anche un operatore economico», conclude De Simoi.

OLTRE LE VETTE 2024

Corriere delle Alpi | 23 settembre 2024

p. 25

La montagna vista da Vittorio Sella con la mostra di foto del collezionista Härtl

BELLUNO

"Lo sguardo di Vittorio Sella", a cavallo tra Ottocento e Novecento pioniere italiano della fotografia di montagna. Ma anche uno sguardo su di lui – attraverso stampe fotografiche originali, preziosi volumi illustrati, mappe – da parte del collezionista statunitense Roger Härtl. Sono la fotografia e la montagna i grandi fili – per riprendere il tema "Filo, philos, filò" – che intrecciandosi danno vita alle mostra in tre sezioni allestita al terzo piano di Palazzo Fulcis, inaugurata sabato e aperta al pubblico fino al 3 novembre, anticipo del ricco programma di "Oltre le vette".

Una collezione raccolta anche in un elegante catalogo Antiga Edizioni. «Una figura poliedrica, quella di Vittorio Sella», ha sottolineato l'assessore alla cultura Raffaele Addamiano, «alpinista, esploratore, fotografo tra due secoli e due ere. Ha operato, girando per moltissime montagne, tra fine Ottocento e primo Novecento, in un momento spartiacque per le esplorazioni e l'evoluzione tecnologica della fotografia. Non aveva i mezzi moderni, eppure ha prodotto opere d'arte». Sella ha vissuto fino al 1943 cogliendo con la sua macchina fotografica Scatti e carte «esposti nel 2022 al Grolier Club di New York», ha riferito Flavio Faoro del comitato tecnico di "Oltre le vette", ripercorrendo le origini della mostra. «Che legame ha Härtl con Belluno? Sua mamma era della Val di Zoldo, quindi lui ha sempre mantenuto un legame con questa terra, stringendo amicizie come quella con il giornalista e fotografo Paolo Lazzarin. Che un anno fa ci ha proposto di portare qui questa mostra. Così abbiamo contattato Roger, molto disponibile e aperto a condividere con noi questo suo prezioso materiale». Quindi a Carlo Cavalli, conservatore del Museo Civico, il compito di illustrare l'esposizione. «In questa mostra si possono vedere materiali relativi all'area alpina e dolomitica. Ma anche da altre importanti spedizioni: sul Caucaso,

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in Africa (nella zona del lago Vittoria), sull'Himalaya. È sottolineato anche che le sue foto sono state poi utilizzate non soltanto per illustrare i resoconti molto dettagliati delle sue esplorazioni, ma pure da molti altri esploratori, alpinisti, autori, anche a scopo scientifico». All'inaugurazione, infine, è intervenuto proprio Roger Härtl, neurochirurgo appassionato collezionista di fotografia e storia dell'esplorazione. «Essere qui è un po' tornare a casa. Mia madre era di Forno di Zoldo, e da bambino ho girato spesso per Belluno e scalato le montagne. Colleziono arte offrendone un punto di vista diverso». Mostra visitabile martedì, mercoledì, venerdì 9.30 - 12.30 e 15.30 - 18.30; giovedì 9.30 - 12. 30; sabato, domenica e festivi 10 - 18.30.

DOLOMITI ACCESSIBILI E INCLUSVE

L’Adige | 2 settembre 2024

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Dalle Dolomiti all'Etna Un cammino «inclusivo»

Inclusione e sostenibilità attraverso un lungo cammino di oltre 2mila chilometri (e 55 tappe) che dal Trentino porta alla Sicilia, unendo i due luoghi naturali che vantano del titolo di Patrimonio mondiale Unesco, a nord e a sud della nostra Penisola: le Dolomiti e il Monte Etna. È stato dato il via ufficiale il 29 agosto scorso con partenza a Fai della Paganella al progetto "Dalle Dolomiti all'Etna - In cammino per l'inclusione e la sostenibilità", un viaggio a piedi attraverso l'Italia che durerà fino al 10 dicembre prossimo. A prendere parte alla prima tappa oltre 40 persone. L'arrivo è previsto sul Monte Etna, sul versante nord del vulcano, per il 10 dicembre.Il percorso, organizzato dall'Associazione "Dolomiti Open asd" in occasione del decennale del progetto "Brenta Open" a cui partecipa attivamente la Cooperativa Sociale Gsh attraverserà lo Stivale, passando per Trentino, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia. Nel tragitto tra Campania e Calabria 14 tappe saranno percorse in bicicletta/handbike.Durante il cammino si incontreranno altri importanti siti Unesco, tra i quali, l'Urbs Picta e Orto Botanico a Padova; Città del Rinascimento a Ferrara; i portici di Bologna; la Basilica di San Salvatore a Spoleto); la Basilica di San Francesco ad Assisi; il Centro storico di Roma e quello di Napoli; le Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata; il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, con il sito archeologico di Paestum. Una rappresentanza dei partecipanti al cammino sarà ricevuta, per un breve incontro, da Papa Francesco.«Questo cammino si propone di coinvolgere realtà come Gsh impegnate nel promuovere iniziative inclusive in favore delle persone con disabilità, al fine di testimoniare l'importanza dei valori dell'inclusione, cioè il motore di una società che accoglie le persone in modo paritario, e della sostenibilità - afferma il presidente della cooperativa Gsh Michele Covi- Sono valori, questi, che trovano espressione anche nella frequentazione dell'ambiente naturale attraverso un approccio a passo lento, rispettoso della natura, aperto agli altri, nella consapevolezza che ognuno di noi si caratterizza per le sue diversità che diventano una ricchezza da valorizzare per sé stessi e le altre persone».

EDITORIALI E INTERVISTE

Corriere delle Alpi | 3 settembre 2024

p. 12

«Solo navette e impianti»

Messner sulle Dolomiti

L'intervista

Francesco Dal Mas

«L'automobile consuma o no il territorio? Comporta dei costi che le comunità locali pagano attraverso le tasse? Quindi è giusto che il turista paghi un pedaggio». Parola di Reinhold Messner, uno dei più grandi alpinisti ed esploratori. È colui che, insieme al Comune di Cibiana e alla Regione Veneto, ha trasformato un cumulo di macerie, in cui era ridotto un forte della prima guerra mondiale, in un museo d'alta quota, tra i più visitati al mondo, quello sul monte Rite.

Messner, quest'estate è esploso il fenomeno dell'overtourism…

«Ma quale overtourism? Chiamiamolo col suo vero nome: overpicnic».

Che cosa intende?

«Che il grande caldo ha spinto il turista mordi-e-fuggi con l'auto fino in malga, se potesse fino in rifugio. Magari se potesse salire per qualche pista da sci. E sa perché?».

Perché?

«Per consumare, all'aria aperta, cercando il fresco, non solo il panino, ma il pranzo che si porta da casa, E perfino protesta, questo turista, se non trova modo di fare la grigliata. E' evidente che questa gente va fatta pagare. Ma non per salire in quota, bensì per restare a valle».

La montagna con il ticket, dunque?

«Non si paga per entrare a Venezia? Vuoi visitare le bellezze delle Dolomiti, delle nostre montagne? Contribuisce con un pedaggio, a conservarle nella loro naturalità».

Il Cai e altre forze ambientaliste non vogliono la montagna a pagamento...

«I fondamentalisti non volevano neppure il "museo fra le nuvole" sul monte Rite? Eppure abbiamo recuperato delle rovine; abbiamo trasformato un presidio di guerra in un luogo di cultura, di pace. Attenzione, anch'io sono contrario a far pagare la persona che viene montagna. Se viene, però, con la propria auto, il parcheggio che gli preparo deve pagarlo. Ecco, si tratta semmai di preparare queste aree di sosta, che oggi, dopo anni di chiacchiere da parte dei politici, ancora non ci sono».

Lei ritiene che l'automobilista che tra Fortogna, Valle di Cadore e Cortina ha fatto due ore di coda, paghi volentieri il parcheggio sul passo Tre Croci per salire fino al lago Sorapis?

«Sono stato di recente. È bellissimo. Questo sì è un luogo di overtourism, come lo sono le Tre Cime ed il lago di Braies. Ritornando al ticket o al pedaggio, è evidente che noi possiamo chiedere il contributo nella misura in cui l'automobilista trova le strade non intasate e luoghi dove parcheggiare. Siamo ancora all'anno zero?».

Beh, quasi.

«E allora propongo alle Province dell'area dolomitica, alla stessa Regione Veneto, che finalmente commissionino uno studio della possibile logistica. A livello di intero territorio della Fondazione Dolomiti Unesco. Affidino a studiosi accreditati come disincentivare il traffico automobilistico sui passi, nelle valli ancora incontaminate, verso i siti più iconici. E i politici implementino i risultati di questi studi, non li lascino nel cassetto».

Immagina l'introduzione delle Ztl sui valichi di montagna?

«Questo ed altro. Anzi, se fosse per me, i passi dolomitici dovrebbero rimanere aperti solo alle navette e agli impianti di risalita. Dobbiamo restituire alle terre alte il silenzio, le condizioni migliori per la loro contemplazione. Provi a chiedere a un rocciatore, a un alpinista che sta salendo lungo le pareti del Sella cosa prova quando sfrecciano non solo le auto sportive, ma anche quelle normali; peggio ancora le motociclette. Ci si decida a prendere decisioni drastiche. Ma, evidentemente, a valle vanno fatti i parcheggi. E sia istituita una puntuale rete di trasporto pubblico, magari di navette cadenzate. E poi, ovviamente, le piste ciclabili, i sentieri riservati esclusivamente ai camminatori, gli impianti di risalita meglio organizzati».

Quindi lei non teme l'overtourism sulle Dolomiti?

«Neppure tra 100 anni la provincia di Belluno patirà questo problema, ad eccezione di alcuni siti particolari. Ed ecco che, proponendo lo studio logistico, suggerisco anche un'analisi e la promozione di itinerari e territori alternativi a quelli più frequentati». Permetta, però. Cortina è sempre Cortina. «Cortina potrebbe essere bellissima, ma dopo le Olimpiadi resterà una città per ricchi, che possono spendere milioni per la loro casa. Non riceverà mai un turismo di massa. Ci sono dei dati riferiti alle stagioni turistiche dell'anno scorso e di quest'anno che non sono troppo incoraggianti. Al di là delle apparenze e di determinate interpretazioni. Noi dobbiamo fare in modo che tutti i paesi del Bellunese, come quelli delle Province alpine, possano proiettarsi efficacemente verso la loro vocazione, che è appunto quella turistica. Ecco, però, che con una nuova viabilità dobbiamo provvedere anche a una nuova residenzialità. Davvero troppe residenze sono abbandonate; tante potrebbero essere recuperate anche con investimenti minimi. Questo lo dico perché il futuro è quello della residenzialità turistica; non può essere quello del pic nic. Ha presente l'aeroporto di Bolzano?...».

Non vorrà mica portare l'aeroporto a Cortina?

«No, no. Anzi. Ha fatto bene il sindaco a disciplinare il movimento degli elicotteri, dicendo che devono atterrare e quindi decollare solo dall'eliporto. Cito Bolzano perché in quell'aeroporto arrivano turisti da tutto il mondo, che poi si trasferiscono nelle valli dolomitiche non con l'auto singola, ma con le navette. La logistica e la politica dovrebbero individuare soluzioni simili. Voi avete già gli areoporti di Treviso e di Venezia, oltre a quello di Bolzano. So che arriveranno anche i treni elettrici…».

Almeno fino a Ponte nelle Alpi.

«Bene, poi i pullman, le navette. Spero non arrivi l'autonoleggio».

C'è, in area ambientalista, chi ha chiesto di uscire dalla Lista dei siti Unesco. «Ho letto. I soliti ambientalisti. La Fondazione Unesco è indispensabile alla tutela, alla valorizzazione delle Dolomiti, prima ancora che alla promozione».

Conferma l'impegno a restare sul Rite col Museo fra le nuvole?

«Dovete chiederlo a mia figlia Maddalena. Adesso dipende da lei. Spero che non se ne voglia liberare. Anzi, che s'impegni a incrementarne l'attività, magari con nuove esposizioni. Io garantisco tutto il mio supporto. Ma adesso la responsabilità del Museo è soltanto sua».

Corriere del Trentino | 15 settembre 2024

p. 6, segue dalla prima

Il futuro della montagna, rischio degrado

di Ugo Morelli

Con rigore e rispetto Alberto Winterle che la dirige e la rivista Turris Babel, nell’ultimo numero, si occupano del «futuro della montagna». Un tema indispensabile trattato con scienza ed esperienza. Quando si finisce di leggere i saggi contenuti nel fascicolo, ma soprattutto dopo essersi soffermati sullo straordinario repertorio fotografico, manca il respiro di fronte all’oppressione della presenza umana e al degrado della montagna. Chiunque neghi l’overtourism, la questione climatica e la crisi della vivibilità nei luoghi alpini, dovrebbe prima leggere e poi riflettere davanti al lavoro dalla rivista Turris Babel e rendersi conto che sta sostenendo l’insostenibile, ritardando semplicemente l’esame di realtà e le urgentissime misure da intraprendere per salvare il salvabile. I paesaggi montani, intesi come spazi e luoghi di vita, hanno tra gli altri due grandi problemi, entrambi oggetto della negazione di chi non vuol vedere. Il primo riguarda l’acuirsi della necessità di fuga dalle città, la cui vivibilità cala costantemente, che produce quella che Winterle chiama la frenesia turistica, con fenomeni di overtourism in numerose località; il secondo ha che fare con le sempre più evidenti conseguenze della crisi climatica e dei cambiamenti che hanno raggiunto un livello così ampio e profondo, da mettere ormai da tempo in discussione la possibilità di continuare a immaginare un turismo, in particolare quello invernale, come se nulla fosse.

SEGUE DALLA PRIMA

Mentre il tempo passa e si nega la realtà, le cose peggiorano e, quello che è più grave, facendo finta di niente non si ricercano soluzioni alternative e innovazioni possibili. Inevitabile è la sensazione che chi ha la responsabilità di cercarle non sappia cosa fare e insiste nel proporre una continuità impossibile e ormai inesistente. «La natura fa il suo corso scrive Winterle nell’editoriale le condizioni ambientali possono mutare e quindi le località turistiche devono offrire ciò che sono e non ciò che erano un tempo e che vorrebbero continuare ad essere». Il fascicolo di Turris Babel, che come è noto è la rivista della Fondazione Architettura dell’Alto Adige/Südtirol, come sempre con una veste di particolare eleganza, non trascura nessuno dei temi più scottanti. Si occupa delle modalità con cui si sta o non si sta valorizzando il riconoscimento Unesco alle Dolomiti come patrimonio dell’umanità; considera con particolare attenzione quali criteri di sostenibilità si stiano mettendo in atto per le Olimpiadi del 2026; e ospita punti di vista autorevoli sullo stato delle cose, come il lungo e approfondito dialogo con l’albergatore, Michil Costa che lancia un monito: «La montagna diventerà un parco giochi gigantesco». Sarebbe davvero ora di ascoltare la poetessa Roberta Dapunt, che in una bellissima poesia contenuta nella rivista e pubblicata nel 2008, scrive: «In questo maso, a pasturare rimane il nostro avvenire (…) anche noi in affittanza sul mondo». Siamo in affittanza in questo meraviglioso patrimonio montano; siamo ospiti e, per avere un avvenire, all’ospite è richiesta la cortesia del domandare, non l’arroganza del distruggere.

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